CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 21 aprile 2010
312.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
COMUNICATO
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AUDIZIONI INFORMALI

Mercoledì 21 aprile 2010

Audizione del Presidente della SVIMEZ, Nino Novacco, nell'ambito dell'istruttoria legislativa sulla proposta di legge C. 2079 Letta, recante incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia.

L'audizione informale è stata svolta dalle 9 alle 9.55.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Mercoledì 21 aprile 2010. - Presidenza del presidente Gianfranco CONTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Daniele Molgora.

La seduta comincia alle 14.

Gianfranco CONTE, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata anche tramite la trasmissione attraverso l'impianto televisivo a circuito chiuso. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.
Avverte quindi che l'interrogazione Milo ed altri n. 5-02777 è stata sottoscritta anche dal deputato Nicco.

5-02777 Milo: Applicazione delle agevolazioni tributarie di cui all'articolo 5 del decreto-legge n. 78 del 2009 agli investimenti per la realizzazione di funivie destinate al trasporto di persone.

Roberto Rolando NICCO (Misto-Min.ling.) rinuncia ad illustrare l'interrogazione, di cui è cofirmatario.

Il sottosegretario Daniele MOLGORA risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

Roberto Rolando NICCO (Misto-Min.ling.) prende atto della risposta fornita dal sottosegretario, riservandosi eventuali ulteriori iniziative in merito.

5-02778 Barbato: Erogazione di mutui edilizi relativi ad immobili abusivi.

Francesco BARBATO (IdV) richiama la notizia, diffusa oggi dalla stampa, secondo la quale, nel corso della riunione preparatoria del Consiglio dei Ministri che si terrà venerdì prossimo, è stata esaminata una bozza di provvedimento d'urgenza recante, tra l'altro, una disposizione volta a sospendere l'efficacia, fino a tutto il 2011, dei provvedimenti di demolizione di immobili abusivi realizzati nella provincia di Napoli.
Ricorda, quindi, che ai provvedimenti di demolizione, adottati in numero di circa 6.000, sta attualmente provvedendo a dare esecuzione, stante l'inadempienza di molti comuni della menzionata provincia, la procura della Repubblica di Napoli.
A tale riguardo, chiede se il Sottosegretario, nel rispondere all'interrogazione, sia anche in grado di confermare o meno la volontà dell'Esecutivo di disporre con decreto-legge la sospensione dei predetti provvedimenti di demolizione.

Il sottosegretario Daniele MOLGORA risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

Francesco BARBATO (IdV) si dichiara rammaricato per l'assoluta insufficienza della risposta, che non affronta in alcun modo il tema, segnalato dall'interrogazione, relativo alle responsabilità degli istituti bancari, i quali hanno erogato mutui per l'acquisto di immobili abusivi omettendo di accertare, nella fase di istruttoria tecnica, la mancanza di regolari concessioni edilizie. Osserva, al riguardo, come il comportamento delle predette banche appaia a tal punto negligente da indurre a considerarle in qualche misura complici degli scempi edilizi realizzati a danno del territorio di Giugliano in Campania.
Anche in considerazione dell'atteggiamento di totale chiusura dimostrato finora

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dal Governo, ritiene quindi che debba essere riaffermata l'assoluta necessità di ripristinare la legalità nei territori interessati dai suddetti abusi, sottolineando come tale obiettivo possa essere conseguito assicurando il corretto funzionamento di tutte le istituzioni ivi operanti, tra le quali anche quelle economico-finanziarie come le banche. A tale proposito, rileva, peraltro, come i fatti segnalati nell'interrogazione, segnatamente l'avvenuto allacciamento degli immobili alle reti idrica e fognaria, che presuppone adempimenti di competenza comunale, avrebbero dovuto suscitare iniziative da parte della prefettura competente e, di conseguenza, del Ministro dell'interno, che, invece, sono mancate.
Esprime pertanto la propria totale insoddisfazione, dovuta anche alla constatazione dell'esistenza di carenze istituzionali che favoriscono il permanere di una grave situazione di illegalità nella provincia napoletana.

Gianfranco CONTE, presidente, rileva come i fatti richiamati nell'interrogazione consentano di ipotizzare l'esistenza di una vera e propria truffa, perpetrata ai danni degli acquirenti in buona fede degli immobili abusivi, a tutela dei quali sarebbe opportuno assumere ulteriori iniziative.

5-02779 Antonio Pepe e Contento: Rilascio del visto di conformità ai fini dell'utilizzo in compensazione di crediti IVA da parte di soggetti iscritti nell'albo degli avvocati abilitati alla tenuta delle scritture contabili.

Manlio CONTENTO (PdL) rinuncia ad illustrare la propria interrogazione.

Il sottosegretario Daniele MOLGORA risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 3).

Manlio CONTENTO (PdL) si dichiara insoddisfatto della risposta, osservando come i continui interventi normativi, talora attuati in maniera frettolosa e confusa, producano l'indesiderato effetto di disperdere i risultati del lavoro che il Parlamento svolge per correggere le storture presenti nella legislazione vigente.
Nel caso di specie, rileva come il rinvio, operato dall'articolo 10, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 78 del 2009, all'articolo 35 del decreto legislativo n. 241 del 1997 e all'articolo 1, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, conduca all'assurdo di escludere gli avvocati abilitati alla tenuta delle scritture contabili, nonché gli iscritti nel registro dei revisori contabili, dal novero dei professionisti cui è consentito il rilascio del visto di conformità ai fini dell'utilizzo in compensazione di crediti IVA di ammontare superiore a 15.000 euro, nel quale sono compresi, invece, soggetti con minore qualificazione professionale.
Auspica, quindi, che tale palese incongruenza possa essere corretta in occasione dell'esame di future iniziative legislative concernenti tale materia.

5-02780 Fluvi: Problematiche relative all'applicabilità dell'IVA alla tariffa di igiene ambientale.

Alberto FLUVI (PD) rinuncia ad illustrare la propria interrogazione.

Il sottosegretario Daniele MOLGORA risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 4).

Alberto FLUVI (PD), sottolinea preliminarmente come lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata possa avere un significato concreto soltanto nel caso in cui il Governo dimostri l'effettiva volontà di dare risposte pertinenti agli atti di sindacato ispettivo e non si limiti, invece, a richiamare ciò che è già stato reso noto dalla stampa.
Per quanto riguarda la disponibilità manifestata dal sottosegretario, a nome del Governo, ad esaminare positivamente ogni proposta legislativa finalizzata a chiarire definitivamente la complessa vicenda oggetto dell'interrogazione, evidenzia la difformità dei comportamenti assunti dai comuni e dalle società cui è affidata la

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gestione di entrate locali a seguito della sentenza con la quale la Corte costituzionale ha affermato la natura tributaria della tariffa d'igiene ambientale.
In particolare, mentre alcuni enti continuano a fatturare applicando l'IVA sugli importi dovuti dai contribuenti a titolo di TIA, altri hanno deciso di non applicare la predetta imposta, ma di aumentare la tariffa, determinando, in tal modo, un aggravio di costi per gli utenti, segnatamente per i soggetti che potevano portare in detrazione l'imposta pagata.
A prescindere dalla complessa questione del rimborso dell'IVA versata sugli importi dovuti a titolo di TIA fino alla predetta sentenza della Corte costituzionale, ritiene che il Governo non possa continuare ad evitare di assumersi la responsabilità di chiarire come si debbano comportare i soggetti periodicamente tenuti all'emissione delle fatture relative a tale servizio.
Si dichiara, quindi, completamente insoddisfatto della risposta.

