CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 18 febbraio 2009
140.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (V e VI)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Mercoledì 18 febbraio 2009. - Presidenza del presidente della V Commissione Giancarlo GIORGETTI. - Intervengono il Ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Aldo Brancher, ed il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Daniele Molgora.

La seduta comincia alle 14.45.

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale.
C. 2105 Governo, approvato dal Senato, C. 452 Ria, C. 692 Consiglio regionale della Lombardia e C. 748 Paniz.

(Seguito dell'esame e rinvio).

Le Commissioni proseguono l'esame dei provvedimenti in oggetto, rinviato, da ultimo, nella seduta del 17 febbraio scorso.

Bruno TABACCI (UdC), nel ringraziare il ministro per l'attenzione con cui segue i lavori delle Commissioni riunite, rileva preliminarmente che la scelta della delega è carica di contraddizioni e si presta al rischio che non emerga un disegno organico, ma un assetto istituzionale e fiscale frutto di compromessi tra i diversi livelli, come se le diverse rappresentanze istituzionali operassero in uno spirito di trattativa sindacale e non di perseguimento dell'interesse generale. Inoltre, dal punto di vista dei rapporti istituzionali tra Parlamento e Governo, rileva come lo strumento della delega potrebbe privare il potere legislativo di poteri di intervento su aspetti molto importanti nella definizione del federalismo fiscale. In questa situazione, peraltro, la richiesta di eventuali poteri più penetranti per la Commissione parlamentare di cui all'articolo 3, quali la previsione del carattere vincolante dei pareri resi dalla stessa sullo schema di decreto, potrebbe apparire prima facie, oltre che in contrasto con la tradizione parlamentare del ruolo consultivo attribuito a tali commissioni, incoerente con l'attività della Commissione bicamerale consultiva per i rapporti per le regioni, già da tempo istituita, che andrebbe dunque soppressa. Ritiene comunque urgente individuare delle modalità per evitare la progressiva emarginazione del Parlamento. In questa ottica esprime pertanto la propria valutazione favorevole sulla proposta di attribuire un valore vincolante ai pareri

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della Commissione bicamerale consultiva prevista dall'articolo 3 del disegno di legge.
Osserva comunque che, di fronte ad una riforma di tale portata, sarebbe stato preferibile evitare la strada della delega, il cui contenuto è quasi totalmente nelle mani del Governo, per affrontare il percorso di una legge ordinaria, approvata dopo approfondita discussione dei due rami del Parlamento. In particolare su di una materia tanto importante e delicata come quella del federalismo fiscale e più in generale dei rapporti finanziari e fiscali tra Stato e regioni e enti locali, in quanto assai scarse sono le indicazioni contenute in questa materia nella Costituzione.
Ricorda peraltro che sul punto ben diversa è la situazione del federalismo fiscale in Germania dove la legge Fondamentale, che ha valore costituzionale, individua con precisione i tributi propri dello Stato Federale Bund quelli propri degli Stati Regionali Lander e quelli comuni per Bund e Lander, indicando anche per alcuni di questi ultimi (imposta sul reddito delle presone fisiche e imposta sulle società) la misura in cui il loro gettito deve essere ripartito tra Bund e Lander, mentre rinvia ad una legge ordinaria il compito di ripartire il gettito dell'imposta sugli scambi.
Ciò premesso, osserva che la tempistica dell'emanazione dei decreti delegati andrebbe finalizzata con modalità e con contenuti diversi, proprio per affrontare i nodi che sono stati ampiamente segnalati nel corso delle audizioni. Ritiene che la prima questione da affrontare riguardi la disomogeneità dei dati contabili degli enti territoriali, come emerso dalle audizioni della Ragioneria Generale dello Stato e dell' ISTAT. La possibilità di utilizzare i dati contabili degli enti territoriali risentono fortemente dell'assenza di bilanci omogenei e in modo particolare quelli delle Regioni e delle Province autonome sono redatti con modalità che non consentono l'utilizzo delle informazioni. E che ci sia un bisogno preliminare di chiarezza sulla quantità e forse anche sulla qualità della spesa delle Regioni a Statuto speciale (anche quelle del nord) lo conferma lo studio dell'Ufficio Studi della Banca d'Italia presentato nell'audizione informale di fronte alle Commissioni riunite. Altro elemento di complicazione del quadro conoscitivo è rappresentato dalle cosiddette esternalizzazioni, per le quali il disegno di legge dà una indicazione assolutamente generica. Poiché non sono disponibili bilanci consolidati dagli Enti Locali e delle loro società e aziende partecipate non si è in grado di definire con precisione il livello di spesa pubblica degli enti territoriali. Ricorda il caso, assai diffuso, in cui gli enti hanno esternalizzato anche le fonti di finanziamento; ne deriva che i loro bilanci sono fasulli e non rappresentano le attività svolte a livello locale, ovvero l'intreccio e la ragnatela di partecipazioni di numerose amministrazioni provinciali in concessionarie autostradali, aeroporti, banche, società turistiche e consorzi industriali: Napoli ha 31 partecipazioni, Torino 35, Genova 26, Bergamo, 37, Palermo 18. Ricorda ancora il caso dell'autostrada Milano-Serravalle, controllata pienamente dalla provincia di Milano con quelle di Pavia e di Como, oppure dell'autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova, che costituiscono delle autentiche «galline dalle uova d'oro» che continuano a fare profitti, applicando agli automobilisti che le frequentano gli automatismi tariffari del price-cup esattamente come fa la Società Autostrade controllata dal gruppo Benetton.
Ritiene poi necessario, una volta affermata la omogeneità dei dati contabili, affrontare il nodo della classificazione e della definizione delle funzioni delle regioni e degli enti locali. Ritiene di tutta evidenza che non sono facilmente individuabili le specifiche attività amministrative da ricondurre alle funzioni di competenza delle regioni e degli enti locali, sia con riferimento all'articolo 117 della Costituzione, commi terzo e quarto, che all'articolo 118 della Costituzione e non appare per nulla chiarito quali attività amministrative siano da ricondurre ai livelli essenziali delle prestazioni per le regioni e quali alle funzioni fondamentali

