CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 24 febbraio 2009
143.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (V e VI)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Martedì 24 febbraio 2009. - Presidenza del presidente della VI Commissione Gianfranco CONTE, indi del presidente della V Commissione Giancarlo GIORGETTI. - Intervengono il ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli, il ministro per i rapporti con le Regioni Raffaele Fitto e i sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio Aldo Brancher e per l'economia e le finanze Daniele Molgora.

La seduta comincia alle 8.35.

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale.
C. 2105 Governo, C. 452, C. 692, C. 748.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 23 febbraio 2009.

Renato CAMBURSANO (IdV) fa preliminarmente presente che il gruppo dell'Italia dei Valori è convintamente favorevole all'introduzione del federalismo fiscale in Italia, perché ritiene che questa sia l'unica strada che porti all'assunzione di un responsabilità piena, totale e generalizzata da parte degli amministratori nei vari livelli di governo, attivando una sana competizione tra territori, strumento indispensabile per migliorare la qualità e la spesa dei servizi resi ai cittadini. Ritiene perciò necessario affrontare il secondo tempo di questa delicata ma importante «partita» alla Camera dei deputati in modo costruttivo, senza pregiudizi e secondi fini, dotandosi di alcuni strumenti di analisi.
Ritiene in primo luogo necessario acquisire i dati finanziari sull'articolazione territoriale della spesa delle regioni e degli enti locali, la simulazione matematica degli effetti dell'attuazione del federalismo fiscale, le grandezze finanziarie mobilitate dal federalismo ed il suo impatto sui vari livelli di governo, sui territori e sui servizi. Ricorda infatti che a prescrivere l'acquisizione dei dati finanziari è la Costituzione medesima, come chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 226 del 1976, la quale ha chiarito che è il legislatore

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delegante (il Parlamento) e non quello delegato (il Governo) che deve disporre in ordine alla copertura ex articolo 81 della Costituzione.
In secondo luogo, occorre assicurare la compatibilità delle norme e dei principi di delega con il quadro delle grandezze finanziarie pubbliche: l'ISAE e la Corte dei conti hanno più volte evidenziato l'opportunità e la necessità di valutare ex ante l'impatto finanziario di una riforma di tale portata.
In terzo luogo, occorre riconoscere al Parlamento le prerogative che gli sono proprie, fornendogli gli elementi necessari per una valutazione ponderata delle conseguenze (positive o negative) nella fase transitoria ed in quella a regime, sia nella fase di elaborazione dei decreti delegati sia nella valutazione in ordine ai modi e termini del coordinamento tributario o finanziario tra i diversi livelli di governo. Ritiene infatti che non si debbano concedere deleghe in bianco su queste materie, né che il Parlamento possa essere espropriato nella definizione e nella gestione di questa storica riforma, la cui responsabilità spetta al Parlamento, e non al Governo, di qualsiasi colore politico esso sia.
Considera altresì necessario, partendo dalla spesa da finanziare per arrivare all'imposta che la finanzia, definire preventivamente i soggetti e le competenze, per definire successivamente gli strumenti fiscali, come lucidamente espresso ben quindici anni fa dal professor Giulio Tremonti, oggi Ministro.
Per quanto riguarda, poi, l'impianto complessivo del disegno di legge in esame, osserva innanzitutto come si debba concludere che esso non introduce un vero federalismo fiscale nel Paese: quello prospettato dal provvedimento è infatti il frutto di un compromesso al ribasso, raggiunto non tanto con le opposizioni ma all'interno della stessa maggioranza, dove ha subito spinte in avanti, a volte vere e proprie fughe, frenate brusche, e arroccamenti a difesa dello status quo, raggiungendo il risultato di cambiare tutto per non cambiare nulla.
Ritiene invece il federalismo fiscale debba preveder che regioni e comuni incassino in prima persona alcune tasse per esercitare le loro funzioni, a cui si aggiungono altri fondi (sotto forma di compartecipazioni a una imposta come l'IRPEF), che devono servire a chiudere il bilancio, consentendo a ciascun soggetto istituzionale di poter contare su risorse certe ed assumersi responsabilità di eventuali deficit. Al contrario, il testo prevede che le risorse saranno versate allo Stato, che poi penserà a distribuirle. Analizzando tale meccanismo sulla scorta delle attuali esperienze, relative ad esempio all'addizionale regionale sull'IRPEF, le quali indicano come vi siano regioni creditrici nei confronti dello Stato - come il Piemonte, che lo è nella misura di quasi 2 miliardi - senza che questo abbia mai versati le somme dovute alle regioni stesse, si può pertanto ritenere che esso non sia assolutamente adeguato, in quanto consente al Governo di non versare alle regioni le somme di loro spettanza o di modificare per decreto le condizioni per ottenerle.
In questo quadro complessivo, le regioni non sapranno mai su quante risorse potranno fare conto, mentre sarebbe stato più logico che ogni regione potesse trattenere una quota delle tasse nazionali per le necessità iniziali. Ciò comporterà il fallimento di ogni ipotesi di cambiamento, anche in quanto non esiste un luogo - come il Senato federale - in cui regioni e comuni possano bloccare i tentativi di cambiare le carte in tavola.
Nel merito del disegno di legge, osserva poi come l'elemento più qualificante sia la parametrazione del prelievo al costo standard dei servizi fondamentali (e non più alle erogazioni storiche che determinano sprechi e corruzioni), rilevandone peraltro le numerose difficoltà per la sua pratica attuazione.
In primo luogo, infatti, manca un definitivo assetto istituzionale degli enti locali, che dovrebbe essere definito nella carta delle autonomie, ed in primis del Senato delle regioni. Non si conosce poi, come rilevato dalla Corte dei conti, la

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situazione finanziaria degli enti locali (e in primo luogo il peso dei prodotti finanziari derivati) e, quindi, il fabbisogno.
In terzo luogo, occorre fermare l'ingerenza dello Stato nello svolgimento di compiti qualificanti (servizi da svolgere, definizione dei nuovi tributi, riscossione dei tributi).
In quarto luogo, per quanto attiene alle fonti di finanziamento degli enti territoriali, i tributi propri assegnati dalla legge dello Stato al finanziamento delle province e dei comuni non sono individuati nel disegno di legge, mentre, per evitare una delega in bianco, occorrerebbe perlomeno identificare i presupposti impositivi dei tributi da assegnare ad ogni livello di Governo. Ritiene necessario, in particolare, recuperare il principio della correlazione tra prelievo fiscale e funzione svolta dall'amministrazione.
Occorre inoltre apportare alcuni aggiustamenti al disegno di legge al fine di addivenire ad un'accurata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali degli enti locali, per poi mettere mano ad una modifica della Costituzione, migliorando il sistema delineato dall'articolo 117, che attualmente alimenta i conflitti tra livelli di governo e può compromettere gli equilibri di finanza pubblica.
Altri elementi di preoccupazione rinvenibili nel disegno di legge riguardano la previsione di un'addizionale IRPEF, tributo già gravoso e sperequato, la complessità dell'iter procedimentale per l'emanazione dei decreti legislativi, il farraginoso intreccio delle fonti, nonché l'assenza di norme concernenti l'organizzazione degli uffici comunali.
Per quanto riguarda, altresì, il nuovo istituto della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, nella quale saranno rappresentati i vari interessi in gioco nel meccanismo del federalismo, ritiene che essa sarà difficilmente in grado di assumere deliberazioni, in specie sui riparti perequativi, ricordando la difficoltà emersa in passato per definire i criteri di riparto tra gli enti locali del gettito ILOR.
Rileva inoltre, richiamando le considerazioni della Corte dei conti, come l'attuazione del disegno di legge possa comportare un aumento della spesa pubblica e del prelievo fiscale complessivo, soprattutto nel periodo di transizione verso l'assetto definitivo. Nonostante sia necessario dedicare massima attenzione ai nuovi assetti istituzionali, il disegno di legge affida ampie responsabilità di indirizzo e controllo proprio alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, affidando impropriamente ad un organismo collocato al di fuori del Parlamento funzioni più strettamente politiche, quali la fissazione degli obiettivi di finanza pubblica o la proposta di modifiche del sistema. Tali funzioni dovrebbero invece rientrare tra i compiti del costituendo Senato federale, prevedendo nel frattempo forme di coordinamento delle Commissioni parlamentari.
Ritiene quindi necessario liberarsi dall'equivoco del costo standard, secondo il quale le regioni con spesa più bassa sono le più efficienti. Osserva infatti, a titolo esemplificativo, come la spesa nelle due regioni ritenute più efficienti, Lombardia e Veneto, sia più bassa solo perché la popolazione è più giovane e più ricca e, quindi, ricorre meno ai servizi pubblici.
Rileva invece come bisogni oggettivi e inefficienze di produzione siano inestricabilmente connessi alla sfera sanitaria delle regioni. Per non finanziare anche gli sprechi occorrerebbe una formula di calcolo analitica del fabbisogno, che stabilisca il numero delle prestazioni necessarie (la qualità standard) e il costo standard di ogni prestazione, essendo la spesa il prodotto tra i due. Ad ogni regione lo Stato dovrebbe riconoscere lo stesso costo standard per prestazione, penalizzando così quelle meno efficienti. Dal momento che tale operazione è quasi impraticabile, perché oggi la variabilità dei costi è molto accentuata, sarebbe necessaria un'ampia fascia di oscillazione dei costi standard, che potrebbe ancora coprire le inefficienze di alcune regioni. Inoltre, sebbene si tratti di un'operazione oggettivamente temeraria, se perseguita seriamente, si dovrebbe