Gianfranco CONTE, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

La seduta termina alle 14.30.

SEDE CONSULTIVA

Mercoledì 21 aprile 2010. - Presidenza del presidente Gianfranco CONTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Daniele Molgora.

La seduta comincia alle 14.30.

Norme in materia di nomina del Comandante generale del Corpo della Guardia di finanza.
Testo unificato C. 864 e abb., ed emendamenti.
(Parere alla IV Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole - Parere su emendamenti).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto e degli emendamenti ad esso riferiti, trasmessi dalla Commissione di merito.

Gianfranco CONTE, presidente e relatore, rileva come la Commissione sia chiamata ad esprimere il parere alla IV Commissione Difesa sul testo unificato, elaborato dal comitato ristretto ed adottato dalla Commissione come testo base, delle proposte di legge C. 864 Vannucci (PD), C. 3244 Bocchino (PdL), C. 3254 Di Pietro (IdV) e C. 3269-ter Cicu (PdL), discusso in sede legislativa dalla Commissione di merito, recante norme in materia di nomina del Comandante generale del Corpo della guardia di finanza.
La Commissione è inoltre chiamata ad esprimere il parere sugli emendamenti trasmessi dalla IV Commissione.
L'articolo 1 apporta una serie di modifiche alla legge n. 189 del 1959, relativamente alle procedure di nomina ed alla durata del Comandante generale del Corpo della Guardia di finanza e del Comandante in seconda del medesimo Corpo.
In particolare, il numero 1) della lettera a) del comma 1 sostituisce il primo comma dell'articolo 4 della predetta legge n. 189, il quale attualmente prevede che il Comandante generale è scelto tra i generali di Corpo d'armata in servizio permanente effettivo dell'Esercito, integrandolo al fine di consentire che il Comandante possa essere scelto anche tra i generali di Corpo d'armata in servizio permanente effettivo del medesimo Corpo.
Rimane invece confermato che la nomina è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della difesa.
Il numero 2) della medesima lettera a) inserisce un nuovo quarto comma nel già citato articolo 4 della legge n. 189, con il quale si prevede che il mandato del Comandante generale ha una durata pari a due anni, rinnovabile; la predetta durata di due anni non vale qualora nel frattempo

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il Comandante debba cessare dal servizio permanente effettivo per raggiungimento dei limiti di età o per altra causa prevista dalla legge.
La disposizione specifica che, alla scadenza del mandato, il Comandante generale è collocato in congedo, che è equiparato a tutti gli effetti a quello per raggiungimento dei limiti di età, con applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo n. 215 del 2001, ai sensi delle quali al personale militare che si trovi a non più di cinque anni dal limite di età e che faccia domanda di essere collocato in ausiliaria, compete, in aggiunta ad ogni altro istituto spettante, il trattamento pensionistico e l'indennità di buonuscita che allo stesso sarebbe spettato qualora fosse rimasto in servizio fino al limite di età, compresi gli eventuali aumenti periodici ed i passaggi di classe di stipendio. Tale ultima norma si applica evidentemente nel caso in cui la scadenza del mandato del Comandante generale intervenga prima del raggiungimento dei limiti di età per il collocamento in congedo.
La lettera b) del comma 1 sostituisce il secondo comma dell'articolo 5 della richiamata legge n. 189, il quale attualmente prevede che, per esigenze addestrative di carattere militare, e per assicurare il collegamento con il Ministero della difesa, il Capo di stato maggiore della difesa assegna al Comando generale della Guardia di finanza un generale di brigata divisione in servizio permanente dell'Esercito.
Rispetto al testo attualmente vigente, la nuova formulazione del secondo comma prevede che l'ufficiale assegnato al Comando generale sia un generale di divisione; inoltre, alla luce delle modifiche introdotte alla disciplina sulla nomina del Comandante della Guardia di finanza, il quale non deve più necessariamente essere scelto tra generali di Corpo d'armata dell'Esercito, la nuova formulazione stabilisce, che, per finalità di collegamento con il Comando generale della Guardia di finanza, è assegnato al Ministero della difesa un generale di divisione in servizio permanente del Corpo della Guardia di finanza.
Il comma 2 aggiunge un nuovo periodo al comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 68 del 2001, al fine di specificare che, nell'espletamento delle attività di concorso alle operazioni militari in caso di guerra e alle missioni militari all'estero, il Corpo della Guardia di finanza dipende funzionalmente dal Ministro della difesa.
Il comma 3 modifica invece il comma 4 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 69 del 2001, relativamente alla nomina ed alla durata del Comandante in seconda del Corpo della Guardia di Finanza.
Mentre la disciplina attualmente vigente prevede che la carica di Comandante in seconda sia assunta dal generale di corpo d'armata in servizio permanente effettivo più anziano in ruolo, le modifiche proposte prevedono che tale carica possa essere rivestita anche dal generale di corpo d'armata che segue nel ruolo il più anziano, qualora quest'ultimo ricopra la carica di Comandante generale.
Inoltre si stabilisce che il Comandante in seconda resti in carica per un periodo massimo di un anno (laddove l'attuale disciplina in materia prevede invece che la carica abbia durata massima biennale); il Comandante in seconda cessa dalla carica anche prima del termine qualora nel frattempo debba cessare dal servizio permanente effettivo per limiti di età o per altra causa prevista dalla legge.
Il comma 4 reca prevede che le nuove disposizioni relative alla durata del Comandante generale ed alla nomina e durata del Comandante in seconda, introdotte dal provvedimento, acquistano efficacia dalla data di assunzione della carica del Comandante generale del Corpo della guardia di finanza che sarà nominato secondo le nuove procedure stabilite dal provvedimento stesso.
Inoltre la disposizione dispone, a decorrere dalla medesima data, la cessazione degli effetti delle norme di cui all'articolo 9 della legge n. 190 del 1989, le quali prevedono che, a decorrere dal 1o gennaio 1992, la carica di Comandante in seconda

