CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 16 settembre 2009
218.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
COMUNICATO
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COMITATO DEI NOVE

Mercoledì 16 settembre 2009.

Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore.
C. 624-635-1141-1312-1738-1764-ter-1830-1968-ter-A.

Il Comitato si è riunito dalle 9.40 alle 9.55.

SEDE CONSULTIVA

Mercoledì 16 settembre 2009. - Presidenza del presidente Giuseppe PALUMBO.

La seduta comincia alle 14.15.

Norme in favore dei lavoratori che assistono familiari gravemente disabili.
Nuovo testo unificato C. 82 Stucchi e abb.

(Parere alla XI Commissione).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Carmelo PORCU (PdL), relatore, ricorda che la Commissione è chiamata ad esprimere alla XI Commissione il prescritto parere sulle parti di competenza sul testo unificato delle proposte di legge n. 82 Stucchi e abbinate, come risultante dagli emendamenti approvati, recante: «Norme in favore dei lavoratori che assistono familiari gravemente disabili».

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Prima di passare a illustrare il contenuto della proposta in esame, ricorda che la Commissione, nella seduta del 30 ottobre 2008, deliberò, su sua proposta, di elevare un conflitto di competenza innanzi al Presidente della Camera dei deputati, al fine di ottenere che il provvedimento fosse assegnato alle Commissioni riunite XI e XII. Tali conflitto è stato risolto nel senso di confermare l'assegnazione alla XI Commissione, riconoscendo però il carattere rinforzato del parere della XII Commissione.
Ciò premesso, ricorda che l'articolo 1 della proposta in esame prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2010, ai lavoratori che si dedicano al lavoro di cura e di assistenza di familiari disabili in condizione di totale inabilità lavorativa, aventi una percentuale di invalidità uguale al 100 per cento, che assume connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e che necessitano di assistenza continua poiché non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, è riconosciuto, su richiesta, il diritto all'erogazione anticipata del trattamento pensionistico, purché abbiano compiuto il cinquantatreesimo anno di età, a seguito del versamento di almeno venticinque anni di contributi previdenziali, di cui almeno diciotto annualità versate nel periodo di costanza di assistenza al familiare convivente disabile. Nel caso di handicap congenito, certificato da una struttura pubblica afferente al Servizio sanitario nazionale, la costanza di assistenza è comunque calcolata dalla nascita. Il beneficio previdenziale è riconosciuto a condizione che il familiare disabile non sia stato ricoverato in modo continuativo - durante i citati diciotto anni - in un istituto specializzato a tempo pieno, ovvero non risulti stabilmente ricoverato, alla data di entrata in vigore della presente legge, in un istituto specializzato a tempo pieno. I lavoratori hanno diritto, inoltre, ai fini della determinazione del trattamento pensionistico, in ogni caso calcolato con il sistema previdenziale vigente, a una contribuzione figurativa di due mesi per ogni anno di contribuzione effettiva, per un massimo di quattro anni, purché versata in costanza di assistenza al familiare disabile. Il beneficio può essere goduto da un solo familiare convivente per ciascuna persona disabile e si applica al lavoratore che presta assistenza, purché abbia compiuto il cinquantatreesimo anno di età e indipendentemente dalla sua appartenenza al settore pubblico, al settore privato, alle libere professioni, al commercio o all'artigianato; esso non è cumulabile con benefìci analoghi ai fini pensionistici. Ai fini della legge in esame, per lavoratore si intende uno solo tra i seguenti soggetti: coniuge, genitore, fratello o sorella che convive e ha stabilmente convissuto con la persona disabile per il periodo per il quale si richiede il beneficio, da comprovare mediante apposita certificazione storico-anagrafica rilasciata dal comune di residenza, e che svolge un'attività lavorativa. Il beneficio può essere concesso al fratello o alla sorella del familiare disabile solamente se i genitori sono assenti o impossibilitati a prestare assistenza al familiare disabile per gravi motivi di salute, come attestato da apposita certificazione di morte o sanitaria rilasciata da una struttura pubblica afferente al Servizio sanitario nazionale, ovvero non convivano più con il familiare disabile, in quanto residenti in una località differente.
L'articolo 2 stabilisce che, limitatamente a uno dei genitori che assiste stabilmente il figlio disabile, è riconosciuta, oltre ai benefici citati, un'ulteriore contribuzione figurativa, ai fini della determinazione del trattamento pensionistico, in ogni caso calcolato con il sistema previdenziale vigente, di sei mesi ogni cinque anni di contribuzione effettiva, versata in costanza di assistenza al figlio disabile. Qualora la presenza nel nucleo familiare di figli disabili sia superiore all'unità, i benefìci previsti dalla presente legge spettano a entrambi i genitori.
L'articolo 3 prevede, limitatamente ai genitori che si sono dedicati al lavoro di cura e di assistenza di soggetti disabili per almeno quindici anni e che non hanno mai svolto un'attività lavorativa, la possibilità di versare i contributi volontari fino al