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stabilire quante prestazioni sanitarie di ogni tipo siano necessarie per soddisfare i bisogni della popolazione.
Evidenzia quindi il problema concernente l'entità della perequazione tra le regioni o il giusto livello di spesa. La spesa sanitaria pubblica rappresenta infatti il 74 per cento della spesa totale nelle regioni più ricche del nord e l'82 per cento in quelle più povere del sud, fino ad oltre l'85 per cento. In tale situazione, ritiene che le regioni del nord potranno trovare una valvola di sfogo nella sanità privata, grazie al diverso potere d'acquisto nelle singole regioni.
La soluzione al problema del fabbisogno potrebbe dunque risiedere in una formula che, da una parte, riflettesse bisogni oggettivi di salute, diversi da regione a regione, ossia la proporzione di richieste e, dall'altra, assegnasse le risorse secondo un costo standard per richieste. Si tratterebbe peraltro di un'operazione difficilissima, se non impossibile.
Reputa quindi che la legge delega rimanga un confuso assemblaggio di norme contraddittorie di difficile applicazione, che nasconde quale vero obiettivo l'erosione di tributi erariali nel nome della territorialità, dissimulato da una presunta responsabilizzazione, determinata dall'introduzione dei costi standard come criterio di valutazione dei servizi fondamentali trasferiti alle regioni, i cui effetti finanziari non sono peraltro stati quantificati dal Ministro Tremonti.
Ritiene dunque che non sussistano risorse disponibili per introdurre il federalismo fiscale, anche in considerazione delle restrizioni che l'Italia dovrà affrontare a causa della crisi economica, lamentando inoltre come le iniziative del Governo, dall'eliminazione dell'ICI per la prima casa, all'utilizzo del FAS, vadano nella direzione opposta al federalismo.
Evidenzia inoltre come non siano disponibili risorse aggiuntive, e come gli eventuali risparmi ipotizzati dal Governo grazie all'applicazione dei costi standard alle regioni del sud dovrebbero essere utilizzati proprio per colmare il deficit nei servizi che affligge le regioni meridionali, smentendo pertanto l'aspettativa di reperire maggiori risorse per il nord.
In sostanza, si creerà una pressione sul patrimonio dello Stato, su cui si tenterà di scaricare l'onere del conflitto tra territori. In alternativa, si taglieranno i livelli essenziali delle prestazioni in modo da consentire al nord più ricco di mantenere gli standard di servizi attuali grazie alle maggiori risorse assicurate da trasferimenti dal centro, sacrificando il sud, attualmente privo di forza e prestigio politico.
In nome della territorialità, dunque, la delega procede ad un'appropriazione di quote rilevanti di tributi erariali, cosicché la responsabilità fiscale rimarrà addossata allo Stato centrale, mentre il potere di spesa passerà alle regioni, ed operando in sostanza un assalto all'IRPEF, mantenendo allo Stato il solo ruolo di esattore.
È dunque necessario che vi sia corrispondenza tra federalismo fiscale e federalismo istituzionale, con l'istituzione del Senato federale, la riscrittura del codice delle autonomie, la ridefinizione della normativa relativa alle città metropolitane ed a Roma capitale, nonché alle regioni a Statuto speciale.
Ritiene quindi che il disegno di legge non dia alcuna risposta ad alcune priorità fondamentali, quali: l'equiparazione delle regioni a statuto ordinario con quelle a statuto speciale, la costruzione di un sistema di vera autonomia di entrata e di spesa delle regioni e dei comuni, l'equiparazione degli impegni finanziari per tutte le città metropolitane, il ripiano dei deficit nei comuni del sud a parità di livello dei servizi.
Preannuncia pertanto la presentazione di emendamenti, al fine di migliorare sotto questi aspetti il testo del disegno di legge.

Francesco BARBATO (IdV) rileva come un serio ed equilibrato progetto di federalismo fiscale debba necessariamente contemplare meditate modifiche della Carta costituzionale ed implichi altresì una complessiva ridefinizione del sistema fiscale e tributario, dell'attuale gestione dell'assetto delle entrate e delle spese,

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nonché una chiara definizione e delimitazione di funzioni tra gli enti territoriali coinvolti.
Evidenzia inoltre come la riforma federalista incida su ambiti che afferiscono ai singoli aspetti della vita quotidiana dei cittadini in quanto interviene sul funzionamento e sulla gestione dei servizi pubblici, della sanità, della scuola, ritenendo pertanto che l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione costituisca un passaggio ineludibile per il Paese, volto a costruire un sistema fondato sull'autonomia e sulla responsabilità di ogni livello di governo del territorio.
Sottolinea quindi come il provvedimento ponga taluni profili critici in relazione non solo ai rapporti finanziari, ma anche alle relazioni di potere che intercorrono tra i diversi livelli di governo - Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni - nel quadro del sistema disegnato dal Titolo V della Costituzione. Ravvisa conseguentemente la necessità che la riforma sia accompagnata da un'ulteriore riforma costituzionale tesa ad istituire il Senato federale, necessaria sede istituzionale di confronto tra Stato ed autonomie territoriali.
Ritiene altresì che occorra garantire il rafforzamento della capacità decisionale dei livelli di Governo del territorio, secondo principi di reale collaborazione, mediante l'assegnazione di tributi propri e di autonomia finanziaria e favorendo l'allocazione ed il decentramento delle funzioni amministrative.
Nota inoltre come la definizione di un federalismo fiscale coerente con i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, e conforme ai criteri generali fissati dal disegno di legge delega, non possa comunque prescindere da una verifica della condizione di frammentazione in cui versa il sistema comunale italiano, esortando quindi a sviluppare maggiormente il tema dell'associazionismo dei comuni di minore dimensione demografica, promuovendo ed incentivando unioni stabili e obbligatorie di comuni, funzionali allo svolgimento di competenze complesse che non possono essere gestite dai singoli enti.
Evidenzia in tale contesto la necessità di chiarire il rapporto intercorrente tra città metropolitane e province, richiamando inoltre la posizione critica espressa dall'ANCI in ordine agli interventi recati da recenti di manovre finanziarie che hanno ridotto i trasferimenti ai comuni. Reputa paradossale che il federalismo fiscale, piuttosto che fornire risorse autonome e congrue agli enti locali, rischia di risolversi in un consolidamento delle attuali distorsioni, ovvero in forme improprie di finanza derivata. In ordine al sistema tributario, osserva come la riforma debba consentire ai diversi enti di disporre delle risorse necessarie per l'esercizio delle rispettive funzioni, in autonomia e responsabilità, in una prospettiva di riduzione degli oneri fiscali, di trasparenza nel rapporto con i contribuenti e di valorizzazione degli elementi di virtuosità, attraverso il passaggio ragionato della spesa storica ai fabbisogni standard.
Il federalismo fiscale dovrà salvaguardare altresì il principio di uguaglianza, contenendo le differenze nei livelli delle prestazioni nei limiti dell'esercizio dell'autonomia degli enti, mentre per le prestazioni essenziali l'obiettivo dovrebbe essere la riduzione delle differenze in atto. Esorta quindi ad approfondire la questione del Mezzogiorno, nonché ad assicurare la sostenibilità finanziaria a tutti gli enti territoriali, mediante metodologie e strumenti di valutazione calibrati, e procedendo ad interventi speciali laddove questi si rendano opportuni. Richiama a tale ultimo proposito le osservazioni formulate dallo SVIMEZ in relazione alle norme per l'attuazione del comma 5 dell'articolo 119 della Costituzione, cui si riferisce l'articolo 15 del testo, nonché le previsioni di cui all'articolo 21 del provvedimento in ordine alla perequazione infrastrutturali, esprimendo al riguardo riserve sul particolare rilievo assegnato ai parametri della densità della popolazione e della densità delle unità produttive, a fronte di una generica valutazione della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio. Esprime altresì rilievi critici sul particolare accento riconosciuto

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alle zone di montagna ed alle specificità insulari, mentre non si delinea alcun riferimento al Mezzogiorno ed alla necessità di individuare interventi strategici per sanare il divario infrastrutturale del Sud con il resto dell'Italia. Ritiene quindi necessario rivedere la scala di priorità degli interventi, in presenza di una limitazione delle risorse disponibili, nonché prospettare politiche di sviluppo del Mezzogiorno che, attraverso il superamento della frammentarietà degli interventi, spesso non adeguati, siano in grado di produrre un impatto più incisivo sul sistema civile e produttivo delle regioni meridionali.
Auspica quindi un federalismo che assicuri la piena soddisfazione dei diritti fondamentali dei cittadini e la realizzazione dei principi di solidarietà e coesione sociale, dei principi di autonomia, responsabilità finanziaria ad ogni livello di governo. Ritiene altresì indispensabile affermare il principio della tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, al fine di favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria ed amministrativa, nonché il principio di premialità dei comportamenti virtuosi nell'esercizio della potestà tributaria e nella gestione finanziaria ed economica. Osserva quindi come una riforma con tali presupposti possa rappresentare indubbiamente un volano per lo sviluppo del territorio e migliorare la qualità dell'azione dell'amministrazione pubblica.
Reputa che il federalismo fiscale debba essere accompagnato da un processo di affermazione del centralismo della legalità, condizione indispensabile per lo sviluppo economico e sociale, notando come non possano svilupparsi autonomia e responsabilità in quei territori in cui la criminalità organizzata condiziona l'azione delle amministrazioni pubbliche. Paventa il rischio di interferenze della criminalità sulle iniziative sociali, economiche e politiche nei territori del Sud d'Italia, richiamando al riguardo una recente iniziativa promossa dal movimento della Lega nord a Napoli, nel corso della quale pare abbiano partecipato soggetti ritenuti vicini alla criminalità organizzata.
Sostiene infine la necessità di avviare nel Mezzogiorno un profondo processo di «centralismo della legalità e della sicurezza», onde evitare che l'azione della criminalità organizzata e diffusa possa pregiudicare uno sviluppo sociale ed economico conforme ai principi della riforma federalista.

