CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 27 gennaio 2009
126.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (I e XI)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Martedì 27 gennaio 2009. - Presidenza del presidente della XI Commissione Stefano SAGLIA. - Interviene il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Aldo Brancher.

La seduta comincia alle 10.30.

Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
C. 2031 Governo, approvato dal Senato.

(Seguito dell'esame e rinvio).

Le Commissioni proseguono l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 21 gennaio 2009.

Stefano SAGLIA, presidente, ricorda che nella precedente seduta ha avuto inizio il dibattito di carattere generale sul provvedimento in titolo, che - secondo quanto convenuto nell'ambito dell'Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi - procederà nel corso dell'odierna seduta e di quella già fissata per giovedì 29 gennaio. Al riguardo, invita tutti i deputati che hanno chiesto di partecipare al dibattito ad attenersi, nei propri interventi, al rispetto di limiti temporali idonei ad assicurare la conclusione nei tempi concordati dell'esame preliminare del provvedimento medesimo.

Giuseppe BERRETTA (PD) sottolinea preliminarmente la rilevanza del provvedimento in esame, che è finalizzato alla riforma delle pubbliche amministrazioni nella prospettiva di garantire la loro efficienza e trasparenza. Si tratta di un obiettivo che è stato in passato più volte perseguito e che, nel suo cammino, ha incontrato sempre ostacoli rilevanti. Le pubbliche amministrazioni devono e possono essere riformate, anche se il provvedimento in esame muove da presupposti non pienamente condivisibili, in primo luogo perché tende a sottovalutare il ruolo dell'utenza che, quale terminale dei servizi offerti, dovrebbe ricoprire una posizione più incisiva nel processo di riforma.
Si sofferma sulla formulazione del testo che, a proprio avviso, in alcuni casi presenta aspetti non condivisibili: si riferisce, in particolare, all'articolo 3, comma 2, lettera i), che, tra i criteri di delega in materia di azione collettiva, prevede al

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n. 2) la devoluzione del giudizio alla «giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo».
Esprime quindi le proprie perplessità sul criterio di delega previsto all'articolo 2, comma 2, lettera h), n. 1), che prevede il rafforzamento dell'indipendenza dell'ARAN dalle organizzazioni sindacali anche attraverso la revisione dei requisiti soggettivi e delle incompatibilità dei componenti dei relativi organi, con particolare riferimento ai periodi antecedenti e successivi allo svolgimento dell'incarico, e del personale dell'Agenzia: al riguardo sottolinea come si tratti di una incompatibilità eccessiva, volta penalizzare il ruolo delle organizzazioni sindacale.
Analoghe perplessità esprime sul principio di delega volto a prevedere le sanzioni a carico del medico che concorra alla falsificazione dei documenti che attestano lo stato di malattia del dipendente: a proprio avviso si tratta di una norma volta ad individuare un responsabile che funga da «capro espiatorio» piuttosto che ad assicurare il raggiungimento dell'obiettivo che essa stessa si pone, vale a dire la diminuzione delle assenze per malattia.
Si sofferma quindi sull'articolo 7, che reca una norma interpretativa in materia di vicedirigenza e che, all'ultimo periodo, prevede che sono fatti salvi gli effetti dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame: a proprio avviso, infatti, si tratta di una disposizione del tutto superflua, in quanto reca un principio giuridico ampiamente consolidato.
Esprime quindi le proprie perplessità per come il provvedimento definisce il rapporto tra fonte legislativa e contratto collettivo, osservando in proposito la presenza di aspetti contraddittori. Il provvedimento, in sostanza, più che perseguire un intento reale di riforma, sembra in realtà volto a mettere in difficoltà l'azione delle pubbliche amministrazioni, come dimostra ad esempio la norma che estende con effetti immediati l'applicazione dell'azione collettiva al settore pubblico.

