CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 1° luglio 2009
196.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Mercoledì 1o luglio 2009. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 9.05.

Decreto-legge 61/2009: Disposizioni urgenti in materia di contrasto alla pirateria.
Emendamenti C. 2511 Governo.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Isabella BERTOLINI, presidente e relatore, rileva che l'emendamento contenuto nel fascicolo n. 1 non presenta profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione. Propone pertanto di esprimere su di esso il parere di nulla osta.
Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.

Riconoscimento della personalità giuridica alla Scuola per l'Europa di Parma.
Nuovo testo C. 2434 Governo.

(Parere alla VII Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazione).

Isabella BERTOLINI, presidente e relatore, dopo aver brevemente illustrato il

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provvedimento, evidenzia che l'articolo 1, comma 3, prevede che, oltre che ai figli dei dipendenti dell'EFSA e dei dipendenti delle società convenzionate con l'Autorità medesima, l'accesso alla Scuola per l'Europa di Parma è consentito, nei limiti stabiliti con il decreto di cui al comma 7 del medesimo articolo 1, anche ai figli dei «cittadini italiani». Al riguardo, osserva che tale disposizione sembra introdurre una disciplina speciale per i cittadini rispetto ai residenti non cittadini, potenzialmente in contrasto con quanto previsto dagli articoli 3 e 34 della Costituzione, nonché con il principio comunitario di non discriminazione sulla base della nazionalità, di cui all'articolo 12 del trattato che istituisce la Comunità europea.
Formula quindi una proposta di parere favorevole con un'osservazione (vedi allegato 1) intesa a richiamare l'attenzione della Commissione di merito sull'opportunità di rivedere, all'articolo 1, comma 3, l'attuale formulazione, che limita ai soli figli dei «cittadini italiani» la possibilità di accesso alla Scuola, nei limiti stabiliti con il decreto di cui al comma 7 del medesimo articolo 1.

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.

La seduta termina alle 9.15.

SEDE REFERENTE

Mercoledì 1o luglio 2009. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio Aldo Brancher e il sottosegretario di Stato per l'interno Michelino Davico.

La seduta comincia alle 14.40.

Variazione nella composizione del Comitato permanente per i pareri.

Donato BRUNO, presidente, comunica che per il gruppo Unione di Centro entra a far parte del Comitato permanente per i pareri il deputato Pierluigi Mantini in sostituzione del deputato Luca Volonté che ha cessato di far parte della Commissione.

Norme in materia di cittadinanza.
C. 103 Angeli, C. 104 Angeli, C. 457 Bressa, C. 566 De Corato, C. 718 Fedi, C. 995 Ricardo Antonio Merlo, C. 1048 Santelli, C. 1592 Cota, C. 2006 Paroli e C. 2035 Sbai.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato da ultimo, nella seduta del 25 giugno 2009.

Raffaele VOLPI (LNP), richiamato l'intervento del deputato Bressa, il quale ha sostenuto, tra l'altro, che l'attribuzione della cittadinanza è necessaria al fine di «restituire i diritti» agli immigrati regolari presenti nel nostro Paese, nel rispetto del principio costituzionale di eguaglianza, obietta che altro è la cittadinanza, altro il riconoscimento dei diritti: si tratta di due temi che vanno tenuti disgiunti. Quanto ai diritti, premesso che, come osservato dal deputato Paroli, spesso le discriminazioni avvengono ormai in favore degli stranieri, e non contro, ricorda che la giurisprudenza costituzionale e di merito ha riconosciuto ormai ampiamente l'esistenza di diritti che spettano alla persona in generale e dunque anche al non cittadino.
A quanti invece hanno sostenuto che la cittadinanza costituisce il mezzo per l'integrazione, ricorda che nell'esperienza di altri Paesi questa via non ha prodotto i risultati sperati in termini di integrazione e di reciproco riconoscimento: richiama, a titolo di esempio, il caso della Francia.
Fa presente che rinunciare a una cittadinanza per richiederne un'altra equivale a rinunciare ad un'identità complessiva per scegliere di essere altro ed altrove: lo straniero che accetta un passaggio così forte, che non lo fa per convenienza o per contingenza bensì con forti motivazioni e convinzioni, accetta serenamente il procedimento di concessione della cittadinanza