Paola DE MICHELI (PD) evidenzia preliminarmente, richiamando anche le iniziative che saranno assunte al riguardo dal suo gruppo, come, prima di affrontare il tema del federalismo fiscale, sia necessario individuare soluzioni adeguate per alcune autentiche emergenze per gli enti locali.
Segnala quindi la necessità di garantire un pieno ristoro, tramite il previsto aumento dei trasferimenti erariali, alla perdita di risorse subita dagli enti locali conseguentemente alla soppressione dell'ICI sulla prima casa, nonché di porre un rimedio alla sistematica riduzione del fondo ordinario per i comuni che si sta registrando da alcuni anni.
In secondo luogo, rileva l'urgenza di individuare una soluzione alla situazione determinata dalla recente circolare del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato che, in contrasto con la recente modifica apportata dalla legge finanziaria per il 2009 al patto di stabilità interno, esclude i proventi delle dismissioni immobiliari e della distribuzione di dividendi sia ai fini del calcolo del saldo dell'anno da assumere a base per il rispetto del patto di stabilità interno, sia ai fini del calcolo del saldo negli anni successivi, rendendo in tal modo impossibile per molti enti tradizionali «virtuosi» rispettare il patto.
In terzo luogo risulta necessario consentire lo sblocco dei residui passivi dei comuni per la realizzazione degli investimenti infrastrutturali, ricordando in proposito che la spesa in conto capitale degli enti locali risulta essenziale, anche per i tempi rapidi in cui può essere attivata, per il sostegno alla domanda e quindi per la ripresa dell'economia.

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Con riferimento a tutti questi aspetti, considera privo di senso costruire un buon sistema di federalismo fiscale dopo aver distrutto le condizioni di normale operatività degli enti locali.
Per quel che concerne il merito del provvedimento, con riferimento in primo luogo al patto di convergenza per il gli enti locali previsto dall'articolo 17 del disegno di legge, ritiene opportuno prevedere, oltre all'esclusione delle spese per gli investimenti, una maggiore autonomia nell'organizzazione dei servizi posti in capo agli enti locali, anche al fine di garantire una maggiore libertà nella collaborazione con i privati.
Si sofferma poi sul problema del controllo parlamentare sull'attuazione della delega, ritenendo che tale scrutinio debba essere rafforzato, per evitare un'attuazione «centralistica»: se infatti è potuto accadere che una circolare del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato contraddica il dettato di una legge approvata dalle Camere, a maggior ragione i decreti legislativi potrebbero dare un'interpretazione restrittiva dei principi di autonomia contenuti nella legge delega.
Per quel che concerne l'aspetto quantitativo, ritiene che il disegno di legge delega preveda un livello di spesa complessivo per gli enti territoriali analogo a quello attuale, che peraltro è in linea con quella degli stati federali; osserva che tuttavia l'occasione dell'introduzione del federalismo fiscale dovrebbe essere colta anche per compiere una seria revisione della qualità della spesa.
Con riferimento alla riserva di aliquota IRPEF per le regioni prevista dal provvedimento, ritiene necessario non lasciare spazio a variazioni discrezionali delle basi imponibili da parte delle singole regioni, in quanto la tassazione delle persone fisiche in Italia pesa sull'imposizione fiscale complessiva in misura superiore a quello che avviene in altri paesi, a detrimento di quella che dovrebbe essere la funzione dell'imposta, vale a dire quella di aiutare, con la sua progressività, la mobilità sociale; conseguentemente la differenziazione delle basi imponibili, creando una situazione fiscale diversa per ciascuna regione, rappresenterebbe un'ulteriore lesione del principio di uguaglianza tra tutti i cittadini italiani.
Ritiene poi eccessiva la genericità dei principi di delega in materia di costi standard, richiamando in proposito la situazione degli asili nido nel Comune di Piacenza dove la copertura del servizio ammonta al 35 per cento, in linea con le indicazioni europee, il costo medio per bambino è di circa 8 mila euro, contro i circa 9 mila nazionali, ed il servizio è cogestito da soggetti pubblici e privati, con una percentuale di erogazione del servizio da parte di soggetti pubblici pari al 40 per cento. Si interroga pertanto su come ad esempio da tali elementi si possa ricavare il costo standard, ritenendo in particolare necessario precisare se si debba assumere il costo medio del servizio in quel territorio o quello nazionale, e se non sia opportuno introdurre una specifica metodologia di calcolo dei costi standard per quei servizi nei quali vi è un forte coinvolgimento di soggetti privati.
Si sofferma poi sul problema delle autonomie speciali, per le quali effettivamente si pone l'esigenza di superare l'attuale modello, contemperando l'attribuzione di maggiori funzioni ai territori dotati di autonomie speciali con una maggiore corresponsabilizzazione dei medesimi territori ai fini del rispetto dei vincoli della finanza pubblica.
Più in generale, per quanto riguarda i costi derivanti dalla mancata introduzione di un sistema federalista, richiama i risultati di una ricerca svolta della Regione Veneto, la quale ha evidenziato come, nel periodo 2001-2004, il personale delle amministrazioni centrali sia aumentato, mentre quello degli enti locali sia diminuito, e come, nello stesso periodo, nel Sud sia aumentata la dipendenza da strumenti di finanza derivata, con conseguente riduzione della spesa infrastrutturale ed in conto capitale dei medesimi territori. Ciò conferma, a suo giudizio, l'esigenza di un federalismo solidale, che garantisca anche la mobilità delle risorse umane e finanziarie. Ritiene infatti che tale esigenza costituisca un'autentica urgenza, reputando

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in proposito che, conseguentemente, potrebbero essere ridotti i tempi di attuazione della delega.
Invita quindi il Governo e la maggioranza a valutare seriamente le proposte emendative che saranno presentate dal suo gruppo.

Matteo BRAGANTINI (LNP) ricorda che il gruppo della lega Nord si sia per primo impegnato sui temi del federalismo fiscale, esprimendo quindi la propria soddisfazione per il fatto che finalmente il Parlamento si occupi di tale tema e tutte le forze politiche ne riconoscano l'importanza cruciale.
Soffermandosi in particolare sul tema del trasferimento dei beni del demanio statale agli enti locali, ricorda che tale operazione può essere molto vantaggiosa, in quanto il demanio statale ha costi importanti di mantenimento, i quali che comprendono anche voci non sempre evidenti. A tale ultimo proposito segnala ad esempio che vi è anche un costo da svalutazione dei beni non utilizzati, citando a conferma di ciò i casi delle caserme non utilizzate e delle mura di molte città.
Precisa peraltro che effettivamente ci sono dei beni che non possono essere valorizzati e a maggior ragione per tali beni è opportuno un trasferimento agli enti locali, proprio al fine di sgravare lo Stato dei costi da sopportare per il mantenimento dei beni stessi.
Per quel che riguarda invece i beni produttivi di reddito, ritiene che in ogni caso il loro trasferimento agli enti locali sia vantaggioso, in quanto gli enti locali possono, conoscendo meglio la realtà territoriale, ricavare maggiori introiti dai beni stessi, richiamando ad esempio i beni del demanio marittimo.
Sottolinea inoltre come non sia assolutamente certo, diversamente da quanto qualcuno sostiene, che la dismissione dei beni demaniali da parte dello Stato comporti necessariamente difficoltà per la gestione del debito pubblico dello Stato, ritenendo inoltre che il trasferimento dei beni agli enti locali debba essere realizzato in modo da garantire agli enti stessi la possibilità di utilizzare beni tra loro collegati.
Sottolinea inoltre come la valorizzazione dei beni demaniali dello Stato da parte degli enti locali possa essere facilitata dal contributo che le associazioni di privati possono fornire a tal fine. In conclusione ritiene che non si può assumere una posizione contraria al trasferimento dei beni demaniali dello Stato agli enti locali solo sulla base del fatto che a seguito di tale operazione vi sarà una diminuzione netta delle risorse disponibili da parte dello Stato, sia in quanto non è possibile capire quale è il vero valore dei beni non utilizzati prima che ne venga cambiata la destinazione d'uso, sia in quanto si potrebbero comunque individuare meccanismi compensativi degli eventuali minori introiti per lo Stato.