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raggiungimento dei venticinque anni di contribuzione, secondo le modalità previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro del personale domestico. Invece, limitatamente ai genitori che hanno dovuto lasciare la propria occupazione lavorativa per assistere con continuità per almeno quindici anni un figlio disabile, è prevista la possibilità di una contribuzione volontaria fino al raggiungimento dei venticinque anni di contribuzione. A entrambe le categorie di genitori è riconosciuto il diritto, ai fini della determinazione del trattamento pensionistico, in ogni caso calcolato con il sistema previdenziale vigente, a una contribuzione figurativa di due mesi per ogni anno di assistenza al familiare disabile.
L'articolo 4 stabilisce, altresì, che, ai fini del riconoscimento dei benefici di cui alla legge in esame, i soggetti in possesso dei requisiti necessari inviano un'apposita domanda all'ente previdenziale competente, riportante i dati anagrafici del richiedente e del familiare disabile assistito, e alla quale vengono allegati in originale o in copia conforme all'originale: a) certificazioni di invalidità al 100 per cento, totale inabilità lavorativa e condizione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, relativi al disabile assistito, rilasciati dalle Commissioni mediche preposte; b) ulteriore certificazione comprovante lo stato di disabilità risultante da apposita certificazione sanitaria rilasciata da una struttura pubblica afferente al Servizio sanitario nazionale, qualora il periodo di costanza di assistenza al familiare disabile abbia avuto inizio precedentemente all'accertamento della disabilità da parte delle Commissioni mediche preposte; c) dichiarazione di appartenenza all'elenco dei soggetti aventi diritto al beneficio e, nel caso si tratti di fratello o sorella, certificazione di morte o di impossibilità, per gravi motivi di salute, del genitore ad assistere il figlio disabile, come risultante da apposita certificazione sanitaria rilasciata da una struttura pubblica afferente al Servizio sanitario nazionale; d) certificato storico-anagrafico relativo alla convivenza nel periodo per il quale si richiede il beneficio; e) richiesta di anticipazione rispetto ai limiti di età previsti dalla normativa vigente ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia; f) certificazione del numero di annualità di contribuzione versate o accreditate in favore dell'assicurato e del numero di annualità di contribuzione versate nel periodo di assistenza al familiare disabile convivente.
L'articolo 5 reca, infine, la norma di copertura finanziaria dell'onere derivante dall'attuazione della legge in esame, valutato in 712,3 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2010.
L'unica osservazione che, sotto il profilo delle specifiche competenze della Commissione, può essere opportuno inserire nel parere alla XI Commissione riguarda la nozione di «handicap congenito», impiegata all'articolo 1, comma 1. Questa espressione, infatti, potrebbe escludere dal computo dell'assistenza sin dalla nascita i soggetti portatori di handicap provocato da eventi verificatisi nel corso del travaglio o del parto, che forse non può essere considerato, a rigore, «congenito». Pertanto, ritiene che sarebbe utile invitare la Commissione di merito a valutare l'opportunità di precisare meglio l'effettivo contenuto della norma.
Alla luce di quanto esposto, condividendo le finalità della proposta di legge in esame, rilevando l'elevato valore sociale delle disposizioni in essa contenute e sottolineando l'ampia convergenza politica che ne ha accompagnato l'approvazione presso la Commissione di merito, formula una proposta di parere favorevole con l'osservazione testé illustrata.

Maria Antonietta FARINA COSCIONI (PD) intende fare presente che il beneficio previsto nel testo in esame risulta destinato ai soli familiari e non anche ad altri soggetti che, pur non rientrando tra i familiari indicati nel testo, si siano comunque occupati stabilmente della persona disabile. In tal modo, ancora una volta, si considera il disabile come un soggetto passivo, incapace di assumere

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decisioni consapevoli in merito alla persona dalla quale farsi assistere, in palese contrasto con l'articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Propone quindi al relatore di inserire nella proposta di parere un'osservazione al fine di estendere anche ai conviventi il beneficio disposto dal provvedimento in esame.

Lucio BARANI (PdL) osserva che l'intervento della collega Farina Coscioni riguarda più strettamente il tema delle coppie di fatto, tema che, a suo avviso, dovrebbe essere affrontato in altra sede.

Giuseppe PALUMBO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni per la preparazione, il confezionamento e la distribuzione dei prodotti ortofrutticoli di quarta gamma.
Testo unificato C. 975 Brandolini e abb.

(Parere alla XIII Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Vittoria D'INCECCO (PD), relatore, ricorda che la Commissione è chiamata ad esprimere alla XIII Commissione il prescritto parere sulle parti di competenza del testo unificato delle proposte di legge n. 975 Brandolini e n. 2513 Rainieri, recante: «Disposizioni per la preparazione, il confezionamento e la distribuzione dei prodotti ortofrutticoli di quarta gamma».
Al riguardo, ricorda che la XIII Commissione intende richiedere il trasferimento della proposta di legge in esame alla sede legislativa e, a tal fine, necessita dei pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva.
Passando al contenuto del testo unificato, fa presente che l'articolo 1 definisce l'oggetto della legge: essa disciplina la preparazione, il confezionamento e la distribuzione dei prodotti ortofrutticoli di quarta gamma destinati all'alimentazione umana, come definiti ai sensi dell'articolo 2.
L'articolo 2, appunto, definisce prodotti ortofrutticoli di quarta gamma i prodotti ortofrutticoli freschi, confezionati, pronti per il consumo che, dopo la raccolta, sono sottoposti a processi tecnologici di minima entità atti a valorizzarli seguendo le buone pratiche di lavorazione articolate nelle seguenti fasi: selezione, cernita, eventuale monda e taglio, lavaggio, asciugatura e confezionamento in buste o in vaschette sigillate, con eventuale utilizzo di atmosfera protettiva.
L'articolo 3 prevede che i prodotti ortofrutticoli di quarta gamma possono essere confezionati singolarmente o in miscela, in contenitori di peso e di dimensioni diversi. È consentita l'eventuale aggiunta, in quantità percentualmente limitata, di ingredienti di origine vegetale non freschi o secchi. I prodotti ortofrutticoli di quarta gamma, inoltre, possono essere distribuiti nelle catene commerciali tradizionali o mediante distributori automatici, purché siano rispettati i parametri stabiliti dal decreto di cui all'articolo 4. Qualora i prodotti ortofrutticoli di quarta gamma siano distribuiti al consumatore nella ristorazione scolastica, le produzioni vegetali utilizzate devono provenire prevalentemente dal territorio nazionale ed essere preferibilmente garantite nella «tracciabilità».
L'articolo 4 stabilisce, infine, che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, definisce, con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, i parametri chimico-fisici e igienico-sanitari del ciclo produttivo, del confezionamento, della conservazione e della distribuzione dei prodotti ortofrutticoli di quarta gamma, nonché le informazioni che devono essere riportate sulle confezioni a tutela del consumatore.

Lucio BARANI (PdL), in considerazione dell'urgenza per la XIII Commissione di

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acquisire i pareri delle Commissioni ai fini del trasferimento di sede, propone di esprimere il parere nella seduta odierna.

