CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 2 ottobre 2008
67.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
Pag. 19

AUDIZIONI INFORMALI

Giovedì 2 ottobre 2008.

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana editori giornali, in relazione all'esame dei progetti di legge C. 406 Contento, C. 1415 Governo, C. 1510 Tenaglia e C. 1555 Vietti, in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali.

L'audizione informale è stata svolta dalle 13.45 alle 14.15.

Pag. 20

SEDE REFERENTE

Giovedì 2 ottobre 2008. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO.

La seduta comincia alle 14.20.

Sull'ordine dei lavori.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che non può svolgersi la seduta della Commissione in sede consultiva convocata alle ore 14.15, in quanto il relatore del disegno di legge posto all'ordine del giorno è impegnato a partecipare ai lavori del Comitato per la legislazione in relazione al medesimo provvedimento. Propone, acconsentendo la Commissione, di passare alla sede referente, convocata al termine della seduta in sede consultiva.

Disposizioni in materia di pedofilia.
C. 665 Lussana, C. 1155 Bongiorno, C. 1305 Pagano, C. 205 Cirielli, C. 1361 Mazzocchi e C. 1522 Palomba.

(Seguito esame e rinvio - Abbinamento dei progetti di legge C. 1344 Barbareschi e C. 1672 Veltroni).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 19 settembre 2008.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che sono state assegnate alla Commissione due proposte di legge vertenti sulla materia della pedofilia nonché su altre materie relative alla tutela penale dei minori. Si tratta in particolare delle proposte di legge n. 1584 presentata dall'onorevole Barbareschi e della proposta di legge n. 1672 presentata dall'onorevole Veltroni.
Ritiene che tali provvedimenti possano essere abbinati alle proposte di legge in esame presso la Commissione giustizia in materia di pedofilia, per quanto contengano anche disposizioni ulteriori. Gran parte di queste sono comunque strettamente connesse al tema della pedofilia. Propone pertanto alla Commissione di procedere all'abbinamento proposto.

Angela NAPOLI (PdL), relatore, dichiara di condividere la proposta di abbinamento.

La Commissione approva la proposta di abbinamento delle proposte di legge C. 1344 Barbareschi e C. 1672 Veltroni alle proposte di legge C. 665 Lussana, C. 1155 Bongiorno, C. 1305 Pagano, C. 205 Cirielli, C. 1361 Mazzocchi e C. 1522 Palomba.

Luca Giorgio BARBARESCHI (PdL) dopo aver preso atto con soddisfazione dell'abbinamento della sua proposta alle altre proposte in materia di pedofilia, annuncia la sua partecipazione ai lavori della Commissione al fine di contribuire all'approvazione di un testo che possa essere concretamente uno strumento contro la pedofilia.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori.

Enrico COSTA (PdL) chiede che la Commissione esamini la proposta di legge n. 891, in materia di reati ministeriali, della quale è relatore e che è inserita all'ordine del giorno della Commissione successivamente alla proposta di legge in materia di molestie insistenti. Tale richiesta verrebbe incontro all'esigenza di alcuni deputati che hanno interesse ad intervenire su tale provvedimento, ma che non possono partecipare all'intera seduta Commissione.

Giulia BONGIORNO, presidente, accogliendo la richiesta dell'onorevole Costa, la pone in votazione.

Pag. 21

La Commissione accoglie la proposta di passare immediatamente all'esame della proposta di legge n. 891 in materia di reati ministeriali.

Disposizioni in materia di reati ministeriali.
C. 891 Consolo.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Enrico COSTA (PdL), relatore, osserva che la proposta di legge in esame concerne la materia dei reati ministeriali e, in particolare, è finalizzata a modificare l'articolo 2 della legge 2 giugno 1989, n. 219 nella parte disciplinante l'epilogo del procedimento avanti il collegio per i reati ministeriali previsto dalla legge costituzionale n. 1 del 1989.
Tale provvedimento mira a risolvere un contrasto tra il disposto dell'articolo 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989 ed il disposto dell'articolo 2 della legge 2 giugno 1989, n. 219 che produrrebbe l'illegittimità costituzionale di quest'ultima disposizione che è di rango inferiore, posto che la legge del 1989 ha natura costituzionale.
Invero, la Camera dei Deputati nella passata legislatura ha sollevato sul punto un conflitto di attribuzione contro un provvedimento del Tribunale dei Ministri di Firenze sollecitando la Consulta a porre la questione di illegittimità costituzionale dell' articolo 2 della legge 2 giugno 1989, n. 219. Con l'ordinanza n. 8 del 2008, la Corte costituzionale ha ammesso il conflitto.
La Giunta per le autorizzazioni a procedere nella XV legislatura ha infatti ritenuto che l'articolo 2 della legge 2 giugno 1989, n. 219 - nella parte in cui prevede che tra i motivi di archiviazione da parte del collegio per i reati ministeriali anche l'ipotesi che il fatto integri un reato diverso da quello ministeriale, prevedendo in tal caso la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria competente a conoscere del diverso reato - sia in contrasto con l'articolo 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989, che, al contrario, prefigurerebbe due sole possibilità di epilogo del procedimento avanti il collegio per i reati ministeriali: l'archiviazione della notizia di reato o la domanda di autorizzazione a procedere al Parlamento.
La proposta di legge in esame - peraltro coerente con le ragioni che hanno fondato la sollevazione del conflitto di attribuzione - stabilisce che, qualora il Tribunale dei ministri intenda esercitare l'azione penale debba trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente ai fini della individuazione circa la ministerialità o meno del reato.
La legge costituzionale n. 1 del 1989, articolo 8, dispone che la richiesta di autorizzazione a procedere si configuri come esclusiva alternativa procedurale alla decisione di archiviazione. Dovrebbe pertanto essere disposta in ragione dell'unica circostanza che il Tribunale dei Ministri ritenga il procedimento meritevole di prosecuzione, e senza che possa rilevare di fronte a quale autorità giudiziaria debba svolgersi la fase successiva del giudizio. La Camera interessata, dovrebbe quindi essere messa nelle condizioni di conoscere delle imputazioni a carico dei membri del Governo, per pronunziarsi in ordine alla ministerialità o meno dell'ipotesi di reato.
Al Tribunale dei Ministri, pertanto, secondo la proposta in esame, verrebbero lasciate due alternative in via esclusiva: archiviare gli atti perché il reato non sussiste o, nei casi che ritenga il reato comune o ministeriale, trasmettere gli atti alla Camera competente per stabilire, si ripete, sulla natura ministeriale o meno del reato.
Secondo il presentatore della proposta di legge, la legge n. 219 del 1989, di rango inferiore alla legge costituzionale n. 1 del 1989, sarebbe in contrasto con i principi costituzionali di cui agli articoli 68, 90 e 96. In relazione ai membri del Governo dovrà quindi spettare necessariamente al Parlamento la decisione finale sulla natura

Pag. 22

del reato. In caso contrario verrebbe elusa, anzi violata, la norma costituzionale. È bene precisare che i richiamati principi non sono un privilegio personale, quanto piuttosto una applicazione dell'articolo 96 della Costituzione.
Conclude invitando i componenti della Commissione a prendere atto della motivazione del ricorso presentato dalla Camera dei deputati alla Corte costituzionale per sollevare il conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorità giudiziaria in merito alla disposizione oggetto della proposta di legge in esame. In tale ricorso sono evidenziate le ragioni per le quali la Camera dei deputati nella scorsa legislatura ha ritenuto di dover investire la Corte costituzionale della questione della legittimità costituzionale della disposizione che la proposta di legge n. 891 intende modificare.

