CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 24 febbraio 2009
143.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Martedì 24 febbraio 2009.

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 10.10 alle 10.15.

SEDE CONSULTIVA

Martedì 24 febbraio 2009. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono il ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli e il sottosegretario

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di Stato per la Presidenza del Consiglio Aldo Brancher.

La seduta comincia alle 10.15.

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale.
C. 2105 Governo, approvato dal Senato ed abb.

(Parere alle Commissioni riunite V e VI).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Donato BRUNO, presidente e relatore, illustra i contenuti del provvedimento in esame. Al riguardo osserva che esso, approvato dal Senato il 22 gennaio scorso ed attualmente all'esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI della Camera (A.C. 2105), unitamente a tre proposte di legge di iniziativa parlamentare, reca i princìpi e i criteri direttivi per l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, che definisce, com'è noto, i termini dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali.
In particolare, il disegno di legge di delega e i decreti legislativi che ne costituiranno l'attuazione sono volti a: fissare i princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi dell'articolo 119, secondo comma, con particolare riguardo alla definizione dei tributi e delle entrate propri delle autonomie territoriali, nonché delle modalità di compartecipazione al gettito dei tributi erariali; istituire un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, ai sensi dell'articolo 119, terzo comma; individuare i criteri per la realizzazione degli interventi speciali previsti dall'articolo 119, quinto comma; dettare i princìpi generali per la disciplina del patrimonio degli enti territoriali, ai sensi dell'articolo 119, sesto comma. Il testo in esame, agli articoli 22 e 23, definisce altresì una procedura per la prima istituzione delle città metropolitane, e reca disposizioni volte a disciplinare l'ordinamento di Roma, capitale della Repubblica; in tal senso, può dirsi attuativo anche dell'articolo 114, secondo e terzo comma, della Costituzione.
Per quanto concerne le linee generali del disegno di legge in oggetto, osserva che il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali supera il sistema di finanza derivata, nell'attribuire autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e Regioni, pur nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale. Uno degli obiettivi principali del disegno di legge è infatti il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell'attribuzione di risorse basate sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale sia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, sia delle funzioni fondamentali degli enti locali.
A tal fine il disegno di legge: stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di Regioni ed enti locali; definisce i princìpi che regoleranno l'assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento; delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.
Nel definire i princìpi fondamentali del nuovo sistema il testo distingue, da un lato, le spese connesse alle funzioni corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione nonché quelle inerenti alle funzioni fondamentali degli enti locali, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione e, dall'altro, le restanti funzioni degli enti territoriali; per le prime si prevede l'integrale copertura del fabbisogno, per le altre la perequazione delle capacità fiscali.
Un diverso trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché

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per gli interventi speciali dello Stato di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione.
Tra le funzioni riconducibili al suddetto vincolo costituzionale dei «livelli essenziali» sono comprese la sanità, l'assistenza e l'istruzione (quest'ultima limitatamente alle spese per i servizi e le prestazioni inerenti all'esercizio del diritto allo studio, nonché per le altre funzioni di carattere amministrativo già ora attribuite alle regioni). Per tali funzioni, concernenti diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i costi standard necessari alla definizione dei relativi fabbisogni.
Quanto alle modalità di finanziamento delle funzioni si afferma, quale principio generale, che il normale esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo. Conseguentemente, è prevista l'eliminazione dal bilancio statale delle previsioni di spesa per il finanziamento delle funzioni attribuite agli enti territoriali (tranne le spese per i fondi perequativi e le risorse per gli interventi speciali).
Il disegno di legge reca pertanto i criteri direttivi volti a individuare il paniere di tributi propri e compartecipazioni da assegnare ai diversi livelli di governo secondo il principio della territorialità e nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, nonché (all'articolo 18) le modalità di attribuzione agli stessi di cespiti patrimoniali, definendo un quadro diretto a consentirne l'esercizio concreto dell'autonomia tributaria e di assicurare un adeguato livello di flessibilità fiscale.
Tra i poteri attribuiti alle regioni, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato, vi è quello di istituire tributi regionali e locali, determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che gli enti locali possono applicare nell'esercizio della loro autonomia, istituire compartecipazioni al gettito a favore di enti locali.
Tra gli altri criteri direttivi di carattere generale si ricordano il principio della tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, finalizzato a favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e responsabilità amministrativa delle funzioni fondamentali, nonché la previsione del coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale. È prevista l'attivazione di meccanismi premiali dei comportamenti virtuosi ed efficienti; o, al contrario, sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica, che possono giungere sino all'individuazione di ipotesi di ineleggibilità per gli amministratori responsabili di stati di dissesto finanziario, ovvero di scioglimento degli organi nei casi più gravi. Per gli enti che non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni ovvero l'esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali, le misure sanzionatorie possono determinare anche l'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione.
Il disegno di legge in esame delinea, infine, la procedura di adozione ed esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi, fissando il termine per l'adozione di almeno uno di essi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, e in ventiquattro mesi il termine per l'adozione degli altri.
Si sofferma quindi sui contenuti in dettaglio del provvedimento in esame. In proposito rileva che l'articolo 1 individua l'ambito generale di intervento, mentre l'articolo 2 detta le linee fondamentali, da lui già ricordate, del nuovo sistema.
Le disposizioni di cui agli articoli da 3 a 5 istituiscono un sistema di nuovi organi ai quali viene attribuito il compito di presiedere, sia a livello tecnico-operativo, sia consultivo-politico, al processo di attuazione della delega sul federalismo fiscale. Tali organi sono collocati in una