Giuliano CAZZOLA (PdL) osserva preliminarmente che il provvedimento in esame rappresenta un punto d'arrivo nel processo di riforma delle pubbliche amministrazioni, assumendo un significato particolare per una serie di ragioni. Si riferisce all'ampiezza della materia regolata, che mette al riparo il Governo dalla critica di voler procedere solo attraverso spot mediatici; alla portata fortemente innovativa delle norme di delega, nonché alla considerazione che a determinare l'impianto delle disposizioni modificate al Senato vi è stato un importante contributo da parte dell'opposizione. Si riferisce all'atteggiamento collaborativo e fattivo del gruppo del Partito democratico, riscontrabile negli interventi dei senatori Ichino, Passoni, Nerozzi e Treu, nonché al voto conclusivo di astensione, preceduto dal voto favorevole sugli importanti articoli 1, 2, 3 e 4. Sottolinea inoltre la valutazione complessiva sul provvedimento in esame svolta dal senatore Ichino che, se da un lato non ha mancato di sottolineare i suoi aspetti meno convincenti, dall'altro ha evidenziato che, al di là dei suoi difetti, i principi innovativi in esso contenuti possono segnare una svolta importante non solo nell'ordinamento delle pubbliche amministrazioni, ma anche nel loro concreto funzionamento.
Si tratta, a suo avviso, di una premessa necessaria a giustificare come, per la maggioranza, il testo approvato dal Senato rappresenti una sorta di «linea del Piave», che va difesa nella convinzione di tutelare così un pezzo di riformismo condiviso.
Si sofferma quindi sul complesso del provvedimento, che si caratterizza per la sua finalità di voler mutare il rapporto tra le fonti del diritto, ossia tra la legge ed il contratto collettivo in tema di pubblico impiego, dando corso ad un ampio processo di rilegificazione della materia.
Al riguardo, ritiene che si tratti di una scelta giusta, fondata su di una seria riflessione circa i fallimenti delle riforme degli anni novanta, quando, a partire dal 1993, si è esteso quasi interamente il diritto del lavoro privato al rapporto di impiego pubblico. Con quella scelta di

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fondo si era ritenuto di poter restituire efficienza all'azione della pubblica amministrazione: il risultato raggiunto fu invece quello di sommare i difetti dei due sistemi perché, come evidenziato anche dal senatore Ichino, non si è tenuto adeguatamente conto del fatto che nel settore pubblico manca per lo più lo stimolo forte che muove il dirigente privato, vale a dire la concorrenza tra operatori diversi, a sua volta stimolata dalle dinamiche del mercato.
In proposito, osserva che in questo modo si è disseminato il settore del lavoro pubblico di istituti retributivi e contrattuali di natura privatistica che però non hanno attecchito, me che hanno prodotto l'effetto deteriore di una governance spuria e consociativa, sostanzialmente vincolata ad invasive prassi sindacali, che ha frenato ogni cambiamento. Analoghe riflessioni possono essere svolte con riferimento all'ARAN, dove non è in questione il diritto all'iscrizione al sindacato ma la presenza diretta del sindacato, attraverso le sue indicazioni. La ridefinizione dei campi propri della legge e di quelli propri del contratto vuole dunque ripristinare quella trasparenza di ruoli e funzioni che appare indispensabile per raggiungere gli obiettivi che si pone il provvedimento in esame. Sottolinea, in proposito, la ridefinizione del profilo della dirigenza, a cui vengono riconosciuti, con la forza della legge, poteri effettivi nel governo del personale e, in primo luogo, l'esercizio del potere disciplinare.
Fa quindi presente che saranno i decreti delegati a definire in concreto gli ambiti della disciplina del rapporto di lavoro pubblico riservati da un lato alla contrattazione collettiva, dall'altro alla legge. In proposito evidenzia come, rispetto alla stesura iniziale del progetto di legge, il Senato ha riservato ampi àmbiti a favore della contrattazione collettiva: la lettera a) del comma 2 dell'articolo 2 prevede, infatti, che è riservata alla contrattazione collettiva la determinazione dei diritti e delle obbligazioni direttamente pertinenti al rapporto di lavoro.
In qualità di relatore del disegno di legge C. 1441-quater, ricorda che una norma introdotta in quella sede sulla territorializzazione dei concorsi pubblici è stata apprezzata al punto di trovare spazio come regola generale nella delega.
Si sofferma quindi su un punto a cui attribuisce particolare rilevanza, vale a dire il comma 3 dell'articolo 5 del provvedimento in esame. In particolare si riferisce al fatto che il Senato ha voluto novellare il comma 11 dell'articolo 72 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, laddove consente alle pubbliche amministrazioni di collocare in quiescenza d'ufficio i dipendenti, previo preavviso di sei mesi, al raggiungimento di quaranta anni di servizio. Alle categorie escluse dall'operatività della norma, ossia magistrati e professori universitari, il Senato ha voluto aggiungere i «primari ospedalieri», una qualifica peraltro superata. Si tratta di una disposizione a proprio avviso non condivisibile sotto diversi punti di vista, anche perché sta creando molti problemi alle stesse amministrazioni. A titolo di esempio fa presente che il commissario straordinario dell'INPDAP ha lamentato un'impennata della spesa pensionistica.
Si riserva pertanto di presentare emendamenti per modificare la disposizione in questione. Essi saranno volti, per un verso, a precisare che i quaranta anni di contribuzione devono essere effettivi, computando anche i periodi di riscatto e di contribuzione figurativa; per un altro verso saranno volti a riconoscere comunque al lavoratore che ne faccia richiesta di arrivare all'età legale di pensionamento; infine, in ragione della indubbia esigenza di ridurre l'entità del personale pubblico in alcuni settori, quale ad esempio la scuola, tali emendamenti saranno volti a limitare l'efficacia della norma agli anni 2009, 2010 e 2011.

