CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 15 settembre 2009
217.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
COMUNICATO
Pag. 51

COMITATO DEI NOVE

Martedì 15 settembre 2009.

Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore.
C. 624-635-1141-1312-1738-1764-ter-1830-1968-ter-A.

Il Comitato si è riunito dalle 12.10 alle 12.45.

SEDE REFERENTE

Martedì 15 settembre 2009. - Presidenza del presidente Giuseppe PALUMBO. - Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali Eugenia Maria Roccella.

La seduta comincia alle 12.45.

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.
C. 2350, approvata in un testo unificato dal Senato, C. 625 Binetti, C. 784 Rossa, C. 1280 Farina Coscioni, C. 1597 Binetti, C. 1606 Pollastrini, C. 1764-bis Cota, C. 1840 Della Vedova, C. 1876 Aniello Formisano, C. 1968-bis Saltamartini, C. 2038 Buttiglione e C. 2124 Di Virgilio.

(Seguito dell'esame e rinvio - Abbinamento della proposta di legge C. 2595 Palagiano).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 30 luglio 2009.

Giuseppe PALUMBO, presidente, avverte che è stato richiesto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sia assicurata anche attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, dispone l'attivazione del circuito.
Avverte, inoltre, che, in data 14 settembre 2009, è stata assegnata alla Commissione, in sede referente, la proposta di legge n. 2595, d'iniziativa del deputato Palagiano: «Disposizioni in materia di

Pag. 52

consenso informato, di direttive anticipate nei trattamenti sanitari e di accanimento terapeutico». Poiché la suddetta proposta di legge verte su materia identica a quella delle proposte di legge n. 2350, approvata in un testo unificato dal Senato, n. 625 Binetti, n. 784 Rossa, n. 1280 Farina Coscioni, n. 1597 Binetti, n. 1606 Pollastrini, n. 1764-bis, n. 1840 Della Vedova, n. 1876 Aniello Formisano, n. 1968-bis Saltamartini, n. 2038 Buttiglione e n. 2124 Di Virgilio, la presidenza ne dispone l'abbinamento ai sensi dell'articolo 77, comma 1, del regolamento.
Dà quindi la parola al relatore per una breve illustrazione della proposta di legge n. 2595 Palagiano, invitando i numerosi colleghi che hanno richiesto di parlare a contenere, per quanto possibile, la durata degli interventi.

Domenico DI VIRGILIO (PdL), relatore, ricorda che la proposta di legge n. 2595 Palagiano reca disposizioni in materia di consenso informato, direttive anticipate nei trattamenti sanitari e accanimento terapeutico. In particolare, l'articolo 1 contiene le definizioni delle direttive anticipate nei trattamenti sanitari e degli stessi trattamenti sanitari. L'articolo 2 stabilisce il diritto dei pazienti (o di un loro fiduciario nominato con la direttiva anticipata di cui all'articolo 5) di essere informati, se lo desiderano, di tutti gli aspetti della loro condizione sanitaria e dell'eventuale intervento medico o chirurgico. L'articolo 3 disciplina il consenso ai trattamenti sanitari da parte della persona interessata o di un suo fiduciario nominato con la direttiva anticipata di cui all'articolo 5, salvo il caso di pericolo per la vita o l'integrità fisica del paziente, qualora manchi il tempo per acquisire il consenso. L'articolo 4 definisce quindi gli effetti del rifiuto del consenso ai trattamenti sanitari, mentre l'articolo 5 disciplina le direttive anticipate nei trattamenti sanitari, volte ad affermare la volontà del soggetto in caso di perdita della capacità di intendere e di volere. L'articolo 6 disciplina i possibili contenuti delle direttive anticipate dei trattamenti sanitari. L'articolo 7, infine, introduce nel codice penale il reato di accanimento terapeutico e le relative pene.

Barbara POLLASTRINI (PD), pur non avendo potuto partecipare ad alcune delle sedute svolte nel mese di luglio, dichiara di aver letto con attenzione i resoconti parlamentari, in modo tale da conoscere le posizioni espresse in questa sede dal relatore, onorevole Di Virgilio, e dai colleghi. Ne ha tratto l'impressione di una discussione seria e importante, che oggi la Commissione riprende. L'obiettivo - questo almeno è l' impegno e la speranza sua e del suo gruppo - è quello di uno sbocco condiviso per una legge saggia, che il Paese attende, soprattutto dopo l'emozione intensa e il confronto pubblico che hanno accompagnato l'ultimo tratto dell'esistenza di Eluana Englaro.
Prima dell'epilogo di quella vicenda che tanto ha scosso e interrogato l'opinione pubblica, con altre colleghe e colleghi ha depositato la proposta di legge n. 1606 in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare l'accanimento terapeutico, nonché in materia di cure palliative e di terapia del dolore.
L'onorevole Di Virgilio ne ha offerto una sintesi brevissima nella sua relazione dello scorso 8 luglio. Prima di accennare a tale testo, desidera svolgere una premessa: come forse tutti, nutre verso una tematica così delicata e complessa alcune convinzioni profonde, maturate nel corso del tempo con l'ascolto e anche sulla base di passaggi dolorosi e personali.
Del resto, le scelte da compiere nella sofferenza e nella perdita sono forse tra le dimensioni più intime e, in certo modo, solitarie della vita. Dunque non solo è giusto, ma è necessario assumere verso di esse un atteggiamento di rispetto profondo. Allo stesso tempo, come parlamentare della Repubblica e dunque come legislatore, sa di avere il dovere di offrire, con umiltà, una risposta a interrogativi inediti posti dal progredire della scienza e della medicina.

