CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 11 giugno 2009
187.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Giovedì 11 giugno 2009. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo e Maria Elisabetta Alberti Casellati.

La seduta comincia alle 14.05.

Disposizioni concernenti il divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione.
C. 825 Angela Napoli.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Angela NAPOLI (PdL), relatore, rileva che la proposta di legge in esame introduce nella disciplina della misura di prevenzione della sorveglianza speciale anche il divieto di svolgere propaganda elettorale in favore o in pregiudizio di candidati o di simboli, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente.
Su proposta del Questore o del Procuratore della Repubblica possono essere sottoposti alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza coloro che,

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sulla base di elementi di fatto, sono ritenuti: abitualmente dediti a traffici delittuosi; vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; sono dediti alla commissione di reati o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubbliche; sono indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso e ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
Non può non stupire che le persone sottoposte a sorveglianza speciale di polizia in forza di apposito decreto del Tribunale (tali, per esempio, gli indiziati i appartenere ala mafia o ad altre organizzazioni similari) siano per legge private dell'elettorato attivo e passivo, ma rimangano del tutto libere di svolgere propaganda elettorale e quindi di esercitare una loro influenza sul terreno politico.
Circostanza questa, che offre alle stesse persone ampi spazi di pressione, soprattutto nei piccoli centri, sugli orientamenti dell'elettorato. E poiché si tratta di persone riconosciute socialmente pericolose è fin troppo evidente come, in ipotesi del genere (si pensi, soprattutto, in certe zone, ai fiancheggiatori di gruppi mafiosi), possano risultarne favoriti perversi intrecci di interesse tra le medesime e gli uomini politici ad esse legati. È questo, per l'appunto, ciò che la proposta di legge in questione vuole evitare.
Al delinquente sottoposto a sorveglianza speciale non interessa essere di persona «dentro» l'istituzione elettiva (Comune, Provincia, Regione, Parlamento); ha invece interesse che vi sia chi lo possa aiutare o agevolare nella realizzazione di interessi specifici e particolari e, più precisamente, nella realizzazione del malaffare.
Introducendo il divieto di propaganda elettorale per il sorvegliato speciale e sanzionando, nel contempo, anche la condotta del candidato che si rivolge per la propaganda al sorvegliato speciale, si recide alle origini e in maniera concreta l'intreccio delinquenza - politica e malaffare, bonificando le istituzioni.
Il delinquente non può procedere alla raccolta dei voti, perdendo così il suo potere contrattuale nei confronti del politico e questi, a sua volta, non è più in alcun modo condizionato dal delinquente.
Il divieto di propaganda elettorale non è in contrasto con i principi contenuti nella Costituzione perché: se si consente con la sorveglianza speciale di limitare la libertà personale del cittadino ed in maniera più grave con il soggiorno obbligato, a maggior ragione può inibirsi al cittadino di fare opera di propaganda elettorale, in concreto diretta a perseguire il malaffare, utilizzando le istituzioni repubblicane; il divieto non è perpetuo e ha la durata della sorveglianza speciale applicata (da uno a cinque anni); il divieto si coordina e si inserisce tra le altre prescrizioni, ancora più gravose, previste all'articolo 5, terzo comma, della legge n. 1423 del 1956; la misura, che dovrebbe prevedere anche detto divieto, è applicata con decreto emesso dal tribunale in camera di consiglio e con la rigorosa osservanza di tutte le garanzie giurisdizionali previste per l'imputato nel processo ordinario. Infatti, il soggetto proposto alla misura di prevenzione ha diritto: di essere sentito; di essere assistito da un difensore; di indicare e di produrre tutto quanto serva a sua discolpa; contro la decisione del Tribunale può ricorrere alla Corte d'appello e contro la decisione della Corte d'appello può ricorrere in Cassazione.
Per colpire efficacemente l'accordo tra delinquente e politico ed impedire ogni possibile condizionamento, attraverso le elezioni, delle istituzioni, è prevista la stessa sanzione per il sorvegliato speciale e il candidato (da due a cinque anni di reclusione).
Per entrambi sono facoltativi l'arresto in flagranza e l'emissione di ordinanza di custodia cautelare. Per il candidato riconosciuto colpevole, inoltre, il giudice deve emettere dichiarazione di ineleggibilità. Il candidato, se eletto, decade dalla carica previa delibera dell'organo di appartenenza.