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e non teme i dieci anni di residenza legale previsti dalla legge attuale per diventare cittadino.
Invita poi a riflettere sul fatto che la cittadinanza di uno Stato membro implica oggi la cittadinanza europea. Anche per questo la sua parte politica avverte forte la responsabilità di un'eventuale modifica della legge sulla cittadinanza e non condivide né la semplificazione dei percorsi di ottenimento della cittadinanza che è stata attuata in alcuni Paesi membri, né quelle, tra le proposte di legge in esame, che si muovono nella stessa direzione. È stato detto che la legislazione italiana sulla cittadinanza sarebbe più arretrata di altre, in quanto più severa e restrittiva: a suo avviso, proprio in considerazione delle trasformazioni e dei cambiamenti della nostra epoca, una legislazione severa e restrittiva è una legislazione adeguata ai tempi, realistica e responsabile sia nei confronti del Paese sia nei confronti dell'Unione europea.
Ribadisce che i tentativi di formale equiparazione sociale tra italiani e stranieri attraverso la concessione della cittadinanza a seguito di percorsi facilitati non agevolano una consapevole ricerca dell'integrazione: l'integrazione presuppone infatti, nello straniero, una scelta sincera e profonda nel senso di voler accedere ad un nuovo ed esclusivo status. Molti studi hanno analizzato il rapporto tra cittadinanza e integrazione: non si può dire che emerga da essi la prova della efficacia della cittadinanza come mezzo di integrazione; anzi, spesso gli studi hanno sviluppato riflessioni negative al riguardo, basate sull'analisi di esperienze già realizzate. È emerso che un troppo facile accesso alla cittadinanza sviluppa spesso non tanto una consapevole e convinta integrazione quanto una irragionevole aspettativa di diritti inaccessibili o indisponibili anche per i cittadini.
Parlando invece della «collocazione giuridica» della cittadinanza, rileva che non vi è dubbio che essa segua le evoluzioni dei concetti prima di popolo poi di nazione e di Stato. Considerando lo Stato come ordinamento generale della società civile, la sua parte politicaconsidera lo stesso come evoluzione propria di una stretta colleganza tra appartenenza, popolo, nazione in tutti suoi aspetti costitutivi di cultura, concetto di legge, modello di società, consuetudini e tradizioni e non certo da ultimi i valori. Ovviamente la sua parte politica rigetta in modo deciso le elaborazioni teoriche che congiungono la cittadinanza come riconoscimento di un'appartenenza etnica, ma riconosce invece la cittadinanza come un insieme di concezioni e convinzioni di appartenenza e di valori che nel loro insieme hanno determinato il passaggio da popolo-nazione a Stato-ordinamento.
Per la sua parte politica non vi è dubbio che la cittadinanza, nel suo rapporto con la riconoscibilità di un popolo-nazione-Stato, anche nella forma federalista, abbia l'importante aspetto di essere un bene di riferimento e quindi presupponga una inevitabile, determinata, consapevole appartenenza. Proprio per questo si deve considerare la cittadinanza un riconoscimento reciproco, consapevole ed esclusivo tra l'individuo e l'appartenenza ad un ordinamento nella sua forma più espressiva di una comunità con valori fondanti certi e non contrattabili.
La cittadinanza non è non può essere passeggera o momento di compromesso o, ancora, via di fuga per risolvere problematiche sociali, perché ne risulterebbe sminuita nel suo valore di status. Inoltre si sfuggirebbe alla ricerca di soluzioni sul campo ai problemi reali. D'altra parte, ancor peggio sarebbe immaginare la concessione della cittadinanza come un mezzo per normalizzare,e quindi quietare, disagi che possono insorgere dalla presenza di non cittadini sul territorio dello Stato: questo ricalcherebbe le peggiori esperienze del passato, in una chiave peraltro antistorica in quanto questa strada è stata percorsa nei secoli spesso solo nei casi di conquiste territoriali, quando la pax si produceva concedendo cittadinanza e creando nuove élite locali.
Certamente superata la fase storica dell'assioma appartenenza-sudditanzaè stata indotta una diversa e rinnovata percezione

