CAMERA DEI DEPUTATI
Lunedì 4 agosto 2008
48.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

Lunedì 4 agosto 2008. - Presidenza del vicepresidente Giuliano CAZZOLA.

La seduta comincia alle 9.10.

Decreto-legge 112/08: Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.
C. 1386-B, approvato dalla Camera e modificato dal Senato.

(Parere alla V e VI Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Giuliano CAZZOLA (PdL), presidente e relatore, rileva che la Commissione è chiamata ad esprimere il parere sul decreto-legge n. 112 del 2008 recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico e la perequazione tributaria, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato.
Tra le modifiche afferenti agli ambiti di competenza della XI Commissione, segnala che all'articolo 20 è stato modificato il comma 10 in materia di requisiti necessari per percepire l'assegno sociale, già peraltro oggetto di modifiche da parte della Camera dei deputati. Al riguardo, ricorda che, secondo la normativa ora vigente, possono fare richiesta della prestazione assistenziale dell'assegno sociale, che prescinde da qualsiasi versamento contributivo, i cittadini italiani, i cittadini di uno Stato dell'Unione Europea ovvero i cittadini extracomunitari in possesso della carta di soggiorno, purché residenti in Italia: l'assegno viene erogato solo al compimento dei 65 anni di età a condizione di non superare un certo limite di reddito (pari, per il 2008, a 5.142,67 euro, se non coniugato, e 10.285,34 euro se coniugato) e non è reversibile. Fa presente che il testo iniziale del decreto-legge disponeva che l'assegno sociale, a decorrere dal 1o gennaio 2009, fosse corrisposto agli aventi

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diritto a condizione che avessero soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno cinque anni nel territorio nazionale. Il testo licenziato dalla Camera dei deputati, modificando quello iniziale, aveva previsto l'aumento, da cinque a dieci anni, del periodo di soggiorno legale nel territorio nazionale necessario per la corresponsione dell'assegno sociale, e aveva inoltre introdotto un ulteriore requisito essenziale ai fini della corresponsione, consistente nell'aver lavorato legalmente e in via continuativa per lo stesso periodo temporale con un reddito almeno pari all'importo dell'assegno sociale.
In seguito alle modifiche apportate dal Senato, resesi necessarie in considerazione delle incertezze interpretative sull'ambito soggettivo di applicazione della norma che finiva per riguardare anche i cittadini italiani, è stato soppresso il requisito di aver prestato legalmente attività lavorativa con un reddito almeno pari all'assegno sociale per almeno dieci anni in via continuativa.
Pertanto, prevedendosi come unica condizione ai fini della fruizione dell'assegno sociale l'aver soggiornato legalmente nel territorio nazionale in via continuativa per un determinato periodo di tempo, viene in sostanza ripristinata la disposizione presente nel testo iniziale, con l'unica differenza di raddoppiare (da cinque a dieci anni) la durata di tale periodo.
Si sofferma poi sull'articolo 21, precisando le diverse modifiche che il testo originario del decreto-legge ha subito inizialmente presso la Camera e in seguito nel corso dell'esame presso il Senato. In particolare, nel corso dell'esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera sono stati aggiunti all'articolo 1 del decreto legislativo n. 368 i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 3-bis, che sono poi confluiti, con una significativa modifica al comma 1-quater relativa all'ambito temporale di applicazione della disciplina, nell'emendamento Dis. 1.1 del Governo su cui è stata posta la questione di fiducia in Assemblea.
Precisa che rispetto al testo approvato dalla Camera, il Senato ha disposto la riformulazione del comma 1-ter e la soppressione dei commi 1-bis, 1-quater e 3-bis.
Ricorda che il comma 1 dell'articolo 21 in esame è volto a novellare l'articolo 1, comma 1, del menzionato decreto legislativo n. 368/2001, ai sensi del quale l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Con la modifica in esame viene precisato che l'apposizione del termine è consentita anche se tali ragioni giustificative sono riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.
Il comma 1-bis - inserito dalla Camera - specificava, con norma di interpretazione autentica (avente, quindi, effetto retroattivo), che le summenzionate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo devono essere determinate da condizioni oggettive, «quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico».
I commi 1-ter, 1-quater, e 3-bis, anch'essi introdotti alla Camera, erano intesi a sostituire, per alcune fattispecie di violazione della disciplina del contratto a termine, l'effetto della trasformazione del medesimo in contratto a tempo indeterminato con l'obbligo del pagamento di un'indennità. Veniva stabilito che tale modifica aveva carattere retroattivo, applicandosi ai giudizi in corso, fatte salve, naturalmente, le sentenze passate in giudicato. Peraltro, dalla formulazione della norma (comma 1-quater) non era chiaro se essa concernesse solo i giudizi in corso (alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto) o se fosse una nuova disciplina a regime. In particolare, con la modifica introdotta, trovava applicazione l'istituto di un'indennità a titolo risarcitorio (e non si verificava più la trasformazione a tempo indeterminato del contratto di lavoro) per i casi di violazione delle norme sui presupposti e sulle modalità relativi alla stipulazione del contratto a termine (articoli