Pag. 53

Una progressione del sapere medico-scientifico frutto di investimenti coraggiosi e del lavoro di molti talenti straordinari. Talenti non sempre sostenuti come meriterebbero e che mettono la loro preparazione al servizio del benessere, di cure rispettose della dignità della persona malata. Proprio dai più illuminati tra loro viene il richiamo - così attuale se riferito alle responsabilità dei governi e della politica - a una ricerca costante e al dubbio permanente. Sempre da loro viene anche l'invito alla precauzione innanzi a semplificazioni, dogmi e certezze, che rischiano di rallentare o addirittura annullare le potenzialità di quella loro attività di studio e ricerca.
Da questo punto di vista, l'inizio, il valore della vita e la sua dignità nel fine-vita, nel loro rapporto con tecnologie, medicina e scoperte, pongono da tempo nuovi interrogativi di natura etica e giuridica a chi, come noi, è chiamato a disciplinare ambiti e sfere per definizione «soggettive».
Si tratta di avanzamenti che aprono grandi opportunità, perché possono lenire il dolore o curare, ma che possono anche trasformarsi in una macchina disumanizzante. Qui risiede una prima questione di enorme rilievo e delicatezza. Nelle possibilità offerte dalla scienza che, senza l'espressione della soggettività della persona, possono trasformarsi in un potere a sé stante - solo apparentemente neutro, nel senso di «tecnico» - ma in realtà in grado di risultare profondamente invasivo, «autoritario». Come è accaduto e può accadere nel caso di un corpo in stato vegetativo prolungato nel tempo, una condizione che la comunità scientifica certifica come irreversibile.
Credo che nessuno, se ispirato da criteri di ragionevolezza, ma anche di amorevolezza, possa ritenere saggio affrontare tale questione sull'onda di una battaglia ideologica.
Si tratta di una problematica che invade la sfera più intima e personale dell'individuo: la sua dignità, il suo rispetto di sé. L'idea - irriducibile perché frutto di una complicata consapevolezza - della propria vita e del suo senso ultimo.
Ora, se si muove da questa convinzione - quella della massima attenzione verso il rispetto della persona, in particolare nel momento più estremo, l'incomunicabilità della sofferenza - dovrebbe seguirne, secondo logica, la volontà di aiutare la persona, di accompagnarla nel suo percorso garantendo la dignità della sua volontà. Il rispetto cioè della sua idea di sé, dell'esercizio della responsabilità su di sé.
Desidera dire con chiarezza che, dal suo punto di vista, la dichiarazione anticipata è sopratutto questo: un esercizio di responsabilità, di educazione continua verso se stessa, di formazione alla vita e, alla fine della vita, come parte del percorso di vita stessa.
Si è detto di recente che il dibattito alla Camera potrebbe ora svolgersi in un clima meno segnato dal dramma di storie laceranti come quelle di Eluana Englaro, Luca Coscioni o Piergiorgio Welby.
La realtà è che anche in altri Paesi - basta pensare agli Stati Uniti - il dibattito su questi temi ha tratto una spinta, culturale e politica, da tragedie individuali che hanno alimentato una pluralità di sentimenti e interrogativi.
Non è dunque la cronaca - che poi è la narrazione di una umanità sofferente - che si deve temere. Semmai, vicende come quelle ricordate hanno avuto la forza di sottrarre il confronto a una dimensione puramente teorica o di dottrina, per precipitarla nella concretezza della vita di donne e uomini alle prese con una prova durissima per sé e per i propri cari.
Come ha ricordato il senatore Ignazio Marino, nel corso del dibattito al Senato, da molti anni giacciono in Parlamento specifiche proposte di legge sul testamento biologico. E oggi il Parlamento è chiamato a fissare un approdo, un punto fermo sul piano della legislazione, capace di dare una risposta adeguata alla coraggiosa e

