CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 7 luglio 2009
198.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Martedì 7 luglio 2009. - Presidenza del vicepresidente Roberto ZACCARIA, indi del presidente Donato BRUNO. - Interviene il ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli.

La seduta comincia alle 12.10.

Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di soppressione delle province.
C. 1694 cost. Nucara, C. 1836 cost. Scandroglio, C. 1989 cost. Casini, C. 1990 cost. Donadi, C. 2010 cost. Versace e C. 2264 cost. Pisicchio.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato da ultimo, nella seduta del 1o luglio 2009.

Oriano GIOVANELLI (PD), rilevato che le proposte di legge in esame provengono soprattutto dai gruppi del Popolo della libertà e dell'Italia dei valori, osserva che si tratta di forze politiche accomunate dal non avere nel proprio bagaglio culturale un'esperienza di governo locale e dall'essersi formate per aggregazione intorno a una figura predominante di leader nazionale. Si chiede quindi se alla base delle proposte di legge in discussione vi sia una ragione di astratta semplificazione ovvero di subalternità culturale rispetto al tema della riduzione dei costi della politica. Ritiene che tale approccio non sia di aiuto essendo a suo avviso fondamentale porsi la questione di come costruire un sistema istituzionale che funzioni. Seguendo tale impostazione si giunge, infatti, alla conclusione che non vi è la necessità di abolire le province, occorrendo piuttosto riflettere su ciascun livello istituzionale e su come intervenire al fine di adeguare la disciplina degli enti locali al nuovo impianto

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delineato dal Titolo V della Costituzione.
Ritiene indubbio che il Titolo V renda necessario, per ciascun livello istituzionale, ripensare in modo radicale alla propria attività. A suo avviso, dunque, è da tale aspetto che è opportuno partire, assicurando la piena attuazione al Titolo V della Costituzione, di cui è innegabile il valore innovativo a partire dalla nuova formulazione dell'articolo 114, che stabilisce che la Repubblica «è costituita» dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
Tale impostazione non vuole ovviamente sottovalutare il tema della degenerazione dei costi della politica e della proliferazione delle funzioni. Ricorda che più volte era stato evidenziato come dalla riforma costituzionale doveva scaturire una semplificazione anche sotto il profilo dei costi. Tuttavia finora non vi è stato un intervento che ha portato ad affrontare in maniera diretta il tema della riduzione dei costi della politica che rimane, a suo avviso, un tema di grande importanza.
Esprime quindi una valutazione contraria rispetto ad un'ipotesi di soppressione generalizzata delle province, senza per questo voler dire che il problema non esiste: occorre quindi individuare una soluzione che consenta di ridurre il numero dei componenti degli esecutivi locali, alla luce del numero sproporzionato degli assessori e del fatto che in questo modo non si va ad incidere sugli organismi direttamente rappresentativi della volontà popolare.
Ribadisce, quindi, che per affrontare il tema della riduzione dei costi della politica quella individuata dalle proposte di legge in discussione non è la strada da percorrere. Occorre piuttosto considerare l'evoluzione che le province possono avere nell'ambito del Titolo V della Costituzione, legato ad una idea nuova delle regioni: essendo i due profili strettamente connessi tra loro ritiene preliminare una riflessione su cosa siano diventate le regioni. Per anni sono state infatti prive di una reale identità; l'articolo 117 della Costituzione dice ora cosa sono le regioni anche se il problema di fondo riguarda il loro essere nel concreto.
Rileva come sia necessario un intervento di tipo politico affinché le regioni divengano il luogo di alta programmazione, abbandonando ogni velleità di tipo gestionale. Ricorda come, a titolo esemplificativo, il bilancio delle regioni sia impegnato per l'80 per cento per il servizio sanitario: da ciò consegue che tale attività impegna la regione in maniera prevalente a discapito di un'attività di programmazione che le dovrebbe più opportunamente competere.
Evidenzia altresì come negli anni vi sia stata una proliferazione di agenzie e società per l'erogazione di servizi di competenza regionale e l'assunzione di compiti gestionali in capo alla regione, la quale si configura oggi come un vero e proprio monstrum nel momento in cui si vanno a sommare tutti questi aspetti. Inoltre, pur di non delegare alcune di tali funzioni le regioni sono giunte a nominare una pluralità di commissari: non intende con ciò acconsentire alle teorie di un neo-centralismo regionale come spauracchio per tornare indietro, anche se resta indubbio che la sommatoria delle funzioni che spettano attualmente alle regioni non appare coerente e necessita di interventi che smontino gli apparati gestionali. Ritiene quindi che questa sia la risposta da dare invece che procedere semplicemente alla soppressione dell'ente provincia.
Rileva inoltre, anche alla luce della sua esperienza passata di assessore all'urbanistica, che la tempestività della risposta che la provincia può dare rispetto al piano territoriale coordinato è indubbia. In tale contesto la provincia può svolgere un ruolo importante, pur riconoscendo che è stato un errore cedere alle insistenze che hanno portato al proliferare del numero di province. Si è giunti, infatti, ad istituire province che ricomprendono un numero molto limitato di comuni con la conseguenza che alla loro dimensione non corrisponde la «nuova funzione delle province» da lui auspicata.

