CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 24 luglio 2008
42.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Giovedì 24 luglio 2008. - Presidenza del presidente Stefano STEFANI. - Interviene il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Alfredo Mantica.

La seduta comincia alle 9.05.

Ratifica del Trattato di Lisbona.
C. 1519 Governo, approvato dal Senato.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in titolo.

Stefano STEFANI, presidente, ricorda che la convocazione odierna della Commissione è stata concordata nel corso della riunione di ieri dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, al fine di consentire il rispetto del calendario dei lavori dell'Assemblea, che prevede l'approvazione del provvedimento in titolo entro la fine della prossima settimana. Segnala quindi che la Commissione potrà svolgere oggi l'esame preliminare per garantire alle Commissioni competenti in sede consultiva tempi congrui per l'espressione del relativo parere.
Ricorda altresì che la Commissione ha già svolto un'attività conoscitiva predeterminata all'esame del disegno di legge di ratifica in titolo, procedendo all'audizione del Ministro degli affari esteri in vista del Consiglio europeo dello scorso 19 giugno, del presidente della Commissione europea, nonché del professor Giuseppe Guarino. Fa presente che è prevista per la prossima settimana l'audizione del professor Giuliano Amato.
Infine, avverte che, come di consueto per i disegni di legge di ratifica, il termine per l'eventuale presentazione di emendamenti sarà fissato solo su richiesta.

Giorgio LA MALFA (PdL), relatore, illustra il provvedimento in esame, sottolineando l'esigenza di procedere rapidamente alla luce della larga condivisione delle forze politiche - tanto che il Senato ha votato ieri all'unanimità - e degli impegni assunti in sede europea, confermati in occasione della recente visita del presidente della Commissione europea. Rileva, però, al contempo, l'importanza e la complessità della materia, che comporta

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comunque l'esigenza di un'analisi approfondita. Prima di soffermarsi sui contenuti principali del Trattato e sulle prospettive inerenti la sua ratifica, ritiene opportuno riepilogarne le origini. Infatti, è da ormai venti anni che si pone la questione di un rafforzamento delle istituzioni europee e della loro democraticità, da quando cioè si è profilata l'unione monetaria da accompagnarsi a quella politica. Osserva, a tale proposito, che le pronunce referendarie negative intercorse si riallacciano proprio ad un sentimento di lontananza dei cittadini dalle istituzioni. Ricorda che, a seguito del Consiglio europeo di Strasburgo del dicembre 1989, mentre si sviluppò il progetto dell'unione monetaria sino al Trattato di Maastricht, fu meno soddisfacente l'esito dell'unione politica, determinando una doppia velocità che si è aggravata con l'allargamento a cui non ha corrisposto - nonostante l'impegno di Jacques Delors - un analogo approfondimento. Come noto, le questioni irrisolte a Maastricht, dalla limitazione della regola dell'unanimità ai meccanismi di voto riduttivi della minoranza di blocco, ma anche ai rapporti tra l'Unione europea e gli Stati membri, non sono stati sciolti né ad Amsterdam, né a Nizza. Si fece allora ricorso alla nuova formula di far precedere la Conferenza intergovernativa da una Convenzione, aperta alla rappresentanza parlamentare secondo la Dichiarazione di Laeken. Come noto, ne è venuto fuori il Trattato siglato a Roma nell'ottobre 2004, che adottava una Costituzione per l'Europa.
A suo avviso, quel trattato, rigettato dai referendum francese ed olandese nel 2005, conteneva erroneamente nel titolo la parola «costituzione», troppo ambiziosa rispetto allo stato dell'opinione pubblica europea. In tale ottica, tuttavia, non appare condivisibile l'atteggiamento minimalistico, ribadito nella recente audizione dallo stesso presidente Barroso a proposito del voto irlandese, liquidato come un incidente di percorso. Resta invece da approfondire l'insoddisfazione nei confronti della costruzione europea che circola in tutto il continente e si manifesta ovviamente più nei referendum che nelle aule parlamentari. Si esprime pertanto in senso assolutamente contrario all'ipotesi che in futuro la via referendaria sia esclusa, perché non si può rifiutare il giudizio diretto dei cittadini.
Passa, quindi, ad illustrare la struttura del Trattato di Lisbona, concordata dopo la prevista pausa di riflessione dal Consiglio europeo di Berlino nel giugno 2007, che adotta il metodo dell'emendamento dei trattati vigenti, razionalizzandoli. In tal modo, mentre il Trattato sull'Unione europea (TUE), come emendato, si concentra sui principi fondamentali, i diritti dei cittadini e le istituzioni assumendo sostanzialmente i caratteri dell'auspicata costituzione europea, tutta la materia delle politiche comunitarie è riassunta nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), in cui confluiscono i trattati istitutivi delle Comunità. In dettaglio, l'articolo 1 del Trattato di Lisbona riscrive il TUE in 55 articoli e l'articolo 2 riassume il TFUE in 358 articoli; gli articoli da 3 a 7 contemplano norme transitorie ed applicative.
Si sofferma, poi, sul preambolo del TUE relativamente alla questione a lungo dibattuta dell'identità dell'Europa, giudicando equilibrata e convincente la formulazione adottata sull'ispirazione delle eredità culturali, religiose ed umanistiche dell'Europa. Del TFUE, richiama l'articolo 2B in cui si esplica lo sforzo di individuazione delle materie di competenza esclusiva, concorrente ovvero di mero coordinamento.
Evidenzia quindi gli elementi venuti meno rispetto al trattato costituzionale: la parola «costituzione», l'inno, la bandiera, l'esplicitazione della supremazia del diritto comunitario (sostanzialmente però già vigente sulla base della giurisprudenza, secondo l'interpretazione affermatasi anche per il particolare impulso del giurista italiano Federico Mancini), la nuova terminologia degli atti legislativi, la Carta dei diritti fondamentali (di cui resta però un richiamo per relationem). Tra gli elementi invece mantenuti, sottolinea il rilievo dell'affermazione dei principi fondamentali