Pag. 54

infinita battaglia pubblica per richiamare le istituzioni ai loro doveri verso la comunità.
È un aspetto che desidera sottolineare in una questa sede perché, al di là delle opinioni legittime di ciascuno, si chiede se la vita delle persone nella sua fatica e durezza, l'interrogarsi di medici e studiosi - ha ascoltato le parole intense pronunciate in Commissione dalla collega Farina Coscioni, ha cercato di studiare e apprendere da tutti - non debbano essere per ciascuno un invito a superare ogni strumentalità politica e ogni proclamazione di verità assoluta.
Classi dirigenti serie dovrebbero compiere ora la scelta di trarre alimento da quelle grandi emozioni collettive per promuovere una crescita culturale e civile del Paese e dare una risposta la più vicina possibile ai cittadini, alle famiglie, alla comunità medica e scientifica.
È un principio di serietà, dunque, a imporre di ricercare una legge il più possibile condivisa, come ha detto l'onorevole Di Virgilio in una relazione della quale ha apprezzato molti aspetti, ma non la conclusione finale.
Il suo gruppo - lo hanno già ricordato altri colleghi, a partire dall'onorevole Livia Turco - è sinceramente impegnato per questo obiettivo. Dichiara di non essere mossa, come donna e come parlamentare, dall'idea di possedere una «verità». Tanto meno la ispira il desiderio di imporla ad altri.
Ribadisce di voler ascoltare l'appello che proviene da ambienti diversi, a non legiferare sull'onda dell'emozione e di voler farsene carico. Anche se, come ha già avuto modo di dire, pensa che quell'emozione non sia che il velo squarciato su una vita vissuta: la storia di un dolore e di un equilibrio difficile tra libertà e responsabilità. Ma, allora, chiede agli altri lo stesso rispetto, cioè di farsi carico di chi, come lei, teme qualcosa di più grave: che sull'onda delle emozioni, come avvenuto al Senato, si neghi una soluzione largamente condivisa; che si acceleri oggi il confronto alla Camera con lo scopo di rispondere a problemi politici di parte che nascono da ragioni assai diverse, magari dall'ansia di recuperare una legittimità di fronte ad autorità ecclesiali, mentre nella stessa comunità cattolica il confronto si presenta più ricco e umanizzante.
Invita tutti a impegnarsi seriamente nella definizione e stesura di un nuovo testo e a farlo dopo aver ascoltato associazioni di medici, di volontari, di operatori e di studiosi e dopo aver ascoltato la voce dei malati e delle loro famiglie, trasformando questo passaggio parlamentare in un'occasione di approfondimento e di apprendimento pubblico. Facendo, insomma, del Parlamento il riferimento per una discussione nella quale si privilegia l'ascolto rispetto all'imposizione di un singolo punto di vista.
Il testo uscito dal Senato ha diviso il Paese e ha suscitato allarme nella comunità scientifica. È un testo farraginoso, che introduce delle discriminazioni tra chi è in possesso di maggiori strumenti, di conoscenza e non solo. Si riferisce all'ipotesi iniziale, poi scongiurata, dell'inutile e, per certi versi, vessatoria soluzione dell'atto notarile e delle sue modalità.
La sensazione è quella di una legge pensata e scritta non già per favorire la scelta responsabile della dichiarazione anticipata sulla fine della vita, ma, all'opposto, per disincentivarne la conoscenza e l'utilizzo. Una soluzione che rende le persone meno uguali innanzi alla legge e lo fa proprio quando quelle persone sono più fragili e indifese. Oltre a ciò, si tratta di una legge di dubbia costituzionalità. Una legge che nega nella sostanza ciò che promette a parole, e cioè una dichiarazione anticipata con una certezza di rispetto del suo contenuto. Idratazione e nutrizione sono ritenute da larga parte della comunità scientifica una cura di fatto, che può prolungare l'esistenza di un corpo anche in assenza di qualsiasi possibilità per quel corpo di tornare, anche solo per un istante, a uno stato di coscienza o di limitata consapevolezza di sé. Una vita diventata prigioniera di quel potere che da quella vita prescinde in modo completo. Nessuno può avere la presunzione di risolvere le cautele e le

Pag. 55

precauzioni che giustamente possono differire da caso a caso. Ed è legittimo il quesito su cosa matura nell'animo tra il momento della dichiarazione e il momento del bisogno, a partire dalla possibilità che in quel lasso di tempo la scienza possa procedere a nuove scoperte. Anche questi, però, sono interrogativi che si debbono e possono affrontare dentro una logica che non sottragga alla persona il diritto a decidere su di sé, in un'alleanza responsabile con un medico al quale non venga espropriata la sua deontologia professionale e la coerenza con la propria coscienza.
La questione, allora, è come non rendere rituale o persino superfluo l'atto del testamento biologico, come evitare che esso venga utilizzato non già per favorire il rispetto rigoroso della volontà e della dignità del paziente, ma invece, in casi estremi, per abbreviare la vita e le sofferenze di anziani soli.
Alla fine - ed è qui il fondamento della proposta di legge di cui è prima firmataria - c'è una bussola che può aiutare ad orientarsi. Questa bussola è lo spirito e il testo della nostra Costituzione.
Lo sottolinea perché, se è vero che l'Italia non ha ancora una legge sul testamento biologico, questo non significa che esista un «vuoto normativo» sulla materia. Nel senso che già oggi esiste un quadro di norme che consente al singolo cittadino di rifiutare le cure e di scegliere di vivere la propria malattia in una condizione di piena responsabilità e rispetto di sé. Sono in primo luogo gli articoli 3, 13 e 32 della Costituzione, la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina del Consiglio d'Europa, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, l'articolo 408 del Codice civile che disciplina la figura dell'amministratore di sostegno «in previsione della propria futura incapacità».
Del resto, la stessa decisione della Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibile il conflitto sollevato dal Parlamento dopo la sentenza della Cassazione sul caso Englaro, era motivata dal fatto che secondo i giudici della Consulta i provvedimenti della magistratura non si erano sostituiti all'attività del Parlamento, ma si erano serviti delle norme e del diritto vigente, e sulla base di quelli erano intervenuti sul caso drammatico di Eluana Englaro.
Da qui, a suo avviso, bisogna ripartire, perché la legge in discussione non deve essere presentata né, tanto meno, scritta come un «manifesto ideologico». Ma deve essere una legge sintetica, immediatamente comprensibile e, soprattutto, deve tener conto della cornice normativa e costituzionale di riferimento. E questo per evitare un rischio ben noto: quello di una legge che peggiori la condizione attuale. Com'è già avvenuto per la procreazione assistita, dove l'allarme sul «far west» procreativo e sulla mancanza di norme è servito soltanto a produrre una legge restrittiva e inutilmente punitiva che è ora messa in discussione da una sentenza della Corte costituzionale.
Il riconoscimento dei «diritti inviolabili dell'uomo» (cui fa riferimento l'articolo 2 della Costituzione) e, soprattutto, l'articolo 32 sulla inviolabilità da parte della legge (e dunque di qualsiasi possibile maggioranza parlamentare) del limite imposto dal «rispetto della persona umana» sono, a suo avviso, elementi decisivi nell'ispirazione complessiva della legge e, dunque, anche la bussola da seguire nella questione delicata della nutrizione e dell'idratazione.
Da un lato valgono qui tutte le considerazioni e obiezioni già avanzate da altri: si rischierebbe, cioè, l'assurdo di ritenere legittimo il rifiuto di una terapia (come la nutrizione e idratazione tramite un sondino nello stomaco) per un malato cosciente, ma il rispetto di quel rifiuto sarebbe molto più difficile (se non addirittura inapplicabile) nel caso di una volontà precedentemente espressa da un paziente non più cosciente.
Il possibile punto di mediazione, a suo avviso, può dunque essere espresso in questi termini: benissimo ricercare una soluzione il più possibile condivisa, ma nella chiarezza e nel rispetto di due presupposti: la responsabilità del singolo nell'accedere o meno alle cure e terapie