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L'esecuzione del provvedimento è demandata al Prefetto della provincia di residenza del candidato.
È prevista, inoltre, la pubblicazione della sentenza di condanna passata in giudicato.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato.
C. 1235 Ferranti.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Donatella FERRANTI (PD), relatore, rileva come l'esigenza di porre mano alla disciplina codicistica della prescrizione del reato si apprezzi soprattutto sul piano di una complessiva strategia riformatrice che assicuri, come previsto in Costituzione, la ragionevole durata dei processi penali.
L'istituto della prescrizione è stato oggetto di un recente intervento legislativo, il riferimento è alla legge n. 251 del 2005, che non solo ha lasciato irrisolti i nodi più rilevanti in punto di interferenza tra disciplina sostanziale dell'estinzione del reato e tempi processuali, ma ha anche aggravato gli effetti indiretti, e non per questo meno significativi, che la prescrizione oggi è capace di produrre proprio nel senso di un allungamento della durata degli accertamenti. Ciò perché la rimodulazione del tempo della prescrizione, che per vasti settori di fattispecie penali anche gravi è stato sensibilmente ridotto, non ha tenuto conto delle effettive capacità del sistema giudiziario di smaltire il rilevante carico di lavoro e del comprensibile atteggiamento difensivo, per il vero non molto diffuso, del ricorso a strumenti dilatori del processo per «ottenere», male che vada, la pronuncia di estinzione.
Non si vuole certo affermare che la prescrizione del reato debba avere tempi molto lunghi per fare sì che l'organizzazione degli uffici giudiziari, ingolfata ed appesantita dal numero elevato di processi, possa tenere il passo e far pesare sugli imputati le deficienze di un sistema che non è in grado di assicurare la ragionevole durata dei processi.
Deve però convenirsi che il tempo della prescrizione non è omologo al tempo del processo, perché l'uno è il tempo dell'oblio e l'altro il tempo dell'accertamento, l'uno il tempo dell'inerzia e l'altro il tempo dell'attività. Ed allora, occorre che il processo possa disporre di un tempo ragionevole, che significa non solo sufficientemente rapido per non infliggere all'imputato l'ulteriore pena della sottoposizione ad un giudizio dalla durata indefinita, ma anche convenientemente ampio per far sì che ogni esigenza di accertamento possa essere soddisfatta.
In forza di queste premesse di indubbia razionalità, propone innanzitutto di riformare la previsione sul tempo di prescrizione dei reati, ancorandola sempre al tempo pari al massimo della pena edittalmente prevista, ma aumentata della metà. Si tratta di misura necessaria ad evitare che il maturarsi della prescrizione del reato funga da sbarramento troppo anticipato ed irragionevole all'accertamento che si sviluppi secondo tempi fisiologici.
Fatta eccezione per i reati imprescrittibili, che sono individuati in quelli punibili con la pena dell'ergastolo, applicabile anche come effetto del riconoscimento di circostanze aggravanti, si prevedono sia limiti minimi che limiti massimi di prescrizione, comunque non valicabili dal computo riferito alla previsione di pena edittale. Quanto al limite minimo la previsione è di sei anni per i delitti e di quattro anni per le contravvenzioni, ancorché punite con la sola pena pecuniaria, al pari di quanto attualmente previsto. Una novità è invece costituita dalla fissazione di un limite massimo, individuato in venti anni, che si eleva a trenta anni per i procedimenti aventi ad oggetto i delitti gravi di criminalità mafiosa e terroristica. È evidente la funzione di garanzia dei diritti dell'imputato insita nella fissazione