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del federalismo, che potrebbero essere d'esempio anche a livello nazionale: attribuzione, sussidiarietà, proporzionalità. Esprime particolare apprezzamento per il ruolo riconosciuto ai Parlamenti nazionali nel processo legislativo, al fine di attenuare il deficit democratico che blocca il cammino dei popoli verso l'Europa. Riferendosi alla dichiarazione del presidente Barroso per cui la Commissione ha già avviato la relativa procedura informativa, lamenta che, secondo i dati forniti, il Parlamento italiano ne avrebbe fatto uso in soli due casi su 250, auspicando una maggiore attenzione al riguardo. Tra gli elementi di novità, include anche la previsione del diritto di recesso, mentre invece non è contemplato alcun meccanismo di esclusione.
Illustra, quindi, i principali aspetti istituzionali, a partire dalla distinzione del Consiglio europeo come organo separato e dalla nomina di un suo presidente per un mandato di due anni e mezzo. Manifesta dubbi al riguardo per il rischio di conflittualità con la Commissione europea che, almeno nei propositi dei padri fondatori dell'Europa, avrebbe dovuto essere l'asse di governo. Non sembrerebbe, tuttavia, impossibile una coincidenza nella stessa persona della presidenza sia del Consiglio europeo che della Commissione. Sia pure con il titolo di alto rappresentante, segnala l'introduzione di una sorta di ministro degli esteri europeo, pur limitata dal fatto che nella politica estera è rimasta la regola dell'unanimità che invece è stata in molti altri campi ristretta. Fa, quindi, riferimento, al nuovo sistema di voto, volto a ridurre la minoranza di blocco prevista a Nizza, sulla base della doppia maggioranza del 55 per cento degli Stati e del 65 per cento della popolazione.
Si sofferma, inoltre, sulla funzione che nel nuovo quadro avranno i partiti politici europei, decisivi per il passaggio dal modello confederale a quello federale. La democrazia europea, infatti, non potrà nascere se non su un principio politico-elettivo, per cui dovrebbero essere direttamente i cittadini ad eleggere il presidente della Commissione oppure il presidente del Consiglio europeo. Il punto di fondo dell'attuale crisi europea sta proprio nella domanda di partecipazione inevasa dei cittadini europei che, rendendosi ormai conto del fatto che il loro futuro si stabilisce in sede europea, si sentono tagliati fuori dal circuito decisionale. Occorre pertanto promuovere un sistema politico europeo come base per la democrazia europea, altrimenti sarà sempre maggiore la richiesta di un ridimensionamento dei poteri dell'Unione.
Conclusivamente, si esprime per la tempestiva ratifica da parte italiana, considerando il Trattato di Lisbona comunque un passo avanti, molto positivo anche se insufficiente, dal momento che le riserve riguarderebbero più quel che non c'è di quel che c'è. Manifesta però forti perplessità sull'esito complessivo del Trattato, ritenendo problematico il ritorno degli irlandesi alle urne, in cui si potrebbe peraltro rischiare un secondo voto contrario. Nella certezza, quindi, che occorrerà molto più tempo del previsto per l'eventuale attuazione del Trattato, che certo non potrà coincidere con le prossime elezioni europee, si dice sicuro del fatto che l'Unione europea possa comunque andare avanti tranquillamente sulla base delle norme vigenti, per cui non è a suo avviso il caso di farne una tragedia, quanto piuttosto tentare di convincere cechi, polacchi ed irlandesi a completare la ratifica senza inutili pressioni.