Linda LANZILLOTTA (PD) osserva preliminarmente che il provvedimento in esame si pone l'obiettivo di riformare il comparto delle pubbliche amministrazioni seguendo, almeno nelle intenzioni, la linea

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tracciata dalle precedenti iniziative di riforma. Per questa ragione ritiene necessario muovere l'esame su di esso tenendo in primaria considerazione i punti che in passato si sono dimostrati maggiormente problematici. Si riferisce in primo luogo al processo negoziale derivante dalla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego tra la parte pubblica e le organizzazioni sindacali nonché, in secondo luogo, alla questione della retribuzione della dirigenza collegata al raggiungimento degli obiettivi.
Per quanto riguarda il primo punto, ritiene che i limiti che sono emersi dallo svolgimento dei negoziati devono essere attribuiti non solo al ruolo svolto dalle organizzazioni sindacali, ma anche e soprattutto alla debolezza della parte pubblica nelle vesti di datore di lavoro: si tratta di un punto sul quale il provvedimento in esame non sembra contenere misure idonee.
Esprime quindi le proprie perplessità sull'affermazione del deputato Cazzola, secondo il quale il provvedimento in esame sarebbe volto, tra l'altro, a dare corso ad un ampio processo di rilegificazione della materia già devoluta alla contrattazione collettiva: se così fosse, in considerazione delle competenze legislative attribuite dalla Costituzione alla legge regionale, l'applicazione del provvedimento in esame sarebbe limitata ai soli dipendenti statali, e non anche a quelli degli organi territoriali e locali, per i quali sarebbe appunto competente la legge regionale. Trattandosi di una questione controversa, che potrebbe dare luogo ad una problematica interpretazione sotto il profilo della sua costituzionalità, ritiene che sarebbe preferibile una riformulazione del testo finalizzata ad assicurare l'esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Si sofferma quindi sul comma 5 dell'articolo 1, che stabilisce che le disposizioni del provvedimento in esame si applicano alla Presidenza del Consiglio dei ministri, salvo che risultino incompatibili con la specificità del relativo ordinamento. Si tratta di una norma non condivisibile e che andrebbe eliminata dal testo in quanto prevede una previa verifica da parte dell'interprete sulla compatibilità della disciplina con l'ordinamento di riferimento.
Passa poi ad esaminare il secondo punto critico, rappresentato dalla difficoltà di definire gli obiettivi da raggiungere ed il relativo sistema di valutazione, a cui è ricollegata la retribuzione dei dirigenti. Al riguardo osserva che la mancanza di una effettiva valutazione sul raggiungimento degli obiettivi ha prodotto direttamente una lievitazione delle retribuzioni non agganciata ad una reale valutazione sui risultati conseguiti, quando invece sarebbe opportuno istituire un'apposita struttura tecnica ed indipendente che svolga tale valutazione. Proprio il tema della valutazione delle strutture e del personale, disciplinato dall'articolo 3, presenta evidenti punti di criticità. La relativa delega, oltre ad essere formulata in termini generici, prevede infatti l'istituzione di un organismo centrale finalizzato alla valutazione, che agisce in collaborazione con la Ragioneria generale dello Stato, che è il soggetto che più di tutti ha cercato di pregiudicare le attività di valutazione del settore pubblico in termini di efficacia e produttività dell'azione amministrativa. Si tratta di una norma che comunque, nel corso dell'esame presso il Senato, è stata radicalmente migliorata rispetto al testo originario del Governo, soprattutto grazie all'impegno del gruppo del Partito democratico.
Si sofferma dunque sul tema dell'azione collettiva, come disciplinato dal provvedimento in esame, che non individua compiutamente il soggetto tenuto a risarcire il danno causato, correndo il rischio di indurre il dipendente pubblico ad evitare l'assunzione di responsabilità, spostando il momento decisionale sempre più a livello politico.
Esprime quindi le proprie perplessità sul comma 1 dell'articolo 5, che sembra volto ad agevolare la nomina dei soli dirigenti in grado di assicurare l'attuazione dell'indirizzo politico del Governo, così come sul comma 3 dell'articolo 5, sul quale il deputato Cazzola ha già evidenziato la propria contrarietà.