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1 e 2 del decreto legislativo n. 368/2001) o alla proroga del medesimo (articolo 4 del decreto legislativo n. 368/2001). I limiti minimi e massimi dell'indennità summenzionata erano pari ad un ammontare compreso tra 2,5 e 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto; l'importo era determinato, in concreto, in base ai criteri stabiliti dall'articolo 8 della legge n. 604 del 1966 (numero dei dipendenti occupati; dimensioni dell'impresa; anzianità di servizio del prestatore di lavoro; comportamento e condizioni delle parti). Restava ferma, invece, la disciplina sulla conversione a tempo indeterminato del contratto, nei casi di prosecuzione di fatto del rapporto oltre il termine pattuito e di successione di rapporti a termine, conversione che avveniva alle condizioni definite dall'articolo 5, commi da 2 a 4-bis, del citato decreto legislativo n. 368/2001. Il comma 3-bis specificava altresì che per le fattispecie interessate dal principio dell'indennità si applicava l'articolo 1419, primo comma, del codice civile, secondo cui la nullità parziale di un contratto (o la nullità di singole clausole) determina la nullità dell'intero contratto, qualora risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte colpita da nullità.
A seguito delle modifiche introdotte al Senato, e in particolare con la soppressione del comma 1-bis, viene meno la norma di interpretazione autentica secondo cui le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che legittimano l'apposizione del termine devono essere determinate da condizioni oggettive, «quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico».
Con la riformulazione del comma 1-ter e la soppressione dei commi 1-quater e 3-bis, che riguardano le sopra menzionate norme volte a sostituire, per alcune fattispecie di violazione della disciplina del contratto a termine, l'effetto della trasformazione del medesimo in contratto a tempo indeterminato con l'obbligo del pagamento di un'indennità, si intende chiarire, per evitare eventuali dubbi interpretativi, che la disciplina introdotta dalla Camera (secondo cui, per i casi di violazione delle norme sui presupposti e sulle modalità relativi alla stipulazione del contratto a termine (articoli 1 e 2 del decreto legislativo n. 368/2001) o alla proroga del medesimo (articolo 4 del decreto legislativo n. 368/2001) il datore di lavoro è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro e quindi non si verifica più la trasformazione a tempo indeterminato del contratto di lavoro) si applica solamente ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, fatte salve le sentenze passate in giudicato.
Infine fa presente che all'articolo 41 è stato modificato il comma 8, volto a novellare il comma 3 dell'articolo 18-bis del decreto legislativo n. 66 del 2003 recante le disposizioni sanzionatorie per la violazione delle norme del medesimo decreto legislativo in materia di orario di lavoro.
Il testo iniziale del comma 8 (non modificato dalla Camera), intervenendo sul comma 3 del citato articolo 18-bis, prevedeva la sanzione amministrativa da 130 euro a 780 euro (per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la violazione) anche nel caso di violazione dell'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo n. 66/2003, a norma del quale il riposo di ventiquattro ore consecutive può essere fissato in un giorno diverso dalla domenica e può essere attuato mediante turni per il personale interessato a modelli tecnico-organizzativi di turnazione particolare ovvero addetto alle attività aventi determinate caratteristiche.
La modifica introdotta del Senato è diretta a correggere un errore materiale contenuto nel testo iniziale del decreto-legge, che erroneamente rinviava al comma 3, anziché al comma 1, dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 66/2003, al fine di prevedere una sanzione amministrativa