Il sottosegretario Alfredo MANTICA ringrazia il relatore per l'esauriente esposizione che integra al solo fine di segnalare che ad oggi il Trattato di Lisbona è stato ratificato da ventidue Stati membri dell'Unione europea. Richiamando la preoccupazione per le esitazioni della Repubblica Ceca e anche alla luce dell'ampio dibattito svoltosi al Senato nel corso della seduta di ieri e conclusosi con un voto all'unanimità, sottolinea l'urgenza che l'Italia, in qualità di Paese fondatore dell'Unione europea, proceda alla ratifica del Trattato prima della conclusione della pausa estiva dei lavori parlamentari.

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Stefano STEFANI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 10.

SEDE REFERENTE

Giovedì 24 luglio 2008. - Presidenza del presidente Stefano STEFANI. - Interviene il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Alfredo Mantica.

La seduta comincia alle 15.50.

Ratifica del Trattato di Lisbona
C. 1519 Governo, approvato dal Senato

(Seguito esame e rinvio).

La Commissione riprende l'esame del provvedimento in titolo, rinviato nella seduta antimeridiana.

Enrico PIANETTA (PdL), rinviando all'intervento del relatore per le considerazioni di merito, osserva che il Trattato di Lisbona è meno ambizioso e più complesso rispetto al cosiddetto Trattato costituzionale, già approvato dal Parlamento italiano nella XIV legislatura. Ricorda, quale elemento positivo, il mantenimento delle disposizioni relative alla personalità giuridica dell'UE e il quadro fatto di luci e ombre per quanto concerne la politica estera europea, malgrado la rilevanza di un Alto Rappresentante che sarà al contempo vicepresidente della Commissione europea. Segnala gli aspetti problematici connessi ai contenuti delle dichiarazioni, peraltro non vincolanti, allegate al testo dei trattati, soprattutto nei casi in cui esse prevedono delle esenzioni ed esprimono orientamenti significativi quali quelle relative al seggio europeo presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. È importante richiamare la novità di un Parlamento europeo chiamato ad eleggere il presidente della Commissione europea e, per quanto riguarda la materia delle difesa, dell'estensione del novero delle missioni che l'Unione europea potrà porre in essere e delle cooperazioni strutturate permanenti nelle quali è auspicabile che l'Italia abbia un ruolo rilevante in futuro. In generale, ritiene preoccupante la percezione da parte dei cittadini di un'Europa considerata lontana e burocratica, mentre invece sarebbe chiamata ad occuparsi di questioni vitali per il continente e per i singoli. Le rilevazioni effettuate dall'Eurobarometro, che testimoniano una profonda indifferenza e scetticismo verso il processo di integrazione, devono ulteriormente indurre ad avviare un dibattito presso l'opinione pubblica per correggere tale tendenza e non vanificare il lavoro di coloro che credono profondamente nel processo di integrazione e l'attività dei Parlamenti impegnati nel processo di ratifica.

Alessandro MARAN (PD) esprimendo, a nome del suo gruppo, l'auspicio di una sollecita approvazione del disegno di legge in titolo, richiama le ragioni a favore di tale passo portate dal Ministro degli affari esteri nel corso della recente audizione svolta davanti alle Commissioni esteri di Camera e Senato. Esprime il dubbio che tali ragioni siano condivise da tutte le forze politiche della maggioranza di governo. A suo avviso, la questione politica è rappresentata dalla rapidità del processo di ratifica al fine di confermare nei fatti gli impegni assunti dal nostro Paese e di risolvere con successo l'impasse derivante dal referendum irlandese, fornendo una risposta coesa ai Paesi che ancora non hanno ratificato il Trattato. Ricorda che l'Italia è tenuta ad una sollecita ratifica non solo in quanto Paese fondatore ma per i notevoli vantaggi di cui ha goduto in ragione della propria appartenenza al consesso europeo, a partire dai profondi cambiamenti dell'economia italiana e dal ruolo positivo che l'euro ha svolto nella riduzione degli effetti negativi derivanti dalle crisi finanziarie internazionali. Sottolinea che la ratifica del Trattato consente inoltre all'Italia di entrare a pieno a titolo a far parte di un'avanguardia europea nei settori