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di termini massimi di prescrizione non valicabili, specie se si pone mente alla tendenza da ultimo invalsa nella legislazione penale di rispondere ai bisogni di sicurezza e di repressione criminale soprattutto con l'innalzamento delle previsioni edittali di pena.
Si prevede poi che il termine di prescrizione sia di sei anni per i reati oggetto dei procedimenti innanzi al giudice di pace, e per i quali questi possa irrogare una pena diversa sia da quella detentiva che dalla pecuniaria. Il riferimento è alle cosiddette «sanzioni paradetentive» (permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilità) per le quali, con la disciplina vigente, è sorto un problema interpretativo, risolto da una pronuncia di inammissibilità della Corte costituzionale n. 3 del 2008, la quale ha chiarito che dette sanzioni non hanno autonomia e dignità di sanzioni principali e che, dunque, la previsione del termine oggi triennale per la prescrizione dei reati per i quali la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria non può che avere riguardo a pene ancora non previste. Lo sguardo del legislatore della riforma del 2005 è rivolto al futuro, alla revisione possibile dell'apparato sanzionatorio.
Questa tensione verso quel che ancora non è, connota anche la disposizione riformatrice che oggi si propone, giacché il termine di prescrizione di sei anni è parimenti previsto anche per i reati per i quali la legge stabilisce una pena diversa dalla detentiva e dalla pecuniaria.
Nulla è poi innovato per quel che attiene alle modalità di computo del tempo necessario alla prescrizione del reato: si continua ad avere riguardo alla pena edittale stabilita per il reato consumato o, data la sua autonomia di struttura, per il reato tentato, senza che rilevino le circostanze, fatta eccezione di quelle aggravanti ad effetto speciale e di quelle per le quali la legge determina la pena in modo autonomo.
In caso di reato punibile sia con pena detentiva che con pena pecuniaria, il parametro per il computo del termine prescrizionale continua ad essere la pena detentiva.
Infine si riproduce la previsione della rinunciabilità della prescrizione, richiedendosi, come fa l'attuale disciplina, che la rinuncia sia espressa, e dunque non affidabile a comportamenti taciti o concludenti.
La modifica proposta è quella di ripristinare la disciplina vigente anteriormente alla novella del 2005, che aveva eliminato la riferibilità del termine di prescrizione al reato continuato unitariamente considerato. Con la riforma del 2005 si è previsto che, ai fini della determinazione del dies a quo del termine di prescrizione, il reato continuato non possa essere considerato unitariamente, ma debba essere scisso nei suoi componenti per poi fissare nel giorno della consumazione, o nel giorno in cui è cessata l'attività del colpevole se si tratta di reato tentato, il termine iniziale di computo.
È di contro scelta più adeguata quella di riferire il dies a quo al giorno in cui è cessata la continuazione, dovendosi prendere atto che il reato continuato non è una costruzione fittizia del legislatore e che la sua considerazione unitaria a fini del computo del termine di prescrizione segue alla necessità di valorizzare l'unicità del disegno criminoso che lega i vari episodi e giustifica l'adozione di trattamenti sanzionatori di minore severità.
Nella prospettiva di una razionalizzazione delle interferenze tra prescrizione e processo si pone mano alla riforma dell'articolo 159 che disciplina i casi di sospensione del corso della prescrizione in relazione ad alcune evenienze processuali.
Si propone di arricchire il catalogo di fatti processuali a cui va riconosciuto l'effetto sospensivo della prescrizione, e in particolare si prevede che il termine di sospensione rimanga sospeso: nel caso di presentazione della dichiarazione di ricusazione e per il tempo che intercorre tra la presentazione e la comunicazione al giudice procedente della dichiarazione di inammissibilità della medesima. L'effetto

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sospensivo si produce, dunque, soltanto se la parte abbia proposto una dichiarazione di ricusazione manifestamente infondata o senza i requisiti formali imposti dalla legge; nel caso di concessione di un termine a difesa, e per un periodo corrispondente a detto termine, per l'ipotesi di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa. Le determinazioni del difensore e dell'imputato, questa la ratio della previsione, che attengano al loro rapporto fiduciario, non possono riverberare effetti sui tempi del processo senza che costoro ne abbiano un'assunzione di responsabilità che passa necessariamente per la sospensione della prescrizione; nel caso in cui su richiesta dell'imputato si debba provvedere, per mutamento della persona fisica del giudice, alla rinnovazione di prove dibattimentali, con sospensione pari al periodo necessario alla rinnovazione, e sempre che la prova rinnovata non concerna fatti e circostanze nuovi. La sospensione della prescrizione non opera comunque con riguardo ai coimputati nello stesso procedimento che non abbiano fatto richiesta di rinnovazione e per l'ipotesi in cui si sia proceduto alla separazione dei processi. Il senso della previsione è chiaro: la rinnovazione della stessa prova assunta già nello stesso dibattimento, sia pure davanti ad un giudice fisicamente diverso, non risponde al bisogno di assicurare il contraddittorio, ma soltanto a quello, che non assurge a rilievo costituzionale, di non disperdere il requisito dell'immutabilità, che ha peraltro un significato di garanzia nella relazione con il principio di immediatezza, già fortemente compromesso dalle lungaggini processuali. Non v'è allora ragione che, in funzione disincentivante di possibili abusi del processo, non si preveda la sospensione del termine di prescrizione del reato per l'imputato che richieda la rinnovazione, quando la prova da rinnovare non abbia alcun requisito di novità; nel caso di richiesta di estrazione di un imputato dall'estero, per tutto il tempo intercorrente tra la richiesta e l'effettiva estradizione. I tempi di estradizione, fuori delle ipotesi in cui può operare l'istituto del mandato di arresto europeo, possono essere consistenti e non è opportuno che il termine di prescrizione continui a decorrere quando non si sia ancora ottenuta la presenza dell'imputato al processo; nel caso di richiesta, nell'udienza preliminare o nel dibattimento, di una rogatoria all'estero, per il periodo compreso tra la data di inoltro della richiesta di assistenza e quella in cui perviene la risposta all'autorità giudiziaria procedente.
Ancora sul terreno delle interferenze tra prescrizione del reato e processo, ritiene opportuno porre mano alla revisione del catalogo degli atti processuali aventi efficacia interruttiva della prescrizione.
Il catalogo forma un «numero chiuso» non manipolabile dall'interprete. Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con una pronuncia recente - Sez. un., 22 febbraio 2007 n. 21833, Iordache, rv. 236372 - hanno stabilito il principio per il quale l'avviso di conclusione delle indagini ex articolo 415 bis del codice di procedura penale non ha efficacia interruttiva della prescrizione, poiché esso non è compreso nell'elenco degli atti espressamente previsti dall'articolo 160, comma secondo, del codice penale, i quali costituiscono un «numerus clausus» e sono insuscettibili di ampliamento per via interpretativa, stante il divieto di analogia «in malam partem» in materia penale.
Il catalogo, in atto, si compone di una pluralità di atti che proprio l'indicata pronuncia delle Sezioni unite ha ordinato secondo ampie categorie che tengono fedelmente conto delle scelte del legislatore codicistico, peraltro sulla scia della riflessione sistematizzatrice della dottrina: atti aventi natura decisoria, come la sentenza di condanna, cui viene assimilato il decreto penale di condanna; atti aventi natura coercitiva, come l'applicazione di misure cautelari; atti aventi natura probatoria, come l'interrogatorio dell'imputato; atti aventi natura propulsiva, come il decreto di citazione a giudizio.
Il catalogo merita di essere aggiornato con la previsione dell'interrogatorio dell'imputato (indagato) svolto dalla polizia