Pag. 56

(compresa nutrizione e idratazione); il pieno rispetto dei principi costituzionali in materia di diritti della persona.
Ha citato la Costituzione e le norme vigenti in materia, ma, in definitiva, il punto decisivo è che, a suo avviso, sulla vita di ciascuno l'ultima parola deve essere quella dell'interessato e nessun altro può decidere in sua vece e in urto alla sua coscienza.
Desidera concludere tornando al punto da cui aveva preso le mosse, cioè la responsabilità individuale e, soprattutto, la libertà di scegliere se esprimere ed eventualmente come esprimere quella responsabilità. La dichiarazione di fine vita non è obbligatoria: è una possibilità che si offre, non un'imposizione a chi decida di affidarsi al caso, alla famiglia o al medico. Questa libertà di scelta su temi che attengono alla sfera più intima delle persone dovrebbe valere sempre, sia nel caso della fecondazione sia nella sofferenza dell'aborto.
Allo Stato compete di costruire le circostanze per riconoscere nella concretezza del disagio e del bisogno il valore della vita. Ed è giusto tutelare quel valore nei diritti umani e sociali come nell'educazione civile: nel rispetto delle persona, nel contrasto a ogni forma di discriminazione e di solitudine, nel sostegno pubblico alla cittadinanza e, dunque, nel diritto alla salute e all'accompagnamento nella malattia e nel dolore.
Per questo motivo, la proposta di legge di cui è prima firmataria si componeva di due titoli: quello sulla dichiarazione di fine della vita e quello per l'estensione dell'assistenza sociosanitaria e delle cure palliative.
Oggi in Aula inizia l'esame del testo importantissimo sulle cure palliative: questo può aiutare il confronto sul testamento biologico. L'obiettivo comune dovrebbe essere una legge ispirata a un diritto mite. Ha riflettuto sulle parole di scienziati e giuristi, sul loro appello a una sobrietà nel legiferare intorno a questi temi; sobrietà senza la quale si rischia, come avvenuto al Senato, di sollecitare affermazioni come: «meglio nessuna legge che una brutta legge».
Insomma, il parlamento è posto di fronte a un bivio: ci sono due strade innanzi, quella più faticosa, ma illuminata della ricerca di un approdo condiviso, oppure quella della conferma di una legge che il suo gruppo considera dannosa e autoritaria. Per questo, il suo gruppo si impegnerà affinché il Parlamento intraprenda la via più saggia.
La vera distinzione non è tra chi ha a cuore il valore della vita, bene unico e irripetibile, e chi non lo considera tale; o, come qualcuno vorrebbe fare credere, lo scontro tra guelfi e ghibellini, o tra chi crede o chi non crede. Considera le religioni, e la religione cattolica tra queste, beni troppo importanti, anche nei loro risvolti formativi e civici, per utilizzarle ai fini di una battaglia politica. Ritiene che al Parlamento spetti un compito più «terreno», ma non per questo meno morale, quello che gli assegna lo spirito laico e liberale della Costituzione: fare vivere un'autonomia della politica e un'etica della responsabilità. Trovare insieme quello spazio di tutti e di nessuno in cui non trionfi una «verità», ma una soluzione saggia. Anche così, a suo avviso, si ricostruiscono le virtù più preziose e unificanti della Repubblica e un'etica pubblica condivisa.

Il sottosegretario Eugenia Maria ROCCELLA precisa che il testo trasmesso dal Senato non prevede che la dichiarazione anticipata di trattamento sia depositata dal notaio, bensì presso il medico curante, dopo un colloquio volto a garantire il consenso informato del dichiarante.