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in cui gli istituti democratici superano la sudditanza e trasformano la cittadinanza in partecipazione.
La sua parte politica, quindi, ritiene che sarebbe un grave errore considerare la cittadinanza alla stregua di un mero rapporto giuridico in quanto la cittadinanza non presenta profili di contrattualità. La cittadinanza va piuttosto considerata uno status e quindi una situazione giuridica legata a precisi fatti e requisiti non trattabili: requisiti che sono situazioni di fatto e quindi mai in nessun caso meri rapporti. Su queste basi appare evidente perché la cittadinanza come status si acquisisca e si trasmetta attraverso lo jus sanguinis e perché lo jus soli debba essere una marginale e sempre molto ponderata funzione correttiva. Il criterio di trasmissione della cittadinanza per discendenza è infatti il più adeguato all'attribuzione di un bene esclusivo di riferimento come lo status di cittadino. È d'altra parte inaccettabile la proposta contenuta in alcuni progetti di legge in esame i quali che prevedono che la cittadinanza acquisita con percorsi speciali possa essere revocata: tali ipotesi dimostrano che le forme di cittadinanza non basate sullo jus sanguinis non portano con sé i valori centrali di uno status esclusivo ma la contrattualità di un rapporto giuridico.
In conclusione, la sua parte politica rigetta con fermezza qualsiasi compromesso sulla concessione della cittadinanza e respinge le ipotesi di acquisizione precaria della stessa che di fatto andrebbero verso un declassamento inaccettabile di uno status esclusivo. Il gruppo Lega Nord Padania è disponibile alla discussione, ma non intende discutere il principio dei dieci anni di residenza per l'acquisto della cittadinanza. Sarebbe anzi sorpreso se, se al di fuori dei programmi sottoscritti dai partiti della maggioranza di Governo, si manifestasse la tendenza a cercare di «definire nuovi percorsi per la cittadinanza»e ancor più se da parte di esponenti della maggioranza, di cui la Lega Nord Padania fa parte, vi fossero convergenze, su questo importante argomento, con parti dell'opposizione. La Lega Nord Padania non capirebbe, non condividerebbe, non si adeguerebbe.

Souad SBAI (PdL) sottolinea che la cittadinanza rappresenta la fase finale di un completo e positivo processo di integrazione del cittadino straniero nel Paese. Il 2008 è stato caratterizzato da un'intensa attività di concessione della cittadinanza italiana, collegata all'imponente fenomeno della migrazione di cittadini provenienti principalmente da Paesi extracomunitari, inseriti stabilmente nella società italiana. Ad oggi essi rappresentano un'imponente forza lavoro su cui si basano importanti settori dell'economia nazionale, come l'agricoltura, l'edilizia o l'assistenza domiciliare. Gli immigrati regolari concorrono quindi allo sviluppo demografico, sociale ed economico dell'Italia. In tale contesto, la cittadinanza rappresenta, a suo avviso, il mezzo più efficace per attuare una integrazione vera, piena e consapevole nel rispetto della Costituzione e dell'ordinamento giuridico italiano.
Nella prospettiva, quindi, di una naturalizzazione che tenga conto, da una parte, della tutela delle istituzioni dell'Italia, della sua coesione sociale, di una pacifica e fruttuosa convivenza tra i cittadini e, dall'altra, delle esigenze degli immigrati, che vivono da molti anni in Italia, ritiene necessario aggiornare la relativa normativa, tenendo conto di tutte le variabili in gioco. Mantenendo invariato il principio dello jus sanguinis, la cittadinanza dovrebbe essere concessa a tutti i minori che abbiano compiuto in Italia il ciclo di studi obbligatorio e che non abbiano beneficiato dell'istituto del ricongiungimento familiare o della coesione familiare. Questo è, a suo parere, essenziale: occorre evitare che i ragazzi che crescono in Italia sentendosi italiani e spesso parlando solo l'italiano scoprano poi a diciotto anni di non essere italiani e di dover mettersi in fila con gli altri per ottenere un riconoscimento: è qui infatti che fa presa l'estremismo. Analogamente la cittadinanza dovrebbe essere concessa a tutte quelle donne straniere, e sono molte, alle quali il coniuge ha sequestrato

