CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 28 gennaio 2010
276.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

Giovedì 28 gennaio 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 13.35.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di mutua assistenza amministrativa tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno di Norvegia, per la prevenzione, l'accertamento e la repressione delle infrazioni doganali, con Allegato, fatto a Oslo il 16 giugno 2004.
C. 3071 Governo, approvato dal Senato.
(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Giulia BONGIORNO, presidente e relatore, osserva che l'Accordo con la Norvegia per la prevenzione, l'accertamento e la repressione delle infrazioni doganali, firmato il 16 giugno 2004 a Oslo, si compone di un Preambolo, 26 articoli e un Allegato

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concernente i principi fondamentali in materia di protezione di dati personali. Nel Preambolo si evidenzia, tra i vari aspetti e motivi della cooperazione doganale, quello della lotta ai traffici illeciti di stupefacenti, con un esplicito richiamo alla Convenzione ONU del 20 dicembre 1988 e relativi allegati ed emendamenti.
Nella relazione illustrativa che correda il disegno di legge AS 1828, approvato dal Senato il 16 dicembre 2009, viene precisato che i Governi italiano e norvegese si impegnano a fornirsi, attraverso le rispettive Autorità doganali, assistenza e cooperazione reciproca, al fine di assicurare il pieno rispetto della legislazione doganale e di realizzare un'efficace azione di prevenzione, investigazione e repressione delle violazioni a tale normativa, per rendere maggiormente trasparente l'interscambio commerciale tra i due Paesi.
Quanto al contenuto dell'Accordo, si segnala anzitutto l'articolo 2, comma 3, che limita esclusivamente alla mutua assistenza amministrativa tra le Parti l'ambito di applicazione dell'Accordo, escludendo l'assistenza in campo penale.
Con riferimento agli ambiti di competenza della Commissione giustizia, si segnala l'articolo 9 che dispone che le Amministrazioni doganali si prestino mutua assistenza per applicare misure temporanee o avviare procedimenti, compresi il sequestro, il blocco e la confisca dei beni.
L'articolo 11 contiene disposizioni in materia di recupero crediti.
L'articolo 17 condiziona l'eventuale scambio di dati personali alla circostanza che le Parti contraenti ne garantiscano un livello di protezione giuridica almeno equivalente a quello indicato nell'apposito Allegato.
L'articolo 21 detta le procedure che le Amministrazioni doganali devono seguire per risolvere i problemi connessi con l'attuazione dell'Accordo.
Il disegno di legge di ratifica, infine, presenta un contenuto tipico che non pone questioni di rilievo per questa Commissione.
Propone quindi di esprimere parere favorevole.

Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere del relatore.

Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica dominicana, fatto a Santo Domingo il 14 agosto 2002.
C. 3072 Governo, approvato dal Senato.
(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Giulia BONGIORNO, presidente e relatore, osserva che il trattato sul trasferimento delle persone condannate tra Italia e Repubblica dominicana, firmato il 14 agosto 2002, si compone di 16 articoli.
Passando in rassegna le disposizioni più significative, si segnala anzitutto che l'articolo 2 definisce l'oggetto principale del Trattato, volto a rendere possibile che una persona condannata nel territorio di una delle due Parti possa essere trasferita nel territorio dell'altra per scontare la condanna inflittale.
L'articolo 3 prevede una serie di condizioni, in mancanza delle quali non si applicherà il Trattato. In particolare, il soggetto condannato deve essere cittadino dello Stato di esecuzione (ossia dello Stato in cui dovrà effettivamente scontare la pena o il residuo della pena); la sentenza deve avere carattere definitivo; alla persona condannata deve rimanere ancora almeno un anno di pena da scontare; la persona condannata deve esprimere il consenso al trasferimento; il reato alla base della condanna deve costituire fattispecie penale anche per lo Stato di esecuzione; la persona interessata non deve essere stata condannata a morte, salvo commutazione della pena; è necessaria l'intesa sul trasferimento tra lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione.
L'articolo 5 definisce la natura volontaria del trasferimento: ogni persona interessata