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Si sofferma inoltre sull'articolo 9, che attribuisce funzioni di estrema rilevanza alla Corte dei conti senza però tenere conto dei risultati dell'applicazione del comma 168 e seguenti dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2006 (Legge 23 dicembre 2005, n. 266).
Auspica infine che il provvedimento in esame possa essere oggetto di un approfondito esame da parte di questo ramo del Parlamento e che il relativo testo possa di conseguenza essere emendato nella prospettiva di recare ad esso gli opportuni miglioramenti.

Marialuisa GNECCHI (PD), con riferimento alle considerazioni precedentemente espresse dal deputato Cazzola in ordine all'opportunità di avviare un processo di rilegificazione nel campo del rapporto del pubblico impiego, fa notare che già dal 1992 è iniziato un percorso normativo teso a modificare lo status particolare a cui è stato soggetto il pubblico dipendente per molto tempo. Rileva pertanto che la sostanziale privatizzazione del pubblico impiego realizzata dal legislatore nel 1993 - oggi considerata fallimentare da alcuni esponenti politici - si è inserita nel contesto specifico di un'evoluzione storica della pubblica amministrazione, caratterizzata dalla progressiva abolizione di alcuni privilegi, di cui il pubblico dipendente effettivamente beneficiava. Sottolinea, a tale riguardo, la portata innovatrice di talune riforme introdotte negli anni successivi al 1993, che, pur avendo avuto come obiettivo primario l'efficienza e la trasparenza della pubblica amministrazione, hanno tenuto conto del fondamentale ruolo svolto dai lavoratori pubblici, che ritiene offrano un servizio essenziale ai cittadini, da valorizzare piuttosto che da denigrare.
In proposito, giudica meramente propagandistico l'approccio con il quale il Ministro Brunetta ha inteso affrontare la questione dell'ammodernamento della pubblica amministrazione, volto a fornire all'opinione pubblica un'immagine distorta del pubblico impiego, che, secondo la sua ricostruzione, sarebbe composto per lo più da «fannulloni». Sottolineata l'importanza del ruolo svolto da numerosi operatori del settore pubblico al servizio della cittadinanza e delle persone più svantaggiate, ricorda gli importanti interventi legislativi realizzati grazie al contributo offerto da esponenti politici e tecnici come Bassanini e D'Antona, che hanno consentito di responsabilizzare i dipendenti e i dirigenti pubblici, introducendo, ad esempio, il principio della distinzione tra indirizzo politico e gestione amministrativa.
Pur ritenendo condivisibile in linea di principio l'esigenza di procedere ad una razionalizzazione della pubblica amministrazione, in nome del principio del suo buon andamento e dell'efficienza della sua azione, ritiene pertanto essenziale valorizzare la professionalità del personale pubblico, attraverso l'introduzione di corretti sistemi di valutazione e di adeguati strumenti finalizzati all'incentivazione della qualità del lavoro, che sappiano adeguatamente motivare la dirigenza - senza punirla in maniera pregiudiziale - facendo maggiormente affidamento sul grande senso del dovere largamente diffuso tra gli operatori pubblici. Richiamata la necessità di correggere le distorsioni del processo di convergenza tra rapporto di lavoro pubblico e privato, che comunque ritiene necessario per una piena valorizzazione del merito e per un uguale riconoscimento dei diritti, fa presente, quindi, che il dipendente pubblico è chiamato oggi ad assolvere ad un compito più delicato e peculiare al servizio della cittadinanza, in ragione del quale, nell'ambito della normale contrattazione privata, sarebbe opportuno prevedere specifiche modalità di intervento che tenessero conto della particolarità del rapporto di lavoro.

Amalia SCHIRRU (PD), dopo aver premesso di condividere la ratio del provvedimento in esame, che mira ad avviare un processo di ammodernamento della pubblica amministrazione nel segno dell'incremento della produttività e della valorizzazione del merito, esprime tuttavia insoddisfazione per il metodo con cui l'Esecutivo ha inteso raggiungere tali