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giudiziaria, ma su delega del pubblico ministero, atteso che già oggi l'interrogatorio condotto dal pubblico ministero (o dal giudice) ha efficacia interruttiva; con la previsione ancora dell'avviso di conclusione delle indagini, che ha comunque un'efficacia latamente contestativa; ed infine con la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, per colmare la lacuna oggi esistente per la sola previsione della richiesta di rinvio a giudizio.
Si propone ancora, sempre per quel che concerne la disciplina dell'interruzione della prescrizione, che il fatto interruttivo non possa comportare l'aumento del termine prescrizionale oltre la metà, e non più un quarto come oggi previsto, fatta eccezione per i gravi reati di criminalità mafiosa e terroristica, in relazione ai quali questo sbarramento temporale non opera. Restano comunque fermi i limiti massimi del termine di prescrizione, prima ricordati - venti e trenta anni - che esplicano così in pieno la loro funzione di garanzia.
L'innovazione più importante e che qualifica meglio la presente proposta di legge è quella che fa cessare il decorso del termine prescrizionale con la pronuncia della sentenza di condanna, ivi compresa quella di primo grado, sempre che il ricorso per cassazione contro di essa sia dichiarato inammissibile. La dichiarazione di inammissibilità dà prova della pretestuosità dell'impugnazione e la sentenza di condanna è l'atto con cui si attesta inequivocabilmente che non può consegnarsi all'oblio l'esperienza di quel fatto criminoso accertato anche nelle responsabilità individuali.
Se l'esplicazione dei diritti di impugnazione dell'imputato non trova giustificazione, non già nel riconoscimento della fondatezza delle doglianze, ma almeno nell'attestazione della loro non manifesta infondatezza, la pronuncia della sentenza di condanna rende ingiustificata, proprio in riguardo alla ratio dell'istituto, la prosecuzione del decorso del termini di prescrizione.
La pretesa punitiva fatta valere dal pubblico ministero ha trovato conferma con la pronuncia di condanna; lo Stato, per mezzo degli organi di giustizia, ha ripristinato l'ordine giuridico violato dalla commissione del reato; ha affermato la responsabilità, ha irrogato la pena di giustizia.
Non v'è spazio per affermare che, ciò nonostante, possa decorrere il tempo che la legge presume necessario e sufficiente per consegnare quel fatto criminoso all'oblio, per espungerlo dalla memoria collettiva.
Quanto detto vale anche per il caso in cui sia proposto ricorso per cassazione in presenza di una cosiddetta «doppia conforme», quando cioè entrambi i giudizi di merito - primo grado ed appello - si siano conclusi con decisioni di accertamento del reato e delle responsabilità per la sua commissione. La cosiddetta «doppia conforme» si ha pur se la sentenza di appello abbia riformato la condanna di primo grado limitatamente alla specie o alla misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze. La mera riforma sulla specie e sull'entità della pena lascia infatti immutato il nucleo decisorio della sentenza di condanna, di accertamento e affermazione di responsabilità. Solo l'accoglimento del ricorso per cassazione, in caso di cosiddetta «doppia conforme» impedisce la «sterilizzazione» dei termini di prescrizione. L'accoglimento del ricorso dà infatti prova che la condanna è affetta da un vizio e pertanto quella statuizione non può avere la forza di interrompere il decorso di un termine, maturato il quale l'imputato ha diritto a sentir pronunciata la causa estintiva.
L'ultima modifica attiene all'articolo 161 che, con la sostituzione del comma 2, viene ricondotto integralmente al testo vigente anteriormente alla novella del 2005. Si prevede così che in ipotesi di processo oggettivamente cumulativo, che abbia cioè ad oggetto più reati, connessi secondo uno dei vincoli qualificati di cui all'articolo 12 del codice di procedura penale, i fatti sospensivi e interruttivi che

