CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 3 febbraio 2009
131.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Martedì 3 febbraio 2009. - Presidenza del vicepresidente Carolina LUSSANA. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 12.45.

Revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.
C. 1538 Pecorella.

(Esame e rinvio - Abbinamento della proposta di legge C. 1780)

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Gaetano PECORELLA (PdL), relatore, rileva che la proposta di legge C. 1528 è volta ad introdurre, mediante una modifica al codice di procedura penale, un nuovo caso di revisione della sentenza e dei decreti penali di condanna quando una pronuncia definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo abbia constatato che nel processo celebrato in Italia vi è stata la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 3, della Convenzione.
L'intervento legislativo appare particolarmente urgente posto che l'Italia è stata più volte richiamata in sede europea per mancata attuazione nell'ordinamento interno di strumenti per dare attuazione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo: tant'è che è stata avviata una 0procedura di infrazione. La Corte di

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Cassazione, con una nota sentenza, ha cercato di porre rimedio alla situazione ritenendo che, in caso di condanna da parte della Corte europea, la sentenza italiana non fosse eseguibile. Su ciò, come vedremo, è intervenuta la Corte Costituzionale.
Il citato paragrafo 3 dell'articolo 6, in relazione al diritto di difesa garantisce all'accusato il diritto ad essere informato, nel più breve tempo possibile e in una lingua a lui dettagliata, del contenuto dell'accusa elevata a suo carico; di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa; di difendersi personalmente o con l'assistenza di un difensore di sua scelta e in caso di mancanza di mezzi economici, di godere dell'assistenza gratuita di un avvocato d'ufficio quando lo esigono gli interessi della giustizia; di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni dell'accusa; di farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.
Il procedimento per l'accesso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per far valere tali diritti presuppone il previo esaurimento delle vie di ricorso interne e può essere esperito entro un periodo di sei mesi dalla data della decisione interna definitiva. La procedura innanzi alla Corte di Strasburgo presuppone quindi l'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza.
La proposta in esame, che riprende sostanzialmente il contenuto di una proposta approvata dalla Camera pressoché all'unanimità nella XIV legislatura, divergendone solo per taluni aspetti, di cui si dirà, trova la propria giustificazione nell'articolo 46 della Convenzione, che, in relazione alla forza vincolante delle pronunce della Corte europea, prevede che i Paesi contraenti «s'impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono parti».
Ricorda che, come si è detto, già nella XIV legislatura è stato affrontato il tema della revisione delle sentenze. La Commissione per circa due anni (dal 2001 al 2003) ha lavorato per elaborare un testo che rispondesse a due esigenze. La prima era quella di prevedere anche nell'ordinamento italiano la possibilità di modificare le sentenze definitive emanate all'esito di un giudizio nel quale era stata accertata dalla CEDU la violazione dei principi di cui all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; la seconda era quella di evitare che venissero travolte tutte quelle sentenze emanate all'esito di lunghi e complessi processi che, pur se conformi alle disposizioni del codice di procedura penale, sarebbero potuti risultare non compiutamente aderenti alla lettera dell'articolo 6 della Convenzione, considerato che i principi sanciti da tale articolo non hanno trovato - anzi, non trovano neanche oggi - sempre una piena corrispondenza nella legislazione nazionale.
Con l'inserimento nella Costituzione dei principi del «giusto processo», il legislatore italiano nel 1999 ha recepito quasi integralmente, al livello più elevato nella gerarchia delle fonti normative, il contenuto del citato articolo 6 della Convenzione. Inoltre, il legislatore ordinario ha emanato una serie (anche se non sufficiente) di disposizioni processuali volte ad attuare il principio costituzionale del giusto processo e, quindi, indirettamente quelli sanciti dall'articolo 6. Tuttavia, si tratta di una attuazione parziale. Ciò ha portato a paventare il rischio che la nuova ipotesi di revisione prevista dalla proposta di legge in esame possa portare all'azzeramento anche di processi che si sono svolti comunque nel rispetto della disposizioni di legge vigenti al momento del giudizio. Disposizioni non conformi all'articolo 6. Questo è un punto estremamente delicato.
È da tutti sentita la preoccupazione che possa essere introdotto nell'ordinamento italiano uno strumento processuale che possa consentire l'annullamento di processi complessi in materie delicate, come, ad esempio, quella della criminalità organizzata. La proposta di legge in esame tiene conto di tutte queste esigenze.