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obiettivi e per gli strumenti che ha ritenuto di mettere in campo. A tale riguardo, pur accogliendo favorevolmente le modifiche al testo introdotte al Senato grazie al contributo dell'opposizione, ritiene inadeguata la presentazione di un disegno di legge di delegazione per disciplinare aspetti del pubblico impiego, di per sé già regolamentati da provvedimenti legislativi vigenti, che richiederebbero piuttosto una costante applicazione ed aggiustamenti da apportare in via amministrativa. Ritiene dunque che il legislatore, nel riformare la pubblica amministrazione, debba evitare un approccio ideologico fondato sull'assunto iniziale di un problema da risolvere ed un peso da sopportare, tentando piuttosto di valorizzare il bagaglio di conoscenze e di buone pratiche già presente nel comparto pubblico.
Ritiene che il condivisibile obiettivo del rafforzamento della figura del datore di lavoro e della semplificazione delle procedure della contrattazione possa essere conseguito, anziché attraverso la previsione legislativa di sanzioni disciplinari più severe o il ridimensionamento dell'ARAN, mediante l'applicazione degli strumenti normativi già esistenti messi a disposizione dal decreto legislativo n. 165 del 2001 e dalla contrattazione collettiva (tesi a responsabilizzare la classe dirigente) ovvero con la definizione più puntuale dei procedimenti contrattuali, che prevedano un maggior coinvolgimento delle organizzazioni sindacali.
In relazione al citato riordino dell'ARAN, sul quale non esprime una aprioristica contrarietà, giudica inopportuno e inutilmente dispendioso prevedere la costituzione di un organismo centrale che abbia il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente delle funzioni di valutazione, considerata la natura complessa ed articolata dell'organizzazione amministrativa, che varia considerevolmente a seconda del livello di governo su cui si viene ad incidere: si rischierebbe, infatti, di sprecare inutilmente risorse per dar vita ad un nuovo soggetto istituzionale che non sarebbe in grado di operare concretamente.
Nel richiamare gli interventi normativi predisposti dai precedenti Governi al fine di rendere più efficace, snella e trasparente l'azione della pubblica amministrazione - tra cui torna a citare il decreto legislativo n. 165 - che ritiene abbiano affrontato più seriamente questioni rilevanti, in tema di contabilità e formazione dei bilanci dell'amministrazione pubblica, di separazione tra attività di indirizzo politico e responsabilità amministrativa, di ottimizzazione della produttività del lavoro, in attuazione di precisi principi costituzionali, ritiene che l'obiettivo della valorizzazione del merito e l'incremento del grado di efficienza dell'azione pubblica possano essere perseguiti più facilmente ricorrendo all'introduzione nel territorio di adeguati sistemi di valutazione e modelli di organizzazione predisposti in collaborazione con i soggetti istituzionali interessati, quali regioni, province e comuni.
Dopo aver auspicato una riforma dell'amministrazione pubblica che la renda davvero più vicina alla popolazione, ritiene che una effettiva trasparenza dell'amministrazione stessa non possa non passare attraverso la predisposizione di adeguati strumenti informatici, che rendano facilmente consultabili i dati che riguardano la sua organizzazione. Fa notare, inoltre, come tali ambiziosi progetti di riforma richiedano il giusto stanziamento di risorse economiche ed umane, in considerazione anche del fatto che, allo stato, l'attività di ordinaria amministrazione degli uffici pubblici è garantita solo attraverso il contributo prezioso e indispensabile del personale precario.
Infine, esprime perplessità sull'articolo 6 del provvedimento in esame, laddove, alla lettera d), prevede meccanismi rigorosi per l'esercizio dei controlli medici durante il periodo di assenza per malattia del dipendente. Giudica tale disposizione sintomatica dello spirito che anima il Governo nella sua attività riformatrice, il quale mira a fornire della pubblica amministrazione un quadro desolante di inefficienza, al fine di alimentare un clima di sospetto nei confronti del pubblico impiego e di giustificare successivamente l'attuazione

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di un progetto di accentramento delle funzioni. Al riguardo, ritiene che sia sufficiente fare ricorso agli strumenti di ispezione medica attualmente disponibili, rafforzando il ruolo della medicina fiscale delle ASL e prevedendo eventualmente anche l'istituzione di un servizio specifico di medicina legale presso l'INPS, cui demandare l'esercizio delle attività di controllo.
In conclusione, ritiene che, affinché si possano produrre effetti concreti sui cittadini e le imprese, sia necessario più tempo, oltre che una verifica puntuale dei bisogni complessivi della pubblica amministrazione.