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posizione intermedia tra le istituzioni coinvolte in tale processo (Parlamento, Governo e livelli di governo territoriali), e delineano una complessa rete di rapporti reciproci. Essi sono i seguenti: Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale (articolo 3); Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (articolo 4);Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (articolo 5).
L'articolo 6 amplia invece le competenze della Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria.
Le caratteristiche federali del nuovo sistema di finanza regionale sono prefigurate dal Capo II del disegno di legge in esame, che ha riguardo particolare alla finanza delle regioni a statuto ordinario, nonché dal comma 2 dell'articolo 1 e dall'articolo 25, che hanno riguardo all'assetto della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e dall'articolo 19 che disciplina il passaggio dal vecchio al nuovo sistema.
Gli articoli 7, 8, 9 e 10 costituiscono il complesso unitario dei criteri in base ai quali il legislatore delegato è chiamato a disciplinare il futuro assetto della finanza delle regioni a statuto ordinario: l'articolo 7 disciplina le entrate, indicando quale sia la natura e la misura delle risorse da attribuire; l'articolo 8 concerne le spese, e per queste il rapporto che intercorre fra il finanziamento delle funzioni esercitate e il livello delle spese che esse determinano; l'articolo 9 regola la perequazione, intendendo in questa il finanziamento delle funzioni con trasferimenti aggiuntivi in favore delle regioni che dispongono di minori capacità fiscale per abitante; l'articolo 10 riguarda infine la conversione degli attuali tributi e compartecipazioni delle regioni ordinarie alla disciplina che sarà dettata dai futuri decreti delegati.
Il nucleo di questa disciplina è nella ripartizione che l'articolo 8 fa delle funzioni e delle spese che queste determinano. Secondo il profilo delle funzioni le spese sono ripartite in due categorie principali: spese determinate dall'esercizio di funzioni connesse alle «prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, quelle cioè i cui «livelli essenziali» devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; le altre spese, non riconducibili a quelle considerate precedentemente.
Una terza categoria comprende le spese per il trasporto pubblico locale che - per il livello delle prestazioni ed il livello del finanziamento che è loro assicurato - sono considerate per parte in entrambe le categorie.
Vi è anche una quarta categoria di spese - quelle straordinarie o speciali e perciò «eventuali» - che possono riguardare tutte le funzioni ma che sono finanziate da contributi speciali dello Stato e dell'Unione europea e non danno luogo alla assegnazione di tributi, compartecipazioni o altra risorsa di carattere permanente.
Osserva in particolare che l'articolo 8 indica i criteri per la classificazione delle spese connesse a materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale, senza contemplare le spese relative a materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali, tuttavia, le regioni possono esercitare competenze amministrative.
Merita attenzione altresì la classificazione delle spese, che parrebbe destinata ad avere, di fatto, rilievo anche ai fini del concreto riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni disposto dall'articolo 117 della Costituzione (come si evince anche dalla rubrica che fa riferimento alle «modalità di esercizio delle competenze legislative»). Per la prima volta si avrebbe infatti un intervento organico del legislatore volto a procedere ad una classificazione, sia pure in termini di spese, basata sulle competenze legislative indicate dallo stesso articolo 117. Reputa opportuna, al riguardo, una riflessione sulla formulazione testuale della norma, secondo cui le spese per la sanità e l'assistenza (e alcune categorie di spese per l'istruzione) dovrebbero essere classificate come riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti

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i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; sia per valutare la portata normativa di tale disposizione alla luce del riparto di competenze legislative definito su tali materie dall'articolo 117 della Costituzione, sia per chiarire se le spese espressamente incluse tra quelle relative a livelli essenziali (sanità e assistenza nel loro complesso, ed istruzione per la parte indicata) esauriscano la categoria o non costituiscano piuttosto un contenuto minimo, ampliabile dal legislatore delegato.
Il livello delle entrate da assegnare alle regioni è determinato dal fabbisogno necessario a coprire l'esercizio ordinario delle funzioni secondo due parametri corrispondenti alla duplice classificazione delle spese: quello necessario a finanziare le spese connesse ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali è predeterminato sulla base di «costi standard» fissati dalla legge dello Stato; le altre funzioni sono finanziate in ciascuna regione dal gettito dell'aliquota media di equilibrio dell'addizionale regionale Irpef, fissata ad un valore sufficiente a pareggiare l'importo dei trasferimenti soppressi.
L'articolo 8 dispone inoltre che relativamente agli oneri per funzioni amministrative eventualmente trasferite dallo Stato alle regioni, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, si provvede con forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi del disegno di legge in esame e con le modalità previste dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 (»legge La Loggia»).
Per ciascun gruppo di funzioni e di spese l'articolo 7 indica i tributi che le finanziano e la misura delle entrate che ne devono derivare. Si tratta, seguendo lo schema già esposto, in primo luogo, delle entrate destinate al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni sono costituite dal gettito derivante da tributi propri delle regioni, cui si aggiungono quote e compartecipazioni ai tributi erariali, secondo aliquote e basi imponibili uniformi per tutte le regioni. In proposito, osserva che le aliquote sono fissate al livello minimo necessario per finanziare il fabbisogno occorrente per la prestazione dei servizi essenziali in almeno una regione. Nelle altre regioni ove il gettito è insufficiente alla copertura integrale del fabbisogno concorre la quota del Fondo perequativo. In secondo luogo, si tratta delle entrate destinate al finanziamento delle altre funzioni sono finanziate tramite l'attribuzione della addizionale regionale all'IRPEF, con aliquota uguale per tutte.
Al riguardo osserva che l'aliquota è stabilita con riferimento al totale dei trasferimenti finora erogati per il complesso delle regioni, per modo che questo sia 'coperto' dal totale dei gettiti, anch'essi complessivamente considerati; nessuna perequazione è data per le regioni in cui il gettito pro-capite dell'addizionale è superiore o uguale a quello medio nazionale; per le altre regioni la perequazione è data sul parametro della capacità fiscale (gettito pro-capite) e non su quello della spesa.
L'articolo 9 disciplina criteri e misura della perequazione. Anche per questa si ripete lo schema relativo alle spese: per la parte destinata alla perequazione delle entrate che finanziano i livelli essenziali delle prestazioni il fondo è costituito da una quota dell'IVA. Tale quota è considerata indistintamente per tutte le regioni e sufficiente ad integrare il fabbisogno di spesa delle regioni che seguono nella scala decrescente quella con la maggiore capacità fiscale; il concorso della quota perequativa consente di finanziare integralmente in ciascuna regione il fabbisogno determinato secondo i costi standard. Per la parte destinata al finanziamento delle altre funzioni il fondo è costituito da una quota del gettito dell'addizionale regionale all'IRPEF.
Come da lui illustrato, la perequazione non assume come parametro la spesa ma la capacità fiscale pro-capite determinata in base al gettito del tributo in ciascuna regione; nessuna perequazione è data alle regioni in cui il gettito pro-capite supera quello medio del complesso delle regioni ordinarie; per le altre regioni il gettito pro-capite è integrato da una quota del