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strategici. Il Trattato in esame comporta innegabili progressi - nei meccanismi decisionali, nella istituzione di fatto di un ministro degli esteri, nel rafforzamento della politica di difesa, nel ruolo dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo - e rappresenta in pratica una costituzione, malgrado non sia stato denominato in tal modo: il Trattato offre altresì la base giuridica per l'azionabilità di taluni diritti, richiamati nella Carta di Nizza. Nello sdoppiamento della struttura dei trattati europei, di cui ha dato conto il relatore, si intravvede poi una sorta di primo ordine costituzionale che distingue tra legge fondamentale e leggi ordinarie relative alle singole politiche, cui corrisponde una diversa procedura di revisione, semplificata nel caso delle politiche di settore. Per quanto concerne le note obiezioni sul deficit democratico di cui soffre l'Europa, rileva il paradosso di una netta minoranza di cittadini europei, pari a circa lo 0,2 per cento, cui è stato affidato un potere di veto arrestando un processo largamente condiviso. Per quanto riguarda l'Eurobarometro, a fronte dei dati negativi che sono sistematicamente richiamati, sottolinea che non vi sono dati significativi sulla percentuale di cittadini che auspicano l'uscita del proprio Paese dall'Unione europea.
Rileva che all'origine del difetto di popolarità di cui soffre l'Europa c'è piuttosto la debole legittimazione dei capi di Stato e di Governo europei, non sempre in grado di mantenere posizioni coerenti in sede europea e in sede nazionale. Un ulteriore difetto è rappresentato dalla disattenzione sui problemi che spaventano l'opinione pubblica europea, come la precarietà del lavoro, le questioni della sicurezza, dell'immigrazione, dell'ambiente nonché dalla eccessiva propensione al compromesso su tali temi. Sottolinea altresì che il voto irlandese riflette in modo netto i diversi gruppi sociali e suggerisce la necessità di non dimenticare le fasce più deboli della società europea. Il nodo da affrontare è la sfiducia e la diffidenza dei cittadini attraverso l'empowerment, ovvero il rafforzamento della capacità decisionale dei leader europei, non escludendo in futuro una riflessione sulla loro possibile elezione diretta.

Marco ZACCHERA (PdL) nel considerare la ratifica del Trattato di Lisbona una sorta di atto dovuto per l'impegno preso dall'Italia nei confronti degli altri Stati membri dell'Unione europea, richiama le considerazioni svolte dal professor Guarino, recentemente audito dalla Commissione, circa talune leggerezze che hanno caratterizzato la sigla del Trattato da parte dei rappresentanti italiani per quanto concerne la tutela dei nostri interessi nazionali. Sottolinea che l'Europa appare spesso «matrigna» nella considerazione dei cittadini in quanto la classe politica nazionale se ne cura poco. Sottolinea quindi la necessità di una sollecita approvazione del disegno di legge, auspicando però che il Governo si impegni a meglio tutelare gli interessi italiani nella fase successiva all'entrata in vigore del Trattato. In generale, ribadisce la necessità di meglio valutare l'impatto politico di ogni forma di cessione di sovranità.

Francesco TEMPESTINI (PD) condivide la valutazione del collega Maran sull'importanza di una celere ratifica del Trattato e osserva che le attuali difficoltà sul piano della governance europea offrono l'occasione per sgombrare il terreno dalla cosiddetta «euroretorica» e per affrontare i temi reali. Occorre registrare i cambiamenti profondi dello scenario internazionale di questi ultimi anni con particolare attenzione al processo di globalizzazione, che ha interagito e reso più difficoltoso il poderoso trasferimento di sovranità tra livello nazionale ed europeo. Le difficoltà del presente nascono da questa sovrapposizione di trasformazioni epocali, avvenute senza un contestuale e adeguato rafforzamento delle istituzioni europee. Per tali ragioni, una convinta ratifica da parte del Parlamento italiano può rappresentare un passo significativo per il processo di integrazione, in quanto aiuta i Paesi membri a «fare squadra» davanti alle nuove sfide. Sottolinea che il rifiuto dell'Europa è stato

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determinato dal prevalere di localismi che non sono riusciti ad avere la meglio sulla realtà della globalizzazione. In generale, rileva che il travagliato percorso europeo di questi anni non si risolve riducendo le prerogative e i poteri dell'Unione europea; occorre invece forzare il più possibile la dimensione politica del Trattato ai fini di un rafforzamento della governance e dell'apertura di una sessione di approfondimento dopo la lunga fase di allargamento. Nel ricordare che l'allargamento ha rappresentato una risposta necessitata da parte dell'Europa dopo il crollo del Muro di Berlino, osserva che a questo punto occorre lavorare sul raccordo tra politica monetaria e politica di bilancio europea, cioè tra patto di stabilità e patto per la crescita, sui quali la discussione è del tutto aperta.