Lorenzo RIA (PD), ricorda che si è in presenza di un disegno di legge complesso, che ha posto e porrà complessi problemi di ordine costituzionale ed istituzionale, di ordine politico e sociale e, infine, di ordine pratico ed applicativo.
Ritiene che si debba avere consapevolezza di questa obiettiva complessità, se si intende fare un lavoro utile e di lungo periodo, senza il rischio, cioè, che venga spazzato via in tempi rapidi. Sottolinea quindi come la complessità del provvedimento sia anche documentata da un'evidente stratificazione dei suoi contenuti: una stratificazione acquisita, in tempi rapidi e tuttavia intensi, attraverso una assai articolata serie di passaggi, con una miriade di soggetti istituzionali e sociali, centrali, intermedi e periferici, i quali hanno tutti contribuito a lasciar traccia della propria proposta e del proprio punto di vista.
Ritiene quindi che, anche grazie ai miglioramenti apportati nel corso dell'esame al Senato ed all'incisivo apporto dell'opposizione - la quale per la prima volta ha potuto dispiegare in modo pieno e libero il proprio ruolo e la propria funzione - il testo trasmesso alla Camera rappresenti complessivamente un buon

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punto di partenza per ulteriori approfondimenti, contenendo un'ipotesi di federalismo fiscale per alcuni aspetti vicino agli orientamenti del gruppo del Partito democratico, il quale concepisce tale assetto istituzionale come un'opportunità per modernizzare il Paese, per promuovere lo sviluppo dei territori, riformare e responsabilizzare le autonomie, sostanziare la partecipazione dei cittadini al controllo della cosa pubblica, garantire loro eguali opportunità d'esercizio dei diritti sociali e civili sull'intero territorio nazionale, costituendo dunque non un pericolo per il livello di coesione nazionale, ma uno strumento per saldare autonomia e responsabilità, innovazione e solidarietà, risolvendo in tale logica i tanti divari che lacerano l'Italia.
Ritiene che tale risultato non sia secondario, ricordando che, se è vero che il disegno di legge sul federalismo fiscale è giunto in Parlamento 7 anni dopo il referendum confermativo del 7 ottobre 2001, è vero anche che, nel frattempo, la legislatura 2001-2006 è stata spesa nello sforzo vano di dar vita ad un'impossibile riforma costituzionale chiamata devolution. Si tratta, a suo giudizio, di una lezione e che indica a tutti la strada maestra da percorrere in tema di riforme costituzionali, atteso che non è immaginabile che il popolo italiano, né oggi né domani, si avventuri in percorsi di stampo sudamericano.
Da quindi atto al Governo di aver abbandonato il proposito, contenuto nel programma elettorale del Popolo delle Libertà, di partire dal disegno di legge presentato dalla regione Lombardia - che avrebbe enfatizzato gli attuali squilibri tra le regioni italiane - favorendo un buon livello di confronto nel Paese e nel Parlamento, sottolineando inoltre i notevoli miglioramenti al testo derivanti dall'accoglimento di importanti proposte emendative presentate al Senato dai gruppi di opposizione, relative al superamento del concetto di «territorialità» delle imposte erariali, all'armonizzazione dei bilanci degli enti locali e regionali, al coordinamento della finanza pubblica «multilivello» agli interventi speciali per lo sviluppo delle aree svantaggiate, all'introduzione del concetto di patto di convergenza per garantire i servizi in tutto il territorio nazionale.
Sebbene il testo risulti meno ambiguo nei principi e più strutturato nel percorso di adozione dei decreti legislativi, ritiene che molti elementi del provvedimenti siano ancora troppo vaghi, e vi sia l'alea oggettiva di poter riuscire davvero a tradurre le buone intenzioni in modelli istituzionali coerenti, efficaci ed efficienti. Nel testo in esame permangono, infatti, una serie di contraddizioni irrisolte, alcune di esclusiva natura politica, che, in questi mesi, hanno prodotto una serie di concessioni clientelari, quali l'erogazione di 140 milioni di euro a favore del Comune di Catania, le deroghe al patto di stabilità per il comune di Roma, ed il finanziamento eccezionale di 500 milioni di euro in favore della stessa città di Roma. Se a questo si aggiungono le disposizioni inserite nel testo in discussione in favore di Roma capitale, appare, a suo avviso chiaro che questa riforma è e sarà condizionata - anche dopo la sua definitiva approvazione - da mediazioni al ribasso, ricordando al contrario che quando il centrosinistra approvò, nel 2001, la riforma del Titolo V, fissò regole, sebbene controvertibili, univoche, esaustive e valide erga omnes, ciò dotate delle caratteristiche che devono possedere le norme costituzionali e le relative norme di attuazione.
Sottolinea quindi come, nel solco di questo principio, il gruppo del Partito democratico abbia proposto, fin dall'inizio, che nel testo confluissero anche le norme sul funzionamento delle autonomie locali (la cosiddetta Carta delle autonomie), nella convinzione che il meccanismo del federalismo fiscale debba essere strettamente connesso alla definizione dei quadri competenziali: una volta stabilite con chiarezza, le funzioni sarà possibile mettere definitivamente a regime i flussi necessari al loro finanziamento, attraverso meccanismi di federalismo fiscale.
Rileva inoltre come il nuovo assetto dell'autonomia fiscale, infatti, come tratteggiato

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nel testo, sia collocato in un impianto istituzionale di autonomie locali superato, pieno di sovrapposizioni, frammentazioni, incongruenze. Sottolinea che ciò indebolisce la capacità di innovazione della riforma, e rafforzi le spinte - fortemente presenti nell'organizzazione politica e burocratica dello stato e degli enti locali - alla conservazione, esprimendo quindi l'auspicio che il Governo dia seguito alle recenti affermazioni del Ministro Maroni, procedendo parallelamente all'approvazione della carta delle autonomie locali.
Sottolinea inoltre come la creazione di una pubblica amministrazione efficiente sia obiettivo prioritario della riforma federale, accanto a quello di rendere più equa ed equilibrata la distribuzione e l'utilizzo delle risorse che la pubblica amministrazione nel suo complesso raccoglie ed eroga, avvicinando il luogo in cui viene effettuato il prelievo fiscale a quello in cui le stesse risorse vengono impiegate, ma, che per motivare il senso civico alla funzione di controllo, occorrono norme fiscali trasparenti e lineari: solo così il cittadino può comprendere come sono impiegate le imposte che paga.
Ricorda che purtroppo, la riforma in discussione non introduce la necessaria chiarezza, non chiarendo, ad esempio, in che modo si intenda affrontare lo squilibrio esistente fra le risorse assegnate alle regioni a statuto speciale rispetto a quelle ordinarie, che appare ogni giorno più incomprensibile e irrazionale, atteso che allo Stato non esistono ragioni plausibili per giustificare la sopravvivenza di tale distinzione.
Evidenzia inoltre come il disegno di legge non affronti adeguatamente il tema della chiarezza e semplificazione istituzionale: la frammentazione geografica, la dispersività delle funzioni e competenze, la difficoltà di inserirsi in un contesto di comando ordinato ed efficace, rendano le attuali province non più compatibili con il principio di responsabilità imposto dal federalismo fiscale.
Ritiene invece auspicabile che le attuali province evolvessero in strutture amministrative specializzate sul versante tecnico e dei servizi, in diretto rapporto con le rispettive regioni, costituendo una sorta di braccio operativo di queste ultime, quali enti di amministrazione e programmazione di area vasta, con una riduzione-rimodulazione significativa degli organi di rappresentanza politica.
Ricorda che occorre anche definire in modo non approssimativo l'ambito dell'autonomia tributaria degli enti territoriali, prevedendo un numerus clausus di tributi possibili, che non lasci spazio a interpretazione erronee o distorte.
Segnala inoltre come, fino ad oggi, l'applicazione dell'articolo 119 della Costituzione abbia confermato la sperequazione tra le regioni del nord e quelle del mezzogiorno, senza uniformare e correggere la diversa qualità e quantità dei servizi al cittadino e, soprattutto, accentuando diffidenza di quest'ultimo nei confronti dell'amministrazione delle risorse pubbliche.
La vera sfida, quindi, è sanare lo squilibrio territoriale nell'offerta dei servizi, così da unificare un'Italia obiettivamente divisa, permettendo a tutti i cittadini, dalla Val d'Aosta a Lampedusa, di avere gli stessi diritti, senza doversi spostare per ottenere, ad esempio, il medesimo livello di cure sanitarie.
Rimanendo in tema di sistema perequativo, rileva la necessità di esplicitare puntualmente che il sistema di perequazione su base nazionale a carattere verticale, in quanto la definizione utilizzata dal primo comma dell'articolo 9 descrive ancora un meccanismo di perequazione sostanzialmente orizzontale.
La titolarità regionale del gettito delle compartecipazioni alle imposte erariali - in questo caso l'IVA - rende infatti inequivocabile che si è in presenza di perequazione orizzontale, cioè alimentata dal gettito spettante alle regioni con maggior capacità fiscale per abitante. Segnala pertanto che la regionalizzazione del fondo di perequazione dovrebbe esser prevista solo nel caso in cui vi sia uno specifico accordo tra la regione e gli enti locali del territorio

