CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 10 novembre 2009
244.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
COMUNICATO
Pag. 33

INDAGINE CONOSCITIVA

Martedì 10 novembre 2009. - Presidenza del presidente Gianfranco CONTE.

La seduta comincia alle 11.

Indagine conoscitiva sul credito al consumo.
(Deliberazione di variazioni del programma e di una proroga del termine).

Gianfranco CONTE, presidente, avverte che, sulla base di quanto convenuto nella riunione dell'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, del 27 ottobre 2009, è stata acquisita l'intesa con il Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento, relativamente alla proroga di un mese del termine di svolgimento dell'indagine conoscitiva, ed all'integrazione del programma dell'indagine conoscitiva, al fine di procedere anche alle audizioni dei rappresentanti dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali e dell'Autorità

Pag. 34

Garante della concorrenza e del mercato.
Propone pertanto di procedere alla deliberazione della proroga del termine ed alla suddetta integrazione del programma dell'indagine conoscitiva.

La Commissione approva la proposta del Presidente.

La seduta termina alle 11.05.

INDAGINE CONOSCITIVA

Martedì 10 novembre 2009. - Presidenza del presidente Gianfranco CONTE.

La seduta comincia alle 11.05.

Indagine conoscitiva sul credito al consumo.
Audizione del Direttore generale dell'Associazione bancaria italiana (ABI).
(Svolgimento e conclusione).

Gianfranco CONTE, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta, è assicurata, oltre che mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche attraverso l'attivazione della trasmissione televisiva tramite il canale satellitare della Camera dei deputati.
Introduce quindi l'audizione.

Giovanni SABATINI, Direttore generale dell'Associazione bancaria italiana, svolge una relazione sui temi oggetto dell'audizione.

Intervengono per formulare quesiti ed osservazioni i deputati Giampaolo FOGLIARDI (PD), Marco PUGLIESE (PdL), Cosimo VENTUCCI (PdL), Silvana Andreina COMAROLI (LNP), Alessandro PAGANO (PdL), Franco CECCUZZI (PD), e Gianfranco CONTE, presidente, ai quali replica Giovanni SABATINI, Direttore generale dell'Associazione bancaria italiana.

Dopo ulteriori considerazioni di Gianfranco CONTE, presidente, riprende la sua replica Giovanni SABATINI, Direttore generale dell'Associazione bancaria italiana.

Gianfranco CONTE, presidente, pone ulteriori domande, alle quali rispondono Giovanni SABATINI, Direttore generale dell'Associazione bancaria italiana, e Massimo ROCCIA, Direttore centrale area retail dell'Associazione bancaria italiana.

Gianfranco CONTE, presidente, ringrazia il dottor Sabatini e dichiara conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.05.

N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.

SEDE CONSULTIVA

Martedì 10 novembre 2009 - Presidenza del presidente Gianfranco CONTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Daniele Molgora.

La seduta comincia alle 13.05.

Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
C. 2364, approvata dal Senato, ed abbinate.
(Parere alla II Commissione).
(Esame, ai sensi dell'articolo 73, comma 1-bis del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria, e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Pag. 35

Silvana Andreina COMAROLI (LNP), relatore, rileva come la Commissione sia chiamata ad esprimere il parere alla II Commissione Giustizia, ai sensi dell'articolo 73, comma 1-bis del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria, sulla proposta di legge C. 2364, approvata dal Senato, recante disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento, alla quale sono state abbinate le proposte di legge C. 728 La Russa, C. 1944 Losacco e C. 2564 Volontè.
In primo luogo sottolinea come il provvedimento, incidendo profondamente sulla condizione di libertà morale delle vittime di usura, oltre che sul loro patrimonio individuale, debba essere esaminato con particolare attenzione dalla Commissione.
In linea generale il testo trasmesso dal Senato, che è stato approvato all'unanimità, con una sola astensione, non si limita a modificare la normativa vigente in favore delle vittime dell'usura, ma opera nell'ordinamento una vera e propria rivoluzione relativamente al rapporto tra creditore e debitore, introducendo un nuovo procedimento per la composizione delle crisi da sovraindebitamento. In sostanza, si crea una procedura, alla quale possono accedere i soggetti non assoggettabili alle procedure fallimentari, finalizzata a definire un concordato tra la persona che si trova in una condizione di sovraindebitamento ed i suoi creditori. Si tratta, quindi, di uno strumento volto a sostenere in particolare le famiglie, creando i presupposti idonei ad evitare che soggetti, anche non imprenditoriali, finiscano per cadere nella morsa dell'usura.
Passando ad analizzare il contenuto del provvedimento, esso si articola in tre capi: il primo, costituito dagli articoli da 1 a 12, relativo alle modifiche alla legislazione in materia di usura e di estorsione; il secondo, costituito dagli articoli da 13 a 27, relativo alla disciplina del procedimento per la composizione delle crisi da sovraindebitamento, ed il terzo, costituito dal solo articolo 28, relativo all'entrata in vigore.
L'articolo 1 apporta alcune modifiche alla legge n. 108 del 1996 in materia di usura.
In particolare il comma 1, lettera a), aggiunge due nuovi commi dopo il comma 2 dell'articolo 14 della legge n. 108, che ha istituito presso l'ufficio del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket il Fondo di solidarietà per le vittime dell'usura, al quale è affidato il compito di erogare mutui senza interesse a favore dei soggetti che esercitino attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o comunque economica, ovvero arti o professioni, i quali dichiarino di essere vittime del delitto di usura e risultino parti offese nel relativo procedimento penale.
Il nuovo comma 2-bis consente l'erogazione di mutui da parte del predetto Fondo anche in favore di imprenditori individuali dichiarati falliti, su parere favorevole del giudice delegato. La disposizione precisa che il mutuo non è concedibile all'imprenditore indagato, imputato o condannato per bancarotta semplice e fraudolenta, ricorso abusivo al credito, denuncia di creditori inesistenti da parte del fallito, fallimento, nonché per delitti contro il patrimonio, l'economia pubblica, l'industria e il commercio (a meno di riabilitazione) e che, se il mutuo è già concesso a favore dell'imprenditore indagato o imputato per i citati reati, ne è comunque sospesa l'erogazione fino al termine del relativo procedimento penale.
Il nuovo comma 2-ter prevede invece la non imputabilità del mutuo alla massa fallimentare e alle successive attività dell'imprenditore individuale fallito ed il vincolo di destinazione delle somme alle finalità di reinserimento della vittima dell'usura nel circuito dell'economia legale.
La lettera b) sostituisce il comma 3 del predetto articolo 14, al fine di prevedere la possibilità che il mutuo sia concesso anche nel corso delle indagini

Pag. 36

preliminari, previo parere favorevole del pubblico ministero, sulla base di concreti elementi acquisiti durante le indagini preliminari, immediatamente dopo l'iscrizione dell'indagato di usura nel registro delle notizie di reato.
La norma ha evidentemente la finalità di rendere più rapida l'erogazione del mutuo da parte del Fondo.
La lettera c) novella il comma 5 dell'articolo 14, prevedendo, anche in questo caso per accelerare l'erogazione del mutuo, che la relativa domanda possa essere presentata al Fondo entro sei mesi dalla presentazione della denuncia per il delitto di usura oltre che - come attualmente stabilito - dalla data in cui la vittima dell'usura ha notizia dell'inizio delle indagini.
La lettera d) sostituisce il comma 7 dell'articolo 14, restringendo sostanzialmente l'ambito dei soggetti ai quali può essere concesso il mutuo, che non potrà essere erogato né in caso di condanna per il «tentativo» del delitto di usura né ai condannati per una serie di reati consumati o tentati di particolare allarme sociale individuati dagli articoli 380 e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale: si tratta dei delitti per cui è obbligatorio l'arresto in flagranza, quali quelli di associazione mafiosa, strage, terrorismo, omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione.
Analogo impedimento è introdotto per i soggetti sottoposti a misure di prevenzione personali o patrimoniali e nei confronti di chi è stato temporaneamente sospeso dall'amministrazione dei beni per finalità antimafia ai sensi dell'articolo 3-quater della legge n. 575 del 1965.
La lettera e) sostituisce la lettera a) del comma 9 dell'articolo 14, la quale, attualmente, prevede la revoca, da parte del Fondo, dei provvedimenti di erogazione del mutuo e della provvisionale ed il recupero delle somme già erogate se il procedimento penale per usura (in relazione al quale i benefici economici sono stati concessi) si conclude con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione.
Ferma restando tale ipotesi, il testo novellato esclude esplicitamente la revoca nel caso di archiviazione del procedimento penale per prescrizione del reato, per amnistia o morte dell'imputato ovvero nel caso in cui il giudice debba emettere sentenza, in qualsiasi fase o grado del processo, ai sensi dell'articolo 129, comma 1, del codice di procedura penale, qualora sussistano elementi documentati, univoci e concordanti in ordine al danno subito dalla vittima dell'usura.
Inoltre la lettera e) inserisce una nuova lettera a-bis) nel predetto comma 9, ai sensi della quale il mutuo è revocato anche nel caso in cui il procedimento penale non possa proseguire ulteriormente per prescrizione del reato, per amnistia o morte dell'imputato e il giudice debba emettere il provvedimento di archiviazione o la sentenza, qualora allo stato degli atti non esistano elementi documentati, univoci e concordanti tali da dimostrare che la vittima del reato ha subito danni per effetto degli interessi usurari o di altri vantaggi usurari.
In merito alla nuova lettera a-bis) non ritiene chiaro come possano sussistere ipotesi nelle quali la vittima è stata costretta corrispondere interessi o altri vantaggi usurari senza subire danno.
Il comma 2 modifica la composizione della Commissione che gestisce il Fondo per la prevenzione del fenomeno dell'usura, novellando l'articolo 15, comma 8, della legge n. 108 del 1996.
In dettaglio, la disposizione amplia da 6 a 8 il numero dei componenti della Commissione, prevedendo che, oltre ai due componenti nominati ciascuno dal Ministero dell'economia, dal Ministero dello sviluppo economico, e dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, due componenti sono nominati dal Ministero dell'interno, di cui uno è il Commissario straordinario antiracket). La norma, confermando la gratuità dell'incarico dei commissari, stabilisce, inoltre,