Mariella BOCCIARDO (PdL) osserva che il forte contrasto che si è registrato nel Paese dopo la triste vicenda di Eluana Englaro ha obbligato la politica a considerare come prioritario un tema etico. Al riguardo, dichiara di aver trovato stucchevole la bolsa polemica che, in questi mesi, ha visto contrapposti laici e cattolici, come se la vita, e la sacralità di cui è espressione,

Pag. 57

fosse solamente una sterile disputa tra tifosi di squadre di calcio rivali. Ci si dovrebbe impegnare, invece, per impedire che altri casi analoghi si ripetano a causa di quel vuoto normativo che ha portato al tragico epilogo del caso Englaro. Per la prima volta, in Italia, la magistratura ha colmato questo vuoto legislativo con una sentenza di morte che non può non far rabbrividire. Dall'articolo 2 della nostra Costituzione si desume chiaramente la tutela del diritto alla vita.
Si chiede come si possa far finta di nulla di fronte ad un'azione coercitiva voluta da alcuni settori della magistratura che, è bene ricordare, a differenza dei parlamentari liberamente eletti dai cittadini, non rappresenta, invece, nessuno. Il potere giudiziario ha esondato dai propri argini, usurpando, di fatto, quelli della politica. È triste verificare come la scelta fra vita e morte sia stata ordita unicamente in base a precisi stilemi culturali e ideologici di taluni giudici che hanno preferito tutelare la seconda a discapito della prima, contravvenendo, così, a quel ruolo di indipendenza e imparzialità che normalmente ci si aspetterebbe dalla magistratura, come confermato dalla sentenza della Corte di cassazione dell'ottobre del 2007 (che annulla la sentenza della Corte d'appello emessa nel dicembre del 2006), con la quale è stato indelebilmente segnato il destino di Eluana. Ad esempio, nelle motivazioni della sentenza, si qualifica come «trattamento sanitario», suscettibile di dar luogo ad «accanimento», l'idratazione e l'alimentazione artificiali. La stessa sentenza afferma anche che una pregressa manifestazione di volontà del paziente di sottrarsi all'alimentazione artificiale, comunque espressa, giustifica che questi, divenuto incapace di intendere e volere, sia privato di tale aiuto, e senza che sia prevista alcuna formalità utile ad attribuire serietà e certezza alla addotta manifestazione di preferenza. Il giudice, quindi, può ricavare una implicita volontà del paziente dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, dal suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità della persona. È quindi il giudice a sostituirsi alla volontà del paziente.
Che «maggioranza» e «opposizione» si confrontino anche duramente in Parlamento è normale, ma sarebbe opportuno che questo avvenisse senza irrigidimenti faziosi e senza i pregiudizi tipici di chi sta su blocchi politicamente distinti.
Crede, ad esempio, che il processo di sospensione dell'idratazione e dell'alimentazione (questo uno dei passaggi di scontro più marcato) di una persona che non può farlo autonomamente sia una barbarie inaccettabile per un Paese civile. Si chiede, infatti, come sia possibile che una norma di garanzia per un paziente ammalato possa essere considerata alla stregua di un campo di battaglia fra forze politiche contrapposte, come si possa essere sicuri che un paziente in stato vegetativo voglia scegliere di morire di sete, come Questa possa considerarsi una dolce morte.
Con il caso di Terry Schiavo, l'articolo 25 della Convenzione delle Nazioni Unite sui disabili (scritto dopo la morte della stessa) ha sancito il divieto di sospensione di idratazione e alimentazione ai disabili e ai malati. La volontà chiara della Convenzione è di evitare, quindi, che una persona venga privata dell'acqua e del cibo. Bisogna essere chiari su questo punto, se cioè si voglia seguire questa indicazione.
Si chiede, altresì, come ci si debba comportare, ad esempio, con bambini che sono affetti da paralisi cerebrale infantile o con gli anziani affetti da forti demenze senili, come si possa pensare di negare loro l' amore,la cura e la protezione, solo perché non sono più autonomi e autosufficienti.
Molti intellettuali sono pronti a manifestare un sentimento di indignazione per l'abbattimento di un albero secolare, ma poi festeggiano come un successo personale l'estinzione eutanasica di un essere umano. Gli ammalati danno amore e chiedono amore ed è bene non dimenticarsene mai. In tal senso, dichiara di essere stata confortata dal passaggio che conclude la lettera della collega Paola Binetti pubblicata

Pag. 58

sulla stampa lo scorso 20 luglio: «la vita umana va tutelata fino alla fine e la sua dignità va garantita proprio attraverso una rete di rapporti umani capaci di esprimere fino alla fine amore e qualità della vita».

