CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 10 dicembre 2009
261.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Giovedì 10 dicembre 2009. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo e Maria Elisabetta Alberti Casellati.

La seduta comincia alle 13.50.

Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza.
C. 889 Consolo, C. 2964 Biancofiore, C. 2982 La Loggia, C. 3005 Costa e C. 3013 Vietti.

(Seguito esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 9 dicembre 2009.

Enrico COSTA (PdL), relatore, ad integrazione della relazione svolta nella seduta di ieri, procede ora ad illustrare il contenuto della proposta di legge n. 3013 Vietti, recante «Disposizioni temporanee in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri a comparire nelle udienze penali».
Tale proposta di legge si caratterizza in primo luogo per il carattere temporaneo e transitorio della disciplina dell'istituto del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri a comparire nelle udienze dei processi penali che lo vedono imputato, parte lesa o testimone. Ciò, come si legge nella relazione illustrativa, al fine di non compromettere la funzionalità dell'azione dell'esecutivo per fatti estranei all'iniziativa parlamentare e di garantire il sereno svolgimento delle funzioni del Presidente del Consiglio dei ministri.

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Sotto il profilo soggettivo, come accennato, la proposta di legge in esame disciplina il legittimo impedimento a comparire nelle udienze dei procedimenti penali quale imputato, parte offesa o testimone, del solo Presidente del Consiglio dei Ministri, al fine di consentirgli sereno svolgimento delle funzioni attribuitegli dalla Costituzione e dalla legge.
Sotto il profilo oggettivo, costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell'articolo 420-ter del codice di procedura penale, il «concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, nonché delle attività preparatorie e consequenziali».
Quando ricorrono le predette ipotesi, il giudice, su richiesta del Presidente del Consiglio dei ministri, rinvia il processo ad altra udienza.
Inoltre, la prescrizione dei reati rimane sospesa per tutta la durata del rinvio, secondo quanto previsto dall'articolo 159, primo comma, numero 3), del codice penale, e si applica il terzo comma del medesimo articolo 159 del codice penale. Il giudice può provvedere all'assunzione delle prove urgenti a norma degli articoli 392 e 467 del codice di procedura penale.
Precisa, inoltre, che le disposizioni in esame si applicano anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore del provvedimento.

Enrico LA LOGGIA (PdL) illustrando la sua proposta di legge n. 2982, osserva che questa si differenzia dalle altre proposte abbinate in quanto affronta la questione del legittimo impedimento non sotto un profilo processual-penalistico, bensì sulla base di principi che attengono al diritto civile ed al diritto amministrativo. Rileva che tale proposta è volta ad integrare l'articolo 420-ter del codice di procedura penale individuando delle cause di legittimo impedimento relative al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei ministri e agli altri membri del Governo nonché ai membri del Parlamento. In particolare, dichiara di aver preferito non individuare in maniera dettagliata e specifica le attività da dover considerare come esercizio di funzioni istituzionali, quanto piuttosto di richiamare una nozione del diritto amministrativo quale quella di «atto proprio» delle funzioni attribuite a determinati organi, che è stata più volte utilizzata anche da studiosi quali Zanobini, Virga, Sandulli e Giannini. Trattandosi di una nozione meramente giuridica, non ritiene che essa debba essere ulteriormente definita dalla norma che la richiama.
Osserva inoltre che la sua proposta di legge non presta il fianco a rilievi di carattere costituzionale in merito al suo ambito applicativo soggettivo, facendo riferimento ad una pluralità di soggetti che hanno in comune la circostanza di svolgere funzioni pubbliche che sono direttamente o indirettamente espressione della rappresentanza popolare. Rileva a tale proposito che tutti i soggetti richiamati dalla sua proposta di legge compiono nell'ambito della loro attività istituzionale degli atti che possono essere qualificati come propri rispetto alle funzioni loro attribuite. Ritiene che per il fatto che l'impedimento viene legittimato in ragione della natura dell'atto che deve essere compiuto sia poi una conseguenza logica estendere la legittimazione dell'impedimento anche per il tempo preparatorio, contestuale e successivo necessario al compimento dell'atto proprio.
Rileva altresì che la sua proposta di legge non incide in alcun modo sulle altre disposizioni processuali relative allo svolgimento del processo e al rinvio del medesimo nel caso in cui ricorra un'ipotesi di legittimo impedimento. Osserva, pertanto, che la sua proposta di legge senza essere minimamente invasiva per quello che è l'assetto della disciplina del processo penale

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si limita unicamente a colmare un vuoto normativo in relazione alla individuazione degli atti compiuti da determinati organi pubblici che possano essere considerati senza alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice come dei legittimi impedimenti a comparire in udienza.
Ritiene quindi non fondate quelle critiche che sono state fatte a tale proposta sotto il profilo della costituzionalità, facendola passare come una legge ad personam. Né si tratta di una proposta diretta a conferire nuove garanzie processuali a determinate cariche pubbliche. Si tratta, piuttosto, di una proposta volta a dare un significato giuridico certo ad una nozione che si presta a diverse interpretazioni.

Luigi VITALI (PdL) osserva che tutte le proposte di legge in esame muovono dalla medesima necessità di tenere al riparo cariche elettive e, in particolare, cariche esecutive dall'esercizio strumentale dell'azione giudiziaria da parte di alcuni magistrati, come è invece avvenuto più volte nel passato. A tale proposito richiama due episodi che hanno coinvolto maggioranze sia di centrodestra che di centro sinistra fino ad arrivare alla caduta del Governo. Il primo è avvenuto nel 1994 quando il Presidente del Consiglio dei ministri è stato raggiunto da un avviso a comparire notificato «a mezzo stampa», il secondo invece si è verificato nel gennaio 2008 quando il ministro della giustizia si è dovuto dimettere a causa di un'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti della moglie e notificata anch'essa «a mezzo stampa». Nel primo caso, come nel secondo, nonostante l'infondatezza delle accuse si è arrivati a causa dell'esercizio strumentale delle funzioni giudiziarie alla caduta del Governo, il primo di centrodestra, il secondo di centrosinistra. Da tali episodi emerge chiaramente la necessità di garantire due diverse esigenze: quella della magistratura di poter indagare anche nei confronti di soggetti che rivestono cariche politiche, l'altra di coloro che rivestono tali cariche di poter svolgere le proprie funzioni senza il rischio di una continua e non giustificata interferenza da parte dell'autorità giudiziaria. Ritiene che la via da seguire per poter sintetizzare e portare ad unità queste diverse esigenze sia quella delle riforme costituzionali, in quanto qualsiasi soluzione trovata utilizzando unicamente la legislazione ordinaria rischia sempre e comunque di non essere completamente e pacificamente conforme ai principi costituzionali. Tuttavia, anche in considerazione al tempo che si è perso credendo, sulla base di indicazioni fornite dalla stessa Corte costituzionale in occasione della dichiarazione di incostituzionalità del cosiddetto «lodo Schifani», che fosse possibile sospendere i processi delle alte cariche dello Stato per mezzo di una legge ordinaria, ora occorre trovare immediatamente delle soluzioni che consentano al Presidente del Consiglio, ai membri del Governo ed eventualmente anche ai membri del Parlamento di esercitare le loro funzioni senza condizionamenti legati allo svolgimento di processi nei quali siano coinvolti. Considerata l'urgenza della questione da risolvere, ritiene che nel frattempo si debba procedere per mezzo di una legge ordinaria, che necessariamente presenterà profili di dubbia costituzionalità, per poter poi arrivare all'approvazione di una legge costituzionale, che potrebbe essere una rivisitazione dell'articolo 68 o la previsione di un «lodo Alfano» costituzionalizzato, che consentirebbe di risolvere una volta per tutte la questione dei rapporti tra politica e magistratura.
Per quanto attiene al contenuto della «legge ponte», questa dovrà individuare con certezza i casi di legittimo impedimento attraverso un elenco tassativo, che la Commissione dovrà formulare attraverso un lavoro attento ed approfondito.