Antonio DI PIETRO (IdV) preliminarmente avverte che il suo intervento si limiterà ad affrontare alcune delle questioni per le quali la proposta di legge n. 891 non dovrebbe trovarsi all'ordine del giorno della Commissione giustizia. Sul contenuto di tale proposta di legge si riserva di intervenire in maniera più approfondita nel corso dell'esame preliminare.
In primo luogo contesta il metodo che è stato seguito per calendarizzare la proposta di legge in esame. Questa è stata inserita all'ordine del giorno quale provvedimento urgente nonostante che in un momento di crisi come quello che sta vivendo la giustizia le urgenze e le priorità siano ben altre. Sottolinea che le vere urgenze sono quelle che interessano tutti i cittadini e non quelle proprie di alcuni di essi che rivestono cariche di Governo. La proposta di legge in esame è urgente solo per quest'ultimi e non certamente per tutti i cittadini. Sarebbe stato sicuramente più corretto concentrare i lavori della Commissione giustizia sulle tante questioni che il Palamento deve risolvere per garantire a tutti i cittadini l'efficienza del servizio-giustizia.
Vi è poi un altro elemento del quale si sarebbe dovuto tener conto nel momento in cui si è deciso di inserire nel calendario della Commissione la proposta di legge in esame. Si tratta della circostanza che il 21 ottobre prossimo è fissata l'udienza della Corte costituzionale per decidere il conflitto di attribuzione sollevato dalla Camera dei deputati proprio in merito alla disposizione oggetto della proposta di legge in esame. Ritiene che non sia corretto sotto il profilo istituzionale che, da un lato, la Camera dei deputati investa della questione la Corte costituzionale e, dall'altro, si appresti ad intervenire sul medesimo oggetto. Sarebbe opportuno aspettare l'esito del giudizio prima di intraprendere la via della modifica legislativa, considerato che tale giudizio è stato istaurato su istanza della Camera dei deputati.
Si sofferma poi sul merito del provvedimento, evidenziando come dal quadro costituzionale emerga chiaramente che spetta sempre alla magistratura e mai ad un organo politico il compito di stabilire se un reato sia stato commesso e a qualificarlo sotto il profilo giuridico. Nel caso di specie tale compito spetta in via esclusiva al tribunale dei ministri.
Facendo riferimento alla relazione dell'onorevole Costa, invita i componenti della Commissione a leggere non soltanto il ricorso con il quale è stato sollevato il conflitto di attribuzione ma anche le controdeduzioni che saranno fatte dalla parte convenuta.
Conclude ribadendo che il provvedimento in esame non risponde alle vere urgenze ed esigenze della giustizia e, quindi, dei cittadini che di essa sono utenti, nonché sottolineando che tale provvedimento rappresenta un ulteriore caso di conflitto d'interessi da parte di alcuni esponenti del Governo, i quali hanno interesse ad eludere la giustizia.

Pierluigi MANTINI (PD) dichiara di non condividere assolutamente la scelta di inserire all'ordine del giorno della Commissione il provvedimento in esame. Inoltre ritiene che sia stato un errore anche la scelta compiuta oggi dalla Commissione di

Pag. 23

anticipare tale esame rispetto a quanto previsto all'ordine del giorno.
Preannunciando un ulteriore intervento nel quale approfondirà le diverse questioni relative al merito del provvedimento, dichiara che si limiterà a svolgere alcune considerazioni di principio in ordine ad esso. Condivide la relazione dell'onorevole Costa nonché quella di accompagnamento alla proposta di legge in esame nella parte in cui collocano la materia oggetto di questa nell'ambito dei principi costituzionali. In effetti la questione della giurisdizione dei reati compiuti da soggetti che rivestono cariche di Governo è oggetto di disposizioni di rango costituzionale quali l'articolo 96 della Costituzione e la legge n. 1 del 1989 che costituisce una prima forma di attuazione dei principi sanciti dal predetto articolo 96. Tale legge costituzionale trova poi la sua attuazione nella legge ordinaria n. 219 del 1989, che la proposta di legge in esame intende modificare. Considerato che le disposizioni che si intendono modificare trovano il proprio fondamento in norme di natura costituzionale, evidenzia come sarebbe stato necessario procedere ad una riforma costituzionale per poter giungere al risultato che si propone l'onorevole Consolo presentando la proposta di legge in esame. Approvando tale proposta di legge il Parlamento compirebbe lo stesso errore commesso quando nel luglio scorso è stato approvato il cosiddetto Lodo Alfano. Anche in quella occasione la via da seguire era quella della modifica costituzionale. A tale proposito ricorda che la questione di legittimità costituzionale recentemente sollevata dal tribunale di Milano in merito al Lodo Alfano trova il proprio fondamento proprio nella natura della norma utilizzata per prevedere la sospensione dei processi per le alte cariche dello Stato. Sottolinea che solo attraverso disposizioni di rango costituzionale si possono prevedere nuove garanzie e privilegi a favore di cariche politiche. Naturalmente anche in questo caso tali privilegi devono trovare una obiettiva giustificazione da ricondurre non tanto alla persona fisica che riveste la carica quanto all'interesse della istituzione della quale tale persona fa parte. Sul punto ritiene che sia opportuno acquisire quanto prima il parere della Commissione affari costituzionali.
Osserva che vi è poi un'altra questione sollevata in questi giorni dalla stampa circa il reale obiettivo al quale si mira approvando la riforma dei reati ministeriali. Tale riforma secondo alcuni sarebbe strumentale, in quanto servirebbe unicamente a risolvere problemi giudiziari di taluno. Al fine di mettere al riparo tale provvedimento da congetture, che in alcuni casi in passato si sono dimostrate corrette, sarebbe sufficiente sopprimere il comma 2 dell'articolo 1 che stabilisce la retroattività della nuova disciplina dei reati ministeriali. Tale disposizione significa infatti, contravvenendo al principio generale secondo cui la legge deve disporre per il futuro, che tale nuova disciplina troverebbe applicazione anche nei giudizi in corso. Solitamente questo tipo di precisazione viene utilizzata quando si introduce nell'ordinamento una norma ad hoc, cioè una norma che viene approvata perché serve a qualcuno. Per fugare ogni dubbio invita il relatore a prendere posizione su questo punto, dichiarando la propria disponibilità alla soppressione della disposizione che consente la retroattività della nuova disciplina dei reati ministeriali.