Pag. 37

la qualifica minima (dirigenti di seconda fascia) dei funzionari membri della Commissione e detta i criteri di validità delle riunioni e delle deliberazioni dell'organo.
Il comma 3 trasforma in delitto l'attuale reato contravvenzionale di cui all'articolo 16, comma 9, della legge n. 108, previsto per colui che - nell'esercizio di attività bancaria, di intermediazione finanziaria o di mediazione creditizia - indirizza una persona, per operazioni bancarie o finanziarie, a un soggetto non abilitato. Alla pena attuale, consistente nell'arresto fino a due anni o nell'ammenda da 2.065 a 10.329 euro è sostituita la reclusione da due a quattro anni.
Il comma 4 aggiunge all'articolo 17 della legge n. 108, un nuovo comma 6-ter in materia di riabilitazione del debitore protestato, in forza del quale si prevede la possibilità di presentare un'unica domanda di riabilitazione anche per più protesti, ove compresi nell'arco temporale di tre anni, purché il protestato abbia adempiuto alla relativa obbligazione e non abbia subìto ulteriore protesto trascorso un anno dal precedente.
L'articolo 2 apporta alcune modifiche alla legge n. 44 del 1999, recante disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, la quale ha, tra l'altro unificato in un unico Fondo i due Fondi di solidarietà antiusura e antiracket.
In particolare, il comma 1, lettera a), sostituisce il comma 1 dell'articolo 3, al fine di precisare che l'evento lesivo il quale costituisce il presupposto per l'elargizione a favore dei soggetti vittime di estorsioni, prevista dalla legge n. 44, ricorre in presenza di un danno a beni mobili o immobili, o di lesioni personali o di mancato guadagno inerente all'attività esercitata.
La lettera a-bis) aggiunge inoltre nel medesimo comma 1 dell'articolo 3 della legge n. 44 due nuovi commi.
Il nuovo comma 1-bis, in analogia con quanto previsto dal nuovo comma 2-bis dell'articolo 14 della legge n. 108 del 1996, introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera a), della proposta di legge, consente, con riferimento ai soggetti vittime di usura, l'elargizione prevista dalla legge n. 44 del 1999 anche in favore di imprenditori individuali dichiarati falliti, su parere favorevole del giudice delegato. La disposizione precisa che il mutuo non è concedibile all'imprenditore indagato, imputato o condannato per bancarotta semplice e fraudolenta, nonché per delitti contro il patrimonio, l'economia pubblica, l'industria e il commercio (a meno di riabilitazione) e che, se il mutuo è già concesso a favore dell'imprenditore indagato o imputato per i citati reati, ne è comunque sospesa l'erogazione fino al termine del relativo procedimento penale.
Il nuovo comma 1-ter prevede, in analogia con quanto disposto dal nuovo comma 2-ter dell'articolo 14 della legge n. 108 del 1996, introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera a), della proposta di legge, che l'elargizione non è imputabile alla massa fallimentare né alle successive attività dell'imprenditore individuale fallito e può essere destinata solo ad attività economiche di tipo imprenditoriale. La disposizione precisa inoltre che il ricavato netto è destinato per metà all'attivo fallimentare e per metà a fini produttivi e di investimento.
Per quanto riguarda gli ambiti di competenza della Commissione Finanze segnala la lettera b-bis), la quale introduce nella legge n. 44 del 1999 un nuovo articolo 18-ter, ai sensi del quale gli enti locali possono disporre l'esonero parziale o totale, ovvero il rimborso, parziale o totale, di tributi locali, nonché tariffe e canoni locali in favore dei soggetti esercenti un'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o comunque economica, ovvero arti o professione, che subiscono un danno o lesioni personali, in conseguenza di delitti commessi allo scopo di costringerli ad aderire a richieste estorsive.
Tale previsione riprende sostanzialmente il contenuto della risoluzione 7-00085 Causi, esaminata dalla Commissione Finanze.
La disposizione precisa che gli oneri derivanti dal riconoscimento di tali benefici

Pag. 38

rimane a carico dei bilanci degli enti locali che li hanno disposti, senza modificare gli obiettivi di finanza pubblica assegnati agli stessi nel quadro del Patto di stabilità interno.
La lettera c) sostituisce la lettera d) dell'articolo 19 della legge n. 44, in materia di composizione del Comitato di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura presso il Ministero dell'interno, prevedendo la nomina dei tre rappresentanti delle associazioni antiracket, avvenga su designazione da parte delle associazioni più rappresentative a livello nazionale, e stabilendo che i criteri di rappresentatività siano proposti dal Commissario straordinario e dettati con decreto dal Ministro dell'interno.
La lettera d) introduce numerose modifiche all'articolo 20 della legge n. 44, in materia di sospensione di termini in favore dei soggetti che abbiano richiesto o nel cui interesse sia stata richiesta l'elargizione per gli eventi estorsivi.
In dettaglio, attraverso l'integrale sostituzione del comma 1, il numero 1) prevede la proroga di 12 mesi, invece che di soli 300 giorni come attualmente previsto, dei termini di scadenza degli adempimenti amministrativi e per il pagamento dei ratei dei mutui bancari e ipotecari, nonché di ogni altro atto esecutivo, che ricadano entro l'anno dall'evento lesivo determinato dall'estorsione; è prevista, inoltre, la possibilità di un'ulteriore proroga annuale nel caso in cui il termine si esaurisca prime della conclusione del procedimento di accesso all'unificato Fondo di solidarietà, nonché per la durata del procedimento stesso, quando questa sia inferiore a 12 mesi.
Il numero 3) modifica il comma 7, prevedendo che, ai fini dell'efficacia delle sospensioni dei termini, sia necessario il parere favorevole del Procuratore della Repubblica competente per le indagini sull'estorsione, piuttosto che, come nel testo attuale, del Prefetto competente per territorio, sentito il Presidente del tribunale. Si precisa, inoltre, che, in presenza di una pluralità di procedimenti penali riguardanti la medesima persona offesa, la competenza spetta al Procuratore della Repubblica competente sul procedimento iniziato per primo.
Il numero 4) introduce nell'articolo 20 due commi aggiuntivi: il nuovo comma 7-bis prevede che il Prefetto, dopo aver ricevuto la domanda di elargizione, compili l'elenco delle procedure esecutive in corso a carico del richiedente, informando senza ritardo il Procuratore della Repubblica competente, il quale trasmette entro sette giorni il proprio parere al giudice dell'esecuzione.
Attiene agli aspetti di competenza della Commissione Finanze anche il nuovo comma 7-ter dell'articolo 20, il quale prevede che, per i soggetti che abbiano richiesto o nel cui interesse sia stata richiesta l'elargizione, in caso procedure esecutive che riguardino debiti nei confronti dell'erario non possano essere applicati interessi e sanzioni nei confronti del soggetto oggetto dell'esecuzione, a partire dal giorno d'inizio dell'evento lesivo fino al termine del periodo di sospensione o di proroga dei termini.
Ancora con riferimento agli ambiti di competenza della Commissione Finanze, l'articolo 3 interviene sull'articolo 1, comma 881, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), in materia di consorzi di garanzia collettiva fidi (confidi), il quale ha previsto che i predetti confidi, provvedono ad imputare al fondo consortile o al capitale sociale le risorse proprie costituite da fondi rischi o da altri fondi o riserve patrimoniali derivanti da contributi dello Stato, degli enti locali o territoriali o di altri enti pubblici, le quali sono attribuite unitariamente al patrimonio a fini di vigilanza dei relativi confidi, senza vincoli di destinazione.
In tale contesto la disposizione integra la formulazione del predetto comma 881, prevedendo che i vincoli di destinazione, soppressi da tale disposizione con riferimento ai confidi in genere, permangano in relazione ai soggetti beneficiari del Fondo per la prevenzione del fenomeno dell'usura.