Giuseppe PALUMBO, presidente, fa presente che, se non vi sono contrarietà da parte del relatore, si può senz'altro procedere come indicato dall'onorevole Barani.

Vittoria D'INCECCO (PD), relatore, alla luce dell'intervento svolto dal collega Barani, propone di esprimere alla XIII Commissione un parere favorevole.

Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 14.40.

SEDE REFERENTE

Mercoledì 16 settembre 2009. - Presidenza del presidente Giuseppe PALUMBO. - Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali Eugenia Maria Roccella.

La seduta comincia alle 14.40.

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.
C. 2350, approvata in un testo unificato dal Senato, C. 625 Binetti, C. 784 Rossa, C. 1280 Farina Coscioni, C. 1597 Binetti, C. 1606 Pollastrini, C. 1764-bis Cota, C. 1840 Della Vedova, C. 1876 Aniello Formisano, C. 1968-bis Saltamartini, C. 2038 Buttiglione e C. 2124 Di Virgilio.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 15 settembre 2009.

Giuseppe PALUMBO, presidente, avverte che è stato richiesto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sia assicurata anche attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, dispone l'attivazione del circuito.

Rita BERNARDINI (PD) ricorda che, nel corso della seduta antimeridiana, l'Assemblea della Camera ha approvato la proposta di legge in materia di cure palliative e che, nella seduta in sede consultiva appena conclusasi, la Commissione ha esaminato la proposta di legge in materia di assistenza ai familiari con disabilità gravi: si tratta di due provvedimenti che vertono su temi assai vicini a quelli delle proposte di legge in esame. In particolare, come hanno già ricordato le colleghe Livia Turco e Farina Coscioni, i progetti di legge in materia di cure palliative e di testamento biologico avrebbero dovuto essere unificati, perché le due problematiche sono tra loro strettamente connesse. Ricorda, quindi, la vicenda di una famiglia siciliana che, purtroppo, sta sperimentando sulla propria pelle l'assenza, nella propria regione, di strutture idonee ad assistere i malati in stato vegetativo permanente, per i quali non vi è, dunque, altra soluzione che essere assistiti in famiglia - con costi elevatissimi, non solo dal punto di vista finanziario o essere ricoverati nei reparti di terapia intensiva e rianimazione. Quest'ultima soluzione, in particolare, fa sì che ingenti risorse strumentali e finanziarie vengano sottratte ai malati che ne avrebbero veramente bisogno, per essere destinati a persone che, invece, necessiterebbero di un'assistenza di tipo diverso e di contenuto tecnologico assai minore. Anche l'esempio di questa famiglia siciliana conferma, a suo avviso, la necessità di ascoltare le persone che quotidianamente si misurano con la problematica su cui vertono le proposte di legge in esame. Osserva, inoltre, che il testo trasmesso dal Senato sembra scritto da persone dimentiche del passo evangelico contro quanti legano pesanti fardelli e li pongono sulle spalle degli altri, mentre loro stessi non sarebbero disposti a muoverli neanche con un dito. Ricorda, quindi, la condanna di monsignor Sgreccia nei

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confronti della procreazione assistita con selezione degli embrioni, praticata in Turchia, che diede la possibilità ad una coppia italiana di dare alla luce un figlio non talassemico: a suo avviso, alcune disposizioni del testo trasmesso dal Senato appaiono ispirate alla stessa logica che è dato rinvenire nella posizione di monsignor Sgreccia. Nel complesso, ritiene che il testo approvato dal Senato sia destinato a peggiorare il quadro normativo attuale, al punto da rendere preferibile l'assenza di un intervento legislativo, in mancanza del quale si potrebbe comunque fare affidamento sulle leggi vigenti e, soprattutto, sulla Costituzione. Ritiene, infine, che bisogni avere il coraggio di riscoprire il significato autentico del termine «eutanasia»: difronte a un peso di un'esistenza divenuta insopportabile, dichiara di ritenere pienamente giustificate forme di disobbedienza civile, osservando come la mera possibilità teorica di una via d'uscita da queste situazioni aiuti spesso a vivere e accettare meglio la sofferenza.

Elisabetta ZAMPARUTTI (PD) osserva che dalla relazione svolta dal senatore Calabrò nell'Aula del Senato emergeva con chiarezza, come questione dirimente per tutto il dibattito in corso, la concezione della libertà propria dell'attuale maggioranza. Il senatore Calabrò ha infatti sostenuto che la libertà non è un valore assoluto, ma deve sottostare al bene collettivo. Enumerare quali e quante violenze siano state commesse dagli Stati in nome del «bene collettivo» richiederebbe un tempo assai lungo, ma ritiene che esse siano ben rappresentata dall'argomento che il Presidente del Consiglio utilizzò a riprova della piena vitalità di Eluana Englaro, il concetto cioè che Eluana Englaro poteva ancora essere messa incinta, una vitalità per la quale urgeva salvarla e sottrarla alla fame e alla sete a cui la si voleva condannare.
Sono queste, a suo avviso, le aberrazioni cui si può giungere in nome appunto del richiamo alle logiche del bene collettivo come bene supremo e superiore alla libertà: quella del Presidente Berlusconi è un'affermazione crudele che dimostra una visione crudele e violenta della vita e dello Stato e che fa della proposta di legge in esame un provvedimento crudele e violento, che si augura possa essere corretto, come auspicato da settori della stessa maggioranza, anche attraverso audizioni che permettano di conoscere e di approfondire il tema in discussione.
Osserva quindi che tutte le battaglie dei radicali hanno un connotato specifico: sono volte ad arricchire la sfera di intangibilità della dignità umana attraverso la conquista ed il riconoscimento di nuovi diritti umani e civili. Lo è stata anche la battaglia contro la pena di morte, condotta non come corollario del diritto alla vita, ma come battaglia per la conquista di un nuovo diritto umano, quello a non essere giustiziati per mano dello Stato; dunque una battaglia per arricchire il complesso dei diritti umani e civili dei cittadini del mondo e contenere, limitare il potere dello Stato sull'individuo. Un approccio laico e liberale diverso dai fondamentalismi della vita che si sono espressi anche alle Nazioni Unite nel corso del dibattito sulla moratoria della pena di morte, quando lo Stato del Vaticano presentò degli emendamenti volti a ribadire la sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale, con il sostegno di uno sparuto gruppo di Paesi come l'Arabia Saudita, il Sudan e, ovviamente, il teocratico Iran. Tali emendamenti sono stati ampiamente respinti dalla comunità internazionale e, comunque, sorprende che siano stati presentati dallo Stato del Vaticano, giunto, dopo un lungo percorso, a sostenere l'abolizione della pena di morte per via di un ragionamento pragmatico e non ideologico: quello per cui oggi la società ha altri mezzi e altri strumenti per combattere la criminalità. Auspica che il Vaticano abbia un approccio altrettanto pragmatico sul testamento biologico o sull'eutanasia: ciò sarebbe di grande aiuto, visto che la classe politica italiana appare incapace di compiere esercizi diversi dalla genuflessione.
Giudica inutile la vera e propria campagna volta ad alimentare l'equivoco che con la legge sul testamento biologico si