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può richiedere di essere trasferita ai sensi del Trattato mediante domanda rivolta per iscritto alle competenti Autorità dello Stato di condanna.
L'articolo 7 chiarisce indirettamente una delle principali motivazioni del Trattato, ovvero quella di favorire il reinserimento sociale del condannato: a tale scopo, prima di decidere sul trasferimento, le Autorità di entrambe le Parti prendono in considerazione la gravità del reato, i precedenti penali del condannato, le sue condizioni di salute e i rapporti socio-familiari eventualmente conservati con l'ambiente di provenienza.
Gli articoli 8-13 regolano i rapporti tra le due Parti relativamente all'esecuzione della pena, prevedendo anzitutto che l'esecuzione della condanna sia regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e che, qualora quest'ultimo consideri la pena pienamente scontata, essa non potrà ulteriormente essere eseguita nello Stato di condanna.
Per quanto concerne la possibilità di revisione delle sentenze, la competenza appartiene in via esclusiva allo Stato di condanna. Peraltro, ciascuno dei due Stati potrà accordare la grazia, l'amnistia o l'indulto, con immediata comunicazione all'altro Stato: se il provvedimento di clemenza viene adottato nello Stato di condanna, esso dovrà essere immediatamente attuato nello Stato di esecuzione conformemente alle leggi di quest'ultimo.
Il disegno di legge di ratifica, infine, presenta un contenuto tipico che non pone questioni di rilievo per questa Commissione.
Propone quindi di esprimere parere favorevole.

Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 13.40.

SEDE REFERENTE

Giovedì 28 gennaio 2010. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati e Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 13.40.

Misure contro la durata indeterminata dei processi.
C. 3137, approvata dal Senato.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Maurizio PANIZ (PdL), relatore, osserva che la proposta di legge in esame, approvata dal Senato, reca misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi. Essa, come è espressamente dichiarato nel titolo, è volta a dare attuazione agli articoli 111 della Costituzione e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che enunciano quel principio. In particolare, al secondo comma dell'articolo 111 si prevede che la legge debba assicurare la ragionevole durata del processo.
Rileva come la questione giustizia in Italia si identifichi sostanzialmente nella questione della durata dei processi. Si tratta di un dato di fatto, recentemente confermato anche da un sondaggio pubblicato sul quotidiano «Il Giornale» e sul quale non vi è bisogno neanche di soffermarsi. Lo Stato italiano è, infatti, quello che subisce il maggior numero di condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per l'eccessiva durata dei processi. A fronte di tali condanne, sono stati corrisposti indennizzi pari a 14,7 milioni di euro nel 2007, a 25 milioni di euro nel 2008, e a 13,6 milioni di euro nel primo semestre del 2009. Questi dati sono ancor più preoccupanti se si considera che, per lo stesso titolo, erano stati pagati, nel 2002, indennizzi per 1,26 milioni di euro, e che essi si riferiscono a somme erogate direttamente dal Ministero della giustizia, cui devono aggiungersi i pignoramenti che le parti operano presso le