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Rileva, infine, l'opportunità di svolgere una riflessione su un tema che ritiene di particolare rilievo: ricorda come da anni sia in corso un dibattito sui concetti di «area vasta» e di «sistemi territoriali». Ritiene che i due profili non coincidano: sovente le province sono individuate come il livello amministrativo cui affidare l'area vasta; a suo avviso è una forzatura verbale identificare quest'ultima con i sistemi territoriali. Si dice convinto della necessità di mettere a fuoco sistemi territoriali adeguati in cui collocare le politiche. Rileva come un sistema territoriale abbia bisogno di grande flessibilità e per questo è opportuno invitare i comuni a ragionare in termini di sistemi territoriali; il dibattito non può quindi esaurirsi nel concetto di «area vasta». Se si accede quindi alla conferma del ruolo delle province si può risolvere il problema dei sistemi territoriali in cui collocare le politiche.

Linda LANZILLOTTA (PD) rileva come il tema in esame coinvolga molti aspetti istituzionali; occorre, a suo avviso, rifuggire da un approccio demagogico che può portare ad affrontare la materia sulla scia del dibattito sulla «casta», affrontando piuttosto la questione dell'ottimale organizzazione delle istituzioni pubbliche nella direzione della semplificazione di ogni livello, così da ridurre l'apparato burocratico e gli organi politici. Al contempo, nel tenere conto anche di quanto avviene in altri sistemi vicini al nostro, è opportuno considerare che l'ipertrofia si verifica più spesso su ciò che viene creato intorno agli organi politici - organismi, enti, consorzi, società - piuttosto che sugli enti territoriali in senso proprio.
Giova, a suo avviso, riprendere il ragionamento che vi era stato durante la riforma del Titolo V della Costituzione. Ricorda come l'articolo 114 rappresenti una sorte di «catalogo» che potrebbe, peraltro, anche essere modificato prevedendo che tra la provincia e la città metropolitana vi sia un'alternatività correlata alla tipologia del territorio e delle funzioni da svolgere.
Ritiene, comunque, che nella Costituzione vi sia la «bussola» per riprendere il ragionamento che era implicito nella riforma del Titolo V: quest'ultimo è stato infatti modificato per una spinta federalista ma anche per riorganizzare le amministrazioni pubbliche rendendole più vicine ai cittadini e più controllabili. È quindi opportuno proseguire nell'applicazione di tali principi di derivazione comunitaria, cercando di misurare la tipologia delle funzioni sulla base di tali criteri ed assegnando alle province funzioni anche molto ampie laddove non sia stata istituita una città metropolitana.
Ritiene che, come evidenziato dal collega Giovanelli, non si tratti tanto di una questione connessa al concetto di «area vasta», considerato che tutti i servizi hanno una dimensione potenzialmente tale, quanto piuttosto di valutare se il servizio da offrire abbia una relazione diretta con i destinatari, privilegiando, in tal caso, il rapporto con l'ente, o l'unione di enti, più vicini ai cittadini. Andrà invece valutato diversamente un servizio che necessita di un'organizzazione di tipo territoriale che, in quanto tale, richiede che sia svolto da un organo di livello superiore.
Ricorda che nel codice delle autonomie in discussione nel corso della passata legislatura era stato previsto che alla provincia spettasse l'erogazione di quei servizi con tipologia «a rete», che legano i territori con modelli organizzativi di tipo reticolare. Si tratta, a suo avviso, dell'unico ragionamento che consente di procedere ad una distinzione del livello comunale rispetto a quello provinciale.
È consapevole, tuttavia, che si tratta di un lavoro di certo non facile: come sa il ministro Calderoli, che sta lavorando sul testo da presentare al Parlamento, si tratta di intervenire radicalmente su assetti molto spesso consolidati. Rileva, infatti, come il passaggio di servizi a rete - quali quelli idrici, di smaltimento dei rifiuti, dell'energia - da una dimensione municipale ad una provinciale porterebbe conseguenze certamente non indolori.
Occorre quindi comprendere se si ha la forza e la volontà politica di procedere ad