Donatella FERRANTI (PD) dichiara di non intervenire sul merito del provvedimento ma sul metodo con cui si sta procedendo al suo esame. In primo luogo, contesta la priorità che ad esso è stata data nell'ambito dei lavori della Commissione, ritenendo che in realtà l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, non abbia preso alcuna decisione in tal senso. A tale proposito ricorda che nella riunione del 30 settembre scorso il rappresentante del gruppo PdL ha espresso l'urgenza di esaminare la proposta di legge n. 891, senza tuttavia che tale urgenza sia stata condivisa da parte dei rappresentanti degli altri gruppi nè tanto meno da lei stessa, quale rappresentante del PD. Contesta anche l'inversione dell'ordine

Pag. 24

del giorno che è stata fatta oggi al fine di anticipare l'esame di tale provvedimento. Conclude sottolineando la più assoluta contrarietà del proprio gruppo alla proposta di legge in esame, alla quale non può essere data alcuna priorità nell'ambito dei lavori della Commissione giustizia.

Enrico COSTA (PdL), relatore, osserva che la circostanza che da parte dei gruppi di opposizione non sia condivisa la scelta del suo gruppo di considerare prioritario l'esame della proposta di legge n. 891 è del tutto irrilevante ai fini della programmazione dei lavori della Commissione, la quale spetta all'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, sulla base delle diverse e non necessariamente coincidenti richieste dei rappresentanti dei gruppi. È del tutto connaturale alle dinamiche parlamentari che la programmazione dei lavori della Commissione sia coerente con le scelte della maggioranza. Proprio per questo motivo il regolamento prevede che una quota dei provvedimenti in esame sia riservata all'opposizione. In quest'ottica, ad esempio, deve essere considerato l'inserimento nel calendario della Commissione della proposta di legge sull'omofobia, che è stato richiesto dall'opposizione senza il consenso della maggioranza. Per quanto attiene all'inversione dell'ordine del giorno contestata dall'onorevole Ferranti, rileva che questa è stata da lui richiesta sulla base di una sollecitazione pervenuta in tal senso dall'onorevole Di Pietro, il quale non avrebbe potuto partecipare ai lavori della Commissione per tutto il loro corso. Tale richiesta è stata quindi avanzata unicamente per consentire ad un deputato dell'opposizione di intervenire sul provvedimento in esame.

Federico PALOMBA (IdV) interviene per sottolineare che l'inversione dell'ordine del giorno sostanzialmente richiesta dal gruppo dell'Italia dei valori non significa in alcun modo adesione al provvedimento in esame e tanto meno alle priorità indicate dalla maggioranza. L'inversione è servita unicamente per consentire all'onorevole Di Pietro di esprimere le critiche del gruppo dell'Italia dei lavori sul provvedimento in esame e sulle modalità della sua calendarizzazione. Conclude sottolineando che per il suo gruppo le priorità in materia di giustizia sono ben altre.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che la Commissione lavoro ha sospeso i propri lavori per attendere il parere della Commissione giustizia sul disegno di legge n. 1441-quater, iscritto nel calendario dei lavori dell'Assemblea a partire da lunedì prossimo. Ritiene quindi che la Commissione debba procedere immediatamente all'esame del predetto provvedimento, anche considerando che nel frattempo è giunto il relatore di esso, essendo terminati i lavori del Comitato per la legislazione ai quali ha preso parte.

Marilena SAMPERI (PD) evidenzia come sia oramai una costante che il Governo non partecipi ai lavori della Commissione giustizia. Invita pertanto il presidente della Commissione a sospendere tali lavori per riprenderli solamente quando vi parteciperà anche un rappresentante del Governo.

Giulia BONGIORNO, presidente, replica all'onorevole Samperi osservando che la presenza del Governo sotto il profilo regolamentare è necessaria solamente nel corso dell'esame in sede legislativa e dei documenti di bilancio. Negli altri casi, ai sensi dell'articolo 37 del regolamento, i rappresentanti del Governo hanno l'obbligo di partecipare alle sedute delle Commissioni se ciò sia dalle medesime richiesto. Si tratta, quindi, di una richiesta che deve pervenire dalla Commissione sulla base di una deliberazione presa a maggioranza. Sotto il profilo dei rapporti istituzionali la questione è naturalmente diversa e pertanto condivide l'esigenza espressa dall'onorevole Samperi circa una costante partecipazione dei rappresentanti del Governo alle sedute della Commissione giustizia. Per quanto attiene alla seduta in sede consultiva che la Commissione si appresta ad effettuare ricorda che per

Pag. 25

prassi il Governo non partecipa a tali sedute, partecipando invece alle sedute in sede referente presso le Commissioni di merito. Sospende pertanto la seduta per passare all'esame in sede consultiva del disegno di legge n. 1441-quater.

La seduta, sospesa alle 14.55, riprende alle 15.35.

Marilena SAMPERI (PD) osserva che è ancora assente il Governo. Chiede pertanto che la Commissione sospenda i propri lavori.

Enrico COSTA (PdL), relatore, dichiara di non essere pregiudizialmente contrario a rinviare il seguito dell'esame del provvedimento ad altra seduta secondo quanto richiesto dall'onorevole Samperi.

Giulia BONGIORNO, presidente, prendendo atto della richiesta dell'onorevole Samperi e della dichiarazione dell'onorevole Costa, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Introduzione nell'ordinamento del delitto di molestie insistenti.
C. 1440 Governo, C. 35 Brugger, C. 407 Contento, C. 667 Lussana, C. 787 Codurelli, C. 856 Pisicchio, C. 966 Mura, C. 1171 Santelli, C. 204 Cirielli, C. 1231 Pollastrini, C. 1233 Samperi, C. 1261 Bertolini e C. 1252 Mussolini.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta dell' 11 settembre 2008.

Giulia BONGIORNO, presidente e relatore, ricorda che il termine per gli emendamenti è scaduto il 22 settembre scorso. Prima di passare al loro esame ritiene opportuno sottoporre alla Commissione una questione relativa alla formulazione della fattispecie di reato di atti persecutori, che non è stata affrontata in alcuno degli emendamenti presentati, ma che tuttavia deve essere assolutamente risolta per garantire la determinatezza della fattispecie stessa. A tale proposito osserva che la fattispecie si incentra oltre che sulla condotta delle molestie anche su quella della minaccia, senza tuttavia precisare che il danno minacciato debba essere ingiusto. Senza tale precisazione vi sarebbe il rischio di ricondurre alla nuova fattispecie di reato anche condotte che non siano assolutamente lesive, ma mero esercizio di diritti dal quale potrebbero scaturire danni non ingiusti. Al fine di meglio approfondire tale questione fissa il termine per la presentazione di ulteriori emendamenti alle ore 10 di mercoledì 8 ottobre. Rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di azione risarcitoria collettiva.
C. 410 Contento.