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singole tesorerie provinciali (ad esempio, nel biennio 2007-2008 sono stati pignorati presso la tesoreria di Roma 7,2 milioni di euro). Altrettanto preoccupante è l'incremento del numero dei procedimenti di equa riparazione, pari al 42 per cento all'anno: erano 5051 nel 2003; 28.383 nel 2008; 17.259 nel primo semestre del 2009 (con una proiezione finale di oltre 34.000 procedimenti, per il corrente anno).
Una giustizia ritardata è una «non giustizia». In uno Stato dove ci vogliono anni, anzi decenni, per arrivare ad una sentenza definitiva non vi è certezza di diritto. Quando questa certezza viene meno traballano le stesse fondamenta di uno Stato e della convivenza civile.
Di fronte alla paralisi della giustizia il Parlamento non può rimanere inerte. Sul fronte civilistico ricordo che un importante intervento è stato fatto con la legge sulla competitività, che introdotto una serie di novità nel processo volte ad accelerarlo. In ambito penalistico, il Senato sta da tempo esaminando un disegno di legge finalizzato anch'esso ad una accelerazione del processo. Ricordo, inoltre, che proprio martedì scorso la Commissione giustizia della Camera ha avviato una indagine conoscitiva sull'attuazione della ragionevole durata del processo al fine di verificare in quale misura siano necessari interventi legislativi per attuare tale principio e quanto, invece, sia possibile fare a legislazione vigente per poter accelerare il processo.
In questa prospettiva di accelerazione del processo il Senato ha approvato il provvedimento in esame. Dai tre articoli originari si è passati a dieci articoli.
I primi due articoli riguardano la legge 24 marzo 2001 n. 89 (cd. legge Pinto), che disciplina le procedure di equo indennizzo nel caso di violazione del diritto alla ragionevole durata del processo. L'obiettivo è quello di rendere più certi i presupposti, la procedura e la quantificazione dell'equo indennizzo, nel quadro di un generale contenimento degli effetti, anche economici, derivanti dalla durata non ragionevole dei processi. Attraverso la modifica del procedimento che può arrivare all'equa riparazione, si sono previsti alcuni strumenti che consentono di accelerare processi che si stanno avviando a divenire eccessivamente lunghi. Si creano delle vere e proprie corsie preferenziali. Inoltre si prevede la possibilità di effettuare una migliore quantificazione del danno da risarcire rapportandolo alla reale lesione subita dal ricorrente. La normativa vigente infatti in molti casi consente un risarcimento che va oltre al danno reale.
In particolare, il comma 1 modifica l'articolo 2 della Legge Pinto, prevedendo che la domanda di equa riparazione sia subordinata a una specifica istanza di sollecitazione nell'ambito del giudizio in cui si assume essersi verificato il mancato rispetto del termine ragionevole, da presentare entro sei mesi dalla scadenza dei termini finalizzati a definire la «non irragionevole durata». Il testo contiene una presunzione legale di non irragionevole durata dei processi nei quali ciascun grado di giudizio si sia protratto per un periodo non superiore a 2 anni (un anno per ogni grado del giudizio di rinvio). Il dies a quo di tale termine è individuato, nel processo penale, nella data di assunzione della qualità di imputato; negli altri procedimenti nella data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio o nella data dell'udienza di comparizione indicata nell'atto di citazione; il termine finale coincide con la pubblicazione della sentenza che definisce il grado di giudizio. Dopo la presentazione dell'istanza di sollecitazione, si prevede l'applicazione di disposizioni acceleratorie già vigenti, sul cui rispetto i capi degli uffici giudiziari sono incaricati di vigilare. La sentenza che definisce il giudizio (escluse quelle penali) potrà essere succintamente motivata. Nella liquidazione dell'indennizzo, il giudice deve tener conto del valore della domanda proposta o accolta; tale indennizzo è ridotto ad un quarto quando il procedimento cui si riferisce la domanda di equa riparazione è stato definito con il rigetto delle richieste del ricorrente, ovvero quando ne è evidente l'infondatezza. Il