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per gli enti locali. Ritiene che questo sia il motivo per cui il ministro dell'economia non è nella condizione di indicare la quantificazione finanziaria, perché non c'è la puntuale indicazione di tali funzioni, essendo per esse prevista la copertura integrale del fabbisogno standard, mentre per le spese riguardanti le restanti funzioni è prevista la perequazione delle differenti capacità fiscali.
Segnala poi il nodo connesso alla classificazione e alla quantificazione dei trasferimenti erariali. Infatti la soppressione di tali trasferimenti prevista dalla delega, contestualmente all'attribuzione agli enti di una più elevata autonomia impositiva, richiederebbe una puntuale identificazione delle finalità per cui tali trasferimenti sono attualmente erogati e delle loro fonti di finanziamento.
Con riferimento a tale ultimo aspetto, rileva che l'autonomia impositiva degli enti locali rischia di rivelarsi falsa; constata infatti la difficoltà di attribuzione agli enti territoriali di un'effettiva autonomia impositiva a causa della difficile applicazione del principio di territorialità: Purtroppo l'ispirazione di fondo del disegno di legge resta quella della pretesa territorialità delle imposte. Criterio infondato, distruttivo delle responsabilità territoriali, e in grado di indurre una ulteriore deresponsabilizzazione. È la traduzione sul terreno fiscale della presunta territorialità dei bilanci energetici su base provinciale o regionale. In nome della presunta territorialità, di fatto la delega procede ad una appropriazione di quote rilevanti di tributi erariali (come ha dimostrato l'ISAE) di modo che la responsabilità fiscale rimane a carico dello Stato centrale, mentre il potere di spesa (una malintesa autonomia) diventa regionale.
Inoltre, rileva che sul versante dell'imposizione non si affronta come si dovrebbe il tema del contrasto all'economia sommersa, che è oramai stimata a circa il ventotto per cento dell'economia, che continuerà a prosperare incidendo pesantemente sulle basi imponibili. Su questo punto, infatti il richiamo, all'articolo 2, comma 2, lettera d) al contrasto all'evasione e all'elusione fiscale risulta assolutamente generico, come se si dovesse continuare a vivere in una economia sommersa di queste proporzioni.
Osserva che, per contro, si attribuisce un valore «taumaturgico» di moralizzatore ovvero di responsabilizzatore della spesa al «costo standard», che tuttavia risulta di difficile determinazione. Ricorda che sul punto lo stesso Ragioniere generale dello Stato ha evidenziato difficoltà nella sua determinazione. Ciò è vero in particolare per la determinazione dei diritti civili, sociali e politici. Sul punto peraltro ritiene necessario intervenire anche sulle regioni a statuto speciale e sulle province autonome. In tal senso ritiene che la carta delle autonomie avrebbe dovuto precedere il disegno di legge del federalismo fiscale perché l'aspetto istituzionale risulta indubbiamente prevalente. Peraltro, altro profilo problematico è quello di individuare idonei strumenti di controllo sull'autonomia della spesa degli enti locali. Osserva che per tutti questi aspetti il provvedimento non contiene un'esplicita clausola di copertura, ma, all'articolo 26, comma 1, non c'è una esplicita clausola di copertura finanziaria, ma si fa riferimento ad una generica clausola di «salvaguardia finanziaria» agganciandola agli impegni assunti in sede comunitaria e superando con superficialità il precetto costituzionale di cui all'articolo 81. Non potendo assicurare, tra l'altro, che gli asseriti risparmi di spesa determinino una riduzione della pressione fiscale dei diversi livelli di Governo,
All'articolo 26, comma 2 lettera b) si retrocede poi alla formula di «non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva.» Rileva che si tratta di un artificio lessicale che nasconde o l'inevitabile aumento della pressione fiscale o il riconoscimento che questa delega in realtà rappresenta un manifesto ideologico. In questa ottica, ritiene che il disegno di legge costituisca il terzo tempo per la Lega dopo secessione e la devoluzione, caricandola di eccessiva carica mediatica. Peraltro, ricorda che, a suo giudizio, in assenza della cornice europea e della moneta unica in cui l'Italia è saldamente collocata, oltre