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In questa ottica all'articolo 2 si dispone, al comma 1, che la richiesta di revisione può essere proposta soltanto entro sei mesi dalla data in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo è divenuta irrevocabile. Già tale norma serve ad escludere il rischio che la nuova ipotesi di revisione possa far rivivere tutti quei processi che sono stati celebrati nello scorso decennio sotto la vigenza di norme processuali antecedenti alla (sia pure parziale) attuazione dei principi del giusto processo. Pur non trattandosi di una norma transitoria essa consente di limitare nel tempo le sentenze assoggettabili a revisione. Infatti, in mancanza di una norma specifica, non potranno essere sottoposte a revisione le sentenze per le quali l'Italia sia stata condannata in un periodo antecedente di oltre sei mesi rispetto a quello dell'entrata in vigore della legge. Non possono essere oggetto della presente proposta di legge le sentenze di condanna della Corte emanate da un tempo superiore ai sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Anzi, anche nel caso in cui l'Italia sia stata già condannata prima dei sei mesi dall'entrata in vigore della legge, occorrerà verificare che non si tratti di processi relativi ad alcuni gravi reati, come quelli di cui all'articolo 51, commi 3-bis (ad esempio, mafia) e 3-quater (terrorismo).
Infatti, il comma 2 prevede, con una apposita norma transitoria, che la revisione non possa essere chiesta per le sentenze che riguardino quei gravi reati quando la violazione di uno dei diritti di difesa di cui all'articolo 6, paragrafo 3, sia stata commessa prima della data di vigenza del provvedimento in esame.
Le altre disposizioni del testo riguardano la forma della richiesta e la declaratoria di inammissibilità.
Ricorda infine che la recente sentenza n. 129 del 30 aprile 2008 della Corte costituzionale - pur dichiarando l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 630, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale «nella parte in cui esclude, dai casi di revisione, l'impossibilità che i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto di condanna si concilino con la sentenza della Corte europea che abbia accertato l'assenza di equità del processo, ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo» - si conclude rivolgendo «al legislatore un pressante invito ad adottare i provvedimenti ritenuti più idonei, per consentire all'ordinamento di adeguarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo che abbiano riscontrato, nei processi penali, violazioni ai principi sanciti dall'articolo 6 della CEDU».

Carolina LUSSANA, presidente, avverte che alla proposta di legge C. 1538 è stata abbinata la proposta di legge C. 1780 Di Pietro.

Gaetano PECORELLA (PdL), relatore, evidenzia come la a proposta C. 1780 Di Pietro si differenzi dalla proposta di legge C. 1538 principalmente per un aspetto. In particolare, si prevedono espressamente due condizioni affinché possa essere richiesta la revisione. La prima è che la violazione riscontrata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo abbia avuto incidenza determinante sull'esito del procedimento. La seconda riguarda le condizioni del condannato, il quale, al momento della presentazione della richiesta di revisione, si deve trovare o deve essere posto in stato di detenzione ovvero soggetto all'esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, diversa dalla pena pecuniaria. Nel caso della proposta da me presentata, invece, si applica il limite previsto in via generale dall'articolo 631 del codice: gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d'inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531. Non è, quindi, rilevante la condizione personale del richiedente.
Altra differenza sostanziale è data dalla concentrazione in capo alla Suprema Corte di cassazione della funzione di filtro dell'ammissibilità dello strumento straordinario della revisione. Nella mia proposta,

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invece, si applicano le regole generali previste dal codice per i casi di revisione, per cui il giudizio di ammissibilità spetta alla Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11, che è poi l'organo al quale spetta la decisione finale sulla revisione.
Inoltre, per le ragioni sopra esposte, è particolarmente delicata la questione dell'applicazione transitoria delle norme in esame. Secondo l'articolo 3 della proposta presentata dall'onorevole Di Pietro, per le sentenze già pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo anteriormente alla data di entrata in vigore della legge, la richiesta di revisione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, entro tre mesi dalla predetta data di entrata in vigore. Decorso inutilmente tale termine, la sentenza di condanna è in ogni caso posta in esecuzione. In questo modo è data la possibilità di chiedere la revisione per ogni sentenza emanata nel passato per la quale vi sia stata una sentenza di condanna da parte della CEDU a seguito di violazione dell'articolo 6. Ciò significa che potrebbero essere sottoposte a revisione tutte quelle sentenze emanate in vigenza delle norme procedurali che ancora non avevano attuato (anche se parzialmente) i principi del giusto processo.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO dopo avere espresso apprezzamento per la proposta di legge dell'onorevole Pecorella, fa presente peraltro che il Governo intende intervenire anche su questa materia nell'ambito di un più ampio provvedimento di riforma del codice di procedura penale, che di qui a breve verrà presentata al Parlamento. Nell'auspicare che si possa trovare una soluzione condivisa su una materia di primaria importanza, quale quella della revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, ritiene che tale materia possa essere affrontata dalla Commissione nel corso dell'esame del preannunciato provvedimento di riforma.