Donatella FERRANTI (PD) rileva come le proposte di legge in esame abbiano lo stesso oggetto ma lo affrontino in modo molto diverso l'una dall'altra. La proposta dell'onorevole Costa sembra la più spregiudicata, risultando estremamente generica

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la definizione del legittimo impedimento, senza che vi possa essere alcun vaglio da parte del giudice. Esprime sconcerto in particolare per come tale proposta incida sul regime della prescrizione, in ciò rivelando la sua natura di provvedimento ad personam. Si tratta chiaramente di una disciplina in contrasto con la Costituzione, che crea una evidente disparità di trattamento perfino all'interno dei soggetti che ne potrebbero beneficiare. Con questa proposta di legge in sostanza si vuole affermare il principio secondo il quale chi ha ricevuto un'investitura popolare non deve essere sottoposto a processo penale. Tale sconvolgimento dei principi del nostro ordinamento appare ancora più inaccettabile se si pensa che la finalità del provvedimento è quella di bloccare solo due processi che riguardano il Presidente del Consiglio. Alla proposta di legge dell'onorevole La Loggia va riconosciuto se non altro il merito di tentare di ricondurre la disciplina ai principi generali dell'ordinamento. Tuttavia, tralasciando la difficoltà di enucleare in via interpretativa quali siano i singoli «atti propri», sottolinea come questi siano già sostanzialmente considerati dalla giurisprudenza impliciti nel concetto di legittimo impedimento. La proposta di legge dell'onorevole Vietti ha certamente il pregio della chiarezza ed appare addirittura provocatoria poiché evidenzia la natura di «legge-ponte» al provvedimento che si intende varare.
Dopo aver delineato le numerose e complesse problematiche che emergono dai provvedimenti in esame, ribadisce la necessità di svolgere un ciclo di audizioni di esperti per chiarire gli aspetti più controversi.

Cinzia CAPANO (PD) ricorda come un caso di legittimo impedimento sia stato recentemente invocato dall'onorevole Ghedini nell'ambito del processo Mills, sottolineando come anche in questa ipotesi sia stata data un'interpretazione ampia al concetto di «atto proprio», ricomprendendovi anche le attività in Commissione. Rileva, peraltro, come quella, a quanto le risulti, sia stata l'unica occasione nella quale l'onorevole Ghedini è stato presente in Commissione.
Sul merito dei provvedimenti in esame fa riferimento alle dichiarazioni rilasciate alla stampa dal senatore Pietro Longo, secondo il quale un legittimo impedimento così configurato non supererebbe certamente il vaglio della Corte costituzionale. A tal fine sarebbe necessario ritornare al previgente articolo 68 della Costituzione ovvero approvare un «lodo costituzionalizzato».
Nel richiamare la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia, sottolinea come dalla stessa emerga con chiarezza che assumono pari rango costituzionale sia le esigenze di sollecito svolgimento del giudizio che quelle del libero e corretto assolvimento degli organi costituzionali. Spetta in particolare all'autorità giudiziaria effettuare, volta per volta e nel caso concreto, un ragionevole bilanciamento tra le due esigenze. Sottolinea quindi come i principi enunciati dalla Corte, anche nel dichiarare incostituzionale il cosiddetto «Lodo Alfano» dovrebbero scoraggiare il legislatore dal varare una nuova disciplina sul legittimo impedimento che sottragga al giudice la predetta possibilità di valutazione caso per caso.

Manlio CONTENTO (PdL) osserva come la materia del legittimo impedimento ponga questioni talmente complesse e delicate da richiedere una sintesi delle varie soluzioni proposte dai provvedimento in esame. Il tratto comune delle proposte di legge è quello di intervenire per definire il confine tra le attività di governo e parlamentari, da un lato, e il legittimo impedimento, che attualmente è lasciato all'interpretazione soggettiva del magistrato procedente, dall'altro. L'interpretazione che sinora i magistrati hanno dato dei confini del legittimo impedimento con riferimento all'attività parlamentare, appare piuttosto restrittiva. In genere la sussistenza del legittimo impedimento è stata riconosciuta quando il parlamentare è stato in grado di dimostrare di aver preso parte a sedute con votazione in Assemblea.

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Sottolinea tuttavia come il parlamentare potrebbe scegliere di non partecipare ad una votazione per far mancare il numero legale e come anche questo costituisca esercizio delle prerogative del singolo parlamentare. Emerge quindi la necessità di una più approfondita valutazione degli atti e comportamenti nei quali si estrinsecano le prerogative dei parlamentari.
Altra questione estremamente delicata è se il legislatore possa spingersi oltre l'attuale formulazione dell'articolo 420-ter del codice di procedura penale per delineare i limiti entro i quali il giudice può valutare la sussistenza o meno del legittimo impedimento. Riterrebbe poi necessario operare una distinzione tra l'attività parlamentare e l'attività di Governo, poiché ciascuna di esse ha esigenze diverse e si estrinseca in attività diverse, sottolineando come l'attività del Presidente del Consiglio presenta profili di complessità tali da richiedere parametri di valutazione molto elastici. In particolare, evidenzia come non si possano escludere dall'alveo del legittimo impedimento attività estremamente rilevanti che tuttavia allo stato non sono contemplate in leggi o regolamenti. La sussistenza del legittimo impedimento presuppone una valutazione di tipo «dinamico», con riferimento alle singole cariche, attività e funzioni, che tuttavia risulta molto difficile da tradurre in termini normativi.
Per questi motivi ritiene opportuno che sia un terzo a certificare il legittimo impedimento, condividendo quindi sotto questo profilo la proposta di legge dell'onorevole Costa. Tale proposta di legge potrebbe poi essere sintetizzata con quella dell'onorevole Vietti, che ha il pregio di configurare la disciplina in esame come una «legge-ponte».

Federico PALOMBA (IdV) fa presente che di avere presentato una proposta di legge sulla materia in esame, che sarà presto assegnata alla Commissione Giustizia, auspicando con ciò di fornire un contributo costruttivo alla ricerca della migliore soluzione per contemperare le funzioni giurisdizionale e politica.
Ritiene peraltro importante che nell'esaminare le proposte di legge sull'impedimento a comparire in udienza si tenga presente l'attuale contesto politico e in particolare il difficile rapporto tra politica e giustizia, cominciato sostanzialmente nel 1994 quando il Presidente del Consiglio in carica ha iniziato il suo percorso di delegittimazione della magistratura.
Sottolinea quindi come il legittimo impedimento non possa che essere un fatto obiettivo, riscontrabile in alcuni casi nei quali l'esercizio della funzione possa oggettivamente determinare l'impossibilità di partecipare ad un'udienza. Non si può generalizzare il concetto e rimetterne la definizione, nel caso concreto, all'arbitrio del titolare della funzione.
Evidenzia come la proposta di legge presentata dal suo gruppo, in corso di assegnazione, si basi sui principi affermati dalla Corte costituzionale e, in particolare, sul riconoscimento del pari rango costituzionale della funzione giurisdizionale e di quella politica, nonché della leale collaborazione tra le stesse. Tale forma di collaborazione ovviamente non sussiste se il titolare della funzione di governo non si presenta mai in udienza, né in caso di fissazione unilaterale dell'udienza da parte del giudice. Occorrerà piuttosto che il titolare della funzione di governo indichi i giorni, contenuti nell'arco di un mese, per i quali non sussiste impedimento.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni concernenti il divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione.
C. 825 Angela Napoli, C. 783 Rossa, C. 972 Oliverio, C. 954 Misiti e C. 1767 Occhiuto.