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alla predicazione intrisa di violenza verbale degli esponenti della Lega avremmo assistito a ben altre manifestazioni di stampo jugoslavo. Ritiene invece necessario un lavoro serio di riforma dei rapporti tra fisco, istituzioni e cittadini e di emersione dell'economia sommersa.
Segnala che invece con il provvedimento in esame si rischia un «federalismo delle furbizie» caratterizzato da una moltiplicazione dei livelli impositivi. Infatti, la maggiore autonomia tributaria degli enti territoriali rischia di comportare una necessaria frammentazione delle basi imponibili e moltiplicazione dei centri di prelievo. Inoltre, in forza di alcune disposizioni del disegno di legge, come l'articolo 18 e il comma 7 dell'articolo 23, si rischia l'attribuzione alle regioni di un proprio patrimonio senza giungere anche a ripartizione del debito pubblico. In proposito, rileva come i meccanismi di coordinamento tra i diversi livelli di Governo ai fini della ripartizione degli obiettivi di riduzione del deficit e del debito non siano del tutto chiari. Occorrerebbe infatti chiarire come il nuovo patto di convergenza di cui all'articolo 17 si coordini con i criteri di delega sul coordinamento e sulla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo di cui all'articolo 16.
In questo quadro formula quindi alcune proposte per consentire un'utile attuazione della delega che cerchi almeno di evitare i rischi peggiori.
In primo luogo, giudica necessaria una ricognizione della situazione attuale delle Amministrazioni locali, ai fini della definizione di una base di dati condivisa tra i soggetti istituzionali e le amministrazioni esperte in tema di finanza pubblica, che consenta valutazioni univoche in merito alle grandezze economiche e finanziarie più significative e all'andamento delle singole politiche nei diversi livelli territoriali. Osserva che in tale ambito occorre acquisire elementi informativi sui dati in materia di entrate e di spese delle regioni e degli enti locali attualmente disponibili e sui rapporti finanziari tra le diverse categorie di enti, con particolare riferimento alle grandezze finanziarie rilevanti per le funzioni regionali relative ai livelli essenziali ed alle spese per le funzioni fondamentali degli enti locali (nella misura in cui tali funzioni risultano attualmente identificabili), nonché per quelle non riconducibili a tali categorie. Ritiene che il Parlamento debba essere messo in grado di condividere tale base informativa.
In secondo luogo, il primo decreto legislativo dovrebbe individuare i principi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici, volta ad assicurare la redazione dei bilanci delle autonomie territoriali in base a criteri predefiniti e uniformi, coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato ed agevolmente riconducibili ai criteri rilevanti ai fini dell'osservanza del patto di stabilità e crescita europeo (articolo 2, comma 2, lettera h), del disegno di legge delega; in tale ambito occorre definire uno schema di armonizzazione atto a rendere omogenei i bilanci di regioni ed enti locali per poter fare comparazioni e aggregazioni.
Osserva poi che il secondo decreto legislativo dovrebbe procedere alla individuazione nel dettaglio delle funzioni per le quali è necessario definire i livelli essenziali delle prestazioni (sanità, assistenza e istruzione), e, soprattutto, delle funzioni fondamentali degli enti locali (che dovrebbero essere quelle che si riferiscono alle caratteristiche proprie dell'ente: governo del territorio, trasporto locale, smaltimento dei rifiuti, viabilità, ecc.) evitando pertanto una loro definizione solo in via transitoria come previsto dal disegno di legge delega; contestualmente, dovranno essere individuate nel bilancio dello Stato le singole voci connesse a competenze da trasferire agli enti decentrati - in base all'articolo 117 della Costituzione -, indicando il livello di spesa storica da cui partire, quale punto iniziale per la costruzione del sistema di finanziamento. Dovrà inoltre procedersi alla regionalizzazione delle spese connesse alle competenze da trasferire, nonché alla selezione dei trasferimenti verso gli enti decentrati, individuando la loro distribuzione territoriale, posto che tali trasferimenti dovranno essere