Pag. 39

L'articolo 4 novella l'articolo 629 del codice penale, relativo al delitto di estorsione, incrementando la multa prevista, la cui entità passa da un ammontare compreso tra 516 e 2.065 euro ad un ammontare compreso tra 1.000 e 4.000 euro, nonché, per la fattispecie aggravata, da un ammontare compreso tra 1.032 e 3.098 euro ad un ammontare compreso tra 5.000 e 15.000 euro.
Gli articoli da 5 a 10 sono stati soppressi durante l'esame in sede referente presso la II Commissione.
Per quanto riguarda gli aspetti rilevanti per le competenze della Commissione Finanze, l'articolo 11 modifica l'articolo 41 del decreto legislativo n. 231 del 2007, in materia di prevenzione del riciclaggio, il quale disciplina i casi in cui gli intermediari finanziari e gli altri soggetti esercenti attività finanziaria hanno l'obbligo di segnalare le operazioni finanziarie sospette all'Unità di informazione finanziaria (UIF) presso la Banca d'Italia.
In tale contesto la novella stabilisce che tale obbligo di segnalazione delle operazioni finanziarie vige anche quando si sospetti che siano in corso o che siano state compiute o tentate attività usurarie.
L'articolo 12 novella l'articolo 135 del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, stabilendo che anche la condanna irrevocabile dell'appaltatore per usura e riciclaggio (oltre che per frode) comporta l'obbligo, per il responsabile del procedimento, di proporre alla stazione appaltante la risoluzione del contratto.
Come ricordato in precedenza, il Capo II della proposta di legge introduce nell'ordinamento italiano uno speciale procedimento volto a comporre le cosiddette «crisi da sovraindebitamento», ovvero le crisi di liquidità del singolo debitore, ovvero di famiglie o imprese, non assoggettabili alle ordinarie procedure concorsuali.
Tale tematica assume particolare rilevanza per la Commissione Finanze, in particolare in considerazione del fatto che il livello di indebitamento delle famiglie italiane, tradizionalmente molto basso, ha registrato nel corso degli ultimi anni un incremento, pur rimanendo molto al di sotto della media degli altri Paesi avanzati, in particolare degli Stati Uniti degli altri Paesi anglosassoni, ponendo conseguentemente problemi in precedenza estranei al Paese.
In tale contesto è evidente come le misure in materia di sovraindebitamento recate dalla proposta di legge rivestano specifico interesse, in quanto arricchiscono l'ordinamento nazionale di uno strumento finalizzato a far fronte a tale nuovo scenario.
Inoltre segnala come l'individuazione di modalità più snelle, rispetto alle vigenti procedure fallimentari, per tutelare i diritti dei creditori, possa costituire un elemento molto utile al fine di agevolare l'erogazione del credito nei confronti delle famiglie e degli operatori produttivi di minori dimensioni, la quale trova invece un elemento di ostacolo proprio nella farraginosità delle procedure per il recupero dei crediti, soprattutto in una fase, come quella attuale, caratterizzata da una diffusa crisi economica che sta aggravando la percentuale di incagli e sofferenze bancarie.
Al riguardo ricorda che la Commissione sta svolgendo un'indagine conoscitiva sul credito al consumo, nel corso della quale tali problematiche sono state evidenziate da alcuni dei soggetti auditi, i quali hanno evidenziato la rilevanza delle norme in materia di sovraindebitamento contenute nel provvedimento in esame.
In particolare, l'articolo 13, comma 2, reca la definizione di sovraindebitamento, che viene qualificato come «una situazione di perdurante squilibrio fra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte», nonché come definitiva incapacità del debitore a far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni. Si tratta, in pratica, della mancanza - protratta nel tempo - di risorse economiche per far fronte agli impegni assunti, analoga a quella che può determinare il fallimento dell'imprenditore commerciale.

Pag. 40

Per porre rimedio a tale situazione di crisi, il comma 1 prevede la possibilità, per il debitore, di giungere ad un accordo con i creditori, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti, la cui procedura di concordato è modellata sul concordato fallimentare, il quale è ritenuto atto a soddisfare i creditori in misura maggiore rispetto alle ordinarie procedure esecutive.
L'articolo 14, comma 2, individua i presupposti per l'accesso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, che consistono:
nella non assoggettabilità a fallimento del debitore (non deve dunque trattarsi di imprenditori che esercitano una attività commerciale);
nel fatto che il debitore deve percepire un reddito o essere titolare, anche in comunione, di beni immobili, di beni mobili o di crediti: qualora tali beni o redditi non sono sufficienti a garantire la fattibilità del piano, sarà necessario l'intervento di un garante;
nel fatto che il debitore non deve aver fatto ricorso - nei precedenti tre anni - alla medesima procedura di composizione della crisi.

Qualora ricorrano i predetti requisiti, il comma 1 prevede che il debitore possa proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti, sulla base di un apposito piano. La proposta potrà essere formulata con il supporto degli organismi di composizione della crisi con sede nel circondario del tribunale competente, e dovrà comunque garantire il regolare pagamento dei creditori che rimangano estranei alla procedura. Il piano dovrà inoltre stabilire le scadenze e modalità di pagamento dei creditori, le eventuali garanzie e le modalità di eventuale liquidazione dei beni; esso può inoltre prevedere l'affidamento del patrimonio del debitore ad un fiduciario, ai fini della liquidazione, custodia e distribuzione del ricavato tra i creditori.
L'articolo 15 definisce il contenuto della proposta di accordo, che dovrà essere formulata, ai sensi del comma 1, in modo da consentire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti eventualmente anche attraverso redditi futuri.
Qualora i beni e i redditi del debitore non siano tali da garantire tale risultato, il comma 2 prevede che egli potrà ricorrere ad uno o più garanti, che dovranno sottoscrivere a loro volta la proposta di accordo e conferire, anche in garanzia, redditi o beni sufficienti per attuare il piano.
In base al comma 3 nella proposta di accordo il debitore potrà impegnarsi a non indebitarsi ulteriormente mediante credito al consumo, utilizzo di carte di credito, sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari.
Il comma 3-bis contempla l'ipotesi che il piano preveda una moratoria non superiore ad un anno dei pagamenti ai creditori estranei al piano stesso, nel caso in cui sussistano tutte le seguenti condizioni: il piano sia idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza della moratoria; l'esecuzione del piano sia affidato ad un liquidatore nominato dal giudice; la moratoria non riguardi crediti impignorabili.
L'articolo 16 disciplina le modalità di presentazione della proposta di accordo, che, in base al comma 1, deve essere depositata presso il tribunale del luogo di residenza o la sede del debitore.
Ai sensi del comma 2 il debitore, oltre alla proposta di accordo, dovrà depositare:
l'elenco di tutti i creditori, con l'indicazione delle somme dovute;
l'elenco dei beni di cui dispone e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni;
le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;
l'attestazione sulla fattibilità del piano, resa dall'organismo di composizione della crisi, ai sensi dell'articolo 24, comma 2;

Pag. 41

l'indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia;
l'elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia.

Se il debitore svolge attività d'impresa - pur non essendo assoggettabile a fallimento - ai sensi del comma 3 egli deve altresì depositare le scritture contabili degli ultimi tre esercizi, allegando una dichiarazione che ne attesta la conformità all'originale.
L'articolo 17 delinea il procedimento che segue al deposito della proposta di accordo, stabilendo innanzitutto, al comma 1, che il giudice, dopo aver verificato i presupposti di ammissibilità della proposta di accordo, fissa con decreto l'udienza e comunica ai creditori la data della stessa, i contenuti della proposta di accordo, ed il decreto contenente l'avvertimento dei provvedimenti di sospensione delle azioni esecutive che egli può adottare ai sensi del comma 3.
Il comma 2 prevede che, con il decreto di cui al comma 1, sia disposta idonea forma di pubblicità della proposta di accordo; nel caso in cui il debitore proponente svolga attività d'impresa la proposta è pubblicata inoltre in un'apposita sezione del registro delle imprese.
In base ai commi 3 e 4, nel corso dell'udienza il giudice dispone, per un periodo non superiore a 120 giorni dall'udienza stessa, che nei confronti del debitore non possano essere avviate o proseguite, a pena di nullità, azioni esecutive, né disposti sequestri conservativi o acquistati diritti di prelazione sul suo patrimonio; tale sospensione non si applica tuttavia ai titolari di crediti impignorabili. Per lo stesso periodo le prescrizioni rimarranno sospese e le decadenze non si verificheranno.
Il comma 5 specifica che le procedure esecutive individuali possono essere sospese ai sensi del comma 3 solo una volta.
Il comma 6 richiama inoltre, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, i quali disciplinano i procedimenti in camera di consiglio.
L'articolo 18 prevede, al comma 1, che i creditori devono comunicare all'organismo di composizione della crisi il proprio assenso o dissenso alla proposta di accordo, come eventualmente modificata.
Il comma 3 specifica che la proposta di accordo, per essere omologata ai sensi dell'articolo 19, deve essere accettata da creditori che rappresentino almeno il 70 per cento dei crediti. In ogni caso, in base al comma 3-bis, l'accordo non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei soggetti coobbligati dei fideiussori del debitore e di coloro che siano obbligati in via di regresso.
Il comma 4 precisa che, in caso di approvazione, l'accordo non determina, di regola la novazione, dei crediti, mentre il comma 5 prevede che il debitore possa presentare anche una proposta di transazione fiscale, ai sensi dell'articolo 182-ter della legge fallimentare di cui al regio decreto n. 267 del 1942.
L'articolo 19 disciplina il procedimento di omologazione dell'accordo, prevedendo, al comma 1, che l'organismo di composizione della crisi trasmette a tutti i creditori una relazione sui consensi espressi in merito all'accordo stesso e sulla percentuale di accettazione dell'accordo, allegando il testo dello stesso. La disposizione stabilisce inoltre che, entro dieci giorni dal ricevimento della relazione, i creditori possano sollevare eventuali contestazioni. Decorso tale termine l'organismo di composizione trasmette al giudice la relazione, allegando le eventuali contestazioni dei creditori ed un'attestazione circa la fattibilità del piano.
Il comma 2 stabilisce che il giudice, qualora verifichi il raggiungimento dell'adesione all'accordo da parte dei creditori nella percentuale del 70 per cento prevista dal comma 3 dell'articolo 17, verifichi altresì l'idoneità del piano ad assicurare il pagamento dei creditori estranei, e sia stata risolta ogni altra contestazione, omologa l'accordo, disponendone l'immediata pubblicazione. Anche