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della Guardia di finanza ha la durata massima di due anni e che, alla scadenza del mandato, l'ufficiale che la ricopriva è collocato in aspettativa per riduzione di quadri, anche qualora non sia cessato dal servizio permanente effettivo per effetto delle norme in vigore o perché abbia raggiunto i limiti di età.
L'articolo 2 dispone in merito all'entrata in vigore della legge, che è prevista il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ferme restando le norme transitorie di cui all'articolo 1, comma 4.
Per quanto riguarda invece gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi presentati nel corso dell'esame in sede legislativa, trasmessi dalla Commissione Difesa, l'emendamento Maurizio Turco 1.1 apporta una serie di modifiche piuttosto articolate all'articolo 1, volte sostanzialmente a realizzare la trasformazione del Corpo della Guardia di finanza in un Corpo di polizia tributaria, che non apparterrebbe più alle Forze armate: conseguentemente, la figura del Comandante generale si trasformerebbe in quella di Direttore generale, scelto tra i dirigenti generali dello Stato e nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'economia.
L'emendamento Di Pietro 1.2 modifica invece l'articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1, del testo unificato, al fine di prevedere che il Comandante generale della Guardia di finanza è scelto esclusivamente tra i generali di Corpo d'armata del medesimo Corpo e non anche tra i generali di Corpo d'armata dell'Esercito; inoltre l'emendamento elimina il concerto con il Ministro della difesa relativamente alla proposta di nomina del Comandante generale.
L'emendamento Fava 1.3 modifica l'articolo 1, comma 1, lettera a), numero 2, del testo unificato, al fine di prevedere che il mandato del Comandante generale ha durata non inferiore a 2 anni, rinnovabile una sola volta, laddove invece l'attuale formulazione del testo prevede una durata pari a 2 anni, rinnovabile. Inoltre la proposta emendativa stabilisce che, se durante il mandato si determinino le condizioni per la cessazione dal servizio a causa del raggiungimento dei limiti di età, il Comandante è richiamato sino al termine del mandato, laddove invece l'attuale formulazione del testo stabilisce che, al raggiungimento dei limiti di età, il Comandante cessi dal mandato.
L'emendamento Bosi 1.4 sostituisce il numero 2 della lettera a) del comma 1 dell'articolo 1, del testo unificato, sostanzialmente al fine di equiparare la durata del mandato del Comandante generale della Guardia di finanza a quello dei Capi di Stato maggiore, determinato ai sensi dell'articolo 37, commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 490 del 1997. In particolare, tali disposizioni prevedono che il mandato dei Capi di Stato maggiore è fissato in non meno di due anni e che, in caso di raggiungimento dei limiti di età, il soggetto in carica è richiamato in servizio sino al termine del mandato.
Gli identici emendamenti Rugghia 1.5 e Di Stanislao 1.6 modificano l'articolo 1, comma 1, lettera a), numero 2, del testo unificato, al fine di prevedere che il mandato del Comandante generale ha durata pari a 2 anni, rinnovabile una sola volta, per un periodo di due anni, e comunque non oltre il raggiungimento dei limiti di età. La proposta emendativa prevede inoltre che, qualora il Comandante raggiunga i limiti di età nel corso del primo biennio, egli sia chiamato d'autorità in servizio fino al termine del mandato, che non è in questo caso rinnovabile.
L'emendamento Di Pietro 1.7 modifica l'articolo 1, comma 1, lettera a), numero 2, del testo unificato, al fine di prevedere che il mandato del Comandante generale ha durata pari a 2 anni, rinnovabile una sola volta, e che, in caso di rinnovo, il Comandante generale decade dall'incarico nel giorno stesso in cui cessa dal servizio per limiti di età o per altra causa. La proposta emendativa prevede inoltre che il mandato non sia rinnovabile se, nel corso del primo biennio, il Comandante generale debba

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cessare dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o per altra causa prevista dalla legge.
L'emendamento Rugghia 1.8, modifica il comma 3 lettera b), del testo unificato, al fine di prevedere che la durata in carica del Comandante in seconda della Guardia di finanza ha la durata di un anno e che egli è richiamato in servizio fino al termine del mandato, qualora nel corso di quest'ultimo abbia raggiunto i limiti di età per la cessazione dal servizio. Il testo unificato stabilisce invece che il Comandante in seconda cessi dal mandato qualora nel frattempo debba cessare dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o altra causa prevista dalla legge.
L'articolo aggiuntivo Cicu 1.01 riguarda una problematica non affrontata direttamente dal testo unificato, intervenendo sulla disciplina concernente la promozione al grado superiore attribuita il giorno precedente la cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età a tutti gli ufficiali dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e della Guardia di finanza, ad esclusione dei generali di Corpo d'armata.
In tale contesto la proposta emendativa prevede che, per i generali di Corpo d'armata, si applicano comunque, dal 2010, gli effetti economici e previdenziali connessi al grado superiore, con esclusione dell'indennità speciale riconosciuta agli ufficiali generali, al Capo della Polizia, al Comandante generale dell'Arma dei carabinieri ed al Comandante generale della Guardia di finanza.
L'articolo aggiuntivo Cicu 1.02 riguarda anch'esso una problematica non affrontata direttamente dal Testo unificato, stabilendo che, con decreto del Ministro della difesa, sono individuate le cariche vicarie del Capo di Stato maggiore della Difesa e dei Capi di Stato maggiore dell'Esercito, della Marina militare e dell'Aeronautica militare, le quali vengono qualificate come corrispondenti al Vice Comandante dell'Arma dei carabinieri ed al Comandante in seconda della Guardia di finanza.
Inoltre, la proposta emendativa prevede che ai soggetti cui sono attribuite tali cariche è attribuita l'indennità speciale riconosciuta agli ufficiali generali, al Capo della Polizia, al Comandante generale dell'Arma dei carabinieri ed al Comandante generale della Guardia di finanza.
Rileva quindi come il testo unificato adottato come testo base dalla Commissione Difesa rappresenti un apprezzabile punto di equilibrio tra le forze politiche, che deve quindi essere mantenuto, al fine di consentire l'approvazione in sede legislativa del provvedimento.
Propone pertanto di esprimere parere favorevole sul testo unificato adottato come testo base dalla Commissione di merito e di esprimere parere contrario sugli emendamenti ed articoli aggiuntivi trasmessi dalla Commissione di merito (vedi allegato 5).

La Commissione approva la proposta di parere formulata dal relatore.

La seduta termina alle 14.40.

AUDIZIONI

Mercoledì 21 aprile 2010. - Presidenza del presidente Gianfranco CONTE.

La seduta comincia alle 14.40.

Audizione del Direttore dell'Agenzia del territorio, sulle tematiche relative allo stato di attuazione del trasferimento delle funzioni catastali ai comuni.
(Svolgimento, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, e conclusione).

Gianfranco CONTE, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Introduce quindi l'audizione.

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Gabriella ALEMANNO, Direttore dell'Agenzia del territorio, svolge una relazione sui temi oggetto dell'audizione.

Svolgono considerazioni e pongono quesiti i deputati Francesco BARBATO (IdV), Marco CAUSI (PD), Silvana Andreina COMAROLI (LNP) e Gianfranco CONTE, presidente, ai quali risponde Gabriella ALEMANNO, Direttore dell'Agenzia del territorio.

Pongono ulteriori quesiti i deputati Marco CAUSI (PD) e Giampaolo FOGLIARDI (PD), ai quali risponde Gabriella ALEMANNO, Direttore dell'Agenzia del territorio.

Gianfranco CONTE, presidente, ringrazia la dottoressa Alemanno e dichiara conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.40.

N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.

DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 21 aprile 2010. - Presidenza del presidente Gianfranco CONTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per la semplificazione normativa Francesco Belsito.

La seduta comincia alle 15.40.

Schema di decreto legislativo recante attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio.
Atto n. 196.