(Esame e rinvio)

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Antonino LO PRESTI (PdL), relatore, rileva che la proposta di legge in esame è diretta a modificare l'istituto dell'azione collettiva risarcitoria, introdotto nell'ordinamento italiano dalla legge finanziaria 2008, che ha aggiunto al cosiddetto Codice del consumo (decreto legislativo n. 206 del 2005) l'articolo 140-bis. Si tratta di un istituto che non è ancora operativo, in quanto l'entrata in vigore della disciplina, fissata dalla legge finanziaria per il 30 giugno 2008, è stata differita al 1o gennaio 2009 dall'articolo 36 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008.
Prima di passare all'illustrazione del provvedimento ritiene opportuno ricordare come si arrivò nella scorsa legislatura all'approvazione del testo che ha introdotto nel nostro Paese l'istituto l'azione collettiva per la tutela dei consumatori ed utenti. Al Senato, con un vero e proprio blitz, fu approvato nel corso dell'esame del disegno di legge finanziaria un articolo

Pag. 26

aggiuntivo di iniziativa parlamentare che disciplinava l'azione collettiva. Non vi fu una vera e propria discussione, in quanto i presentatori di esso condizionarono il voto favorevole alla legge finanziaria all'introduzione in essa del loro articolo aggiuntivo. Considerato che il loro voto era decisivo per la maggioranza, in ragione dell'esiguo scarto al Senato con l'opposizione, l'articolo aggiuntivo fu inserito dal Governo nel testo sul quale fu posta la fiducia. Alla Camera dei deputati giunse così un testo blindato, che la Commissione giustizia non poté toccare se non marginalmente e comunque in sede consultiva.
Tutto ciò avvenne nonostante presso tale Commissione fosse in corso da oltre due anni un approfondito esame di diversi progetti di legge. Furono sentiti esperti della materia ed i rappresentati delle associazioni di utenti e consumatori, oltre che comitati di cittadini che avevano subito dei danni da particolari illeciti contrattuali o extracontrattuali. Di tutto questo lavoro non si tenne alcun conto. La Commissione Giustizia non fu solamente accantonata, ma fu umiliata dall'atteggiamento del Governo e della maggioranza di allora, che ignorarono i due anni di lavoro in cui deputati di maggioranza ed opposizione, con spirito collaborativi, erano oramai giunti all'elaborazione di un testo unificato.
È bene avere ricordato l'iter dell'approvazione della disciplina dell'azione collettiva in vista dell'esame che ci apprestiamo ad intraprendere, non tanto per ragioni politiche, quanto perché ciò aiuta a ricordare che tale disciplina non è il risultato di un esame parlamentare approfondito, come la delicatezza della materia avrebbe richiesto, bensì della logica di mantenere in piedi una maggioranza di governo che nel Parlamento di fatto non esisteva, come poi, dopo pochi giorni, è stato dimostrato con lo scioglimento delle Camere.
L'esame della proposta di legge n. 410 è l'occasione per far ritornare nell'alveo parlamentare materie che incidono in maniera rilevante nella vita dei cittadini, come la tutela dei consumatori ed utenti. Per sgombrare il campo da polemiche politiche, che non aiuterebbero la Commissione a svolgere il compito le spetta, precisa che le sue considerazioni sono rafforzate dalla non edificante situazione in cui si è trovata in questi giorni la Commissione Giustizia, che ha visto materie importanti come l'accelerazione del processo civile e il rito del lavoro inserite in disegni di legge collegati alla legge finanziaria, sui quali è chiamata ad esprimere unicamente un parere. L'esame della proposta n. 410, quindi, è l'occasione che si offre alla Commissione Giustizia di riappropriarsi di ciò che nella scorsa legislatura le è stato tolto.
Occorre valutare se il modello di azione collettiva scelto allora è quello che meglio si adatta alle esigenze del nostro Paese, sia sotto il profilo giudiziario che della tutela degli utenti e consumatori. Questo aspetto è molto delicato. In una materia come la tutela dei consumatori, infatti, il rischio di spinte populiste e demagogiche è forte. Vi è da parte di tutti - maggioranza ed opposizione - la volontà di fornire ai consumatori strumenti di tutela efficaci nei confronti di atti e fatti illeciti che producono danni seriali. La questione, tuttavia, nella pratica diventa estremamente delicata. Occorre infatti evitare che tale obiettivo travolga altre esigenze, che in prima battuta non riguardano direttamente i consumatori, ma che comunque li coinvolgono fino a raggiungere conseguenze anche drammatiche: si riferisce, in particolare, alle esigenze della controparte, cioè delle imprese.
Ritiene un grave errore affrontare il tema della tutela dei consumatori senza tener conto di tutti gli interressi in gioco. Si è portati a fare ciò perché ciò paga elettoralmente. Ma così si compie un errore che ha come vittima finale anche lo stesso consumatore. Vi è il rischio di introdurre nell'ordinamento una disciplina dell'azione collettiva che possa provocare alla impresa convenuta danni ben maggiori rispetto a quelli subiti dall'attore: danni che potrebbero avere ripercussioni negative anche per l'occupazione. In sostanza, l'obiettivo della Commissione deve essere quello di assicurare al Paese