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voglia attribuire allo Stato un potere sulle vite dei cittadini, quando è vero esattamente il contrario: la battaglia che i radicali conducono oggi sul testamento biologico è nel segno delle battaglie per contenere lo Stato, per sottrargli un potere sulle vite delle persone, a difesa della facoltà della persona umana di scegliere se sottoporsi o meno ad alcune terapie.
Reputa inoltre un puro gioco di parole quello cui la maggioranza si è affidata per tentare di camuffare la realtà, per cui idratazione e alimentazione non sarebbero terapie ma sostegni vitali: esso serve solo a cercare di sottrarsi al confronto tra la concezione liberale e quella statalista del Governo.
Non è un caso, a suo avviso, che l'avanzare di posizioni illiberali e fondamentaliste avvenga in violazione di principi costituzionali più volte ricordati: l'articolo 32 della Costituzione, le norme internazionali contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sull'integrità della persona o nella Convenzione di Oviedo, che sanciscono il rispetto della volontà del paziente anche precedentemente espresso. Perché è dall'annientamento del diritto, della legge che traggono alimento e forza le posizioni illiberali.
Il padre di Eluana Englaro ha fatto scandalo proprio perché non ha voluto risolvere nel silenzio e nell'ipocrisia il dramma di sua figlia, perché ha creduto nella Costituzione, nella legge e nel diritto. Così facendo ha scosso e turbato le coscienze, le ha obbligate a interrogarsi, a scegliere e a dividersi, mostrando a tutti che la contrapposizione non è fra il partito della vita e quello della morte, ma fra chi difende il diritto di autodeterminazione della persona - e crede e lotta perché la volontà del paziente sia prevalente - e chi, invece, lo nega.
Ritiene che sia doveroso esser chiari: a decidere come vivere e come morire deve essere la persona, il paziente, non lo Stato, né la pietà e l'affetto dei familiari supportati. Nel caso dell'aborto, prima della legge n. 194 del 1978, questa zona d'ombra si chiamava «aborto clandestino»: gli esiti dei voti referendari promossi dai radicali sui temi civili dimostrano che i cittadini non accettano soluzioni clandestine ai grandi problemi sociali.
Ritiene che se questa legge sarà approvata nel testo trasmesso dal Senato, segnerà profondamente questa legislatura e dimostrerà l'errore di chi confonde la forza numerica di una maggioranza parlamentare con i diritti fondamentali della persona umana.

Marcello DE ANGELIS (PdL) esprime, innanzitutto, il proprio disagio per il clamore suscitato dalla vicenda di Eluana Englaro e per il fatto di non riuscire, suo malgrado, ad astrarre totalmente dalla propria esperienza personale, come sarebbe necessario fare per affrontare con serenità e razionalità una tematica così complessa. Del resto, ritiene che razionalità e serenità non abbiano, fino a questo momento, accompagnato l'esame del provvedimento, nella misura in cui sarebbe stato auspicabile. Inoltre, si fa spesso confusione tra il tema su cui vertono le proposte di legge in esame e il problema dell'eutanasia, laddove si tratta, con tutta evidenza, di questioni chiaramente distinte. Ricorda, altresì, la lettera del 1970 di Paolo VI ai medici cattolici, recentemente citata anche dal presidente della sezione milanese dell'Associazione dei medici cattolici, Giorgio Lambertenghi, nei cui contenuti dichiara di ritrovarsi pienamente. Invita, quindi, tutti i colleghi ad adoperarsi per evitare il rischio di un uso strumentale della legislazione su temi etici, che dovrebbero essere confinati nella coscienza di ciascuno, così come bisognerebbe evitare di agitare in sedi improprie le pur legittime convinzioni religiose di ciascuno. In proposito, sottolinea la necessità di un'autolimitazione del legislatore e di una riflessione approfondita su pratiche quali l'alimentazione e l'idratazione artificiale, che, in talune circostanze, possono perfino porsi in contrasto con i precetti morali e religiosi. Evidenzia, infine, la necessità di tenere nella massima considerazione il ruolo dell'alleanza terapeutica tra medico e paziente e della

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famiglia, insieme alla volontà espressa dalla persona interessata, che non può, in alcun caso, essere ignorata.