(Rilievi alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale).
(Esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 4, del regolamento, e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Matteo BRAGANTINI (LNP), relatore, osserva come la Commissione sia stata autorizzata a trasmettere, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 4, del Regolamento, rilievi alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale sullo schema di decreto legislativo recante attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (Atto n. 196).
Ricorda preliminarmente che lo schema di decreto è stato predisposto ai sensi della delega in materia di federalismo fiscale conferita al Governo dell'articolo 2 della legge n. 42 del 2009, sulla base degli specifici principi e criteri direttivi dettati in materia di demanio dall'articolo 19 della medesima legge n. 42.
In particolare, l'articolo 19 prevede che, ai fini dell'attuazione dell'articolo 119, della Costituzione, il quale dispone, al sesto comma, che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, i decreti legislativi fissino i princìpi generali per consentire l'attribuzione di tale patrimonio.
I princìpi e criteri direttivi per l'esercizio della delega prevedono che:
a) i beni siano attribuiti a titolo non oneroso ad ogni livello di governo, secondo distinte tipologie, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali, fatta salva la determinazione da parte dello Stato di apposite liste che individuino nell'ambito delle citate tipologie i singoli beni da attribuire;
b) i beni immobili siano attribuiti ai diversi enti sulla base del criterio di territorialità;
c) ai fini dell'attribuzione dei beni si faccia ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata;
d) siano individuate tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono

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essere trasferiti, ivi compresi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.

Passando al contenuto dello schema di decreto, che si compone di 7 articoli, segnala preliminarmente come il Governo abbia allegato alla relazione illustrativa, a fini conoscitivi, una versione modificata del testo, che recepisce una serie di rilievi espressi dalle rappresentanze degli enti locali, sul quale la Conferenza Stato - Città ed autonomie locali ha espresso parere favorevole.
Per quanto riguarda le singole disposizioni dello schema, l'articolo 1 definisce l'oggetto del provvedimento, che consiste nell'individuazione dei beni statali che possono essere attribuiti a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, prevedendo, al comma 1, che tale individuazione è operata attraverso lo schema di decreto legislativo e con uno o più decreti attuativi del presidente del Consiglio dei ministri, nel rispetto della Costituzione, sulla base di domanda degli enti territoriali interessati ai beni stessi.
Il comma 2 stabilisce che gli enti territoriali cui sono attribuiti i beni sono tenuti ad assicurare la massima valorizzazione funzionale.
In merito al contenuto del comma 2, rileva come l'articolo 19 della legge n. 42 del 2009, il quale stabilisce i principi e criteri direttivi in materia di decentramento patrimoniale, non preveda espressamente un obbligo di valorizzazione dei beni del patrimonio attribuiti.
L'articolo 2, comma 1, prevede che lo Stato, previa intesa in sede di Conferenza unificata, individua i beni da attribuire a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, sulla base dei criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni e valorizzazione ambientale, criteri specificati dal comma 5 del medesimo articolo 2.
Al riguardo, con riferimento alle modalità di individuazione e attribuzione dei beni pubblici a favore di Regioni ed Enti locali, segnala come i criteri di delega di cui all'articolo 19 della legge n. 42 del 2009, sembrino riservare allo Stato il compito di stilare le apposite liste che individuano i singoli beni da trasferire, limitando la concertazione in sede di Conferenza unificata alla fase di attribuzione di tali beni agli enti territoriali.
Il comma 2 prevede che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni possano chiedere l'attribuzione a titolo non oneroso dei beni già individuati a tal fine dallo Stato. Successivamente, lo Stato potrà procedere all'attribuzione dei beni sulla base delle richieste degli enti territoriali.
Il comma 3 dispone che, in applicazione del principio di sussidiarietà, qualora un bene non sia attribuito ad un ente territoriale di un determinato livello di governo, lo Stato può comunque procedere, sulla base delle richieste avanzate, all'attribuzione del bene medesimo ad un ente territoriale di un diverso livello di Governo.
In merito rileva l'opportunità di chiarire meglio la portata normativa della previsione, la quale sembra disciplinare l'ipotesi in cui un bene, pur attribuito ad un determinato livello di governo, non sia tuttavia richiesto dall'ente territoriale appartenente a quel livello di governo.
Il comma 4 prevede che l'ente territoriale, dopo l'attribuzione, dispone del bene nell'interesse della collettività che esso rappresenta e deve favorirne la massima valorizzazione funzionale, a vantaggio, sia diretto sia indiretto, della collettività territoriale rappresentata. Ciascun ente assicura l'informazione della collettività sul processo di valorizzazione, anche tramite pubblicazione sul proprio sito internet istituzionale. In tale contesto i Comuni possono indire forme di consultazione popolare anche in forma telematica, in base alle norme dei rispettivi statuti.
In base al comma 5 i beni statali sono attribuiti, a titolo non oneroso, a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, anche in quote indivise.
I singoli beni possono dunque essere attribuiti a più enti corrispondenti a diversi

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livelli di governo o a più enti del medesimo livello di governo o ancora in maniera mista, ad esempio a più enti del medesimo livello di governo e ad un ente di un diverso livello di governo.
A tale riguardo, rileva come l'attribuzione di un medesimo bene tra più enti territoriali potrebbe determinare criticità in ordine alla gestione del bene, anche in relazione alle scelte, evidentemente da concertare tra diversi enti, inerenti alla sua concreta valorizzazione.
La disposizione precisa che i criteri con cui procedere all'attribuzione dei beni sono:
a) sussidiarietà, adeguatezza e territorialità, in base ai quali i beni sono attribuiti, considerando il loro radicamento sul territorio, ai Comuni, salvo che esigenze di carattere unitario richiedano l'attribuzione a Province, Città metropolitane o Regioni quali livelli di governo maggiormente idonei a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione, in considerazione dell'entità o tipologia dei beni trasferiti;
b) semplificazione, prevedendosi che, in applicazione di tale criterio, i beni possano essere inseriti dalle Regioni e dagli Enti locali in processi di alienazione e dismissione secondo le procedure di cui all'articolo 58 del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale prevede, da parte di Regioni ed enti locali, la possibilità di predisporre un «piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari», che deve essere presentato con riguardo agli immobili non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali degli enti.

Al riguardo rileva l'opportunità di rivedere la formulazione della norma alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 340 del 2009, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 58, comma 2, del predetto decreto - legge n. 112, per contrasto con l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui disponeva che «la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni. La verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere effettuata entro un termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente».
La declaratoria di illegittimità costituzionale è stata motivata dalla Corte in base al fatto che nella materia «governo del territorio», ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, ultimo periodo, della Costituzione, lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio, dovendo la relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio essere intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi.
In questo contesto evidenzia come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, la lettera b) risulti integrata, prevedendosi che la deliberazione del consiglio comunale o provinciale di approvazione del piano di alienazioni è trasmesso ad un'apposita conferenza di servizi (alla quale partecipano il comune, la provincia e la regione interessati), la cui determinazione finale costituisce provvedimento unico di autorizzazione delle varianti allo strumento urbanistico generale.
c) capacità finanziaria, intesa come idoneità finanziaria necessaria a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene; a tale riguardo si prevede che l'attribuzione dei beni immobili appartenenti allo Stato possa avvenire, per i fini sopra indicati, mediante attribuzione

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diretta dei beni a fondi comuni di investimento immobiliare già costituiti o da costituire, da parte di uno o più enti territoriali, anche ai sensi del già richiamato articolo 58 del decreto-legge n. 112.
In tale contesto rileva come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, la lettera c) risulti integrata, prevedendosi che le quote dei fondi comuni di investimento immobiliare cui possono essere attribuiti i beni siano attribuiti agli enti locali cui sono trasferiti i beni stessi.
d) correlazione con competenze e funzioni, intesa come connessione tra le competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dall'ente cui è attribuito il bene e le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene;
e) valorizzazione ambientale, tenendo presente le caratteristiche fisiche, morfologiche, ambientali, paesaggistiche, culturali e sociali dei beni trasferiti, al fine di assicurare lo sviluppo del territorio e salvaguardare, nel contempo, i valori ambientali.