(Seguito esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 9 dicembre 2009.

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Lorenzo RIA (UdC), intervenendo a nome del suo gruppo e ribadendo che il suo gruppo considera necessario approvare il provvedimento in esame in tempi celeri anche in vista di un eventuale trasferimento dell'esame alla sede legislativa, rappresenta l'opportunità di non procedere nella seduta di oggi all'esame degli emendamenti, per poter consentire una ulteriore riflessione su alcune questioni ancora non risolte in maniera soddisfacente sia dal testo unificato che dagli emendamenti presentati. Ritiene che a tale proposito si potrebbe anche eventualmente costituire un comitato ristretto al fine di esaminare gli emendamenti presentati.

Giulia BONGIORNO, presidente, pur ritenendo che a suo parere sussistano tutte le condizioni per procedere già da oggi all'esame degli emendamenti, invita i rappresentanti dei gruppi ad esprimere la loro posizione in merito alla proposta dell'onorevole Ria.

Doris LO MORO (PD) ritiene che la richiesta dell'onorevole Ria sia sorprendente, in quanto si chiede una sospensione dell'esame del provvedimento in un momento del procedimento legislativo nel quale non si può che procedere all'esame degli emendamenti, affrontando le questioni ancora non risolte proprio attraverso l'esame delle singole proposte emendative. Ricorda che il provvedimento in esame rappresenta un segnale forte contro la criminalità organizzata e l'inquinamento della politica da parte di questa che dovrà essere dato già in occasione delle prossime elezioni regionali. Ciò che è grave, a suo parere, non è tanto il rinvio di qualche giorno dell'esame del provvedimento, quanto piuttosto la circostanza che in ogni occasione che si è in procinto di arrivare all'approvazione di un testo del contenuto simile a quello oggetto del provvedimento in esame vi sia un tentativo da parte di qualche gruppo di rallentarne l'esame.

Lorenzo RIA (UdC), replicando all'onorevole Lo Moro, precisa che la posizione del gruppo dell'UdC non è assolutamente contraria al provvedimento né tantomeno dilatoria. Si tratta piuttosto di non procedere oggi all'esame degli emendamenti per poter procedere ad una ulteriore se pur breve riflessione in vista dell'approvazione del provvedimento stesso.

Manlio CONTENTO (PdL), riassumendo quella che è stata la posizione del gruppo PdL in merito al provvedimento in esame, rileva come questa sia stata caratterizzata da un atteggiamento favorevole, come dimostra il fatto stesso che si è giunti ad una fase del procedimento legislativo pressoché conclusiva. Tuttavia, ciò non significa che possano sussistere ancora delle questioni in merito alle disposizioni del testo unificato, come ad esempio quelle sollevate dal subemendamento presentato dall'onorevole Sisto. Per quanto attiene invece al subemendamento presentato dall'onorevole Vietti sull'articolo 1 ritiene che questo sia condivisibile in massima parte ma non lo sia sicuramente laddove viene fatto riferimento al complesso coordinato di attività di propaganda elettorale. Ritiene comunque che la Commissione debba approfondire ulteriormente la questione relativa alla formulazione delle fattispecie al fine di ridurre il rischio di introdurre nell'ordinamento una norma che possa essere utilizzata strumentalmente anche al fine di pregiudicare un avversario politico.

Fulvio FOLLEGOT (LNP) ritiene che la richiesta dell'onorevole Ria possa essere accolta, in quanto è finalizzata ad approfondire ulteriormente questioni estremamente delicate senza che a ciò possa essere dato un significato dilatorio.

Angela NAPOLI (PdL), relatore, dopo aver preso atto della singolarità della richiesta dell'onorevole Ria, considerato che

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oramai da mesi la Commissione discute sulle proposte di legge abbinate in esame, ritiene che si possa rinviare alla prossima settimana l'esame degli emendamenti, purché vi sia la consapevolezza che la Commissione dovrà concludere tale esame prima della pausa dei lavori, per poter poi arrivare ad una celere conclusione dell'esame anche eventualmente dopo il suo passaggio alla sede legislativa. Ribadisce a tale proposito l'esigenza che il provvedimento diventi legge prima delle prossime elezioni regionali.

Giulia BONGIORNO, presidente, preso atto della sola contrarietà del gruppo del PD alla richiesta dell'onorevole Ria, rinvia il seguito dell'esame del provvedimento ad una prossima seduta che sarà convocata la prossima settimana, al fine di concludere l'esame degli emendamenti.

Sui lavori della Commissione.

Massimo POLLEDRI (LNP) contesta sotto il profilo regolamentare la scelta di aver inserito all'ordine del giorno le proposte di legge C. 2802 Soro e C. 2807 Di Pietro, in materia di contrasto dell'omofobia e transfobia. In particolare, evidenzia la violazione dell'articolo 72, comma 2, del Regolamento, ritenendo che le predette proposte riproducono sostanzialmente il testo unificato delle proposte di legge C. 1658 Concia e C. 1882 Di Pietro, respinto dall'Assemblea della Camera nella seduta del 13 ottobre scorso, a seguito dell'approvazione di una pregiudiziale di costituzionalità. Invita, pertanto, la presidenza della Commissione a rinviare l'esame delle predette proposte finché non sia trascorso il termine di sei mesi dalla reiezione del richiamato testo unificato, secondo quanto prevede l'articolo 72, comma 2, del Regolamento.

Giulia BONGIORNO, presidente, ritiene che non vi siano le condizioni per accogliere la richiesta dell'onorevole Polledri, in quanto la questione regolamentare sollevata è stata in realtà già risolta dal Presidente della Camera nel momento in cui ha stabilito di assegnare le proposte di legge C. 2802 Soro e C. 2807 Di Pietro, nonostante che il testo unificato delle proposte di legge C. 1658 Concia e C. 1882 Di Pietro sia stato respinto dall'Assemblea della Camera nella seduta del 13 ottobre scorso, a seguito dell'approvazione di una pregiudiziale di costituzionalità.

Massimo POLLEDRI (LNP), non condividendo la valutazione circa la non identità sostanziale tra le proposte di legge oggi all'esame della Commissione ed il testo unificato respinto dall'Assemblea il 13 ottobre scorso, ritiene che la Presidenza della Commissione giustizia dovrebbe almeno valutare non opportuno iniziare per il momento l'esame di tali proposte di legge.