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per il datore di lavoro in caso di violazione dell'obbligo di concedere al lavoratore il riposo settimanale. Pertanto, il testo approvato dal Senato prevede che si applichi la sanzione amministrativa da 130 euro a 780 euro, per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la violazione, anche nel caso di violazione dell'articolo 9, comma 1, del deceto legislativo n. 66/2003. Tale disposizione stabilisce che il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero, precisando (con un periodo aggiunto dal comma 5 dell'articolo 41 in esame) che tale periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni.
Conclude formulando una proposta di parere favorevole con osservazioni (allegato 1).

Maria Grazia GATTI (PD), dopo aver evidenziato la ristrettezza dei tempi che ha connotato le varie fasi della discussione del provvedimento in questione già dalla prima lettura, prende atto positivamente della modifica al comma 8 dell'articolo 41, che reintroduce una sanzione amministrativa per il datore di lavoro in caso di violazione dell'obbligo di concedere al lavoratore il riposo settimanale. Ricorda comunque che in altri provvedimenti adottati dal Governo, volti ad incidere sulla materia della salute e della sicurezza sul lavoro, sono state assunte decisioni sbagliate che potrebbero pregiudicare l'attività svolta dal precedente Governo in tale campo.
Con riferimento all'articolo 20, comma 10, del decreto-legge, fa presente che si è in presenza di una ingiustificata esclusione dall'ambito di applicazione della norma di un rilevante numero di extracomunitari, provenienti in gran parte da Paesi dell'Africa che versano in condizioni economiche sottosviluppate, dove l'età media non raggiunge livelli molto elevati e con i quali non sono stati stipulati dall'Italia accordi di reciprocità. Pertanto, pur trattandosi di persone che lavorano e che versano i contributi all'INPS, difficilmente tali soggetti potranno maturare i requisiti pensionistici in base alla vigente legislazione in materia, con la conseguenza paradossale che la loro contribuzione verrà utilizzata per l'erogazione di pensioni destinate ad altri. Ritiene dunque sia necessario abbandonare i pregiudizi che circondano il tema dell'immigrazione, che invece considera un elemento di ricchezza, non solo culturale, per il nostro Paese, e rileva la necessità di intraprendere iniziative positive al riguardo.
Ritiene poco corretta la suddetta disposizione sugli assegni sociali contenuta nel presente decreto-legge, anche con riferimento ai cittadini comunitari, che hanno pieno diritto di vivere e lavorare nel nostro Paese, e considera grave che si sia voluto portare da 5 a 10 anni il periodo di soggiorno necessario per conseguire il diritto al beneficio in oggetto. In conclusione, preannuncia il voto contrario sulla proposta di parere formulata dal relatore.

Maria Anna MADIA (PD), dopo aver espresso un giudizio negativo sul provvedimento in esame per i tagli indiscriminati a settori strategici, quali l'università, la scuola, la ricerca, si sofferma sulle modifiche all'articolo 21, che ritiene un vero e proprio attentato allo Stato di diritto. Richiama l'attenzione sulla fattispecie contemplata dalla disposizione richiamata, relativa alla condizione di molti lavoratori che hanno stipulato con una stessa azienda per un lungo periodo di tempo contratti a tempo determinato. Tali lavoratori, pur vantando di fatto un rapporto di lavoro continuativo con l'azienda, sono comunque privi delle garanzie dal punto di vista retributivo o di flessibilità in uscita che dovrebbero essere proprie di un rapporto di lavoro di tale natura.
Fa poi presente che la decisione per un lavoratore di ricorrere al giudice del lavoro è molto spesso sofferta in considerazione degli elevati costi del giudizio