In merito ai predetti criteri segnala come le funzioni effettivamente svolte dall'ente, menzionate dalla lettera d), sono individuate e disciplinate dal Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, sul quale dovrebbe incidere il disegno di legge C. 3118, recante la cosiddetta «Carta delle autonomie», attualmente all'esame della I Commissione Affari costituzionali della Camera. Tale ultimo provvedimento ridisegna infatti le funzioni fondamentali di province, comuni e città metropolitane e prevede, all'articolo 13, una delega biennale per «riunire e coordinare sistematicamente in un codice le disposizioni statali relative alla disciplina degli enti locali». L'approvazione del disegno di legge avrebbe pertanto l'effetto di modificare l'attuale assetto delle competenze degli enti locali, alla luce del quale, anche sulla base delle specifiche previsioni della legge n. 42 del 2009, lo schema di decreto legislativo provvede all'attribuzione dei beni statali ai suddetti enti.
In tal caso occorrerebbe valutare la congruità della corrispondenza dei beni attribuiti alla luce dello schema di decreto legislativo con le competenze che effettivamente spetteranno agli enti locali a seguito dell'entrata in vigore della riforma delle funzioni degli enti locali stessi.
L'articolo 3, comma 1, primo periodo, dispone che i beni siano individuati e attribuiti ad uno o più livelli di governo territoriale, mediante l'inserimento in appositi elenchi. Tali elenchi di beni sono adottati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base degli articoli 1 e 2 dello schema di decreto; i predetti decreti saranno emanati entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, con il Ministro per gli affari generali e con gli altri Ministri competenti per materia.
In merito a tale disposizione evidenzia l'opportunità di meglio coordinarla con il disposto dell'articolo 2, comma 1, dello schema di decreto, il quale anch'esso disciplina l'individuazione dei beni, al fine di meglio delimitare la fase dell'individuazione dei beni rispetto a quella dell'attribuzione degli stessi ai diversi livelli di governo.
A tale riguardo segnala come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, il periodo risulti leggermente modificato, al fine di specificare che l'individuazione dei beni è effettuata ai fini della loro attribuzione ad uno o più livelli di governo, risolvendo in tal modo la problematica appena evidenziata.
Rileva inoltre, anche in questo caso, l'opportunità di valutare se la procedura di concertazione con gli enti territoriali anche con riguardo alla fase di individuazione dei beni da trasferire possa essere considerata conforme ai criteri di delega di cui alle lettere a) e c) dell'articolo 19

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della legge n. 42 del 2009, i quali sembrano invece riservare allo Stato il compito di stilare le apposite liste contenenti i singoli beni da attribuire, limitando la concertazione in sede di Conferenza unificata alla fase di assegnazione di tali beni.
Il secondo periodo stabilisce che con il medesimo procedimento possano essere eventualmente adottati ulteriori decreti del Presidente del Consiglio dei ministri integrativi e modificativi.
In merito a tale disposizione si osserva come non si prevede a alcun termine che limiti temporalmente l'adozione dei decreti correttivi e integrativi.
Il terzo periodo specifica che i beni del demanio idrico ed i beni del demanio marittimo possono esse individuati sia singolarmente sia per gruppi.
Ai sensi del quarto periodo, i predetti elenchi sono corredati da adeguati elementi informativi e sono suscettibili di produrre effetti solo a partire dalla data di pubblicazione dei sopra indicati DPCM nella Gazzetta Ufficiale.
A tale riguardo rileva come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, il periodo risulti integrato, precisandosi gli elementi informativi riguardano anche lo stato giuridico, la consistenza, il valore del bene, le entrate corrispondenti ed i relativi costi di gestione.
Il comma 2 prevede, al primo periodo, che, relativamente alle aree ed ai fabbricati, le regioni e gli enti locali che intendano acquisire i beni siano chiamati a presentare un'apposita domanda di attribuzione all'Agenzia del demanio, entro 30 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dei suddetti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1.
In proposito rileva come lo schema di decreto sembri introdurre due procedimenti differenziati per l'attribuzione dei beni agli enti territoriali.
Per quelli compresi tra le «aree» e i «fabbricati», in base alla procedura definita dal comma 2, l'attribuzione dei beni spetta ad un apposito DPCM da adottare senza una preventiva concertazione in sede di Conferenza unificata, mentre per quanto concerne l'individuazione e l'attribuzione delle altre tipologie di beni non ricompresi tra le «aree» e i «fabbricati» lo schema di decreto prevede l'adozione di DPMC previa concertazione in sede di Conferenza unificata, ma non individua le modalità attraverso le quali gli enti territoriali debbono procedere alle richieste di assegnazione, né i soggetti cui inviare tali richieste ed i relativi termini entro i quali effettuarle.
Tale diversa disciplina potrebbe indurre a ritenere che, per quanto riguarda gli altri beni di cui al comma 1, diversi dalle «aree» e dai «fabbricati», siano i DPCM a determinarne l'attribuzione agli enti territoriali anche senza che questi ultimi ne abbiano fatto richiesta in precedenza; tale interpretazione si porrebbe tuttavia in contrasto con l'articolo 1, comma, 1, dello schema, in base al quale i beni possono essere attribuiti su richiesta dell'ente interessato.
A tale riguardo rileva come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, risulti soppresso il riferimento alle aree ed ai fabbricati, risolvendo in tal modo la problematica appena evidenziata.
Segnala inoltre come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, sia stato anche aggiunto un nuovo periodo, che contiene una norma specifica relativa ai beni del demanio idrico ed ai beni del demanio marittimo, per i quali, qualora siano stati individuati in gruppi, si prevede che la domanda di attribuzione deve riguardare tutti i beni compresi in ciascun gruppo.
Ai sensi del secondo periodo, in base alle richieste di assegnazione pervenute, è adottato, entro i successivi 30 giorni, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, un ulteriore DPCM, riguardante l'attribuzione dei beni, che produce a sua volta effetti dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e costituisce titolo per la trascrizione e per la voltura catastale dei beni a favore di ciascuna regione o di ciascun ente locale.