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abbiano riguardo a taluno di detti reati operano anche in relazione agli altri. La modifica, quanto mai opportuna, tiene conto di un dato essenziale, e cioè che sospensione e interruzione costituiscono i momenti di raccordo tra disciplina sostanziale della prescrizione e tempi dell'accertamento. Conseguenza logica che deve trarsi da questa osservazione è che, se l'accertamento è unitariamente condotto per una pluralità di reati, sulla base di fondate esigenze processuali espresse dall'esistenza del vincolo di connessione, i fatti sospensivi e interruttivi, seppure calibrati soltanto su taluno dei reati connessi, non possono non operare per l'accertamento nel suo complesso e quindi influire anche sui termini di prescrizione degli altri reati.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.15

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Giovedì 11 giugno 2009. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 14.15.

Giulia BONGIORNO, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata anche tramite la trasmissione attraverso l'impianto televisivo a circuito chiuso. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.

5-01497 Rossomando: Sul finanziamento delle attività del gratuito patrocinio e la liquidazione dei relativi onorari.

Anna ROSSOMANDO (PD) rinuncia ad illustrare l'interrogazione in titolo.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

Anna ROSSOMANDO (PD), ringrazia il sottosegretario per la risposta fornita, della quale peraltro si dichiara solo parzialmente soddisfatta. Da un lato, infatti, apprende con favore che sarebbe stata avviata ogni utile iniziativa per far fronte ai debiti contratti fino all'anno 2008 per spese di giustizia. Dall'altro, pur comprendendo la situazione di generale difficoltà derivante dai tagli di spesa, ritiene inaccettabile che il mancato pagamento dei compensi agli avvocati per le prestazioni rese per il patrocinio a spese dello Stato dipenda dalla carenza di fondi, giacché l'istituto in questione è volto a garantire il diritto di difesa, di primaria rilevanza costituzionale. Ad esso, pertanto, le risorse disponibili dovrebbero essere assegnata prioritariamente, non apparendo pertanto conferente un'attribuzione «indistinta» delle stesse ai funzionari delegati.

5-01465 Nicola Molteni: Sul gratuito patrocinio per i reati commessi in danno di cittadini italiani all'estero.

Nicola MOLTENI (LNP) rinunciano ad illustrare l'interrogazione in titolo.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

Nicola MOLTENI (LNP) replicando, si dichiara pienamente soddisfatto della risposta fornita dal rappresentante del Governo.

Giulia BONGIORNO, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

La seduta termina alle 14.25.

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ATTI COMUNITARI

Giovedì 11 giugno 2009. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 14.25.

Libro verde sulla revisione del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (COM(2009)175 def.).
Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo sull'applicazione del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (COM(2009)174 def.).
(Esame congiunto e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Pasquale CIRIELLO (PD), relatore, osserva che il 21 aprile 2009 la Commissione europea ha presentato una relazione (COM(2009)174) sull'applicazione del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (cd. regolamento Bruxelles I) e un Libro verde (COM(2009)175) volto a lanciare una consultazione pubblica, aperta fino al 30 giugno 2009, sui possibili miglioramenti da apportare al regolamento stesso.
Il regolamento (CE) n. 44/2001, subentrato alla convenzione di Bruxelles del 1968, ha segnato una svolta in materia cooperazione giudiziaria europea in campo civile e commerciale, affermando il principio generale secondo cui le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad altro procedimento: le decisioni sono quindi riconosciute ex lege e in nessun caso la decisione straniera può formare oggetto di un riesame del merito.
Per usufruire del regime semplificato previsto dal regolamento per l'esecuzione automatica delle decisioni, è necessario che le stesse siano rese da un'autorità giudiziaria e abbiano ad oggetto rapporti civili e commerciali. La «decisione» (intesa in un'accezione molto ampia includente sentenze, decreti, ordinanze) deve essere adottata nel rispetto del principio del contraddittorio: ne consegue che i provvedimenti cautelari possono circolare liberamente nell'ambito dello spazio giudiziario europeo a condizione che non siano stati adottati inaudita altera parte.
Sono escluse dall'ambito di applicazione del regolamento la materia fiscale, doganale ed amministrativa, nonché le pronunce su: lo stato e la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra coniugi, i testamenti e le successioni; i fallimenti, i concordati e le procedure affini; la sicurezza sociale; l'arbitrato.
La relazione sui primi sette anni di applicazione della normativa, rileva come, nel suo complesso, il regolamento si sia dimostrato uno strumento estremamente utile, che ha semplificato le controversie transfrontaliere istituendo un sistema efficace di cooperazione giudiziaria. La relazione evidenzia tuttavia come la soddisfazione generale sul funzionamento dello strumento non escluda possibili miglioramenti riguardanti: l'abolizione dell'exequatur, il funzionamento del regolamento nell'ordinamento giuridico internazionale, gli accordi di scelta del foro, la proprietà industriale, le disposizioni in materia di litispendenza e connessioni, le misure provvisorie e cautelari.
Particolare importanza assume l'abolizione dell'exequatur.
In base al regolamento vigente, le decisioni emesse in uno Stato membro sono eseguite in un altro Stato membro dopo essere state ivi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata (procedura di exequatur). La dichiarazione di esecutività di una decisione deve essere rilasciata dopo l'espletamento di alcune formalità