Marco CALGARO (PD) osserva che lavorare su un testo che diventerà legge dello Stato è cosa in sé delicata e di grande responsabilità, ma lo è ancora di più quando si predispone un articolato che affronta tematiche che presuppongono, da parte di ciascuno, il tentativo sincero di darsi e dare una risposta alle domande che più a fondo interrogano gli uomini di ogni epoca: chi sia l'uomo; che valore abbia la vita umana; se la libertà e l'autodeterminazione individuale debbano riconoscere dei limiti e quali; se uno Stato laico debba tutelare la vita umana a prescindere dalla sua qualità; se la persona umana si qualifichi come tale perché è in relazione e se, quando la capacità di relazionarsi ed interagire con il mondo esterno viene meno, abbia ancora senso tutelare la sola vita biologica; se quando un uomo o una donna è gravemente disabili e vede sempre più affievolirsi la sua capacità di coscienza e di relazione smetta per questo di essere padre, madre, figlio e diventi materiale biologico; quale sia il confine tra l'accanimento terapeutico e l'amorevole cura di una persona che soffre ed se sia possibile definirlo in un testo di legge; se la scienza permetta oggi risposte chiare e credibili sulla diagnosi e la prognosi di alcune situazioni patologiche di confine; se vi siano situazioni così delicate da far sì che il compito della legge sia quello di definire un percorso di decisione e i suoi protagonisti, senza dare risposte precostituite e perdersi in casistiche che non potranno mai essere esaustive; se la libertà di dare risposte in situazioni di grande sofferenza da parte di ciascuno sia o meno limitata dalla possibilità di ricevere un'assistenza adeguata e gratuita e dallo sperimentare una sensazione di amore e di attenzione profonda da parte del prossimo; se sia possibile assumere ora per allora decisioni sulla propria volontà di vivere e di affrontare percorsi terapeutici di grande sofferenza; se non è una delle caratteristiche principali dell'uomo quella di dare risposte diverse agli stessi interrogativi a seconda delle diverse situazioni di vita concreta che in quel preciso momento si stanno vivendo.
Per tutti questi motivi, il lavoro che la Commissione sta facendo è arduo e interroga le nostre convinzioni più profonde di ciascuno, le quali, per forza di cose, sono segnate e influenzate dalla propria esperienza di formazione culturale, di convinzione religiosa e di vita, con tutti i drammi e le angosce che questa comporta.
Tale premessa ha una sola finalità: quella di affermare che su temi così delicati è necessario grande rispetto, approfondimento delle posizioni altrui, libertà rispetto alle strette appartenenze di schieramento e di partito e convinzione che questi temi sono la palestra in cui si esercita - non in senso teorico, ma profondamente applicato - il concetto di laicità, che a suo parere, consiste nella capacità di ascoltare ed approfondire le posizioni altrui e di esporre le proprie in modo scientificamente, culturalmente ed esistenzialmente argomentato e, possibilmente, senza inquinamenti e pregiudizi ideologici o religiosi.
Quanto ha detto presuppone che si smetta di accusare chi non la pensa allo stesso modo di essere in malafede, conservatore, bigotto o «eterodiretto» e di definire chi, invece, acconsente alle medesime opinioni moderno, progressista, libero, intelligente.
Troppo spesso si ha l'impressione che su questi temi si parli senza ascoltarsi e, a volte, purtroppo anche senza rispettarsi.
La proposta di legge trasmessa dal Senato riconosce e tutela l'indisponibilità della vita umana a prescindere dalla sua qualità; inoltre, salvaguarda un principio che ritiene fondamentale, che è quello di non includere all'interno della dichiarazione anticipata di trattamento (DAT) le indicazioni circa l'idratazione o l'alimentazione, che, se rese cogenti, configurerebbero certamente, in casi come gli stati vegetativi persistenti, l'introduzione dell'eutanasia per fame e per sete.

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È però vero che questo testo è scritto così male e presenta tali e tanti problemi da essere inaccettabile ed non approvabile qualora non fosse modificato sostanzialmente.
Tralascia alcune osservazioni sull'articolato, che si riserva di fare nel prosieguo dell'esame, e si limita alle osservazioni che ritiene fondamentali per decidere l'atteggiamento da assumere nei confronti di questa proposta di legge.
L'articolo 2 tratta del «consenso informato» e, a questo proposito, fa notare che il consenso informato rappresenta il fondamento della «alleanza terapeutica medico-paziente-famiglia» e, in Italia, è andato affermandosi come la fondamentale ed indispensabile fonte di legittimazione dell'atto medico. Come è noto, la maggior parte del contenzioso penale in campo di responsabilità professionale ruota intorno al consenso informato. Pensa sia altrettanto noto a tutti che tale essenziale documento non è normato da una disciplina ad hoc, ma da diversi atti legislativi, e il provvedimento in esame potrebbe diventare il riferimento legislativo su questa delicata materia.
A fronte dell'importanza di questa materia, fa notare che sia al Senato (in Commissione ed in Aula) sia all'interno della Commissione l'esame si è al momento concentrato sulla DAT e sull'idratazione ed alimentazione, mentre si è poco approfondito il tema del consenso. Per questo motivo, ritiene indispensabile che nelle audizioni venga dedicata particolare attenzione a questo tema, attraverso la consultazione di esperti legali, medico-legali e magistrati. Sempre a questo proposito, sottolinea come, ad esempio, il modo in cui nel testo trasmesso del Senato viene trattato il consenso del minore è estremamente semplicistico e poco attento del fatto che il minore che ha 14 o 16 anni di età non è paragonabile al bambino e che, soprattutto nella società multiculturale, va probabilmente posta maggiore attenzione, anche da parte del legislatore, affinché sia garantita una corretta informazione e compartecipazione alle decisioni che lo riguardano.
Il comma 5 dell'articolo 3, che tratta dei contenuti e dei limiti della dichiarazione anticipata di trattamento, è uno dei punti nodali di questa legge e ritiene che proprio in questo comma vada reso esplicito il senso dell'alleanza terapeutica e la volontà di predisporre un percorso decisionale trasparente, che restituisca piena fiducia ed autonomia (nei limiti della legge) al rapporto medico-paziente-famiglia nelle situazioni di «fine vita». Non esplicitare questo concetto offrirebbe il fianco a chi dà di questa legge un'interpretazione punitiva, nei confronti del medico e del malato, proprio in quei momenti in cui l'alimentazione e l'idratazione possono anch'esse diventare accanimento.
A questo proposito, proporrà che il comma 5 sia riformulato nel modo seguente: «Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, tenutasi a New York il 13 dicembre 2006, l'alimentazione e l'idratazione sono forme di sostegno vitale e sono finalizzate ad alleviare le sofferenze; non possono quindi essere oggetto di DAT. Nei soggetti in fase terminale in stato di incoscienza, la loro modulazione e le vie di somministrazione sono da commisurare alle aspettative di sopravvivenza ed alle condizioni del paziente e debbono essere il frutto della interazione tra il medico curante, cui spetta la decisione finale, ed i familiari o il fiduciario (qualora il paziente abbia sottoscritto le DAT)».
Il comma 6 dell'articolo 3 è un altro dei punti nodali su cui occorre fare chiarezza, perché circoscrive la validità delle DAT ai soli pazienti in stato vegetativo, limitando l'intero intervento a poco più di mille pazienti in Italia. Questo è, a suo avviso, assolutamente inaccettabile e si configura come una grave mancanza di rispetto verso tutti coloro che ritengono importante la DAT. La DAT è una preziosa testimonianza dell'atteggiamento con cui ciascuno di noi si vuole porre rispetto alla fase terminale della sua vita, qualora si trovasse in situazione di incoscienza o non fosse comunque in grado di comprendere le informazioni su un trattamento sanitario