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per una ripartizione del fondo che differisca da quella prevista a livello nazionale.
Per quel che riguarda l'istituzione di una nuova specifica Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale, sottolinea di non condividere l'idea di istituire una Commissione ad hoc, cui affidare l'esame dei decreti attuativi della riforma in materia di federalismo fiscale, poiché, oltre a motivi di costituzionalità, non ritiene che abbia molto senso prevedere una nuovo organismo bicamerale, seppur aperto alla partecipazione dei rappresentati delle Amministrazioni locali, senza, tuttavia, dar loro la reale e concreta possibilità di votare, e quindi di rendersi protagonisti di decisioni che per la gran parte riguarderanno aspetti connessi alla loro identità, al loro ruolo ed alle loro attribuzioni.
Non comprende cioè, il motivo per il quale si debbano ricercare nuovi ed «alternativi» percorsi, che conducono alla istituzione di nuove commissioni, quando il nostro ordinamento, la legge costituzionale n. 3 del 2001, contiene una norma transitoria che demanda ai regolamenti parlamentari la possibilità di prevedere l'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle regioni, di tutti gli enti locali e che, dunque, riconosce un'adeguata rappresentazione degli interessi locali.
Ricorda, infatti, che l'articolo 11 rappresenta, nell'economia generale della riforma del titolo V, la norma atta a garantire la transizione dal «federalismo amministrativo» attuale, al «federalismo costituzionale» futuro, nel rispetto degli interessi di tutti i soggetti che compongono la Repubblica, secondo la definizione del nuovo articolo 114 del dettato costituzionale. A suo avviso, sarebbe quindi auspicabile affidare l'esame e la valutazione dei decreti attuativi in materia di federalismo fiscale all'attuale Commissione parlamentare per le questioni regionali, opportunamente integrata con i rappresentanti delle autonomie locali, che possa esprimere pareri non solo sui progetti di legge indicati nell'articolo 11, comma 2 della legge costituzionale n. 3 del 2001, ma anche su quei progetti di legge che, pur non riguardando le materie di cui all'articolo 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, contengano comunque disposizioni riguardanti l'attività legislativa o amministrativa delle Regioni, delle Province e Comuni, ricordando al riguardo di aver ha già presentato - assieme ad altri colleghi - una proposta di modifica al Regolamento in questo senso.
In via conclusiva sottolinea quindi come l'integrazione di tale Commissione con i rappresentanti delle autonomie territoriali possa rappresentare un'innovazione significativa per una rinnovata configurazione della funzione legislativa, attraverso l'introduzione degli interessi degli enti territoriali all'interno del procedimento legislativo nazionale; inoltre, una tale innovazione impegnerebbe i livelli di governo territoriali a condividere le scelte legislative che più da vicino li riguardano, rappresentando in sostanza anche lo strumento più naturale per rende più fluido il lavoro delle Conferenze e promuovere un effettivo e responsabile apporto delle regioni e degli enti locali ai lavori del Parlamento, che costituisce a suo avviso la strada maestra per realizzare il federalismo atteso dal Paese.

Antonio MISIANI (PD), associandosi alle considerazioni di molti dei colleghi che lo hanno preceduto, sottolinea come il provvedimento in esame, dando finalmente attuazione al federalismo fiscale nel nostro ordinamento, rappresenti una riforma assolutamente necessaria per completare il percorso delle riforme avviate nella seconda metà degli anni '90 del secolo scorso. A tale riguardo, ricorda, in primo luogo, che con le riforme Bassanini nel 1997 e nel 1998, si era proceduto ad un ingente trasferimento di funzioni amministrative a Costituzione vigente, al quale avevano fatto seguito nel 1999 l'introduzione dell'elezione diretta dei Presidenti delle regioni e, successivamente, la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione approvata nel 2000 e confermata con il voto referendario nel 2001, che hanno ulteriormente proceduto nella

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direzione di una valorizzazione delle autonomie territoriali. Il quadro istituzionale determinato da tali riforme ha quindi portato ad una ripartizione delle competenze tra lo Stato e gli enti territoriali analoga a quella presente in Stati a forte tradizione autonomistica. A tale assetto istituzionale non si è, tuttavia, adeguata la disciplina dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali, che non ha finora recepito i principi sanciti dalla nuova formulazione dell'articolo 119 della Costituzione. Si tratta, a suo avviso, di una lacuna particolarmente rilevante, in quanto nel nostro Paese gli enti territoriali attualmente gestiscono spese per 230 miliardi di euro e, rispetto a tale massa di risorse, appare fondamentale verificare quali siano i livelli quantitativi e qualitativi dei servizi garantiti alla cittadinanza.
Con riferimento alla riforma prefigurata dal provvedimento in esame, rileva come essa costituisca un'occasione fondamentale per dare finalmente attuazione a quanto previsto nel testo dell'articolo 119 della Costituzione, come risultante dalle modifiche apportate con la riforma costituzionale del 2001, rispondendo ad una esigenza sostanzialmente condivisa da tutte le parti politiche, e in particolare dal Partito democratico, che pone particolare attenzione al completamento del progetto federalista delineato dalla riforma costituzionale approvata proprio dal centrosinistra.
Più in particolare, rileva come il disegno di legge segni una significativa e positiva svolta rispetto a quanto proposto dall'attuale maggioranza nel corso della campagna elettorale, quando veniva indicato come modello di federalismo fiscale quello contenuto nel progetto di legge presentato al riguardo dal Consiglio della regione Lombardia, che prefigurava un sistema talmente squilibrato che si poneva ai limiti del dettato costituzionale. Già la prima formulazione del provvedimento mostrava apprezzabili correzioni di rotta rispetto a tale modello, avvicinandosi per molti aspetti al disegno di legge presentato nella scorsa legislatura dal Governo Prodi e alle proposte avanzate dai Presidenti delle regioni.
Nello specifico ritiene che, pur con alcuni limiti ed ambiguità, i quali lasciano aperti ampi margini di miglioramento, il testo del disegno di legge approvato dal Senato rispetti i principi di autonomia, responsabilità e solidarietà da garantire nell'attuazione del federalismo fiscale. Al riguardo ritiene vi sia l'esigenza di garantire una piena valorizzazione dell'autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali nonché di introdurre forti elementi di responsabilizzazione degli enti locali, al fine di evitare il prodursi di disavanzi analoghi a quelli riscontrati in questi anni in relazione alla gestione del servizio sanitario nazionale e di gestioni inefficienti delle risorse pubbliche, con il rischio del default delle amministrazioni locali. Da ultimo, valuta assolutamente imprescindibile garantire la solidarietà tra le diverse aree del Paese ed il riequilibrio delle risorse finanziarie disponibili, al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale le prestazioni connesse ai diritti fondamentali della persona garantiti dalla Costituzione.
Segnala quindi come le modifiche introdotte nel corso dell'esame del provvedimento presso l'altro ramo del Parlamento, anche per iniziativa del Partito democratico, abbiano consentito un sensibile miglioramento del testo presentato dal Governo, contribuendo a sciogliere taluni dei nodi problematici che erano stati segnalati. In particolare, valuta con favore il rafforzamento del ruolo del Parlamento nell'adozione dei decreti legislativi, risultante in particolare dall'introduzione della Commissione parlamentare bicamerale prevista dall'articolo 3 del testo.
Rileva, inoltre, come sia stata introdotta una tempistica più precisa per l'attuazione della delega legislativa, con riferimento in particolare ai tempi per il superamento del criterio della spesa storica per le regioni e gli enti locali e a quelli per l'emanazione del primo decreto legislativo, che dovrà avvenire entro un anno dall'entrata in vigore della legge e dovrà essere accompagnato da una relazione che dia conto degli effetti complessivi delle deleghe. Ritiene, inoltre, significative le