Pag. 27

un'azione collettiva che sia in grado di tutelare il consumatore, garantendogli il risarcimento dei danni realmente subiti, senza farsi guidare da fini demagogici.
I punti su quali sarà necessario il confronto sono i seguenti.
Il primo è quello relativo al modello di tutela del consumatore da utilizzare. Di fronte a noi si pongono due modelli: quello anglosassone della class action e quello dell'azione collettiva del codice del consumo. Vi potrebbero essere anche terze vie.
Strettamente connesso al primo vi è l'aspetto della legittimazione ad agire. A tale proposito, ritiene opportuno evitare scelte di tipo esclusivo, come quella (comunque non adottata nella scorsa legislatura) che legittimerebbe solo le associazioni dei consumatori iscritte nell'apposito elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, di cui all'articolo 137 del Codice del consumo.
Vi è poi la questione della legittimazione passiva per quanto attiene alla pubblica amministrazione, che attualmente non risponde dell'azione collettiva, nonostante i danni che i cittadini possono subire proprio da fatti illeciti ad essa ascrivibili.
Occorrerà, inoltre, riflettere sull'oggetto dell'azione collettiva (illeciti contrattuali ed extracontrattuali), nonché sulla retroattività della medesima. Quest'ultimo punto è molto delicato, in quanto ove essa fosse considerata retroattiva, ciò comporterebbe l'esperibilità delle azioni collettive per fatti avvenuti prima dell'entrata in vigore della legge con l'unica limitazione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno.
Passando all'esame della proposta di legge n. 410 Contento, rileva che la stessa mira a ridisegnare l'istituto dell'azione collettiva risarcitoria, introdotta nell'ordinamento dalla legge Finanziaria 2008 mediante una disposizione aggiuntiva (articolo 140-bis) all'interno del «Codice del consumo».
Il provvedimento consta sostanzialmente di un unico articolo (l'articolo 2 è relativo alla sola entrata in vigore) che introduce sostanziali modifiche all'attuale istituto.
L'articolo 1 sostituisce integralmente l'articolo 140-bis del codice del consumo.
La prima novità riguarda l'oggetto dell'azione collettiva (comma 1), con la quale si chiede la condanna al risarcimento del danno ovvero la restituzione di somme conseguenti a comportamenti sleali posti in essere nell'ambito di rapporti contrattuali, di pratiche commerciali o anticoncorrenziali che ledono interessi collettivi. Rispetto alla disciplina attuale, tra l'altro, non si fa più riferimento agli illeciti extracontrattuali. Sul punto, peraltro, occorrerà un'approfondita riflessione, non sembrando opportuno escludere tutti gli illeciti extracontrattuali.
Ricorda che nella disciplina attuale tale strumento processuale può essere attivato per ottenere l'accertamento del diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti nell'ambito di rapporti giuridici relativi a contratti per adesione, ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali, quando sono lesi i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti.
Ulteriore novità concerne l'iniziativa processuale. Sono, infatti, legittimati all'azione i soli comitati di consumatori ed utenti costituitisi con atto pubblico che vi abbiano interesse.
Rispetto alla disciplina attuale, che prevede la legittimazione dei comitati di consumatori iscritti nell'elenco del ministero dello sviluppo economico (articolo 137 del Codice del consumo) e delle ulteriori associazioni e comitati ritenuti dal giudice adeguatamente rappresentativi degli interessi fatti valere, si riduce il novero dei soggetti cui spetta la facoltà di agire. Con tale previsione non sarebbe, quindi, legittimata all'azione nessun tipo di associazione di consumatori e utenti né gli analoghi comitati ove istituiti per scrittura privata, anche se comunque rappresentativi degli interessi fatti valere.

Pag. 28

Il comma 2 del nuovo articolo 140-bis precisa il contenuto dell'atto pubblico costitutivo del comitato.
Il comma 3 demanda ad un decreto del Ministro della giustizia, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, la determinazione degli adempimenti cui è tenuto il comitato di consumatori all'atto della domanda giudiziale.
Il comitato deve comunque depositare davanti al tribunale in composizione collegiale (confermato come giudice competente) tra gli atti di causa: un preventivo dei costi dell'azione collettiva; la previsione del compenso per il difensore, sia per la fase giudiziale che per quella eventuale conciliativa endoprocessuale, nonché dei mezzi economici con cui sostenere l'iniziativa processuale (ed il suo eventuale esito negativo) e i costi a carico dei singoli consumatori-membri del comitato; l'elenco dei consumatori e utenti con le generalità di qualcuno; le modalità di adesione successiva all'azione.
Il decreto deve altresì stabilire il contributo unificato dovuto, nonché la designazione (da parte del presidente del tribunale) di coadiutori con il compito di verificare la regolarità delle adesioni all'azione collettiva e di redigerne l'elenco definitivo.
Mentre l'attuale versione dell'articolo 140-bis non specifica la forma della domanda, che dunque è proposta con atto di citazione (ex articolo 163 del codice di procedura civile), il comma 4 della norma in esame prevede esplicitamente che la stessa debba essere proposta con ricorso, il quale - oltre al suo contenuto tipico di cui all'articolo 125 del codice di procedura civile - deve contenere l'indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti offerti in comunicazione.
I commi successivi riguardano le fasi del procedimento, con una prima fase camerale volta a valutare l'ammissibilità del ricorso ed una seconda, di merito, tendenzialmente strutturata sull'attuale modello del processo civile, che si conclude con la sentenza ovvero con la conciliazione.
I commi 5, 6 e 7 disciplinano la decisione sull'ammissibilità o meno del ricorso.
Il comma 5 prevede una soglia di sbarramento ai fini dell'ammissibilità dell'azione - attualmente non prevista - stabilendo che il comitato di consumatori ricorrente debba avere un numero minimo di 500 aderenti; tale soglia numerica può essere dimezzata quando aderisca al comitato anche una sola associazione di consumatori.
Ulteriori requisiti individuati ai fini dell'ammissibilità del ricorso sono: il corretto adempimento delle formalità preliminari (indicate al comma 3) da parte del comitato; la concorrenza di «speciali circostanze», tali da far apparire giustificato il ricorso all'azione collettiva.
Il comma 6 concerne gli atti preliminari all'udienza di discussione disciplinando, in particolare, i termini per il deposito del ricorso, per la fissazione dell'udienza (con decreto) da parte del presidente del tribunale; per la notifica al convenuto; per la costituzione del convenuto con comparsa di risposta, nonché l'intervallo minimo tra la notifica e l'udienza.
Il comma 7 riguarda la fase istruttoria e deliberativa dell'ammissibilità del ricorso che si svolge con rito camerale; la norma concede al tribunale, sentite le parti, una notevole libertà d'azione ai fini istruttori. È inoltre prevista, su domanda concorde delle parti, anche la possibilità di perizia tecnica preventiva a fini di composizione della lite (articolo 696-bis del codice di procedura civile).
La decisione in camera di consiglio sull'ammissibilità dell'azione assume la forma di decreto motivato, reclamabile con ricorso alla corte d'appello nel termine (perentorio) di 10 giorni; quest'ultima decide a sua volta in camera di consiglio.
Ai sensi del comma 8, se il Tribunale ammette l'azione, il procedimento prosegue per le vie ordinarie, con la fissazione dell'udienza di comparizione ai sensi dell'articolo 183 del codice di rito.