Aldo DI BIAGIO (PdL), dopo aver dichiarato di condividere l'impianto complessivo del provvedimento in esame, esprimendo altresì apprezzamento per le modifiche al testo apportate al Senato, ritiene di doversi brevemente soffermare su alcune disposizioni recate dall'articolo 3, che ritiene possa anche essere suscettibile di proposte di modifica in sede di esame in Commissione. Giudicato favorevolmente il contenuto complessivo di tale articolo, nella parte in cui introduce una reale valutazione di gestione e controllo delle attività della pubblica amministrazione, precisa peraltro che i sistemi di valutazione e controllo sono già disciplinati dal decreto legislativo n. 286 del 1999. Fa notare, inoltre, che l'applicazione di tale norma consentirebbe di spostare la retribuzione del dipendente pubblico da quella tabellare, prevista dal contratto collettivo nazionale, a quella premiale, prevista nel contratto collettivo integrativo.
Evidenzia, poi, il costo eccessivamente elevato dell'istituzione del nuovo organismo centrale previsto dal comma 2, lettera f), del citato articolo, così come emerge chiaramente anche dal successivo comma 3, sottolineando come per finanziare una simile struttura sarebbe sufficiente uno stanziamento ben inferiore, che consentirebbe inoltre il ripristino delle vicedirigenza con copertura finanziaria già esistente.

Donella MATTESINI (PD), riferendosi all'intervento del deputato Cazzola, il quale ha dichiarato che la sua parte politica considera il testo approvato dal Senato come una «linea del Piave» da difendere ad ogni costo, invita la maggioranza a un atteggiamento diverso, ricordando che il testo elaborato dal Senato è notevolmente migliore rispetto a quello inizialmente presentato dal ministro Brunetta e ciò anche grazie al clima di dialogo instauratosi al Senato, che ha permesso un effettivo confronto sul merito tra maggioranza ed opposizioni. Esprime quindi l'auspicio che un clima del genere possa instaurarsi anche alla Camera in modo che si possa intervenire su un testo che può essere senza dubbio migliorato.
A suo avviso, è infatti sbagliato focalizzare l'attenzione sui dipendenti pubblici sia nel senso di considerarli, quando sono fannulloni, gli unici responsabili delle inefficienze della pubblica amministrazione, sia nel senso di ritenerli, quando sono efficienti e responsabili, il principale veicolo su cui puntare per migliorare i servizi. Occorre tenere conto di altre cause dell'inefficienza delle pubbliche amministrazioni, quali la carenza di risorse umane e finanziarie e la lacunosità o contraddittorietà delle direttive provenienti dalla politica. L'efficienza delle pubbliche amministrazioni dipende infatti certamente dalla qualità e quantità del lavoro dei dipendenti, ma anche da fattori che il disegno di legge in esame non prende minimamente in considerazione, come la chiarezza e semplicità del quadro normativo e procedurale di riferimento, la chiarezza e univocità delle direttive politiche e l'unitarietà dell'imputazione di competenze e responsabilità. Da un sistema, come quello italiano, in cui, per ogni settore amministrativo, si sono stratificate norme su norme e le competenze si frammentano tra autorità diverse e su diversi livelli di governo, non ci si può aspettare l'efficienza. La confusione organizzativa non produce infatti mai efficienza. Proporrà quindi di introdurre tra gli obiettivi della delega legislativa di cui all'articolo 1

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anche quello della semplificazione della normativa e delle procedure di riferimento per ciascun settore.
Occorre inoltre riconoscere - a suo avviso - le responsabilità della classe politica, che spesso non assicura alle amministrazioni pubbliche risorse certe nel tempo o sufficienti nell'ammontare oppure non dà direttive certe e univoche, scaricando quindi sulla dirigenza responsabilità che invece sono solo sue. È inoltre sbagliato, a suo parere, pensare alla pubblica amministrazione come a un tutt'uno. La pubblica amministrazione è infatti articolata in ambiti e settori diversi per compiti, finalità, caratteristiche.
Quanto, infine, alla class action, sottolinea la necessità di stabilire chiaramente chi debba pagare in caso di soccombenza della pubblica amministrazione, cercando di evitare che i dirigenti pubblici si trovino costretti ad operare non nei termini più vantaggiosi per i cittadini o per la pubblica amministrazione ma più prudenti rispetto al rischio di dover rispondere di persona per un danno.
In conclusione rileva che, se la maggioranza ed il Governo hanno davvero a cuore una riforma efficace del pubblico impiego, bisognerà che accettino di porsi nella prospettiva dell'ascolto e del dialogo e che si mostrino disponibili ad acquisire il punto di vista delle rappresentanze sindacali del pubblico impiego, anche perché una riforma senza condivisione è destinata a non avere attuazione.