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ed essere stata comunicata o notificata all'altra parte, che può contestarla soltanto tramite ricorso. Il giudice può rifiutare di riconoscere esecutiva una decisione straniera, se il riconoscimento è manifestamente contrario all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto, o se in contrasto con una decisione emessa precedentemente, o se la domanda giudiziale od un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile.
La relazione sull'applicazione del regolamento rileva altresì che la maggior parte delle domande intese a ottenere una dichiarazione di esecutività è accolta (oltre il 90 per cento dei casi). La durata della procedura varia da 7 giorni a 4 mesi. Solo una piccola percentuale delle decisioni, compresa tra l'1 per cento e il 5 per cento, è impugnata e le procedure di ricorso hanno una durata variabile da un mese a tre anni. Sulla base di tali dati e in considerazione del fatto che in un mercato interno senza frontiere appare ormai ingiustificabile che cittadini e imprese debbano sostenere costi, in termini di spesa e di tempo, per affermare i loro diritti all'estero, la Commissione ritiene che si debba perseguire l'obiettivo di sopprimere l'exequatur in tutte le materie civili e commerciali.
L'abolizione dell'exequatur, d'altra parte, riguarderebbe essenzialmente i crediti contestati. Infatti, alcuni regolamenti comunitari hanno già previsto l'abolizione della procedura in esame per specifici campi di applicazione (quali, tra l'altro, i crediti non contestati e le controversie di modesta entità).
La Commissione ritiene che l'eliminazione, in via generale, dell'exequatur in materia civile e commerciale dovrebbe essere comunque accompagnata da opportune garanzie. Si ricorda, in particolare, che nel settore dei crediti non contestati si è previsto un controllo del rispetto di norme minime sulla notificazione della domanda giudiziale e sulle informazioni da fornire al debitore riguardo al credito e agli adempimenti procedurali. Il regolamento (CE) 805/2004 prevede inoltre la possibilità di chiedere un riesame in via eccezionale (»riesame speciale»), nei casi in cui sia viziato il procedimento di notificazione.
Il regolamento (CE) n. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari abolisce l'exequatur sulla base di norme armonizzate relative alla legge applicabile; la tutela dei diritti della difesa è garantita attraverso la procedura di riesame speciale applicabile una volta emessa la decisione. L'attore rimane comunque tenuto ad avviare un procedimento di certificazione, anche se nello Stato membro d'origine anziché in quello di esecuzione. La Commissione europea osserva tuttavia che, se un approccio di questo tipo fosse adottato, in via generale, in materia civile e commerciale, l'assenza di armonizzazione della procedura di riesame speciale potrebbe generare incertezze nei pochi casi in cui il convenuto non abbia avuto la possibilità di difendersi dinanzi al giudice straniero e ritiene opportuno valutare l'opportunità di una procedura di riesame più armonizzata.
Ai fini della consultazione, la Commissione chiede di pronunciarsi circa l'opportunità di abolire l'exequatur e, in caso di risposta affermativa, sulla necessità e sul tipo di garanzie da mantenere.
Con riferimento all'applicazione del regolamento, la Commissione osserva anzitutto che le disposizioni relative alla competenza si applicano solo quando il convenuto è domiciliato in uno Stato membro: qualora il convenuto non abbia il domicilio in uno Stato membro, il regolamento rinvia alla normativa nazionale («competenza sussidiaria»), ad eccezione dei casi di competenza esclusiva previsti dal regolamento stesso. Al fine di garantire a tutti cittadini comunitari l'accesso alla giustizia in condizioni di parità, la Commissione propone di valutare l'opportunità di: armonizzare le norme sulla competenza sussidiaria, sulla base, in particolare, di tre criteri: competenza basata sull'esercizio delle attività, purché la controversia riguardi tali attività, competenza basata sul luogo in cui si trovano i beni, purché la domanda giudiziale riguardi tali beni, e un