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una riorganizzazione effettiva che elimini le duplicazioni. Diversamente, andrà preso atto che manca la capacità di riorganizzare i poteri municipali e, solo in tal caso, l'esistenza stessa della provincia andrebbe messa in discussione.
Ricorda come l'obiettivo principale del Titolo V sia quello di evitare che l'eccessiva segmentazione tra livelli conduca all'assenza di un legame diretto tra chi eroga servizi e chi ne beneficia, con conseguente deresponsabilizzazione di chi esercita le proprie funzioni. Ritiene quindi che la questione principale non riguardi l'utilità delle provincia come livello che organizza le reti del territorio quanto piuttosto se si sia in grado di procedere ad una profonda e coraggiosa riorganizzazione a servizio dei cittadini invece che degli enti e dei poteri locali.
È quindi a suo avviso preliminare una verifica della fattibilità dell'opera di razionalizzazione insieme alla definizione delle funzioni che potrebbero spettare alla provincia. Altrimenti, occorrerà prendere atto che anche l'attuale Governo - che dispone di un'ampia maggioranza e di una cultura territoriale radicata - non ha le risorse politiche per compiere una profonda riforma: in tal caso andrà dunque riorganizzato il sistema, partendo dalla cellula aggregativa rappresentata dal comune ed andando avanti per livelli successivi.
Rileva, infine, come sia necessario evitare che si attribuiscano funzioni improprie, anche in un'ottica di semplificazione: si chiede, ad esempio, per quali ragioni il settore sanitario debba essere amministrato e gestito dalle regioni. Ritiene che se si procederà ad una riforma incisiva sarà possibile giungere ad una più coerente definizione delle funzioni da mantenere in capo alle regioni.
Ritiene, quindi, che in questa fase sia opportuno limitarsi ad una sospensione dell'esame delle proposte sulla soppressione delle province, che consenta di affrontare la questione dopo aver preso conoscenza della nuova organizzazione dei poteri territoriali su cui il Governo sta lavorando. Solo a quel punto sarà, infatti, possibile effettuare una valutazione sull'utilità e sulla sopravvivenza delle province, fermo restando che il Governo dovrà presentare il progetto di riforma entro tempi congrui, considerato che lo stesso è stato preannunciato al Parlamento da molto tempo ma non è ancora stato trasmesso.

Mario TASSONE (UdC), richiamata una dichiarazione rilasciata dal ministro Calderoli agli organi di stampa alcune settimane fa nella quale si rimarcava l'assenza dei deputati del gruppo dell'Unione di centro dai lavori della I Commissione relativi alle proposte di legge in materia di soppressione delle province, precisa che il suo gruppo non ha partecipato alla fase iniziale di quei lavori in quanto riteneva inopportuno che il Parlamento discutesse della soppressione delle province mentre era in corso la campagna elettorale per il rinnovo, tra l'altro, di molti consigli provinciali. Ora che le elezioni si sono tenute, il suo gruppo parteciperà ai lavori della Commissione con la consueta assiduità.
Venendo quindi al merito delle proposte di legge in esame, si dichiara perplesso. Ricorda che, nella campagna elettorale per le elezioni politiche del 2008, l'abolizione delle province è stata indicata da parte un po' di tutti i partiti come un obiettivo da perseguire, anche per ridurre i costi della politica; conseguentemente, sono state presentate dai diversi gruppi proposte di legge per la soppressione delle province.
Rileva però che, alla luce del dibattito fin qui svolto, sembra che molti gruppi abbiano rivisto le proprie posizioni ed esprime il timore che si decida alla fine di potenziare, anziché di sopprimere, le province. Del resto, di abolire le province si parla da decenni, ma in concreto l'unica cosa che si è fatta è stata di istituirne di nuove, senza peraltro verificare se ciò fosse funzionale al miglior servizio dei cittadini. Il disegno del riformato titolo V della parte II della Costituzione prevedeva, d'altra parte, che le regioni avessero poteri legislativi più forti, ma che per il resto si demandassero le funzioni amministrative alle province, oltre che ai comuni. Le