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comma 2, riformulando l'articolo 3 della legge Pinto, interviene sul procedimento per far valere il diritto.
L'articolo 2, introdotto nel corso dell'esame al Senato, sopprime l'esenzione dal contributo unificato per i processi per equa riparazione previsti dalla legge Pinto ed assoggetta gli stessi processi al pagamento di un contributo unificato di 70 euro. Tale disposizione si applica soltanto ai procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge.
L'articolo 3 reca una norma di interpretazione autentica che chiarisce la portata di una disposizione transitoria in materia di procedimento per danno erariale introdotta dall'articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge n. 78 del 2009; essa è volta ad escludere dall'applicazione della relativa norma transitoria esclusivamente i casi in cui sia stata pronunciata sentenza «di merito» anche non definitiva.
Prima di passare all'articolo 4 ritengo opportuno soffermarmi sull'articolo 5, che costituisce la parte più significativa dell'intero provvedimento. L'articolo 4 infatti non è altro che l'applicazione al procedimento innanzi alla Corte dei conti dei principi sanciti dall'articolo 5 per il processo penale. Mentre l'articolo 5 corrisponde all'articolo 2 del testo originario.
L'articolo 5 introduce nel codice di procedura penale l'articolo 531-bis, secondo il quale il giudice dichiara non doversi procedere per estinzione del processo quando siano decorsi i termini specificamente indicati, con riferimento a ciascun grado del processo penale. In sostanza vengono fissati per legge dei limiti temporali oltre i quali i diversi gradi del processo non possono andare. Questa scelta di dare tempi certi non ha come unico effetto quello di conferire certezza ai tempi processuali. Vi è un effetto ancora più importante che si produrrà. Mi riferisco all'effetto acceleratorio dovuto alla consapevolezza dei giudici che certi limiti temporali non potranno essere superati. Ciò determinerà una nuova e migliore riorganizzazione dei lavori degli uffici giudiziari ed una maggiore attenzione sulla produttività dei giudici.
I «termini di fase» si applicano ai processi relativi a qualsiasi reato (nel testo originario del provvedimento si prevedeva invece una lista di reati esclusi); essi sono diversamente articolati in funzione della gravità del reato e, quindi della pena comminata. Ai fini del calcolo della pena detentiva, la disposizione rinvia ai criteri previsti dell'articolo 157 del codice penale per la determinazione del termine di prescrizione.
Nei processi relativi a reati per i quali è prevista una pena pecuniaria o una pena detentiva inferiore nel massimo a dieci anni, sola o congiunta alla pena pecuniaria, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo quando: a) dalla emissione del provvedimento con cui il pubblico ministero esercita l'azione penale sono decorsi più di tre anni senza che sia stata pronunciata sentenza di primo grado; b) dalla pronuncia della sentenza di cui alla lettera a) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata sentenza in grado di appello; c) dalla pronuncia della sentenza di cui alla lettera b) è decorso più di un anno e sei mesi senza che sia stata pronunciata sentenza da parte della Corte di cassazione; d) dalla sentenza con cui la Corte di cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento oggetto del ricorso è decorso più di un anno per ogni ulteriore grado del processo.
Se la pena detentiva è pari o superiore nel massimo a dieci anni di reclusione, i termini di cui al comma 1, lettere a), b), c) e d), sono rispettivamente di quattro anni, due anni, un anno e sei mesi e un anno. Quando si procede per reati previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, i termini di cui al comma 1, lettere a), b), c) e d), sono rispettivamente di cinque anni, tre anni, due anni e un anno e sei mesi, e il giudice può, con ordinanza, prorogare tali termini fino ad un terzo ove rilevi una particolare complessità del processo o vi sia un numero elevato di imputati.