Giulia BONGIORNO, presidente, replica all'onorevole Polledri ricordando che le proposte di legge in materia di omofobia e transfobia sono state inserite nel calendario della Commissione in quota opposizione, su richiesta dei gruppi PD e IdV. Considerato che non vi è alcuna ragione regolamentare che osti all'inserimento nel calendario della Commissione delle predette proposte di legge, ribadisce che la richiesta dell'onorevole Polledri non possa essere accolta. Assicura comunque che la questione da lui sollevata sarà rappresentata al Presidente della Camera.

Massimo POLLEDRI (LNP) dichiarandosi non soddisfatto della decisione della Presidenza della Commissione, preannuncia che il comportamento del gruppo della Lega Nord Padania nel corso dell'esame dei provvedimenti in questione sarà consequenziale.

Norme per il contrasto dell'omofobia e transfobia.
C. 2802 Soro e C. 2807 Di Pietro.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

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Anna Paola CONCIA (PD), relatore, ricorda di avere sempre cercato di svolgere il ruolo di mediatore con lo spirito di chi vuole raggiungere la più ampia condivisione e assicura che con lo stesso spirito si accinge ad assolvere al compito che le è stato nuovamente affidato.
Osserva come con i provvedimenti in esame non si riparta da zero ma, al contrario, da un intenso, proficuo anno di lavoro che la Commissione ha alle spalle e che necessariamente è un patrimonio e non un fardello. Sottolinea, in particolare, come il lavoro già svolto sarà di grande aiuto e non un ostacolo e come sia necessario fare tesoro degli errori superando gli ostacoli e i limiti, nonché le incomprensioni che non hanno permesso di approvare questa legge.
A suo giudizio, dopo un anno di lavoro in cui la consapevolezza di una legge del genere sembrava ormai acquisita «almeno» dalla maggioranza di questa Commissione - dalla maggioranza, non da tutti - è noto che nel passaggio in Aula hanno prevalso altre logiche, che purtroppo hanno impedito un esito positivo. La maggioranza in Aula non ha avuto la forza e il coraggio di sostenere il lavoro della Commissione. L'opposizione non si è fidata del ritorno in Commissione.
È perfettamente a conoscenza che il tema dell'omosessualità e della transessualità è un tema che la politica italiana fa fatica ad affrontare, per una lacuna su quella capacità che il legislatore dovrebbe avere di fronte a ciò che ha che fare con i diritti umani. La capacità di deideologizzare i problemi. Perché di questo si tratta in questa proposta di legge: dei principi basilari dell'eguaglianza e della non discriminazione, che devono essere a fondamento di una società civile, di una società che vuole andare avanti e non tornare indietro.
Questa legge vuole rompere il muro del pregiudizio nei confronti dei cittadini omosessuali e transessuali ed eliminare quella odiosa gerarchia delle vittime che oggi esiste nel nostro ordinamento. Nel nostro ordinamento infatti alcune minoranze sono vittime di pregiudizio per ragioni sociali e di arretratezza culturale e civile: cittadini che appartengono ad un'altra razza, un'altra religione, un'altra nazionalità. Giustamente costoro hanno una forma di tutela giuridica, poiché lo Stato ha stabilito che chi commette violenze contro questi cittadini viene punito con una aggravante, perché in una società liberale e rispettosa di tutte le diversità non è ammissibile che una persona subisca violenze solo ed esclusivamente in ragione di una sua condizione umana.
Esprime forte rammarico per il fatto che da questa tutela minima siano esclusi i cittadini omosessuali e transessuali, sottolineando l'assoluta necessità di colmare questa grave lacuna. Una lacuna che esclude alcuni cittadini da una minima forma di tutela. Per questa ragione ricorda di avere ritenuto, con i gruppi del PD e di IdV, sbagliato votare a favore della pregiudizialità di costituzionalità.
Le motivazioni della questione pregiudiziale erano assolutamente fondate su fattori ideologici. Per quanto riguarda l'orientamento sessuale, è necessario sapere che in questo momento al Senato è in corso di esame un provvedimento della maggioranza che prevede l'orientamento sessuale come principio tra gli altri di non discriminazione. Pertanto, dopo aver bocciato il termine «orientamento sessuale» alla Camera, la maggioranza lo ripropone in suo disegno di legge al Senato. Ironia della sorte, anche perché l'orientamento sessuale è presente nel decreto legislativo n. 276 del 2003. Invita quindi tutti i colleghi a riflettere su questi fatti, senza polemica.
In ogni caso, per ovviare a questo problema le due proposte di legge oggi in esame in commissione parlano esplicitamente di omofobia e transfobia, senza riferirsi al cosiddetto «troppo generico» orientamento sessuale. Su questo punto la camera sarà nuovamente messa alla prova

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e si vedrà se era davvero quello il problema.
È consapevole che varare una legge bipartisan è impresa ardua e difficile. Tuttavia, ribadisce che sui diritti fondamentali ritiene necessario essere tutti d'accordo, per dare un segnale soprattutto al Paese e dire che su alcune cose ci si può o deve dividere, ma che sui diritti umani dei nostri concittadini si deve essere d'accordo. Il lavoro di una legge bipartisan comporta necessariamente una indispensabile volontà di mediazione, di costruzione di una proposta comune che tenga dentro le esigenze di tutti. Di questo tutti devono essere consapevoli ed esprimersi con franchezza e onestà intellettuale. Per questo chiedo anche a chi, come i gruppi dell'UdC e della Lega, che non hanno mai nascosto la loro contrarietà ad un provvedimento del genere, di essere espliciti e non nascondersi dietro equilibrismi giuridici. Si può democraticamente e alla luce del sole non volere una legge contro l'omofobia e la transfobia. Basta essere espliciti. Onesti verso il paese.
Con riferimento al Ministro e al Ministero per le pari opportunità, ricorda la richiesta di aggiungere ai soggetti discriminati da tutelare nel rispetto dell'articolo 19 del Trattato di Lisbona, anziani e disabili. Ricorda che questi soggetti sono già stati inseriti dalla maggioranza nel decreto sicurezza e quindi davvero sono rimasti solo omosessuali e transessuali. Inoltre, pur avendo apprezzato molto la campagna contro l'omofobia del Ministro Mara Carfagna, osserva che il Ministro sa bene, avendone parlato con lei molte volte, che sono necessarie campagne sociali come indispensabili leggi di tutela. Il Ministro Carfagna si è impegnata nella prima campagna contro l'omofobia, ora occorre un impegno generale da parte del Parlamento per l'approvazione di una legge.
Segnala, inoltre, come, per quanto le risulti, le risorse per il Ministero per le pari opportunità nell'attuale finanziaria passano da 29 a 4 milioni di euro. Questo è un dato molto preoccupante, perché significa che viene svuotato il Ministero di qualsiasi strumento di lotta a qualsiasi forma di discriminazione.
Auspica quindi che si possa lavorare insieme di nuovo con animo sereno e libero, sapendo che rendere migliore questo Paese e riconoscere diritti a chi non li ha, fa bene a tutti.
Per quanto concerne i profili tecnico-giuridici delle proposte di legge in esame, osserva come queste siano accomunate dalla medesima finalità di fornire una tutela contro le discriminazioni fondate sull'omofobia e la transfobia attraverso lo strumento del diritto penale.
È forse superfluo ricordare che il tema oggetto delle proposte di legge in esame ha impegnato questa Commissione sin dall'inizio della legislatura. All'esito di un lavoro che aveva coinvolto in maniera seria tutti i gruppi e che, nella qualità di relatrice, l'aveva impegnata con l'obiettivo di pervenire ad una formulazione condivisa - anche se non ottimale secondo il suo personale convincimento - la Commissione approvò un testo unificato delle proposte di legge AC 1658 e AC 1882, volto ad introdurre nel codice penale una nuova circostanza aggravante da applicare ove alcuni determinati reati contro la persona fossero stati commessi in ragione dell'orientamento sessuale della vittima del reato stesso. La scelta ottimale, a suo giudizio, condiviso dal gruppo del PD, sarebbe stata quella di ampliare la «legge Mancino» introducendovi il reato di discriminazione per l'orientamento sessuale o l'identità di genere. A fronte di una forte contrarietà dei gruppi della Lega e dell'UdC si abbandonò questa soluzione. Anziché prevedere un reato, che secondo tali gruppi avrebbe determinato il rischio di introdurre nell'ordinamento un reato di opinione, si decise di non ampliare la sfera penale, ma di prevedere che certi reati fossero aggravati qualora fossero stati commessi per un determinato motivo: l'orientamento sessuale della vittima. Non si trattava certo di una novità per il diritto penale che la motivazione del reato assurgesse a circostanza aggravante in ragione del suo particolare disvalore. Nel