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il permesso di soggiorno e che si trovano quindi in una condizione di sudditanza fisica, psicologica e sociale.
Ritiene, d'altra parte, che per diventare cittadino italiano occorra saper parlare e scrivere la lingua italiana e conoscere la Costituzione: per questo motivo è necessario che, nel percorso di naturalizzazione, dopo l'ottenimento del permesso di soggiorno di 3 anni e prima della concessione della carta di soggiorno, gli stranieri interessati dimostrino di conoscere la lingua e le leggi italiane.
Giudica inoltre necessario agire, specularmente, anche al livello sanzionatorio, prevedendo la revoca della cittadinanza per coloro che abbiano riportato condanne penali per reati di associazione sovversiva e con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico: costoro infatti violano il patto di fedeltà allo Stato commettendo delitti contro la sua personalità internazionale. In tal caso, per coloro che l'abbiano ottenuta da meno di 5 anni, la cittadinanza deve essere revocata.
Nel caso, poi, di acquisizione della cittadinanza per matrimonio con un cittadino italiano, reputa assolutamente necessario che venga accertato, come previsto nella sua proposta di legge, che lo straniero che si sposa non sia già sposato nel suo Paese di origine. Molto spesso infatti lo strumento del ricongiungimento familiare è utilizzato in maniera impropria, contravvenendo alle leggi dello Stato: uomini già sposati nei propri Paesi si sposano nuovamente con cittadine italiane, acquistano la cittadinanza e chiedono il ricongiungimento alle proprie mogli non italiane, riunendo così in Italia una famiglia poligama. Occorre, quindi, una disciplina che abbia alla sua base il rispetto del patto etico tra il cittadino e lo Stato e tra l'uomo e la donna.
Ricorda, al riguardo, che anche il disegno di legge governativo in materia di sicurezza, attualmente all'esame dell'altro ramo del Parlamento (S. 733-B), tratta aspetti importanti in tema di cittadinanza introducendo riforme in materia di immigrazione: i commi 11 e 12 dell'articolo 1 del testo approvato dalla Camera intervengono sulla legge 91 del 1992, introducendo nuovi requisiti, più stringenti, per l'ottenimento della cittadinanza italiana a seguito di matrimonio con cittadino italiano. È previsto, che, per l'ottenimento della cittadinanza a seguito di matrimonio con cittadino italiano, è necessario che, al tempo dell'adozione del decreto del Ministro dell'interno di riconoscimento della cittadinanza, non sia intervenuto lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi. Quanto all'acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero o apolide residente in Italia, la disciplina proposta è più rigorosa sotto due profili: innanzitutto, la residenza nel territorio della Repubblica deve essere biennale, e non semestrale, come nel testo vigente e deve essere inoltre successiva al matrimonio. Inoltre, rispetto all'acquisto della cittadinanza nel termine di tre anni successivi al matrimonio, il testo precisa che detto termine triennale vale per il coniuge straniero o apolide «se residente all'estero». I termini sono dimezzati, in presenza di figli nati «dai coniugi».
Fa presente di aver presentato un'apposita proposta di legge (C. 2035), la cui finalità, è di colpire, in particolar modo, quegli stranieri che omettono, al momento della richiesta della cittadinanza italiana, di dichiarare precedenti matrimoni contratti in altri Paesi e che successivamente si sposano con una cittadina o un cittadino italiani, divenendo in questo modo bigami, contro la legge italiana (articolo 86 del codice civile).
Ribadisce che innumerevoli sono i casi di utilizzo improprio dell'istituto del ricongiungimento familiare e dell'acquisizione della cittadinanza italiana da parte di cittadini stranieri. Ha ritenuto per questo necessario presentare una proposta di legge, ad integrazione di quanto sta già facendo il Governo in materia di lotta all'immigrazione clandestina e di sicurezza pubblica. L'intento è di tutelare le donne di origine extracomunitaria presenti in Italia: infatti i casi di abusi e discriminazioni