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che può durare diversi anni. Richiama poi l'attenzione sulla paradossale situazione in cui potrebbe versare un lavoratore che, in presenza di un giudizio in appello avverso ad una sentenza di primo grado che abbia comunque previsto la reintegra nel posto di lavoro, potrebbe vedere disposto l'indennizzo in luogo della reintegra in virtù della disposizione introdotta nel provvedimento in esame.
Conclude preannunciando per i motivi sopra indicati un voto contrario sulla proposta di parere del relatore.

Aldo DI BIAGIO (PdL), apprezzando il carattere generale della manovra in esame, dichiara che è suo profondo interesse veicolare l'attenzione dei colleghi verso alcuni punti del disegno di legge collegato alla manovra finanziaria che in questi ultimi giorni è stato modificato dal Senato.
Fa presente come siano all'attenzione della Commissione talune disposizioni che hanno destato molteplici preoccupazioni nell'opinione pubblica, segnatamente presso quelle fasce più deboli nei confronti delle quali ritiene che debba essere forte il suo impegno politico e il suo rispetto.
Fa riferimento all'articolo 21 del decreto-legge 112 del 2008, il cui attuale testo, così come modificato dal Senato, prevede che il blocco del reintegro per i lavoratori precari riguardi soltanto quei lavoratori che abbiano avviato un giudizio. In nome di una più accentuata tutela nei confronti dei lavoratori, ritiene che, in presenza di irregolarità, il datore di lavoro debba essere tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro secondo gli importi stabiliti nel decreto-legge soltanto nei casi in cui non vi siano accordi contrattuali diversi con le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
In merito alla disposizione sugli assegni sociali, esprime perplessità circa il requisito dei dieci anni di soggiorno legale, in via continuativa, sul territorio italiano. Infatti la sussistenza di un tale criterio rischierebbe, a suo avviso, di emarginare quelle fasce di connazionali, residenti oltre il confine italiano, che intendono rientrare in patria nell'età della pensione.
Esprime condivisione per la correzione dell'errore tecnico di natura formale apportata dal Senato all'articolo 41, visto che il permanere dell'errore avrebbe prodotto come effetto negativo la cancellazione delle sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che neghino ai dipendenti il diritto al riposo settimanale.
Ritiene doveroso tutelare il mondo del lavoro, segnatamente quello dei lavoratori più deboli, intendendo fare riferimento a tutti i lavoratori cittadini italiani indipendentemente dal territorio di residenza. Ritiene che tale atteggiamento sia propedeutico a qualsivoglia manovra di incentivazione della crescita e dello sviluppo del Paese.

Cesare DAMIANO (PD) dopo aver precisato di convenire sull'esigenza di andare nella direzione di una semplificazione del quadro normativo in materia di lavoro, al fine di rendere più snelle le procedure e meno opprimente il peso della burocrazia, ritiene che il Governo invece stia portando avanti un'opera silenziosa e maliziosa di deregolamentazione del mercato del lavoro, messa in atto senza il necessario confronto con le parti sociali. Fa notare che i provvedimenti adottati dal Governo, come quello all'attenzione della Commissione nella seduta odierna, mirino ad un vero e proprio svuotamento della legge n. 247/2008, di attuazione del Protocollo sul welfare, stipulato con le parti sociali dall'Esecutivo precedente, in base al quale invece si erano raggiunte intese importanti anche in materia di contratti a tempo determinato. Fa presente inoltre che anche in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro la maggioranza di Governo è intervenuta per pregiudicare gli effetti delle disposizioni introdotte nella passata legislatura, da ultimo con il decreto legislativo n. 81 del 2008, differendo, ad esempio, i termini di efficacia di norme particolarmente