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soppressi ed essere sostituiti da tributi, compartecipazioni e quote del fondo perequativo, essendo consentiti, secondo l'articolo 119, solo trasferimenti di tipo perequativo. In tale ambito, occorrerà svolgere una riflessione più ampia in ordine alla necessità di ricondurre nell'ambito delle competenze esclusive statali talune funzioni che risentirebbero negativamente di una segmentazione tra vari livelli di governo (come nel caso delle materie produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell'energia, grandi reti di trasporto e navigazione).
Infine, ritiene che il terzo decreto legislativo dovrebbe individuare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e il livello adeguato del trasporto pubblico locale; i LEP potrebbero essere concepiti come standard di qualità essenziali (minimi), per alcune tipologie di servizi ritenute meritevoli di tutela costituzionale e per le quali possa anche configurarsi l'insorgere di un diritto soggettivo, la cui esigibilità debba essere garantita sull'intero territorio nazionale. Definizione, quantificazione ed attuazione effettiva dei LEP richiederanno un processo complesso, da svolgere in un quadro di cooperazione tra livelli di governo, anche in considerazione del fatto che la materia dell'assistenza sociale rientra tra le competenze esclusive attribuite alle Regioni in via residuale, e sanità e istruzione sono invece competenze concorrenti. Nel disegno di legge, all'articolo 2, comma 5, è espressamente affermato che il Governo dovrà assicurare piena collaborazione con gli Enti decentrati anche al fine di condividere la definizione dei LEP e per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard. Dovranno, quindi, essere selezionati i servizi, per tipologia, qualità e quantità, da offrire in modo uniforme - e tutelato - su tutto il territorio nazionale.
Successivamente, rileva che si dovrebbe procedere alla determinazione dei costi standard per i LEP e alla stima della spesa standard per le funzioni fondamentali degli enti locali. Il disegno di legge considera la definizione dei fabbisogni di spesa sulla base dei costi standard, il che è ancora più complesso di quanto implichi la costruzione di indicatori di spesa standard, come l'esperienza della sanità ha dimostrato. Si tratta, infatti, di costruire le «funzioni di produzione» delle varie prestazioni e di superare la spesa storica che, oltre al costo dei servizi, ingloba anche le inefficienze delle singole amministrazioni. Attualmente esistono problematiche con riferimento sia alla non omogeneità dei criteri contabili tra le regioni, sia alla mancanza di una vera contabilità analitica. Determinare il fabbisogno finanziario necessario per assicurare a tutti i cittadini italiani i LEA è quindi tecnicamente molto complesso; oggi i LEA sono indicati come un elenco di prestazioni erogabili, ma non sono stabiliti il numero di tali prestazioni e i loro costi unitari. Analoghe e forse ancor più complessa appare la stima della spesa standard per le funzioni fondamentali, per la quale mancano metodologie e dati consolidati.
Ritiene quindi, che una volta definito nel dettaglio «chi fa cosa, quanto deve essere fatto e quanto costa farlo» si potrà procedere alla definizione di un quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e a formulare ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse, così come previsto dall'articolo 2, comma 6, del disegno di legge delega; sul punto chiede di acquisire il parere parlamentare. Solo alla fine, dopo un lungo e condiviso percorso, potrà procedersi alla esatta individuazione del paniere di tributi propri e derivati e di compartecipazioni da assegnare a regioni ed enti locali, alla fissazione delle aliquote standard e alla definizione dettagliata dei modelli di perequazione.