Carolina LUSSANA, presidente, dopo avere precisato che la questione posta dal rappresentante del Governo potrà essere affrontata nel corso della prossima riunione dell'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di violenza sessuale.
C. 611 Caparini, C. 666 Lussana, C. 817 Angela Napoli, C. 924 Pollastrini, C. 688 Prestigiacomo, C. 574 De Corato, C. 952 Pelino e C. 1424 Governo.

(Seguito esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 20 gennaio 2009.

Carolina LUSSANA, presidente e relatore, ricorda di aver presentato una nuova proposta di testo unificato (vedi allegato al Bollettino delle Giunte e Commissioni del 20 gennaio 2009), sul quale invita i deputati ad esprimersi in vista dell'adozione del testo unificato. Rileva inoltre che al Senato sembrerebbero essere in corso di presentazione al disegno di legge in materia di sicurezza alcuni emendamenti che andrebbero ad incidere sulla materia dei reati di violenza sessuale. In particolare, il Governo intenderebbe presentare un emendamento volto a prevedere il gratuito patrocinio a favore di ogni vittima di reati sessuali nonché un ulteriore emendamento diretto ad incidere sulla disciplina delle misure cautelari di natura personale, al fine di prevedere comunque l'applicazione della detenzione come misura cautelare.

Paola PELINO (PdL), ringrazia preliminarmente il presidente ed il relatore per avere offerto la possibilità di illustrare ulteriori rilievi, oltre a quelli già recepiti nella proposta di testo unificato.
Ricorda quindi che la sua proposta di legge n. 952 prevede disposizioni in particolar modo mirate alla riformulazione del reato di violenza sessuale e all'ampliamento del reato di maltrattamenti in famiglia, che viene esteso non solo a carico

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di chi maltratta una persona della famiglia ma anche comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia.
Sottolinea di avere inteso affrontare i delicati temi della violenza intrafamiliare che, vista la presenza del fenomeno sociale delle famiglie allargate riconosciute anche dall'evoluzione del diritto di famiglia, in regime di convivenza more uxorio, non possono essere ignorati. Tutti i familiari, conviventi e minori devono avere riconoscimento e tutela, sostanziale e processuale, in pari grado e misura, in questi delitti di violenza (fisica e psicologica) che accomuna le vittime nello squilibrio di forza tra l'aggressore e la parte offesa.
Invita quindi il relatore a valutare l'opportunità che questi aspetti caratterizzanti della sua proposta di legge siano recepiti nell'ambito del testo unificato.

Angela NAPOLI (PdL) pur esprimendo pieno apprezzamento per il lavoro sinora svolto dal Governo, tuttavia ritiene che l'inserimento nel cosiddetto «pacchetto sicurezza», in corso di esame al Senato, di norme in materia di violenza sessuale rappresenterebbe una inopportuna interferenza nei lavori di questa Commissione e più in generale della Camera dei Deputati, con conseguente compressione delle prerogative di quest'ultima, anche sotto il profilo della iniziativa parlamentare. Sottolinea come il lavoro della Commissione Giustizia non possa e non debba essere sottovalutato e come difficilmente lo stesso possa non essere influenzato dal contemporaneo esame presso il Senato di disposizioni vertenti sulla stessa materia. Chiede quindi al rappresentante del Governo di chiarire quali aspetti della disciplina della violenza sessuale saranno oggetto degli interventi preannunciati dal Governo.

Carolina LUSSANA, presidente e relatore, ringrazia l'onorevole Napoli per il suo intervento. Precisa quindi che, per quanto le notizie dell'inserimento nel «pacchetto sicurezza» in corso di esame al Senato di norme in materia di violenza sessuale non risultino ancora confermate, è indubbio che il lavoro della Camera e di questa Commissione meriti maggiore rispetto. Ricorda che fra i provvedimenti all'esame della Commissione Giustizia vi è anche il disegno di legge C. 1424 del Governo e che i lavori si sono svolti in un clima di generale condivisione. Ricorda inoltre che, su richiesta del gruppo del Partito Democratico, l'esame del provvedimento sulla violenza sessuale è stato inserito nel calendario dell'Assemblea a partire dal prossimo mese di marzo.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO fa presente che gli unici emendamenti attinenti alla materia della violenza sessuale che risultano in corso di predisposizione da parte del Governo e che verrebbero presentati al «pacchetto sicurezza» in corso di esame al Senato, sono relativi al gratuito patrocinio e alla previsione di un inasprimento della disciplina delle misure cautelari in materia di violenza sessuale. Vi sarebbe poi un emendamento dei relatori in materia di benefici penitenziari. Si tratta complessivamente di interventi che toccano in modo marginale, limitatamente agli articoli 6 e 8, la proposta di testo unificato oggi all'esame della Commissione.