Simone BALDELLI (PdL) ritiene che il disegno di legge all'esame delle Commissioni rappresenti una vera e propria «rivoluzione copernicana», la cui portata non può sfuggire a quanti si occupano delle questioni del pubblico impiego ormai da anni. Il provvedimento muove dal presupposto che la dirigenza sia non la causa delle disfunzioni della pubblica amministrazione - come alcuni sostengono - ma il potenziale rimedio ad esse e che debba pertanto essere valorizzata attraverso l'attribuzione di effettivi poteri e la previsione di meccanismi di valutazione e di premio. Si tratta di un'ottica totalmente innovativa rispetto al tradizionale assunto, che costituisce parte di una mentalità largamente diffusa, secondo cui non è da sperare di poter un giorno arrivare a premiare il merito e l'efficienza e a punire, al limite anche con il licenziamento, l'inerzia. Il provvedimento in esame rappresenta per l'appunto una rivoluzione e per questo ha ottenuto al Senato l'appoggio e la collaborazione dell'opposizione e ha riscosso il consenso di diversi politici di entrambi gli schieramenti che alle materie del pubblico impiego hanno dedicato anni di studio.
Sottolinea, come parte della richiamata rivoluzione, l'introduzione del principio per cui l'accesso nella pubblica amministrazione debba avvenire sempre per concorso. È un principio costituzionale, ma che di fatto oggi conosce molte deroghe e la cui applicazione deve invece divenire strutturale. Parimenti importante è, a suo giudizio, il principio della verifica sistematica della compatibilità dei contenuti delle contrattazioni collettive con le disponibilità di bilancio. In definitiva, ritiene che si tratti di un'occasione per realizzare quella riforma importante sulla quale nella XI Commissione si è spesso dibattuto e che lo stesso ministro Nicolais nella precedente legislatura, pur credendo fermamente in molti dei principi citati, non ha avuto il coraggio di portare a compimento.

Mario TASSONE (UdC) ricorda che di riforma della pubblica amministrazione si parla da sempre. In anni lontani fu costituito un vero e proprio Ministero per la riforma della pubblica amministrazione, poiché però alla riforma della pubblica amministrazione non si arrivava, il Ministero cambiò ad un certo punto denominazione per assumere quella di Ministero per l'organizzazione della pubblica amministrazione. Ciò premesso, ricorda che al Senato il suo gruppo ha dato un contributo per il miglioramento del testo in esame, astenendosi però dalla votazione finale nella convinzione che il testo possa essere ancora migliorato e arricchito. In passato si è creduto che la devoluzione alla contrattazione di ambiti del rapporto

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di lavoro pubblico potesse essere la soluzione ai problemi della pubblica amministrazione, ma così non è stato. Si è poi pensato che la pubblica amministrazione potesse essere organizzata sul modello aziendale e gestita da dirigenti con caratteristiche di manager, ma i risultati sono stati parimenti deludenti. Si è poi voluto sottolineare la separazione tra politica e amministrazione per evitare la commistione di responsabilità e di ruoli, ma di fatto il confine è risultato labile e incerto. Lo spoil system, poi, ha di fatto confinato la dirigenza in un ruolo di consulenza tecnica, mortificando professionalità e intelligenze. Non bisogna poi dimenticare che le pubbliche amministrazioni sono diverse le une dalle altre e che sono diverse da territorio a territorio: basti pensare alla differenza di trattamento economico tra un dipendente pubblico di una regione a statuto speciale ed uno di una regione a statuto ordinario. Concorda, comunque, sul fatto che al dirigente devono essere attribuiti poteri sanzionatori, in quanto, in assenza di essi, l'amministrazione incorre in vuoti, paralisi, lacune.
In conclusione, chiarisce che il suo gruppo, pur avendo tenuto al Senato una posizione equilibrata, non è soddisfatto dal testo approvato, che ritiene inadeguato e non all'altezza degli annunci che l'hanno preceduto. Auspica pertanto che non siano fondate le voci secondo le quali il Governo non intenderebbe consentire modifiche al provvedimento da parte della Camera.