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e sulle sue conseguenze e non fosse, perciò, in grado di partecipare all'assunzione delle decisioni che lo riguardano.
Il comma 6 dell'articolo 4 pone, anch'esso, la necessità di un approfondimento; esso prevede che «condizioni di urgenza o quando il soggetto versi in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica. Anche a questo proposito invita a riflettere sulla opportunità di trovare il modo di corrispondere a due istanze che ritiene fondamentali e che non debbono essere fatte configgere: garantire il medico di fronte al fatto che, in una situazione di emergenza, egli, ignorando il contenuto della DAT, deve essere svincolato da ogni conseguenza derivante dal fatto di non conoscere la volontà del paziente; garantire in modo altrettanto forte il fatto che qualora il paziente abbia, nei modi individuati dalla legge, espresso con chiarezza la sua volontà di non essere sottoposto ad interventi straordinari nella fase terminale di alcune patologie (ad esempio, il paziente affetto da SLA che non desidera essere intubato), questa sua volontà deve essere perseguita, nei limiti riconosciuti dalla legge e con la libertà da parte del medico di non seguirle motivando.
L'articolo 5 è assolutamente carente e non tiene conto, se non superficialmente, delle famiglie e delle associazioni di famiglie e di volontariato che non chiedono che venga posta fine all'esistenza dei loro cari, ma che vengano aiutati a vivere meglio la grave situazione di disabilità in cui si trovano, perché anche in queste situazioni estreme è possibile, e loro lo testimoniano quotidianamente, aggiungere qualità alla vita. A questo proposito, sarà assolutamente indispensabile ascoltare le associazioni di familiari e di volontari che più volte hanno sottolineato come vi sia un'enorme disparità territoriale tra la possibilità, garantita per lo più al Nord, di ricevere assistenza domiciliare adeguata e completa per i pazienti in stato vegetativo, ed altre parti del Paese, ad esempio la Sicilia orientale, nelle quali le sacche da nutrizione enterale non vengono rimborsata dal Servizio sanitario nazionale. È poi del tutto evidente, a suo avviso, come sia necessario prevedere maggiori aiuti dal punto di vista, ad esempio, del pensionamento anticipato o dei periodi di assenza retribuita dal lavoro per quei familiari che decidono, con immensi sacrifici personali e grande risparmio per il Servizio sanitario nazionale, di tenere in casa pazienti in stato vegetativo.
All'articolo 7, comma 3, si prevede che, in caso di controversia tra il fiduciario e il medico curante, bisogna affidare la valutazione ad un collegio di medici e che il parere espresso da tale collegio non è vincolante per il medico curante, il quale non è tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni scientifiche e deontologiche. Mentre è assolutamente d'accordo, e questo è già sancito anche dal Codice deontologico, che il medico curante non sia tenuto a mettere in atto quanto deciso dal Collegio medico e possa rifiutare di continuare ad essere il curante, ritiene che sarebbe curioso non sancire che quanto deciso dal Collegio medico debba essere attuato sul paziente.
In conclusione, desidera ribadire la sua convinzione che sia possibile, se si lavora in modo un po' meno ideologico e molto attento al concreto dell'articolato, addivenire ad una buona legge, che contemperi la volontà degli italiani di poter documentare le loro volontà sul «fine vita», la assoluta necessità di tutelare e ribadire l'indisponibilità della vita umana a prescindere dalla sua qualità e la richiesta, che viene dal mondo medico, di vedere tutelate, dalla valorizzazione legislativa di precisi percorsi decisionali, le combattute determinazioni che quotidianamente i medici assumono sui pazienti in fase terminale.

Luisa BOSSA (PD) dichiara che su, un tema così delicato, ha il timore che le sue parole possano non essere comprese o esser fraintese. Perché, a suo avviso, la morte delle parole non è il silenzio, ma la parola mistificata, adulterata, falsa e ipocrita. È la parola che si vende e si compra, la parola schiava delle abitudini, delle consuetudini, dell'ovvio.