Pag. 42

in questo caso si richiamano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 737 e seguenti del Codice di procedura penale, e si prevede che il reclamo avverso le decisioni del giudice in tale sede si propongono al Tribunale.
In base al comma 3, a partire dalla data di omologazione dell'accordo, e per un periodo massimo di un anno, l'accordo prevede gli effetti di inibizione o sospensione delle azioni esecutive e dei sequestri conservativi sul patrimonio del debitore previsti dall'articolo 17, comma 3. Tuttavia, in base al comma 4, tali effetti vengono meno in caso di risoluzione dell'accordo o di mancato pagamento dei creditori estranei, il cui accertamento può essere chiesto al giudice con ricorso in camera di consiglio.
Il comma 6 specifica altresì che la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l'accordo.
L'articolo 20 disciplina l'ipotesi in cui per dar corso all'accordo sia necessario procedere alla cessione di beni già sottoposti a pignoramento, stabilendo, in tal caso, al comma 1, che il giudice, su proposta dell'organismo di composizione della crisi, proceda alla nomina di un liquidatore, il quale dispone in via esclusiva dei beni e delle somme incassate.
Ai fini della nomina del liquidatore la disposizione richiama le previsioni di cui all'articolo 28 della legge fallimentare, relative alla nomina del curatore fallimentare, il quale può essere scelto tra avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti, studi professionali associati o società tra professionisti.
Il comma 2 prevede che l'organismo di composizione della crisi risolva le eventuali difficoltà sorte nell'esecuzione dell'accordo e vigili sul suo adempimento, comunicando ai creditori le eventuali irregolarità; la disposizione specifica che le eventuali contestazioni relative alla violazione di diritti soggettivi ed alla sostituzione del liquidatore saranno decise dal giudice investito della procedura.
In base al comma 3 il giudice, dopo aver sentito il liquidatore ed aver verificato la conformità dell'atto dispositivo all'accordo ed al piano, autorizza lo svincolo delle somme ed ordina la cancellazione del pignoramento, delle iscrizioni relative a prelazioni o di ogni altro vincolo sul bene oggetto dell'atto di disposizione.
Il comma 4 precisa che i pagamenti e gli atti di disposizione dei beni assunti in violazione dell'accordo e del piano sono nulli.
L'articolo 21 disciplina le ipotesi di annullamento dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, prevedendo, al comma 1, che esso sia disposto dal tribunale, su istanza di qualsiasi creditore, solo nell'ipotesi in cui sia stato dolosamente aumentato o diminuito il passivo, sia stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero simulate dolosamente attività inesistenti.
Il comma 2 disciplina invece il caso di risoluzione dell'accordo, che può essere disposto dal tribunale, previo ricorso di un creditore, nelle ipotesi in cui:
il proponente non adempie regolarmente agli obblighi derivanti dall'accordo;
le garanzie promesse non vengono costituite;
l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore.

Ai sensi del comma 3 il ricorso per la risoluzione deve essere presentato entro il termine perentorio di un anno dalla data dell'ultimo adempimento previsto dall'accordo.
Il comma 3-bis specifica che l'annullamento e la risoluzione dell'accordo non pregiudicano comunque i diritti dei terzi in buona fede.
Anche in questo caso si richiamano, al comma 4, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 737 e seguenti del Codice di procedura penale, in materia di procedimenti in camera di consiglio.
L'articolo 22 disciplina gli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento,

Pag. 43

i quali, in base al comma 1, possono essere costituiti ad hoc da enti pubblici e devono assicurare adeguate garanzie di indipendenza e professionalità. Tali organismi devono inoltre essere iscritti, secondo il comma 2, in apposito registro presso il Ministero della giustizia
Ai sensi del comma 3 il predetto registro è disciplinato con regolamento emanato con decreto ministeriale, il quale regola la formazione dell'elenco, la sua revisione, le modalità di iscrizione e le cause di sospensione e cancellazione degli iscritti. A tale riguardo il comma 4 specifica che le camere di conciliazione presso le Camere di commercio, nonché i segretariati sociali per l'informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari, previsti dalla legge quadro sui servizi sociali, a domanda, sono iscritti di diritto nel registro, analogamente agli ordini professionali degli avvocati, dei notai, dei commercialisti ed esperti contabili.
I commi 5 e 6 precisano che la costituzione degli organismi dovrà avvenire senza oneri a carico della finanza pubblica, che i componenti non hanno diritto ad alcun rimborso, compenso o indennità e che le relative attività saranno svolte nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.
L'articolo 23 stabilisce che, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro di cui all'articolo 22, comma 3, gli organismi di composizione della crisi devono depositare presso Ministro della giustizia il proprio regolamento di procedura e devono comunicare le eventuali variazioni.
L'articolo 24, comma 1, precisa che gli organismi di composizione delle crisi, oltre alle funzioni indicate negli articoli 18, 19 e 20 in merito alla procedura per la composizione delle crisi da sovraindebitamento, svolgono anche attività di assistenza al debitore finalizzate al superamento della crisi di liquidità, con particolare riferimento alla predisposizione del piano di ristrutturazione da proporre ai creditori.
Il comma 2 prevede che l'organismo verifichi la fattibilità del piano, previa verifica della veridicità dei dati comunicati dal debitore, e trasmetta al giudice la relazione sui consensi dei creditori alla proposta di accordo e sull'eventuale raggiungimento della maggioranza dei consensi in merito.
Il comma 3 prevede inoltre che l'organismo esegua la pubblicità della proposta e dell'eventuale accordo ed effettui le comunicazioni disposte dal giudice in merito.
Con specifico riferimento agli aspetti di competenza della Commissione Finanze, l'articolo 25, comma 1, consente al giudice della procedura e agli organismi di conciliazione di accedere, per lo svolgimento dei compiti previsti dal Capo II della proposta di legge, ai dati dell'anagrafe tributaria, ai sistemi di informazioni creditizie, alle centrali rischi ed alle altre banche dati pubbliche, nel rispetto del codice della privacy di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003 e delle previsioni del Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, di cui al provvedimento dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali n. 8 del 16 novembre 2004.
Per quanto riguarda l'anagrafe tributaria ricorda che essa raccoglie e ordina i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce fiscali presentate all'Amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie rilevanti a fini tributari. Sui dati e le notizie raccolti nell'anagrafe tributaria vige, ai sensi dell'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 605 del 1973, il segreto d'ufficio, e l'accesso agli archivi in essa contenuti è specificamente disciplinata da disposizioni dell'Amministrazione finanziaria che prevedono un sistema di autorizzazione per gli accessi, anche alla luce delle prescrizioni fornite in merito dall'Autorità garante per la protezione dei dati personali.
Rammenta inoltre che i sistemi di informazioni creditizie sono costituiti da banche dati, concernenti richieste o rapporti

Pag. 44

di credito, gestite da persone giuridiche, enti, associazioni o organismi privati, consultabili solo dai soggetti che comunicano le informazioni registrate presso di esse e partecipano al relativo sistema informativo.
Le centrali rischi cui fa riferimento la disposizione dovrebbero invece intendersi come la Centrale rischi della Banca d'Italia, il Servizio centralizzato di rilevazione dei rischi di importo contenuto (CRIC) e la Centrale d'allarme interbancaria (CAI).
In merito a tali ultime banche dati ricorda che:
nella Centrale rischi della Banca d'Italia sono archiviate le informazioni sull'indebitamento dei clienti delle banche e degli intermediari vigilati dalla stessa Banca d'Italia, relativamente alle esposizioni nei confronti del singolo cliente che superino un determinato limite;
il Servizio centralizzato di rilevazione dei rischi di importo contenuto (CRIC), che è gestito dalla società SIA-SSB in accordo con Banca d'Italia e l'ABI, ha l'obiettivo di censire gli affidamenti di tutto il sistema bancario e finanziario di importo inferiore al limite minimo previsto per la Centrale rischi di Banca d'Italia e superiore al limite massimo stabilito per le operazioni di credito al consumo;
nella Centrale d'allarme interbancaria (CAI) sono contenuti sostanzialmente i dati relativi alle persone fisiche o agli enti traenti assegni emessi senza autorizzazione o senza provvista nonché ai titolari delle carte di pagamento per le quali sia stata revocata l'autorizzazione all'utilizzo in conseguenza del mancato pagamento o della mancata costituzione dei fondi relativi alle transazioni effettuate, nonché i dati relativi agli elementi identificativi dei predetti assegni o carte.