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L'articolo 4 stabilisce, al comma 1, primo periodo, che, a seguito del DPCM di trasferimento, i beni demaniali e patrimoniali dello Stato indicati dall'articolo 5, salvo alcune eccezioni, entrano a far parte, con le proprie pertinenze ed accessori, del patrimonio disponibile degli enti pubblici territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni), i quali si fanno carico, a seguito del trasferimento, degli eventuali oneri e pesi di cui è gravato il bene.
La disposizione fa inoltre esplicitamente salvo il regime giuridico dei beni trasferiti appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, che rimane quello dettato per i beni demaniali dal codice civile e della navigazione, nonché dalle altre leggi di settore.
Tali beni pertanto rimangono, anche dopo il trasferimento, ai sensi dell'articolo 823 del codice civile, inalienabili, non usucapibili, insuscettibili di espropriazione forzata; i medesimi beni non possono altresì formare oggetto di diritti in favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Inoltre, il secondo periodo prevede la possibilità di ampliare ulteriormente la lista dei beni trasferiti - diversi da quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico, e aeroportuale - da considerare come «demaniali» o facenti parte del patrimonio indisponibile, stabilendo, in tal caso, che il DPCM di assegnazione deve specificamente motivare tale inclusione.
Il comma 2 stabilisce che l'effetto del trasferimento dei beni si produce dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del DPCM di attribuzione. La disposizione specifica che il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano, con contestuale immissione di ciascuna Regione ed Ente locale nel possesso giuridico e subentro in tutti i rapporti attivi e passivi relativi ai beni trasferiti, fermi restando i limiti derivanti dai vincoli storici, artistici e ambientali.
In parallelo con quanto evidenziato con riferimento al comma 2 dell'articolo 3, rileva come l'attuale formulazione del comma 2, che subordina l'effetto del trasferimento della totalità dei beni alla data di pubblicazione del DPCM, il quale si riferisce tuttavia soltanto all'assegnazione dei beni rientranti tra le aree e i fabbricati di cui al predetto articolo 3, comma 2, presenti profili problematici, che potrebbero peraltro essere risolti alla luce delle modifiche ipotizzate dallo stesso Governo a tale ultima disposizione.
L'articolo 5 individua, al comma 1, le tipologie dei beni immobili statali potenzialmente trasferibili a richiesta di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
In particolare, si tratta:
a) di tutti i beni del demanio marittimo indicati dall'articolo 822 del codice civile e dall'articolo 28 del codice della navigazione (il quale fa riferimento ai lidi, alle spiaggie, ai porti, alle rade, le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, ai bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare, ai canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo), con esclusione dei beni direttamente in uso alle amministrazioni statali (quali, ad esempio, i litorali appartenenti al Ministero della Difesa);
b) di tutti i beni del demanio idrico di interesse regionale e provinciale (ad esempio i fiumi e i laghi), nonché delle opere idrauliche e di bonifica di competenza statale (analogamente a quanto avvenuto in Friuli Venezia Giulia e in Trentino Alto Adige); dei terreni abbandonati dalle acque correnti, dal mare, dai laghi, dalle lagune e dagli stagni appartenenti al demanio pubblico (di cui all'articolo 942 del codice civile); delle isole e unioni di terra che si formano nel letto dei fiumi o torrenti (di cui all'articolo 945 del codice civile); degli alvei abbandonati di fiumi e torrenti (di cui all'articolo 946 del codice civile); dei terreni comunque abbandonati derivanti da mutamenti del letto dei fiumi (di cui all'articolo 947 del codice civile);
A tale riguardo rileva come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, la lettera risulti leggermente

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modificata, al fine di inserire tra i beni del demanio idrico considerati dalla disposizione anche quelli di interesse interregionale o comunale.
c) di tutti gli aeroporti di interesse regionale facenti parte del demanio aeronautico civile statale e le relative pertinenze, come definiti dall'articolo 698 del codice della navigazione.
A tale riguardo rileva come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, la lettera risulti leggermente modificata, al fine di inserire tra anche gli aeroporti di interesse locale.
d) di tutte le miniere (e relative pertinenze) ubicate sulla terraferma;
e) di tutte le aree e i fabbricati di proprietà dello Stato, diversi dalle tipologie di beni immobili indicati in precedenza, ad eccezione dei beni esplicitamente non trasferibili ai sensi del comma 2 dell'articolo 5.

A tale riguardo rileva come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, il testo della lettera risulti modificato, sostituendo il riferimento alle aree ed ai fabbricati con quello a tutti i beni di proprietà dello Stato.
In proposito evidenzia inoltre, in via generale, la necessità che l'individuazione ed il trasferimento dei beni alle regioni ed agli altri enti territoriali siano realizzate tenendo conto dell'esigenza di attribuire ai singoli enti insiemi di beni che siano suscettibili di assicurare all'ente non solo oneri di gestione, ma anche introiti.
I commi 2 e 3 recano disposizioni concernenti l'esclusione di alcuni beni dalle procedure di trasferimento.
In particolare, il comma 2 individua le tipologie e le caratteristiche dei beni che sono in ogni caso non trasferibili, fatto salvo quanto previsto dal comma 4 per i beni in uso al Ministero della difesa.
Si tratta, in particolare:
degli immobili utilizzati dalle Amministrazioni dello Stato, ivi comprese quelle ad ordinamento autonomo, dagli Enti pubblici destinatari di immobili statali in uso governativo e dalle Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999, a condizione che i predetti edifici siano utilizzati per finalità istituzionali;
dei porti e aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore: al riguardo ricorda che, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 84 del 1994, i porti di rilevanza nazionale sono quelli sede di Autorità portuali, mentre l'articolo 698 del codice della navigazione prevede che gli aeroporti e i sistemi aeroportuali di interesse nazionale siano individuati con decreto del Presidente della Repubblica, il quale non è stato tuttavia ancora emanato;
dei beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla normativa vigente;
dei beni oggetto di accordi o intese con gli Enti territoriali per la razionalizzazione o la valorizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari sottoscritti alla data di entrata in vigore del presente provvedimenti; a tale proposito ritiene opportuno identificare meglio tale categoria di beni e a quali accordi si faccia riferimento.
delle reti di interesse statale, ivi comprese quelle energetiche;
delle strade ferrate in uso.

Il comma 3 stabilisce la procedura per l'individuazione dei beni esclusi dal trasferimento
A tal fine il primo periodo stabilisce che, ai fini dell'esclusione, le amministrazioni statali e gli altri enti devono predisporre l'elenco dei beni relativamente ai quali si richiede l'esclusione dalle procedure di trasferimento, fornendone adeguata motivazione; l'elenco deve essere inviato da ciascuno dei soggetti interessati entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo.
In tale contesto rileva come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, sia stato inserito un ulteriore periodo, in forza del quale