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Con specifico riferimento al momento di decorrenza del termine del giudizio di primo grado, in base al comma 3, il pubblico ministero deve assumere le proprie determinazioni in ordine all'azione penale entro e non oltre tre mesi dal termine delle indagini preliminari. Da tale data inizia comunque a decorrere il termine se il Pubblico ministero non ha già esercitato l'azione penale.
L'articolo 531-bis, inoltre, detta ulteriori disposizioni che prevedono: il limite di tre mesi all'aumento dei termini nel caso di modifica dell'imputazione ai sensi degli articoli 516, 517 e 518 del codice di procedura penale; i casi di sospensione del decorso dei termini; la ricorribilità per cassazione per violazione di legge nei confronti della sentenza di non luogo a procedere; la rinunciabilità della prescrizione processuale; l'applicabilità del principio del ne bis in idem alla sentenza irrevocabile di non luogo a procedere; disposizioni volte ad assicurare una rapida trattazione dell'eventuale azione trasferita in sede civile.
Come si è detto, nel caso di inutile decorso dei termini, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo. Se però dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, in base al comma 4, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere.
Per quanto attiene al regime del ricorso, il comma 8 prevede che contro tale tipo di sentenza di proscioglimento l'imputato e il pubblico ministero possono proporre esclusivamente ricorso per cassazione per violazione di legge; implicitamente, quindi viene escluso che tale sentenza possa essere appellata. L'esclusione dell'appellabilità della sentenza da parte dell'imputato va valutata tenendo conto della rinunciabilità della prescrizione processuale, volta a tutelare l'eventuale interesse dell'imputato ad un'assoluzione nel merito o a un proscioglimento con formula diversa. In base al comma 10, la dichiarazione dell'imputato di non volersi avvalere dell'estinzione del processo deve essere formulata personalmente o a mezzo di procuratore speciale.
Per quanto attiene ai rapporti con l'azione civile, il comma 9 prevede che, nel caso in cui si verifichi dichiarazione di estinzione del processo, non si applichi il comma 3 dell'articolo 75 del codice di procedura penale, che prevede che, nel caso di proposizione dell'azione in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione. Inoltre, nel caso in cui la parte civile trasferisce l'azione in sede civile i termini a comparire di cui all'articolo 163-bis del codice di procedura civile sono ridotti della metà e il giudice fissa l'ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all'azione trasferita.
L'articolo 4, introdotto nel corso dell'esame dal Senato, estende i principi di cui sopra al processo nei giudizi di responsabilità contabile dinanzi alla Corte dei conti. Questo è estinto nel caso di decorso di «termini di fase» così individuati: in primo grado, tre anni dal deposito dell'atto di citazione (due anni nei casi di danno erariale di valore non superiore a 300 mila euro); in appello, due anni.
L'articolo 6, modificando l'articolo 23 del codice di procedura penale, prevede che, se in una fase antecedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice dichiara con sentenza l'esistenza di una causa di non punibilità in ordine al reato appartenente alla sua competenza per territorio con la stessa sentenza dichiara la propria incompetenza in ordine al reato connesso e dispone contestualmente la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente.
L'articolo 7 prevede un meccanismo di monitoraggio per valutare l'impatto finanziario derivante dall'applicazione della nuova legge.
L'articolo 8 prevede che il nuovo meccanismo di estinzione del processo per decorso dei termini di fase trova applicazione