Maurizio TURCO (PD) fa presente che, a differenza di alcuni colleghi che hanno avuto modo di manifestare sia in questa Commissione che attraverso i mezzi di informazione le loro granitiche certezze (dalle quali sono inamovibili), manifesterà alcune perplessità sia sul testo di legge che è stato trasmesso dal Senato sia sulla «filosofia» che lo ispira e che ispira il Governo.
Innanzitutto, va premesso che, se oggi discute di questi temi, è perché i progressi della medicina sono riusciti a creare un tempo intermedio tra la vita e la morte, dove la vita può essere protratta anche in assenza di vita cognitiva o, addirittura, della capacità del malato/i di sopportarla.
Detto in altri termini, la medicina moderna, anche quando sa di non poter guarire o portare sollievo o produrre una dilazione. per quanto breve. di una vita degna di essere vissuta. può comunque posticipare la fine oltre al punto in cui la vita, per il suo legittimo e unico proprietario, ha ancora un valore, anche quando questi non sia più in grado di dare un valore alla propria vita.
Sono queste le ragioni che hanno portato la parola eutanasia a perdere il significato di morte senza dolore, per assumere quello di morte anticipata. Ma occorre chiedersi rispetto a cosa tale morte sia «anticipata». Forse «anticipata» rispetto alle ultime, residue risorse dell'organismo, ma i continui progressi della medicina renderanno sempre più arduo riuscire a distinguere tra accanimento terapeutico e dovere di cura.
Non crede che nessuno vorrebbe una morte disumana, cioè estranea alla vita, e auspica che tutti desiderino che gli affetti con cui e per cui hanno vissuto li accompagnassero fino alla fine, invece di essere brutalmente amputati. Vorrebbe credere che tutti anelassero a questo, ma, purtroppo, nella realtà accade ben altro.
Crede che, a questo proposito, si dovrebbe riflettere sulle «salme senza interesse», cioè quei defunti che nessuno vuole o perché i parenti non ci sono o non si trovano o, molto più semplicemente, perché essi rifiutano di assumersi le spese per i funerali. Questi cadaveri restano senza sepoltura fino a quando non intervengano i servizi pubblici. Le salme senza interesse rappresentano il 30 per cento del totale a Genova, il 5,5 per cento a Torino, il 5 per cento a Napoli, il 2 per cento a Bologna e a Milano. E, a proposito di morte umana, va aggiunto il dato che la morte medicalizzata è passata dal 18 al 75 per cento negli ultimi quarant'anni. Queste cifre attestano che la bimillenaria cultura che professa l'amore e il rispetto per il prossimo ha in realtà desacralizzato la morte degradandola ad accadimento anonimo, quasi clandestino.
Questo è il contesto e, in questo contesto, è bene inquadrare le cifre della terapia intensiva: dei circa 540 mila morti all'anno, il 5 per cento è transitato da una terapia intensiva, luogo in cui la mortalità si aggira intorno al 25 per cento, cioè un ricoverato ogni quattro. È noto che chi opera in terapia intensiva non consente di poterne uscire morti per stanchezza di vivere o per l'incalzare della vecchiaia; lì la morte viene prodotta scientificamente, procrastinandola, tant'è che una recente indagine nazionale ha documentato che il 57 per cento degli intensivisti ritiene frequente l'accanimento terapeutico.
Desidera ricordare che il termine «accanimento terapeutico» venne coniato da Pio XII nel 1957, nel corso di un'udienza con degli anestesisti rianimatori. Pio XII ammise la possibilità di cure palliative per ridurre la sofferenza, anche se si prevede, ma non si desidera, che comportino l'abbreviazione della vita. Com' noto, l'accanimento terapeutico è altresì censurato dall'articolo 37 del Codice deontologico, il quale recita: «Quando non c'è possibilità di guarigione il medico

Pag. 59

deve limitare la sua opera all'assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità della vita». Ebbene, solo il 26 per cento degli intensivisti adotta la sedazione terminale con morfina in casi di diagnosi infausta o di morte in tempi brevi. Questo vuol dire che solo un intensivista su quattro è disposto non solo a curare per guarire, ma anche a curare per lenire, con la conseguenza che circa la metà dei pazienti che muore in terapia intensiva muore in preda a dolori atroci. Come ricordava ieri in Aula la collega Farina Coscioni a proposito di cure palliative, la cultura medica italiana considera la sofferenza come un valore da preservare, altrimenti come si spiegherebbe il fatto che l'Italia sia al centounesimo posto al mondo per consumo di morfina: 46 dosi medie quotidiane per milione di abitanti contro le 1.462 della Francia e le 6.430 della Danimarca?
Per quanto difficile possa essere, non si può non tener conto del fatto che ogni decisione clinica ha una sua ineludibile ambiguità. Dicono gli esperti di bioetica che è etico somministrare oppiacei a un moribondo se non si intende aiutarlo a morire, avendo messo in conto che la dose necessaria potrebbe accelerarne il decesso o risultare direttamente letale. Non è invece etico se si ha una pur vaga intenzione di aiutarlo a morire, anche quando fosse esattamente questa la sua volontà.
In terapia intensiva un supporto consueto è quello della ventilazione meccanica. In Europa sono almeno 45 mila le persone che dipendono da un ventilatore meccanico: la sensazione di una macchina che con la forza gonfia il torace, qualora non procuri dolore fisico, è quantomeno angosciante. Basti pensare che potrebbe guastarsi all'improvviso o pensare al suono dell'allarme, alle paure per ogni rumore diverso da quello dello stantuffo.
Non risulta quindi incredibile che il 34 per cento dei un pazienti deceduti in terapia intensiva abbia chiesto di non essere sottoposto a ventilazione meccanica e che l'11 per cento dei malati già intubati implori la sospensione del trattamento.
Molti, anche in Parlamento, temono che se non si è durissimi nel far rispettare una norma etica, non si sa dove si possa andare a finire o che, anzi, lo si sappia fin troppo bene: ciascuno farebbe quello che gli pare e gli fa comodo. Si temeva che accadesse per il divorzio e per l'aborto, ma non è accaduto. A maggior ragione si teme che avvenga per l'eutanasia. In Belgio, dove dal 2002 c'è una legge che regolamenta i suicidi assistiti, nel biennio 2004-2005 le richieste sono state 742 su 200 mila persone scomparse, cioè il 3 per mille, e la scelta ha riguardato quasi esclusivamente pazienti neo plastici con metastasi generalizzate o con gravi mutilazioni.
Il disegno di legge approvato in Senato, all'articolo 3, comma 5, stabilisce che alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare la sofferenza fino alla fine della vita. Esse non possono, pertanto, formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento.
Insomma, a differenza di una persona cosciente che può legittimamente rifiutare tali trattamenti, una persona non più cosciente, e quindi più fragile e indifesa, non potrebbe far rispettare le sue volontà precedentemente espresse, in palese contrasto con i diritti del cittadino sanciti dall'articolo 32 della Costituzione e dall'articolo 6, comma 3, della Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, ratificata dallo Stato italiano con la legge n. 145 del 2001.
Lo stesso disegno di legge prevede quindi la possibilità di esprimere dichiarazioni anticipate su ogni altra forma di trattamento sanitario, anche altamente invasiva, ad esempio la ventilazione meccanica. Quindi, secondo la maggioranza, pompare con una macchina aria nei polmoni non è una forma di sostegno vitale,