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regioni, invece, come è stato detto anche oggi, hanno mantenuto e accentrato in sé le competenze amministrative. È quindi indispensabile innanzitutto una riflessione sul ruolo delle regioni: per inciso, occorrerebbe innanzitutto chiedersi se abbia ancora senso distinguere tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario.
Quanto alla tesi che l'abolizione delle province servirebbe a ridurre i costi della politica, la ritiene insostenibile. Se le province sono istituzioni utili ai cittadini, vanno mantenute a prescindere dai costi; se non lo sono, vanno soppresse perché inutili, non perché costose. In ogni caso, i costi derivano non dalle province ma dal pletorico sistema degli enti collegati agli enti territoriali, dalle comunità montane, ai consorzi di bonifica, agli ambiti territoriali ottimali.
In conclusione, è a suo avviso essenziale riflettere sul complessivo assetto della Repubblica, considerato che nessun discorso di dettaglio può essere portato avanti se non si ha chiara la visione dell'insieme. Non è pertanto possibile decidere a favore o contro la soppressione delle province finché non si è definito il quadro d'insieme del sistema delle autonomie territoriali. Invita quindi la maggioranza ed il Governo a chiarire se intendono portare avanti la discussione sulle proposte di legge in titolo ovvero rinviarla in modo da poterla svolgere alla luce di una riflessione più matura sull'insieme delle questioni attinenti alle autonomie territoriali.

Giuseppe CALDERISI (PdL), preso atto che da parte dei gruppi di opposizione è stata rappresentata l'opportunità di rinviare la discussione sulle province a dopo che sarà stata svolta una riflessione complessiva sul sistema delle autonomie territoriali, nell'ambito dell'esame del disegno di legge recante il codice delle autonomie che il Governo si accinge a presentare, fa presente che non è comunque possibile, allo stato, sospendere l'esame delle proposte di legge in titolo, in quanto esse sono state inscritte dalla Conferenza dei presidenti di gruppo, sulla base di una legittima richiesta dell'Italia dei valori, nel calendario dei lavori dell'Assemblea per il mese di settembre e devono pertanto essere istruite dalla Commissione nel corrente mese di luglio. Pur concordando quindi sul fatto che la discussione sul codice delle autonomie dovrebbe precedere quella sulle proposte di legge in esame, rileva che l'organizzazione dei lavori della Commissione al riguardo non dipende, a questo punto, né dalla maggioranza né dal Governo.
Quanto al merito delle questioni, premesso di essere tra i deputati del Popolo della libertà favorevoli alla soppressione delle province, afferma di essere consapevole che un livello di governo intermedio tra i comuni e le regioni deve esistere, ma di ritenere anche che tale livello di governo non debba necessariamente essere elettivo. Aggiunge che, in ogni caso, prima di discutere della soppressione o della modifica delle province occorre porre mano ad una riforma che semplifichi drasticamente il sistema delle autonomie territoriali con riferimento soprattutto agli innumerevoli enti funzionali dipendenti dagli enti territoriali o ad essi comunque collegati.