Guglielmo PICCHI (PdL), nell'esprimere pieno appoggio ad un celere iter di ratifica del Trattato, sottolinea che ciò che manca nel suo testo sono i cittadini europei: il Trattato è complesso e lontano dalla vita degli europei, che non padroneggiano le nozioni fondamentali relative alle istituzioni e ai meccanismi di funzionamento dell'Europa. Tale circostanza spiega in parte l'esito dei referendum che si sono avvicendati tra il 2005 e il 2008. Tuttavia, osserva che il Trattato rappresenta un passo in avanti, che contribuisce a sbloccare l'impasse istituzionale. Al riguardo, rileva che l'Italia giunge con un notevole ritardo all'appuntamento della ratifica e questo conferma una certa ambiguità che contraddistingue l'operato del nostro Paese a livello europeo anche per quanto concerne la coerenza nella tutela degli interessi nazionali. In conclusione, auspica che i governi europei, e in particolare il Governo italiano, dedichino nell'immediato futuro uno sforzo speciale alla comunicazione ed informazione dei cittadini sul progetto europeo.

Lapo PISTELLI (PD), richiamando la tendenza del nostro Paese incline a processi di ratifica ritardati e quindi frettolosi, rileva che il Trattato di Lisbona deve essere valutato nel contesto dei rapporti tra il nostro Paese e gli altri Stati europei e rispetto alla generale fase internazionale. Procedendo in una sorta di riflessione sul contesto generale, al di là degli aspetti di mera competenza legislativa, parallelamente a quella svolta di recente dal Ministro dell'economia e delle finanze in Assemblea, sottolinea che la globalizzazione ha modificato i rapporti di forza di natura economica, sociale e anche simbolica tra le diverse aree del mondo. Si è assistito ad un profondo trasferimento di poteri che l'Italia paga ad un prezzo elevatissimo sul piano della percezione di sé: nell'arco di vent'anni siamo passati da una impostazione per cui l'Italia riteneva di essere un grande Paese in un mondo piccolo ad una percezione di sé come Paese piccolo in un mondo all'improvviso grande in cui il cosiddetto Sud è composto da giganti economici quali la Cina, l'India, il Sudafrica e pure la Nigeria. Anche l'Europa è diventata un soggetto molto più grande e complesso di quel nucleo di Paesi fondatori che si accordarono all'indomani del secondo conflitto mondiale. Sarebbe positivo che questa nuova Europa rappresentasse una parte della soluzione per il nostro Paese e per i cittadini europei in quanto prima vera risposta sul piano della governance continentale al fine di essere meno marginali. Segnala invece il paradosso che vede alcuni popoli europei reagire chiudendo la porta all'unico alleato e pensando di potere affrontare da soli il confronto con l'esterno e il trasferimento di poteri che si è prodotto tra le aree del pianeta. Il paradosso ha alla base una visione deformata dei grandi movimenti demografici, con i loro riflessi sul piano dei flussi migratori, un gioco al rimbalzo delle responsabilità tra livelli regionale, nazionale ed europeo, per cui si trasferisce all'Europa il peso dei problemi irrisolti ai livelli più bassi, oltre alla questione della «eurocrazia», che è nei fatti numericamente inferiore a quella della sola regione Lombardia. Si tratta di equivoci che rimandano ad una «bolla» fatta di cattiva informazione, che ingigantisce e deforma le questioni. Al riguardo, rileva che i