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importanti relative alla documentazione di rischio e alle visite mediche nei luoghi di lavoro. Fa notare poi che, alla luce degli annunciati interventi del Governo in materia di età pensionabile e sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, si profila la messa in atto di un'azione sempre più volta a mettere in pericolo l'esistenza dello Stato sociale. A tale proposito ricorda che il tentativo di modificare il richiamato articolo 18, esperito nella XIV legislatura dal Governo di centrodestra, non sia andato a buon fine grazie alla decisa opposizione svolta dalle forze sociali e dai partiti di centrosinistra, fortemente contrari ad una proposta normativa che tendesse ad una riduzione delle garanzie sociali per i lavoratori.
Osserva come nel provvedimento all'esame della Commissione siano emerse profonde contraddizioni nella stessa maggioranza, come testimoniato dal precedente intervento dell'onorevole Di Biagio e dalle numerose dichiarazioni di esponenti dell'Esecutivo volte a prendere le distanze dalle modifiche introdotte alla Camera dei deputati da alcuni gruppi parlamentari interni alla stessa maggioranza di Governo. Ricorda che l'opposizione, a differenza di quanto affermato da alcuni esponenti della maggioranza, ha manifestato ripetutamente la propria contrarietà sulle disposizioni contenute nel decreto-legge in questione, con particolare riferimento a quelle in materia di contratto a tempo determinato, attraverso la presentazione di numerose proposte emendative tese ad abrogarle. Fa notare poi che solo grazie alla diligente ed attenta azione svolta dall'opposizione è stato possibile evitare la modifica della norma che impone al datore di lavoro di comunicare i dati relativi all'assunzione del lavoratore nelle 24 ore precedenti l'instaurazione del rapporto stesso, che, a suo avviso, ha contribuito sensibilmente ad arginare il fenomeno delle cosiddette assunzioni post mortem.
Pur prendendo atto della modifica introdotta al Senato in materia di assegno sociale, grazie alla quale molti soggetti indigenti, circa 800.000, potranno continuare a fruire di tale beneficio, ritiene permangano problemi di discriminazione in relazione ai soggetti extracomunitari e agli stessi cittadini italiani residenti all'estero, nonché ai loro figli in attesa di ricongiungimento familiare.
Nonostante prenda atto della modifica all'articolo 21 del decreto-legge in esame, che, al comma 1-bis, ha circoscritto ai soli giudizi in corso l'efficacia della disciplina che prevede, in luogo della trasformazione a tempo indeterminato del contratto di lavoro, l'obbligo del datore di lavoro di indennizzare il prestatore di lavoro in caso di violazione sulle norme relative alla stipulazione del contratto a termine o alla proroga del medesimo, ritiene che tale disposizione, non riferendosi solamente ad alcuni lavoratori della società Poste italiane, come da più parti evidenziato, ben potendo riguardare anche altre aziende, tra cui la RAI, potrebbe pregiudicare la situazione di tutti coloro che hanno ottenuto una sentenza favorevole in primo grado, ottenendo il reintegro in azienda, e sono in attesa di giudizio d'appello. Fa notare pertanto che tale normativa, seppur modificata, è affetta da vizi di incostituzionalità, operando una ingiusta discriminazione tra colui che vanta una sentenza passata in giudicato, ottenendo il reintegro in azienda con contratto a tempo indeterminato, colui che vanta un procedimento in corso e potrà pertanto beneficiare solo di un indennizzo e colui che vorrà ricorrere in giudizio in futuro.
Esprime perplessità sul comma 1 dell'articolo 21, che ammette la possibilità di stipulare contratti a termine per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro, nonché sulle disposizioni previste ai commi successivi, a norma dei quali la disciplina di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 368 del 2001, da ultimo modificata dalla legge n. 247 del 2007, in materia di rinnovi di contratti a termine e di precedenza nelle assunzioni, possono essere derogate dalle eventuali diverse previsioni

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dei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale e aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Ritiene che tale principio derogatorio, inopportunamente introdotto in via generale per i contratti a tempo determinato, avrebbe potuto essere applicato validamente con riferimento al contenzioso in atto tra Poste italiane s.p.a. e i tanti lavoratori assunti presso tale società con contratto a termine, al fine di favorire un accordo a livello sindacale, che consentisse ai lavoratori di essere reintegrati in organico e all'azienda di dilazionare nel tempo i rientri dei lavoratori, preservando l'equilibrio del proprio bilancio.
Rileva un vizio di natura formale nel già citato comma 1-bis dell'articolo 21, che introduce l'articolo 4-bis nel decreto legislativo n. 368 del 2001, che fa riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Ritiene che tale comma potrebbe far sorgere incertezze nell'interpretazione dell'entrata in vigore della disposizione, considerato che, in virtù della tecnica della novellazione utilizzata, l'entrata in vigore della disposizione potrebbe ritenersi riferita al alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 368, anziché alla data di entrata in vigore della legge di conversione. Pur facendo notare che sarebbe stato pertanto auspicabile inserire nel decreto-legge una norma ad hoc sull'entrata in vigore dell'articolo 4-bis del decreto legislativo n. 368 del 2001,introdotto dal decreto-legge in esame, ritiene che la soluzione migliore sarebbe stata comunque quella di eliminare qualsiasi riferimento alla clausola dell'indennizzo ed abrogare il comma 1-bis dell'articolo 21, che ritiene in contrasto con la direttiva del Consiglio dell'Unione europea n. 70, emessa il 28 giugno 1999, in base alla quale si esclude la possibilità del peggioramento delle condizioni dei lavoratori precari.
Infine, dopo aver preannunciato voto contrario alla proposta di parere formulata dal relatore, formula, anche a nome dell'onorevole Paladini, una proposta di parere alternativa (vedi allegato 2).

Massimiliano FEDRIGA (LNP) preannuncia voto favorevole del suo gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore, ritenendo che il provvedimento in esame ristabilisca un principio di equità tra lavoratori italiani e lavoratori extracomunitari. A tale riguardo si dichiara contrario alla condizione di numerosi extracomunitari sessantacinquenni che, giungendo in Italia, vantano solo per il requisito anagrafico un diritto all'assegno sociale.
Esprime infine apprezzamento per la disposizione di cui all'articolo 21 che consente di ristabilire equità soprattutto nelle pubbliche amministrazioni dove le assunzioni a tempo determinato non possono e non devono produrre alcun diritto all'assunzione a tempo indeterminato, stante la regola costituzionale del pubblico concorso.

Giuliano CAZZOLA (PdL), presidente e relatore, pur riconoscendo l'esistenza di errori nel testo del decreto-legge a cui ritiene abbiano concorso in tanti, sottolinea come alle correzioni di quegli errori abbiano contribuito ugualmente diversi attori.
Precisa che la formulazione della disposizione in materia di assegno sociale licenziata dalla Camera dei deputati non avrebbe prodotto - come indicato dall'onorevole Damiano - l'eliminazione di circa 800.000 assegni sociali in erogazione, ma l'eliminazione di un numero decisamente inferiore degli setssi, considerato che gran parte degli 800.000 titolari in questione sono in possesso dei requisiti previsti dalla formulazione della norma licenziata dalla Camera.
Con riferimento alla questione dell'indennizzo in luogo della reintegra nel posto di lavoro, che riguarderebbe i lavoratori delle Poste italiane s.p.a., richiama l'attenzione sull'intervento del precedente Governo che, in analogia con quanto disposto dal decreto-legge per i lavoratori delle

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Poste, era intervenuto sul contenzioso dei transfrontalieri italo-svizzeri in considerazione degli effetti economici che sarebbero derivati dal contenzioso medesimo.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole con osservazioni formulata dal relatore, risultando così preclusa la votazione sulla proposta di parere alternativa presentata dagli onorevoli Damiano e Paladini.

La seduta termina alle 9.50.