Pag. 60

mentre l'alimentazione e l'idratazione forzata sono sostegni vitali e non terapia; come se per nutrire artificialmente un corpo si intendesse imboccarlo e non invece prevedere l'incannulamento di un vaso venoso centrale, un'astomia, il posizionamento nel lumen intestinale di una sonda di alimentazione, la scelta della miscela e delle modalità di somministrazione e il monitoraggio clinico.
A spingere la maggioranza ad agire in questo modo sarebbe la sacralità della vita. Ma si chiede perché, quando si tratta della nascita, la sacralità della vita impone di rifiutare i progressi della medicina, mentre questi sono accolti acriticamente quando si tratta della morte. In entrambi i casi, comunque, non si fa altro che produrre sofferenze. Fin quando, tuttavia, chi ha queste posizioni, infligge sofferenze a se stesso, va guardato con perplessità, ma anche con rispetto.
Ma quando tali sofferenza si vogliano infliggere ad altri, ritiene che ci si debba battere perché ciò non accada. Non è un caso che con le leggi fatte da chi ha queste convinzioni si impedisce sempre a qualcuno di decidere della propria vita, mentre le leggi di chi non nutre le stessi convinzioni rispettano sempre le libere scelte di ciascuno.
Si dichiara convinto, infine, che le leggi del primo tipo faranno la fine di quella legge inglese contro l'uso del cloroformio in ostetricia, voluta dalla Chiesa anglicana perché l'uso del cloroformio appariva contrario al detto biblico: «Tu, donna, partorirai con grande dolore». Il divieto cessò quando il cloroformio fu utilizzato per alleviare il parto della Regina Vittoria.

Marco BELTRANDI (PD) ricorda che, come evidenziato dalla Costituzione americana, la fondamentale libertà dell'uomo consiste nell'essere messi nelle migliori condizioni di perseguire la propria felicità. È la propria perché basata sui propri valori, che sono o possono essere diversi da quelli di altri. Nessuno dovrebbe mai essere in diritto di imporre i propri valori agli altri, ancorché con la forza di una maggioranza regolarmente eletta, perché la politica che pratichi valori assoluti, non mediabili, è, come diceva Norberto Bobbio, una politica che impedisce la libertà e la felicità di tutti, anche di coloro che quei valori condividono. È una politica fondamentalista che impedisce il libero arbitrio, fondamento anche della religione cattolica, a cui l'attuale maggioranza asserisce di ispirarsi, almeno in misura prevalente.
Dopo la legge sulla fecondazione assistita, questa proposta di legge sul testamento biologico rischia di essere il più clamoroso esempio di un'etica che si fa legge dello Stato, che viola perciò quel pluralismo valoriale ed etico su cui si fondano la libertà dell'uomo e la democrazia politica moderna, che non può esistere - ed infatti non esiste - senza di esso, e tenta di trasferire nell'ordinamento italiano volontà vaticane di monopolio etico.
Tutto questo, si sostiene, per impedire che la giustizia italiana tuteli i diritti costituzionali e derivanti dai trattati internazionali degli individui in materia di «fine vita», come già fece, ancorché in ritardo, sul Caso Englaro. E qui già c'è una novità di rilievo rispetto alla legislazione etica proposta in precedenza, da valutare molto negativamente: già nelle intenzioni, il legislatore ha l'intento di impedire il godimento di diritti costituzionali dei cittadini, il che non potrà che portare all'annullamento della norma da parte della Corte costituzionale, come già avvenuto con la legge sulla fecondazione assistita, naturalmente non senza che tantissimi cittadini, nell'attesa della sentenza della Corte costituzionale, abbiano a soffrire una gravissima ed illegittima compressione delle proprie libertà fondamentali.
In realtà, tutti sanno che all'origine dell'attuale accelerazione in Commissione vi è la volontà di dare un segnale alle gerarchie vaticane, colpite prima dai comportamenti privati del Presidente del Consiglio, e poi dal caso Boffo, per dare cioè un forte segnale di sudditanza culturale e politica al Vaticano, in un momento di