In merito alle norme del comma 1 sottolinea in primo luogo l'estrema delicatezza della previsione che consente l'accesso, senza alcuna forma di autorizzazione, controllo o limitazione, ai dati dell'anagrafe tributaria. Ciò appare problematico in particolare per quanto riguarda gli organismi di conciliazione, costituiti da soggetti privati e da categorie professionali, le quali potrebbero trovarsi in una condizione di conflitto di interesse tra l'utilizzo di tali dati nell'esercizio dei compiti e delle attività proprie degli organismi di conciliazione e lo svolgimento delle proprie attività professionali di patrocinio ed assistenza ai clienti.
Al riguardo segnala pertanto l'opportunità di circoscrivere l'accesso all'anagrafe tributaria al solo giudice della procedura, ovvero di prevedere che il giudice stesso, in presenza di specifiche condizioni, possa, di volta in volta, autorizzare con proprio provvedimento l'organismo di conciliazione ad accedere ai dati dell'anagrafe, nonché, comunque, di prevedere che le modalità di accesso all'anagrafe tributaria da parte dei soggetti indicati dall'articolo 25-bis siano disciplinate con provvedimento dell'Agenzia delle entrate, previo parere dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali.
Inoltre, con specifico riferimento ai dati contenuti nelle cosiddette «centrali rischi», segnala l'opportunità di specificare a quali banche dati faccia riferimento la disposizione, nonché prevedere che l'utilizzo dei dati contenuti preso di esse avvenga nel rispetto anche delle previsioni di cui alle «Linee guida per trattamenti dati relativi al rapporto banca-clientela» stabilite con provvedimento dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2007, in quanto applicabili.
Il comma 1-bis precisa che i dati personali acquisiti ai sensi del comma 1 possono essere trattati e conservati esclusivamente per i fini della procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento e solo per la durata della stessa, al termine della quale essi dovranno essere distrutti. L'avvenuta distruzione è comunicata dal titolare dei dati non oltre 15 giorni dalla stessa, con lettera raccomandata o a mezzo posta elettronica certificata.

Pag. 45

Rileva altresì direttamente per gli aspetti di competenza della Commissione Finanze l'articolo 25-bis, il quale prevede che la stipula dell'accordo consente ai creditori di dedurre dal reddito d'impresa le perdite su crediti, ai sensi dell'articolo 101, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e che le operazioni e gli atti della procedura sono esenti da imposte e tasse.
In merito alla previsione relativa alla deducibilità delle perdite su crediti, rileva innanzitutto come la disposizione non indichi esplicitamente che la predetta deduzione si applica alle sole perdite relative ai crediti oggetto dell'accordo.
Inoltre segnala come il richiamato comma 5 dell'articolo 101 del TUIR subordini, al primo periodo, la deducibilità delle perdite su crediti alla condizione che il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali (tra le quali il medesimo comma 5, secondo periodo, annovera il fallimento), laddove invece, ai sensi dell'articolo 14, comma 2, lettera a), la possibilità di accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento è esclusa per i debitori assoggettabili alle procedure fallimentari. A tale riguardo sarebbe pertanto opportuno specificare che la deducibilità è consentita in deroga al requisito indicato dal primo periodo del comma 5 dell'articolo 101 del TUIR.
Sottolinea inoltre, più in generale, come le agevolazioni fiscali appena descritte siano passibili di determinare minori entrate erariali, per le quali non si indica alcuna forma di copertura finanziaria.
L'articolo 26, comma 1, punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il debitore che:
al fine di ottenere l'accesso alla procedura, aumenta o diminuisce il passivo, sottrae o dissimula una parte rilevante dell'attivo ovvero simula dolosamente attività inesistenti;
al fine di ottenere l'accesso alla procedura, produce documentazione contraffatta o alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile;
nel corso della procedura, effettua pagamenti non previsti nel piano, fatto salvo il regolare pagamento dei creditori estranei;
dopo il deposito della proposta di accordo, aggrava la sua posizione debitoria;
non rispetta intenzionalmente i contenuti dell'accordo.

Il comma 2 stabilisce che sia punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro il componente dell'organismo di composizione della crisi che rende false attestazioni in ordine all'esito della votazione dei creditori sulla proposta di accordo, ovvero in ordine alla veridicità dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati, ovvero ancora in ordine alla fattibilità del piano stesso. Ai sensi del comma 3 la medesima pena si applica al componente dell'organismo di composizione che cagioni danno ai creditori omettendo o rifiutando senza giustificato motivo un atto del suo ufficio.
L'articolo 27, comma 1, dispone che il Ministro della giustizia, con propri decreti, stabilisca la data a decorrere dalla quale i compiti e le funzioni attribuite agli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento possono essere svolti dagli stessi in via esclusiva, eventualmente anche fissando date diverse in ragione dei diversi circondari di tribunale.
In base al comma 2, prima di tale data, tali compiti possono essere svolti da un professionista, che abbia i requisiti per la nomina a curatore fallimentare, ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato; il predetto professionista è a tal

Pag. 46

fine equiparato dal comma 3, anche agli effetti penali, al componente dell'organismo di composizione della crisi.
Il comma 4 prevede che annualmente il Ministro della giustizia trasmetta alle Camere una relazione sullo stato di attuazione della legge.
Il Capo III, costituito dall'articolo 28, disciplina l'entrata in vigore del provvedimento.
Ritiene quindi opportuno dare il tempo alla Commissione di approfondire le complesse tematiche coinvolte dal provvedimento, riservandosi di formulare una proposta di parere anche alla luce del dibattito.

Gianfranco CONTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Principi fondamentali in materia di governo delle attività cliniche per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale.
Testo unificato C. 799 ed abbinate.
(Parere alla XII Commissione).
(Esame, ai sensi dell'articolo 73, comma 1-bis del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria, e conclusione - Parere favorevole con condizione).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Vincenzo Antonio FONTANA (PdL), relatore, rileva come la Commissione sia chiamata ad esprimere il parere alla XII Commissione Affari sociali, ai sensi dell'articolo 73, comma 1-bis del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria, sul testo unificato delle proposte di legge C. 799 ed abbinate, come risultante dagli emendamenti approvati dalla Commissione di merito, recante i principi fondamentali in materia di Governo delle attività cliniche per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale.
L'articolo 1 stabilisce, ai commi 1 e 3, che il governo delle attività cliniche è disciplinato dalle Regioni, nel rispetto dei principi fondamentali indicati dall'intervento legislativo, al fine di garantire un modello organizzativo idoneo a rispondere alle esigenze degli utenti e dei professionisti impegnati nel Servizio sanitario nazionale, salvaguardando il miglioramento della qualità ed il rispetto dei principi di equità e di universalità nell'accesso ai servizi. La disposizione precisa, al comma 3-bis, che restano comunque salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, che provvedono alle finalità della legge ai sensi dei rispettivi statuti.
In tale contesto il comma 2 specifica che il governo delle attività cliniche delle aziende sanitarie locali o ospedaliere e degli istituti di ricovero o cura a carattere scientifico (IRCCS) è attuato con la partecipazione del Collegio di direzione dell'azienda sanitaria.
L'articolo 2, comma 1, modificando il comma 1-quater dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 502 del 1992, recante il riordino della disciplina in materia sanitaria, inserisce il Collegio di direzione tra gli organi delle aziende sanitarie.
Il comma 2 sostituisce il comma 1 dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 502, stabilendo che il predetto Collegio di direzione concorre alla pianificazione strategica delle attività e degli sviluppi gestionali e organizzativi dell'azienda sanitaria, oltre che alla valutazione dei risultati conseguiti. Al Collegio è inoltre attribuito il potere di esprimere un parere obbligatorio sull'atto aziendale, sui programmi di ricerca, sugli obiettivi della contrattazione integrativa aziendale e sul piano aziendale di formazione del personale medico e sanitario.
Il comma 3 sostituisce il comma 2 del predetto articolo 17, stabilendo che le Regioni disciplinino l'attività e la composizione del Collegio di direzione, al quale partecipano di diritto il Direttore sanitario ed il Direttore amministrativo, nonché due rappresentanti delle unità