Pag. 29

La disposizione precisa che, nel fissare tale udienza, il giudice deve far sì che tra la data della comunicazione alle parti del provvedimento che ammette l'azione e l'udienza di comparizione, intercorrano non meno di 30 e non più di 120 giorni. Il presidente del tribunale dovrà contestualmente formare il collegio curando che dello stesso non facciano parte i giudici che hanno disposto in ordine all'ammissibilità dell'azione. Al fine di sottolineare il carattere distinto delle due fasi del procedimento, la disposizione aggiunge il divieto di utilizzare in giudizio gli atti istruttori compiuti nella fase preliminare.
Il comma 9 dispone in ordine alla pubblicità che deve essere data all'azione, attraverso la pubblicazione di uno specifico avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. In particolare, la norma pone tale onere a carico del comitato, che dovrà indicare le caratteristiche principali dell'azione, la data dell'udienza, gli estremi delle parti e le modalità di adesione al comitato. Tale adesione - essenziale per poter accedere agli effetti del giudicato - potrà avvenire sino alla vigilia di due alternativi momenti della vicenda giudiziaria: l'udienza per la sottoscrizione del verbale di conciliazione; l'udienza per la precisazione delle conclusioni davanti al Tribunale (identico termine per l'adesione è previsto dall'attuale articolo 140-bis che, tuttavia, la prevede anche in appello).
Il comma 10 estende a tutti i consumatori ed utenti - indipendentemente dall'adesione al comitato promotore dell'azione - gli effetti dell'interruzione della prescrizione di cui agli articoli 2943 e 2945 del codice civile, purché conseguenti al medesimo fatto dedotto in giudizio.
Come accennato, la proposta di legge prevede che la causa civile per il risarcimento del danno prosegua nelle forme ordinarie: i commi da 11 a 13 disciplinano gli effetti della sentenza di condanna al risarcimento del danno (o dell'eventuale dichiarazione di esecutività del verbale di conciliazione).
Si ricorda che, diversamente, l'attuale disciplina dell'azione collettiva prevede una sentenza di mero accertamento.
In particolare, il comma 11 precisa che la sentenza è efficace solo nei confronti di coloro che hanno aderito al comitato e risultano regolarmente iscritti nell'elenco definitivo allegato alla decisione. Non disponendo altrimenti la proposta di legge, e non essendo previsto dal nostro ordinamento il vincolo del precedente, vige dunque il principio per cui ogni altro interessato potrà promuovere una causa autonoma, così come potrà essere costituito un nuovo comitato che promuova la medesima azione (anche in considerazione dell'interruzione della prescrizione, della quale, ai sensi del comma 10, possono giovarsi tutti i danneggiati).
Il comma 12, ribadendo quanto previsto in via ordinaria dall'articolo 475 del codice di procedura civile, stabilisce che la spedizione del titolo in forma esecutiva può essere fatta soltanto a favore del comitato e che della stessa potranno giovarsi tutti gli aderenti allo stesso.
Il comma 13 aggiunge che chiunque abbia aderito al comitato può - a seguito della pubblicazione della sentenza di condanna al risarcimento del danno, ovvero a seguito dell'esecutività del verbale di conciliazione - chiedere al giudice di pronunciare l'ingiunzione di pagamento ai sensi dell'articolo 633 e seguenti del codice di rito.
Il secondo periodo del comma 13 esclude che la domanda per ottenere il decreto ingiuntivo possa essere proposta se non sono trascorsi 60 giorni «dalla richiesta avanzata all'organismo di conciliazione istituito dal convenuto, d'intesa con il comitato o con le associazioni dei consumatori, ovvero, in difetto dell'istituzione, dalla diffida avanzata, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, anche attraverso il comitato e le associazioni dei consumatori, al convenuto medesimo».
Infine, il comma 14 prevede particolari forme di pubblicità dell'attività del comitato, richiedendo, in particolare, che questo rediga un conto finale dell'iniziativa svolta, con indicazione analitica di entrate e uscite. Tale conto - sottoscritto dal presidente e da due aderenti al comitato - dovrà essere depositato e reso consultabile

Pag. 30

presso la Camera di commercio del luogo in cui ha sede il tribunale adito, o in cui si è conclusa la transazione.
L'articolo 2 dispone in ordine all'entrata in vigore del provvedimento, che è prevista dopo 180 giorni di vacatio legis.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Sui lavori della Commissione.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che sono stati appena assegnati alla Commissione Giustizia il disegno di legge di bilancio ed il disegno di legge finanziaria, per cui, secondo quanto previsto dall'articolo 119, comma 6, del Regolamento, è sospesa ogni attività legislativa della Commissione finché non sarà espresso il parere su tali provvedimenti. In conseguenza di ciò non si terrà la seduta della Commissione in sede referente convocata per domani venerdì 3 ottobre.

La seduta termina alle 16.05.

SEDE CONSULTIVA

Giovedì 2 ottobre 2008. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO.

La seduta comincia alle 14.55.

Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.
C. 1441-quater Governo.

(Parere alla XI Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Antonino LO PRESTI (PdL), relatore, illustra le disposizioni del provvedimento rientranti negli ambiti di competenza della Commissione Giustizia e, segnatamente, gli articoli 32, 32-bis, 65, 66 e 67.
Rileva che l'articolo 32 modifica la disciplina di cui ai commi da 3 a 5 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 12 del 2002, relativa alle sanzioni amministrative e civili previste per il caso di impiego di personale non risultante dalle scritture o dai documenti obbligatori. Viene introdotta una sanzione amministrativa più lieve per coloro che, pur avendo utilizzato lavoro irregolare, abbiano successivamente regolarizzato lo stesso lavoratore e, al contempo, si modifica la disciplina relativa all'entità delle sanzioni civili per l'utilizzazione di lavoro sommerso. Inoltre, si escludono dall'applicazione delle sanzioni amministrative e civili relative all'impiego di lavoro sommerso coloro che non abbiano dolosamente occultato il rapporto di lavoro.
L'articolo 32-bis, introdotto nel corso dell'esame presso la Commissione di merito, modifica la disciplina sull'orario di lavoro di cui all'articolo 41 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, prevedendo un'articolata disciplina sanzionatoria per il caso di violazione delle disposizioni relative alla durata massima dell'orario di lavoro, ai riposi settimanali, alle ferie annuali a ai riposi giornalieri.
L'articolo 65 reca disposizioni relative al controllo giudiziale sul rispetto delle «clausole generali» contenute nelle leggi, nonché sulla certificazione dei contratti di lavoro.
In particolare, il comma 1 è volto a delimitare il potere di controllo giudiziale sulla ricorrenza dei presupposti previsti dalle «clausole generali» contenute nelle disposizioni di legge relative ai rapporti di lavoro subordinato privato e agli altri rapporti di lavoro (sostanzialmente di carattere «parasubordinato») di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, nonché ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di

