CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 6 luglio 2017
850.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista (Nuovo testo C. 3343 Fiano).

PARERE APPROVATO

  La I Commissione,
   esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 3343 Fiano, recante «Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista»;
   rilevato che, quanto al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, l'intervento legislativo è ascrivibile alla materia «ordinamento penale», di competenza legislativa statale esclusiva in base all'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione;
   rilevato che l'articolo unico introduce nel codice penale, nell'ambito dei delitti contro la personalità interna dello Stato, il nuovo articolo 293-bis, che punisce – salvo che il fatto costituisca più grave reato – la propaganda del regime fascista e nazifascista;
   rilevato, in particolare, che il nuovo articolo 293-bis, al primo comma, stabilisce che salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni;
   rilevata l'opportunità di rendere la formulazione dell'articolo 293-bis più aderente al principio di determinatezza della fattispecie penale di cui all'articolo 25 della Costituzione, da un lato punendo la condotta di «chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti» – eliminando il termine «solo» che potrebbe generare incertezze –, e dall'altro riconducendo il richiamo pubblico della simbologia o gestualità del partito fascista o nazionalsocialista tedesco alla condotta di propaganda punita dalla disposizione in esame;
   ricordato che i reati la cui commissione è indice dell'adesione alle idee proprie del fascismo sono puniti ai sensi della cosiddetta legge Scelba (legge n. 645 del 1952) di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta, all'articolo 1, la «riorganizzazione del disciolto partito fascista»;
   ricordato, in particolare, che tale legge n. 645 del 1952 punisce la predetta riorganizzazione del partito fascista con la reclusione da cinque a dodici anni e la multa da 1.032 a 10.329 euro (per i promotori e organizzatori), dettando poi la disciplina dei reati di apologia (articolo 4) e manifestazioni fasciste (articolo 5);
   osservato, in particolare, che, in base alla legge n. 645 del 1952, costituisce apologia del fascismo (articolo 4) la propaganda per la costituzione di una associazione, Pag. 16di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità proprie del partito fascista (la pena prevista è la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da euro 206 a euro 516) e che la stessa pena è inflitta a chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche;
   rilevato che, analogamente, la legge n. 645 del 1952 punisce le manifestazioni fasciste (articolo 5) cioè il reato di chi, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste (la pena è quella della reclusione fino a tre anni e la multa da euro 206 a euro 516);
   rilevato inoltre che la legge 205 del 1993, di conversione del decreto-legge n. 122 del 1993 (nota come legge Mancino) punisce chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale ed etnico, istiga a commettere discriminazioni ovvero organizza movimenti che hanno tra i loro scopi quelli indicati o partecipa ad essi;
   rilevato, in particolare, che tale legge n. 205 del 1993, all'articolo 2, punisce con la pena della reclusione fino a tre anni e con la multa da 103 a 258 euro chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'articolo 3 della legge n. 654 del 1975 (gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi);
   osservato che in relazione al rapporto tra le disposizioni della legge Scelba e quelle della legge Mancino e, quindi, all'applicazione dell'una o dell'altra disciplina sanzionatoria a fattispecie analoghe, la Cassazione (sentenza n. 1475 del 1999) ha ritenuto le disposizioni della legge Mancino aventi carattere di sussidiarietà rispetto a quelle della precedente legge Scelba;
   osservato che la proposta di legge in esame – secondo quanto affermato nella relazione illustrativa – ha l'obiettivo « di delineare una nuova fattispecie che consenta di colpire solo alcune condotte che individualmente considerate sfuggono alle normative vigenti»;
   rilevato, in particolare, che la clausola di riserva, introdotta dalla Commissione in sede referente, «Salvo che il fatto costituisca più grave reato», prevista dall'articolo 1, capoverso Art. 293-bis, primo comma, della presente proposta, intende salvaguardare l'applicazione del più grave reato previsto dalla disciplina vigente;
   sottolineato, comunque, che andrebbe valutata l'opportunità di coordinare la nuova fattispecie di reato prevista dalla proposta di legge in esame con i reati già previsti dalla cosiddette leggi Scelba e Mancino, in quanto alcune condotte potrebbero risultare riconducibili a più fattispecie di reato, per le quasi sono stabilite pene in parte diverse e aggravanti differenziate,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   a) valuti la Commissione di merito l'opportunità, per le ragioni indicate in premessa, di riformulare l'articolo 293-bis, da un lato punendo la condotta di chiunque, salvo che il fatto costituisca più grave reato, «propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti», e dall'altro riconducendo anche il richiamo pubblico della simbologia o gestualità del partito fascista o nazionalsocialista tedesco alla condotta di propaganda punita dalla disposizione in esame;
   b) valuti la Commissione di merito l'opportunità di coordinare la nuova fattispecie di reato prevista dalla proposta di legge in esame con i reati già previsti dalle cosiddette leggi Scelba e Mancino.