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forum necessitatis, che permetterebbe di adire il giudice nei casi in cui non sarebbe altrimenti possibile accedere alla giustizia; estendere, in qualche misura, il campo di applicazione delle norme speciali sulla competenza ai convenuti di Stati terzi; elaborare un regime comune in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni di Stati terzi.
Nell'attuale formulazione del regolamento, la norma generale sulla litispendenza prevede che qualora davanti a giudici di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospenda d'ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice adito in precedenza. Avendo riscontrato casi di uso improprio della disposizione in funzione di tattiche processuali scorrette, la Commissione ritiene che la norma vigente vada migliorata, rafforzando la comunicazione e l'interazione tra i giudici aditi parallelamente e/o escludendo l'applicazione della norma nel caso di pronuncia di accertamento negativo.
In relazione alle disposizioni sulla connessione, la Commissione osserva che il requisito della pendenza delle azioni e il rinvio alla normativa nazionale ai fini della determinazione dei presupposti per la riunione dei procedimenti impediscono l'effettiva riunione dei procedimenti a livello comunitario. In considerazione dell'importanza della riunione in casi quali i ricorsi collettivi dei consumatori e le azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, la Commissione ritiene necessario valutare l'opportunità di consentire la riunione di azioni sulla base di norme uniformi.
La Commissione osserva inoltre che il rischio di conflitti negativi di competenza potrebbe essere evitato tramite un meccanismo di cooperazione e comunicazione tra i giudici aditi e facendo obbligo al giudice che si è dichiarato incompetente di riassumere la causa se il giudice precedentemente adito si dichiara incompetente.
La Commissione ritiene inoltre necessario, nella revisione del regolamento, precisare che l'autorità competente per la notificazione o comunicazione è l'autorità che riceve per prima gli atti da notificare o comunicare; prevedere l'obbligo per le autorità competenti per la notificazione o comunicazione e per giudici, secondo il caso, di prendere nota del momento esatto in cui ricevono gli atti o del momento esatto in cui la domanda giudiziale è depositata presso il giudice.
Nonostante il regolamento definisca in maniera ampia le condizioni di validità degli accordi di scelta del foro, la Commissione rileva che il consenso delle parti è talvolta subordinato, in via residuale, alla normativa nazionale, con la conseguenza che un accordo di scelta del foro può risultare valido in uno Stato membro e invalido in un altro. La Commissione rileva inoltre che, nella formulazione attuale, il regolamento non sembra tutelare a sufficienza gli accordi di scelta del foro esclusivi e che i conseguenti procedimenti paralleli possono causare ritardi pregiudizievoli per il corretto funzionamento del mercato interno. Allo scopo di rafforzare l'efficacia degli accordi, la Commissione propone di prevedere un risarcimento in caso di violazione degli stessi e, al fine di facilitare il riconoscimento della validità, l'introduzione di una clausola standard di attribuzione della competenza.
In funzione di una maggiore tutela degli accordi di scelta esclusivi, la Commissione prospetta alcune possibili soluzioni: dispensare il giudice designato in un accordo di scelta del foro esclusivo dall'obbligo di sospendere il procedimento in applicazione della norma sulla litispendenza. Tale soluzione presenta tuttavia l'inconveniente di rendere possibili procedimenti paralleli che potrebbero portare a decisioni contrastanti; invertire la regola della priorità nel caso di accordi di scelta del foro esclusivi. Il giudice designato nell'accordo si pronuncerebbe così per primo sulla propria competenza e qualsiasi altro giudice adito sospenderebbe il procedimento finché non sia accertata la competenza del giudice prescelto. Questa