Pag. 31

cui all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001. A titolo esemplificativo, il comma in esame indica alcune ipotesi di «clausole generali», quali le norme in materia di instaurazione del rapporto di lavoro e recesso dal medesimo rapporto, esercizio dei poteri del datore di lavoro, trasferimento di azienda.
Dalla relazione illustrativa al disegno di legge C. 1441, si desume che per «clausole generali» si intendono quelle disposizioni legislative che, al fine di definire l'ambito di legittimità del ricorso a particolari tipologie di lavoro o a decisioni delle parti, non fanno riferimento a specifiche causali tipizzate, bensì stabiliscono requisiti di carattere generale e quindi flessibili, seppur effettivi e verificabili.
Con riferimento alle predette «clausole generali», nelle menzionate materie, pertanto, il comma in esame dispone che il controllo giudiziale deve limitarsi esclusivamente all'accertamento del presupposto di legittimità e non può estendersi al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che spettano al datore di lavoro o al committente.
I commi 2 e 3, al fine di promuovere e incentivare l'istituto della certificazione dei contratti di lavoro, recano disposizioni volte a rafforzare il valore vincolante (anche nei confronti del giudice) dell'accertamento effettuato in tale sede.
In particolare, il comma 2 interviene sulla possibilità per il giudice di discostarsi da quanto previsto in sede di certificazione del contratto di lavoro. Con la disposizione in esame si prevede che il giudice, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell'interpretazione delle clausole in esso contenute, non può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse nell'ambito della certificazione dei contratti di lavoro, salvo nei casi di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra la previsione negoziale certificata e la sua attuazione.
Il comma 3 reca disposizioni relative agli elementi presenti nei contratti collettivi e individuali di lavoro di cui il giudice deve tener conto nei contenziosi relativi ai licenziamenti individuali. In particolare, il giudice, nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, deve far riferimento, oltre che alle fondamentali regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse della organizzazione, alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro ovvero nei contratti individuali di lavoro se stipulati con l'assistenza delle summenzionate commissioni di certificazione. Analogamente, il giudice deve tener conto degli elementi e dei parametri appositamente individuati dai suddetti contratti, nello stabilire «le conseguenze da riconnettere al licenziamento» ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 604 del 1966. A tal fine, inoltre, il giudice deve comunque tener conto di una serie di elementi di fatto: dimensioni e condizioni dell'attività del datore di lavoro; situazione del mercato del lavoro locale; anzianità e condizioni del lavoratore; comportamento delle parti contrattuali anche nel periodo precedente al licenziamento.
Il comma 4 dell'articolo 65 provvede a riformulare l'articolo 75 del decreto legislativo n. 276 del 2003, che individua la finalità della procedura di certificazione. A parte differenze di carattere prettamente formale, la formulazione prevista dalla disposizione in esame sembrerebbe voler ampliare, anche sul piano definitorio, l'ambito di intervento della certificazione, dal momento che, mentre il testo vigente fa riferimento al «contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro», la disposizione in esame in maniera più generale si riferisce al «contenzioso in materia di lavoro».
Infine, il comma 5 stabilisce che dall'attuazione dell'articolo in esame non devono derivare nuovi oneri per la finanza pubblica.
L'articolo 66 interviene sulla disciplina del processo del lavoro contenuta nel codice di procedura civile disponendo, in particolare, in materia di conciliazione ed arbitrato. La novella, che interessa gli articoli 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater del codice di rito, mira ad introdurre, nei contenziosi di lavoro, una nuova disciplina della procedura del tentativo di conciliazione

Pag. 32

da tenere presso le apposite commissioni istituite presso le direzioni provinciali del lavoro.
Il tentativo di conciliazione, a differenza di quanto previsto nella disciplina vigente, non è più obbligatorio (resta ferma solo l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione innanzi alla commissione di certificazione, previsto dall'articolo 80, comma 4, del decreto legislativo n. 276 del 2003, in caso di ricorso giurisdizionale avverso la certificazione).
Gli articoli 410 e 411 dettano specifiche disposizioni sul procedimento e sul processo verbale di conciliazione, mentre l'articolo 412 prevede la possibile risoluzione arbitrale della controversia (devoluta alla citata commissione dalle stesse parti in qualunque momento del tentativo di conciliazione in corso) e gli effetti esecutivi del lodo raggiunto.
Gli articoli 412-ter e 412-quater, prevedono, rispettivamente, che la conciliazione e l'arbitrato possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative (412-ter) nonché la possibile proposizione delle liti in oggetto davanti ad appositi collegi di conciliazione e arbitrato irrituale, in relazione ai cui giudizi sono dettati specifici passaggi procedimentali (articolo 412-quater).
Il commi 7, 8 e 9 estendono ulteriormente la possibilità di arbitrato, rituale e irrituale. L'arbitrato sarà, infatti, possibile anche quando il contratto di lavoro e la clausola compromissoria siano «certificati» in conformità delle previsioni del decreto legislativo n. 276 del 2003 ovvero siano validati dalle apposite commissioni di certificazione di cui all'articolo 76 del citato decreto legislativo. Gli stessi organi di certificazione possono istituire camere arbitrali «irrituali», presso le quali può anche essere esperito, preliminarmente, il tentativo di conciliazione.
Il comma 10 estende a tutte le commissioni di certificazione la competenza a certificare - a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse - tutte le rinunce e transazioni relative a diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e da contratti e accordi collettivi (di cui all'articolo 2113 del codice civile).
Il comma 11 abroga il comma 2 dell'articolo 83 del decreto legislativo n. 276 del 2003, che prevede che la certificazione del contenuto del regolamento interno delle cooperative (riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o da attuare con i soci lavoratori), depositato presso la competente direzione provinciale del lavoro, debba essere espletata da specifiche commissioni istituite nelle sole sedi di certificazione presso le stesse direzioni provinciali.
Il comma 12 novella il quarto comma dell'articolo 2113 del codice civile, prevedendo l'inapplicabilità della disciplina ivi contenuta in materia di rinunzie e transazioni anche alle conciliazioni intervenute presso le commissioni di conciliazione.
Il comma 13 in coerenza con le novelle introdotte, abroga l'articolo 412-bis del codice di procedura civile, relativo al tentativo di conciliazione nel processo del lavoro come condizione di procedibilità della domanda. Viene poi modificato il secondo comma dell'articolo 410-bis che, prevedendo che in caso di inutile decorso del termine di 60 giorni dalla presentazione della richiesta, il tentativo di conciliazione si considera espletato.
L'articolo 67 è volto a modificare le disposizioni relative alle modalità e ai termini per l'impugnazione dei licenziamenti individuali.
In particolare il comma 1, sostituendo l'articolo 6, primo comma, della legge n. 604 del 1966, estende da 60 giorni a 120 giorni dal ricevimento della sua comunicazione (ovvero della comunicazione dei motivi se non contestuale) il termine, previsto a pena di decadenza, per l'impugnazione del licenziamento. Tuttavia, allo stesso tempo, si dispone che tale impugnazione possa essere effettuata esclusivamente con ricorso al giudice del lavoro depositato nella relativa cancelleria, facendo quindi venir meno la possibilità, prevista dalla normativa vigente, di impugnare