Pag. 17

ALLEGATO 2

Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista (Nuovo testo C. 3343 Fiano).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

  La I Commissione,
   esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 3343 Fiano, recante «Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista»;
   rilevato che:
    la proposta di legge mira ad introdurre nel Codice Penale il nuovo «Reato di propaganda del regime «fascista e nazifascista», tenendo ferme le fattispecie di reato già delineate dalla cosiddetta «Legge Scelba» (legge n. 645 del 1952) dalla cosiddetta, «Legge Mancino» (decreto-legge n. 122 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 205 del 1993);
    scopo della norma è quello di ricondurre all'alveo del penalmente rilevante anche condotte meramente elogiative, o estemporanee che, pur non essendo volte alla riorganizzazione del disciolto partito fascista, siano chiara espressione della retorica di tale regime, o di quello nazionalsocialista tedesco;
    nelle suddette condotte viene ricompresa, oltre alla gestualità, anche la produzione, la distribuzione, la diffusione o vendita di beni raffiguranti immagini tipiche della simbologia fascista e nazifascista;
    secondo i proponenti del provvedimento la nuova fattispecie consentirebbe di colpire condotte che, individualmente considerate, possono sfuggire alle citate normative vigenti ed essere escluse dall'ambito sanzionatorio della citata legislazione, ciò anche in ragione di un non univoco orientamento giurisprudenziale;
    il provvedimento in esame si palesa quale sostanzialmente «liberticida»;
    a tale riguardo, si evidenzia come debbano acquisire rilevanza penale le sole condotte che risultino oggettivamente offensive, in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione. – si rammenta, infatti, che la Suprema Corte ha recentemente confermato che l'idoneità lesiva della condotta viene in rilievo solo in quanto realizzata nel corso di pubbliche riunioni o manifestazioni, non anche in un ambito privato e ciò ha correttamente determinato, ad esempio sulla punibilità «saluto romano», pronunciamenti da parte dei giudici di merito con sentenze di senso diverso a seconda dei casi, senza arbitrari automatismi;
    in particolare sono da sottolineare i profili di contrasto con i principi costituzionali dettati dagli articoli 21, 25 comma 2 e 117 della Costituzione. Plurimi sono stati gli interventi della Corte Costituzionale e consistente l'elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione in merito al perimetro di applicazione dei reati di apologia del fascismo e di manifestazioni fasciste. La compatibilità degli stessi con il principio di libera manifestazione del pensiero è stata più volte affermata in ragione del fatto che Pag. 18assumono rilievo penale esclusivamente quelle condotte poste in essere in condizioni di pubblicità tali da rappresentare un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione del partito fascista. Sul punto appare chiarissimo il limite delineato dalla Consulta, che ha affermato la compatibilità della fattispecie descritta dall'articolo 5 della legge n. 645 del 1952 («Legge Scelba») con la Costituzione proprio perché ciò che viene punito con tale norma non è la libera manifestazione del pensiero: «(...) una simile interpretazione della norma non si può ritenere conforme all'intenzione del legislatore, il quale, dichiarando espressamente di voler impedire la riorganizzazione del partito disciolto fascista, ha inteso vietare e punire non già una qualunque manifestazione del pensiero, tutelata dall'articolo 21 della Costituzione, bensì quelle manifestazioni usuali del disciolto partito che, come si è detto prima, possono determinare il pericolo che si è voluto evitare» (sentenza della Corte costituzionale n. 74 del 6 dicembre 1958; nello stesso senso la Corte Costituzionale si era già espressa l'anno precedente, in relazione all'articolo 4 della «Legge Scelba», con la sentenza n. 1 del 26 gennaio 1957);