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contro di esse si moltiplicano e rendono necessario un intervento normativo. Si intende così assicurare un maggiore rispetto dei diritti fondamentali della persona nei confronti dei componenti di nuclei familiari di origine extracomunitaria, abolendo le discriminazioni per cause etniche, ideologiche o religiose, anche al fine di tutelare queste donne e tenuto conto dei princìpi fondamentali della citata legge n. 91 del 1992.

Maria Piera PASTORE (LNP) intende intervenire facendo riferimento, in primo luogo, a quanto finora emerso nel dibattito, condividendo alcune considerazioni ed esprimendo invece più perplessità e cautela rispetto ad altre.
Ricorda preliminarmente che la legge n. 91 del 1992 non ha modificato il carattere discrezionale della concessione della cittadinanza; conseguentemente, non è possibile configurare un diritto soggettivo del richiedente, anche a seguito del periodo di residenza prescritto. Il Consiglio di Stato, nelle proprie pronunce, ha sottolineato la necessità di verificare alcuni elementi, a partire dalla serietà dell'intento, dalla conoscenza della lingua e dall'assolvimento degli obblighi contributivi. Ritiene, quindi, opportuno verificare attentamente quanto previsto dalla proposta di legge C. 457 Bressa che individua una nuova procedura per l'acquisizione della cittadinanza al termine della quale si configura - previa sussistenza di determinate condizioni - un vero e proprio diritto soggettivo del richiedente. Tale diritto, seppur condizionato, darebbe luogo ad una posizione molto diversa da quella attuale, basata sul carattere discrezionale della concessione della cittadinanza.
Rileva, inoltre, che in più interventi è stato fatto riferimento al principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione: in proposito, come evidenziato anche dal collega Volpi, ricorda che tale previsione è rivolta ai cittadini, risultando quindi difficile pensare che essa vada applicata rigorosamente anche a chi cittadino non è ancora.
Evidenzia come la cittadinanza non possa essere considerata come un premio da acquisire o come un pezzo di carta di cui disporre, quanto piuttosto come il risultato finale di un processo di accettazione dei principi, dei doveri e delle regole di un Paese. Per tali ragioni, infatti, la vigente normativa prevede che dopo dieci anni chi è interessato ne presenti richiesta.
Sottolinea, inoltre, come l'acquisto della cittadinanza non possa essere l'inizio di un processo di integrazione né un modo per realizzare meglio tale obiettivo; deve piuttosto configurarsi come l'atto finale di un percorso che si conclude con un giuramento solenne. Rileva, in proposito, come tale giuramento sia spesso considerato una mera «formula di rito» privo di una reale volontà, da parte dell'interessato, di mantenere l'impegno solenne assunto con la promessa.
Ritiene, inoltre, che la Costituzione debba essere conosciuta ed osservata nei suoi principi ispiratori da parte dei futuri cittadini, non essendo sufficiente una lettura formale che si accompagni a comportamenti che, di fatto, non riconoscono principi quali la parità tra uomo e donna o il rispetto dei diritti fondamentali della persona o nell'educazione dei figli.
Ritiene quindi necessario mantenere fermi i termini attualmente previsti per l'acquisizione della cittadinanza, prevedendo eventualmente una disciplina più rigida per i casi in cui questa avvenga a seguito della contrazione di matrimonio. Esprime, al contempo, disponibilità in merito alla possibilità di inserire cause preclusive per l'acquisto e la revoca della cittadinanza nonché in ordine a possibili valutazioni sulle questioni connesse alla conoscenza della lingua, delle tradizioni e delle norme di educazione civica oltre che ad una conoscenza sostanziale della Carta costituzionale. Si tratta peraltro, in questi casi, di requisiti che andrebbero applicati anche a coloro che sono già cittadini italiani: in tal modo tutti avrebbero la piena consapevolezza del significato della cittadinanza e forse si affronterebbe con meno leggerezza un tema di tale rilevanza e delicatezza.