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fondo perequativo determinata in modo da «ridurre, ma non annullare» le differenze di capacità fiscale esistenti tra le regioni.
Stabilito secondo questi principi l'assetto definitivo della finanza regionale, gli articoli 10 e 19 ne disciplinano il passaggio da quello attuale a quello futuro: l'uno per la trasformazione delle norme che regolano attualmente la finanza delle regioni a statuto ordinario, l'altro per far sì che il passaggio dal finanziamento della spesa storica al finanziamento dei fabbisogni avvenga gradualmente e progressivamente. I tributi, le compartecipazioni, le quote perequative e i trasferimenti che finanziano oggi le funzioni esercitate dalle regioni saranno sostituiti da entrate stabilite secondo i nuovi princìpi verificando, periodicamente, la congruità delle nuove fonti di entrata. Correlativamente, saranno soppressi nel bilancio dello Stato i capitoli che finanziano quelle spese.
Si sofferma quindi sul tema delle autonomie speciali. In proposito, osserva che per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano il comma 2 dell'articolo 1 introduce un principio di esclusività, o di riserva di disciplina, inteso a delimitare l'efficacia delle disposizioni del testo e ad integrarne i principi, così da rendere la disciplina del federalismo fiscale compatibile e coerente con le prerogative dell'autonomia speciale. Il comma in parola elenca nominativamente gli articoli cui deve rifarsi il legislatore delegato: l'articolo 14, recante i principi che informano l'istituzione delle città metropolitane, e l'articolo 21, che estende alle autonomie speciali la particolare procedura rivolta alla «perequazione infrastrutturale», e l'articolo 25.
L'articolo 25, in particolare, adatta alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale ed elenca - con esclusione degli altri - i princìpi ed i criteri direttivi che potranno applicarsi. In particolare osserva che le modifiche all'ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome saranno introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali, negli stessi termini temporali previsti dalla delega conferita per l'emanazione dei decreti delegati relativi alle regioni a statuto ordinario e agli enti locali e che, ferme le prerogative statutarie previste per ciascuna regione e provincia autonoma, la nuova disciplina sarà comunque informata ai principi del federalismo fiscale posti come attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
Passa quindi ad esaminare il tema relativo all'autonomia finanziaria degli enti locali. In proposito, osserva che il nuovo assetto finanziario relativo agli enti locali è definito dagli articoli 11, 12, 13 e 14 del disegno di legge in oggetto. Gli articoli 20 e 22 recano le disposizioni da applicarsi nel periodo transitorio, con riferimento, rispettivamente, al comparto dei comuni e delle province e alle città metropolitane.
L'articolo 22 reca inoltre una disciplina di natura ordinamentale finalizzata alla prima istituzione delle città metropolitane situate nelle regioni a statuto ordinario, ad esclusione di Roma (della quale si occupa il successivo articolo 23). Tale disciplina rimarrà in vigore fino all'approvazione di una apposita legge organica che stabilirà le modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane.
Per quanto concerne l'autonomia di entrata degli enti locali, il provvedimento demanda alla legge statale l'individuazione dei tributi propri dei comuni e delle province. Anche la regione, nell'ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, può istituire nuovi tributi comunali, provinciali e delle città metropolitane nei propri territori, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti alle autonomie territoriali.
Nell'attuazione della delega, la legge statale può inoltre sostituire o trasformare tributi già esistenti, ovvero attribuire a comuni e province tributi o parti di tributi già erariali. È prevista peraltro la possibilità, per gli enti locali, di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti dalle leggi, entro i limiti da queste fissati e di

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introdurre agevolazioni, coerentemente a quanto previsto in materia di «flessibilità fiscale».
Infine, per i comuni e le province sono previsti «tributi di scopo», che l'ente può applicare in riferimento a particolari finalità.
Con riferimento alle città metropolitane è previsto uno specifico decreto legislativo relativo all'assegnazione a tali enti dei tributi e delle entrate proprie.
Le modalità di finanziamento di comuni, province e città metropolitane è strutturato sulla base di una classificazione delle spese in tre tipologie: spese riconducibili alle «funzioni fondamentali» di tali enti, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, la cui individuazione è rimessa alla legislazione statale; spese relative alle altre funzioni, non riconducibili a quelle fondamentali; e spese che, prescindendo dall'oggetto delle funzioni, risultano finanziate con contributi nazionali speciali, finanziamenti dall'Unione europea e cofinanziamenti nazionali.
I criteri generali di delega prevedono il graduale superamento del criterio della spesa storica in favore di due nuovi criteri ai quali ancorare il finanziamento delle spese degli enti territoriali: il fabbisogno standard, per il finanziamento delle funzioni fondamentali, e la perequazione della capacità fiscale, per il finanziamento delle altre funzioni.
Per le spese connesse alle funzioni fondamentali è prevista la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento al fabbisogno standard. Il finanziamento deve essere assicurato, in via prioritaria, dal gettito derivante da tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e da addizionali a tributi erariali e regionali; quindi dall'intervento del fondo perequativo.
Il disegno di legge in esame individua espressamente quali entrate dei comuni e delle province devono essere specificamente destinate al finanziamento delle funzioni fondamentali. In particolare, per i comuni è fatto riferimento, in via prioritaria, al gettito derivante dalla compartecipazione all'IVA, alla compartecipazione all'IRPEF e alla imposizione immobiliare, con esclusione dell'abitazione principale; per le province, al gettito di tributi relativi al trasporto su gomma e alla compartecipazione a un solo tributo erariale. È rimessa, invece, alla facoltà delle città metropolitane la scelta circa l'applicazione dei tributi loro assegnati in relazione al finanziamento delle spese fondamentali.
Il provvedimento in oggetto prevede l'istituzione di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province e delle Città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato.
La ripartizione tra i singoli enti del fondo perequativo è effettuata sulla base di due specifici indicatori: un indicatore di fabbisogno finanziario, calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente (esclusa la spesa per interessi) ed il valore standardizzato dei tributi e delle entrate proprie di applicazione generale; e un indicatore di fabbisogno di infrastrutture, per il finanziamento della spesa in conto capitale.
Con riferimento al finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni «non fondamentali» non è previsto il finanziamento integrale. Il disegno di legge in oggetto stabilisce che esse siano finanziate con i tributi propri, con le compartecipazioni al gettito di tributi e dal fondo perequativo. A differenza di quanto previsto per il finanziamento delle spese fondamentali, l'intervento del fondo perequativo, in tale ambito, è basato soltanto sulla capacità fiscale per abitante ed è espressamente diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali dei singoli enti.
Per gli enti locali con minor popolazione, la perequazione è effettuata tenendo conto di alcune specificità, quali il fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa, e la partecipazione dell'ente a forme associative.
Passa quindi ad affrontare il tema di Roma capitale. Al riguardo rileva che