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caso in esame il disvalore (difficilmente contestabile) era individuato nel fatto che un reato contro la persona era commesso perché la vittima è vista dall'autore del reato come un «diverso» dagli altri, un «diverso» rispetto ad un concetto fuorviante di normalità. Nonostante ciò, il testo unificato licenziato dalla Commissione giustizia venne respinto dall'Assemblea nella seduta del 13 ottobre 2009, a seguito dell'approvazione di una questione pregiudiziale presentata dal gruppo dell'UDC (Vietti ed altri n. 1) per motivi di costituzionalità. In particolare, si evidenziava, da un lato, la violazione dell'articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza, posto che chi subisce violenza, presumibilmente per ragioni di orientamento sessuale, riceverebbe una protezione privilegiata rispetto a chi subisce violenza tout court; dall'altro, l'indeterminatezza dell'espressione «orientamento sessuale» per violazione del principio di tassatività delle fattispecie penali di cui all'articolo 25 della Costituzione.
Per superare questo ostacolo di costituzionalità evidenziato dall'Assemblea attraverso un voto la cui valenza è politica e non certamente giuridica, i gruppi del PD e di Italia dei Valori hanno presentato due proposte di legge, che sono state assegnate alla Commissione non incontrando l'ostacolo dell'articolo 72, comma 2,del regolamento, secondo il quale «non possono essere assegnati alle Commissioni progetti di legge che riproducano sostanzialmente il contenuto di progetti precedentemente respinti, se non siano trascorsi sei mesi dalla data della reiezione». Nel caso in esame, le richiamate proposte hanno un proprio contenuto che le differenzia dal testo respinto dall'Assemblea, anche se la proposta di legge C. 2802 (Soro e altri) modifica, come quella respinta, l'articolo 61 del codice penale relativo alle aggravanti comuni del reato. La proposta di legge C. 2807 (Di Pietro e altri) interviene invece sulla legge n. 654 del 1975 e sul decreto-legge n. 122 del 1993, cioè sulla «legge Mancino».
La proposta di legge C. 2802 (Soro e altri), all'articolo 1 introduce una nuova aggravante (n. 11-quater), che ricorre quando l'autore del delitto ha commesso il fatto per motivi di omofobia e transfobia, che vengono così qualificati: motivi di odio e discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale della vittima del reato verso persone dello stesso sesso, verso persone del sesso opposto o verso persone di entrambi i sessi.
Con la specificazione relativa al concetto di orientamento sessuale, i proponenti intendono superare le obiezioni che erano state mosse in sede di esame delle proposte sull'orientamento sessuale, relative al mancato rispetto del principio costituzionale di determinatezza della fattispecie penale. Questa particolare definizione del concetto di orientamento sessuale è analoga a quella contemplata nell'ordinamento del Regno Unito. Nella nota esplicativa (explanatory memorandum) alle «Equality Act (Sexual Orientation) Regulations 2007», si fornisce, infatti, la seguente definizione di orientamento sessuale: «Per orientamento sessuale s'intende l'orientamento sessuale di un individuo verso persone del suo stesso sesso (omosessuali di entrambi i sessi), persone del sesso opposto (eterosessuali), oppure persone di entrambi i sessi (bisessuali)».
Si tratta di una aggravante a carattere speciale in quanto è applicabile solo ai seguenti delitti non colposi:delitti contro la vita e l'incolumità individuale; delitti contro la personalità individuale; delitti contro la libertà personale; delitti contro la libertà morale.
L'articolo 2 della proposta di legge prevede che il Governo, attraverso il Ministro per le pari opportunità, debba ogni anno (entro febbraio) presentare una relazione al Parlamento sulle azioni intraprese, gli obiettivi raggiunti e gli indirizzi seguiti contro le discriminazioni motivate da omofobia e transfobia.
La proposta di legge C. 2807 (Di Pietro e altri), come si è detto, modifica la «legge Mancino» intervenendo (articolo 1) interviene su tutte le fattispecie aggiungendo alle attuali forme di discriminazione (per

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motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi), la discriminazione fondata sull'omofobia o sulla transfobia.
Evidenzia, inoltre, che nel sostituire l'articolo 3, comma 1, la proposta di legge sostituisce al concetto di «propaganda di idee» quello di «diffusione di idee» e all'«istigazione a commettere» il concetto diverso di «incitamento a commettere».
Tali modifiche, come spiega la relazione illustrativa sono volte a reintrodurre il testo antecedente alla legge 85 del 2006 (che «non punendo più la diffusione delle idee discriminanti ma la propaganda, e non più l'incitamento a discriminare o a delinquere ma l'istigazione, introduce modifiche che potrebbero sembrare solo terminologiche ma che in realtà dal punto di vista della legge penale introducono fattispecie più circoscritte e riducono il numero dei comportamenti punibili»), ritenuto maggiormente aderente alla Convenzione (il cui articolo 4, lettera a), impegna gli Stati a dichiarare crimini punibili dalla legge, ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull'odio razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale).
L'articolo 2 della proposta di legge interviene sul decreto-legge n. 122 del 1993 (cosiddetto «Decreto Mancino») per coordinarne il contenuto con le modifiche apportate alla legge n. 654 del 1975.
La proposta di legge modifica tanto il titolo del decreto-legge (comma 1), quanto la rubrica dell'articolo 1, relativo alle sanzioni accessorie (comma 2), quanto l'articolo 3, in tema di aggravanti (comma 3), per inserirvi un espresso riferimento alla discriminazione fondata sull'omofobia o sulla transfobia. Le novelle comportano, anche in tali casi l'applicabilità delle disposizioni speciali previste dal decreto-legge in tema di perquisizioni e sequestri (articolo 5), procedibilità, arresto in flagranza e competenza (articolo 6).
Evidenzia, inoltre, che con la novella all'articolo 3, comma 1, la proposta di legge sostituisce al concetto di «finalità di discriminazione» quello di «motivi di discriminazione».
Tale modifica, come spiega la relazione illustrativa, è volta a evitare che «i reati commessi con motivazioni discriminatorie, quale che sia la condizione discriminata, siano considerati reati di dolo specifico che pongono notevoli problemi di accertamento, di non facile soluzione, in capo all'autorità giudicante». La questione della sostituzione dell'espressione «finalità di discriminazione» con quella di «motivi di discriminazione» era già emersa nel corso dell'esame del testo unificato delle proposte di legge AC 1658 e 1882 (seduta del 6 ottobre).