Oriano GIOVANELLI (PD) rileva preliminarmente che il suo gruppo è di certo interessato all'apertura di una stagione di riflessione e di azione riformista sul tema della pubblica amministrazione, ma è - al contempo - fortemente scontento di come sinora tale tema è stato trattato dal Governo, con iniziative che hanno mirato ad agitare, piuttosto che affrontare, le problematiche del pubblico impiego. In tal senso, nella consapevolezza della funzione democratica che - all'interno dell'ordinamento - assumono le garanzie dei diritti, giudica inaccettabile l'attuale «clima di speculazione» creatosi attorno alla pubblica amministrazione, che appare basato su facili iniziative finalizzate a costruire una precisa immagine mediatica, anziché a promuovere un vero intervento di riforma. Per tali ragioni, preannuncia la disponibilità a lavorare sul provvedimento in esame se si riuscirà ad intravedere una svolta e non si perseguiranno «secondi scopi», paventando tuttavia il rischio che la maggioranza possa essere tentata dalla sostanziale «blindatura» del testo approvato dal Senato, che il suo gruppo riterrebbe un fatto gravemente lesivo delle stesse prerogative della Camera dei deputati.
Sotto questo profilo, si riferisce con preoccupazione all'intervento svolto in precedenza dal deputato Cazzola, che ha parlato in termini positivi della rilegificazione del rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione, lamentando il presunto fallimento della riforma legislativa approvata negli anni '90, la quale aveva inteso favorire una progressiva privatizzazione del rapporto di impiego pubblico. Sostiene, al riguardo, che tale posizione contrasta non soltanto con alcune parti del testo del provvedimento oggi all'esame delle Commissioni riunite, ma anche con gli orientamenti espressi dal Ministro Brunetta nella sua audizione sulle linee programmatiche di inizio legislatura: ricorda, infatti, che in quella sede il Ministro richiamò l'esigenza di recuperare lo spirito dello sforzo riformatore degli anni '90, di promuovere la riqualificazione del ruolo del datore di lavoro pubblico, di affrontare un vero e proprio progetto industriale per la pubblica amministrazione. Nel rilevare che tali orientamenti - pur estremamente generici e, in parte, suscettibili di generare confusione - affrontavano comunque questioni condivisibili, osserva che gli interventi da realizzare per rispondere a tali questioni possono consistere in una azione di manutenzione normativa della disciplina esistente, non essendo in alcun modo necessario ripartire ex novo con la completa e totale riscrittura della legislazione vigente.
Mette in evidenza, quindi, che il Ministro non ha avuto il coraggio di procedere

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lungo le linee indicate nella richiamata audizione, privilegiando l'adozione di una posizione di facile consenso politico - aggravata dal rifiuto di avviare un serio confronto con i sindacati - rispetto al recupero di un principio di privatizzazione del rapporto di lavoro come punto di partenza per una riforma condivisa: poiché, a suo avviso, le riforme non si possono fare contro qualcuno, occorre ora interrompere l'opera di «demonizzazione» delle organizzazioni sindacali posta in essere sin dall'inizio della legislatura e lavorare con coerenza per ribaltare quel processo di rilegificazione della disciplina del rapporto di lavoro intrapreso con il provvedimento in esame.
Segnala, altresì, che - se si vuole realmente perseguire la continuità con le riforme degli anni '90 - bisogna insistere sul principio dell'autonomia della dirigenza, in modo che essa mantenga una sfera di responsabilità gestionale rispetto all'indirizzo politico: si tratta, in sostanza, di scegliere tra un modello che intende valorizzare le esperienze positive e diffonderle nell'ambito di tutte le amministrazioni pubbliche ed un modello che indulge alla tentazione di riportare la dirigenza integralmente sotto il dominio della politica.
Quanto all'introduzione dei piani industriali nella pubblica amministrazione, che rappresenta una finalità dichiarata del disegno di legge in titolo, ritiene che vi sia l'esigenza di indicare con chiarezza un luogo in cui si danno alla dirigenza obiettivi coerenti e seri, anche per misurare efficacemente la capacità di porre in essere le buone pratiche amministrative. Al contrario, paventa il rischio che il modello di progetto industriale al quale si mira sia soltanto un modello di natura burocratica e ripetitiva, mentre non si può prescindere - a suo giudizio - da un confronto costruttivo con la dirigenza e con le stesse organizzazioni sindacali, che sia in grado di avviare un percorso che - nell'ispirarsi agli esempi migliori di valutazione pubblica esistenti nell'ordinamento - rafforzi i principi di programmazione, riorganizzazione e trasparenza, implementando le sfere di autonomia e responsabilità della dirigenza stessa.
Si sofferma, infine, sulle disposizioni relative alla Corte dei conti, contenute nell'articolo 9, auspicando che tale articolo sia espunto dal testo, non soltanto perché formulato in modo complicato e contorto, ma anche perché esso si muove, di fatto, in una direzione opposta a quella di un rafforzamento del sistema dei controlli interni alla pubblica amministrazione e, in ultima analisi, in senso antitetico rispetto alla stessa semplificazione procedurale e normativa.

Stefano SAGLIA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 12.30.