Pag. 33

il licenziamento con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a far conoscere la volontà del lavoratore.
Il comma 2 precisa che il termine previsto a pena di decadenza dal precedente comma per l'impugnazione del licenziamento, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento, nonché alle ipotesi di licenziamento inefficace. Il provvedimento in esame sembrerebbe voler estendere l'ambito di applicabilità del termine di decadenza per l'impugnazione di cui all'articolo 6, primo comma, della legge n. 604 del 1966 ad ulteriori casi di licenziamento illegittimo, comprendendovi anche tutti i casi di nullità (quindi anche quelli che ai sensi dell'interpretazione prevalente della normativa vigente rimangono esclusi) nonché i casi di inefficacia per vizio di forma o per omessa tempestiva comunicazione dei motivi richiesti.
Il comma 3 estende ulteriormente l'ambito di applicazione del termine di decadenza per l'impugnazione di cui al menzionato articolo 6, primo comma, della legge n. 604 del 1966. In primo luogo, viene precisato che tale termine si applica anche ai licenziamenti che presuppongano la risoluzione di questioni attinenti alla qualificazione del rapporto lavorativo ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto. Inoltre, si prevede l'applicazione del termine anche al di fuori dei casi di licenziamento e, in particolare, alle seguenti fattispecie: recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto; trasferimento del lavoratore subordinato da un'unità produttiva ad un'altra.
Formula quindi una proposta di parere favorevole con osservazioni (vedi allegato 1).

Cinzia CAPANO (PD) ritiene che la Commissione giustizia debba preservare la propria dignità poiché, dopo essere stata espoliata della competenza ad esaminare in sede referente la riforma del processo civile, inserita nel provvedimento n. 1441-bis, oggi viene nuovamente espoliata della stessa competenza con specifico riguardo al processo del lavoro, essendo chiamata, per di più, ad esprimere un parere un pochi minuti. Considera questo comportamento del Governo e della maggioranza assolutamente inaccettabile anche perché, nel merito, il provvedimento in esame mira, tra l'altro, alla degiurisdizionalizzazione dello jus variandi dal datore di lavoro: fatto questo di portata rivoluzionaria e fortemente dannoso per l'ordinamento giuridico. I problemi tecnici che dovrebbero essere affrontati e approfonditi nella sede naturalmente competente, che è la Commissione giustizia, sono moltissimi ed estremamente delicati. Invece la Commissione giustizia viene completamente estromessa e privata della possibilità di riflettere adeguatamente su un provvedimento idoneo a produrre danni gravissimi alla giustizia civile ed ai diritti dei cittadini che lavorano. Dichiara quindi di abbandonare i lavori della Commissione.

Federico PALOMBA (IdV) rileva come, ancora una volta, sia stato arrecato un vulnus gravissimo alle competenze della Commissione giustizia e quindi alle prerogative dell'intero Parlamento. Il Governo e la maggioranza ne portano per intero la responsabilità politica. Ritiene inaccettabile che alla Commissione giustizia siano lasciati pochi minuti per l'esame di un provvedimento tanto delicato e tipicamente rientrante nei suoi ambiti di competenza. Preannuncia quindi la sua astensione dalla votazione.

Donatella FERRANTI (PD) preannuncia che i componenti del gruppo del Partito democratico appartenenti alla Commissione giustizia invieranno una lettera al Presidente della Camera per rivendicare l'orgoglio non tanto della Commissione, quanto dell'intero Parlamento, le cui prerogative sono state ancora una volta gravemente violate. Non potendosi più parlare di fatti episodici, emerge con chiarezza una strategia del Governo e della maggioranza per scardinare il ruolo del Parlamento, sottraendo i provvedimento all'esame delle commissioni competenti per materia e, in particolar modo, della Commissione giustizia.
Quanto al merito del provvedimento, rileva come appaia evidente a chi abbia un

Pag. 34

minimo d'esperienza in materia di processo del lavoro, che viene distrutta forse l'unica parte del processo civile che funziona. E chi ha il senso delle istituzioni non può sentirsi turbato da un evento di tale gravità.
Ritiene che, di fronte ad un simile provvedimento, la Commissione dovrebbe esprimere un parere contrario unanime. D'altra parte, le premesse della proposta di parere del relatore sono condivisibili ed evidenziano il disagio interno alla stessa maggioranza. Un disagio profondo, che rende poco dignitoso il lavoro di tutti i parlamentari, tanto di opposizione quanto di maggioranza. Dalle premesse della proposta di parere del relatore, pertanto, dovrebbe logicamente discendere una proposta di parere contrario.
Presenta quindi una proposta alternativa di parere contrario, che condivide le premesse della proposta di parere del relatore (vedi allegato 2).

Marilena SAMPERI (PD) sottolinea come questo provvedimento, certamente di competenza della Commissione giustizia, così come lo era il 1441-bis, presenta il vizio originario di essere stato inserito in un «collegato» alla legge finanziaria, insieme a molte altre materie eterogenee. Ciò ha comportato, di fatto, un alterazione dell'ordinaria ripartizione delle competenze per materia delle Commissioni. Per ovviare a tale alterazione, il Regolamento offre gli strumenti dello stralcio ed eventualmente del conflitto di competenza, ma tali strumenti possono essere attivati dalla maggioranza e, perciò, non sono concretamente utilizzabili se non sussiste una volontà della maggioranza in tal senso. Sottolinea come il regolamento venga pericolosamente superato dai precedenti, che costituiscono la prassi, temendo che questa non sia certamente l'ultima volta che la Commissione giustizia viene così gravemente espoliata delle sue prerogative, tramite l'inserimento di disposizioni di sua competenza in provvedimenti collegati alla manovra finanziaria. Sottolinea altresì come sia in gioco la responsabilità e la dignità di tutti i parlamentari e come il Governo e la maggioranza stiano creando uno Stato di diritti affievoliti. Il provvedimento in esame ne è solo l'ulteriore conferma, contenendo degli aspetti estremamente inquietanti che, nella sostanza, sono quelli indicati nelle premesse della proposta di parere del relatore.

Giulia BONGIORNO, presidente, con riferimento alle osservazioni emerse nel corso del dibattito, ricorda che tanto nel provvedimento 1441-bis quanto nel provvedimento 1441-quater, le materie eterogenee ivi disciplinate non investono in misura prevalente la competenza della Commissione giustizia e che, pertanto, le relative assegnazioni sono state effettuate dal Presidente della Camera conformemente alle disposizioni regolamentari. Altra e distinta questione e quella relativa allo stralcio e al conflitto di competenza, che sono strumenti rimessi alle decisioni della Commissione, che naturalmente sono adottate a maggioranza.
Nessun altro chiedendo di intervenire, pone in votazione la proposta di parere del relatore, avvertendo che, in caso di sua approvazione, sarà considerata preclusa la proposta di parere alternativo presentata.

La Commissione approva la proposta di parere del relatore (vedi allegato 1).

La seduta termina alle 15.35.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 16.05 alle 16.10.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

SEDE REFERENTE

Disposizioni in materia di reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.
C. 1658 Concia.