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modifiche introdotte dal Senato in materia di armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali, al fine di superare le criticità emerse in questi anni, mentre sarebbe a suo avviso necessario introdurre ulteriori precisazioni in ordine all'assetto fiscale degli enti locali, in quanto i criteri di delega sono ancora troppo generici.
Pur valutando con favore la normativa transitoria introdotta in materia di città metropolitane, ribadisce l'esigenza che le norme di carattere ordinamentale non confluiscono nel disegno di legge in esame, in quanto esse trovano una più opportuna collocazione nell'ambito del progetto relativo alla Carta delle autonomie di cui ritiene opportuno un rapido avvio dell'esame. Ritiene, quindi, particolarmente importante l'introduzione dell'articolo 17, in materia di patto di convergenza, osservando come la norma rappresenti un autentico salto di qualità nel dibattito sul federalismo fiscale, in quanto viene superata un'ottica meramente economicistica, per porre al centro dell'esame la garanzia e servizi essenziali e dei diritti da garantire sull'intero territorio nazionale. Giudica infatti essenziale avviare un processo di convergenza in queste materie, ricordando come nei servizi sociali e di assistenza alla persona si riscontrino profondi divari tra le regioni settentrionali e quelle meridionali del Paese. Passando ad esaminare i nodi ancora da sciogliere, sottolinea la vistosa contraddizione tra la riforma federalista in discussione e la politica ipercentralista in materia di finanza territoriale seguita dal Governo in questi primi mesi di legislatura. Ricorda, in particolare, l'abolizione dell'ICI sulla prima casa, nonché il blocco delle aliquote regionali e locali disposti dal decreto-legge n. 93 del 2008, nonché i tagli dei trasferimenti disposti dal decreto-legge n. 112 del 2008 e i pesantissimi vincoli posti dal patto di stabilità interno, che sono stati ulteriormente irrigiditi dall'applicazione fornita in sede amministrativa. A tale riguardo ribadisce il proprio giudizio estremamente critico sulla circolare n. 2 del 2009, che, attraverso un'interpretazione estremamente restrittiva del comma 8 dell'articolo 77-bis del decreto-legge n. 112, come modificato dall'ultima legge finanziaria, rischia di determinare una sostanziale paralisi degli investimenti degli enti locali, che rappresentano una quota rilevantissima degli investimenti pubblici. A fronte di tale situazione ritiene necessaria una concreta e visibile inversione di rotta da parte del Governo, che potrebbe a suo avviso sostanziarsi anche in un anticipo dell'entrata a regime di alcune parti della riforma, la cui efficacia sarebbe altrimenti rinviata fino al 2016-2017. Segnala, inoltre, come il disegno di legge contenga una proposta estremamente debole per quanto riguarda l'autonomia finanziaria delle regioni a statuto speciale, che rappresentano una indubbia anomalia di sistema. Ritiene in particolare che, in considerazione del residuo fiscale positivo a disposizione delle regioni a statuto speciale del nord Italia, dovrebbe ipotizzarsi un loro contributo alla perequazione delle risorse a livello nazionale, al fine di assicurare un assetto complessivo dei rapporti finanziari più equo e solidale. Osserva, peraltro, come il nuovo quadro istituzionale delineato dal titolo V della Parte II della Costituzione abbia fortemente indebolito la distinzione tra regioni a statuto ordinario ed autonomie speciali, in quanto il nuovo terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione ha introdotto forme di federalismo differenziato, che consentono l'attribuzione di forme e condizioni particolari da autonomia anche alle regioni a statuto ordinario.
Osserva, inoltre, come i criteri di delega previsti in materia di IRPEF determinino il rischio di una «balcanizzazione» dell'imposizione, per effetto dell'accumularsi di addizionali, riserve di aliquota, compartecipazioni, deduzioni e detrazioni, che potrebbe indebolire la progressività dell'imposizione e creare pesanti oneri per i contribuenti. Rileva, peraltro, come la creazione di basi imponibili differenziate sul territorio nazionale rischi di rendere estremamente difficoltoso il funzionamento dei meccanismi di perequazione previsti nell'ambito della delega, ritenendo inoltre necessario rafforzare la discussione

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parlamentare sui decreti delegati, tenuto conto che dal contenuto di tali provvedimenti dipendono questioni essenziali per la vita quotidiana dei cittadini.
Nell'esprimere apprezzamento per la scelta di prevedere una fase transitoria circa il finanziamento degli enti locali, ritiene opportuno ampliare l'elenco delle funzioni fondamentali previsto per la fase transitoria dall'articolo 20 del disegno di legge, al fine di includervi servizi di particolare rilevanza, come quelli relativi alla gestione dei beni culturali, ai quali aveva fatto riferimento il deputato Causi nella seduta di ieri. Ritiene, infine, fondamentale che il disegno di legge in esame si inserisca in un disegno organico di carattere istituzionale, che preveda, con l'approvazione della Carta delle autonomie, un chiarimento in ordine alle funzioni degli enti locali, e la riforma del bicameralismo perfetto attualmente in vigore, con l'introduzione di un Senato delle regioni, che costituisca la sede deputata al confronto fra i diversi livelli di governo. Sottolinea, in particolare, la rilevanza di tale ultima riforma, ricordando che il disegno di legge non ha natura costituzionale, e può pertanto essere modificato con una semplice legge ordinaria, e che, pertanto, in assenza di una partecipazione delle autonomie territoriali al processo legislativo nazionale, la riforma è esposta al rischio di possibili controriforme di stampo centralista.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, avverte che il seguito dell'esame del provvedimento avrà luogo in una seduta da convocare alle ore 14,30; conseguentemente informa che la seduta prevista al termine delle votazioni pomeridiane dell'Assemblea non avrà luogo.

La seduta termina alle 10.30.

SEDE REFERENTE

Martedì 24 febbraio 2009. - Presidenza del vicepresidente della VI Commissione Cosimo VENTUCCI, indi del presidente della V Commissione Giancarlo GIORGETTI. - Intervengono il ministro per le riforme per il federalismo Umberto Bossi, il ministro per la semplificazione amministrativa Roberto Calderoli, il ministro per i rapporti con le regioni Raffaele Fitto, ed i sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio Aldo Brancher e per l'economia e le finanze Daniele Molgora.

La seduta comincia alle 14.35.

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale.
C. 2105 Governo, C. 452, C. 692, C. 748.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella odierna seduta antimeridiana.

Maino MARCHI (PD) rileva l'estremo rilievo del provvedimento, che determinerà una modifica negli assetti della Costituzione materiale, dando finalmente attuazione al dettato dell'articolo 119 della Costituzione, colmando un ritardo che è in gran parte dovuto alla responsabilità delle forze politiche di centrodestra. In tale contesto sottolinea, peraltro, come tale processo di riforma non debba indurre a perseguire soluzioni affrettate, isolate dal contesto complessivo, ma debba essere realizzato in un quadro di concretezza e di chiarezza.
Passando a talune questioni di contesto che considera fondamentali per determinare la posizione sul provvedimento, segnala la distanza, sempre più forte, tra le prospettive del federalismo e la realtà dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali. Ricorda, infatti, che le decisioni assunte dal Governo nel corso della presente legislatura, prima con la soppressione dell'ICI, quindi con le misure del decreto-legge n. 112 del 2008 e della legge finanziaria per il 2009 relative al Patto di stabilità interna, nonché con gli interventi interpretativi relativi allo stesso Patto, hanno posto in particolare i comuni

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e le province in una gravissima situazione di difficoltà finanziaria, che ha determinato la ferma reazione dell'ANCI. Tali misure hanno infatti sostanzialmente bloccato gli investimenti dei comuni, in una fase nella quale proprio tali iniziative di investimento avrebbero potuto svolgere un ruolo in senso anticiclico, per alleviare le conseguenze della crisi economica che il Paese deve fronteggiare.
Gravi difficoltà si pongono inoltre per i bilanci delle province, le cui entrate dipendono in larga parte da tributi che risentiranno fortemente dell'andamento negativo dell'economia.
Ritiene quindi che occorra superare, prima dell'approvazione del disegno di legge, tale contraddizione tra l'impostazione federalista e la concreta pratica centralista del Governo, facendo leva sull'apprezzabile disponibilità ed attenzione dimostrata dai ministri Bossi e Calderoli affinché intervengano presso il Ministro dell'economia per modificare tale impostazione.
Un ulteriore aspetto di contesto che occorre chiarire riguarda la connessione tra il disegno di legge di delega e le iniziative di modifica dell'assetto costituzionale sulle funzioni e sull'articolazione degli enti locali. Al riguardo un profilo fondamentale concerne l'eventualità di procedere alla soppressione delle province, che è oggetto, tra l'altro, di una specifica proposta di legge costituzionale presentata da alcuni deputati del PD, che, peraltro, non condivide. A tale proposito ritiene che il Governo e la maggioranza debbano indicare se tale tematica possa essere affrontata in questa legislatura, in quanto, in tal caso, occorrerebbe evidentemente sospendere l'esame del disegno di legge per affrontare preventivamente quella questione, non essendo evidentemente possibile discutere delle entrate degli enti territoriali senza averne ancora definito la loro stessa articolazione istituzionale.
In parallelo, occorre fare preventivamente chiarezza in merito alle funzioni attribuite ai diversi enti, definendo, contestualmente all'assetto federalista, la Carta delle autonomie, che costituisce un tassello essenziale per la stessa emanazione dei decreti legislativi previsti dalla delega. Occorre, al riguardo, che il Governo, entro la conclusione dell'esame in sede referente, presenti i disegni di legge su questa materia, consentendo di iniziarne l'iter parlamentare prima della definitiva approvazione del disegno di legge delega. Diversamente, sarebbe impossibile rispettare i tempi previsti dal provvedimento per l'emanazione dei decreti legislativi che saranno emanati in forza della delega stessa.
Un ulteriore aspetto meritevole di attenzione riguarda il quadro istituzionale, rispetto al quale occorre conoscere le intenzioni della maggioranza e del Governo in merito alla riforma del Parlamento, con particolare riferimento all'istituzione di un Senato federale, al superamento del bicameralismo perfetto ed alla riduzione del numero dei parlamentari. Al di là dell'aspetto politico ed istituzionale, tale nodo ha infatti anche un rilievo finanziario, in quanto, se non si procedesse ad una riduzione dei parlamentari, nonché ad una più complessiva diminuzione dei costi dello Stato centrale e della politica, non sarebbe ipotizzabile procedere a quella riduzione dei costi della Pubblica amministrazione centrale che è connessa con la stessa riforma federalista. In caso contrario, lo stesso federalismo risulterebbe fallito in partenza, in quanto determinerebbe esclusivamente un incremento della spesa pubblica ed un conseguente aumento della pressione fiscale, in contrasto, oltre che con le previsioni del disegno di legge, anche con il contesto economico-finanziario del Paese.
Sottolinea quindi la grande importanza del tema concernente il percorso di emanazione dei decreti legislativi, rilevando al riguardo come l'istituzione, prevista dall'articolo 3, della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, introdotta dal Senato, costituisca certamente un'innovazione importante, anche in considerazione del rapporto tra la Commissione stessa, le Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario e la previsione