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l'Agenzia del demanio compila a sua volta, entro il medesimo termine, l'elenco relativo ai propri beni.
Al riguardo rileva l'opportunità di precisare il regime applicabile ai beni in possesso dei requisiti indicati nel comma 2 che non risultino indicati negli elenchi di cui al comma 3. Ciò in quanto, mentre ai sensi del comma 2 «sono in ogni caso esclusi dal trasferimento» i beni aventi le caratteristiche indicate nel comma medesimo, il successivo comma 3 stabilisce che «ai fini dell'esclusione di cui al comma 2» le amministrazioni statali e gli altri enti devono redigere l'elenco, adeguatamente motivato, dei beni da escludere dalle procedure di trasferimento.
Ai sensi del secondo periodo, entro i successivi trenta giorni, quindi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, il Direttore dell'Agenzia del demanio dovrà provvedere alla predisposizione e alla pubblicazione sul proprio sito internet dell'elenco complessivo dei beni esclusi dal trasferimento, il quale è reso pubblico, a fini notiziali, ed è corredato delle motivazioni pervenute dalle singole amministrazioni o enti.
In tale contesto rileva come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, il periodo sia stato integrato, nel senso di stabilire che il provvedimento del Direttore dell'Agenzia del Demanio è redatto previo parere della Conferenza unificata.
Il terzo periodo prevede la possibilità di integrare o modificare il predetto elenco in base al «medesimo procedimento».
Al riguardo ritiene opportuno chiarire se le eventuali modifiche o integrazioni debbano essere, in ogni caso, effettuate entro il termine ultimo previsto dal comma 3 (centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento). Ciò in quanto, qualora fossero resi possibili interventi anche oltre il predetto termine, la procedura indicata andrebbe coordinata con le scadenze fissate dall'articolo 3 per l'emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il comma 4 prevede che con DPCM, su proposta del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per le riforme per il federalismo, siano individuati i beni immobili comunque in uso al Ministero della difesa che possono essere trasferiti a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni che li richiedono ai sensi del precedente comma 1, in quanto non ricompresi tra quelli utilizzati per le funzioni di difesa e sicurezza nazionale, non oggetto delle procedure di cui all'articolo 14-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e di cui all'articolo 2, comma 628, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), nonché non funzionali alla realizzazione dei programmi di riorganizzazione dello strumento militare.
In merito segnala come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, il comma sia stato integrato, nel senso di stabilire che il DPCM deve essere adottato entro un anno dall'entrata in vigore del decreto legislativo, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata.
Al riguardo si rammenta che il citato articolo 14-bis modifica in più parti il comma 13-ter dell'articolo 27 del decreto - legge n. 269 del 2003, che, tra l'altro, ha attribuito al Ministero della difesa il compito di individuare i beni immobili non più utili ai propri fini istituzionali, da dismettere e consegnare all'Agenzia del demanio.
L'articolo 2, comma 628, della legge n. 244 del 2007 stabilisce invece che il Ministero della Difesa provveda all'alienazione della proprietà, dell'usufrutto, della nuda proprietà di almeno 3.000 alloggi non più funzionali alle proprie esigenze istituzionali.
Evidenzia l'opportunità di coordinare la previsione del comma 4 con la scelta, operata dall'articolo 2, comma 27, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010), di affidare al Ministero della Difesa, attraverso la nuova società Difesa Servizi spa, l'attività di valorizzazione e riqualificazione (con esclusione delle attività di alienazione) degli immobili militari, eventualmente fissando un termine entro il quale il Ministero della difesa e la società Difesa Servizi devono concludere le

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procedure di valorizzazione previste dal citato comma 27, decorso il quale i beni stessi, non oggetto di valorizzazione, rientrerebbero nell'ambito dei beni suscettibili di trasferimento in base alle norme del decreto legislativo.
Segnala quindi come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, sia stato inserito un nuovo comma, il quale prevede che, nel quadro degli accordi di valorizzazione dei beni culturali già contemplati dall'articolo 112, comma 4, del codice dei beni culturali di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, entro un anno dall'entrata in vigore del decreto legislativo, il Ministero per i beni e le attività culturali trasferisca alle regioni ed agli altri enti territoriali i beni e le cose indicate nei richiamati accordi di valorizzazione, ai sensi dell'articolo 54, comma 3, del predetto codice, il quale prevede che i beni del demanio culturale e le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, possono essere oggetto di trasferimento tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali.
Il comma 5 esclude in ogni caso il trasferimento dei beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica.
L'articolo 6, comma 1, demanda ad uno o più regolamenti, da emanare su proposta del Ministro dell'economia, sentiti il Ministro per le riforme per il federalismo ed il Ministro per gli affari regionali, il riordino e l'adeguamento della disciplina dei fondi comuni di investimento immobiliari con apporto pubblico, di cui all'articolo 14-bis della legge n. 86 del 1994.
In tale contesto rileva come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, il comma sia stato integrato, nel senso di stabilire che i regolamenti sono emanati previo parere della Conferenza unificata.
La disposizione intende esplicitamente favorire l'applicazione di uno dei principi generali richiamati dallo schema di decreto, ovvero del criterio della «capacità finanziaria», di cui all'articolo 2, comma 5, lettera c), ai sensi del quale l'ente cui è attribuito il bene immobile deve disporre di adeguate capacità finanziarie per la tutela, la gestione e la valorizzazione del medesimo.
In particolare, la lettera a) richiede che l'attribuzione dei beni immobili statali ai fondi immobiliari avvenga proporzionalmente al valore fissato al momento del trasferimento dei suddetti beni, laddove il comma 4 dell'articolo 14-bis della citata legge n. 86 del 1994 prescrive che gli immobili apportati al fondo siano sottoposti alle procedure ordinarie di stima anche al momento dell'apporto.
In merito segnala come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, la lettera a) sia stata integrata, nel senso di stabilire che il valore dei beni attribuiti ai fondi immobiliari è stimato da un esperto indipendente.
La lettera b) stabilisce che la possibilità di sottoscrivere quote dei fondi deve essere estesa anche a persone fisiche, persone giuridiche e altri enti privati, con versamenti in denaro, apporto di beni immobili o di altri diritti reali, condizionati, nel caso di attribuzione a titolo non oneroso di beni statali, a un contestuale ed equivalente apporto a titolo gratuito dei sottoscrittori privati. La disposizione prevede inoltre che sia consentita a più Regioni ed Enti territoriali la possibilità di partecipare ai fondi immobiliari, nonché di attribuire beni statali a titolo non oneroso, successivamente alla prima emissione di quote, con conseguente trasferimento delle stesse quote tra le Regioni e gli Enti locali, in relazione al beneficio derivante pro-quota dall'apporto suddetto, secondo la stima di un esperto indipendente.
La lettera c) prescrive che la liquidità disponibile sia utilizzata per l'acquisto di beni immobili funzionali alla valorizzazione del patrimonio immobiliare del fondo.