Angela NAPOLI (PdL) nel replicare al rappresentante del Governo, sottolinea come comunque gli emendamenti la lui citati possano interferire con l'esame in corso presso questa Commissione e rileva che sarebbe opportuno che quegli emendamenti fossero presentati ed esaminati presso la Commissione Giustizia della Camera, anche per garantire la continuità ed organicità della normativa in materia di violenza sessuale.

Marilena SAMPERI (PD) condivide le osservazioni dell'onorevole Angela Napoli e rileva come sia avvenuto fin troppe volte che il Governo abbia compiuto delle scelte di metodo, assolutamente non condivisibili, che hanno finito per favorire il Senato

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e marginalizzare il ruolo e le prerogative di questa Commissione e della Camera dei deputati nel suo insieme. Ritiene del tutto evidente che ogni eventuale modifica alla disciplina della violenza sessuale debba essere esaminata dalla Commissione Giustizia della Camera, presso la quale si sta discutendo di questa materia sin dall'inizio della legislatura, e che debba essere consentito alla Camera di concludere l'esame dei provvedimenti senza indebite interferenze.
Ringrazia quindi l'onorevole Lussana per il pregevole sforzo compiuto nella redazione di una proposta di testo unificato che rappresenta un esempio concreto di pluralismo e una sintesi equilibrata e condivisa su un tema estremamente delicato.
Ritiene peraltro che la Commissione debba ancora approfondire talune questioni di merito.
In particolare manifesta talune perplessità sul fatto che per i reati in esame si abbassi la pena minima mantenendo invariata la pena massima, determinandosi quindi una «forbice edittale» molto ampia. Ritiene inoltre che si debbano approfondire le conseguenze derivanti dalla previsione dell'obbligatorietà dell'aumento della pena fino alla metà in caso di recidiva, limitandosi in tal modo l'ambito di discrezionalità del giudice. Condivide pienamente la previsione dell'aggravante di cui al nuovo articolo 609-ter, comma 1, n. 2) che sottolinea con forza la centralità attribuita al «consenso» nella nuova configurazione del delitto di violenza sessuale. Esprime perplessità sulla disposizione dell'articolo 6, che determina una esclusione assoluta dalla concessione delle misure alternative alla detenzione, che potrebbe ridurre sensibilmente le possibilità di recupero e riabilitazione del reo. Condivide la formulazione dell'articolo 7, sull'intervento in giudizio, la previsione della tutela economica della vittima di cui all'articolo 8, nonché la soppressione della previsione della possibilità di adottare il rito direttissimo, che è già previsto per i casi di flagranza e confessione e che comunque non sembra adeguato a processi particolarmente complessi come quelli in materia di violenza sessuale.
Ritiene inoltre che siano necessari taluni approfondimenti sul reato di molestie sessuali, prevista dall'articolo 3, poiché non appare chiaro quale possa essere l'esatto ambito di applicazione di tale fattispecie, che essendo connotata da «atti o comportamenti a contenuto sessuale», non prevede tra gli elementi costituitivi la violenza e la minaccia.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO osserva che il nuovo reato che si intende introdurre si differenzia da quello della violenza sessuale in quanto la condotta non deve sostanziarsi né in minacce né in violenze. Ciò che è sufficiente è la sussistenza di atti e comportamenti a contenuto sessuale messi in atto contro la volontà della vittima.

Carolina LUSSANA, presidente e relatore, ricorda che la disposizione relativa alle molestie sessuali è stata inserita da lei nella proposta di testo unificato su richiesta del Governo nella seduta del 20 gennaio scorso, al fine di consentire una graduazione dei reati a sfondo sessuale evitando così di comprendere nella nozione di violenza sessuale anche condotte che in realtà non sono né violente né minacciose.

Gaetano PECORELLA (PdL) non condivide la nuova fattispecie di molestie sessuali contenute nella proposta di testo unificato, in quanto non è chiaro quale sia il rapporto tra questa fattispecie e quella di violenza sessuale, considerato che in quest'ultima, dopo la riforma del 1996, comprende anche la nozione di atti di libidine. Non è quindi chiaro se con l'introduzione del reato di molestia sessuale si intenda sostanzialmente reintrodurre il reato di atti di libidine ovvero se si tratti di un nuovo reato, la cui reale portata è tutta da verificare.

Marilena SAMPERI (PD), concludendo il proprio intervento, si sofferma sulla

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violenza sessuale di gruppo, evidenziando come il testo unificato parifichi sostanzialmente chi compie gli atti violenti con coloro che invece si limitano ad assistervi, in quanto è venuta meno l'attenuante del caso in cui per il partecipante la pena è diminuita quando abbia questi avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato.