Pag. 47

operative, un rappresentante dei Direttori di dipartimento ed un rappresentante delle professioni sanitarie.
L'articolo 3 apporta modifiche all'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502, relativamente ai requisiti e criteri di valutazione dei Direttori generali delle aziende sanitarie.
In particolare si prevede che le procedure di selezione dei Direttori generali siano rese pubbliche anche attraverso i siti internet delle Regioni. Inoltre si definiscono i requisiti dei candidati alla carica di Direttore generale, i quali saranno valutati da una Commissione nominata da ogni singola Regione.
Si stabilisce altresì che le Regioni determinino preventivamente criteri e sistemi di valutazione e verifica dell'attività dei Direttori, in coerenza con le linee guida approvate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome. In tale contesto si prevede che la conferma o la mancata conferma in carica del Direttore generale sia disposta con provvedimento motivato, pubblicato sui siti internet della Regione e dell'azienda sanitaria interessata.
Per quanto riguarda il trattamento economico dei Direttori generali, esso è stabilito in misura pari al trattamento massimo comprensivo previsto per le posizioni apicali della dirigenza medica, incrementato del 20 per cento ed eventualmente integrabile di un'ulteriore quota del 20 per cento in ragione dei risultati ottenuti. Il trattamento economico del Direttore sanitario e del Direttore amministrativo dell'azienda sanitaria non può superare l'85 per cento di quello spettante al Direttore generale.
L'articolo 3-bis, comma 1, inserisce un nuovo comma nell'articolo 7-quater del decreto legislativo n. 502, relativamente all'organizzazione del Dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria. In particolare si stabilisce che i dirigenti ingegneri del Dipartimento che esplichino in modo diretto attività inerenti alla tutela della salute e della sicurezza, sono inquadrati nel ruolo sanitario e parificati ai veterinari di pari posizione funzionale.
Il comma 2 precisa che il nuovo inquadramento opera dal 1o gennaio 2009 e che al personale interessato è riconosciuta a fini giuridici l'anzianità effettivamente prestata.
L'articolo 4 modifica l'articolo 15-ter del già citato decreto legislativo. n. 502 del 1992, relativamente alle modalità di attribuzione degli incarichi di natura professionale e di direzione di struttura semplice e complessa all'interno del Servizio sanitario nazionale. La disposizione precisa, peraltro, che le modifiche operano nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, senza nuove o maggiori oneri per la finanza pubblica.
In particolare il nuovo comma 1 del predetto articolo 15-ter stabilisce che gli incarichi di natura professionale sono attribuiti, a tempo determinato, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili e nei limiti numerici e strutturali stabiliti nell'atto aziendale. Viene inoltre stabilito che i compiti e le funzioni professionali anche di alta specializzazione, di consulenza, studio ed ispettive, siano attribuite dal Direttore generale, su proposta del Direttore sanitario, d'intesa con il Collegio di direzione, conformemente alla contrattazione collettiva e tenendo conto delle valutazioni del Collegio tecnico.
Inoltre si prevede che gli incarichi di struttura semplice sono attribuiti dal Direttore generale, su proposta del dirigente di struttura complessa, sentito il collegio di dipartimento, a un dirigente con una anzianità di servizio di almeno cinque anni nella disciplina oggetto dell'incarico, mentre che gli incarichi di struttura semplice a livello dipartimentale sono attribuiti dal Direttore generale, su proposta del Comitato di dipartimento, previo parere favorevole del Collegio di direzione e del Direttore sanitario, secondo modalità definite nella contrattazione collettiva nazionale.
Gli incarichi di funzioni hanno durata non inferiore a tre anni e non superiore a cinque, con facoltà di rinnovo per lo stesso periodo o uno più breve.

Pag. 48

Il nuovo comma 2 dell'articolo 15-ter interviene invece sulle modalità di conferimento degli incarichi di struttura complessa, sottolineando, in particolare, che l'attribuzione dell'incarico di direzione di struttura complessa è effettuata dal Direttore generale, previo avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. La norma prevede altresì che il giudizio motivato su ciascun candidato sia formulato da una commissione nominata dal Direttore generale, costituita di tre membri individuati mediante pubblico sorteggio da un elenco regionale. Nel formulare i giudizi la commissione deve considerare, distintamente, i titoli professionali, scientifici e di carriera posseduti dai candidati, nonché i risultati di eventuali prove d'esame.
Al comma 4 dell'articolo 15-ter sono altresì aggiunti alcuni periodi, con i quali si specifica che al dirigente responsabile di struttura semplice sono attribuite risorse umane e tecnologiche, al fine di espletare le funzioni di direzione ed organizzazione, della struttura medesima, che si esplicano anche attraverso direttive al personale ed ai dirigenti con funzioni professionali.
L'articolo 5 stabilisce che le regioni definiscano gli strumenti per la valutazione dei Direttori di struttura sanitaria complessa e dei Direttori di Dipartimento delle aziende sanitarie, prevedendo che essi indichino la quantità di prestazioni sanitarie da erogare e contemplino anche indici di soddisfazione degli utenti.
L'articolo 6 sostituisce l'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 502, in materia di organizzazione dei dipartimenti delle aziende sanitarie.
In particolare si prevede che l'organizzazione dipartimentale costituisca il modello ordinario di gestione operativa, non solo di tutte le attività delle aziende sanitarie locali, ma anche delle aziende ospedaliere.
Inoltre si stabilisce che la nomina del Direttore di dipartimento è effettuata dal Direttore generale dell'azienda, sentito il Collegio di direzione, su proposta del comitato di dipartimento tra una terna di dirigenti con incarico di struttura complessa.
In tale contesto si prevede altresì che le Regioni disciplinino le competenze dei dipartimenti, nonché le modalità assegnazione e gestione delle relative risorse, e che le aziende adottino l'organizzazione dei dipartimenti stessi entro dodici mesi dall'entrata in vigore del provvedimento, decorsi i quali il Direttore generale dell'azienda è privato della quota variabile della sua retribuzione.
L'articolo 7 inserisce un nuovo articolo 17-ter nel decreto legislativo n. 502, il quale introduce disposizioni volte a statuire le responsabilità dei direttori di dipartimento.
In particolare ai direttori sono attribuite, nell'ambito delle rispettive competenze definite dalla normativa regionale, responsabilità di indirizzo e di valutazione delle attività clinico-assistenziali e tecnico-sanitarie, volte a garantire che ogni assistito abbia accesso ai servizi secondo i princìpi di ottimizzazione dell'uso delle risorse assegnate, di appropriatezza clinica e organizzativa dell'attività, di efficacia delle prestazioni in base alle evidenze scientifiche, e di minimizzazione del rischio di effetti indesiderati e di soddisfazione dei cittadini. In tale contesto si prevede inoltre l'attribuzione al direttore del dipartimento dei compiti di organizzazione e gestione flessibile dei posti letto.
L'articolo 8, comma 1, modificando il comma 1 dell'articolo 15-novies del già citato decreto legislativo n. 502, dispone che il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici e sanitari del Servizio sanitario nazionale, compresi i direttori di struttura complessa, è fissato in 70 anni.
Per i professori universitari che siano impegnati in progetti di ricerca clinica il comma 2 prevede la possibilità di continuare a svolgere l'attività di ricerca prevista dal progetto anche oltre il limite di età per il collocamento a riposo.
Il comma 2-bis interviene sulla formulazione dell'articolo 72, comma 11, del