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l'articolo 23 affronta il tema dell'attuazione dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, ove si dispone che la legge dello Stato disciplini l'ordinamento di Roma, capitale della Repubblica. Tale disciplina, sotto il profilo ordinamentale oltre che finanziario, è definita dall'articolo in via transitoria, in attesa che l'attuazione della disciplina sulle città metropolitane determini l'istituzione della città metropolitana di Roma capitale. L'articolo precisa peraltro che tale disciplina è destinata a trovare applicazione anche «a regime», intendendosi riferita alla città metropolitana a decorrere dalla sua istituzione.
Nel frattempo l'articolo configura, in luogo del comune di Roma, un nuovo ente territoriale denominato «Roma capitale», dotato di una «speciale autonomia» statutaria, amministrativa e finanziaria ad esso attribuita in ragione delle peculiari funzioni che la capitale è chiamata svolgere in quanto sede degli organi costituzionali, nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri.
A Roma capitale sono attribuite ulteriori funzioni amministrative, in aggiunta a quelle già spettanti al comune di Roma, da esercitare mediante regolamenti adottati dal consiglio comunale di Roma, ridenominato «Assemblea capitolina».
Ampia parte della disciplina di Roma capitale - e segnatamente quella relativa ai profili finanziari e patrimoniali e quella concernente i raccordi istituzionali e le modalità di coordinamento e di collaborazione tra il nuovo ente e lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma - è rimessa a un decreto legislativo da approvare nell'ambito dell'esercizio della delega prevista dal disegno di legge in esame.
Passa all'esame degli interventi speciali recati dal provvedimento in esame. In proposito, osserva che l'articolo 15 del disegno di legge, richiamando l'articolo 119, quinto comma, della Costituzione in merito alla destinazione delle risorse aggiuntive e agli interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni, enuncia i princìpi e criteri direttivi ai quali il legislatore delegato dovrà fare riferimento nel predisporre i decreti attuativi previsti dall'articolo 2. Dovranno essere definite le modalità per cui tali interventi saranno finanziati con contributi speciali del bilancio statale, con finanziamenti dell'Unione europea e con cofinanziamenti nazionali secondo il metodo della programmazione pluriennale.
I finanziamenti comunitari non potranno avere valenza sostitutiva dei contributi speciali dello Stato. Dovrà essere prevista la confluenza dei contributi statali speciali in appositi fondi destinati agli enti locali e alle regioni, fermo restando il loro vincolo finalistico. I decreti delegati dovranno considerare le specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla collocazione geografica, alla prossimità al confine con Stati esteri o con regioni a statuto speciale, alla qualifica di territorio montano o di isola minore. I decreti dovranno individuare gli interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate e la solidarietà sociale, nonché a rimuovere gli squilibri economico-sociali e a favorire l'esercizio effettivo dei diritti della persona. Gli obiettivi e i criteri annuali saranno disciplinati con i provvedimenti annuali che definiranno la manovra finanziaria e che determineranno l'ammontare delle risorse.
Anche l'articolo 21 richiama l'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, prevedendo una ricognizione degli interventi infrastrutturali ad esso riconducibili previsti da norme vigenti, che riguardino la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, e le strutture portuali ed aeroportuali.
Vengono, pertanto, indicati i principi e criteri direttivi in base ai quali effettuare la ricognizione. Successivamente a questa, al fine di recuperare il deficit infrastrutturale esistente, saranno individuate le opere da inserire nel «Programma delle infrastrutture strategiche», annualmente allegato al documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), tenendo conto anche della virtuosità degli enti

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nell'adeguamento al processo di convergenza verso i costi o i fabbisogni standard.
Si sofferma, infine, sul coordinamento della spesa pubblica, rilevando al riguardo che il provvedimento in oggetto, agli articoli 16 e 17, prevede il concorso di tutti i livelli di governo al conseguimento degli obiettivi della politica di bilancio nazionale, in coerenza con i vincoli posti dall'Unione europea e dai Trattati internazionali.
Nel nuovo assetto delle relazioni economico-finanziarie tra lo Stato e le autonomie territoriali prefigurato dal disegno di legge, il coordinamento della finanza pubblica assume un ruolo centrale e si estende anche al monitoraggio e al controllo dei livelli, dei costi e della qualità dei servizi pubblici.
In tale prospettiva, il Patto di stabilità interno, sinora adottato per definire l'entità del concorso dei diversi enti territoriali agli obiettivi della politica di bilancio, dovrebbe essere ricondotto nell'ambito del «Patto di convergenza» previsto dall'articolo 17 del disegno di legge, consistente in un insieme di regole per il coordinamento dinamico della finanza pubblica che il Governo è chiamato a definire annualmente nell'ambito della legge finanziaria.
Tale nuovo istituto è finalizzato, in particolare, a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, ossia ad agevolare il graduale passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard.
In questo quadro, alle Regioni è attribuito uno specifico ruolo di coordinamento a garanzia del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, in base al quale esse, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, possono adattare le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, in relazione alle rispettive situazioni finanziarie.
Si prevede, inoltre, l'individuazione di indicatori di efficienza e di adeguatezza volti a garantire obiettivi qualitativi dei servizi regionali e locali, funzionali a loro volta all'introduzione di un sistema premiante per gli enti che assicurino una più elevata qualità dei servizi associata ad un livello di pressione fiscale inferiore alla media, nonché di un sistema sanzionatorio per gli enti meno virtuosi.
Meccanismi sanzionatori di carattere automatico sono previsti a carico degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con l'individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici.
Ai fini del coordinamento della finanza pubblica, il disegno di legge prevede, all'articolo 5 l'istituzione di una specifica Conferenza permanente.
Qualora l'attività di monitoraggio del Patto di convergenza rilevi che uno o più enti non abbiano raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato è chiamato ad attivare - previa intesa in sede di Conferenza unificata e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante - un procedimento correttivo denominato «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza».
Gli ultimi due articoli del testo recano, rispettivamente, una «clausola di salvaguardia finanziaria» volta a garantire la compatibilità tra l'attuazione della riforma e gli impegni assunti con il patto europeo di stabilità e crescita, ed una norma finalizzata all'individuazione, negli emanandi decreti legislativi, delle disposizioni legislative da abrogare in seguito all'introduzione della nuova disciplina.
Quindi, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 10.35.