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responsabili di tale errore di comunicazione sono proprio coloro che dovrebbero promuovere l'Europa, ovvero i Governi che almeno in questa fase conservano un ruolo prevalente, data la struttura fondamentalmente intergovernativa della decisione europea. Sottolinea che, almeno fino agli anni novanta, l'Europa rappresentava quasi un mero programma di adeguamento tecnico. L'avvento dell'euro, contrariamente a quanti hanno voluto considerarlo un episodio di tal genere, ha avuto una forte carica identitaria, se si pensa al significato che il marco o la sterlina hanno avuto o hanno per i tedeschi o gli inglesi.
Alla luce di queste considerazioni, rileva che la politica si deve fare carico per intero di tale situazione accettando il fallimento della contestualità tra allargamento e approfondimento, considerato che ad oggi solo il primo elemento di tale binomio è stato affrontato. Peraltro, il necessario allargamento verso Est ha posto questioni delicate anche sul piano identitario che hanno ulteriormente complicato la questione. Condividendo le considerazioni del collega Maran sulla necessità di scoraggiare minoranze di blocco nell'iter di ratifica, esprime perplessità per un processo che è stato avviato partendo da una forte domanda posta a livello europeo e che si è concluso invece con una risposta affidata ai singoli Stati. Peraltro, in tale passaggio non si è potuto evitare che i cittadini cogliessero l'opportunità del quesito europeo per punire i proprio governi per questioni meramente interne.
Dissente in modo profondo da chi ritiene che il referendum quale strumento di democrazia diretta abbia una carica democratica superiore ai Parlamenti regolarmente eletti, a meno che non si voglia mettere in discussione il principio della democrazia rappresentativa. Ritiene semmai che si sarebbe potuto prendere in considerazione un referendum europeo adottando il criterio della doppia maggioranza degli Stati e dei popoli. Condivide le osservazioni del collega Tempestini sul contesto internazionale rilevando che i grandi eventi, a partire dall'attentato alle Torri Gemelle, hanno portato al massimo livello le paure dei cittadini proprio nel momento di svolta per l'Europa.
Ritiene che sia a questo punto in gioco il messaggio che si lancia all'opinione pubblica, che per decidere non deve necessariamente conoscere i contenuti tecnici del Trattato così come non si può condizionare il sentirsi italiani alla perfetta conoscenza della Costituzione italiana. A conferma di questo, sottolinea che coloro che hanno lavorato contro il Trattato di Lisbona non hanno aggredito gli aspetti normativi o tecnici ma hanno posto questioni di tipo emotivo, relative ai simboli dell'Europa. Peraltro, l'Europa non è davvero mai riuscita a divenire quel super-Stato che gli euroscettici temono, semmai il contrario, e le risposte che costoro hanno fornito afferivano ad un falso sovranismo, inadeguato ad avere la meglio sul processo di globalizzazione. Allo stesso modo, chi ha contestato il deficit di socialità nel progetto europeo, manifestando costante insoddisfazione, di fatto non ha ottenuto alcun successo se non danneggiare il lavoro positivo che si stava compiendo.
Sottolinea quindi la necessità di procedere ad una celere ratifica per inviare il segnale migliore a Paesi come l'Irlanda e la Repubblica Ceca, che peraltro dovrebbe assumere la presidenza dell'Unione europea partire dal gennaio del 2009. Segnala la mancata occasione legata all'avvento di una nuova fase nella politica americana, dopo il doppio mandato del presidente Bush, che ben si sarebbe potuta accompagnare ad un rinnovamento della governance europea.
Infine, esprime rammarico per la tendenza dei cittadini europei a svalutare il progetto europeo a fronte del valore positivo che ad esso viene riconosciuto in continenti, come l'Asia e l'Africa, che sono segnati da conflitti e questioni che l'Europa ha permesso di superare da tempo. Auspica, in conclusione, che le elezioni del Parlamento europeo costituiscano un'occasione per rinsaldare il contatto con i

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cittadini su tale tema e per spiegare nei giusti termini l'Europa che abbiamo davanti.

Paolo CORSINI (PD) esprime apprezzamento per la relazione del collega La Malfa, in particolare per quanto riguarda la sua struttura tripartita. Concordando con la maggior parte delle valutazioni espresse dai colleghi Maran e Pistelli, sottolinea che l'esame del provvedimento in titolo consente una riflessione complessiva sul progetto europeo e sulle prospettive, al di là degli aspetti meramente giuridici. Osserva che il progetto di un'Europa federale, dal 2005 ad oggi, ha pagato lo scotto di una mancanza di respiro non solo a causa dei referendum ma anche per le gravi dichiarazioni rilasciate da capi di Stato, come quello polacco o ceco, giunte addirittura a postulare la morte del Trattato. Sottolinea che si sono registrate contraddizioni e perplessità tra gli esponenti delle forze politiche della maggioranza di Governo, che solo in questi ultimi giorni è stato possibile superare. Osserva che vi sono diversi fattori che hanno determinato il distacco tra l'Europa e i suoi cittadini, tra cui il carattere etereo e sfuggente dell'identità europea e i gravosi oneri di funzionamento di un'Europa a ventisette. Il presente dibattito rappresenta, a suo modo di vedere, un'occasione da cogliere per rinnovare una volontà politica forte, nel segno di quanto affermato dal Presidente della Repubblica in un suo recente appello «al coraggio e alla fantasia» nel rilanciare il progetto federalista europeo. Vi sono limiti e vincoli da considerare, rappresentati dalle resistenze da parte degli Stati alla cessione di quote di sovranità, mentre si deve affrontare il fantasma del populismo, alimentato da nazionalismi e regionalismi che impediscono l'avverarsi degli «Stati Uniti d'Europa».
A coloro che hanno accolto con sorpresa l'esito del voto irlandese, in considerazione degli enormi benefici goduti dall'Irlanda con il suo ingresso nell'Unione, risponde segnalando che c'è una crisi di tipo generale, legata alle conseguenze del processo di globalizzazione, per cui le ratifiche da parte di tutti i Parlamenti, e quindi anche dell'Italia, assumono un valore che può essere decisivo. Considerato il ruolo pedagogico e propositivo che le élites politiche sono tenute a svolgere, insiste sulla necessità di un voto a larga maggioranza per correggere le distorsioni legate al populismo, che hanno attribuito all'Europa, e all'euro, la responsabilità per la diminuzione del potere d'acquisto dei redditi, per la precarietà del lavoro, connessa ai complessi processi di delocalizzazione, per i vincoli normativi, il peso della burocrazia, i fenomeni migratori e le loro implicazioni sulla sicurezza. Su tali temi l'Europa è apparsa pavida e insufficiente per cui occorre chiarire se il quadro a tinte fosche è veritiero o il frutto di suggestioni e proiezioni soggettive. Si tratta di un percorso complesso, che deve fare i conti con la crisi dell'ideale dell'integrazione e con il ruolo giocato dalle potenze cosiddette emergenti. Se il Trattato di Lisbona ha le potenzialità per rispondere a questi dilemmi, i Governi si devono impegnare per agire collettivamente nell'obiettivo di un'Europa massima, non minima. Il nodo di fondo da affrontare è la democrazia europea e dunque il deficit di legittimazione delle istituzioni europee, di cui si parla peraltro da quasi vent'anni. A fronte della reazione di chiusura e spaesamento manifestata dai cittadini irlandesi, occorre partire dal Trattato di Lisbona che è riuscito a risolvere l'annosa questione sulle radici dell'identità europea. Nel richiamare i risultati positivi raggiunti sul piano delle novità istituzionali, anche per quanto concerne la politica estera, sottolinea la necessità di risolvere il distacco tra istituzioni europee e cittadini, procedendo ad una rapida ratifica senza tuttavia trascurare i malumori che hanno determinato il no irlandese. Infine, auspica un convinto rilancio dell'impostazione federalista a fronte dell'attuale assetto intergovernativo.