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anche per i procedimenti per responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato disciplinata dal decreto legislativo n. 231 del 2001. A tal fine, viene modificato l'articolo 34, comma 1, del medesimo decreto legislativo, che, nel suo testo attuale, prevede che al procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative, si applichino, oltre che le disposizioni del medesimo decreto legislativo, anche quelle del codice di procedura penale e delle norme di attuazione, in quanto compatibili. La novella esplicita, nel testo della disposizione, l'applicabilità delle nuove disposizioni introdotte con il nuovo articolo 531-bis del codice di procedura penale.
L'articolo 9 reca le disposizioni transitorie. Rispetto al testo originario si è modificata in modo sostanziale la disciplina per i processi in corso.
Il testo originario prevedeva l'applicabilità del nuovo meccanismo di estinzione del processo penale per decorso dei «termini di fase» ai processi in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento, ad eccezione di quelli pendenti avanti alla Corte d'appello o alla Corte di Cassazione. Su questa disposizione vi è stato un acceso, se non addirittura aspro, dibattito in Senato, ritenendo alcuni che l'applicazione del principio generale tempus regit actum avrebbe prodotto gravi effetti sui giudizi in corso. La norma è cambiata. Il testo trasmesso dal Senato prevede ora, al comma 2, l'inapplicabilità del nuovo articolo 531-bis ai processi in corso. A questa regola viene fatta una deroga relativa a processi che in realtà sono oramai destinati alla prescrizione.
A ben vedere non si tratta di una vera e propria norma transitoria, bensì di un regime particolare da applicare ad una determinata sfera di reati, individuati dal comma 1. Si tratta di reati commessi fino al 2 maggio 2006 (la data coincide con la data prevista dalla legge n. 241 del 2006 per l'applicazione dell'indulto), di reati puniti con pena pecuniaria o con pena detentiva, inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione. Questi reati devono essere diversi da quelli indicati nell'articolo 1, comma 2, della legge n. 241 del 2006, ai fini dell'esclusione dell'indulto. In sostanza, devono essere reati soggetti all'indulto e non essere di una certa gravità.
Con riferimento ai processi pendenti relativi a tali reati, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo quando non è stato definito il giudizio di primo grado nei confronti dell'imputato e sono decorsi più di due anni dal provvedimento con cui il Pubblico ministero ha esercitato l'azione penale; due anni e tre mesi nei casi di nuove contestazioni. Tali termini differiscono rispetto al termine che, in generale, il nuovo articolo 531-bis del codice di procedura penale prevede per la conclusione del giudizio di primo grado. Questi sono fissati in tre anni nel caso di reati puniti con pena pecuniaria o pena detentiva inferiore nel massimo a dieci anni.
Ai sensi del comma 3, infine, le disposizioni concernenti i termini di estinzione dei giudizi contabili, di cui all'articolo 4, si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, qualora dal deposito della citazione a giudizio siano trascorsi almeno cinque anni e il giudizio di primo grado non si sia concluso.
L'articolo 10, infine, prevede l'entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Nell'auspicio che si possa giungere ad un testo condiviso, manifesta la sua disponibilità a discutere e valutare ogni aspetto del provvedimento in esame.

Giulia BONGIORNO, presidente, ricorda come nell'ambito della riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, del 26 gennaio scorso, si sia deciso di procedere ad un ciclo di audizioni che consenta di verificare e valutare tutti i diversi aspetti applicativi di una normativa che appare particolarmente complessa. Invita quindi i rappresentanti dei gruppi a far pervenire le indicazioni relative ai soggetti che potranno essere auditi in vista della riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai

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rappresentanti dei gruppi, che sarà convocata per la prossima settimana.

Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
C. 2364, approvata dal Senato, C. 1944 Losacco, C. 728 La Russa, C. 2564 Volontè e petizione n. 638.

(Seguito esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 27 ottobre 2009.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che sono pervenuti tutti i pareri delle Commissioni competenti sulla proposta di legge C. 2364 così come modificata dagli emendamenti approvati dalla Commissione Giustizia.
Si tratta di pareri che la Commissione dovrà valutare attentamente, considerato che alcuni di questi pongono condizioni od osservazioni volte a modificare anche parti qualificanti del testo in esame.
In particolare, la Commissione Bilancio ha posto una serie di condizioni volte a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritenendo che alcune disposizioni del testo siano prive di copertura economico-finanziaria.
Considerato che da parte dei gruppi e dello stesso Governo è stata manifestata, nel corso dell'esame del provvedimento, l'intenzione di un trasferimento dell'esame alla sede legislativa, occorrerà valutare attentamente le predette condizioni, le quali, nel caso in cui si intendesse approvare il testo in sede legislativa, dovranno essere rispettate.
A tale proposito avverte che è stata trasmessa una nota, che è in distribuzione, dal sottosegretario per l'interno, Alfredo Mantovano, con la quale si evidenzia come alcune di queste condizioni in realtà non siano fondate. In particolare nella nota non si condivide il parere della Commissione Bilancio nella parte in cui viene chiesta la soppressione dell'articolo 2, comma 1, lettera d), numeri 1) e 4).
Qualora la Commissione non ritenesse fondati i rilievi apposti dalla Commissione Bilancio al proprio parere favorevole, potrebbe chiedere il riesame del parere già espresso.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO dichiara di condividere pienamente il contenuto della nota trasmessa dal sottosegretario Alfredo Mantovano, ritenendo opportuno richiedere alla Commissione Bilancio il riesame del parere già espresso.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Riconoscimento figli naturali.
C. 2519 Mussolini.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Alessandra MUSSOLINI (PdL), relatore, rileva come la sua proposta di legge novelli alcune disposizioni del codice civile in tema di filiazione naturale, con l'obiettivo di eliminare dall'ordinamento le residue ed ingiustificate forme di discriminazione dei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio e pertanto, di equiparare sotto ogni profilo lo status di figlio legittimo e quello di figlio naturale. Sottolinea, in particolare, come la successiva legittimazione, che può avvenire tramite il matrimonio o il provvedimento del giudice, non tenga affatto conto degli effetti negativi che nel frattempo si sono prodotto a carico del bambino.
L'articolo 1 interviene sulla disciplina della parentela, novellando l'articolo 74 del codice civile, così da specificare che il vincolo sussiste tra le persone che discendono da un medesimo stipite, a prescindere dal carattere legittimo o naturale della filiazione. La novella è diretta a