SEDE REFERENTE

Martedì 24 febbraio 2009. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono

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i sottosegretari di Stato per l'interno Michelino Davico e Nitto Francesco Palma.

La seduta comincia alle 10.35.

Distacco di comuni dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna.
Testo base C. 63 Pizzolante e C. 177 Pini.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento rinviato, da ultimo, nella seduta del 4 febbraio 2009.

Donato BRUNO, presidente, avverte che sono stati presentati emendamenti (vedi allegato 1), che sono in distribuzione.

Oriano GIOVANELLI (PD) sottolinea la propria contrarietà di fondo sul complessivo provvedimento in esame, che rappresenta un errore sotto il profilo istituzionale. Subito dopo la sua approvazione, infatti, si tenterà di limitare il fenomeno del distacco e dell'aggregazione di comuni a regioni diverse da quella di appartenenza mediante l'approvazione del provvedimento di riforma dell'articolo 132 della Costituzione (C. 1221), il cui esame è in corso presso questa Commissione.
Si sofferma quindi sul testo base approvato dalla Commissione, che presenta numerosi profili problematici, in primo luogo per quanto riguarda gli adempimenti amministrativi che si rendono necessari a seguito dell'aggregazione di questi comuni alla regione Emilia-Romagna. Si riferisce in particolare al comma 4 dell'articolo 2, che prevede che entro il 5 aprile 2009 siano rideterminate le tabelle delle circoscrizioni dei collegi elettorali delle province di Pesaro e Urbino e di Rimini, ai sensi dell'articolo 9 della legge 8 marzo 1951, n. 122: a proprio avviso si tratta di un termine che non potrà essere rispettato e che per tale motivo reputa opportuno modificare.
Illustra quindi gli emendamenti 2.2 e 2.4 da lui presentati, auspicando tuttavia che la Commissione decida di accantonare l'esame del provvedimento in oggetto.

David FAVIA (IdV) fa presente che il proprio gruppo è contrario ad approvare il provvedimento in esame e che, tuttavia, assicurerà il contributo necessario al fine di limitarne l'impatto negativo sull'ordinamento giuridico, anche in considerazione del fatto che questa Commissione sta esaminando il provvedimento di riforma dell'articolo 132 della Costituzione, volto a modificare i presupposti di fondo per dare luogo all'aggregazione di comuni presso regioni diverse da quella di origine.
Si tratta di un provvedimento che, come emerso dalle audizioni tenutesi lo scorso 11 febbraio, non si caratterizza come atto dovuto, avendo la consultazione referendaria solo un carattere consultivo e in alcun modo vincolante: per questa ragione la Commissione non è affatto tenuta a proseguirne l'esame.
Si sofferma quindi sul contenuto del testo base in esame, osservando in proposito che esso presenta diversi momenti problematici che richiedono un'adeguata valutazione e rispetto ai quali ricorda di aver presentato emendamenti, dei quali illustra il contenuto.
Si riferisce in primo luogo al comma 4 dell'articolo 2, che prevede che entro il 5 aprile 2009 siano rideterminate le tabelle delle circoscrizioni dei collegi elettorali delle province di Pesaro e Urbino e di Rimini, ai sensi dell'articolo 9 della legge 8 marzo 1951, n. 122. Si tratta di un termine che dovrà essere necessariamente modificato in quanto eccessivamente ravvicinato e pertanto di difficilissima attuazione.
Invita quindi la Commissione a riflettere sui problemi in tema di rappresentanza politica che derivano dal distacco dei comuni dalla regione Marche e dalla loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna: si riferisce ai consiglieri provinciali eletti in collegi elettorali che comprendono il territorio dei comuni distaccati, una questione che il testo base non affronta neppure.

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Una questione particolare è infine rappresentata dai mutui che devono essere estinti per l'acquisizione dei beni ricadenti nel territorio dei comuni in questione e facenti parte del demanio e del patrimonio indisponibile della Provincia di Pesaro e Urbino e della regione Marche. Anche in questo caso il testo base non affronta tale problema, che invece presenta una rilevanza assoluta.

Roberto ZACCARIA (PD) fa preliminarmente presente che il provvedimento in esame assume un carattere di particolare rilievo alla luce delle disposizioni da esso recate. In proposito ricorda che questa Commissione ha esaminato, sia nella passata sia nella presente legislatura, un provvedimento analogo, volto a prevedere il distacco del comune di Lamon dalla regione Veneto e la sua aggregazione alla regione Trentino Alto-Adige. Si tratta di una materia regolata dall'articolo 132 della Costituzione, la cui modifica è oggetto di un apposito provvedimento (C. 1221), in corso di esame presso questa Commissione. A proprio avviso quello che va delineandosi è un quadro legislativo incoerente, che non tiene conto della peculiarità delle diverse situazioni.

Donato BRUNO, presidente, invita il relatore ed il rappresentante del Governo ad esprimere il prescritto parere sugli emendamenti presentati.

Manuela DAL LAGO (LNP), relatore, invita i presentatori al ritiro di tutte le proposte emendative presentate, avvertendo che altrimenti il parere è contrario, salvo che l'emendamento 2.5 Favia, che invita il presentatore a riformulare nel senso di sostituire le parole: «Entro sessanta giorni» con le parole: «Entro centottanta giorni». In questo modo sarà possibile consentire un termine più ampio per la rideterminazione delle tabelle delle circoscrizioni dei collegi elettorali delle province di Pesaro e Urbino e di Rimini: appare infatti evidente che il provvedimento in esame non potrà comunque entrare in vigore in tempo utile per lo svolgimento delle prossime consultazioni elettorali provinciali.
Si sofferma quindi sugli emendamenti presentati dal deputato Vannucci aventi ad oggetto la questione dei consiglieri provinciali eletti in collegi elettorali che comprendono il territorio dei comuni distaccati. Al riguardo osserva che si tratta di una questione che non può trovare soluzione in questa sede in quanto, se è vero che i comuni in oggetto costituiscono incidentalmente una circoscrizione elettorale nell'ambito della quale è stato eletto un consigliere provinciale, è altrettanto vero che, secondo un principio generale valido per tutte le assemblee elettive, i componenti del consiglio provinciale non rappresentano il collegio elettorale nel quale sono stati eletti, ma l'intera comunità provinciale.
Invita infine la Commissione ad approvare gli emendamenti 2.10 e 2.11, da lei presentati.

David FAVIA (IdV) riformula il proprio emendamento 2.5 nel senso suggerito dal relatore (vedi allegato 1).