Gianpaolo DOZZO (LNP), nel domandarsi le ragioni del sentimento negativo dell'opinione pubblica europea, segnala il troppo rapido allargamento dell'Unione e

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l'eccessiva velocità dell'adozione della moneta unica. Dubita che si tratti solo di una cattiva comunicazione oppure di un atteggiamento populistico, ritenendo che vi siano invece connesse pesanti realtà testimoniate dall'impatto devastante della regolamentazione di alcuni settori come quello agricolo. A tale proposito, ritiene che l'Europa abbia divulgato il negativo messaggio che i terreni incolti avrebbero fruttato fondi comunitari. Ricorda altresì la protesta che ha suscitato in Francia la direttiva Bolkenstein. Invita a non sottovalutare l'esito del referendum irlandese ed a considerarlo invece l'indicatore dell'insoddisfazione verso l'attuale modello prevalente dell'Europa e soprattutto verso un suo ulteriore allargamento, che comprometterebbe la percezione dell'identità continentale come ci è stata tramandata. Poiché il Trattato di Lisbona, non risponde a tali questioni, ritiene errato caricarne l'approvazione di speranze esagerate, anche perché sussistono dubbi non solo per l'Irlanda, ma anche per la Repubblica ceca, essendo ben noto l'orientamento del presidente Klaus. Altrimenti, a suo avviso, non si fa che lavorare per rendere inevitabile la cosiddetta Europa a geometria variabile. Ribadisce infine la contrarietà del suo gruppo all'impostazione prevalente in sede europea, che ha fatto il suo tempo, per cui si può anche procedere alla ratifica del provvedimento in esame, senza però che si sia fatto alcun passo avanti sulla strada che è invece essenziale dell'Europa delle regioni e dei popoli.

Margherita BONIVER (PdL), pur considerando ovvia ed improcrastinabile la ratifica del Trattato di Lisbona, ritiene che, dopo la terza bocciatura referendaria, si debba prendere atto che l'Unione europea è giunta alle sue estreme conseguenze per cui occorre un radicale cambiamento di visione. Fare finta di nulla sarebbe perverso e pernicioso. Ricorda i vantaggi dell'allargamento dell'UE e la positività dell'integrazione europea come modello per gli altri continenti, ma ne contesta la farraginosità istituzionale. Un errore irreparabile sarebbe anche andare verso un'Europa à la carte, come paventato dallo stesso presidente Barroso nella recente audizione.
Rifacendosi all'intervento del collega Corsini, rileva come le risposte dell'Unione risultino ancora insufficienti rispetto ai problemi dei suoi cittadini, come il carovita e il declino economico. Al riguardo, si chiede quale responsabilità democratica sia esercitata dalla BCE. Segnala, conclusivamente, la necessità di fare ogni sforzo per avvicinare le istituzioni ai cittadini europei.