Pag. 49

decreto-legge n. 112 del 2008, il quale sancisce la possibilità, per le pubbliche amministrazioni, di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale del personale dipendente che abbia maturato un'anzianità contributiva di 40 anni, al fine di escludere dall'applicazione di tale previsione anche tutti i dirigenti medici, veterinari e sanitari del Servizio sanitario nazionale, oltre che, come già previsto, i magistrati, i professori universitari ed i dirigenti medici responsabili di struttura complessa.
L'articolo 9 individua i principi fondamentali cui le regioni dovranno attenersi nella disciplina dell'attività libero professionale dei dirigenti medici e sanitari del Servizio sanitario nazionale.
In particolare si stabilisce che il rapporto di lavoro del dirigente medico e sanitario è incompatibile con ogni altro lavoro indipendente e con altri rapporti, anche di natura convenzionale, con il Servizio sanitario nazionale, e che il rapporto stesso può svolgersi nelle seguenti forme: rapporto non esclusivo; rapporto esclusivo ed attività libero-professionale intramuraria; rapporto esclusivo ed attività libero-professionale intramuraria allargata.
Si prevede altresì che le regioni definiscano le modalità di esercizio dell'attività libero-professionale in termini tali che i volumi di queste ultime non siano superiori, per ciascun dipendente, alle prestazioni assicurate per i compiti istituzionali, al fine di assicurare un corretto ed equilibrato rapporto tra le due tipologie di attività.
Inoltre si stabilisce che l'azienda sanitaria possa decidere se attivare o meno la libera professione intramuraria, la quale sarà gestita dall'azienda sanitaria in modo distinto dall'attività istituzionale, e secondo tariffe professionali definite dal singolo dirigente sanitario, d'intesa con l'azienda sanitaria, previo accordo- quadro aziendale con le organizzazioni sanitarie.
Per quanto riguarda l'attività libero-professionale effettuata all'esterno delle strutture aziendali, essa sarà regolata dal Direttore generale dell'azienda sanitaria con apposito regolamento, e potrà essere svolta presso studi professionali privati o presso strutture private non convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, e comunque senza oneri né per l'azienda né per il professionista.
La disposizione specifica inoltre che ai dirigenti sanitari con rapporto di lavoro esclusivo è attribuita un'indennità di esclusività, la quale non è revocabile, salvo il caso di successiva opzione per il rapporto di lavoro non esclusivo.
L'articolo 10 reca disposizioni in materia di esercizio della libera professione intramuraria da parte degli operatori sanitari non medici.
A tale proposito si prevede che tali operatori, legati con rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato con le strutture sanitarie pubbliche, hanno il diritto di esercitare attività libero-professionale, al di fuori dell'orario di servizio, salvo che non sussista conflitto di interessi con le attività istituzionali e nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia. Tale attività libero-professionale può essere svolta anche in forma intramuraria ed allargata presso le aziende sanitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, le aziende ospedaliero-sanitarie e le strutture sanitarie convenzionate, secondo le modalità stabilite da tali enti con specifici regolamenti.
L'articolo 10-bis prevede che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano disciplinino l'attivazione, presso le aziende sanitarie ed ospedaliere e gli IRCCS, di servizi di ingegneria clinica, i quali hanno il compito di garantire l'uso sicuro, efficiente ed economico dei dispositivi medici, la manutenzione e le verifiche periodiche di tali dispositivi nonché di contribuire alla programmazione delle nuove acquisizioni ed alla formazione del personale in materia.
L'articolo 11 precisa l'ambito di applicazione dell'intervento legislativo, il quale si estende anche all'Ospedale Galliera di Genova, all'Ordine Mauriziano, agli enti di ricerca, agli istituti ed enti

Pag. 50

ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitano l'assistenza ospedaliera, agli ospedali evangelici di Genova, Napoli, Torino, Pomaretto, e Torre Pellice, all'Ospedale Israelitico di Roma, nonché alle aziende ospedaliero-universitarie ed agli IRCCS pubblici.
Il Sottosegretario Daniele MOLGORA, con riferimento all'articolo 10 del testo unificato in esame, il quale introduce, anche per gli operatori sanitari non medici che operino con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato nelle strutture sanitarie pubbliche, la possibilità di esercitare attività libero-professionale, sottolinea l'esigenza di chiarire il regime tributario applicabile in materia, specificando che anche i redditi derivanti da tali attività sono assimilati a quelli di lavoro dipendente, ai sensi dell'articolo 50, comma 1, lettera e), del testo unico delle imposte sui redditi. Rileva infatti come, stante il carattere tassativo dell'elencazione dei redditi assimilati di cui al predetto articolo 50 del TUIR, in mancanza di tale chiarimento potrebbero sorgere dubbi riguardo al trattamento fiscale di tali compensi, che finirebbero in tal caso per essere qualificati quali redditi da lavoro autonomo.

Vincenzo Antonio FONTANA (PdL), relatore, condivide i rilievi espressi dal Sottosegretario circa l'esigenza di specificare meglio il regime tributario dei redditi derivanti dalle attività libero professionali svolte dal personale sanitario non medico del Servizio sanitario nazionale, formulando una proposta di parere favorevole con una condizione (vedi allegato).

Sergio Antonio D'ANTONI (PD) sottolinea, in via generale, come l'aspetto più rilevante del provvedimento in esame riguardi le procedure di nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie, per le quali si prevede di mantenere la competenza degli organi politici; non ritiene pertanto che l'intervento legislativo presenti caratteri particolarmente innovativi, e che sia invece necessario porsi degli interrogativi circa l'opportunità di tale scelta legislativa nell'attuale momento sociale e politico.

Vincenzo Antonio FONTANA (PdL), relatore, in riferimento alle considerazioni espresse dal deputato D'Antoni rileva come le competenze in materia di nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie spettino alle regioni.

La Commissione approva la proposta di parere formulata dal relatore.

La seduta termina alle 13.25.

SEDE REFERENTE

Martedì 10 novembre 2009. - Presidenza del presidente Gianfranco CONTE. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Daniele Molgora.

La seduta comincia alle 13.25.

Disposizioni in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione delle società quotate in mercati regolamentati.
C. 2426 Golfo.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Gianfranco CONTE, presidente, evidenzia preliminarmente come la Commissione Finanze e Tesoro del Senato dovrebbe avviare, nella seduta odierna, l'esame di due proposte di legge aventi oggetto identico a quello del provvedimento che la Commissione si accinge ora ad esaminare. Ritiene pertanto opportuno stabilire, attraverso le intese tra il Presidente della Camera e il Presidente del Senato previste dall'articolo 78 del Regolamento, quale ramo del Parlamento debba procedere prioritariamente nell'esame dell'intervento legislativo.

Pag. 51

Silvana Andreina COMAROLI (LNP), relatore, rileva come la Commissione sia chiamata ad esaminare in sede referente la proposta di legge C. 2426 Golfo, recante disposizioni in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione delle società quotate in mercati regolamentati.
Evidenzia quindi come la ragione fondamentale che ha spinto i presentatori a formulare una proposta di legge volta a favorire un maggiore equilibrio tra i generi sessuali nella partecipazione agli organi di amministrazione delle società quotate sia il bassissimo numero di donne presenti negli organi di amministrazione delle società italiane, in particolare per quanto riguarda le società quotate in borsa.
Secondo i dati richiamati dalla relazione illustrativa della proposta, le statistiche della Commissione europea indicano infatti che l'Italia è ventinovesima (su 33 Paesi censiti) per numero di donne presenti nei consigli di amministrazione delle società quotate (e conta solo il 4 per cento di amministratori di sesso femminile, contro una media dell'Unione europea a 27 membri dell'11 per cento) seguito solo da Malta, Cipro, Lussemburgo e Portogallo.
Dati ancora più preoccupanti emergono qualora si considerino i consigli di amministrazione delle prime trecento società europee, di cui 23 italiane: in tale contesto, infatti, la European Professional Women Network indica che, in seno a tali 23 società italiane, su 375 posti negli organi di amministrazione, solo 8 sono occupate da esponenti del sesso femminile, inchiodando l'Italia al sedicesimo posto, su 17, della relativa classifica.
Tale situazione, oltre a segnalare i ritardi nel raggiungimento di un'effettiva parità tra i generi, costituisce un elemento di ritardo culturale che pregiudica il grado di internazionalizzazione delle imprese italiane e rischia di allargare la distanza del nostro sistema economico rispetto al contesto internazionale, nel quale si osserva la tendenza delle società più importanti sul mercato ad aprire in misura sempre maggiore i propri organi di amministrazione a professionisti di nazionalità diversa da quella della società, in particolare di sesso femminile.
Rileva quindi come il tema affrontato dalla proposta di legge non costituisca solo un problema di «genere», di tutela, cioè, dei diritti delle donne, ma rappresenti soprattutto un problema di modernizzazione e di rafforzamento del tessuto economico e professionale del Paese, il quale deve potersi avvalere, per sostenere le sfide poste dalla concorrenza internazionale, delle risorse umane, intellettuali ed imprenditoriali delle donne, anche attraendo le migliori intelligenze manageriali femminili presenti sul mercato europeo e internazionale.
Inoltre, il superamento di questa situazione di grave squilibrio tra generi rappresenta un elemento fondamentale per migliorare la mobilità sociale del Paese, la quale costituisce a sua volta una delle molle fondamentali per lo sviluppo, non solo economico, dell'Italia.
Evidenzia infatti come la sostanziale marginalità delle risorse professionali femminili costituisca la spia di incrostazioni storiche e culturali che rischiano di condannare il Paese, nel lungo periodo, alla stagnazione, e come un maggiore coinvolgimento delle donne all'interno delle imprese potrebbe rappresentare uno stimolo potente all'innovazione del sistema.
Inoltre, una partecipazione più attiva a qualificata dell'universo femminile ai segmenti elevati della vita professionale ed imprenditoriale potrebbe favorire il superamento dell'attuale crisi delle classi dirigenti, contribuendo ad eliminare meccanismi familistici o di cooptazione e ad orientare i processi di selezione verso logiche improntate maggiormente al merito.
In tale contesto sottolinea come le norme recate dalla proposta di legge trovino interessanti precedenti in altri ordinamenti europei, nei quali sono state già adottate misure positive, in alcuni casi ben più incisive, per incentivare la partecipazione delle donne alla vita societaria.