Manuela DAL LAGO (LNP), relatore, esprime parere favorevole sull'emendamento 2.5 Favia, come riformulato.

Il sottosegretario Michelino DAVICO esprime parere conforme a quello del relatore, sottolineando tuttavia l'importanza di approfondire la questione relativa alle spese per gli spostamenti che affronterà il commissario nominato dal Ministro dell'interno, che dovrebbero andare a valere sui bilanci della provincia recipiente.

Massimo VANNUCCI (PD) dopo aver illustrato le proprie proposte emendative, invita il relatore ed il rappresentante del Governo a rivedere il parere espresso su di esse. In generale ritiene che sul provvedimento in esame la Commissione stia procedendo troppo frettolosamente, mettendo da parte ogni volontà di approfondire le questioni problematiche più rilevanti: si tratta di un atteggiamento non condivisibile in quanto questa è la prima volta in

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cui il Parlamento si accinge a legiferare in ordine all'aggregazione di comuni presso una regione diversa da quella di origine, e sarebbe pertanto opportuno procedere con la massima cautela.
Si sofferma quindi sugli aspetti di maggior rilievo recati dal testo base in esame, sui quali invita la Commissione a sviluppare un'ampia riflessione. Si riferisce in primo luogo alla questione dei beni ricadenti nel patrimonio disponibile ed in quello indisponibile degli enti interessati, su cui ha presentato l'emendamento 2.6, che illustra. Per quanto concerne poi la questione relativa ai consiglieri provinciali eletti nei collegi elettorali che comprendono il territorio dei comuni distaccati, illustra i propri articoli aggiuntivi 2.01, 2.02 e 2.03, che sono volti a trovare diverse soluzioni alle relative questioni.
In generale osserva che il provvedimento in esame è destinato a creare inevitabili contenziosi e conflitti di interesse tra gli enti interessati e per questa ragione ribadisce la propria contrarietà di fondo sul complesso delle disposizioni da esso recate.

Donato BRUNO, presidente, fa presente che l'esame del provvedimento in oggetto, iscritto nel programma dei lavori dell'Assemblea del mese di marzo prossimo, è stato ampio ed approfondito, senza alcuna accelerazione strumentale. In proposito, osserva che si è svolta un'ampia discussione di carattere generale, al termine della quale si è dato corso ad una seduta riservata all'audizione di due esperti della materia, nonché ai rappresentanti dell'ANCI, dell'UPI e della Lega della autonomie: la Commissione è ora chiamata a votare le proposte emendative presentate. Fa quindi presente che, ove i presentatori dovessero accogliere l'invito del relatore ritirando le rispettive proposte emendative, le questioni da esse recate potranno essere riesaminate nel corso delle riunioni del Comitato dei nove, a cui verrà riservato un congruo tempo.

Roberto ZACCARIA (PD) fa presente che l'emendamento 2.2 Giovanelli è volto a recepire una osservazione formulata dal professor Luciani nel corso della relativa audizione.

Donato BRUNO, presidente, fa presente che l'emendamento 2.10 del relatore affronta specificamente la questione contenuta nell'emendamento 2.2 Giovanelli e ne assorbe il contenuto.

Oriano GIOVANELLI (PD), ferme restando le proprie perplessità sull'emendamento 2.10 del relatore, ritira i propri emendamenti 2.2 e 2.4.

Sesa AMICI (PD) sottoscrive gli emendamenti 1.1 e 1.2 Cavallaro, nonché l'emendamento 2.3 Zeller, e li ritira.

David FAVIA (IdV) ritira il proprio emendamento 2.1.

Massimo VANNUCCI (PD) ritira il proprio emendamento 2.6 e i propri articoli aggiuntivi 2.01, 2.02 e 2.03.

La Commissione, con distinte votazioni, approva gli emendamenti 2.10 e 2.11 del relatore, nonché l'emendamento 2.5 Favia (nuova formulazione).

Donato BRUNO, presidente, avverte che il testo risultante dall'esame degli emendamenti sarà trasmesso alle Commissioni competenti per l'espressione del prescritto parere. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 11.05.

ATTI DEL GOVERNO

Martedì 24 febbraio 2009. - Presidenza del presidente Donato BRUNO - Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Nitto Francesco Palma.

La seduta comincia alle 11.05.

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Schema di decreto ministeriale concernente l'erogazione di contributi in favore delle associazioni combattentistiche vigilate dal Ministero dell'interno per l'anno 2008.
Atto n. 61.

(Esame e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Maria Elena STASI (PdL), relatore, illustra il contenuto del provvedimento in titolo. In proposito, osserva che, a partire dal 1996, gli stanziamenti destinati ai contributi da erogarsi agli enti combattentistici sottoposti alla vigilanza del Ministero dell'interno sono confluiti in un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero. Ciò è avvenuto per effetto delle disposizioni di cui ai commi da 40 a 44 dell'articolo 1 della Legge n. 549 del 1995 (collegata alla manovra di finanza pubblica per il 1996), che hanno disposto l'iscrizione in un unico capitolo degli importi dei contributi dello Stato in favore di enti ed istituti vari (elencati in apposita tabella) e la quantificazione annuale della dotazione dei predetti capitoli nella tabella C della legge finanziaria.
Il comma 40 ha inoltre previsto che il riparto dei contributi tra gli enti sia annualmente effettuato, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, con decreto di ciascun ministro, di concerto con il ministro del tesoro, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.
Alle Commissioni sono inviati i rendiconti annuali dell'attività svolta dai suddetti enti, prevedendosi altresì che gli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, che non hanno fatto pervenire alla data del 15 luglio di ciascun anno il conto consuntivo dell'anno precedente da allegare allo stato di previsione dei singoli ministeri interessati, sono esclusi dal finanziamento per l'anno cui si riferisce lo stato di previsione stesso. Queste ultime previsioni non sono state riprodotte nell'articolo 32 della Legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria 2002).
Quest'ultima disposizione ha quanto al resto riproposto il meccanismo della Legge n. 549 del 1995 (senza peraltro abrogarne le disposizioni), stabilendo che gli importi dei contributi previsti da leggi dello Stato in favore di enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi, elencati nella tabella 1 allegata alla medesima legge (incluse, tra questi, le associazioni combattentistiche sottoposte alla vigilanza del Ministero dell'interno) siano iscritti in un'unica unità previsionale di base (U.P.B.) nello stato di previsione di ciascun Ministero interessato.
Il riparto tra gli enti destinatari delle risorse stanziate su ciascuna di tali U.P.B. è effettuato ogni anno dal ministro competente, con proprio decreto, di concerto con il ministro dell'economia, «intendendosi corrispondentemente rideterminate le relative autorizzazioni di spesa». Sullo schema del decreto di ripartizione è prevista l'espressione del parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Il successivo comma 3 ha stabilito che la dotazione di ciascuna delle U.P.B. sia quantificata annualmente dalla legge finanziaria (in tabella C).
Per garantire il sostegno alle attività di promozione sociale svolte dalle associazioni combattentistiche, sin dagli anni ottanta sono stati approvati provvedimenti legislativi diretti ad erogare a tali associazioni i necessari contributi finanziari.
In particolare, con la Legge n. 93 del 1994 era stato autorizzato uno stanziamento annuo di 6 miliardi di lire per ciascuno degli anni 1994, 1995 e 1996, finalizzato alla erogazione di contributi alle associazioni combattentistiche elencate nella tabella allegata al provvedimento stesso e nella misura ivi indicata.
Successivamente, per assicurare alle predette associazioni ulteriori finanziamenti, la Legge n. 205 del 1998 ha autorizzato (articolo 2) l'erogazione di contributi per complessivi 1.462 milioni di lire nel 1998 e 731 milioni annui nel 1999 e nel 2000. Il relativo riparto è effettuato con decreto ministeriale, secondo le già richiamate modalità di cui alla Legge n. 549 del 1995.