Carolina LUSSANA, presidente e relatore, rileva che il testo non elimina qualsiasi differenziazione tra coloro che abbiano partecipato sia pure in diversa maniera alla violenza di gruppo, quanto piuttosto affida al giudice il compito di individuare la pena da applicare nel caso concreto, secondo i principi dell'articolo 133 del codice penale, quindi anche tenendo conto della concreta partecipazione all'atto violento.

Cinzia CAPANO (PD) esprime il timore che il nuovo reato di molestia sessuale costituisca in realtà un ritorno alla fattispecie di atti libidine violenta, sia pure in maniera non sufficientemente determinata. Rispetto alla decisione del 1996 di far rientrare nella violenza sessuale anche gli atti di libidine, il testo in esame rappresenterebbe un passo indietro, determinando anche una frammentazione di fattispecie che potrebbe generare incertezze. D'altra parte, nel caso in cui fossero ripetute, le molestie sessuali potrebbero rientrare nella fattispecie di atti persecutori, la cui introduzione è prevista da un disegno di legge recentemente approvato dalla Camera. A tale proposito evidenzia una incongruenza fra le pene che sarebbero applicate in caso del compimento di una singola molestia sessuale ovvero del compimento di molestie sessuali ripetute che rientrino nella fattispecie di atti persecutori.
Esprime perplessità sull'articolo 7, che disciplina l'intervento in giudizio, poiché i soggetti ivi previsti, quali gli enti locali e i centri antiviolenza, sono già legittimati ad intervenire in base ai principi generali. Ciò significa che la previsione espressa dell'intervento di tali soggetti potrebbe portare, in via interpretativa, ad escludere interventi anche di altri soggetti interessati che, sempre secondo i principi generali, possono attualmente intervenire.
Conclude sottolineando come siano del tutto inopportuni gli emendamenti preannunciati dal Governo presso l'altro ramo del Parlamento, in quanto si corre il rischio di modificare una disciplina complessa attraverso interventi privi di sistematicità. Sarebbe opportuno che il Governo presentasse tali emendamenti presso la Commissione Giustizia della Camera, dove da tempo è in corso di esame la riforma dei reati di violenza sessuale.

Carolina LUSSANA, presidente e relatore, precisa che l'articolo 7 è diretto ad eliminare qualsiasi dubbio interpretativo circa la legittimazione ad agire degli enti locali e dei centri antiviolenza, senza escludere la possibilità, sulla base dei principi generali, di ulteriori interventi in giudizio.

Donatella FERRANTI (PD) ritiene che l'introduzione della fattispecie autonoma di molestie sessuali sia opportuna, anche per ridurre la «forbice edittale» della pena prevista per il delitto di violenza sessuale. Esprime tuttavia perplessità sulla formulazione della fattispecie, poiché la descrizione della condotta appare non sufficientemente determinata. Esprime altresì perplessità sulla esclusione assoluta dalla concessione dei benefici penitenziari per i reati di violenza sessuale, pur condividendo la ratio volta ad assicurare una maggiore certezza della pena.
Ritiene che sarebbe piuttosto opportuni modificare il comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, al fine di applicare ai reati di violenza sessuale la disciplina prevista per i reati di mafia in relazione ai criteri di scelta delle misure cautelari. In particolare, si potrebbe prevedere per tali reati l'applicazione della custodia cautelare in carcere non quando ogni altra misura risulti inadeguata, come previsto in via generale, bensì quando non siano stati acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.

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La custodia in carcere diventerebbe per i reati di violenza sessuale la regola, che potrebbe essere derogata solo ove siano forniti dalle parti gli elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.

Carolina LUSSANA, presidente e relatore, condividendo le modifiche proposte dall'onorevole Ferranti con riferimento all'estensione ai reati di violenza sessuale della disciplina prevista dal comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, preannuncia il loro inserimento nella nuova proposta di testo unificato che presenterà nella prossima settimana per accogliere gli ulteriori rilievi emersi nel corso della discussione.

Gaetano PECORELLA (PdL) con riferimento al nuovo reato di molestie sessuali, rileva che, a seguito dell'accorpamento in un'unica disposizione degli atti di libidine e di violenza sessuale, rimane un margine solo per atti connotati dalla mancanza di contatto fisico. Evidenzia inoltre come il concetto di molestia sia piuttosto indeterminato e come appaia irragionevole che la molestia sessuale di cui all'articolo 609-ter.1 sia punita più gravemente degli atti persecutori a sfondo sessuale.