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soluzione, già prevista dal regolamento quando nessuna parte è domiciliata in uno Stato membro, permetterebbe di allineare in larga misura le norme comunitarie interne a quelle internazionali, ma presenterebbe l'inconveniente, in caso di accordo invalido, di imporre alla parte di far accertare l'invalidità dinanzi al giudice designato nell'accordo prima di poter adire il giudice altrimenti competente; mantenere l'attuale norma sulla litispendenza, prevedendo però una comunicazione e una cooperazione diretta tra i due giudici, nonché, ad esempio, un termine per il giudice preventivamente adito per pronunciarsi sulla competenza e l'obbligo di informare regolarmente il giudice successivamente adito degli sviluppi del procedimento.
Ai fini della consultazione, viene richiesto di indicare quale delle opzioni alternative è preferita.
In attesa che si realizzi il cosiddetto Sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti, sostenuto da ultimo dalla Commissione in una raccomandazione al Consiglio del 20 marzo 2009 (SEC(2009)330), la Commissione propone di migliorare la tutela della proprietà industriale, anche attraverso l'interazione tra le corti adite in procedimenti paralleli oppure di introdurre una norma specifica che autorizzi l'avvio di procedimenti contro più convenuti nello Stato membro in cui risiede il convenuto che ha coordinato le attività o è in altro modo maggiormente connesso alla violazione del diritto di proprietà industriale.
In considerazione dell'importanza delle procedure di arbitrato per il commercio internazionale, la Commissione ritiene necessario attribuire piena efficacia alle convenzioni arbitrali e incoraggiare il riconoscimento e l'esecuzione dei lodi arbitrali. A tal fine, pur rilevando l'ottimo funzionamento della Convenzione di New York del 1959, la Commissione suggerisce di affrontare nel regolamento alcuni aspetti specifici legati all'arbitrato con l'obiettivo di agevolare la circolazione delle decisioni in Europa e prevenire l'instaurarsi di procedimenti paralleli.
In particolare, la Commissione propone una soppressione (parziale) dell'esclusione dell'arbitrato dal campo di applicazione del regolamento, al fine di includervi i procedimenti giudiziari a sostegno dell'arbitrato, compresi i provvedimenti provvisori. La competenza esclusiva per tali procedimenti potrebbe essere attribuita ai giudici dello Stato membro della sede dell'arbitrato, fatto salvo quanto altrimenti convenuto dalle parti.
La Commissione sollecita inoltre una riflessione sul coordinamento dei procedimenti riguardanti la validità di una convenzione arbitrale promossi dinanzi a un giudice e a un tribunale arbitrale, suggerendo di dare la precedenza al giudice dello Stato membro in cui si svolge l'arbitrato affinché decida sulla sussistenza, sulla validità e sulla portata della convenzione arbitrale. A questa soluzione si potrebbe affiancare una cooperazione rafforzata tra i giudici aditi, fissando inoltre un termine per contestare la validità della convenzione.
La Commissione rileva come le differenze tra gli ordinamenti giuridici nazionali rendano particolarmente difficile la libera circolazione dei provvedimenti provvisori.
Per quanto riguarda i provvedimenti inaudita altera parte, la Commissione prospetta l'opportunità di introdurre la precisazione che tali provvedimenti possono essere riconosciuti ed eseguiti sulla base del regolamento quando il convenuto abbia successivamente avuto la possibilità di impugnare il provvedimento. La Commissione ritiene inoltre necessario affrontare i problemi riscontrati in sede di applicazione per quanto riguarda le ordinanze cautelari dirette a ottenere informazioni e prove, l'emissione di provvedimenti provvisori disposti da un giudice che non è competente nel merito della causa, il rimborso di pagamenti in via provvisoria.
La Commissione sottopone a consultazione anche ulteriori aspetti relativi all'ambito di applicazione, alla giurisdizione, al riconoscimento e all'esecuzione, tra cui si segnalano in particolare: la necessità di elaborare un concetto autonomo di domicilio,

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in quanto principale criterio di collegamento ai fini della competenza; il miglioramento di alcune norme sulla competenza (in particolare relativamente a: diritti reali su beni mobili; contratti di lavoro; contratti di locazione per uffici; contratti di locazione di case di villeggiatura; estensione della competenza esclusiva in materia societaria ad altre materie relative all'organizzazione interna delle società e al loro processo decisionale; credito al consumo; elaborazione di norme specifiche sulla competenza per le azioni collettive); la libera circolazione degli atti pubblici. In considerazione del fatto che in materia di diritto di famiglia (regolamenti (CE) n. 2201/2003 e (CE) n. 4/2009), la risoluzione di una controversia per mezzo di un atto pubblico è automaticamente riconosciuta negli altri Stati membri, la Commissione intende valutare l'opportunità di un «riconoscimento» in tutte le materie civili e commerciali o solo in alcune, tenuto conto degli effetti giuridici specifici degli atti pubblici; il miglioramento dell'accesso alla giustizia nella fase dell'esecuzione attraverso l'introduzione di un modello standard uniforme, disponibile in tutte le lingue ufficiali della Comunità, contenente un estratto della decisione (la Commissione ritiene che tale modello ovvierebbe alla necessità di una traduzione dell'intera decisione e consentirebbe alle autorità preposte all'esecuzione di disporre di tutte le informazioni rilevanti).

Giulia BONGIORNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.30.