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Al riguardo ricorda come i commi 2 e 3 dell'articolo 14-bis della legge n. 86 vietino che la liquidità derivata dagli apporti in denaro possa essere utilizzata per l'acquisto di beni immobili o diritti reali immobiliari. Inoltre, il comma 14 dell'articolo 14-bis prescrive che le somme derivanti dal collocamento dei titoli speciali emessi dal Tesoro o dalla cessione delle quote dei fondi sottoscritte con apporti dello Stato o di enti previdenziali pubblici, nonché i proventi distribuiti dagli stessi fondi per tali quote, affluiscano agli enti titolari. Le somme derivanti dal collocamento dei titoli speciali emessi dagli enti locali territoriali, dalla cessione delle quote nonché dai proventi distribuiti dai fondi sono destinate al finanziamento degli investimenti e alla riduzione del debito complessivo.
La lettera d) impone che nelle disposizioni regolamentari siano espressamente indicate le norme applicabili in materia di quota minima percentuale dell'apporto degli enti territoriali, nonché in materia di facoltatività dell'apporto in denaro da parte degli enti territoriali e di possibilità di utilizzazione della liquidità per l'acquisto di beni immobili funzionali alla valorizzazione del patrimonio immobiliare del fondo.
Al riguardo rammenta di nuovo che i commi 2 e 3 dell'articolo 14-bis della richiamata legge n. 86 vietano espressamente tali fattispecie.
La lettera e) mantiene ferma l'applicabilità, con riguardo agli apporti effettuati dagli enti pubblici, della disciplina fiscale di cui ai commi 10 e 11 dell'articolo 14-bis della legge n. 86 del 1994, prevedendo altresì che agli apporti dei beni immobili effettuati dai privati si applichi la normativa generale di cui all'articolo 37 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998.
Per quanto riguarda la disciplina fiscale degli apporti al fondo, ricorda come il comma 10 del predetto articolo 14-bis stabilisca che tali apporti non danno luogo a redditi imponibili, ovvero a perdite deducibili per l'apportante al momento dell'apporto, e che le quote ricevute in cambio dell'immobile o del diritto oggetto di apporto mantengono, ai fini delle imposte sui redditi, il medesimo valore fiscalmente riconosciuto anteriormente all'apporto.
Il comma 11 ha invece istituito un'imposta sostitutiva pari a 516,4 euro, in luogo delle ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale e dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, per l'insieme degli apporti iniziali e delle eventuali successive retrocessioni (in caso di liquidazione del fondo e gestione commissariale) liquidata dall'ufficio del registro a seguito di denuncia del primo apporto in natura.
Con riferimento all'articolo 37 del TUF, richiamato dalla lettera e), rammenta che esso ha affidato a un decreto ministeriale il compito di determinare i criteri generali cui devono uniformarsi i fondi comuni di investimento con riguardo ad alcuni specifici aspetti, tra cui le condizioni e le modalità di effettuazione degli acquisti o dei conferimenti - sia in fase costitutiva sia in fase successiva alla costituzione del fondo - per i fondi che investano esclusivamente o prevalentemente in beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari.
La lettera f) prevede che i regolamenti devono contemplare la possibilità di prevedere contestuali o successivi conferimenti di altri beni dello Stato, delle Regioni o degli Enti locali.
In merito all'articolo 6, si rileva come la delega di cui alla legge n. 42 del 2009 non rechi un esplicito criterio di delega sul riordino e l'adeguamento della disciplina dei fondi comuni immobiliari «chiusi» istituiti con apporto di beni immobili, e come occorra pertanto valutare la conformità del medesimo articolo 6 con i criteri di delega stabiliti dalla citata legge n. 42.
Sotto un diverso profilo, segnala come l'articolo, il quale affida ad una fonte di rango secondario, quale il regolamento governativo di delegificazione, il riordino della disciplina di rango primario relativa ai fondi comuni, possa presentare profili problematici dal punto di vista delle fonti

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del diritto, in particolare in quanto la norma non sembra rispettare le previsioni di cui all'articolo 17 della legge n. 400 del 1988 in materia di delegificazione, ad esempio in quanto non dispone l'abrogazione delle norme vigenti all'entrata in vigore delle norme regolamentari.
In tale contesto segnala come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, sia stato inserito un nuovo comma 2, il quale mantiene ferma la possibilità, per gli enti territoriali, di promuovere la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare o di partecipare ad essi, secondo la disciplina in materia di fondi immobiliari chiusi dettata dal TUF.
L'articolo 7, comma 1, dispone l'esenzione da ogni diritto e da ogni tributo dovuto sugli atti, contratti, formalità e ogni altro adempimento necessario per l'attuazione del provvedimento in esame, escludendo dunque da ogni forma impositiva tutte le operazioni di trasferimento dei beni e le operazioni correlate effettuate in attuazione della disciplina in commento.
Il comma 2 prevede che, con uno o più DPCM, sono determinati i criteri e i tempi per ridurre le risorse spettanti a qualsiasi titolo alle regioni e agli enti locali in funzione della riduzione delle entrate erariali conseguente al processo di trasferimento dei beni statali.
I DPCM sono adottati su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti il Ministro dell'interno, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per le riforme per il federalismo e il Ministro per gli affari regionali.
In tale contesto segnala come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, il comma 2 sia stato modificato, sostituendo la nozione di riduzione delle risorse con quella di adeguamento delle risorse (che può realizzarsi sia attraverso una diminuzione sia attraverso un aumento delle risorse stesse), nonché stabilendo che i predetti decreti sono adottati previa intesa in sede di Conferenza Unificata.
In merito al comma 2 rileva come esso demandi ad una fonte di rango secondario - il DPCM - la determinazione di criteri e tempi per ridurre le risorse spettanti alle Regioni e agli enti locali, laddove molte delle risorse suscettibili di riduzione trovano fondamento in disposizioni di rango primario. Osserva inoltre come la disposizione non preveda un termine per l'adozione dei decreti di riduzione delle risorse spettanti agli enti territoriali, laddove occorrerebbe invece valutare l'opportunità che tali decreti compensativi dei minori introiti erariali siano adottati contestualmente all'effettivo trasferimento dei beni.
Sotto il profilo sostanziale, la relazione tecnica allegata allo schema di decreto legislativa indica che il gettito erariale che potrebbe subire riduzione, a seguito del trasferimento alle regioni ed agli altri enti territoriali dei beni previsto dall'articolo 3, è quantificabile in complessivi 189 milioni di euro, per la gran parte relativi ai canoni demaniali, stimati intorno ai 140 milioni, mentre ulteriori 40 milioni sono relativi ai redditi di beni immobili patrimoniali per affitti, concessioni e altro.
A tale riguardo rileva l'opportunità di considerare, ai fini della determinazione della riduzione dei trasferimenti statali, che il trasferimento dei beni dallo Stato agli enti territoriali comporterà, oltre alla riduzione delle entrate statali che la disposizione intende compensare, anche il trasferimento in capo agli enti medesimi degli oneri di gestione connessi alla proprietà del bene attualmente sostenuti dallo Stato, nonché il venir meno, per i comuni cui saranno attribuiti i beni immobili, dell'ICI attualmente dovuta dallo Stato ai comuni stessi per i beni attualmente statali che saranno trasferiti.
In tale ambito segnala come, nella versione dello schema di decreto allegata alla relazione illustrativa, sia stato inserito un nuovo comma 3, il quale prevede che alle procedure di spesa relative ai beni trasferiti non si applicano i vincoli relativi al rispetto del patto di stabilità interno, per un importo corrispondente alle spese sostenute dallo Stato per la gestione del bene trasferito, importo che sarà determinato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,

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su proposta del Ministro dell'economia, da emanare entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo.
In merito a tale ultima previsione prospettata dal Governo, rileva come la vigente normativa in materia di patto di stabilità interno, contenuta negli articoli del Titolo III, Capo III, del decreto - legge n. 112 del 2008, disciplina tale istituto esclusivamente per il periodo dal 2009 al 2011, laddove la disposizione del comma 3 sembra introdurre una deroga di carattere permanente ad un quadro normativo, quello del patto di stabilità interno, suscettibile di variazioni.
In linea generale, evidenzia quindi la necessità che, nelle more dell'attuazione del processo di federalismo demaniale, non vengano avviate ulteriori procedure di vendita relative ai beni oggetto delle norme del decreto legislativo.
Si riserva infine di formulare una proposta di rilievi all'esito del dibattito.

Alberto FLUVI (PD) chiede chiarimenti in merito alle successive modalità di esame del provvedimento.

Gianfranco CONTE, presidente, in riferimento alla richiesta del deputato Fluvi, ritiene che il contenuto dello schema di decreto legislativo dovrà essere adeguatamente approfondito dalla Commissione, all'indomani della conclusione dell'esame, in sede referente, del disegno di legge C. 3350, di conversione del decreto - legge n. 40 del 2010, in materia di incentivi.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.50.