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Dichiara di essere cattolica e di credere nella vita, nella sua strenua difesa, nella sua sacralità e nella sua inviolabilità: ci crede così tanto da sapere di non poterne disporre. Da cattolica e da credente, non abortirebbe, così come non sceglierebbe mai di sopprimere una vita, né la sua né di quella di un'altra persona.
Tuttavia, proprio perché da cattolica conosce l'importanza della scelta, sa che uno Stato non deve determinare per legge una volontà della coscienza: le leggi dello Stato parlano a tutti. Cita alcune parole del Presidente Scalfaro, uomo del cui attaccamento alla fede cattolica nessuno può dubitare. «La voce della Chiesa dà luce e forza, ma chi ha responsabilità pubbliche deve discernere, governare, decidere per tutti e non solo per una parte». Sono parole chiare, che, peraltro, propongono in maniera limpida l'assunto dei padri costituenti.
Già dall'Assemblea costituente, infatti, fu preminente la ricerca di un denominatore comune sui temi dei diritti e della dignità delle persone. Ne nacque un documento eccezionale, del quale bisogna ringraziare grandi personalità, che resero un tale servizio al popolo italiano: si riferisce, nel mondo cattolico, a De Gasperi, La Pira, Dossetti, più tardi Aldo Moro e a tantissimi altri. Il grande tema, per i cattolici, era fare sintesi fra diritti e doveri del cittadino e diritti e doveri del cristiano, portare nella politica il pensiero filosofico che anima i principi cristiani, sempre con grande rispetto per le impostazioni altrui. Uscì un quadro di straordinario equilibrio.
Desidera ricordare, in particolare, l'articolo 32 della Costituzione, che stabilisce che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Fu Aldo Moro a lavorare su questo articolo, dicendo che questo limite andava posto perché chi legifera non cadesse nella tentazione dell'onnipotenza. Le sembra che, invece, la discussione condotta al Senato e ripresa qui alla Camera sul testamento biologico contenga esattamente questo pericolo.
Al Senato, la discussione risentì molto del caso di Eluana Englaro. Il dibattito si sviluppò a ridosso della decisione della famiglia di Eluana di staccare le apparecchiature di alimentazione e idratazione artificiale. Da quel momento si è iniziato a non considerare cure mediche l'alimentazione e l'idratazione artificiali, valutandole invece come soddisfazioni di bisogni primari (cioè fame e sete). La conseguenza è che, non considerandole cure mediche, non si può decidere di rinunciarvi. In sostanza si sottraggono alla libera scelta del cittadino.
Le risulta, invece, che alimentazione e idratazione artificiali siano atti medici che richiedono altissime competenze e, talvolta, un vero e proprio intervento chirurgico, come l'intubazione gastrica. Le stesse sostanza somministrate al paziente in tali casi non sono, come viene spesso affermato, acqua e cibo, ma preparati farmacologici. Devono essere lasciati, quindi, alla libera determinazione del paziente e alla libera disposizione testamentaria in caso di perdita di coscienza. In questo senso, il richiamo del Consiglio nazionale della Federazione degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, con il documento approvato a Terni lo scorso 13 giugno, è netto: «il legislatore dovrà intervenire formulando un «diritto mite» che si limiti cioè a definire la cornice di legittimità giuridica sulla base dei diritti della persona costituzionalmente protetti, senza invadere l'autonomia del paziente e quella del medico prefigurando tipologie di trattamenti disponibili e non disponibili nella relazione di cura. Ognuna di queste, unica e irripetibile, contiene tutte le dimensioni etiche, civili e tecnico-professionali per legittimare e garantire la scelta giusta, nell'interesse esclusivo del paziente e rispettosa delle sue volontà». Vi è un documento ufficiale della Chiesa, la Carta degli operatori sanitari del 1995 del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari: al paragrafo 120, ultimo capoverso, si legge: «l'alimentazione e

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l'idratazione anche artificialmente amministrate rientrano tra le cure normali dovute sempre all'ammalato quando non risultino gravose per lui; la loro indebita sospensione può avere il significato di vera e propria eutanasia». Quando non gravose per lui; e, si badi, non viene detto nulla rispetto a chi debba stabilire la gravosità.
Anche l'orientamento di tutta la comunità internazionale su questo tema è univoco. La legislazione dei principali Paesi occidentali segue la stessa direzione, come negli Stati Uniti, in Belgio, in Francia e in Spagna. In Germania il testamento biologico ha trovato un'equilibrata e brillante attuazione in una legge recente, all'avanguardia, voluta dalla cattolica Angela Merkel. Come si vede l'orientamento dell'Occidente è chiaro.
In Italia, invece, il tema vero è quello dell'identità delle istituzioni. È sgradevole e fuorviante sentire pronunciare discorsi che tendono ad indicare in chi difende il diritto a rifiutare determinate terapie il portatore di una cultura che rifiuta l'esperienza del dolore e della morte.
Come ha detto all'inizio, crede nella vita e nella sua sacralità, ma pensa che ci siano momenti in cui l'individuo, e la sua coscienza, sono l'unica misura possibile per la scelta giusta. Chi vive una fede religiosa, chi per coscienza si sente orientato verso certe scelte ha il diritto di farle. Ma chi non vive quella stessa fede, e per coscienza e intimo convincimento si sente orientato diversamente, ha lo steso diritto di fare scelte opposte.
Da cattolica, ritiene che il problema vero sia rafforzare la fede, non «militarizzarla» a colpi di obblighi di legge: più che allo Stato, il tema va affidato alla evangelizzazione e alla formazione dei fedeli. Lo Stato, invece, deve pensare a tutti, individuare diritti e riconoscerli nel rispetto di ogni convinzione.
Nel racconto «La morte di Ivan Il'ic» del cattolico Lev Tolstoj, il protagonista va incontro alla morte esclamando ad alta voce: «Che gioia!» La morte «uno dei più scabrosi orridi della storia», come dice monsignor Aldo del Monte, non c'è più ed è sostituita dalla luce. Una morte dolce, accompagnata dalla presenza dei cari, senza forzature, come dono della fine delle sofferenze, è quello che tutti, credenti e non, dovrebbero augurarsi.
Per questo, auspica che si lavori ancora su questa legge, come diceva l'onorevole Calgaro, che si rifletta ancora, perché questa volta le parole siano chiara.