Il ministro Roberto CALDEROLI, premesso di essere contrario a un intervento sull'articolo 114 della Costituzione volto alla soppressione delle province, valuta invece favorevolmente il suggerimento della deputata Lanzillotta di intervenire sul medesimo articolo per precisare che province e città metropolitane sono enti alternativi.
Quanto al ruolo delle province, ritiene che a questo punto, approvata la legge sul federalismo fiscale, il legislatore debba concentrarsi sul complessivo disegno delle autonomie territoriali, individuando con chiarezza le funzioni dei diversi livelli di governo, comprese le province. Occorre intraprendere una semplificazione del sistema delle autonomie territoriali che tocchi innanzitutto gli enti che, non essendo territoriali in senso stretto, non sono previsti direttamente dalla Costituzione, ma

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sono proliferati, sulla base di leggi ordinarie, intorno agli enti territoriali. Fa presente che, riguardo al numero di questi enti, è difficile una stima certa: l'ANCI li calcola in circa 34 mila. Certamente non tutti sono inutili, ma occorrerà una riflessione su di essi in vista della razionalizzazione del sistema e della riallocazione delle funzioni di governo sulla base del titolo V della parte II della Costituzione: per inciso, molti di questi enti gestiscono servizi a rete e le loro funzioni potrebbero quindi ben essere trasferite alle province. In ogni caso, è difficile che tra le regioni e i comuni possa non esserci un ente intermedio.
Ciò premesso, concorda sul fatto che sarebbe più corretto affrontare prima la discussione sul complesso del sistema delle autonomie locali e solo dopo la questione se sopprimere o mantenere le province e conferma che la stesura del disegno di legge del Governo recante il codice delle autonomie è ad un buon punto, anche se in questo momento i lavori della Conferenza Stato-regioni sono sospesi in attesa di un incontro tra le regioni e il Presidente del Consiglio dei ministri, che si terrà dopo il vertice del G8. Ove l'incontro non dovesse consentire di superare le divergenze sul testo, il Governo valuterà se procedere comunque alla presentazione del disegno di legge. Al riguardo, ricordato che la 1a Commissione Senato ha già posto all'ordine del giorno dei suoi lavori il tema delle autonomie territoriali, ribadisce quanto già osservato in altra seduta, ossia che sarebbe auspicabile che tra i due rami del Parlamento si raggiungesse un'intesa ai fini di un equilibrato riparto del lavoro legislativo.

Salvatore VASSALLO (PD) prende atto che il Governo preferirebbe che la riforma del sistema delle autonomie territoriali delineato con legge ordinaria fosse discussa prima della riforma costituzionale del titolo V della parte II, la quale non dovrebbe peraltro limitarsi all'articolo 114. Si può però anche sostenere che la revisione della Costituzione, in quanto riguarda il disegno generale del sistema delle autonomie, debba precedere, e non seguire, la riforma della legislazione di dettaglio sulla materia, contenuta nella legge ordinaria. La scelta se mantenere o sopprimere le province è infatti preliminare. Se si decide di mantenere le province e di mantenerle come enti rappresentativi diventa poi difficile negare alle province funzioni che potrebbero essere più razionalmente attribuite ad altri livelli di governo: in quanto enti rappresentativi le province hanno infatti un peso politico che impedisce di limitarne il ruolo.
Teme quindi che il dibattito in corso sulla soppressione o il mantenimento delle province rischi di essere fittizio dal momento che è difficile immaginare un sistema di governo privo di un livello intermedio tra comuni e regioni: del resto, l'esistenza di un livello di governo analogo alle province italiane è la regola in Europa, sia nei Paesi ad assetto federale che in quelli ad assetto centralista. La proposta di sopprimere le province appare quindi tesa più a segnalare chi la avanza a quella parte dell'elettorato che è pregiudizialmente ostile alla politica che non a cercare soluzioni efficaci fondate su una riflessione approfondita nel merito. Certo, il problema dei costi della politica esiste e non va trascurato, né si può sostenere che le province siano intoccabili.
A suo avviso, il problema va però affrontato da una prospettiva diversa, ossia trasformando le province in enti rappresentativi non direttamente dei corpi elettorali, bensì dei comuni: in tal senso si orienta una proposta di legge costituzionale da lui presentata (C. 2579) e in corso di assegnazione. Fa presente, al riguardo, che la Costituente non decise subito e senza esitazioni che le province dovessero essere enti elettivi di primo grado al pari di comuni e regioni. La proposta della Commissione dei settantacinque era anzi nel senso di non equiparare le province ai comuni e alle regioni. Fu l'Assemblea costituente a emendare il testo, in ragione della preoccupazione di non deprimere le popolazioni dei comuni capoluogo di provincia. In ogni caso, la trasformazione delle province in enti di secondo grado