Pag. 52

In particolare, la Norvegia ha approvato nel 2003 una legge in materia che impone alle aziende una presenza minima del 40 per cento di donne negli organi esecutivi, a pena di scioglimento, che ha comportato in quel Paese un drastico incremento della percentuale dei dirigenti di sesso femminile, che è passata dal 6 per cento del 2001 al 33 per cento.
In tale contesto evidenzia peraltro come un intervento di sostegno alla presenza delle donne nei settori «alti» del mondo imprenditoriale dovrebbe accompagnarsi ad una riflessione, più ampia e generale, sulle tematiche della partecipazione femminile al mondo del lavoro legale, che tuttavia esulano dall'ambito della proposta di legge in esame e dalle stesse competenze della Commissione Finanze. A tale proposito ricorda infatti come il livello di occupazione femminile in Italia risulti ancora particolarmente basso rispetto alla media raggiunta dai Paesi dell'Unione europea, e costituisca, com'è noto, uno degli elementi di criticità del mercato del lavoro nazionale.
Passo quindi ad analizzare il contenuto della proposta di legge, essa si compone di soli 2 articoli.
L'articolo 1 inserisce due nuovi commi nell'articolo 147-ter del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, il quale detta disposizioni in materia di elezione e composizione del consiglio di amministrazione delle società con azioni quotate.
In particolare il nuovo comma 1-bis stabilisce che gli statuti delle società quotate prevedano che il riparto degli amministratori da eleggere è effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi. La disposizione specifica che tale equilibrio si intende raggiunto quando almeno un terzo dei componenti eletti dell'organo amministrativo della società appartiene al genere meno rappresentato all'interno dell'organo stesso.
La norma sembra doversi intendere nel senso che l'introduzione negli statuti delle società quotate di criteri per l'equilibrio tra i generi sessuali nella composizione degli organi di amministrazione è obbligatorio, e non rappresenta una mera facoltà per le società; ciò risulta del resto confermato dal tenore della relazione illustrativa allegata alla proposta di legge.
Per quanto riguarda l'ambito di applicazione della previsione, dal momento che la novella è riferita al solo articolo 147-ter del TUF, il quale regola l'elezione e composizione del consiglio di amministrazione, essa si estende solo alle società quotate che utilizzino il modello societario cosiddetto «tradizionale», che prevede la presenza dell'assemblea dei soci, del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale. Viceversa, il tenore letterale della disposizione indica che essa non si applicherebbe alle società che utilizzino il sistema cosiddetto «duale», articolato in un consiglio di sorveglianza ed in un consiglio di gestione, la cui composizione è oggetto di specifica previsione da parte dell'articolo 147-quater del TUF, né alle società che, ai sensi degli articoli 2409-octies e seguenti del codice civile, adottino il sistema «monastico», basato sul consiglio di amministrazione e su un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno.
Tale scelta normativa può essere certamente oggetto di ulteriore riflessione.
Quanto al merito della nuova previsione, essa è formulata in termini neutri, in quanto la riserva di un terzo dei posti in consiglio non si applica in riferimento al genere maschile o a quello femminile, ma al genere che risulti meno rappresentato nel consiglio: pertanto la norma si applicherebbe anche qualora la componente meno rappresentata risultasse quella maschile.
Tale formulazione è evidentemente finalizzata a definire una norma di generale applicazione, nonché ad evitare, come indicato dalla relazione illustrativa, che essa possa risultare discriminatoria e dunque passibile di sollevare rilievi di legittimità costituzionale per violazione del principio di uguaglianza dei sessi dinanzi alla legge, sancito dall'articolo 3, primo comma, della Costituzione.

Pag. 53

Inoltre la previsione, come ricordato in precedenza, si riferisce alle sole società quotate: si tratta, evidentemente, di una delle opzioni che sarebbero state tecnicamente percorribili, e che risponde a diversi ordini di ragioni.
In primo luogo, in tal modo si circoscrive l'impatto cogente, e, dunque, dirigistico della norma, al fine di realizzare un equilibrio rispetto alla salvaguardia della libertà di iniziativa economica, anch'essa costituzionalmente riconosciuta dall'articolo 41 della Carta fondamentale.
In secondo luogo, previsioni che impongano limiti minimi all'equilibrio tra i generi nell'ambito degli organismi societari meglio si inseriscono nella realtà delle società quotate, le quali, proprio in quanto strutturalmente aperte alla partecipazione del pubblico al capitale, dovrebbero impiegare modelli di gestione più strutturati ed «oggettivi», che meglio si prestano ad una regolamentazione analitica sulla composizione degli organi di amministrazione.
Ben più problematico risulterebbe invece sottoporre a tali regole le società non quotate, in particolare le società di persone e quelle a responsabilità limitata, caratterizzate molto spesso da assetti di controllo prevalentemente familiare e da una struttura organizzativa più semplice, le quali rappresentano una quota molto ampia del panorama imprenditoriale italiano, e che mal si attaglierebbero ad un siffatto, penetrante intervento pubblicistico.
Inoltre tale opzione consente di ancorare le nuove previsioni al quadro normativo, ricco ed articolato, del TUF, in cui gli interventi pubblicistici nella sfera organizzativa delle società trovano fondamento nell'esigenza di garantire la tutela costituzionale del risparmio, e che già detta disposizioni specifiche in materia di composizione dei consigli di amministrazione.
In merito alla previsione del nuovo comma 1-bis dell'articolo 147-ter del TUF ritiene comunque opportuno approfondire la sua compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza, e, soprattutto, di libertà dell'iniziativa economica di cui all'articolo 41.
Il nuovo comma 1-ter demanda alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) il compito di stabilire, con proprio regolamento che dovrà essere emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione, le sanzioni per le società quotate che non ottemperano all'obbligo di cui al comma 1-bis.
A tale proposito rileva come la definizione delle sanzioni, soprattutto penali, ma anche solo amministrative, applicabili in caso di violazione dell'obbligo di cui al nuovo comma 1-bis, non possa essere lasciato ad una fronte normativa secondaria quale l'atto regolamentare, per di più in assenza di ogni indirizzo da parte del legislatore circa gli elementi essenziali della sanzione stessa, in considerazione della riserva di legge vigente in materia ai sensi degli articoli 23 e 25 della Costituzione.
Possono inoltre sollevarsi dubbi circa l'opportunità di introdurre sanzioni in materia, le quali potrebbero risultare sproporzionate rispetto alla violazione.
L'articolo 2 disciplina gli aspetti temporali relativi alle nuove norme introdotte dall'articolo 1, prevedendo che le disposizioni del comma 1-bis dell'articolo 147-ter del TUF si applicano a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione delle società quotate successivo alla data di entrata in vigore del provvedimento.
Rammenta infine che al Senato sono state presentate le proposte di legge A.S. 1719 Germontani e A.S. 1819 Bonfrisco, di contenuto quasi identico a quello della proposta di legge in esame, le quali saranno anch'esse esaminate dalla 6a Commissione del Senato a partire dalla seduta odierna.
A tale proposito condivide l'esigenza, già sottolineata dal Presidente, di promuovere le opportune intese tra il Presidente della Camera ed il Presidente del Senato al fine di coordinare i lavori delle due Commissioni.

Pag. 54

Ritiene quindi utile procedere ad una serie di audizioni per approfondire le tematiche coinvolte dall'intervento legislativo.

Lella GOLFO (PdL) ringrazia il relatore per l'esauriente illustrazione della sua proposta di legge, la quale trae spunto dall'esperienza da lei stessa maturata all'interno della Fondazione Bellisario relativamente alle problematiche concernenti la partecipazione delle donne al mondo delle imprese italiane.
A tale proposito sottolinea il dato, estremamente significativo, secondo cui, su un numero totale di circa 2.800 posti nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane, solo 167 sono attualmente occupati da persone di sesso femminile, rilevando come tale semplice elemento di fatto sia sufficiente a giustificare l'esigenza di rafforzare la presenza femminile degli organi di amministrazione di tali società.
Ricorda quindi che il testo della proposta di legge è stato inviato a tutte le società italiane quotate, molte delle quali (circa 67) hanno espresso su di essa una valutazione sostanzialmente positiva e che, nel medesimo contesto, si è proceduto, nei giorni scorsi, alla costituzione di un comitato di sostegno al provvedimento legislativo. Ritiene quindi che tanto il mondo imprenditoriale quanto l'opinione pubblica italiana abbiano raggiunto un'adeguata consapevolezza in ordine a tale problematica, e che sia pertanto maturo un intervento del legislatore in materia.

Gianfranco CONTE, presidente, condivide la proposta del relatore di procedere, nell'ambito dell'istruttoria legislativa sul provvedimento, ad una serie di audizioni, le quali saranno precisate dall'Ufficio di Presidenza, integrato dei rappresentanti dei gruppi, della Commissione, quando saranno state raggiunte le intese tra i Presidenti dei due rami del Parlamento ai sensi dell'articolo 78 del Regolamento.
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.40.