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.30.

ATTI DEL GOVERNO

Giovedì 10 dicembre 2009. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo e Maria Elisabetta Alberti Casellati.

La seduta comincia alle 15.30.

Schema di decreto legislativo recante norme in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.
Atto n. 150.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame dello Schema di decreto.

Antonino LO PRESTI (PdL), relatore, ricorda preliminarmente come l'articolo 60 della legge n. 69 del 2009 deleghi il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale. I principi e criteri direttivi cui dovrà attenersi il Governo sono previsti dal comma 3.

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Il Capo I (articoli 1 e 2) delinea il campo d'applicazione della disciplina della mediazione attraverso la definizione di alcuni termini ricorrenti.
In particolare, per mediazione si intende l'attività svolta da un terzo - soggetto imparziale e privo dell'autorità di imporre alle parti la soluzione della controversia - finalizzata ad assistere le parti nel tentativo di raggiungere un accordo volto a comporre la controversia al di fuori delle procedure giudiziarie, nonché a formulare una proposta di risoluzione della controversia stessa. Per conciliazione si intende l'esito positivo dell'attività di mediazione. L'organismo di mediazione viene invece definito quale ente, pubblico o privato, abilitato a svolgere il procedimento di mediazione (in quanto iscritto nel registro), e privo dell'autorità di imporre alle parti una soluzione della controversia. Si prevede inoltre che il registro degli organismi di conciliazione debba essere istituito con decreto del Ministro della giustizia e che, in attesa di tale adempimento, operi il registro già previsto per la conciliazione societaria.
L'articolo 2 chiarisce che oggetto della mediazione può essere qualsiasi controversia civile e commerciale, comprese le controversie societarie, che abbiano ad oggetto diritti disponibili delle parti. Inoltre, la procedura di mediazione non intende sostituirsi o precludere altre eventuali forme di negoziazione già intraprese dalle parti su base volontaria ovvero già previste dalle carte dei servizi, e attivate mediante un reclamo degli utenti.
Il Capo II (articoli da 3 a 15) disciplina in modo non rigido né predeterminato il procedimento di mediazione, optando per una regolamentazione essenziale, che si affida all'autodeterminazione degli organismi di conciliazione.
L'articolo 3, segnatamente, stabilisce che gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità. Gli organismi di mediazione hanno peraltro l'obbligo di dotarsi di un proprio regolamento di procedura, che andrà depositato presso il Ministero della Giustizia unitamente alla richiesta di iscrizione nel registro. Il regolamento è volto a: disciplinare le modalità di svolgimento del procedimento; garantire la riservatezza del procedimento; prevedere modalità di nomina del mediatore, che ne assicurino l'imparzialità, l'idoneità all'incarico e il sollecito espletamento dello stesso; definire modalità telematiche di eventuale svolgimento della mediazione.
L'articolo 4 definisce le modalità di avvio del procedimento di mediazione e delinea particolari obblighi a carico degli avvocati delle parti.
Per quanto concerne l'apertura del procedimento di mediazione, è previsto il deposito presso l'organismo di mediazione prescelto di un'istanza contenente l'indicazione dell'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa. Dalla data di questo deposito cominciano a decorrere i 4 mesi previsti dall'articolo 6 come durata massima del procedimento di mediazione.
In caso di più istanze relative alla stessa controversia presentate a organismi diversi, il procedimento si svolgerà davanti all'organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda (criterio temporale). L'ultimo periodo del comma 1 precisa che per determinare il tempo della domanda «si ha riguardo alla data della ricezione della comunicazione».
Il comma 3 introduce un obbligo di informazione a carico degli avvocati. In particolare, la disposizione obbliga l'avvocato a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, delle agevolazioni fiscali e del credito d'imposta. Tale informazione dovrà essere fornita a partire dal primo colloquio, in modo chiaro e in forma scritta. L'assistito dovrà siglare il documento informativo. L'omissione di questo adempimento comporta la nullità del contratto concluso tra l'avvocato e l'assistito. Il documento sottoscritto dovrà poi essere allegato all'atto introduttivo del giudizio che si decida, eventualmente, di avviare. L'omissione di tale allegazione obbliga il giudice ad informare a sua volta la parte della possibilità di procedere con la mediazione.

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L'articolo 5 disciplina i rapporti tra procedimento di mediazione e eventuale procedimento giudiziale.
Il comma 1 prevede che per alcune categorie di controversie lo svolgimento del procedimento di mediazione costituisca condizione di procedibilità dell'azione civile.
Le controversie rispetto alle quali trova applicazione la suddetta condizione di procedibilità riguardano le seguenti materie: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, contratti bancari, contratti finanziari.
L'improcedibilità dovrà essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo e potrà essere rilevata d'ufficio dal giudice entro la prima udienza. In questo caso il giudice assegnerà alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Laddove il giudice rilevi che la mediazione è iniziata, ma non si è conclusa, fisserà la successiva udienza dopo la scadenza del termine di quattro mesi previsto dall'articolo 6.
Al di fuori delle ipotesi disciplinate dal comma 1, la mediazione ha carattere facoltativo. Il comma 2, peraltro, dispone che il giudice, tenendo conto «della natura della causa, dello stato dell'istruzione e del comportamento delle parti», possa - in qualunque momento prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni, ovvero prima della discussione della causa - invitare le parti a procedere alla mediazione. Se le parti concordano con l'indicazione del giudice, quest'ultimo fisserà una nuova udienza allo spirare del termine di 4 mesi previsto per la mediazione. La disposizione aggiunge che «quando la mediazione non è stata esperita, [il giudice] assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
La condizione di procedibilità non si applica (e dunque il tentativo di mediazione non è obbligatorio) in caso di azioni inibitorie e risarcitorie di classe disciplinate dal codice del consumo e alle azioni risarcitorie conseguenti a sinistri provocati da veicoli a motore e natanti disciplinate dal codice delle assicurazioni.
Il comma 3 dell'articolo 5 precisa altresì che lo svolgimento del procedimento di mediazione non preclude alla parte interessata l'accesso ai provvedimenti urgenti e cautelari.
Il comma 4 esclude sia il carattere obbligatorio della mediazione (comma 1), sia la possibilità per il giudice di invitare comunque le parti a procedervi (comma 2), in una serie di procedimenti che - come evidenziato dalla relazione di accompagnamento - «sono posti a presidio di interessi per i quali un preventivo tentativo obbligatorio di mediazione appare inutile o controproducente, a fronte di una tutela giurisdizionale che è invece in grado, talvolta in forme sommarie e che non richiedono un preventivo contraddittorio, di assicurare una celere soddisfazione degli interessi medesimi». Si tratta dei: procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile; procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; procedimenti in camera di consiglio; azione civile esercitata nel processo penale.
Il comma 5, in materia societaria, disciplina la specifica l'ipotesi in cui il tentativo di mediazione - pur non rappresentando una condizione di procedibilità ai sensi del comma 1 - è richiesto prima dell'esercizio dell'azione civile dallo Statuto della società o da una clausola contrattuale.