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L'articolo 2 della Legge n. 61 del 2001 ha disposto che il ministro dell'interno, con proprio decreto da emanarsi con le modalità di cui alla stessa Legge n. 549 del 1995, ripartisca tra le associazioni combattentistiche sottoposte alla propria vigilanza - e indicate in allegato alla precedente legge 93/1994 - contributi per un importo complessivo di 731 milioni di lire (pari a 377.530 euro) per ciascuno degli anni 2001, 2002 e 2003, provvedendo in tal modo al «sostegno delle attività di promozione sociale e di tutela degli associati» svolte da tali associazioni.
Da ultimo è intervenuta la Legge n. 92 del 2006 , il cui articolo 2 ha autorizzato il finanziamento da parte del ministro dell'interno, per il triennio 2006-2008, delle attività di promozione sociale e di tutela degli associati svolte dalle associazioni combattentistiche di cui alla Legge n. 93 del 1994 sottoposte alla propria vigilanza. Il finanziamento, pari a 400.000 euro, per ciascun anno del triennio, è corrisposto, con le modalità previste dalla Legge n. 549 del 1995.
Un finanziamento specifico, che si somma a quello previsto dalle norme illustrate, è stato autorizzato per l'Associazione nazionale vittime civili di guerra, ricompresa tra i destinatari del contributo per le associazioni combattentistiche, e iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'interno. Il comma 113 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2005 (Legge n. 311 del 2004) ha disposto un contributo annuo di 250.000 euro a favore di tale associazione. Successivamente, l'articolo 11-quaterdecies, comma 10, del decreto-legge n. 203 del 2005 ha elevato il finanziamento, che è divenuto complessivamente pari a 400.000 euro, specificando che esso deve essere inteso come contributo statale annuo ordinario.
Tale somma, appostata nel capitolo 2961 dello stato di previsione del Ministero dell'interno, non è oggetto del decreto annuale di riparto in quanto destinata per legge esclusivamente all'Associazione nazionale vittime civili di guerra.
Per quanto riguarda l'effettiva erogazione dei finanziamenti, nel 2006 e nel 2007 lo stanziamento, appostato sul cap. 2960 del bilancio del Ministero dell'interno (U.P.B. 6.1.2.1, Contributi ad enti ed altri organismi) è stato ripartito tra l'Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti (ANED), l'Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti (ANPPIA) e l'Associazione nazionale vittime civili di guerra (ANVCG).
Per l'esercizio 2007, lo stanziamento previsto dalla Legge n. 92 del 2006 in favore del Ministero dell'interno, pari a 400.000 euro, è stato ridotto a 349.717,44 euro per effetto dell'articolo 1, comma 507, della legge finanziaria 2007 (Legge n. 296 del 2006).
Si sofferma quindi sul contenuto dello schema in esame, che lo schema di decreto ministeriale ripartisce, per l'anno 2008, lo stanziamento relativo ai contributi alle associazioni combattentistiche vigilate dal Ministero dell'interno, sulla base delle istanze avanzate dalle associazioni interessate.
La proposta di ripartizione contenuta nello schema di decreto è identica, quanto ai destinatari (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti; Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti; Associazione nazionale vittime civili di guerra), a quelle relative agli anni 2006 e 2007. Di queste associazioni illustra quindi la relativa composizione e le finalità della loro attività.
Per l'anno in corso, tali associazioni hanno presentato la richiesta di contributi, che costituisce il presupposto per l'assegnazione degli stessi, rispettivamente il 28 febbraio 2008, il 19 marzo 2008, il 28 aprile 2008.
Nella relazione illustrativa dello schema di decreto si ricorda che la legge n. 92 del 2006 non specifica i criteri da seguire per il riparto dei contributi. Pertanto, seguendo la prassi ormai consolidata, lo schema di decreto ha fatto riferimento alla medesima proporzione di riparto che risulta dalla legge n. 93 del 1994.
Secondo tale proporzione, il 10 per cento del totale dei contributi è destinato all'Associazione nazionale ex deportati nei

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campi nazisti; il 12 per cento all'Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti; il restante 78 per cento all'Associazione nazionale vittime civili di guerra.
Si ricorda che, nel corso dell'iter della legge n. 92 del 2006, il Governo ha accolto l'ordine del giorno 0/6277/IV/1, con il quale si è impegnato ad assumere come criteri di ripartizione dei contributi le finalità sociali delle associazioni destinatarie, con particolare riguardo a quelle assistenziali, e in secondo luogo il numero degli iscritti, attribuendo priorità a quelle per le quali il contributo statale costituisca la risorsa unica o prevalente. Con lo stesso ordine del giorno, il Governo si è impegnato inoltre ad attenersi alla medesima proporzione di riparto risultante dalla tabella A allegata alla legge n. 93 del 1994, salvo il caso in cui la citata proporzione risulti incoerente con i predetti criteri generali.
Gli stanziamenti per i contributi sono appostati, per l'esercizio 2008, sul capitolo 2309 (U.P.B. 5.1.2, Garanzia dei diritti e interventi per lo sviluppo della coesione sociale) dello stato di previsione del Ministero dell'interno.
Conclude presentando una proposta di parere favorevole (vedi allegato 2).