Ida D'IPPOLITO VITALE (PdL) ritiene opportuno precisare la formulazione dell'aggravante di cui all'articolo 609-ter, comma 1, n. 5-bis), prevedendo espressamente che tra i soggetti ivi indicati siano compresi anche i docenti. Con riferimento all'articolo 4, rileva la necessità di distinguere tra partecipazione attiva e passiva alla violenza di gruppo, poiché appare irragionevole punire le due ipotesi allo stesso modo. Sottolinea inoltre l'opportunità di una ulteriore riflessione sugli aspetti comunicativi legati ai sempre più frequenti episodi di violenza sessuale, poiché una comunicazione mediatica eccessivamente insistente potrebbe dare luogo a fenomeni di emulazione, nonché di una attenta verifica dei meccanismi procedurali più adeguati per velocizzare la durata dei processi in tema di violenza sessuale.

Carolina LUSSANA, presidente e relatore, per quanto attiene all'esigenza di velocizzare i processi sui reati di violenza sessuale, ricorda che è in corso di presentazione da parte del Governo un disegno di legge finalizzato proprio a ridurre i tempi processuali.

Anna ROSSOMANDO (PD) ritiene che l'intervento sui benefici penitenziari di cui all'articolo 6 violi il principio di uguaglianza, sottolineando come per taluni reati anche di particolare gravità sia prevista una limitazione e non una esclusione assoluta dalla concessione delle misure alternative alla detenzione. Per quanto riguarda la violenza sessuale di gruppo, ritiene che comunque si potrebbe applicare anche la disciplina generale del concorso di reati alle ipotesi di partecipazione passiva.

Carolina LUSSANA, presidente e relatore, preannuncia che, sulla base degli ulteriori elementi emersi nel corso del dibattito, la prossima settimana presenterà una ulteriore proposta di testo unificato, affinché possa essere posta in votazione. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.

COMITATO RISTRETTO

Martedì 3 febbraio 2009.

Disposizioni in materia di pedofilia.
C. 665 Lussana, C. 1155 Bongiorno, C. 1305 Pagano, C. 205 Cirielli, C. 1361 Mazzocchi, C. 1522 Palomba, C. 1672 Veltroni, C. 1344 Barbareschi, C. 292 Jannone, C. 1872 Cosenza e C. 1657 Mannucci.

Il Comitato ristretto si è riunito dalle 14 alle 14.05.

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SEDE CONSULTIVA

Martedì 3 febbraio 2009 - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 14.05.

Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
C. 2031 Governo, approvato dal Senato.

(Parere alle Commissioni Riunite I e XI).
(Esame e rinvio)

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto,

Maurizio PANIZ (PdL), relatore, illustra il contenuto del provvedimento in esame, soffermandosi in particolar modo sulle disposizioni rientranti negli ambiti di competenza della Commissione giustizia.
Rileva quindi che l'articolo 2 detta i principi e criteri in materia di contrattazione collettiva e integrativa, nonché per l'organizzazione delle amministrazioni pubbliche. Si stabilisce, tra l'altro, che l'esercizio della delega è finalizzato a modificare la disciplina della contrattazione collettiva nel settore pubblico al fine di conseguire una migliore organizzazione del lavoro e ad assicurare il rispetto della ripartizione tra le materie sottoposte alla legge (nonché, sulla base di questa, ad atti organizzativi e alla determinazione autonoma dei dirigenti) e le materie sottoposte alla contrattazione collettiva.
Il comma 2, in particolare, dispone che nella precisazione degli ambiti della disciplina del rapporto di lavoro pubblico riservati alla contrattazione collettiva e alla legge, in ogni caso, è riservata alla contrattazione collettiva la determinazione dei diritti e delle obbligazioni direttamente pertinenti al rapporto di lavoro. Si prevede altresì l'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, in caso di nullità delle clausole contrattuali per violazione di norme imperative e dei limiti fissati alla contrattazione collettiva.
L'articolo 3 individua principi e criteri direttivi in materia di valutazione delle prestazioni delle strutture pubbliche e del personale dipendente.
Ai sensi del comma 1, l'esercizio della delega è finalizzato alla modifica ed all'integrazione della disciplina del sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, al fine di assicurare elevati standard qualitativi ed economici, nonché a prevedere mezzi di tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard qualitativi ed economici fissati, o che violano le norme preposte al loro operato.
Il comma 2 detta principi e criteri direttivi che fanno riferimento, tra l'altro, agli standard di qualità la cui violazione dovrà costituire la base per azionare le nuove forme di tutela giurisdizionale. Si prevede, in particolare l'individuazione dei sistemi di valutazione delle amministrazioni pubbliche diretti a rilevare, la corrispondenza dei servizi e dei prodotti resi ad oggettivi standard di qualità, rilevati anche a livello internazionale, anche mediante ricognizione e utilizzo delle fonti informative anche interattive esistenti in materia, nonché con il coinvolgimento degli utenti.
Il comma 2, lettera i), prevede quindi la possibilità per ogni interessato di agire in giudizio nei confronti delle amministrazioni, nonché dei concessionari di servizi pubblici, se dalla violazione di standard qualitativi ed economici o degli obblighi contenuti nelle Carte dei servizi, dall'omesso esercizio di poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori, dalla violazione dei termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali, deriva la lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori.
Sul versante della legittimazione attiva, si dovrà consentire la proposizione dell'azione anche ad associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati.