Anna Margherita MIOTTO (PD) auspica, come hanno fatto altri colleghi, che si sviluppi in Commissione una discussione aperta e onesta, lontana da facili strumentalizzazioni: non vorrebbe più leggere nei resoconti parlamentari che il confronto si svolge fra il «partito della vita» e «il partito della morte», ma vorrebbe anche tale discussione fosse lontana dal rischio di uno scambio extraparlamentare, di cui è risuonata qualche allusione nelle scorse settimane.
Come tutti sanno, la questione è delicata: si tratta di stabilire un equilibrio fra il diritto alla vita ed il diritto all'autodeterminazione, fra la libertà individuale e lo statuto deontologico del medico; spetta alla legge definire un equilibrio fra i valori in gioco e, da questo punto di vista, la proposta di legge trasmessa dal Senato non è una buona proposta di legge, perché ha creato una sbilanciamento dei valori in campo: fra l'autonomia del medico e l'autonomia del paziente, il testo è sbilanciato sul medico; altrettanto è avvenuto fra la difesa formale del valore della vita e la libertà della rinuncia alle cure, che di fatto risulta conculcata.
Le questioni connesse al 'fine vita' esigono un approccio rispettoso della pluralità di orientamenti culturali ed etici che sono difficilmente riconducibili al profilo politico di un partito: da ciò deriva la necessità di un supplemento di impegno per tutti.
Crede che la vita umana sia un valore inviolabile e meritevole di difesa fino alla morte naturale: affermare questo principio, tuttavia, non impedisce, da un lato, di interrogarsi e trovare soluzioni ai problemi che si aprono per l'avvento di terapie e tecnologie in grado di prolungare l'esistenza e, dall'altro, di prendere in

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considerazione orientamenti culturali diversi, che in nome del principio di autodeterminazione ritengono che su questi temi si possa decidere con la dichiarazione anticipata di trattamento (DAT).
La Commissione dovrebbe ascoltare, al di fuori della emotività scatenata dalla triste vicenda di Eluana Englaro, numerosi soggetti, studiosi, esperti; auspica che la Commissione sappia valutare le varie proposte presentate accanto al testo pervenuto dal Senato, che confida non venga adottato come testo base. Anche per questo motivo, non avanzerà osservazioni sul testo del Senato, ma si limita ad alcune osservazioni generali.
Reputa importante, per esempio, il parere del Comitato nazionale di bioetica, che, qualche mese fa, si è pronunciato affermando due principi importanti: il primo riguarda il paziente cosciente, capace di intendere e di volere e informato sulle terapie, che può chiedere che non siano iniziati o che siano sospesi i trattamenti sanitari, anche se questi possono salvargli la vita; il secondo riguarda il diritto del medico di astenersi da comportamenti ritenuti contrari alle proprie concezioni etiche e professionali, precisando però che il paziente ha in ogni caso il diritto a ottenere altrimenti la realizzazione della propria richiesta all'interruzione delle cure.
Ma non vuole ignorare un nodo, sul quale non c'è generale consenso: l'idratazione e l'alimentazione considerate come terapia o come semplici forme di sostegno vitale. Invita tutti ad uscire dalla «trappola definitoria» fra terapia o sostegno vitale: bisognerebbe essere in grado di fare una scelta più coraggiosa e certamente più impegnativa che, per esempio, ha proposto recentemente anche l'Associazione dei medici cattolici di Milano: essa propone un approccio di maggiore responsabilità, indicando che la somministrazione dell'idratazione e alimentazione artificiali devono essere valutate caso per caso, perché per un paziente in stato terminale è un trattamento sanitario che può diventare troppo gravoso, senza ottenere risultati. Il prolungamento della vita non può essere un principio assoluto: esso va temperato con il valore della dignità del malato. È necessario - afferma il documento - tener conto delle condizioni peculiari di ogni ammalato, delle sue forze fisiche e morali, perché non si rischi, in modo poco prudente, di richiedere comportamenti che risultino eroici. In queste circostanze, tali interventi non sarebbero più forma concreta del prendersi cura dell'altro.
Viene altresì suggerita un'indicazione importante, utile ai lavori della Commissione: la decisione sull'idratazione e alimentazione andrebbe riportata nell'ambito dell'alleanza terapeutica, superando sia la visione del «paternalismo medico» sia quella della «autonomia assoluta» del paziente, che prescinda dal medico o ne faccia un semplice esecutore testamentario.
Questo è, a suo avviso, il punto essenziale: l'alleanza terapeutica che lega il medico e il paziente e non può escludere i suoi familiari. Si tratta, cioè, di chiamare in causa la responsabilità dei medici e l'autonomia non assoluta del paziente, perché occorre decidere, caso per caso, sulla proporzionalità delle cure, affinché il malato viva con dignità e con dignità sia accompagnato nella fase che lo condurrà alla morte.
La questione implica visioni diverse di natura valoriale, etica, frutto di visioni filosofiche e religiose diverse: ognuno è chiamato a impegnarsi al fine di non alimentare altre divisioni nel Paese.
Si chiede se tutti siano disposti a riconoscere che la libertà di scegliere il proprio destino in condizioni terminali non è in contrasto con la difesa della sacralità della vita e a convenire con quanto affermò, nell'agosto 2007, la Congregazione per la dottrina della fede: «l'obbligo di somministrare cibo ed acqua per vie artificiali c'è nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria».
Non è facile definire come dovrà essere curata una persona «informata» se è terminale oppure se si trova in stato vegetativo o se è affetta da grave malattia degenerativa, perché sono intervenuti

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cambiamenti culturali profondi nel Paese e non basta più rifarsi agli orientamenti largamente condivisi, riassumibili nei tre «no»: no alla eutanasia, no all'abbandono, no all'accanimento terapeutico; principi ai quali si conformano gli operatori sanitari quando affermano che l'attività del medico è ispirata al principio del «non nuocere», che ogni persona ha diritto ad essere curata e che ogni persona va rispettata e, dunque, è escluso ogni accanimento. Non è più sufficiente fermarsi a questi principi, occorre un impegno di ricerca ulteriore, perché questo viene richiesto dal tempo presente.
Questo è l'impegno che ai cattolici democratici è richiesto se vogliono essere cittadini di questo tempo, nella società plurale, ed è la fatica che insieme ci si deve sforzare di compiere, perché, come ricordava pochi giorni fa il Patriarca Scola, citando Maritain, bisogna evitare che «il credente incapace di calarsi nella prospettiva esterna diventi un settario che si chiude alla ragione universale».

Giuseppe PALUMBO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 16 alle 16.20.