Oriano GIOVANELLI (PD) chiede di sapere se sono previste erogazioni a favore dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia (ANPI).

Maria Elena STASI (PdL), relatore, fa presente che l'ANPI non è un ente sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'interno.

Il sottosegretario Nitto Francesco PALMA ringrazia il relatore per il lavoro svolto ed invita la Commissione ad approvare la proposta di parere presentata dal relatore.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 11.10.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Martedì 24 febbraio 2009. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 13.50.

Ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e istituzione dell'Osservatorio nazionale.
Emendamenti C. 2121 Governo, approvato dal Senato, e C. 1311 Farina Coscioni.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Maria Piera PASTORE (LNP), relatore, si sofferma sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1. Al riguardo, osserva che l'emendamento 3.1 Mura, nel ridurre da quaranta a quindici il numero dei componenti dell'istituendo Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, non prevede che il ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali debba considerare, ai fini della determinazione della disciplina della composizione dell'organo, anche le amministrazioni regionali e delle province autonome coinvolte nella definizione e nell'attuazione di politiche in favore delle persone con disabilità.
Osserva, inoltre, che l'emendamento 3.8 Farina Coscioni tende ad escludere dall'elenco dei soggetti dei quali si dovrà prevedere la rappresentanza all'interno dell'Osservatorio, tra gli altri, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. La materia dei servizi sociali deve ritenersi di competenza legislativa residuale delle regioni, ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione: nel caso di specie, la competenza legislativa statale può ritenersi sussistente, in quanto si tratta di istituire un organismo di rilevanza nazionale. Ritiene pertanto che occorrerebbe nondimeno assicurare la rappresentanza delle regioni e delle province autonome all'interno dell'Osservatorio.

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Propone pertanto l'espressione di un parere contrario sull'emendamento 3.1 Mura, limitatamente alla parte consequenziale, in quanto non prevede che - ai fini del regolamento ministeriale di disciplina della composizione, dell'organizzazione e del funzionamento dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità - il ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali debba considerare anche le amministrazioni regionali e delle province autonome coinvolte nella definizione e nell'attuazione di politiche in favore delle persone con disabilità, nonché sull'emendamento 3.8 Farina Coscioni in quanto esclude dall'elenco dei soggetti dei quali si dovrà prevedere la rappresentanza all'interno dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, tra gli altri, anche le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Propone invece l'espressione di un nulla osta sui restanti emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 (vedi allegato 3).

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Isabella BERTOLINI, presidente, sospende la seduta del Comitato, avvertendo che riprenderà alle ore 15.45.

La seduta, sospesa alle 13.55, riprende alle 15.45.

DL 208/08: Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente.
Emendamenti C. 2206 Governo, approvato dal Senato.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Anna Maria BERNINI BOVICELLI (PdL), relatore, si sofferma sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1. Osserva in proposito che gli emendamenti 8.2 e 8.3 Mariani, capoversi comma 5.2, prevedono che le risorse di cui al precedente capoverso comma 5.1 siano erogate (alle regioni) con le modalità previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell'articolo 25, comma 2-bis, del decreto-legge n. 159 del 2007. Le risorse in questione sono destinate al Fondo regionale di protezione civile di cui all'articolo 138, comma 16, della legge n. 388 del 2000 per servire alla prosecuzione degli interventi di competenza regionale nell'ambito di un efficiente sistema di protezione civile. In proposito ricorda che la materia della protezione civile rientra tra le materie di legislazione concorrente dello Stato e delle regioni ai sensi dell'articolo 117, terzo comma; il citato articolo 138, comma 16, della legge n. 388 del 2000, nell'istituire il predetto Fondo regionale, stabilisce che l'utilizzo delle sue risorse sia disposto dal Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, d'intesa con il direttore dell'Agenzia di protezione civile e con le competenti autorità di bacino in caso di calamità naturali di carattere idraulico ed idrogeologico. Pertanto, dopo avere richiamato il parere espresso alla Commissione di merito il 17 febbraio scorso, propone di esprimere un parere contrario sugli emendamenti 8.2 e 8.3 Mariani, limitatamente ai capoversi comma 5.2, in quanto rimettono a un decreto del Consiglio dei ministri la definizione delle modalità di erogazione di risorse destinate ad interventi di competenza regionale in materia di protezione civile, e un nulla osta sui restanti emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 (vedi allegato 4).

Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Ratifica II Protocollo Convenzione protezione beni culturali in caso di conflitto armato.
Emendamenti C. 1929-A Governo, approvato dal Senato.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Doris LO MORO (PD), relatore, rilevato che l'emendamento 12.1 delle Commissioni

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non presenta profili problematici per quanto riguarda il riparto di competenza legislativa tra lo Stato e le regioni di cui all'articolo 117 della Costituzione, propone di esprimere su di esso il parere di nulla osta.

Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 15.55.

AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE REFERENTE

Norme in materia di cittadinanza.
C. 103 Angeli, C. 104 Angeli, C. 457 Bressa, C. 566 De Corato, C. 718 Fedi, C. 995 Ricardo Antonio Merlo, C. 1048 Santelli, C. 1592 Cota, C. 2006 Paroli e C. 2035 Sbai - Rel. Bertolini.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali.
Emendamenti C. 1415-A Governo e abb.

Ratifica Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione fra la Repubblica italiana e la Repubblica dell'Iraq.
Emendamenti C. 2037-A Governo.

Ratifica Accordo di cooperazione relativo ad un sistema globale di navigazione satellitare civile (GNSS) tra la Comunità europea e i suoi Stati membri e l'Ucraina.
Emendamenti C. 2013 Governo.

Ratifica degli strumenti, contemplati dall'articolo 3 (2) dell'Accordo USA-UE firmato il 25 giugno 2003, in materia di estradizione e di mutua assistenza in materia penale.
Emendamenti C. 2014 Governo.

ERRATA CORRIGE

Nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 18 febbraio 2009, a pagina 21, colonna sinistra, venticinquesima riga e trentunesima riga, deve leggersi: «Danilo BROGGI, Amministratore delegato della CONSIP» in luogo di: «Danilo BROGGI, Presidente della CONSIP»; alla medesima pagina, colonna destra, seconda riga, deve leggersi: «l'amministratore delegato Broggi per il contributo fornito» in luogo di: «il presidente Broggi per il contributo fornito».