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Il comma 6, interviene sugli istituti della prescrizione e della decadenza, per precisare gli effetti della comunicazione della domanda di mediazione: questa comporta che il termine di prescrizione del diritto che la parte intende far valere si interrompe e impedisce la decadenza dall'esercizio del diritto. Se il tentativo fallisce la domanda giudiziale dovrà però essere proposta entro il medesimo termine di decadenza da calcolarsi a partire dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo di conciliazione. Solo il primo tentativo di mediazione impedisce la decadenza dall'esercizio del diritto.
Il comma 7 estende l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 5 dello schema di decreto, «in quanto compatibili», ai procedimenti davanti agli arbitri.
L'articolo 6 stabilisce che il procedimento di mediazione può avere una durata massima di 4 mesi. Il termine decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione ovvero, nell'ipotesi di mediazione demandata dal giudice, dal termine da questi fissato per il deposito.
L'articolo 7 precisa che il periodo, della durata massima di 4 mesi, che le parti dedicano al procedimento di mediazione non deve essere computato ai fini della determinazione del carattere ragionevole o meno della durata del processo, previsto dalla cosiddetta legge Pinto (legge n. 89 del 2001).
L'articolo 8 delinea sommariamente il contenuto del procedimento di mediazione che si svolgerà senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione; una disciplina più puntuale del procedimento è demandata infatti al regolamento che ciascun organismo di conciliazione deve adottare e depositare presso il ministero.
A seguito del deposito della domanda di mediazione, sull'organismo di mediazione - in persona del suo responsabile - incombono i seguenti obblighi: designare il mediatore; fissare, entro 15 giorni, il primo incontro tra le parti; dare immediata comunicazione del deposito della domanda e della data fissata per l'incontro all'altra parte, «con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante»; nominare uno o più mediatori ausiliari nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche.
La disposizione aggiunge che se la nomina di mediatori ausiliari non è possibile, il mediatore potrà avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali; il regolamento dell'organismo di mediazione dovrà dunque predeterminare le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli esperti.
Al mediatore, in base al comma 3, spetta in generale il compito di adoperarsi per far sì che le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia.
L'articolo 9 disciplina il dovere di riservatezza nei confronti di chi presta la propria opera o il proprio servizio nell'organismo rispetto alle dichiarazioni e informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione. Tale dovere di segretezza può essere derogato con il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni.
L'articolo 10, al comma 1, prevede l'inutilizzabilità delle dichiarazioni e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione nel giudizio iniziato o riassunto a seguito dell'insuccesso della mediazione. Il giudizio deve avere il medesimo oggetto, anche parziale, del procedimento. Inoltre, sulle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale.
Il comma 2, che disciplina il segreto professionale del mediatore, esclude obbligo di quest'ultimo di deporre dinanzi all'autorità giudiziaria o ad altra autorità. La medesima disposizione estende al mediatore l'applicazione dell'articolo 200 del codice di procedura civile e, nei limiti della loro applicabilità, delle garanzie previste per il difensore dall'articolo 103 del codice di procedura civile.
L'articolo 11 delinea i possibili esiti del procedimento di mediazione, individuando le seguenti ipotesi. a) Raggiungimento di un accordo. In questo caso il mediatore forma il processo verbale, al quale è allegato l'accordo, sottoscritto dalle parti.

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L'accordo può eventualmente prevedere l'impegno delle parti al pagamento di una somma di denaro in caso di violazione o inosservanza degli obblighi previsti dall'accordo stesso. Il processo verbale è depositato presso la segreteria dell'organismo di conciliazione e le parti possono estrarne copia. b) Mancato raggiungimento dell'accordo. In questo caso il mediatore formula una proposta di conciliazione, avvertendo le parti che se verrà presentata domanda giudiziale e il provvedimento che definirà il giudizio corrisponderà al contenuto della proposta, la parte vincitrice che non ha accettato la proposta non solo non otterrà la ripetizione delle spese ma dovrà sostenere anche quelle del soccombente. La proposta sarà comunicata alle parti per iscritto e queste dovranno - entro 7 giorni, e sempre per iscritto - accettarla o rifiutarla (il silenzio equivale al dissenso). Se le parti accettano la proposta di conciliazione, su questa si forma il processo verbale, che sarà sottoscritto da tutti e depositato in segreteria. Anche in questo caso la conciliazione può prevedere l'impegno delle parti al pagamento di una somma di denaro in caso di violazione o inosservanza degli obblighi previsti dall'accordo stesso. Se le parti non accettano la proposta di conciliazione, il mediatore redige comunque il processo verbale, che conterrà l'enunciazione della proposta e delle ragioni del mancato accordo. In base al comma 4 in questo verbale il mediatore dà anche atto della mancata partecipazione di una delle parti dal procedimento di mediazione.
L'articolo 12 prevede che il verbale contenente l'accordo tra le parti (scaturito direttamente dal procedimento di mediazione, ovvero frutto dell'adesione alla proposta del mediatore) sia omologato con decreto del presidente del Tribunale. Per l'individuazione del tribunale competente, si dovrà tener conto della sede dell'organismo di conciliazione, a meno che la controversia non rivesta carattere transfrontaliero e si debba far riferimento al luogo ove l'accordo deve essere eseguito. Presupposti per l'omologazione sono: la non contrarietà dell'accordo all'ordine pubblico; la non contrarietà dell'accordo a norme imperative; la regolarità formale dell'accordo. Il comma 2 - dando seguito al principio di delega di cui all'articolo 60, comma 3, lettera s) - precisa che il verbale di accordo costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca.
L'articolo 13 disciplina l'imputazione delle spese processuali in rapporto al fallito procedimento di mediazione. Se è la parte risultata vincitrice a non aver accettato la proposta di mediazione, che corrispondeva integralmente al provvedimento giudiziario poi adottato dal giudice, quest'ultimo deve: negare alla parte vittoriosa la ripetizione delle spese; condannarla invece a sostenere le spese che il soccombente ha affrontato dalla data della proposta di conciliazione fino alla definizione del giudizio civile; condannarla a versare allo Stato, a titolo di sanzione processuale, una somma parametrata sul contributo unificato dovuto. Tale criterio di imputazione delle spese deve applicarsi anche alle spese sostenute nella fase di mediazione, ovvero alle somme dovute al mediatore ed agli eventuali esperti coinvolti. Il giudice potrà comunque valutare il comportamento delle parti anche al fine dell'applicazione degli articoli 92 e 96 del codice di rito, relativi alla compensazione delle spese, alla ripetizione delle spese superflue e alla violazione del dovere di lealtà delle parti.
In base al comma 2, anche laddove la proposta non fosse identica al provvedimento giudiziario poi adottato, il giudice può comunque escludere per la parte vittoriosa la ripetizione delle spese sostenute per la mediazione (mediatore e eventuali esperti), in presenza di «gravi ed eccezionali ragioni», che il giudice dovrà comunque esplicitare in motivazione.
Infine, il comma 3 esclude l'applicabilità della disciplina sull'imputazione delle spese processuali al rito arbitrale.
L'articolo 14, ai commi 1 e 2, individua una serie di obblighi a carico del mediatore, finalizzati a garantirne l'imparzialità. In particolare, il mediatore (e, laddove