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Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Introduzione dell'articolo 114-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di reati elettorali.
C. 465 Anna Teresa Formisano.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 30 giugno 2009.

Il sottosegretario Michelino DAVICO, dopo essersi scusato per la mancata partecipazione alla seduta di ieri, dovuta ad impegni istituzionali sopraggiunti ed indifferibili, dichiara di aver letto attentamente il resoconto dei lavori della Commissione e prende atto della convergenza delle forze politiche in ordine alla finalità del provvedimento in esame, volto, in ogni caso, ad eliminare la disparità di trattamento tra fattispecie di reato identiche ma assoggettate a regimi di prescrizione differenti.
Quanto alla scelta tra i due regimi prescrizionali, quello biennale previsto dalle norme per l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali e quello ordinario applicabile ai reati previsti dalle norme per l'elezione della Camera dei deputati, conferma che, per il Governo, si tratta di una scelta rimessa alla discrezionalità del Parlamento.
Aggiunge che l'eliminazione della predetta disparità è in linea con quanto affermato nella sentenza n. 455 del 1998 dalla Corte costituzionale, la quale, come ha avuto modo di ricordare in un precedente intervento, ha segnalato l'esigenza di una compiuta razionalizzazione del sistema dei reati elettorali, proprio in relazione alla durata della prescrizione.

Donato BRUNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di soppressione delle province.
C. 1694 cost. Nucara, C. 1836 cost. Scandroglio, C. 1989 cost. Casini, C. 1990 cost. Donadi, C. 2010 cost. Versace e C. 2264 cost. Pisicchio.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato da ultimo, nella seduta del 25 giugno 2009.

David FAVIA (IdV) rileva come, ad avviso del suo gruppo, il sistema degli enti locali - articolato dalla Costituzione in comuni, province e regioni - sia da considerare pletorico. Le province, infatti, hanno mostrato una certa inadeguatezza rispetto all'organizzazione decentrata dello Stato: ritiene pertanto opportuno procedere quanto prima alla loro soppressione in modo che, nel momento in cui si dovesse esaminare l'annunciato disegno di legge sul codice delle autonomie, tale dato sia ormai acquisito.
Ricorda che le province risalgono alle circoscrizioni prefettizie decise «dall'alto» in epoca napoleonica, senza un riferimento ai territori di pertinenza né un coordinamento del bacino di utenza. Le province non sono, dunque, espressione di una chiara rappresentanza né sono radicate storicamente nella storia italiana, diversamente da quanto può dirsi per i comuni e per le regioni; queste ultime, seppur istituite tardivamente, sono infatti entrate nel modo di sentire della gente molto più delle province.
Ritiene che le funzioni delle province possano essere tranquillamente attribuite alle regioni, ai comuni, alle città metropolitane o all'unione di comuni; questi ultimi potrebbero rappresentare la fase preliminare dell'accorpamento dei comuni, che forse in Italia sono troppi e spesso di piccole dimensioni. La questione è sicuramente complessa; ritiene comunque, in una prima fase, già importante procedere all'accorpamento dei servizi tramite l'unione dei comuni, rendendo così - di fatto - inutili le province.

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Ricorda che alle ultime consultazioni elettorali il 74 per cento dei cittadini ha partecipato alle elezioni comunali, mentre solo il 58 per cento di essi ha preso parte a quelle provinciali. Tale profilo fa comprendere ancora di più come la provincia sia percepita dalla gente come un ente lontano, tenuto oltretutto conto del fatto che in molti casi la coincidenza tra elezioni comunali e provinciali ha svolto una funzione di «traino».
Rileva inoltre come i costi connessi alle province siano del tutto evidenti: il loro costo orientativo è di 160 euro circa a cittadino per dodici mesi. Ricorda, altresì, come nel 2005 solo la regione Sardegna ha istituito quattro nuove province; al contempo, è stata istituita la nuova provincia di Fermo spaccando, di fatto, a metà una provincia storica come quella di Ascoli Piceno.
Evidenzia pertanto come i risparmi conseguenti alla soppressione delle province potrebbero essere utilmente impiegati in molti settori che necessitano di stanziamenti, rendendo al contempo possibile svolgere le funzioni attualmente previste in capo alle province da enti molto più vicini ai cittadini.
Rileva infine che, sulla base di quanto finora emerso, dovrebbe sussistere, come evidenziato dal collega Pisicchio nella precedente seduta, la maggioranza prescritta dalla Costituzione per l'approvazione della proposta di legge costituzionale in esame; auspica, peraltro, che motivazioni poco nobili non insabbino questo provvedimento che, a suo avviso, costituisce un atto dovuto.