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dell'intesa da sancire in sede di Conferenza unificata. Nonostante tale miglioramento, ritiene tuttavia troppo ampia la discrezionalità lasciata al Governo, che può non conformarsi all'intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, oppure non adeguarsi ai pareri parlamentari. A tale riguardo occorre inoltre coordinare la previsione istitutiva della Commissione con la disposizione transitoria contenuta nella legge costituzionale n. 3 del 2001, la quale contemplava la possibilità di integrare la Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali sino alla revisione della seconda parte della Costituzione.
La delega risulta altrettanto indeterminata per quanto riguarda le conseguenze di carattere finanziario, la cui quantificazione è peraltro certamente difficile, in considerazione delle numerose variabili che dovranno essere prese in considerazione in sede di attuazione della delega. Ritiene, peraltro, che occorra almeno individuare il dato di partenza, in quanto, ove si ritenesse di far riferimento alle grandezze finanziarie risultanti dai provvedimenti legislativi che nel corso di quest'anno hanno inciso sulla finanza degli enti locali, si rischierebbe di compromettere lo stesso funzionamento di tali enti. Considera infatti evidente come un'ulteriore riduzione delle risorse finanziarie per gli enti locali, anche a danno di quelli più virtuosi, rischierebbe di compromettere le attese insite nella riforma federalista, introducendo un'ulteriore contraddizione tra le prospettive future e quelle che realmente potranno essere realizzate in base alle condizioni finanziarie di partenza. Tale opera di chiarimento non deve necessariamente comportare un allungamento dei tempi per l'emanazione del primo schema di decreto legislativo, ma deve indurre a compiere maggiori sforzi per definire una simulazione credibile degli assetti finanziari, che consenta di eliminare i maggiori elementi di opacità.
Si tratta, in particolare, di determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, nonché di chiarire il rapporto tra costi standard e fabbisogni standard. A tale ultimo riguardo ritiene infatti necessario individuare preventivamente i fabbisogni, sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali, passando quindi a stabilire i tempi e le modalità per superare la distanza tra realtà attuale ed indicazione programmatica, sulla base dei costi standard.
Relativamente a taluni aspetti specifici, reputa altresì necessario superare le ambiguità concernenti la funzione del trasporto pubblico locale. Ritiene, infatti, che, anche in considerazione dei profondi cambiamenti climatici, delle problematiche ambientali e delle tematiche energetiche, si debba considerare esplicitamente il trasporto pubblico locale come funzione fondamentale di comuni e province.
Analoga riflessione va altresì compiuta relativamente alle funzioni dei comuni concernenti la gestione dei beni e delle istituzioni culturali, che costituiscono un elemento essenziale per assicurare la vita civile delle comunità e per aiutare e per supportare i processi di integrazione sociale.
Segnala quindi le opacità insite nelle previsioni relative al meccanismo di perequazione regionale di cui all'articolo 9, rilevando al riguardo come il carattere verticale di tale meccanismo, pienamente condiviso dal suo gruppo, non sia chiaramente affermato con riguardo ai meccanismi di funzionamento dei fondi perequativi, che presentano ancora un carattere orizzontale. Per superare tale ambiguità occorre dunque modificare le modalità di alimentazione del fondo destinato a finanziare i livelli essenziali delle prestazioni, facendo riferimento alla fiscalità generale, nonché modificare le modalità di alimentazione del fondo in relazione ai livelli non essenziali.
Ritiene inoltre che rilevanti modifiche debbano essere apportate in riferimento alla previsione di una riserva di aliquota concernente l'IRPEF. Tale previsione, che comporta la possibilità, per ciascuna regione, di introdurre esenzioni, detrazioni e deduzioni diverse, rischia infatti di trasformare

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l'IRPEF, la quale rappresenta l'imposta mediante la quale si garantisce l'uniformità di trattamento tributario dei cittadini e la progressività del sistema, in un coacervo di 21 imposte regionali differenti, distruggendo il tributo ed il ruolo che esso ha finora svolto. Ciò comporterebbe evidentemente un ulteriore incremento delle conflittualità tra le regioni, e renderebbe ancor più iniquo il sistema fiscale. Ritiene quindi necessario scongiurare tale ipotesi ipotizzando invece che la riserva di aliquota si applichi ad altro tributo, quale l'IVA, per la quale non si porrebbero problemi relativi a deduzioni, detrazioni ed esenzioni differenziate tra le regioni, realizzando i medesimi obiettivi di finanziamento degli enti territoriali.

Gianluca FORCOLIN (LNP) rileva con orgoglio come il provvedimento in esame segni un passo fondamentale nel processo di riforma istituzionale del nostro Paese indicato con forza nel corso degli anni dalla Lega Nord. Nel ringraziare i Ministri dello sforzo compiuto nell'elaborazione della proposta, i cui contenuti ora sono sostanzialmente condivisi dai diversi schieramenti politici, ricorda come solo pochi anni or sono quando la propria parte politica parlava di federalismo fiscale veniva accusata di voler spaccare il Paese e di avanzare proposte irragionevoli.
Quanto ai contenuti del provvedimento, ritiene che, ferma rimanendo la struttura fondamentale del disegno di legge, vi siano tuttora margini di approfondimento e di miglioramento, rilevando come le audizioni svolte, e in particolare quella della Corte dei conti e dell'ANCI, abbiano fornito al riguardo elementi di particolare interesse, che potranno essere utili nell'elaborazione dei decreti legislativi attuativi della riforma.
Per quanto attiene alle linee essenziali della riforma sottolinea, in primo luogo, come il nucleo essenziale del provvedimento sia costituito dal trasferimento di poteri dal centro alla periferia e nella valorizzazione dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali, in particolare attraverso il completamento del processo di transizione dalla finanza derivata alla finanza decentrata, avviato ormai da circa un ventennio.
In questo quadro, altro elemento cruciale è rappresentato dal passaggio, nella definizione dei fabbisogni, dal criterio del costo storico a quello del costo standard, che consentirà una gestione più efficiente degli enti territoriali, valorizzando altresì il principio di responsabilità degli amministratori, che sempre più saranno chiamati a rispondere dei risultati della propria amministrazione. Ritiene, infatti, che, una volta perfezionato il circuito tra autonomia e responsabilità, ben difficilmente potranno immaginarsi casi di cattivi amministratori locali confermati dai rispettivi elettori, segnalando in particolare la rilevanza delle disposizioni contenute dall'articolo 16, che prevedono casi di ineleggibilità per gli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto.
Sottolinea, altresì, la rilevanza delle disposizioni recate dall'articolo 18 del disegno di legge in materia di trasferimento di beni demaniali, segnalando come questi beni siano attualmente gestiti a livello centrale in modo non sempre efficiente, e come un loro eventuale trasferimento agli enti territoriali consentirebbe, da un lato, una riduzione dei costi di gestione e, dall'altro, un maggiore utilizzo del bene da parte della cittadinanza.
Segnala, infine, l'importanza dell'introduzione, nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento, della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, che sarà chiamata a svolgere un ruolo determinante nell'esame dei decreti legislativi e nel raccordo con gli enti territoriali.

Cosimo VENTUCCI (PdL) osserva preliminarmente come il provvedimento dia attuazione alla modifica dell'articolo 119 della Costituzione approvata nel 2001 dalla maggioranza di centrosinistra, che a sua volta faceva seguito alla notevole opera di decentramento avviata con le cosiddette leggi Bassanini. In tal senso ritiene che si debba dare atto all'opposizione di aver