    la relazione tra la condotta ed il concreto pericolo di riorganizzazione del partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria della Costituzione, rappresenta anche la garanzia del rispetto del principio di offensività della condotta stessa, sotteso al dettato del secondo comma dell'articolo 25 della Carta Costituzionale (cfr. sentenza della Corte costituzionale, n. 15 del 27 febbraio 1973). Non, dunque, la semplice manifestazione del pensiero, in forma meramente elogiativa, o attraverso gestualità tipica, come il saluto romano, ma attività in qualche modo prodromica e comunque) idonea a creare un concreto pericolo di ingenerare consensi ed adesione all'ideologia fascista e antidemocratica;
    nello stesso senso si è espressa, anche recentemente la Suprema Corte di Cassazione, chiarendo che: «Dunque non è la manifestazione esteriore in quanto tale ad essere oggetto di incriminazione, bensì il suo venire in essere in condizioni di pubblicità tali da rappresentare un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione, il che esclude ogni contrasto con gli invocati parametri costituzionali alla luce di quanto detto in precedenza»;
    la struttura della norma, privata della sua relazione con il pericolo concreto di riorganizzazione del partito fascista, si presenterebbe come una fattispecie di pura condotta dunque di pericolo presunto – e possiederebbe capacità applicativo-repressive indeterminabili;
    il riferimento a termini di significato non univoco, ovvero naturalmente portati ad essere estesi in via interpretativa – del tipo «propaganda», «ideologia», «simbologia», «gestualità» –, contiene, inoltre, in sé il rischio non residuale di un utilizzo «politico» dello strumento penale (tra l'altro, attivabile di ufficio);
    con particolare riferimento al concetto di «propaganda delle relative ideologie», è lecito domandarsi, se non si ampli in modo indiscriminato il raggio repressivo, solo si consideri che «l'ideologia» di un determinato periodo non si connota solo per gli aspetti ritenuti poi – in sede di giudizio storico – disvalorati (ad esempio: le leggi razziali, la politica coloniale e estera in particolare, le responsabilità relative al conflitto mondiale), ma anche per questioni di carattere filosofico, architettonico, storico, tout court culturale;
    in una prospettiva di diritto sovranazionale, l'esigenza di uno Stato democratico di garantire la propria esistenza, attraverso la repressione, anche penale, di condotte che la mettano in pericolo, è la ragione che consente, ai sensi degli articoli 10 e 11 CEDU, di limitare la libera manifestazione del pensiero e la libertà di associazione che della prima rappresenta la naturale conseguenza. Tuttavia l'ampliamento previsto dal provvedimento in Pag. 19titolo dell'area del penalmente rilevante anche a mere forme di manifestazione del pensiero e l'anticipazione della soglia di punibilità alla produzione o alla commercializzazione di beni raffiguranti immagini del regime per meri scopi commerciali, perdendo ogni relazione con il fine di ricostituzione del partito fascista, si pone, dunque, in evidente contrasto con i princìpi costituzionali sopra richiamati, così come già declinati nei plurimi interventi della Consulta in materia;
    l'eventuale entrata in vigore della nuova fattispecie di reato, nella parte in cui non si pone in contrasto con i dettami della Costituzione, determinerebbe ampie aree di sovrapponibilità con le fattispecie già delineate e punite dalla legge;
    l'approvazione del provvedimento determinerebbe, quindi, l'entrata in vigore di una norma illegittima ed in parte priva di concreti effetti – se non, in alcuni casi, in merito all'abbassamento delle pene edittali –,
  esprime

PARERE CONTRARIO

Dieni, Cecconi, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Toninelli.