Maria Piera PASTORE (LNP), rilevato che tra le ragioni più frequentemente addotte per la soppressione delle province sta quella della loro presunta inutilità ed onerosità finanziaria, osserva che il legislatore dovrebbe valutare i problemi sulla base di considerazioni più ponderate ed esprime il timore che molti di coloro che svolgono riflessioni di questo tipo non abbiano esperienza diretta dell'attività delle province stesse. Quanto alla presunta inutilità delle province, fa presente infatti che il testo unico degli enti locali attribuisce loro competenze di grande rilievo per i territori; quanto invece alla presunta onerosità, osserva che il compenso spettante a consiglieri ed assessori provinciali non è particolarmente elevato e che, per contro, i veri sprechi finanziari a livello territoriale dipendono non dall'esistenza degli enti locali, ma dalla proliferazione, attorno agli enti locali, di altri enti pubblici di varia denominazione e natura: è questo, a suo giudizio, il vero problema che andrà affrontato quando il Governo presenterà il disegno di legge recante il codice delle autonomie. Non ritiene pertanto condivisibile la posizione del deputato Favia, che invita a sopprimere le province prima ancora di riflettere sulla riforma degli enti locali.
Quanto alla tesi secondo cui la popolazione non sentirebbe vicino l'ente provincia, osserva che la popolazione non sente vicini neppure la regione o il Parlamento.
Fa poi presente che, a differenza di quanto sostenuto tendenziosamente da alcuni, la soppressione delle province non è prevista dal programma di governo della maggioranza, il quale prevede soltanto la soppressione delle province inutili, ossia non di tutte, ma solo di quelle che possono essere rimpiazzate dalle città metropolitane: di queste ultime, peraltro, non è ancora ben chiara la natura e la funzione, delle quali si discuterà, di nuovo, nell'ambito del codice delle autonomie.
In conclusione, afferma che, in base alla sua esperienza, le province non sono inutili, anzi erogano servizi essenziali alla collettività: certo, questo non significa che tutte le province funzionino e svolgano correttamente il loro ruolo, ma una cosa è dire che vi sono province inefficienti, altro è affermare che tutte le province sono inutili. Ritiene quindi che il dibattito sulle province debba essere svolto nel quadro di una più ampia riflessione sul sistema delle autonomie locali e degli enti collegati.

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Raffaele VOLPI (LNP) preannuncia che non interverrà nel merito delle proposte di legge in esame in quanto condivide l'orientamento espresso dalla quasi totalità dei gruppi, secondo cui il tema della eventuale soppressione delle province avrebbe dovuto essere discusso nel contesto del codice delle autonomie. Ritiene inoltre che discutere del tema in questo momento abbia una valenza meramente propagandistica e di richiamo sull'opinione pubblica.

Donato BRUNO, presidente, ricorda che la Commissione è tenuta a proseguire l'esame del provvedimento in quanto lo stesso è stato inserito, sulla base di una legittima richiesta di un gruppo di minoranza, nel programma dei lavori dell'Assemblea per il mese di settembre. Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.50.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Mercoledì 1o luglio 2009. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 15.50.

Disposizioni in materia di violenza sessuale.
Testo unificato C. 611 Caparini ed abb.

(Parere alla II Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

Anna Maria BERNINI BOVICELLI (PdL), relatore, dopo aver brevemente illustrato il provvedimento in esame, formula una proposta di parere favorevole (vedi allegato 2).

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 15.55.