Roberto SIMONETTI (LNP), nel richiamare preliminarmente le considerazioni svolte dai rappresentanti degli enti locali intervenuti nel corso delle audizioni informali sul provvedimento, sottolinea la necessità di una reale autonomia impositiva per gli enti locali, nell'ambito di un

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complessivo riassetto istituzionale che dovrà essere compiuto con la redazione del codice delle autonomie.
Ricorda infatti le distorsioni provocate dall'assetto centralistico nell'imposizione fiscale e dall'utilizzo del criterio della spesa storica. Infatti in tal modo si è determinato un sistema di finanza derivata che conduce ad una dissociazione tra titolarità delle funzioni locali, in particolare per la parte riguardante l'erogazione di prestazioni e servizi che in dimensione significativa spettano agli enti territoriali, e il potere impositivo e di riscossione delle risorse finanziarie, che spetta essenzialmente allo Stato. In tal modo gli enti meno efficienti hanno avuto maggiori risorse, mentre quelli più efficienti hanno avuto di meno e non si è avuto nessun meccanismo premiale, né incentivi all'efficienza. Ciò ha condotto ad una mancata responsabilizzazione dei centri di spesa, ad una scarsa trasparenza nei meccanismi finanziari e ad un debole controllo democratico nei confronti degli eletti. Quindi, piuttosto che paventare, come ha fatto il collega Tabacci, il rischio di un federalismo della furbizia, si dovrebbe rilevare il rischio di «un centralismo dei furbetti». Osserva che in questo contesto la prospettata riforma federalista intende rovesciare la situazione attraverso meccanismi di responsabilizzazione e di avvicinamento del centro di spesa al centro di prelievo fiscale, in tal modo riducendo la spesa pubblica provocata dall'inefficienza. In tal modo non si determinerà nessun costo aggiuntivo, nè alcun aggravio per i cittadini, e si potrà procedere ad una riduzione dell'imposizione fiscale.
Rileva come l'asse centrale del provvedimento, al fine di consentire la sostituzione del meccanismo della finanza derivata fondata sulla spesa storica, sia rappresentato dalla definizione dei costi standard, preliminare all'introduzione di un'effettiva autonomia di entrata e di spesa per le regioni e gli enti locali. L'utilizzo dei costi standard consentirà infatti di confrontare il costo di ciascuna azione pubblica territoriale con il costo standard della corrispondente azione a livello nazionale. Sarà il Governo attraverso il disegno di legge finanziaria a proporre annualmente norme di coordinamento, per realizzare la convergenza dei costi e dei fabbisogni standard per ciascun livello territoriale di governo.
Altro elemento essenziale del provvedimento è la perequazione. Sarà infatti assicurata l'integrale perequazione per gli enti con minore capacità fiscale per abitante. Per le regioni, saranno perequate le spese riconducibili ai livelli essenziali (istruzione, sanità, assistenza sociale e trasporti). Per gli enti locali saranno perequate le spese per le funzioni fondamentali (servizi pubblici locali, anagrafe, urbanistica). Il fondo perequativo per i livelli essenziali delle prestazioni sarà alimentato, per le regioni, dalla compartecipazione all'IVA, e per le altre spese, dall'addizionale regionale all'IRPEF. La perequazione ridurrà le differenze delle capacità fiscali senza alterarne l'ordine e senza impedirne la modifica nel tempo secondo l'evoluzione del quadro economico. Le regioni potranno ridefinire la perequazione degli enti locali fissata dallo Stato, d'intesa con gli stessi enti.
Sottolinea poi l'importanza della perequazione infrastrutturale. A tale riguardo si provvederà immediatamente ad una ricognizione degli interventi infrastrutturali per strade, autostrade, ferrovie, fognature, rete idrica, elettrica e di trasporto e di distribuzione del gas, le strutture portuali e aeroportuali. La ricognizione terrà conto delle specifiche esigenze dei territori, in relazione al numero di abitanti, alle unità produttive, agli specifici requisiti delle zone di montagna. Sulla base di tale ricognizione, si provvederà ad un recupero del deficit infrastrutturale, compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale, attraverso interventi finanziari rivolti a singoli enti territoriali, tenendo conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento ai costi standard.
Segnala poi l'introduzione di un sistema premiale per gli enti virtuosi in base al quale è prevista la determinazione dei parametri fondamentali per valutare la virtuosità dei comuni, delle province, delle

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città metropolitane e delle regioni. Contestualmente, saranno individuati anche gli indicatori di efficienza ed adeguatezza atti a garantire adeguati livelli qualitativi per i servizi resi dagli enti territoriali. Tali valutazioni sono funzionali all'introduzione di un sistema premiale nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media ovvero che partecipano a prodotti strategici.
In conclusione, osserva che gli ultimi mesi di attività parlamentare hanno evidenziato una crescente tensione sulle rivendicazioni economiche delle diverse aree territoriali del Paese. In questa ottica una definizione stabile dei rapporti finanziari tra Stato e sistema delle autonomie, così come una maggiore responsabilizzazione degli enti locali, sia sul versante dell'autonomia impositiva sia su quello dell'autonomia di spesa, non potrà che concorrere ad un miglioramento dell'efficienza del sistema istituzionale nel suo complesso.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, prima di rinviare il seguito dell'esame ad altra seduta, reputa opportuno chiarire alcuni aspetti relativi all'organizzazione dei lavori delle Commissioni.
In primo luogo considera indispensabile che i relatori partecipino costantemente alle sedute, al fine di acquisire le risultanze del dibattito. Per quanto riguarda invece il prosieguo dei lavori, sottolinea come, anche in considerazione dell'eventualità, assai probabile, che il Governo intenda porre, nella giornata odierna, la questione di fiducia sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 207 del 2008, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, la seduta delle Commissioni riunite, già prevista per la giornata di domani, non potrà verosimilmente aver luogo.
Ritiene quindi che, per assicurare il rispetto della decisione, assunta nella riunione congiunta di ieri degli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle due Commissioni, di concludere comunque l'esame preliminare entro la prossima settimana, occorrerà prevedere una seduta delle Commissioni nel pomeriggio di lunedì 23 febbraio, nonché ulteriori sedute nella mattinata di martedì 24, nelle giornate di mercoledì 25 e di giovedì 26, nonché nella giornata di venerdì 27. Pertanto, i deputati che si erano già iscritti a parlare nella seduta odierna potranno svolgere i loro interventi lungo l'arco della prossima settimana.

Pier Paolo BARETTA (PD) dichiara la propria disponibilità ad intervenire già nella seduta di lunedì 23 febbraio, rilevando, peraltro, come i tempi del dibattito rischino di risultare assai ristretti, considerato il calendario dei lavori dell'Assemblea, nonché gli impegni parlamentari che interesseranno la Commissione Finanze, la quale dovrà avviare l'esame, in sede referente, in congiunta con la Commissione Attività produttive, del disegno di legge C. 2187, di conversione del decreto-legge n. 5 del 2009, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, ritiene comprensibili le preoccupazioni espresse dal deputato Baretta, ritenendo che l'esame preliminare potrebbe eventualmente proseguire anche nella settimana compresa tra il 2 ed il 6 marzo.

Alberto FLUVI (PD) in riferimento all'ipotesi avanzata dal Presidente Giorgetti, ribadisce la disponibilità del proprio gruppo a lavorare anche nella prima settimana del mese di marzo, a condizione che la discussione presso le Commissioni riunite avvenga alla presenza di tutte le componenti politiche, al fine di assicurare un dibattito parlamentare effettivo e non meramente rituale.

Massimo Enrico CORSARO (PdL) con riferimento all'ipotesi, avanzata dal Presidente Giorgetti, di prevedere ulteriori sedute delle Commissioni riunite nel corso della prima settimana di marzo, ed alla luce delle considerazioni espresse in merito dal deputato Fluvi, preannuncia fin d'ora la difficoltà del gruppo PdL ad

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assicurare la propria presenza durante quella settimana.

Lino DUILIO (PD) ritiene necessario stigmatizzare l'assenza dei relatori, rilevando come essi abbiano il dovere di seguire compiutamente il dibattito, anche in considerazione dell'estrema rilevanza ed ampiezza delle tematiche affrontate dal provvedimento in esame.

Antonio BORGHESI (IdV), al fine di razionalizzare i lavori delle Commissioni riunite, ritiene opportuno definire con precisione l'elenco dei deputati che ritengono di intervenire nel corso dell'esame preliminare.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, condivide il suggerimento del deputato Borghesi, informando che tutti i componenti delle due Commissioni saranno contattati nella giornata odierna, al fine di sapere se intendano intervenire nel corso dell'esame preliminare. Sulla scorta di tali indicazioni, si riserva di redigere, d'intesa con il Presidente della Commissione Finanze, un calendario dei lavori per la prossima settimana, con l'indicazione delle sedute nelle quali saranno previsti i singoli interventi.
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.50.