Pag. 61

crisi dei rapporti. Il che equivale a dire che il prezzo delle tensioni col Vaticano, il prezzo del comportamento dell'attuale Presidente del Consiglio, l'attuale maggioranza lo vuole far pagare assai caro in termini di libertà negata alla collettività intera. Ritiene che mai si sia raggiunto un livello così basso di opportunismo nella legislazione.
Da sempre, ogni fondamentalismo cerca di appropriarsi del corpo umano: era così quando lo stesso fondamentalismo voleva (e vorrebbe) impedire la libertà scelta delle donne in materia di aborto ed è così ora che, con questa proposte di legge, si vuole appropriare le vite e i corpi di coloro che sono tenuti in vita unicamente dalla tecnologia medica, imponendo l'alimentazione e l'idratazione artificiali, anche se la persona, quando era in grado di intendere e di volere, aveva rifiutato la possibilità di avvalersene con la massima chiarezza, persino quando lo avesse fatto per iscritto. Ciò pone un problema non solo in termini di negoziazione delle libertà fondamentali, ma anche in termini di impiego di risorse dalla sanità pubblica, dal momento che è certo che questo numero di malati in stato vegetativo permanente, tenuti in vita a dispetto della loro volontà e della possibilità di guarire, comportano un enorme spreco di risorse, che saranno sottratte inevitabilmente alla cura delle patologie curabili.
Il legislatore, poi, con questa norma vorrebbe negare definitivamente il rispetto della volontà del malato: a decidere, se tale proposta diverrà legge, saranno (legalmente. a differenza di oggi) i medici con o senza l'ausilio di familiari, che potrebbero essere in conflitto di interessi, e non il paziente.
Si legalizzerà la pratica di ciò che accade oggi, con l'inevitabile eutanasia clandestina, senza regole, senza controllo. È irresponsabile quel legislatore che non cerchi di regolamentare il fenomeno dell'eutanasia clandestina. I medici diverranno loro malgrado gli agenti dello stato etico, contro la deontologia professionale. Da tutto ciò si comprende perché si possa affermare che sia meglio l'assenza di una legge, piuttosto che questa legge.

Matteo MECACCI (PD) ritiene che il contesto politico in cui si svolge la discussione sul testamento biologico in Commissione sia profondamente diverso da quello che ne ha accompagnato l'esame presso l'altro ramo del Parlamento. Ricorda, infatti, come si siano registrate, negli ultimi mesi, importanti prese di posizione di autorevoli esponenti della maggioranza e come la stampa abbia riportato la notizia di un nutrito gruppo di parlamentari di maggioranza che si sarebbero espressi per un approfondimento di questa materia. La proposta di legge trasmessa dal Senato, pertanto, è contestata non soltanto dall'opposizione, ma anche da una parte della maggioranza. Auspica, quindi, che anche il Governo tenga conto di questo nuovo clima. Esprime tuttavia rammarico per la decisione della Commissione di non procedere allo svolgimento di audizioni, perché queste avrebbero consentito di ascoltare, tra gli atri, alcune persone che versano oggi in condizioni assai simili a quelle di Piergiorgio Welby e Luca Coscioni o che, come Paolo Ravasin, hanno registrato un video in cui esprimono chiaramente la propria volontà di non essere sottoposti ad alcun trattamento medico, ad eccezione di quelli volti a ridurre il dolore. In proposito, osserva che, se fosse approvato il testo di legge trasmesso dal Senato, la volontà di Paolo Ravasin non potrebbe essere rispettata, una volta che questi non fosse più cosciente.

Giuseppe PALUMBO, presidente, precisa che la Commissione non ha stabilito di non procedere allo svolgimento di audizioni e che ogni determinazione al riguardo sarà assunta dall'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, al termine dell'esame preliminare.

Matteo MECACCI (PD) prende atto con favore dei chiarimenti forniti dal presidente

Pag. 62

e auspica che anche il Governo sia favorevole allo svolgimento di audizioni.

Il sottosegretario Eugenia Maria ROCCELLA ricorda di aver già espresso pubblicamente la propria posizione al riguardo, che non è affatto di contrarietà allo svolgimento di audizioni. Precisa, altresì, che la proposta di legge trasmessa dal Senato non si applicherebbe al caso di Paolo Ravasin, perché concerne i soli pazienti in stato vegetativo permanente.

Matteo MECACCI (PD) osserva, rivolto al sottosegretario Roccella, che, qualora Paolo Ravasin o un'altra persona nella sua situazione si venisse a trovare in stato vegetativo permanente, la sua volontà, in base al testo trasmesso dal Senato, non potrebbe essere rispettata. Ciò dimostra, a suo avviso, che tale testo è in contrasto con l'articolo 32, secondo comma, della Costituzione, che, come sottolineato, tra gli altri, da Aldo Moro nel corso dei lavori dell'Assemblea costituente, è volto proprio a prevenire eventuali eccessi del legislatore. Ritiene, infine, che un intervento legislativo sia dunque opportuno, a condizione, però, che esso rispetti l'autonomia individuale.

Giuseppe PALUMBO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.55.