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dato, in coerenza con la politica posta in essere negli anni precedenti, un contributo fattuale al provvedimento nel corso dell'esame al Senato, incidendo sul testo originario, evidenziando al tempo stesso come l'esame al Senato ed alla Camera sia stato ben supportato, in tutte le fasi, dalla costante presenza del Governo, nelle persone dei Ministri Bossi e Calderoli.
Con riferimento al contesto in cui la riforma si colloca, ritiene tuttavia doveroso ricordare che la riforma del 2001, che introdusse il principio del federalismo fiscale nell'articolo 119, fu approvata con i voti della sola sinistra allora al Governo, operando una forzatura di grande valenza politica, determinata più dallo scopo di allargare la propria maggioranza in vista delle elezioni, che non dalla volontà di modificare l'assetto organizzativo costituzionale e che, conseguentemente, non si crearono in quella occasione le condizioni per un dialogo sereno, un confronto costruttivo che sulle regole rappresenta un principio incontestabile in un paese democratico.
Per quanto concerne il merito del provvedimento, ritiene debba essere in primo luogo affrontato il tema del significato da attribuire alla richiesta di delega legislativa per introdurre norme sostanziali di realizzazione di un assetto di finanza pubblica allargata, basato sul principio cardine della corrispondenza tra entrate e spesa dei diversi livelli di governo, abbandonando la logica della finanza derivata fin qui adottata, che, come è oramai ampiamente condiviso, contiene in sé la deresponsabilizzazione nell'impiego dei mezzi finanziari dai diversi enti.
Sempre su tale aspetto, ritiene, tra l'altro, che il controllo del debito pubblico a livello di aggregato delle amministrazioni pubbliche non possa più essere conseguito ex post, ma debba ottenersi ex ante nel momento della richiesta da parte dei diversi enti delle risorse economiche da spendere. Si tratta quindi di capovolgere l'attuale sistema di finanza pubblica e di introdurre norme sostanziali che imputino agli amministratori pubblici la diretta responsabilità della decisione dell'entrata da spendere, ed affidino agli elettori amministrati il giudizio politico sui costi/benefici conseguiti, il cui risultato deve rappresentarsi nei bilanci degli enti territoriali in modo da non consentire confusione di responsabilità dei vari centri di entrata/spesa.
Ritiene quindi evidente che l'utilizzo dello strumento della delega legislativa non sia dettata dalla volontà della maggioranza di decidere in solitudine qualità, quantità e tipo di federalismo fiscale, ma sia imposta dalla necessità di graduarne l'introduzione, come del resto emerge chiaramente dal tenore letterale della disposizione dell'articolo 1, comma 1, del disegno di legge, in modo da correlare la individuazione del rapporto costi/fabbisogno standard all'andamento della propria finanza territoriale. Osserva inoltre che il controllo parlamentare garantirà anche alle forze dell'opposizione una verifica dell'idoneità e dell'esaustività dei principi e criteri direttivi di delega legislativa in relazione soprattutto alla verifica della congruità dei meccanismi proposti, a tutela del diritto-dovere dell'opposizione di esprimere motivato dissenso sullo schema delle singole norme sostanziali attuative del federalismo fiscale. Sotto tale profilo, ricorda altresì che i criteri di delega si preoccupano di raccogliere sullo schema di decreto legislativo il massimo apporto critico degli enti territoriali interessati, prevedendo la previa intesa in sede di Conferenza unificata anche per la predisposizione degli schemi di decreto, apporto garantito anche dalla previsione del parere motivato di una Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, che interviene sulla base di elementi conoscitivi per la predisposizione dei contenuti della singola norma delegata raccolti ed analizzati dalla Commissione tecnica, pariteticamente composta anche con gli enti territoriali.
In sostanza evidenzia come la norma delegata possa essere emanata soltanto al conclusione positiva di una procedura, che potrebbe apparire complessa rispetto al normale iter dell'esame degli schemi di atti normativi, ma che consentirà di coagulare, in una materia così delicata ed innovativa,

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le ragioni delle varie componenti istituzionali intorno ad un progetto di finanza pubblica allargata articolato sul principio della sussidiarietà orizzontale e verticale degli enti territoriali, del resto già previsto dall'articolo 119 della Costituzione. A tale proposito sottolinea, al fine di richiamare la responsabilità politica della minoranza parlamentare, qualora decidesse di astenersi dal voto sul provvedimento, come esso, sebbene riguardi direttamente solo il federalismo fiscale, incida profondamente di riflesso anche sui modelli di gestione organizzativa delle autonomie locali e dello stesso ente statuale, per cui le relative strutturazioni dovranno necessariamente formare oggetto di successivi interventi legislativi di modifica ed adeguamento.
Nel merito del provvedimento evidenzia come esso tenda ad attuare nell'ordinamento interno i principi, propri anche dell'ordinamento comunitario, della «sussidiarietà orizzontale», richiamata esplicitamente dall'articolo 2, lettera dd), e della «sussidiarietà verticale», nella parte in cui configura l'ampiezza della potestà istitutiva di tributi propri di ciascun ente o comunità locale secondo una scala di graduazione correlata alla struttura dimensionale macro/medio/macro delle autonomie locali e quindi del tutto aderente al criterio della maggiore vicinanza di intervento dell'ente più piccolo ai bisogni particolari degli amministrati. Né va sottaciuto l'inserimento nell'ordinamento federativo fiscale dell'altro principio comunitario di applicazione dell'imposta sui consumi dal luogo di origine a quello di destinazione. Tale principio, invero già codificato nell'ordinamento interno relativo all'IVA intracomunitaria afferente le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese da soggetti fiscalmente residenti in Stati diversi aderenti alla Comunità europea, si consolida ora a livello di territorio regionale mediante la previsione all'articolo 7, comma 1, lettera d), numero 1), il quale attribuisce alle regioni il gettito di tributi regionali istituiti con legge statuale secondo il criterio quantitativo del luogo di consumo.
Considera inoltre di particolare importanza il previsto sistema sanzionatorio dei comportamenti gestionali degli enti locali in contrasto con l'equilibrio economico-finanziario generale, laddove se ne prevede l'applicazione anche nel caso di mancata adozione di criteri uniformi di redazione dei bilanci armonizzati secondo criteri predefiniti ed uniformi [articolo 2, lettere h) e v)]. Si tratta infatti di un'anticipazione nell'ordinamento interno di regole di trasparenza e controllo circa la creazione e l'impiego dei mezzi finanziari, la cui esigenza è stata già fatta propria dai Ministri economici comunitari e che formerà oggetto di discussione nella prossima riunione dei G20.
Inoltre, il provvedimento intende risolvere gli squilibri economico-produttivi delle aree territoriali svantaggiate, assicurando l'uniformità dei servizi resi a livello nazionale agli amministrati attraverso la previsione di un apposito fondo perequativo, le cui modalità di intervento finanziario tengano conto della capacità fiscale per abitante regionale.
Un ulteriore elemento fondamentale del disegno federalista è rinvenibile nell'articolo 17, il quale stabilisce che, nell'ambito della legge annuale di stabilità della finanza pubblica, secondo gli obiettivi ed interventi individuati nel Documento di programmazione economica e finanziaria, il Governo deve proporre, previo confronto con la conferenza unificata, norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard per ciascun livello territoriale.
Richiama poi le relative all'assetto di Roma capitale, le quali dimostrano un'attenzione verso questo tema che rischia peraltro di risultare fugace, in quanto l'assetto di Roma capitale dovrà essere oggetto di un più approfondito intervento, trattandosi di un comune di più di 2.700.000 abitanti che, con la Provincia, raggiunge i 3.800.0000 abitanti su di una Regione di circa 5.300.000 abitanti.
Richiama quindi conclusivamente le considerazioni di Lucio Colletti, il quale

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sosteneva che la società contemporanea è una società imperfetta, la quale può e deve essere continuamente revisionata e corretta, proprio come con il motore di un'automobile, avendo ben chiaro che ogni riforma determina scompensi, i quali rendono a loro volta necessaria una sorta di «riforma della riforma» senza fine, che Karl Popper ha ben sintetizzato con il concetto di «ingegneria a spizzico», ben sapendo che nessuna riforma è la panacea definitiva e che, in un mondo che cambia di ora in ora, il riformismo è un lavoro senza fine.

Gaspare GIUDICE (PdL), con riferimento specifico al tema delle autonomie speciali, rileva preliminarmente come alle regioni a statuto speciale si applichino esclusivamente le disposizioni di cui all'articolo 14, 21 e 25 del provvedimento.
Ritiene tale approccio limitato e scorretto, in quanto anche le regioni a statuto speciale partecipano alla definizione dei saldi di finanza pubblica e quindi si deve fare attenzione alle condizioni dei loro conti.
D'altra parte, con riferimento alla perequazione, ritiene necessario distinguere la perequazione ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione dalla completa implementazione del fondo di solidarietà previsto dall'articolo 38 dello Statuto della Regione siciliana, il quale infatti deve essere ancora attuato nella sua interezza.
Invita anche a considerare la necessità di una piena attuazione dell'autonomia prevista dagli statuti delle regioni a statuto speciale, ritenendo che tale percorso dovrebbe procedere parallelamente all'attuazione del federalismo fiscale.

Maria Teresa ARMOSINO (PdL), nel sottolineare l'importanza di assicurare una compiuta attuazione del federalismo fiscale, auspica che il disegno di legge in esame possa essere approvato in tempi ragionevoli, in modo da avviare finalmente la transizione verso il nuovo sistema dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali.
Ritiene, peraltro, necessario che la riforma non proceda da sola, ma sia accompagnata da riforme di carattere ordinamentale, volte in primo luogo a definire con chiarezza le funzioni degli enti locali, a fronte, in particolare, dei rilevantissimi trasferimenti di competenza realizzati nell'ultimo decennio. A tale riguardo, giudica particolarmente interessanti gli spunti forniti dall'intervento del deputato Tabacci, che ha posto in luce con particolare precisione e lucidità le problematiche poste dall'attuazione della delega, con specifico riferimento alla realizzazione della perequazione delle risorse e alla definizione dei costi standard.
A differenza di quanto sostenuto dal collega Tabacci, non ritiene tuttavia che questi nodi debbano necessariamente essere sciolti prima dell'approvazione del disegno di legge, ma che le questioni in discussione potranno essere affrontate in sede di emanazione dei decreti legislativi. Anche sulla base della propria esperienza come amministratore locale, ritiene, infatti, assolutamente prioritario in questa fase dare immediato avvio al processo di transizione verso il federalismo fiscale, in modo da dare un segnale agli enti locali, che sempre più sono compressi dai vincoli posti nella gestione dal patto di stabilità interno e dalla riduzione delle risorse trasferite, in assenza di una reale autonomia sul versante delle entrate.
Giudica pertanto necessario, anche alla luce dell'ampia convergenza sui contenuti del provvedimento, procedere rapidamente alla sua approvazione, riconoscendo finalmente piena autonomia e responsabilità agli enti territoriali.

Cosimo VENTUCCI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame alla seduta già convocata nella giornata di domani.

La seduta termina alle 15.20.