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consentire la creazione di rapporti di parentela tra il figlio naturale e la famiglia del genitore.
Con le medesime finalità, l'articolo 6 della proposta novella l'articolo 258 del codice civile affermando che il riconoscimento non si limita a produrre effetti per il genitore che l'ha effettuato, ma estende la propria efficacia anche sui parenti del genitore stesso.
L'articolo 2 novella l'articolo 250 del codice civile per valorizzare il consenso del minore all'atto di riconoscimento del genitore attraverso l'abbassamento - da 16 a 14 anni - dell'età richiesta per esprimere tale consenso. La stessa disposizione consente anche ai genitori infrasedicenni di riconoscere il figlio naturale, previo intervento del giudice.
L'articolo 3 modifica l'articolo 251 del codice civile così da consentire, a fronte di un'autorizzazione del giudice, il riconoscimento dei figli incestuosi.
L'articolo 4 novella l'articolo 252 del codice civile, relativo all'inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori, prevedendo che in caso di presenza di figli legittimi, questi debbano prestare il consenso se hanno compiuto 14 anni (in luogo degli attuali 16 anni).
L'articolo 5 elimina dall'articolo 253 del codice civile, relativo all'inammissibilità del riconoscimento, la specificazione dello status di figlio legittimo o legittimato, con la finalità di riaffermare il carattere unitario dello status di figlio.
Gli articoli 7 e 8 intervengono sulla disciplina della successione. In particolare, l'articolo 7 sostituisce l'articolo 565 del codice, inserendo tra i chiamati alla successione legittima tutti i parenti legittimi e naturali. Dal combinato disposto di questa novella con quella operata dall'articolo 1 in tema di parentela, si ricava la piena equiparazione, anche ai fini successori, della filiazione legittima alla filiazione naturale.
Infine, l'articolo 8 opera una serie di abrogazioni, eliminando dall'ordinamento la facoltà di commutazione attualmente riconosciuta ai figli legittimi sulla quota dei figli naturali e la disciplina speciale attualmente prevista per la successione dei genitori ai figli naturali e per l'eventuale concorso dei genitori con il coniuge.

Donatella FERRANTI (PD) preannuncia che è stata presentata la proposta di legge n. 3147 Bindi, della quale chiede sin d'ora l'abbinamento alla proposta di legge in esame.

Giulia BONGIORNO, presidente, rileva come la materia in esame, estremamente delicata ed interessante, richieda la massima attenzione da parte della Commissione e un iter di approvazione più rapido possibile. Per quanto attiene alla richiesta dell'onorevole Ferranti, fa presente che la proposta di legge n. 3147 non è stata ancora assegnata alla Commissione. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.55.

COMITATO DEI NOVE

Giovedì 28 gennaio 2010.

Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza.
C. 889/A ed abb.

Il Comitato si è riunito dalle 13.55 alle 14.05.