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aiuterebbe a definire le loro funzioni al riparo dalla pressione politica che esse sono oggi in grado di esercitare in quanto enti elettivi diretti. L'articolo 114 potrebbe essere quindi riformulato nel senso che la Repubblica si compone dello Stato, delle regioni e dei comuni. Tra l'altro, le province sarebbero più credibili come titolari delle funzioni che oggi sono disperse tra una miriade di enti promanati dai comuni.
Quanto alle città metropolitane, ritiene che occorra innanzitutto definire cosa siano. Ad oggi, infatti, per alcuni la città metropolitana deve essere la stessa cosa della provincia, ma con qualche funzione in più; per altri deve invece essere una sorta di unione di comuni con un comune in posizione preminente. A suo avviso, la città metropolitana va pensata invece come una sorta di grande comune, che assommi in sé le funzioni del comune e quelle della provincia e sia articolato al suo interno in municipi.
In conclusione, invita i gruppi a tenere presente, ai fini della discussione sulle proposte di legge in titolo, anche la proposta di legge da lui presentata.

Donato BRUNO, presidente, assicura che la proposta di legge, non appena assegnata, sarà valutata al fine dell'eventuale abbinamento. Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, ricorda che, come già osservato dal deputato Calderisi, l'esame delle proposte di legge in titolo non può essere sospeso, atteso che la Commissione ha il dovere di istruire il provvedimento ai fini della sua discussione in Assemblea, prevista per settembre. Ritiene quindi che, una volta esaurita la discussione di carattere generale, si potrebbe procedere ad una breve indagine conoscitiva: la decisione sul punto spetta peraltro all'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi e sarà pertanto affrontata in quella sede. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.40.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Martedì 7 luglio 2009.

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 13.40 alle 13.55.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Martedì 7 luglio 2009. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 13.55.

Disposizioni in materia di violenza sessuale.
Emendamenti C. 574-A De Corato ed abb.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Anna Maria BERNINI BOVICELLI (PdL), relatore, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 e l'emendamento 6.500 del Governo non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione.
Propone, pertanto, di esprimere su di essi il parere di nulla osta, ad eccezione che sull'articolo aggiuntivo 1.01 Di Biagio, nonché sugli emendamenti Paglia 2.211 e 4.204, sui quali propone al Comitato di esprimere un parere contrario (vedi allegato) in ragione del loro evidente contrasto con taluni articoli della Costituzione.
In particolare, l'articolo aggiuntivo Di Biagio 1.01 prevede la non perseguibilità del privato che intende intervenire al fine di interrompere una fattispecie delittuosa di cui all'articolo 380, comma 2, lettera d), del codice di procedura penale qualora questa sia in corso, salvo i casi in cui l'intervento cagioni il decesso dell'aggressore. Tale previsione appare in contrasto con l'articolo 2 della Costituzione che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo» e tra questi, in primo luogo, il bene della vita umana e dell'incolumità

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personale la cui tutela è posta al di sopra di quella riservata ad altri diritti pur costituzionalmente tutelati. Ritiene, inoltre, che la disposizione sia da valutarsi in rapporto all'articolo 3 della Costituzione alla luce del principio di ragionevolezza.
Rileva inoltre che gli emendamenti Paglia 2.211 e 4.204 - che precludono la possibilità per il condannato di beneficiare dell'assegnazione al lavoro esterno, dei permessi premio, delle misure alternative alla detenzione nonché della liberazione anticipata - sono in contrasto con quanto previsto dal terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce che «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato».

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 16.

AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE REFERENTE

Norme in materia di cittadinanza.
C. 103 Angeli, C. 104 Angeli, C. 457 Bressa, C. 566 De Corato, C. 718 Fedi, C. 995 Ricardo Antonio Merlo, C. 1048 Santelli, C. 1592 Cota, C. 2006 Paroli e C. 2035 Sbai.

Introduzione dell'articolo 114-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di reati elettorali.
C. 465 Anna Teresa Formisano.