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previsto, i suoi ausiliari): non può assumere diritti o obblighi connessi con gli affari trattati; non può percepire compensi direttamente dalle parti; deve sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità in relazione a ciascuna controversia trattata; deve informare immediatamente l'organismo e le parti di eventuali ragioni di incompatibilità con lo svolgimento della mediazione; deve formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell'ordine pubblico e delle norme imperative (pena la mancata omologazione del verbale di accordo in base all'articolo 12); deve dar seguito a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell'organismo.
Il comma 3 demanda al responsabile dell'organismo di mediazione il compito di valutare la sostituzione del mediatore quando le parti ne facciano richiesta; spetterà invece al regolamento dell'organismo definire le modalità di sostituzione del responsabile quando sia egli stesso a svolgere in prima persona la mediazione.
Come già accennato, l'articolo 5, comma 1, esclude che lo svolgimento del procedimento di mediazione costituisca condizione di procedibilità dell'azione di classe nemmeno rispetto alle categorie di controversie indicate nella medesima disposizione. L'azione di classe tuttavia non preclude la mediazione. L'articolo 15, pertanto è volto a raccordare la disciplina dell'azione di classe prevista dall'articolo 140-bis del Codice del consumo con la nuova disciplina della mediazione.
Il Capo III del provvedimento (articoli 16-19) regola la figura degli organismi di conciliazione adottando come modello generale quello della conciliazione stragiudiziale in materia societaria (ora assorbita dalla disciplina generale introdotta dal decreto).
Si prevede che organismi di conciliazione costituiti da enti pubblici o privati che diano garanzie di serietà ed efficienza, su istanza della parte interessata, siano abilitati a gestire un tentativo di conciliazione delle controversie nelle materie indicate all'articolo 2 dello schema di decreto.
Tali organismi debbono essere iscritti in un apposito registro istituito presso il Ministero della giustizia (nelle more dell'adozione del regolamento l'iscrizione va fatta presso il registro degli organismi di conciliazione per le controversie societarie). Con appositi decreti del Ministro della giustizia saranno disciplinati le modalità di formazione, tenuta e iscrizione al registro.
Con la domanda d'iscrizione al registro l'organismo di conciliazione deve depositare presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura. Tale regolamento deve contenere anche l'indicazione delle procedure telematiche eventualmente adottate (in ogni caso assicurando la sicurezza delle comunicazioni e il diritto alla privacy) e, in allegato, le tabelle delle indennità in favore degli organismi di conciliazione costituiti da enti privati, ai fini dell'approvazione da parte del ministero (per gli organismi costituiti da enti pubblici, il decreto direttamente determina l'ammontare delle indennità).
Il registro è soggetto alla vigilanza del Ministro della giustizia, con esclusione della sezione riservata agli organismi di conciliazione nelle materia del consumo, vigilata dal Ministro dello sviluppo economico.
L'articolo 16 prevede, oltre al registro, l'istituzione con decreto ministeriale presso il Ministero della giustizia dell'Albo dei formatori per la mediazione.
L'articolo 17 contiene parte della disciplina degli incentivi fiscali alla mediazione nonché i criteri per la determinazione dell'ammontare delle indennità di competenza degli organismi di conciliazione.
Le agevolazioni fiscali riguardano: l'esenzione dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o altro diritto di analoga natura di ogni atto, documento e provvedimento relativo al procedimento di mediazione; l'esenzione del verbale d'accordo dall'imposta di registro entro il limite di valore di 51.646 euro.
Con riferimento, invece, alle indennità di competenza degli organismi di conciliazione, mentre l'entità dell'ammontare minimo e massimo delle indennità in favore

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degli organismi di mediazione pubblici è fissato direttamente dal decreto ministeriale, la normativa secondaria potrà solo determinare i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi di mediazione privati. Il decreto fissa invece direttamente sia le maggiorazioni delle indennità (fino ad un massimo del 25 per cento) in caso di esito favorevole della mediazione che le riduzioni minime delle indennità quando il tentativo di mediazione costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell'articolo 5 del decreto. In tali ultime ipotesi - quando cioè sia obbligatorio esperire la mediazione - la parte avente diritto all'ammissione al gratuito patrocinio ai sensi dell'articolo 76, TU spese di giustizia è esentata dal pagamento dell'indennità all'organismo di conciliazione.
Dal 2010, l'impegno finanziario per le indicate agevolazioni fiscali è valutato in 11,7 milioni di euro. Esso è coperto dalle risorse del Fondo unico giustizia.
Gli articoli 18 e 19, riprendendo il contenuto dei principi di delega, prevedono: che l'iscrizione nel Registro degli organismi istituiti presso i consigli dell'ordine degli avvocati, presso i consigli degli ordini professionali e degli organi di conciliazione presso le Camere di commercio avvenga «a semplice domanda»; la possibilità di usufruire dei locali messi a disposizione dal presidente del tribunale (per gli ordini forensi) e dall'ordine professionale (per organismi di conciliazione istituiti da altri ordini); la possibilità - per tutti gli ordini - di servirsi di proprio personale per le necessità degli organismi di mediazione. L'iscrizione a semplice domanda non esonera comunque gli organismi dal rispetto dei criteri per l'iscrizione nel Registro stabiliti dai decreti ministeriali.
L'articolo 20 integra la disciplina sulle agevolazioni fiscali in favore dei soggetti che si avvalgono della mediazione stragiudiziale, riconoscendo loro un credito d'imposta commisurato all'indennità versata all'organismo di conciliazione fino ad un massimo di 500 euro. Il credito riconosciuto non corrisponderà quindi all'intera cifra pagata al mediatore bensì sarà ad essa commisurata in via proporzionale. L'effettiva misura del credito spettante sarà determinata con decreto del Ministro della Giustizia.
L'articolo 21 pone in capo al Ministero della giustizia specifici obblighi di informazione al pubblico del nuovo procedimento di mediazione.
L'articolo 22 estende anche al settore della mediazione la disciplina relativa agli obblighi di segnalazione di operazioni sospette prevista dal decreto legislativo n. 231 del 2007, per la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
L'articolo 23 abroga, come accennato, la disciplina della conciliazione nelle controversie societarie. È, tuttavia confermata la vigenza delle disposizioni relative a conciliazioni e mediazioni obbligatorie, comunque denominate.
L'articolo 24 introduce, infine, una specifica disciplina transitoria rispetto alla previsione del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità per le controversie individuate dall'articolo 5, comma 1. L'efficacia di tale disposizione è in particolare differita a 18 mesi dall'entrata in vigore del provvedimento in esame e si applica ai processi iniziati a decorrere dalla stessa data.

Giulia BONGIORNO, presidente, in considerazione dell'imminenza delle votazioni in Assemblea ed al fine di consentire lo svolgimento della riunione dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.45.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 15.45 alle 15.55.

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AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE CONSULTIVA

Contributo previdenziale integrativo dovuto dagli esercenti attività libero-professionali iscritti in albi ed elenchi.
C. 1524 Lo Presti - Rel. Paniz).

Interventi per agevolare la libera imprenditorialità e per il sostegno del reddito
C. 2424 Antonino Foti.

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

Sugli esiti della Conferenza dei Presidenti delle Commissioni giustizia dei Parlamenti dell'Unione europea, svoltasi a Stoccolma l'11 e il 12 ottobre 2009.

Sulla programmazione dei lavori della Commissione.