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Quanto ai presupposti dell'azione, pertanto, la norma di delega fa riferimento alle seguenti ipotesi: violazione di standard quantitativi ed economici o degli obblighi contenuti nelle carte dei servizi; omesso esercizio di poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori; violazione dei termini o mancata emanazione di atti amministrativi generali. In ogni caso, è necessaria la lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori. Con riferimento alla giurisdizione, il giudizio viene devoluto alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo. Elemento caratterizzante il nuovo istituto è, inoltre, l'obbligo di diffida (alla P.A. o al concessionario) ad assumere, entro un termine dato, le «iniziative utili alla soddisfazione degli interessati». Tale diffida deve precedere il ricorso al giudice amministrativo. È poi stabilita, in capo al giudice amministrativo, la possibilità di nomina di un commissario nell'eventualità che la pubblica amministrazione perduri nella sua inadempienza. Si prevede, inoltre, come conseguenza del giudicato l'obbligo di attivare le procedure di verifica delle responsabilità disciplinari o dirigenziali nella pubblica amministrazione. Un ultimo criterio di delega riguarda infine gli obblighi di idonea pubblicità del procedimento giurisdizionale e della sua conclusione.
L'articolo 5 detta princìpi e criteri in materia di dirigenza pubblica.
Il comma 2, alle lettere a) e b), intende assicurare al dirigente la piena autonomia - e la corrispondente responsabilità - con riguardo alla gestione delle risorse umane di sua competenza. Si prevede inoltre una specifica ipotesi di responsabilità dirigenziale per omessa vigilanza sull'effettiva produttività delle risorse umane e sulla efficienza della struttura amministrativa; l'accertamento della sussistenza di tale responsabilità comporterà il divieto di corresponsione al dirigente del trattamento economico accessorio.
La lettera c) attiene al profilo della responsabilità dirigenziale, prevedendo la decadenza dal diritto al trattamento economico accessorio per il dirigente che ometta, senza giustificato motivo, di avviare il procedimento disciplinare qualora ne ricorrano i presupposti. La lettera d), di converso, interviene sulla responsabilità civile dei dirigenti con riguardo alla decisione di avviare il procedimento disciplinare, limitandola ai soli casi di dolo e di colpa grave. La lettera e), infine, prevede l'irrogazione di «sanzioni adeguate» in caso di consapevole omissione dell'avvio del procedimento disciplinare entro i termini di decadenza, o in caso di «valutazioni irragionevoli o manifestamente infondate» riferite ad atti disciplinarmente rilevanti compiuti da dipendenti.
L'articolo 6 attribuisce al Governo una delega per l'adozione di uno o più decreti legislativi in materia di sanzioni disciplinari e di responsabilità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche. La finalità perseguita nell'intervento normativo è quella di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici contrastando i fenomeni di scarsa produttività e di assenteismo. A tale riguardo nella normativa da adottare da parte del legislatore delegato dovranno essere contenute le disposizioni inderogabili che andranno inserite di diritto nei contratti collettivi ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.
Il comma 2 indica tra i principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega: la semplificazione e razionalizzazione del procedimento disciplinare, con la ridefinizione della natura e dell'entità dei relativi termini e con strumenti per una sollecita ed efficace acquisizione delle prove, oltre all'obbligo della comunicazione immediata, per via telematica, della sentenza penale alle amministrazioni interessate; la previsione che il procedimento disciplinare possa proseguire e concludersi anche in pendenza del procedimento penale, stabilendo meccanismi di raccordo tra i due procedimenti.
Si procede inoltre alla definizione della tipologia delle infrazioni che, per la loro gravità, comportano l'irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento, comprendendo i casi di scarso rendimento, di attestazioni non veritiere di presenze e