Furio COLOMBO (PD) chiede al rappresentante del Governo ed al relatore in che termini possa considerarsi compatibile con i diritti sanciti nel Trattato di Lisbona la recente introduzione in Italia dell'aggravante della clandestinità che incide non su una fattispecie penale, ma su una caratteristica personale ed esistenziale, configurando un capriccioso arbitrio oltre che un'estrema anomalia giuridica.

Il sottosegretario Alfredo MANTICA, prendendo spunto dai rilievi critici espressi nei confronti della maggioranza dai deputati Pistelli e Corsini, ricorda che l'Europa comunitaria è nata dall'incrocio della cultura popolare e della cultura federalista e che è sempre progredita quando le due culture si sono ritrovate, mentre oggi sembrano essere distanti, come ha evidenziato il dibattito di ieri al Senato e di oggi alla Camera.
Prendendo ad esempio la protesta di tutte le associazioni sportive contro l'indiscriminata applicazione della libera concorrenza, che rischia di impedire l'affermazione di atleti europei, denuncia il pericolo che l'Unione appaia ai suoi cittadini solo in termini punitivi. Non si nasconde che tale atteggiamento risente di una prevalenza culturale nordica e calvinista, che non sempre viene compresa nei paesi di matrice cattolica. Al riguardo, segnala che tra le motivazioni del no irlandese i sondaggi hanno evidenziato anche la difficoltà di accettare le visioni della famiglia che paiono prevalenti in Europa, indipendentemente dal fatto che

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la materia sarebbe comunque riservata alla legislazione nazionale. Lamenta, quindi, la scarsa attenzione data alla diversità in seno all'Unione, contestando la tendenza all'omogeneizzazione ma non volendo riaprire il dibattito sulle radici cristiane. Ribadisce comunque l'esigenza di fissare i confini identitari dell'Europa. Non condivide poi la spiegazione della deriva populista data dal deputato Corsini, poiché la percezione pubblica dell'impoverimento per colpa dell'euro resta un problema, a prescindere dal reale nesso di causalità. Considera comunque un importante successo l'approvazione unanime che il Senato ha riservato ieri al provvedimento in esame.
Replicando al deputato Colombo, invita a non ricorrere strumentalmente per fini politici interni ai temi europei. Segnala che l'immigrazione clandestina non è un problema solo italiano e che gli altri Stati hanno nella loro autonomia preso le misure necessarie, lamentando che solo di recente anche i Paesi nordici sembrano averne colto la portata. Conclude nel senso di escludere che la norma citata avvicini o allontani l'Italia dall'Europa.

Giorgio LA MALFA (PdL), relatore, ringrazia i colleghi per aver animato un interessante dibattito caratterizzato dalla ricchezza dell'analisi, ma anche dalla semplicità dell'unanime conclusione nel senso favorevole alla ratifica del Trattato di Lisbona, seppure con diverse sfumature.
Con riferimento all'intervento del collega Colombo, dichiarando che avrebbe comunque preferito l'introduzione del reato e non dell'aggravante di clandestinità, segnala che al riguardo sussiste la duplice garanzia della Corte costituzionale e della Corte europea di giustizia, fermo restando che l'immigrazione clandestina rappresenta un problema per tutta l'UE.
Riprende, quindi, le considerazioni svolte sulla crisi del modello di integrazione europea nato nel secondo dopoguerra ed osserva che gli Stati nazionali si sono in realtà avvantaggiati dei risultati positivi conseguiti a livello comunitario per cui oggi si rivelano refrattari ad ulteriori cessioni di sovranità. Ritiene quindi che l'Europa do oggi non possa che procedere a passi stentati, salvo che non vi sia una maggiore capacità di leadership politica al suo vertice.
Per quanto osservato dalla collega Boniver, ricorda l'asimmetria tra la forza della BCE nella lotta all'inflazione e l'insufficiente impegno nella lotta per l'occupazione, stante l'assenza di un ministro europeo dell'economia. Rileva quindi la contraddittorietà del fatto che sono proprio le posizioni più critiche a rendere impossibili quegli sviluppi istituzionali che invece servirebbero a compensarle. Ma, riprendendo un'espressione che fu cara a Donato Menichella, fa presente che le carte con cui giocare la partita europea sono quelle che abbiamo in mano.

Stefano STEFANI, presidente, esprime vivo apprezzamento per la qualità del dibattito svoltosi. Nessun altro chiedendo di intervenire, avverte che si è concluso l'esame preliminare del disegno di legge, che sarà trasmesso alle Commissioni competenti in sede consultiva per l'espressione dei pareri. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 17.50.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

COMITATO PERMANENTE SUGLI ITALIANI ALL'ESTERO

Audizione del sottosegretario per gli affari esteri Alfredo Mantica sulle politiche per gli italiani all'estero.