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di presentazione di certificati medici non veritieri da parte di pubblici dipendenti. Tali condotte, che potrebbero attualmente essere riconducibili ai casi punibili ai sensi del secondo comma dell'articolo 640 del codice penale, sono configurate quali autonome fattispecie di reato. Per le nuove fattispecie di reato si prevede che la pena sia non inferiore a quella stabilita per il delitto di truffa aggravata (ossia la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 309 a euro 1.549). Inoltre, analogamente a quanto previsto per i casi di truffa aggravata, si prevede la procedibilità d'ufficio.
Si prevedono, inoltre, meccanismi rigorosi per l'esercizio dei controlli medici durante il periodo di assenza per malattia del dipendente, nonché la responsabilità disciplinare e, se pubblico dipendente, il licenziamento per giusta causa, per il medico che concorra alla falsificazione di documenti attestanti lo stato di malattia ovvero violi i canoni di diligenza professionale nell'accertamento della patologia [lettera d)];
Ulteriori principi e criteri direttivi sono: la previsione, a carico del dipendente responsabile, dell'obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché del danno all'immagine subito dall'amministrazione; la previsione del divieto di attribuzione di aumenti retributivi ai dipendenti di uffici o strutture risultati responsabili di grave inefficienza e improduttività; la previsione di illecito disciplinare in relazione alla condotta colposa del pubblico dipendente che abbia determinato la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento di danni; la previsione di procedure e modalità per il collocamento a disposizione ed il licenziamento, nel rispetto del principio del contraddittorio, del personale che abbia arrecato grave danno al normale funzionamento degli uffici di appartenenza per inefficienza o incompetenza professionale; la previsione di ipotesi di illecito disciplinare nei confronti dei soggetti responsabili, per negligenza, del mancato esercizio o della decadenza dell'azione disciplinare; la previsione della responsabilità erariale dei dirigenti degli uffici in caso di mancata individuazione delle unità in esubero; l'ampliamento dei poteri disciplinari assegnati al dirigente prevedendo l'erogazione di sanzioni conservative quali, tra le altre, la multa o la sospensione del rapporto di lavoro, nel rispetto del principio del contraddittorio; la previsione dell'equipollenza tra la affissione del codice disciplinare all'ingresso della sede di lavoro e la sua pubblicazione nel sito web dell'amministrazione; l'abolizione dei Collegi arbitrali di disciplina vietando espressamente la loro istituzione in sede di contrattazione collettiva.
L'articolo 9, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce alcune disposizioni relative all'organizzazione e al funzionamento della Corte dei conti, che possono in parte interessare alla Commissione giustizia.
Le principali innovazioni riguardano tre aspetti specifici: i controlli, il Presidente della Corte e il Consiglio di Presidenza.
In particolare, vengono previsti: l'introduzione di una nuova tipologia di controllo di gestione, avente per oggetto le «gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento» (commi 2, 3 e 8); il rafforzamento dei poteri del Presidente della Corte (commi 5 e 6); la modifica della composizione e dell'organizzazione del Consiglio di presidenza (commi 6 e 7).
Si sofferma in particolare su queste ultime disposizioni, trattandosi di quelle che maggiormente coinvolgono le competenze della Commissione Giustizia. Il comma 6 interviene sul Consiglio di presidenza, l'organo di autogoverno della Corte, riducendone il numero dei membri, che passano da 17 a 11: fermo restando il numero dei membri di diritto (3) e dei membri laici (4 di cui però cambiano i requisiti per la nomina), vengono ridotti da 10 a 4 i rappresentanti della magistratura contabile. Sottolinea quindi che la competenza della Commissione giustizia attiene al Consiglio di Presidenza in quanto questo, tra l'altro, è chiamato a

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decidere in materia di questioni disciplinari dei magistrati della Corte dei conti.
Tra le diverse modifiche, quella che maggiormente suscita perplessità è quella che consente la partecipazione alle riunioni del Consiglio del Segretario generale della Corte e il magistrato con funzioni di capo di gabinetto della Presidenza; costoro peraltro hanno diritto di voto solamente se nominati relatori per l'affare in discussione. Pertanto, il Consiglio di Presidenza ha una composizione variabile, non preventivamente determinata sulla base di parametri oggettivi. Tutto ciò significa che verrebbe meno il principio costituzionale del giudice naturale, cioè del giudice precostituito per legge.
Inoltre è assegnata al Presidente e ai componenti il Consiglio una particolare prerogativa. Costoro rispondono per i danni causati nell'esercizio delle proprie funzioni unicamente nei casi di dolo o colpa grave. Riguardo a quest'ultimo punto, andrebbe chiarito se la parziale immunità riguarda solamente i fatti compiuti nell'esercizio delle funzioni di membro del Consiglio di presidenza, oggetto del comma in esame, oppure nello svolgimento di altre attività proprie della magistratura contabile. Si ricorda, a tale proposito, che le norme generali sulla responsabilità dei magistrati (anche contabili) prevedono che l'azione contro lo Stato per il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale, può essere intentata da coloro che hanno subìto un danno ingiusto per effetto di una azione posta in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia (articolo 2, legge n. 117 del 1988).

Carolina LUSSANA, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.15.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI