CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 11 dicembre 2014
355.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-03396 Tino Iannuzzi: Trasferimento della sede INAIL da Nocera Inferiore a Salerno.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione in titolo, l'onorevole Iannuzzi richiama l'attenzione del Governo sulla possibile chiusura della sede INAIL di Nocera Inferiore in provincia di Salerno.
  Al riguardo è opportuno ricordare, in via preliminare, che nell'ultimo triennio l'Inail, così come altre amministrazioni pubbliche, ha dovuto più volte rideterminare la propria dotazione organica in ossequio a specifiche disposizioni di legge finalizzate al contenimento dei costi del personale pubblico. Basti pensare, in particolare, al decreto-legge n. 194 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 25 del 2010, al decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, e, da ultimo, al decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012.
  In particolare, la legge n. 135 del 2012 ha impegnato l'ente a proseguire nella razionalizzazione delle proprie strutture procedendo nella riduzione dei propri contingenti e mantenendo, nel contempo, invariati i livelli di servizio e la qualità delle prestazioni resi all'utenza.
  Per procedere alla concreta attuazione delle citate disposizioni normative, con determinazione presidenziale del 2 agosto 2013, è stato approvato il nuovo modello organizzativo dell'INAIL. Il modello organizzativo così delineato, nel ridefinire gli assetti territoriali, ha tenuto nella dovuta considerazione il contesto produttivo locale e l'ottimale distribuzione del personale in relazione ai carichi di lavoro delle singole strutture, mantenendo, nel contempo, invariati i livelli di servizio e qualità delle prestazioni rese all'utenza.
  Faccio presente inoltre, che con determinazione presidenziale del 23 dicembre 2013, è stato adottato il regolamento di organizzazione dell'Istituto che regola, tra l'altro, i collegamenti funzionali tra le diverse sedi operanti nell'ambito di competenza di ciascuna Direzione territoriale, la cui gestione complessiva sarà affidata ad un unico direttore territoriale.
  L'INAIL ha, inoltre, reso noto che, con determinazione direttoriale dell'11 marzo 2014, è stata stabilita la ripartizione delle dotazioni organiche tra le strutture dell'Istituto mentre, con successiva circolare del 21 marzo 2014, sono state costituite le nuove Direzioni territoriali inclusa quella di Salerno.
  Per quanto riguarda l'ambito di competenza della Direzione territoriale di Salerno, l'INAIL ha reso noto che dal 1o gennaio 2015, la sede locale di Nocera Inferiore non sarà soppressa bensì trasformata in Agenzia. Quest'ultima garantirà, nel comune di Nocera Inferiore, un punto di accesso per gli utenti adeguato alle specificità, così come alle esigenze della popolazione complessiva del territorio di riferimento. Inoltre, la suddetta agenzia sarà dotata di un presidio medico legale che continuerà ad assicurare, senza soluzione di continuità, la prossimità del servizio sanitario volto a tutelare i lavoratori infortunati e tecnopatici.

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ALLEGATO 2

5-03145 Vallascas: Iniziative per la tutela dei lavoratori dell'emittente televisiva Sardegna 1.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'atto parlamentare in esame, gli onorevoli interroganti chiedono un intervento del Governo finalizzato alla salvaguardia occupazionale dei lavoratori nonché al riconoscimento delle loro spettanze della Società Sardegna TV s.r.l. che esercita l'attività di produzione e trasmissione di programmi televisivi attraverso l'emittente televisiva Sardegna 1.
  Al riguardo, voglio preliminarmente evidenziare che da accertamenti effettuati dagli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali risulta che undici lavoratori della società Sardegna TV Srl hanno richiesto l'intervento del Servizio Ispezione del lavoro lamentando l'omesso pagamento tra le cinque e le sei mensilità di retribuzione, mentre quattro lavoratori hanno segnalato l'omesso pagamento degli assegni per il nucleo familiare per due mensilità.
  All'esito dei controlli effettuati, è stato adottato nei confronti del datore di lavoro il provvedimento di diffida accertativa per l'omesso pagamento per complessivi 59.427,52 euro dei seguenti emolumenti: tredicesima mensilità anno 2012; retribuzione relativa al mese di novembre 2013; retribuzione relativa al mese di dicembre 2013; tredicesima mensilità anno 2013; quattordicesima mensilità anno 2013; retribuzione relativa al mese di gennaio 2014 (per n. quattro lavoratori).
  Faccio presente altresì che è stato accertato l'omesso pagamento di assegni per il nucleo familiare, per i mesi di novembre 2013 e dicembre 2013 in favore di cinque lavoratori.
  A seguito dell'intervento ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la società ha provveduto al pagamento dei citati assegni dovuti e al responsabile aziendale è stato notificato un verbale unico di accertamento e notificazione per la violazione amministrativa commessa.
  Il trasgressore ha provveduto al pagamento della sanzione amministrativa applicata (pari ad euro 2.575,00).
  Segnalo altresì che in merito all'omesso pagamento degli assegni per il nucleo familiare, la competente Direzione territoriale del lavoro del Ministero che rappresento ha riscontrato che il responsabile aveva dichiarato all'INPS, con le prescritte denunce contributive relative ai mesi di novembre e dicembre 2013, di aver corrisposto ai dipendenti somme di cui nel contempo aveva richiesto il rimborso che in realtà sono state erogate ai lavoratori dopo l'intervento degli stessi uffici del Ministero. Quest'ultimi pertanto hanno provveduto a trasmettere notizia di reato alla Procura della Repubblica di Cagliari.
  Inoltre faccio presente che la Società ha messo in atto un processo di riorganizzazione aziendale realizzato attraverso la riduzione del personale, con comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo del 3 febbraio 2014 che ha interessato dodici lavoratori inseriti nelle liste di mobilità dalla Provincia di Cagliari.
  A causa della compromessa situazione finanziaria, la società ha presentato in data 5 giugno 2014 ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo intendendo formulare preferibilmente un piano di concordato con continuità aziendale e ciò al fine di salvaguardare Pag. 180l'integrità e il valore del patrimonio aziendale.
  L'attuale organico della Società, tenuto conto delle dimissioni rassegnate da ulteriori 3 dipendenti è composto alla data del 30 novembre da undici unità (di cui tre giornalisti e otto tra tecnici, amministrativi e direzione).
  Voglio evidenziare inoltre che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha accolto l'istanza della società finalizzata al contributo di solidarietà ed è stato avviato lo scorso 19 novembre il procedimento per l'erogazione del contributo pari ad euro 109.816,78.
  Da ultimo, si rileva che, ad oggi, le parti sociali non hanno richiesto ai competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali alcun incontro per l'esame della situazione occupazionale. In ogni caso, il Governo nelle sue diverse articolazioni continuerà a monitorare, con tutto l'interesse che la delicatezza del caso richiede, l'evoluzione della questione, anche al fine di promuovere ulteriori accertamenti ispettivi presso la Società.

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ALLEGATO 3

5-04033 Ciprini: Esternalizzazione di attività da parte dell'azienda Grifo Latte.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione in titolo, l'onorevole Ciprini richiama l'attenzione del Governo sulla situazione occupazionale della società agricola cooperativa Gruppo Grifo Agroalimentare con particolare riferimento ai lavoratori impegnati presso il magazzino di Ponte San Giovanni di Perugia.
  Premetto che il Governo intende impostare l'assetto delle relazioni industriali secondo un approccio di massima collaborazione con i settori imprenditoriali ma, al contempo, di rigoroso rispetto dei diversi ruoli, al fine di non ledere la libertà di impresa riconosciuta e garantita dall'articolo 41 della nostra Carta fondamentale.
  Il Governo intende utilizzare tutti gli strumenti che l'ordinamento fornisce per favorire l'imprenditoria, gli investimenti sul territorio nazionale e la creazione di nuovo lavoro, così come gli strumenti più adeguati per fronteggiare le situazioni di crisi occupazionale.
  In merito alla vicenda della società Grifo Agroalimentare, ricordo che la medesima ha avviato nei mesi scorsi una procedura di mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 che ha interessato i diciotto lavoratori impiegati presso il predetto magazzino. Tale procedura, conclusasi in ultimo momento con un verbale di mancato accordo, è stata successivamente riaperta, grazie all'intervento delle competenti istituzioni locali, e si è conclusa lo scorso 21 novembre con la sottoscrizione tra azienda e organizzazioni sindacali di un verbale di accordo particolare tale accordo prevede:
   l'esternalizzazione della gestione del magazzino, affidata, dal 24 novembre, alla società cooperativa Servizi Associati rispetto alla quale, il Ministero dello sviluppo economico, espressamente interpellato, ha reso noto che tale società è soggetta a revisione annuale da parte della Lega delle Cooperative, cui aderisce e che, da notizie assunte presso la medesima associazione, la revisione si è conclusa positivamente nel gennaio 2014 con il rilascio della relativa attestazione di regolarità;
   la corresponsione di 15.000 euro lordi, a titolo di integrazione del trattamento di fine rapporto di lavoro, per i lavoratori che accetteranno di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro con la Grifo Agroalimentare, al fine di essere assunti dalla cooperativa Servizi Associati;
   per gli eventuali lavoratori della società Grifo Agroalimentare che non accetteranno la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, la possibilità di essere distaccati presso la cooperativa Servizi Associati. Tale distacco potrà interessare: 1) quattro categorie protette, sino a quando permarrà l'interesse della distaccante e della distaccataria; 2) quattro lavoratori, sino e non oltre il 31 dicembre 2014. Per il periodo successivo la Grifo Agroalimentare si è impegnata ad individuare in ambito aziendale una soluzione occupazionale alternativa al licenziamento nel rispetto del CCNL applicato; 3) due lavoratori, sino e non oltre il 28 febbraio 2015, laddove alla data di scadenza del distacco non fossero state trovate soluzioni occupazionali da parte della Grifo Agroalimentare, Pag. 182le parti risolveranno consensualmente il rapporto di lavoro ed i lavoratori verranno assunti dalla Servizi Associati;
   oppure, in alternativa al passaggio alle dipendenze di Servizi Associati o al distacco presso la predetta società, che quattro lavoratori potranno risolvere consensualmente il rapporto lavorativo ricevendo dalla Grifo Agroalimentare 25.000 euro lordi a titolo di integrazione del trattamento di fine rapporto.

  Faccio presente inoltre che la Società e i sindacati hanno concordato di definire le concrete modalità di attuazione di tale intesa entro il 15 dicembre 2014.
  Mi riservo, dunque, di informare, dopo tale data, la Commissione sugli sviluppi della vicenda.

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ALLEGATO 4

5-04208 Maestri: Iniziative per la tutela dei lavoratori dell'azienda Pali Italia Spa.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento all'interrogazione dell'onorevole Maestri inerente alla situazione produttiva ed occupazionale dell'impresa Pali Italia Spa, operante nel settore dell'illuminazione, delle telecomunicazioni e dell'alta tensione, con specifico riferimento allo stabilimento di Parma, faccio presente che la predetta Società – con sede legale e produttiva in Parma ed ulteriore unità produttiva in Anagni (Frosinone) – ha dato avvio, lo scorso 10 marzo, ad una procedura di mobilità nei confronti di 72 lavoratori impiegati presso lo stabilimento di Parma, ai sensi dell'articolo 24 della legge n. 223 del 1991.
  Successivamente, lo scorso 13 maggio, i vertici aziendali e le rappresentanze sindacali dei lavoratori si sono riuniti presso la sede della Provincia di Parma per esperire l'esame congiunto della situazione aziendale nell'ambito della procedura di mobilità in precedenza avviata.
  All'esito dell'incontro, le Parti hanno sottoscritto un accordo in base al quale i lavoratori che avrebbero deciso di aderire, su base volontaria, alla procedura di mobilità entro il 30 maggio avrebbero ricevuto un incentivo all'esodo e sarebbero stati sottoposti al trattamento straordinario di integrazione salariale (CIGS) sino alla risoluzione del rapporto di lavoro; per contro, ai lavoratori che avessero aderito alla procedura successivamente alla predetta data non sarebbe stato riconosciuto alcun incentivo.
  Faccio, inoltre, presente che lo scorso 22 maggio – presso i competenti uffici del Ministero che rappresento – si è tenuto un incontro tra le Parti sociali avente ad oggetto la proroga del trattamento di CIGS concesso alla Società – lo scorso 28 gennaio – a seguito della stipula di un accordo di ristrutturazione del debito, ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare.
  All'esito dell'incontro, le Parti hanno sottoscritto un accordo in base al quale la Società si impegnava a presentare – ai sensi dell'articolo 3, comma 2, della legge n. 223 del 1991 – istanza di proroga del trattamento di CIGS nei confronti di complessive 205 unità lavorative – pari, allora, all'intero organico aziendale – impiegate presso le unità produttive di Parma ed Anagni, relativamente al periodo dal 20 maggio 2014 al 19 novembre 2014 (6 mesi).
  Informo, al riguardo, che i competenti uffici del Ministero che rappresento – con decreto direttoriale del 17 settembre 2014 – hanno accolto l'istanza della Società, dopo aver accertato la sussistenza dei presupposti per la proroga del trattamento di CIGS di cui all'articolo 3, comma 2, della legge n. 223 del 1991 e sulla base dell'accordo di ristrutturazione del debito, di cui all'articolo 182-bis della legge fallimentare, registrato in data 24 luglio 2013 presso il registro delle imprese di Parma ed omologato dal tribunale di Parma il 24 luglio 2013.
  Informo, infine, che alla scadenza del periodo di proroga del trattamento di CIGS, la Società ha proceduto al licenziamento collettivo di 44 lavoratori impiegati presso il sito di Parma.
  Da ultimo, in siffatto contesto, non posso che assicurare la massima attenzione da parte del Governo in ordine alla Pag. 184vicenda evidenziata dall'onorevole interrogante con il presente atto parlamentare, garantendo, nel contempo, la più ampia disponibilità a valutare, qualora richiesto, ogni possibile soluzione volta a tutelare la posizione dei lavoratori e delle loro famiglie, tenuto anche conto degli istituti di tutela dei lavoratori finora attivati.

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ALLEGATO 5

Revisione della parte seconda della Costituzione (C. 2613 cost. Governo, approvato, in prima deliberazione, dal Senato).

PARERE APPROVATO

  La XI Commissione,
   esaminato il testo del disegno di legge costituzionale n. 2613, recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione, adottato come base per il seguito dell'esame dei progetti di legge atto Camera n. 14 e abbinati;
   osservato, per quanto attiene alle materie di competenza della Commissione, che l'articolo 30 del provvedimento dispone una diversa ripartizione delle competenze legislative e regolamentari tra lo Stato e le Regioni, ridisegnando l'assetto previsto dal vigente articolo 117 della Costituzione, in particolare attraverso la soppressione della legislazione concorrente;
   rilevato come, in questo contesto, si preveda il trasferimento della materia della previdenza complementare e integrativa dalla competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni alla competenza legislativa esclusiva dello Stato;
   considerato che tale attrazione nell'ambito delle materie di esclusiva competenza statale trova giustificazione nell'esigenza di garantire una disciplina unitaria e omogenea a livello nazionale in materia pensionistica, riconducendo alla materia della previdenza sociale, già attribuita alla legislazione esclusiva statale, anche la previdenza integrativa e complementare;
   osservato che la nuova formulazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, prevista dall'articolo 30 del provvedimento, attribuisce alla legislazione esclusiva statale la competenza in materia di disposizioni generali e comuni per la tutela e sicurezza del lavoro;
   rilevato come tale ultima disposizione, pur superando l'attribuzione alla legislazione concorrente della materia «tutela e sicurezza del lavoro», prevista dal vigente terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione, in sostanza consente l'intervento della legislazione regionale di carattere residuale nella materia della tutela e sicurezza del lavoro, negli ambiti non riconducibili alla definizione di disposizioni generali e comuni o ad altre materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato;
   ritenuto che il ricorso, nel nuovo testo dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, alla locuzione «disposizioni generali e comuni» determini, rispetto al vigente terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione, che attribuisce alla legislazione dello Stato la determinazione dei principi fondamentali della materia, un ampliamento della competenza legislativa statale, consentendo in particolare l'adozione di disposizioni di carattere puntuale, suscettibili di esaurire in se stesse la propria operatività;
   segnalata l'opportunità di individuare formule normative che escludano i margini di incertezza interpretativa e il conseguente contenzioso costituzionale che si Pag. 186sono determinati in sede di applicazione del terzo comma dell'articolo 117 del vigente testo costituzionale, verificando altresì se la formulazione del nuovo testo dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, renda possibile l'ampliamento della sfera di intervento statale in materia di servizi per il lavoro necessario al fine di rafforzare la cornice unitaria degli interventi messi in campo a livello territoriale, in linea con quanto più volte rappresentato, da ultimo, nel corso dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati;
   evidenziato che, in ogni caso, si può configurare la possibilità di un intervento legislativo dello Stato in materia di politiche attive del lavoro, ai sensi di quanto disposto dal nuovo testo dell'articolo 117, quarto comma, e dell'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, qualora ciò si renda necessario ai fini della tutela dell'unità giuridica o economica, alla quale si deve ricondurre la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
   rilevato che il nuovo testo dell'articolo 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione individua una nuova materia rientrante nella legislazione esclusiva dello Stato, al quale è attribuita la competenza ad adottare norme sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l'uniformità sul territorio nazionale;
   ritenuto che tale disposizione, in linea con la consolidata giurisprudenza costituzionale riferita al vigente articolo 117 della Costituzione, affermi espressamente la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di disciplina dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche;
   ravvisata l'opportunità di verificare se, alla luce di tale configurazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, alla legislazione regionale permangano affidati gli aspetti pubblicistici e organizzativi del rapporto di pubblico impiego presso le Regioni, con particolare riferimento al momento della costituzione del rapporto e alla disciplina dei concorsi, ovvero siano configurabili ulteriori ambiti rimessi alla competenza regionale;
   condivisi gli obiettivi perseguiti dal provvedimento in materia di semplificazione dell'assetto istituzionale a livello territoriale, mediante la soppressione dei riferimenti alle province presenti nel testo della Costituzione e l'attribuzione allo Stato, ai sensi dell'articolo 39, comma 4, del disegno di legge, dalla competenza legislativa relativa ai profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta, la cui ulteriore disciplina è rimessa alla legislazione regionale;
   osservato che il processo di riforma delle province e di riordino delle loro competenze, già avviato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, si riverbera necessariamente sulle dotazioni organiche di tali enti territoriali, che devono adeguarsi alle nuove funzioni attribuite alle amministrazioni provinciali;
   rilevata l'esigenza che nei processi di riordino delle amministrazioni provinciali siano assicurate adeguate garanzie per i lavoratori attualmente in servizio, anche nell'ambito di procedure di riallocazione del personale nelle pubbliche amministrazioni centrali, regionali o comunali,
   esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   con riferimento all'articolo 30, comma 1, capoverso articolo 117, secondo comma, lettera g), valuti la Commissione se la previsione dell'attribuzione allo Stato della competenza legislativa in materia di norme sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l'uniformità sul territorio nazionale definisca in modo sufficientemente esaustivo la competenza legislativa statale in ordine all'adozione di disposizioni volte a disciplinare unitariamente Pag. 187a livello nazionale i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, salvi gli eventuali profili, riferiti in particolare agli aspetti pubblicistici e organizzativi del rapporto di pubblico impiego presso le Regioni, rientranti nella competenza legislativa regionale;
   con riferimento all'articolo 30, comma 1, capoverso articolo 117, secondo comma, lettera m):
    a) valuti la Commissione se la formulazione della disposizione, che attribuisce alla legislazione statale la competenza esclusiva in materia di disposizioni generali e comuni per la tutela e sicurezza del lavoro, sia tale da restringere in modo consistente i margini di incertezza interpretativa e il conseguente contenzioso costituzionale riscontrati in sede di applicazione del vigente articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
    b) valuti la Commissione l'opportunità di prevedere espressamente un ampliamento della sfera di intervento dello Stato in materia di politiche attive del lavoro, attraverso l'individuazione di uno specifico ambito materiale di competenza legislativa esclusiva statale, riferito, in particolare, alla gestione dei servizi per il lavoro, in modo da rafforzare la cornice unitaria all'interno della quale le Regioni svolgeranno gli interventi di loro competenza.

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ALLEGATO 6

Revisione della parte seconda della Costituzione (C. 2613 cost. Governo, approvato, in prima deliberazione, dal Senato).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEI DEPUTATI CIPRINI ED ALTRI

  La XI Commissione,
   premesso che:
    il disegno di legge governativo n. 2613 propone una riforma complessiva dell'organizzazione costituzionale dello Stato;
    rilevato che l'articolo 27 sopprime il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), organo di consulenza delle Camere e del Governo, istituito in base all'articolo 99 della Costituzione;
    il comma 1 del successivo articolo 39 reca alcune disposizioni finali e transitorie, le quali prevedono che, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, nomini, con decreto, un commissario straordinario, a cui sia affidata la gestione provvisoria del CNEL, per la liquidazione del patrimonio dell'organo e per la riallocazione delle risorse umane e strumentali, nonché per gli altri adempimenti conseguenti alla soppressione, e che, all'atto dell'insediamento del commissario straordinario, gli organi del CNEL ed i suoi componenti decadano da ogni funzione, compresa quella di rappresentanza;
   considerato che:
    le lettere g), o) e m) dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 30 del provvedimento, attribuiscono alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, le norme generali per la tutela e sicurezza del lavoro, la previdenza complementare ed integrativa, l'ordinamento delle professioni intellettuali;
    il successivo comma 3 del medesimo articolo specifica che alle regioni spetta la competenza legislativa, sull'organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e dei servizi sociali e sanitari, fatti salvi i profili riservati allo Stato, come le materie summenzionate e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
    è confermato, inoltre, che alle regioni spetta la funzione legislativa in materia di istruzione professionale e formazione professionale, sempre fatti salvi i profili riservati allo Stato;
    rilevate le seguenti criticità:
     a) in merito ai profili transitori relativi alla soppressione del CNEL, non è condivisibile l'istituzione di un commissario straordinario; il testo in esame avrebbe dovuto prevedere, all'atto dell'entrata in vigore della legge:
    1) la decadenza di tutti gli organi del CNEL;
    2) la conseguente disapplicazione, non contemplata dall'articolo 39, comma 1,delle norme che, nell'ambito dell'ordinamento Pag. 189nazionale vigente, nonché nell'ordinamento regionale, fanno riferimento al CNEL, in particolare delle norme che individuano, a determinati fini, le associazioni in quelle rappresentate nel CNEL (come l'articolo 13, comma 2, della legge 23 febbraio 1999, n. 44, relativo alle associazioni che, in luogo e con il consenso dell'interessato, possono presentare domanda per le elargizioni alle vittime di richieste estorsive o per i mutui per le vittime di usura) e delle norme che demandano al CNEL il potere di designazione di alcuni membri di organi collegiali (come l'articolo 19, comma 1, della citata legge n. 44 del 1999, e successive modificazioni, relativo alla composizione del Comitato di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura), nonché della disciplina sull'archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, di cui all'articolo 17 della legge 30 dicembre 1986, n. 936, in base alla quale devono essere depositati presso il CNEL, che organizza il relativo archivio, consultabile dal pubblico, gli accordi ed i contratti collettivi di lavoro, entro 30 giorni dalla loro stipulazione;

    3) l'approvazione, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge, da parte del Governo, di un disegno di legge per lo scioglimento e la riallocazione presso altre amministrazioni delle funzioni e delle relative risorse umane e strumentali attribuite al CNEL;

    4) l'esame parlamentare in tempi brevi del medesimo disegno di legge;

   b) le norme sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, di cui al citato articolo 30, comma 1, sono comprese tra le materie di competenza esclusivamente statale, in quanto tese ad assicurare l'uniformità sul territorio nazionale; si tratta di una materia che attualmente non è esplicitamente presente tra gli elenchi delle competenze di cui al vigente articolo 117 della Costituzione; tuttavia, la Corte costituzionale, ha avuto modo di soffermarsi in molteplici occasioni sul tema che era tradizionalmente indicato come «pubblico impiego» tra Stato e Regioni; al riguardo si sottolinea che la specificazione della materia che ha individuato le norme di competenza statale in quelle «tese ad assicurare l'uniformità sul territorio nazionale», non consente un'interpretazione univoca. In questo senso si potrebbe argomentare che sono di competenza esclusivamente regionale, per via residuale, le norme non «tese ad assicurare l'uniformità sul territorio»; appare quindi di difficile comprensione la distinzione tra i profili di competenza statale esclusiva sulle «norme tese ad assicurare l'uniformità sul territorio nazionale» e «la tutela dell'unità giuridica [...]della Repubblica» che (ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione) ha solo il vantaggio di rafforzare l'intervento statale anche al di fuori della propria competenza, e ciò con riferimento al dichiarato intento di ridurre il contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni;
   c) l'articolo 30 aggiunge tra le materie di competenza esclusivamente statale, anche le «disposizioni generali e comuni per [...] la tutela e sicurezza del lavoro»; la dizione sostituisce così quella iniziale di «norme generali per [...] la tutela e sicurezza del lavoro»; la materia è attualmente compresa tra quelle di competenza concorrente, competenza che la proposta in esame sopprime; a proposito della dizione: «disposizioni generali e comuni», si osserva che:
    1) la dizione appare inedita e priva, almeno nella sua formulazione letterale, di elaborazione da parte della giurisprudenza costituzionale, che ha invece lungamente elaborato l'ambito dei «principi fondamentali» e, pur se non così ripetutamente, quello delle «norme generali»;Pag. 190
    2) non risulta facilmente individuabile la differenza tra le seguenti categorie: quella vigente dei «principi fondamentali»; quella pure vigente, in materia di istruzione, delle «norme generali»; quella che si intende introdurre delle «disposizioni generali e comuni», che, potrebbe dar luogo, quantomeno nella fase iniziale, ad un nuovo intervento definitorio da parte della Corte costituzionale su un aspetto tutt'altro che secondario del nuovo impianto della ripartizione delle competenze,
   esprime

PARERE CONTRARIO

«Ciprini, Cominardi, Bechis, Baldassarre, Rizzetto, Tripiedi, Chimienti».

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ALLEGATO 7

Autorizzazione di spesa per la prosecuzione dell'impiego di personale militare per la prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale (nuovo testo C. 2679-quater Governo).

PARERE APPROVATO

  La XI Commissione
   esaminato il nuovo testo del disegno di legge n. 2679-quater, recante un'autorizzazione di spesa per la prosecuzione dell'impiego di personale militare per la prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale in Campania;
   osservato che il provvedimento trae origine dallo stralcio del comma 20 dell'articolo 17 del disegno di legge di stabilità per il 2015, disposto dalla Presidente della Camera e comunicato all'Assemblea nella seduta dello scorso 30 ottobre;
   considerato che il disegno di legge autorizza una spesa di 10 milioni di euro per la prosecuzione nell'anno 2015 degli interventi nella regione Campania, estendendo al medesimo anno le disposizioni di cui ai commi 2-bis e 2-quater dell'articolo 3 del decreto-legge n. 136 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 6 del 2014;
   rilevato che l'articolo 1, comma 139, del disegno di legge di stabilità 2015, attualmente all'esame del Senato della Repubblica, richiamando le finalità indicata dall'elenco n. 1 allegato al medesimo provvedimento, destina 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 alla prosecuzione del concorso delle Forze armate alle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio finalizzate alla prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale nelle province della Regione Campania,
   esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con la seguente osservazione:

  valuti la Commissione di merito se sussista l'esigenza di coordinare le disposizioni del disegno di legge in esame con quanto disposto dall'articolo 1, comma 139, del disegno di legge di stabilità 2015 e dall'elenco n. 1 allegato al medesimo provvedimento, attualmente all'esame del Senato della Repubblica.

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ALLEGATO 8

Indagine conoscitiva sui rapporti di lavoro presso i call center presenti sul territorio italiano.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  Sommario
  1. Premessa
  2. Il quadro normativo
  3. I principali elementi emersi nel corso delle audizioni.
   3.1. Assocontact.
   3.2. AlmavivA Contact S.p.a. e Comdata S.p.a.
   3.3. ISFOL.
   3.4. INPS.
   3.5. Assotelecomunicazioni – Asstel.
   3.6. ISTAT.
   3.7. Esperti della materia.
   3.8 Federtelservizi.
   3.9. CGIL, CISL, UIL e UGL.
   3.10. Ministero dello sviluppo economico.
   3.11. Teleperfomance Italia.
   3.12. Federutility.
   3.13. Comune di Milano
   3.14. Garante per la protezione dei dati personali.
   3.15. Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  4. Conclusioni e proposte.

1. Premessa

  La Commissione ha inteso promuovere lo svolgimento di una indagine conoscitiva sui rapporti di lavoro nell'ambito delle aziende che gestiscono servizi di call center nel territorio italiano riprendendo il filo di un'analisi delle condizioni dei lavoratori e, più in generale, del settore produttivo di riferimento, avviatasi quasi un decennio or sono, con l'adozione dei primi provvedimenti di carattere amministrativo volti a disciplinare attività, che – sotto il profilo lavoristico – si erano evolute rapidamente in assenza di una precisa cornice di riferimento.
  Al di là degli interventi normativi e amministrativi che si sono susseguiti nel tempo, a partire dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 17/2006, che intese individuare i caratteri dei contratti di collaborazione autonoma ammissibili nell'ambito delle attività dei call center, spesso le caratteristiche proprie del lavoro nell'ambito di questo settore hanno sollecitato l'attenzione dei decisori politici.
  Occorre, in proposito, considerare che si tratta di un ambito produttivo relativamente esteso, che – come confermato anche nel corso dell'indagine – nell'anno 2011 registra la presenza di oltre 1.400 operatori, con un fatturato annuo di circa 2,3 miliardi di euro e un valore aggiunto di circa 1,3 miliardi di euro. Nel complesso, pur in presenza di un contesto economico che soffre fortemente gli effetti della crisi economica sviluppatasi a partire dal 2008, il settore ha un andamento relativamente migliore rispetto a quello del comparto produttivo di riferimento: mentre a partire dal 2008 nel comparto dei servizi alle imprese – che comprende le attività di noleggio, le agenzie di viaggio e altri servizi di supporto alle imprese – si è registrato un calo del 3 per cento degli addetti, nel settore dei call center l'incremento occupazionale a partire dal 2008 è pari a circa il 12 per cento. Anche i dati forniti nel corso dell'indagine da Assocontact, associazione rappresentativa dei call center in outsourcing, evidenziano come le previsioni per il settore nel 2014 siano di un fatturato complessivo in crescita del 5,6 Pag. 193per cento rispetto al 2013. Come anticipato, anche sotto il profilo occupazionale il settore ha vissuto una crescita significativa negli ultimi anni, dovuta anche al processo di stabilizzazione avviato con i provvedimenti adottati tra il 2006 e il 2008: nel 2003 il comparto contava circa 12.800 addetti, mentre nel 2007 gli addetti erano già 32.000 e l'anno successivo, soprattutto per effetto dei processi di stabilizzazione del personale esterni, si arrivava a 51.000 unità di personale, dato sostanzialmente stabile anche negli anni successivi. Al di là di queste cifre, apparentemente confortanti, tuttavia tanto il settore produttivo nel suo complesso, quanto specificamente la condizione dei lavoratori addetti ai call center presentano rilevanti elementi di fragilità, che sono stati puntualmente indicati nel corso dell'indagine conoscitiva svolta.
  Quanto al settore produttivo, può, infatti, osservarsi che il manifestarsi degli effetti della crisi economica non sembra aver ridotto la domanda dei servizi di marketing e di assistenza alla clientela acquirente di beni e servizi, ma ha inciso in modo significativo la remunerazione offerta per la prestazione di tali servizi, con evidenti ricadute negative sui loro margini di redditività. Deve, infatti, essere tenuta in debita considerazione la circostanza che la gran parte dell'occupazione nel settore dei call center riguarda lavoratori di imprese che operano in outsourcing per conto di altre imprese o pubbliche amministrazioni beneficiarie dei servizi offerti e, pertanto, si tratta di lavoratori più facilmente esposti alle oscillazioni della domanda dei servizi medesimi e alla concorrenza di altri operatori rispetto a quanti sono impiegati in attività di call center internalizzate da imprese o pubbliche amministrazioni. Il fenomeno della contrazione dei volumi, ai quali hanno concorso, per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni, gli stringenti vincoli imposti dall'attuale condizione finanziaria e i doverosi processi di razionalizzazione delle spese per l'acquisto di beni e servizi, si è tradotto spesso nel ricorso, per l'aggiudicazione degli appalti, al criterio del massimo ribasso o, comunque, a principi di massimo contenimento delle spese, determinando in modo quasi immediato ricadute sulla condizione dei lavoratori da impiegare nello svolgimento del servizio. Una delle peculiarità del settore è, infatti, costituita dal fatto che la stragrande maggioranza dei costi di produzione (nelle audizioni si è fatto riferimento a quote comprese tra il 70 e l'85 per cento dei costi totali) sia riconducibile al costo dei lavoratori impiegati nel servizio. In considerazione della natura labour intensive dell'attività, le tensioni esistenti nel mercato di riferimento tendono, quindi, a trasferirsi in modo pressoché immediato sulla situazione dei lavoratori del settore, già di per sé caratterizzata da un'intrinseca fragilità. La presenza di significative spinte alla minimizzazione dei costi di produzione, anche in considerazione dell'elevato carico fiscale imposto sul lavoro, in particolare attraverso l'IRAP, costituisce uno dei motori dei processi di delocalizzazione delle attività in Paesi esteri caratterizzati da un costo del lavoro inferiore, collocati sia all'interno (Romania e Bulgaria) che all'esterno dell'Unione europea (Albania e Tunisia). Secondo stime di fonte sindacale citate dall'ISFOL nella propria audizione il fenomeno interesserebbe circa il 10 per cento dei volumi di produzione e coinvolgerebbe circa 10.000 lavoratori. A fronte di tale situazione, già nel 2012 il legislatore intervenne con l'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, che reca disposizioni, sulla cui attuazione si è inteso indagare nel corso dell'indagine, volte a garantire la protezione dei dati personali in caso di contatti con call center collocati al di fuori dell'Unione europea e ad escludere il riconoscimento degli incentivi all'occupazione di cui alla legge 29 dicembre 1990, n. 407 ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri. In un contesto nel quale la competizione si sviluppa essenzialmente sul prezzo offerto dall'appaltatore e, quindi, sulla remunerazione dei lavoratori impiegati, anche il sistema degli incentivi rappresenta un elemento suscettibile Pag. 194di determinare distorsioni concorrenziali. Molte delle agevolazioni previste dalla legislazione vigente sia a livello nazionale sia a livello regionale, a partire dalla già citata legge n. 407 del 1990, tendono, infatti, a promuovere con agevolazioni contributive le nuove assunzioni, con ciò favorendo un processo di continuo avvicendamento degli operatori, che riescono ad aggiudicarsi gare di appalto in virtù dei minori prezzi che possono praticare grazie alle agevolazioni, ma non sono in grado di assicurare tali condizioni nel medio-lungo periodo a causa della temporaneità delle agevolazioni stesse. Si determinano, in tal modo, frequenti crisi, di regola gestite con il ricorso agli ammortizzatori sociali in deroga, con ricadute negative anche per l'Erario. La possibilità di aggiudicarsi gare a prezzi stracciati grazie all'utilizzo degli incentivi alle assunzioni costituisce, altresì, una delle cause che concorrono a favorire frequenti cambi di appalto, che indeboliscono ulteriormente la condizione dei lavoratori. Mancano, infatti, nell'ordinamento forme di protezione di carattere generale per i lavoratori interessati da processi di successione negli appalti: se, infatti, l'articolo 29, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, tiene ben distinte le fattispecie di subentro di un nuovo appaltatore e di trasferimento di azienda o di parte di essa, mancano nella contrattazione collettiva disposizioni analoghe alle clausole sociali contenute in contratti di altri comparti, che prevedono il subentro del nuovo appaltatore nella gestione dei rapporti di lavoro in essere.
  Accanto alle problematiche connesse alla gestione dei servizi in outsourcing, specialmente in un contesto di crisi economica, ulteriori elementi di fragilità sul piano occupazionale sono invece intrinseci alla natura stessa dei rapporti di lavoro costituiti all'interno dei call center. Come anticipato, infatti, storicamente i call center si sono, infatti, caratterizzati per la presenza di un elevato numero di lavoratori assunti con contratti di collaborazione, rispetto alla quale, sin dalla citata circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 17 del 2006, si è cercato di introdurre correttivi e regole certe. Si è quindi pervenuti alla distinzione, talvolta contestata, ma tuttora pienamente valida, tra operatori addetti ad attività inbound e addetti ad attività outbound. Sulla base di tale distinzione, che è alla base anche della disciplina di cui all'articolo 24-bis, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012, per i lavoratori addetti ad attività inbound non si può configurare un rapporto di lavoro di collaborazione legato ad un progetto, in quanto le mansioni svolte non sono gestite dal lavoratore, che non può organizzare o gestire la propria attività, che consiste prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell'utenza. Diversamente, nel caso delle attività outbound si ritiene senz'altro configurabile un rapporto di collaborazione basato sulla presenza di un reale progetto, programma di lavoro o fase di esso, nell'ambito del quale il collaboratore si rende attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l'utenza di un prodotto o servizio, essenzialmente nell'ambito di una attività di vendita diretta di beni e di servizi. La presenza di questo dualismo nell'occupazione dei call center costituisce un dato caratterizzante del lavoro in questo settore sin dagli albori della sua regolamentazione. Allo stato attuale, secondo i dati forniti dall'ISTAT nel corso dell'indagine conoscitiva, nel 2011 la quota di lavoratori esterni sul totale delle persone occupate nei call center era prossimo al 40 per cento, mentre nel settore dei servizi alle imprese tale quota è pari ad appena il 5 per cento. Analogamente, il ricorso alla somministrazione nei call center riguarda circa il 6 per cento degli occupati, a fronte dei un'incidenza inferiore al 2 per cento nel comparto di riferimento. Nel Mezzogiorno l'incidenza del lavoro temporaneo o interinale aumenta e la percentuale di lavoro dipendente interno alle imprese scende a circa il 48 per cento. Nel complesso, a fronte di circa 51 mila lavoratori interni e indipendenti, sono circa 31.000 i lavoratori «esterni» (circa 26.000 unità) o temporanei (circa 4.000). Si tratta di una situazione Pag. 195peculiare, che nel 2012 ha portato il legislatore a introdurre una specifica disposizione, poi attuata dalle parti sociali, volta a prevedere che il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto fosse consentito sulla base di un corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. Per altro verso, anche i rapporti di lavoro dipendente nel settore presentano aspetti caratteristici: sono assai diffusi, in particolare, i rapporti a tempo parziale, che hanno una incidenza complessiva del 70 per cento sul totale e riguardano circa i tre quarti delle lavoratrici. Già nel programma dell'indagine conoscitiva si registrava un mutamento nelle caratteristiche dei lavoratori addetti ai call center, che – rispetto al passato – hanno un'età media più elevata, sono in possesso di titoli di studio superiori al passato e tendono a permanere impiegati più a lungo nel settore, contrastando l'immagine tradizionale di una occupazione provvisoria, un lavoro «di passaggio» per giovani generazioni che attendono la realizzazione di migliori prospettive professionali. L'assenza di diverse opportunità lavorative, anche in ragione del perdurare della crisi economica, ha quindi prodotto un mutamento nella composizione occupazionale del settore, che ora può giovarsi della presenza di lavoratori più qualificati, che, se da un lato può costituire un indice di arricchimento dei contenuti professionali dell'attività svolta, può anche costituire, specialmente se le competenze possedute non siano richieste per le attività svolte, una dispersione di capitale umano.
  A fronte di questo articolato contesto, l'indagine deliberata dalla Commissione si è proposta di approfondire gli aspetti delle attività di call center che maggiormente incidono su materie di propria competenza, affrontando in particolare le tematiche concernenti: le tipologie contrattuali utilizzate nel settore; l'utilizzo degli ammortizzatori sociali e l'eventuale correlazione tra gli incentivi erogati in relazione a nuove assunzioni e il ricorso agli ammortizzatori stessi; la garanzia, negli appalti aggiudicati sulla base del criterio del prezzo più basso, dell'esclusione da tale prezzo delle spese connesse al costo del personale e alla sicurezza sul lavoro; i processi di delocalizzazione verso Paesi non appartenenti all'Unione europea e il rispetto delle disposizioni dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, che vietano la corresponsione di benefici alle imprese che delocalizzano le attività in Paesi esteri; la tutela dei lavoratori nei casi di cambi di appalto e di successione tra aziende; l'efficacia del sistema pubblico dei controlli. L'indagine ha, inoltre, consentito di mettere a fuoco ulteriori tematiche (prime fra tutte l'esigenza di una riflessione sul carico fiscale sul lavoro e sugli effetti, spesso distorsivi, degli incentivi all'occupazione previsti dalla legislazione vigente) e di meglio cogliere le interazioni tra molti degli aspetti considerati.
  L'attualità delle questioni che interessano il settore sotto il profilo industriale e occupazionale è, del resto, testimoniata dalla decisione dell'Esecutivo di avviare, in una data di poco successiva all'avvio dell'indagine conoscitiva, un tavolo dedicato al settore dei call center, affiancando i tavoli già esistenti, riferiti alle numerose vertenze aperte per le diverse imprese del settore. Alle riunioni del tavolo, costituito presso il Ministero dello sviluppo economico, hanno preso parte rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le istituzioni territoriali, le associazioni rappresentative delle imprese, i sindacati di categoria, nonché le autorità indipendenti competenti in materie rilevanti per il settore (Garante per la protezione dei dati personali e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni).
  Nell'ambito dell'indagine conoscitiva, deliberata nella seduta del 9 aprile 2014, si è voluta acquisire una panoramica il quanto più possibile completa ed aggiornata delle caratteristiche e delle problematiche di carattere lavoristico e occupazionale del settore dei call center. Nella seduta del 17 luglio 2014 la Commissione ha deliberato una integrazione del programma dell'indagine, al fine di acquisire anche il contributo del Garante per la Pag. 196protezione dei dati personali, tenuto conto del rilievo che assume, nell'ambito dei processi di delocalizzazione che interessano il settore, il rispetto delle disposizioni dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, tese a garantire la protezione dei dati personali nel caso di chiamate con operatori collocati in Paesi esteri. Nella medesima sede, si è altresì convenuto sull'opportunità di procedere all'audizione di rappresentanti del Comune di Milano, al fine di approfondire le questioni connesse alle gare di appalto e alla garanzia della copertura dei costi del personale da utilizzare per lo svolgimento del servizio, anche in relazione all'esperienza relativa alla gara per il servizio di infoline del medesimo Comune, cui si era più volte fatto riferimento in precedenti audizioni. Nel complesso, la Commissione ha svolto quindici audizioni, con il coinvolgimento dei soggetti istituzionali competenti in materia, di rappresentanti delle associazioni e delle imprese più rilevanti per il settore, tanto sul versante dell'offerta dei servizi di comunicazione, quanto su quello del loro utilizzo, di rappresentanti delle organizzazioni sindacali.
  Grazie a queste audizioni e alla documentazione depositata dai soggetti ascoltati dalla Commissione, sono stati acquisiti importanti contributi per la messa a fuoco delle difficoltà che si riscontrano e per l'individuazione di possibili interventi di carattere amministrativo o legislativo volti a superare le criticità che interessano il settore.

2. Il quadro normativo.

  Il fenomeno dei call center assume una dimensione economica significativa nei primi anni del nuovo millennio. In tale periodo il settore è caratterizzato dalla presenza di un'alta percentuale di lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (decollati a seguito dell'adozione del decreto legislativo n. 276 del 2003, che agli articoli 61 e seguenti introduce una prima disciplina organica del lavoro a progetto), privi delle tutele retributive previste dai contratti collettivi nazionali per i lavoratori dipendenti. Le proteste dei lavoratori del settore e, in particolare, dei lavoratori «precari», che lamentano stipendi bassi, limitazione dei diritti e pesanti turni di lavoro, conducono ai primi tentativi di una regolamentazione contrattuale di questa nuova categoria di lavoratori. Una ipotesi di protocollo nazionale per la disciplina dei lavoratori dipendenti da call center in outsourcing, siglato il 18 luglio del 2003, non produce i risultati sperati a causa della mancata adesione di alcune importanti aziende.
  Fin dai suoi esordi, il mercato dei call center si avvale ampiamente dell'agevolazione contributiva prevista dall'articolo 8, comma 9, della legge n. 407 del 1990, che riconosce a favore di determinate categorie di datori di lavoro che assumono con contratto a tempo indeterminato lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi (o sospesi dal lavoro e beneficiari di trattamento straordinario di integrazione salariale per un analogo periodo identico), una riduzione dei contributi previdenziali ed assistenziali nella misura del 50 per cento (100 per cento per le aziende operanti nel Mezzogiorno), per un periodo di 36 mesi. L'agevolazione è riconosciuta a condizione che le assunzioni non siano effettuate in sostituzione di lavoratori dipendenti dalle stesse imprese licenziati per giustificato motivo oggettivo o per riduzione del personale o sospesi.
  In tale contesto si registra il primo tentativo di introdurre regole specifiche per il settore attraverso la circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 17 del 14 giugno 2006 (la cosiddetta «circolare Damiano»), che definisce i criteri di utilizzo legittimo del contratto di collaborazione nel settore dei call center, soprattutto ai fini dell'orientamento dell'attività di vigilanza. La circolare ha operato una distinzione tra attività outbound (nell'ambito delle quali «il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l'utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un Pag. 197singolo committente») e attività inbound (in cui «l'operatore non gestisce la propria attività, né può in alcun modo pianificarla, giacché la stessa consiste prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell'utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo»), escludendo che, per le seconde (in quanto sostanzialmente riconducibili al lavoro dipendente, di cui presentano tutti i caratteri essenziali) fosse in linea di principio utilizzabile il contratto di lavoro a progetto. In sostanza, tale circolare, pur essendo specificamente indirizzata al fenomeno dei call center, ha fornito indicazioni operative per le ispezioni sui contratti di collaborazione, guidando la verifica della «genuinità» e della regolarità del lavoro a progetto secondo i parametri corretti, ed individuando altresì ipotesi di attività non riconducibili ad un progetto o programma di lavoro.
  L'individuazione di fattispecie «non congrue» (non riconducibili, cioè, a un progetto che legittimi il ricorso a contratti di collaborazione) prosegue con la circolare n. 4 del 29 gennaio 2008, che ha individuato una serie di categorie lavorative nelle quali sono presenti «attività che l'esperienza ispettiva, indipendentemente dai settori produttivi presi in considerazione, ha ritenuto difficilmente compatibili, nel concreto, con il regime di autonomia che deve necessariamente caratterizzare la prestazione lavorativa dei soggetti che operano nell'ambito del lavoro a progetto».
  Sul versante legislativo, i commi da 1202 a 1210 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), in linea con quanto poco prima previsto nella circolare n. 17 del 2006, promuove processi di stabilizzazione (attraverso specifici accordi sindacali) dei collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, utilizzati dal committente in contesti e con modalità difformi rispetto agli elementi propri della tipologia contrattuale.
  Per effetto degli interventi normativi messi in campo nel 2006 le aziende del settore procedono alla «stabilizzazione» di circa 18.000 lavoratori.
  Il processo di stabilizzazione dei «finti» lavoratori a progetto operanti nei call center, tuttavia, incontra all'interno di talune realtà imprenditoriali ostacoli che non vengono superati neanche attraverso gli accordi contrattuali sottoscritti tra le parti, in quanto molti collaboratori, non aderendo alle procedure sindacali di stabilizzazione, preferiscono ricorrere alla via giudiziaria con l'obiettivo di ottenere la conversione ex tunc (ossia con effetto retroattivo dalla data di assunzione) del contratto di lavoro subordinato. A fronte dell'ampio contenzioso giurisdizionale che ne deriva e dei primi significativi pronunciamenti a favore dei lavoratori, il legislatore, con l'articolo 50 della legge 4 novembre 2010, n. 183, decide di intervenire sul sistema sanzionatorio relativo alle collaborazioni coordinate e continuative, introducendo una deroga volta a sancire che, in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, non operi la trasformazione del contratto di collaborazione in contratto di lavoro subordinato nel caso in cui il datore di lavoro abbia offerto (entro il 30 settembre 2008) la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato in base alle procedure di stabilizzazione della legge n. 296 del 2006 (per almeno ventiquattro mesi, anche part-time). L'esclusione opera anche nel caso in cui il datore di lavoro, dopo il 24 novembre 2010, abbia ulteriormente offerto la trasformazione a tempo indeterminato del contratto in corso, ovvero abbia offerto l'assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere. In queste ipotesi, il datore di lavoro è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore con una specifica indennità pari ad un importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, secondo specifici criteri indicati nell'articolo Pag. 1988 della legge n. 604 del 1966, (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell'impresa, anzianità di servizio del prestatore di lavoro, comportamento e condizioni delle parti).
  Il legislatore torna nuovamente a intervenire sulla materia dei call center con l'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, nel tentativo di affrontare i più urgenti problemi nel frattempo emersi nel settore (delocalizzazioni, uso distorto degli incentivi della legge n. 407 del 1990, tutela della privacy). Tale disposizione, applicabile esclusivamente nei confronti dei call center con almeno 20 dipendenti, ha disposto l'obbligo, per le aziende che spostano l'attività fuori del territorio nazionale, di comunicare tale spostamento al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché al Garante per la protezione dei dati personali almeno 120 giorni prima del trasferimento stesso, individuando i lavoratori coinvolti. Inoltre, si dispone il divieto di erogare i già ricordati benefici di cui alla legge n. 407 del 1990 alle aziende che trasferiscano all'estero attività di call center. Intervenendo, inoltre, sulla disciplina del lavoro a progetto, si dispone che le nuove disposizioni introdotte dall'articolo 1, comma 23, della legge n. 92 del 2012 di riforma del mercato del lavoro (relative ai parametri cui i datori di lavoro devono attenersi per poter ricorrere al lavoro a progetto) non trovino applicazione (oltre che per gli agenti e rappresentanti di commercio), per le attività di vendita diretta di beni e servizi realizzate attraverso call center outbound, per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. Sostanzialmente, la norma, evidenziando la specificità delle richiamate attività, prevede una vera e propria esclusione dell'applicazione dei requisiti di cui all'articolo 61 del decreto legislativo n. 276 del 2003, normalmente richiesti ai fini di un ricorso legittimo del contratto a progetto. Ai fini dell'attuazione di tale disposizione, il 1o agosto 2013 è stato stipulato uno specifico accordo collettivo tra Assotelecomunicazioni – Asstel e Assocontact, da una parte, e SLC-CGIL, FISTel-CISL e UIL-COM UIL, dall'altra, per individuare il corrispettivo per i lavoratori adibiti ad attività outbound. Successivamente, l'articolo 7, comma 2-bis, del decreto-legge n. 76 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 99 del 2013, ha inteso sciogliere taluni nodi interpretativi sorti successivamente alla riforma, disponendo, attraverso una norma di interpretazione autentica del medesimo articolo 61 del decreto legislativo n. 276 del 2003, che, nelle attività dei call center outbound, il ricorso al lavoro a progetto è ammesso sia per le attività di vendita diretta di beni, sia per le attività di servizi. Già la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 14 del 2 aprile 2013 aveva, del resto, chiarito che le disposizioni dell'articolo 24-bis trovano applicazione con riferimento sia alle attività di vendita di beni, sia alle attività di servizi, a prescindere dal requisito dimensionale dell'azienda. Per quanto attiene alle disposizioni concernenti le delocalizzazioni, la medesima circolare ha chiarito che l'attività si intende delocalizzata qualora le commesse acquisite da una azienda con sede legale in Italia e già avviate nel territorio nazionale siano trasferite – prima della naturale scadenza del relativo contratto – a personale operante in Paesi non appartenenti all'Unione europea sia attraverso la successiva apertura di nuove filiali fuori dal territorio nazionale, sia attraverso un meccanismo di subappalto. Giova, infine, ricordare le disposizioni dei commi 4, 5 e 6 del richiamato articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, tese a garantire la protezione dei dati personali nei casi di contatto con operatori di call center collocati in Paesi esteri. I cittadini che effettuano una chiamata ad un call center hanno il diritto ad essere informati preliminarmente sul Paese estero in cui è collocato l'operatore contattato e hanno la facoltà di scegliere che il servizio richiesto sia reso tramite un operatore collocato nel territorio nazionale. Specularmente, in caso di chiamata Pag. 199da parte di un call center, i cittadini devono essere preliminarmente informati sul Paese estero in cui è collocato l'operatore. In caso di mancato rispetto di tali previsioni, si stabilisce una sanzione amministrativa pecuniaria di 10.000 euro per ogni giornata di violazione. In attuazione di tali disposizioni il Garante per la protezione dei dati personali ha, quindi, adottato il provvedimento 10 ottobre 2013, n. 444, recante «Prescrizioni in materia di trattamento dei dati personali effettuato mediante l'utilizzo di call center siti in Paesi al di fuori dell'Unione europea».
  Da ultimo, l'articolo 1, comma 22, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013), ha disposto la concessione di uno specifico beneficio per il 2014 (pari a un decimo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per ciascuno dei lavoratori stabilizzati, per un periodo massimo di dodici mesi) per le aziende operanti nel settore dei call center, a condizione che abbiano attuato le specifiche misure di stabilizzazione dei collaboratori a progetto previste dall'articolo 1, comma 1202, della legge finanziaria 2007, entro il 30 settembre 2008 e abbiano lavoratori ancora in forza al 31 dicembre 2013. Non è stato tuttavia ancora adottato il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, al quale è affidata la definizione delle modalità attuative della disposizione. Da ultimo, il disegno di legge di stabilità 2015, attualmente all'esame del Parlamento, ha previsto una riduzione per un importo di 2 milioni di euro delle risorse destinate ai benefici negli anni 2015 e 2016.

3. I principali elementi emersi nel corso delle audizioni.

  In questa sede si intende fornire una sintesi dei numerosi contributi forniti alla Commissione sul tema oggetto dell'indagine, fermo restando che – data l'ampiezza e la complessità degli elementi conoscitivi emersi nell'ambito delle audizioni e della documentazione depositata agli atti in quella sede – per un esame più analitico dei singoli contributi e delle questioni affrontate potrà farsi riferimento ai resoconti stenografici delle audizioni svolte e alla documentazione ad essi allegata. Questa sezione reca quindi, senza pretesa di esaustività, una breve rassegna dei principali elementi emersi nel corso di ciascuna audizione, esposti – per ragioni di natura sistematica – nell'ordine cronologico di svolgimento delle audizioni stesse, anche al fine di rispecchiare il contesto di riferimento nelle diverse fasi in cui le audizioni stesse hanno avuto luogo.

3.1. Assocontact.

  La prima audizione, svoltasi il 27 maggio 2014, ha visto la partecipazione di rappresentati di Assocontact, associazione rappresentativa dei contact center in outsourcing, i quali hanno fornito indicazioni di contesto relative al proprio settore di riferimento, evidenziando come esso, pur muovendosi in un contesto di crescita, registri tuttavia una bassa redditività: la redditività media delle imprese si situa, infatti, al 5 per cento circa, come margine operativo lordo. L'altra caratteristica dell'attività di call center è l'alta intensità di lavoro, con un'incidenza del costo del personale che supera anche l'80 per cento. In questo contesto, per assicurare maggiore redditività, le imprese sono intervenute principalmente attraverso misure incidenti sui processi di lavoro e sullo sviluppo di nuove tecnologie. Con riferimento alle attività svolte, il settore è costituito per due terzi da attività cosiddette inbound, relative alla cioè gestione di customer care e di servizi per conto di grandi clienti, e per un terzo da attività cosiddette outbound, nelle quali rientrano le vendite telefoniche, le ricerche di mercato, i sondaggi, i recall, il recupero crediti.
  Quanto alle tipologie contrattuali utilizzate per le assunzioni, i rappresentanti di Assocontact segnalano che circa il 60 per cento dei lavoratori è assunto con contratti a tempo indeterminato, mentre per il restante 40 per cento sono utilizzati contratti di lavoro a progetto. Con riferimento Pag. 200alla situazione lavorativa nei call center, nell'audizione si è evidenziato come il settore sia nel complesso sano, ricordando come l'associazione si sia dotata di un codice etico e di un codice autodisciplina che disciplina tutta l'attività nell’outbound e nell’inbound con i consumatori. Segnalano, comunque, l'esigenza che siano adeguatamente perseguiti e sanzionati i casi di illegalità che pure sono riscontrabili nell'esperienza concreta.
  Quanto alle criticità del settore, si è in primo luogo osservato come, con il sopraggiungere della crisi, talune imprese abbiano cominciato a spostare parte delle proprie attività in offshoring, in aree nelle quali il costo del lavoro è molto più basso rispetto al nostro Paese. Un analogo processo di trasferimento delle attività si riscontra, peraltro, anche verso territori dell'Italia meridionale, in quanto le imprese mirano a sfruttare gli incentivi previsti in quei territori. Assocontact sottolinea che le attività delocalizzate risultano quantificabili in misura pari a circa il 10 cento del mercato e che la quota trasferita in Paesi che non fanno parte dell'Unione europea ammonta a circa la metà del volume di attività delocalizzate, evidenziando un trend di incremento del fenomeno, che viene giudicato criticamente dall'associazione, con particolare riferimento alle imprese che abbiano beneficiato di incentivi in Italia.
  Con riferimento ai possibili interventi da realizzare, i rappresentanti di Assocontact hanno rilevato l'esigenza di affrontare le problematiche del settore in una logica di sistema, con misure di politica industriale e fiscale, anziché procedere di volta in volta alla gestione delle diverse crisi che si presentano a livello aziendale o territoriale. In questo quadro, quanto al monitoraggio del settore, si giudica con particolare favore la ricostituzione di un osservatorio nazionale che coinvolga parti sociali ed istituzioni. Quanto alle politiche fiscali, si reputano particolarmente utili interventi volti a contenere il costo del lavoro, che – come segnalato – incide sensibilmente sulla redditività del settore, potendosi in particolare ipotizzare al riguardo, nell'attesa di una riforma più complessiva, un'azione volta ad alleggerire il carico dell'IRAP. È stata poi evidenziata l'esigenza di monitorare con attenzione i casi di offerte al massimo ribasso, salvaguardando il mantenimento delle condizioni contrattuali in caso di cambio di fornitori in una gara d'appalto: si è, infatti, osservato come i soggetti subentranti possano applicare condizioni economicamente più convenienti di quelle esistenti, sfruttando la normativa che concede incentivi connessi alle nuove assunzioni o all'avvio di nuove attività imprenditoriali, con ciò alterando tuttavia l'andamento fisiologico del mercato. A tale proposito, è stato in particolare suggerito di equiparare, con opportuni correttivi ed adattamenti, la disciplina del cambio di appalto a quella della cessione del ramo d'azienda. Più in generale, Assocontact ha richiamato l'esigenza di un pieno rispetto della normativa vigente, assicurando anche che sta vigilando sul rispetto della disciplina in materia di tutela dei dati personali nei casi di delocalizzazione in altri Paesi, che non prevedono legislazioni di tutela in materia. Su un piano più generale, l'associazione ha evidenziato come si rendano necessari interventi che premino la qualità e l'efficienza e non la semplice riduzione dei corrispettivi, privilegiando riforme di ampio respiro rispetto a interventi che si limitino a prevedere incentivi limitati territorialmente o temporalmente.

3.2. AlmavivA Contact S.p.a. e Comdata S.p.a.

  Le successive audizioni, svoltesi il 27 maggio 2014, hanno interessato rappresentanti di due importanti operatori del settore dei call center AlmavivA Contact S.p.a. e di Comdata S.p.a..
  I rappresentanti di AlmavivA Contact S.p.a. hanno osservato che nel proprio gruppo, nel settore CRM (Customer Relationship Management), circa il 90 per cento del personale è assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (il 70 per cento è collocato in regioni meridionali e il 68 per cento è Pag. 201composto da donne). Quanto alle caratteristiche dei lavoratori, si esclude che si possa configurare il rischio di un'occupazione di carattere precario: l'età media dei lavoratori è di 38 anni, mentre l'anzianità aziendale media è di oltre otto anni. Quanto alla situazione del settore, nel sottolineare l'incidenza della crisi degli ultimi anni, si è rilevato che tra il 2009 e il primo trimestre del 2014 un elevato numero di imprese italiane – almeno una su tre – ha cessato l'attività, non di rado a seguito di assoggettamento a procedure concorsuali. Si è segnalato, inoltre, che oltre il 90 per cento delle aziende del settore ha chiuso in perdita gli ultimi due bilanci, al netto dei risultati eventualmente prodotti all'estero e di contributi od operazioni straordinarie.
  I motivi delle difficoltà incontrate dal settore dei call center nel nostro Paese sono riconducibili, a loro avviso, a una pluralità di fattori, tra i quali si indicano, in particolare, l'evoluzione tecnologica, gli effetti della situazione economica di crisi, il carico fiscale, l'utilizzo improprio degli incentivi alla nuova occupazione, le distorsioni esistenti nel riconoscimento degli ammortizzatori sociali, l'atteggiamento della committenza pubblica e i fenomeni di delocalizzazione. Quanto all'utilizzo degli incentivi, i rappresentanti di AlmavivA Contact S.p.a. lamentano la presenza di situazioni di concorrenza sleale legate alle distorsioni derivanti dalle agevolazioni previste a legislazione vigente, a partire da quelli di cui alla legge 29 dicembre 1990, n. 407, le quali non raggiungono l'obiettivo della creazione di posti di lavoro stabili, dal momento che vengono utilizzate in modo opportunistico dalle aziende che, decorso il termine di durata dell'incentivo, preferiscono chiudere, richiedere i trattamenti di integrazione salariale e poi delocalizzare. Anche sul versante degli ammortizzatori sociali, si rilevano rilevanti elementi di criticità, suscettibili di incidere negativamente sulla leale competizione aziendale, dal momento che mentre alcune aziende, come quelle del loro gruppo, essendo inquadrate dall'INPS nel settore industria, contribuiscono al finanziamento degli strumenti di sostegno al reddito, la maggior parte degli operatori economici che vi accedono, essendo inquadrati nel terziario, fanno ricorso alla Cassa integrazione guadagni in deroga, non sostenendo alcun onere. AlmavivA Contact S.p.a. stigmatizza poi la pubblicazione da parte delle pubbliche amministrazioni di bandi di gara che prevedono una base d'asta non in grado di coprire il puro e semplice costo del lavoro di un dipendente italiano, calcolato sulla base dei minimi contrattuali previsti dal contratto nazionale, nonché i fenomeni di delocalizzazione, rispetto ai quali, tuttavia, segnalano il divieto di delocalizzare contenuto nel loro statuto. Ritenuto, infatti, che la ricerca continua del minor costo del lavoro possibile non abbia alcun senso, se non quello di massimizzare i profitti nel breve periodo, giudicano necessaria una maggiore vigilanza sul rispetto della normativa vigente e, in particolare, dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012. Si auspica, inoltre, l'attuazione delle disposizioni dell'articolo 1, comma 22, della legge n. 147 del 2013, recante incentivi in favore delle aziende del settore dei servizi di call center che hanno attuato entro le scadenze previste le misure di stabilizzazione dei collaboratori a progetto, nonché si invita a considerare i possibili effetti positivi dell'incremento delle risorse destinate agli sgravi contributivi riferiti ai contratti di solidarietà, di cui alla legge n. 608 del 1996 relativa.
  I rappresentanti di Comdata S.p.a. hanno in primo luogo fornito un'analisi delle caratteristiche dei rapporti di lavoro in essere sul territorio italiano presso la loro impresa i dipendenti a tempo indeterminato sono 6.500 su un totale 7.000; ad essi vanno aggiunte mediamente 500-600 unità di personale somministrato, assunto per rispondere agli andamenti ciclici del mercato e per le fasi di start-up delle nuove commesse. Pur in un contesto caratterizzato da una grande variabilità dei volumi di attività ed elevata flessibilità, viene assicurare ai dipendenti una certa stabilità economica: in Italia circa il 50 per Pag. 202cento dei dipendenti della società ha contratti a 30 ore settimanali, il 12 per cento a 20 ore e il 38 per cento ha contratti full-time a 8 ore al giorno. Il ricorso al contratto a progetto è piuttosto ridotto e limitato alle attività outbound. Quanto ai caratteri dei rapporti di lavoro, i rappresentanti di Comdata S.p.a. hanno evidenziato come sempre meno l'attività lavorativa nei contact center abbia carattere di breve periodo, configurandosi sempre più come un percorso professionale: la percentuale di turnover è progressivamente decrescente e oggi si colloca circa all'1,5 per cento. La percentuale di laureati sulla forza lavoro è del 25 per cento, mentre gli altri lavoratori hanno come titolo di istruzione il diploma di scuola media superiore. L'alto livello di scolarità permette alle aziende di garantire un buon livello di servizio in una professione caratterizzata da complesse competenze professionali e, in questa ottica, grande attenzione viene dedicata alla formazione dei dipendenti.
  Per quanto attiene all'andamento del settore, i rappresentanti di Comdata S.p.a. riscontrano una crescente tendenza della clientela, e, in particolare, degli operatori delle telecomunicazioni, a ridurre, in modo anche considerevole, la propria spesa per questi servizi, con una conseguente riduzione del numero delle chiamate, l'internalizzazione di alcune attività e, quindi, un significativo abbassamento dei corrispettivi. Si riscontra, inoltre, una evoluzione del mercato in relazione all'ingresso di nuove tecnologie e all'utilizzo di nuovi canali di contatto, che determinerà sempre più la necessità di una nuova formazione dei lavoratori che operano nei servizi esistenti.
  Con riferimento al tema delle delocalizzazioni, i rappresentanti di Comdata S.p.a. hanno segnalato di essere presenti in Romani, con circa 1.800 lavoratori, sottolineando come il collocamento di attività in Paesi dell'Unione europea non necessariamente provoca conseguenze occupazionali negative sul territorio nazionale, potendo anzi avere effetti positivi anche in Italia, in quanto consente di conseguire la flessibilità richiesta dalle attività svolte. Più critico è, invece, il giudizio sulle incentivazioni a sostegno dell'occupazione previsti sul territorio nazionale: ad avviso degli auditi, infatti, il sistema di incentivazione presenta elementi di inefficacia, in quanto spesso consente l'aggiudicazione di commesse a prezzi fortemente ribassati, non sostenibili nel lungo periodo per la stessa natura temporanea degli incentivi. A tale ultimo riguardo, rispetto a nuove forme di incentivi temporanei, localizzati su alcuni territori o finalizzati ad alcune tipologie di azienda, per i settori labour intensive si ritiene assolutamente preferibile una modifica strutturale della tassazione Oltre alla riduzione generalizzata dell'IRAP, già prevista dal decreto-legge n. 66 del 2014, si giudicano opportuni ulteriori interventi, che dovrebbero, in particolare, prevedere l'integrale deducibilità dalla base imponibile dell'IRAP delle spese per il personale e di quelle assimilate per tutte le imprese che sostengono questi costi in misura superiore al 60 per cento del complessivo ammontare dei costi di produzione.

3.3. ISFOL.

  I rappresentanti dell'ISFOL, auditi nella seduta del 29 maggio 2014, hanno fornito un importante contributo all'analisi del settore delle attività di call center e alla ricostruzione delle caratteristiche dei rapporti di lavoro in essere. In primo luogo, quanto alla struttura delle imprese, si riscontra una significativa concentrazione delle attività, essendo il 70 per cento del fatturato riconducibile alle prime venti imprese del settore. Pur nel generale contesto di crisi, il fatturato nel 2012 presenta un leggero incremento, accompagnato anche da un lieve aumento dell'occupazione, e proiezioni di un andamento positivo si registrano anche per il 2014.
  Quanto alle caratteristiche dell'occupazione, si è osservato che il settore dei call center, a seguito degli interventi normativi, amministrativi, giurisprudenziali e sindacali, che hanno ricondotto le prestazioni di lavoro in questo settore a un adeguato livello di tutele e di protezioni, avrebbe Pag. 203raggiunto una certa stabilità con riferimento alle attività gestite in house (il 58 per cento dei lavoratori ha contratti a tempo indeterminato) e a quelle in outsourcing di tipo inbound. Si riscontra, invece, una certa fragilità per i lavoratori occupati in attività outbound, laddove il turn over si mantiene alto (soprattutto in caso di cambio di appalto) e vi è una considerevole quota di collaboratori a progetto (nel complesso nel settore in outsourcing i rapporti di collaborazione pesano per circa il 31,8 per cento), che si caratterizza per la maggiore debolezza sotto il profilo della protezione sociale. Sulla base delle stime già prodotte da Assocontact, l'ISFOL stima che i lavoratori che svolgono attività inbound siano intorno ai 45.000, mentre quelli che svolgono attività outbound siano circa 35.000, per un totale di circa 80.000 addetti. Secondo stime di provenienza sindacale si tratterebbe, invece, di 50.000 lavoratori inbound e 30.000 operatori outbound. I lavoratori sotto i 34 anni sono il 60 per cento – anche se la fascia di età si sta elevando – e sono in gran parte donne; il 35 per cento ha un'età compresa tra 35 e 50 anni e in prevalenza si tratta di diplomati o laureati. Sempre con riferimento alla composizione della forza-lavoro, si è riscontrato come la mancanza di opportunità occupazionali alternative ha reso disponibile per le imprese del settore manodopera con livelli di istruzione medio-alti, incrementando la media di permanenza nell'attività, pari a 4,5 anni, un dato influenzato dalla presente congiuntura economica. In mancanza di altre opportunità, anche chi è in possesso di titoli di studio medio-alti accetta opportunità lavorative non del tutto adeguate rispetto ai propri titoli di studio. La lettura di questo dato, non necessariamente positiva, è ritenuta meritevole di ulteriori approfondimenti: il radicamento di soggetti con elevata qualificazione in mansioni che non sempre richiedono significative competenze può rappresentare una perdita di capitale umano per l'intera collettività.
  Quanto al contesto economico del settore, si è notato come la crisi economica, pur in presenza di un fatturato complessivo del settore in moderata crescita e di un aumento, seppur contenuto, del numero degli addetti, abbia imposto una compressione dei costi che, in un settore labour intensive come quello dei call center, ha inciso sulla componente lavoro. In tale contesto, a fronte di appalti che puntano alla riduzione dei costi, anche attraverso assegnazioni al massimo ribasso, le misure volte al contenimento dei costi del personale, considerando i limiti legali esistenti per il ricorso al lavoro atipico e flessibile, si sono orientate nella direzione della delocalizzazione, fenomeno in aumento che si assesta intorno al 10 per cento dei volumi, di cui oltre la metà in Paesi fuori dall'Unione europea (in particolare, in Albania e Tunisia) e, secondo stime di fonte sindacale – interesserebbe circa 10.000 lavoratori.
  Dopo aver rilevato la pesante incidenza dell'IRAP su un settore nel quale il costo del lavoro è pari a circa il 70 per cento del totale dei costi di produzione, i rappresentanti dell'ISFOL hanno segnalato l'esigenza di incanalare la realizzazione di un sistema di sostegno al reddito in tale settore all'interno delle prospettive attualmente esistenti, ricorrendo agli strumenti previsti dall'articolo 4 della legge n. 92 del 2012, considerato l'ampio utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga riscontrato finora e destinato ad essere definitivamente superato. Parimenti, si sono segnalate le criticità connesse alla tutela dei livelli occupazionali in presenza di discontinuità della committenza.
   Conclusivamente, i rappresentanti dell'ISFOL, infine, si sono dichiarati disponibili a svolgere, in analogia con quanto avvenuto nel periodo 2006-2008, attività di ricerca e di approfondimento a supporto della possibile costituzione di un Osservatorio sulle problematiche del settore.

3.4. INPS.

  L'audizione di rappresentanti dell'INPS, svoltasi il 4 giugno 2014, ha consentito di acquisire ulteriori elementi di conoscenza sulle caratteristiche del settore, Pag. 204permettendo altresì di valutare, attraverso l'esperienza relativa alla gestione del contact center dell'Istituto, le problematiche connesse alle gestioni delle gare di appalto da parte delle amministrazioni pubbliche e le loro implicazioni sotto il profilo lavorativo e occupazionale.
  Per quanto attiene ai profili di carattere generale, richiamate le esperienze maturate in sede di applicazione della circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 17 del 2006 e le conseguenti attività di vigilanza, il direttore generale dell'INPS si è soffermato sugli effetti del processo di stabilizzazione avviato ai sensi dell'articolo 1, comma 1202, della legge n. 296 del 2006, utilizzato principalmente dalle imprese operanti nel settore dei call center. A partire dal 2006 i lavoratori complessivamente stabilizzati per le disposizioni sono stati poco più di 18.000. Quanto alle recenti innovazioni normative, i rappresentanti dell'INPS hanno sottolineato la rilevanza delle disposizioni contenute nell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, che disciplinano il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto, ricordando gli indirizzi interpretativi forniti al riguardo dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 14 del 2013. Con riferimento alle problematiche relative al rispetto della normativa in materia di lavoro, si sono segnalate le difficoltà che si incontrano nello svolgimento delle ispezioni presso i call center – rispetto alle quali nell'ultimo periodo non sono pervenute specifiche indicazioni da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – sia a causa delle caratteristiche organizzative dell'attività, che spesso non consentono una facile distinzione tra lavoro dipendente e autonomo, sia per la dislocazione all'estero della attività.
  Quanto ai profili concernenti le gare di appalto, i rappresentanti dell'INPS hanno fornito elementi informativi circa il proprio contact center, che svolge servizi di carattere multicanale e multimediale anche per conto dell'INAIL e di Equitalia, impiegando 2.529 operatori, dei quali 1.938 assunti a tempo indeterminato e 591 a tempo determinato, con un prevalente ricorso al part-time. Per circa il 90 per cento degli operatori il contratto di riferimento è quello delle telecomunicazioni, mentre negli altri casi si fa riferimento ai contratti del settore del commercio e delle cooperative. Per l'assegnazione del servizio l'Istituto ha proceduto con una gara europea utilizzando il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, al fine di garantire la qualità dell'attività, attribuendo un punteggio di 60 all'offerta tecnica e di 40 al prezzo. Nella gara, in conformità a una previsione dell'articolo 69 del decreto legislativo n. 163 del 2006, è prevista la localizzazione dei centri di servizio sul territorio italiano. Nel segnalare il rilievo della qualità del servizio offerto, specialmente tenendo conto dell'attività dei soggetti che si avvalgono del contact center (INPS, INAIL ed Equitalia), i rappresentanti dell'INPS hanno evidenziato come i cambi di appalto rappresentino senza dubbio un elemento di criticità, stante l'assenza nei contratti collettivi di riferimento e nella normativa di rango legislativo dell'obbligo di assunzione degli operatori già impiegati. Vi sarebbero, in ogni caso, aperture da parte dell'autorità di vigilanza rispetto alla previsione della facoltà dell'operatore subentrante di utilizzare il personale utilizzato dal precedente appaltatore, per non disperdere la professionalità accumulata. Per quanto attiene alla problematica attinente alla copertura del costo del lavoro in presenza di gare al massimo ribasso, si è evidenziato come l'operazione di scomputo sia difficoltosa nei segmenti di mercato nei quali il produttore possa utilizzare un'ampia gamma di modalità organizzative, importi prodotti da Paesi terzi e non sia tenuto al rispetto di contratti collettivi, mentre nei servizi ad alta intensità di manodopera tale computo è più agevole. In ogni caso, potranno senz'altro essere di aiuto nell'individuazione del livello adeguato di costo la fissazione di prezzi di riferimento per i Pag. 205beni e servizi, in linea con il processo avviato con le disposizioni dell'articolo 9 del decreto-legge n. 66 del 2014.

3.5. Assotelecomunicazioni – Asstel.

  Assotelecomunicazioni – Asstel è un'associazione che rappresenta, nel sistema di Confindustria, le imprese della filiera delle telecomunicazioni, che impiegano, secondo i dati forniti dalla medesima associazione, circa 120.000 lavoratori dipendenti, con la presenza di circa 40.000 addetti ad attività di call center, dei quali attorno alla metà sono impiegati da aziende operanti in regime di outsourcing. Nell'audizione, svoltasi il 10 giugno 2014, i rappresentanti dell'associazione imprenditoriale si sono soffermati, in primo luogo, sulle previsioni del contratto collettivo delle telecomunicazioni, sottoscritto dall'associazione e dalle parti sindacali, rinnovato da ultimo il 1o febbraio 2013 e applicato dalla maggior parte dei call center in outsourcing. In primo luogo, si sono richiamate le disposizioni dell'articolo 53 del contratto collettivo, così come modificate nel 2013, che – oltre a essere finalizzate a garantire il rispetto della normativa in materia previdenziale, assicurativa e di protezione contro gli infortuni, nonché a limitare il ricorso al subappalto – prevedono uno specifico monitoraggio delle ricadute occupazionali dei cambio di appalto, attraverso specifiche regole di confronto sindacale, nonché specifici principi volti ad escludere l'affidamento delle attività a soggetti scarsamente autonomi, finanziariamente instabili. In questo quadro, si richiedono altresì la presenza di un codice etico aziendale sia per l'appaltante sia per l'appaltatore, nonché l'applicazione del contratto collettivo delle telecomunicazioni o di un contratto ad esso equivalente.
  A integrazione del contratto collettivo, il 1o agosto 2013 Assotelecomunicazioni-Asstel, e Assocontact, hanno firmato con le organizzazioni sindacali di categoria uno specifico accordo collettivo per la disciplina delle collaborazioni a progetto nelle attività di vendita di beni e di servizi, recupero crediti e ricerche di mercato, realizzati attraverso call center in outbound, in attuazione del comma 7 dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012. Con l'accordo sono stati, per la prima volta, fissati minimi retributivi contrattuali per i lavoratori a progetto, attualmente pari a 4,78 euro all'ora, collegato ai minimi previsti dal contratto collettivo di categoria, suscettibile comunque di incremento in relazione al riconoscimento degli incentivi collegati ai risultati ottenuti.
  Quanto all'andamento del settore, i rappresentanti dell'associazione hanno sottolineato le difficoltà incontrate dal settore delle telecomunicazioni, nei quali il prezzo finale ai consumatori ha subito a partire dall'anno 2005 un apprezzabile decremento, a fronte degli aumenti registrati dagli altri settori, con inevitabili ricadute sui ricavi conseguiti dagli operatori. Parimenti, per quanto attiene ai servizi di assistenza alla clientela, gli operatori sono stretti tra il rispetto del principio di gratuità per i consumatori e la garanzia del raggiungimento di obiettivi di qualità, fissati dalle autorità di regolazione, sempre più elevati. In un'epoca di forte contrazione delle risorse – a loro avviso – si potrebbe ipotizzare un intervento volto a riconsiderare la gratuità dei servizi di assistenza ai clienti, al fine di consentire alle imprese di aumentare la loro competitività e ai clienti di beneficiare di un servizio di qualità.
  Conclusivamente, al fine di promuovere una ripresa del settore, i rappresentanti di Assotelecomunicazioni – Asstel, nel segnalare che non si rendono necessari ulteriori interventi legislativi in materia, propongono l'attivazione di misure di defiscalizzazione degli investimenti, specialmente relativi alla banda larga, il completamento dell'Agenda digitale, la riduzione del carico dell'IRAP sul costo del lavoro, che ha un'altissima incidenza (pari a circa l'85 per cento dei costi) nelle attività di call center. Per quanto attiene alle aree più strettamente riferibili alla materia lavoristica, si è segnalata l'opportunità di rafforzare la relazione tra salari e produttività Pag. 206e di favorire lo sviluppo della formazione degli operatori, nonché lo svolgimento di controlli sui qualità del servizio.

3.6. ISTAT.

  I rappresentanti dell'ISTAT, nell'audizione dell'11 giugno 2014, hanno fornito un quadro statistico completo e aggiornato riferito tanto all'offerta quanto alla domanda di lavoro nel settore dei call center. Sul versante delle imprese, nell'anno 2011 si riscontra la presenza di oltre 1.400 operatori, con un fatturato di circa 2,3 miliardi di euro e un valore aggiunto di circa 1,3 miliardi di euro. Il settore ha registrato, in passato, uno sviluppo molto forte, passando dalla presenza di 935 operatori nel 2003 a 1.500 imprese nel 2007, con un totale di circa 32.000 addetti, contro i 12.800 lavoratori presenti nel 2003. Anche la recente crisi economica non ha determinato un arresto del processo di crescita del settore, che – in controtendenza rispetto al comparto di riferimento – nel 2012 ha registrato un incremento dell'occupazione del 12 per cento rispetto al 2008, con la presenza di circa 51.000 lavoratori all'interno delle imprese e circa 31.000 lavoratori esterni o temporanei.
  Sempre sul versante delle imprese, si riscontra un alto livello di concentrazione, anche rispetto al comparto di riferimento, in quanto alle prime cinque imprese è riconducibile una quota pari al 29 per cento del mercato e per un impresa su due il cliente principale assorbe oltre la metà del fatturato, determinando una forte dipendenza dell'impresa dal committente. Si è rilevato, altresì, che la produttività del lavoro si attesta a circa 25 mila euro per addetto, valore relativamente ridotto se comparato a quello del comparto dei servizi alle imprese, che è di circa 31 mila euro. A questo, valore è associato un costo del lavoro per dipendente (calcolato sui lavoratori interni) di circa 24 mila euro. Le imprese di maggiori dimensioni hanno sede legale nel Nord Italia, mentre il maggior numero di operatori (circa il 40 per cento) si colloca nelle regioni del Mezzogiorno, con un peso crescente delle attività, specialmente in Calabria e Puglia. Sotto il profilo strategico, le imprese nel recente censimento hanno dichiarato di aver puntato, per fronteggiare le conseguenze della crisi, sull'ampliamento della gamma dei servizi offerti e sul miglioramento della loro qualità, mentre il fattore prezzo ha un'incidenza minore. I rappresentanti dell'ISTAT, inoltre, registrano, sul versate dell'internazionalizzazione attiva, un'elevata presenza di imprese italiane in Cina e in Brasile, ma anche in alcuni Paesi europei, in particolare la Romania, ma anche Polonia, Albania e Croazia, caratterizzati da un minore costo del lavoro.
  Sul versante dell'occupazione, la ripartizione tra lavoratori interni all'impresa e lavoratori esterni ha caratteri peculiari, in quanto la quota di lavoratori interni, pari a circa il 60 per cento, è sensibilmente inferiore a quella del comparto di riferimento, pari a circa il 92 per cento, e cala al 48 per cento nelle regioni meridionali. Forte è anche l'incidenza dei rapporti a tempo parziale, che interessano circa i tre quarti delle lavoratrici e la metà dei lavoratori, per un'incidenza complessiva pari al 70 per cento. L'inquadramento prevalente è nella qualifica di impiegato (92,7 per cento) e, in questo ambito, risulta prevalente la presenza di lavoratrici (72,2 per cento) e di lavoratori tra i 30 e i 49 anni (69 per cento). La presenza di donne è particolarmente elevata nel Mezzogiorno e tra i lavoratori esterni all'impresa. Anche la presenza di giovani ha un'incidenza superiore alla media del comparto: i lavoratori con meno di trent'anni rappresentano il 39 per cento del totale e la percentuale cresce tra i lavoratori esterni all'impresa (si tratta di 24.000 lavoratori, dei quali circa 10.000 lavoratori nel Mezzogiorno). Anche a causa della loro giovane età, gli occupati nei call center presentano un livello di istruzione molto più alto della media: oltre due terzi possiede un diploma e più di un quinto ha un titolo universitario, in confronto rispettivamente al 44 per cento e al 10 per cento degli occupati nel settore dei servizi. Nel Mezzogiorno la quota di diplomati Pag. 207sale al 70 per cento. Il tasso di concentrazione del settore si riflette sull'occupazione: il 75 per cento dell'occupazione è nelle grandi imprese e solo un occupato su 20 è collocato nelle imprese con meno di 10 addetti.

3.7. Esperti della materia.

  Nell'ambito dell'audizione di esperti della materia, svoltasi il 17 giugno 2014, la Commissione ha raccolto una serie di analisi e di valutazioni sul settore dei call center e su possibili interventi correttivi da adottare in materia. L'avvocato Fulvio Castelli ha incentrato il proprio contributo sul tema della tassazione sui settori produttivi, come quello dei call center, caratterizzati da alta intensità di lavoro. In particolare, si sottolinea l'elevata incidenza dell'IRAP, parzialmente temperato – in modo assolutamente disomogeneo sul territorio nazionale – dalla presenza di incentivi contributivi per le nuove assunzioni (si cita, in particolare, la legge n. 407 del 1990), che non tutelano l'occupazione stabile, creando distorsioni nei meccanismi competitivi che rischiano di portare all'apertura di aziende destinate ad una rapida chiusura, una volta terminata l'erogazione dei benefici. In presenza di un contesto che non incentiva adeguati investimenti sulla professionalità dei lavoratori, si sono affermati processi di delocalizzazione verso Paesi di libero scambio, come l'Albania, o Stati dell'Unione europea, quali, in particolare, la Romania e la Bulgaria, caratterizzati da un minor costo del lavoro, minori garanzie per i lavoratori e un livello di tassazione inferiore. Rispetto alle delocalizzazioni in Paesi non appartenenti all'Unione europea, l'avvocato Castelli paventa il rischio di una non completa efficacia delle disposizioni di cui all'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012. Per quanto attiene ai possibili interventi normativi, l'avvocato Castelli ha ribadito l'esigenza di una revisione della normativa sull'IRAP e di un ripensamento del sistema degli incentivi all'occupazione, tenendo conto anche dei costi sostenuti dalla fiscalità generale per gli ammortizzatori sociali in deroga, dei quali beneficiano gran parte degli operatori del settore. Si potrebbe, in particolare, valutare la possibilità di una sospensione di imposta per gli utili che l'impresa investa in innovazione tecnologica e nello sviluppo delle reti, nonché una sostituzione degli incentivi settoriali con una riduzione del carico fiscale. Nel segnalare l'opportunità di istituire un tavolo di confronto permanente tra istituzioni e parti sociali, si è osservato come le distorsioni scaturenti dalla gare al massimo ribasso sarebbero contrastabili con l'esclusione dalla base d'asta del costo del lavoro.
  Nel suo intervento Vincenzo Fortunato ha illustrato dati utili ad una ricostruzione della situazione del lavoro nei call center, anche avvalendosi dei dati raccolti nel corso di una indagine condotta sui lavoratori di diciannove call center operanti in Calabria, Lazio, Lombardia e Sicilia attraverso la somministrazione di 1.715 questionari. Il quadro che ne è risultato è piuttosto articolato, anche a livello territoriale, in considerazione delle diverse tipologie dei call center e dei lavoratori che vi sono impiegati e consente di verificare la fondatezza di alcune delle ricostruzioni più ricorrenti circa l'occupazione nel settore. In primo luogo, si è riscontrato che il lavoro nei call center non è più un impiego limitato alle fasce più giovani, ma i lavoratori con più di trent'anni rappresentano una percentuale significativa, specialmente nelle regioni del Centro-Nord, mentre in Calabria permangono prevalenti i lavoratori tra 25 e 30 anni di età. Analogamente, il livello di scolarizzazione è sensibilmente più elevato nelle regioni del Centro-Sud, a testimonianza del ruolo di ingresso al mondo del lavoro svolto dai call center, che – per le donne – costituiscono altresì un'opportunità di rientro nel mercato occupazionale. In questo senso, è significativo che in prevalenza la scelta di lavorare nei call center è imputabile ad assenza di alternative e a ragioni squisitamente economiche per i giovani del Sud, mentre per i lavoratori del Nord l'incidenza di queste variabili sarebbe più Pag. 208contenuta, assumendo maggior rilievo la possibilità di conciliare diverse attività. Quanto alle tutele, i lavoratori inbound beneficiano di maggiori tutele, con stipendi che variano – sulla base dell'orario di lavoro – tra i 550 e 1.000 euro, mentre la maggioranza dei lavoratori operanti esclusivamente in outbound percepisce un salario compreso tra 500 e 800 euro. Nel segnalare come in media i call center di maggiori dimensioni garantiscono condizioni di lavoro migliori, il dottor Fortunato ha evidenziato come il tasso di iscrizione ad organizzazioni sindacali sia piuttosto basso, in quanto circa il 75 per cento degli operatori non è iscritto a sindacati. Nel complesso, l'analisi condotta ha evidenziato come il lavoro nei call center, in presenza di un sistema di incentivi stabili, di investimenti duraturi e di forme non precarie di occupazione, possa costituire un'opportunità di sviluppo e non necessariamente un momento di passaggio, al momento dell'ingresso nel mercato del lavoro. In questi termini, mentre il lavoro nel settore outbound mantiene caratteri propri del bad job, l'occupazione stabile nel settore inbound può costituire – specialmente nel Sud – uno sbocco professionale soddisfacente anche per lavoratori con più elevati titoli di studio.
  La professoressa Carmen La Macchia, nel sottolineare come la questione del lavoro nei call center debba essere inquadrata nel più ampio contesto della disciplina dei servizi rivolti al consumatore e all'utente dei servizi pubblici essenziali, ha evidenziato come tale inquadramento porti con sé l'esigenza di garantire una elevata qualità dei servizi offerti e, conseguentemente, la continuità dell'occupazione nel settore e la promozione della professionalità degli operatori. In questo contesto, la sua analisi si è incentrata su una valutazione critica della normativa italiana relativa alla successione degli appalti: l'articolo 29 del decreto legislativo n. 276 del 2003, a suo avviso, non garantisce un corretto recepimento della direttiva n. 2001/23/CE, relativa ai diritti dei lavoratori nei trasferimenti di azienda. Sulla base della comparazione con altre legislazioni europee, tale direttiva, che garantisce la continuità dei rapporti di lavoro e dei diritti che ne derivano sarebbe, secondo la ricostruzione proposta, applicabile in presenza di qualsiasi tipo di mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata e quindi anche al cambio di appalto, per il quale, allo stato, è prevista solo l'obbligazione solidale tra committente e appaltatore. La professoressa La Macchia ha precisato che il decreto legislativo n. 76 del 2013 ha esteso la garanzia dell'obbligazione solidale anche in favore dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo, ma esentando da detta obbligazione le pubbliche amministrazioni: ciò ha determinato una grave disparità di trattamento tra lavoratori, dettata unicamente in ragione del tipo di committente. Si è quindi proposta l'estensione delle disposizioni di cui all'articolo 2112 del codice civile anche alle vicende circolatorie connesse alla successione degli appalti, affidando poi la regolamentazione dei diversi aspetti, dal mantenimento dell'occupazione ai livelli normativi e retributivi, alla contrattazione collettiva. Quanto al possibile ricorso a clausole sociali inserite nei contratti collettivi, la professoressa La Macchia ha sottolineato la debolezza di tale soluzione, in presenza di un sistema, come quello italiano, che non riconosce efficacia erga omnes ai contratti collettivi.
  La dottoressa Lidia Undiemi ha ripercorso i tentativi normativi e amministrativi di regolamentazione e di regolarizzazione del lavoro nei call center rilevando come i processi avviati non abbiano, a suo avviso, portato i benefici attesi e si sia anzi avviato, con l'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, un percorso in direzione contraria. Su un piano più generale, si è evidenziata l'estrema dipendenza delle imprese in outsourcing dalla committenza, dovuta alla limitatezza delle loro strutture, non rinvenendosi differenze sostanziali tra la condizione degli operatori inbound e outbound. La dottoressa Undiemi ha quindi segnalato come i processi di outsourcing abbiano portato all'affermazione di un modello in cui le grandi Pag. 209società di telecomunicazioni si trasformano in semplici committenti dei servizi, costituendo società di riferimento ad hoc con l'unico scopo di esternalizzare i servizi di call center e ridurre il costo del lavoro. Infatti, la maggior parte delle operazioni di outsourcing avviene con la costituzione delle cosiddette «Newco», aziende create ad hoc in occasione dell'operazione di cessione, nelle quali sono canalizzati i dipendenti. A fronte di tale situazione, la dottoressa Undiemi propone di individuare forme di tutela dei lavoratori nei gruppi di società, nonché di introdurre il diritto di opposizione dei lavoratori al trasferimento di ramo di azienda, mentre manifesta dubbi sulla possibilità di approntare efficaci strumenti di tutela del lavoro negli appalti, considerati i rischi di invadere la sfera dell'autonomia imprenditoriale.

3.8 Federtelservizi.

  Nella seduta del 19 giugno 2014 si è svolta l'audizione di rappresentanti di Federtelservizi, associazione di operatori del settore delle telecomunicazioni, inquadrata nell'ambito di Confcommercio – Imprese per l'Italia, che, proprio in ragione di tale inquadramento, applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del commercio, diversamente dalle imprese rappresentate da Assocontact e Assotelecomunicazioni – Asstel, che fanno invece riferimento al contratto delle telecomunicazioni, per effetto anche della storia del settore dei call center, che trae origine dall'esternalizzazione di attività prima svolte all'interno di società di telecomunicazioni. Al contrario, il contratto del commercio si presterebbe meglio ad inquadrare le attività di vendita che caratterizzano l'attività svolte nei call center, sia inbound che outbound. Il contratto del commercio prevede, in particolare, la presenza nella retribuzione del lavoratore di una componente variabile, legata al successo nella vendita, a differenza di quanto previsto nel contratto del settore delle telecomunicazioni. In questo senso, i rappresentanti dell'associazione hanno espresso una valutazione critica circa le disposizioni introdotte dal decreto-legge n. 83 del 2012, volte a fissare minimi salariali per i contratti di collaborazione a progetto nel settore outbound sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, che – a loro avviso – determinano una forte assimilazione con i lavoratori subordinati. Mentre per i lavoratori inbound la previsione di un minimo contrattuale – con possibilità di incrementi connessi alla produttività – si sposa con la natura del contratto di lavoro a tempo indeterminato, nelle attività outbound tale garanzia minima, senza la previsione di premi di risultato, può determinare distorsioni e costi troppo elevati. Nell'evidenziare come nell'ambito del settore del commercio non si sia pervenuti a una regolazione del contratto a progetto come quella individuata con l'accordo tra Assocontact, Assotelecomunicazioni – Asstel e sindacati il 1o agosto 2013, che determinerebbe, a loro avviso, preoccupanti incrementi del costo del lavoro, i rappresentanti di Federtelservizi hanno segnalato l'esigenza di individuare una struttura contrattuale che premi adeguatamente le attività di vendita che generano ricavi per le e consenta di gestire l'eventuale conclusione delle commesse. Quanto alla situazione del settore, si è richiamata l'esigenza di limitare la pratica delle delocalizzazioni, che mette a rischio i posti di lavoro presenti nel territorio nazionale e determina il pericolo di un'elusione delle regole vigenti in materia di tutela dei dati personali.

3.9. CGIL, CISL, UIL e UGL.

  Nella seduta dell'8 luglio 2014 si è proceduto all'audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
  I rappresentanti della CGIL – richiamate le peculiarità del settore dei call center – hanno in primo luogo evidenziato la presenza di fenomeni distorsivi del mercato del lavoro connesse al sistema degli incentivi, che determina l'attivazione di un meccanismo di vera e propria «migrazione» dell'occupazione, in relazione alla disponibilità di benefici tesi ad abbattere Pag. 210il costo del lavoro. Il sistema degli incentivi ha quindi portato al progressivo spostamento delle attività verso il Mezzogiorno, senza tuttavia produrre un reale incremento dell'occupazione, che si crea e si distrugge in relazione alla presenza o all'esaurimento delle agevolazioni per le nuove assunzioni, con significativi costi per la fiscalità generale dovuti al riconoscimento di ammortizzatori sociali in deroga. Questo processo, che sta da ultimo portando alla delocalizzazione delle attività verso Paesi con un costo del lavoro inferiore, è in parte dovuto – per i rappresentanti sindacali – alla mancata estensione ai cambi di appalto delle disposizioni nazionali di recepimento della direttiva 2001/23/CE, relativa ai trasferimenti di impresa o di stabilimento. Per effetto di tale mancata estensione si escluderebbe, quindi, la dinamica della contrattazione e una negoziazione preventiva che possa scongiurare il licenziamento dei lavoratori. Sul piano delle proposte, si ritiene quindi prioritario intervenire sulle disposizioni di recepimento della direttiva 2001/23/CE, con una modifica dell'articolo 2112 del codice civile e dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 276 del 2003, osservandosi come la stabilizzazione dell'occupazione che ne conseguirebbe ridurrebbe i costi sostenuti dall'erario per incentivi e ammortizzatori sociali, promuoverebbe maggiori investimenti anche nella formazione e porrebbe un freno ai fenomeni di delocalizzazione. I contratti collettivi potrebbero avere una funzione integrativa delle disposizioni di legge, mentre la semplice previsione di una clausola sociale nei contratti collettivi viene ritenuta una soluzione inadeguata, che si presterebbe a comportamenti elusivi. Ribadita l'esigenza di un intervento sul sistema degli incentivi che eviti comportamenti opportunistici, i rappresentanti della CGIL ritengono condivisibile una riduzione dell'IRAP, osservando tuttavia che tale riduzione si dovrebbe realizzare solo in presenza di una revisione della normativa volta ad assicurare la continuità dell'occupazione, in quanto altrimenti essa si tradurrebbe in un trasferimento di risorse alle imprese.
  I rappresentanti della CISL evidenziano l'esigenza di trovare una strada legislativa per mettere fine alla precarizzazione dei lavoratori dei call center, in vista di una loro definitiva stabilizzazione. In questa ottica, trattandosi di aziende labour intensive, con un costo del lavoro che supera l'80 per cento dei ricavi, si ritiene in primo luogo necessario un intervento normativo di riduzione dell'IRAP. Quanto al fenomeno delle delocalizzazioni, che interesserebbe circa 15.000 lavoratori, specialmente in Albania e Romania, si è segnalata l'esigenza di una puntuale applicazione delle disposizioni recata al riguardo dall'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012. Con riferimento alle problematiche connesse alla tutela delle condizioni dei lavoratori, si è inoltre segnalata l'esigenza di un intervento che garantisca, anche nelle gare al massimo ribasso, il riconoscimento di un corrispettivo tale da garantire almeno la copertura del costo del lavoro, nonché si è condivisa la proposta di estendere l'applicazione dell'articolo 2112 del codice civile anche ai cambi di appalto.
  I rappresentanti della UIL evidenziano l'esigenza di affrontare la questione della precarizzazione dei contratti nell'ambito delle attività outbound, osservando come, a dispetto della qualifica normativa, si sia in presenza di rapporti privi di reale autonomia. Si è rilevato, del resto, che non è ipotizzabile puntare solo sulla riduzione del costo del lavoro, non solo per la concorrenza derivante dalle imprese che ricorrono alle delocalizzazioni, ma anche per il crescente ricorso a servizi sostitutivi che si avvalgono delle nuove tecnologie. Nel segnalare quindi l'opportunità di una modifica della legge n. 92 del 2012, che ha reso strutturale il contratto a progetto nei servizi outbound e di una riforma in senso universalistico degli ammortizzatori sociali, si giudica inoltre necessario un intervento normativo sugli appalti teso ad estendere il principio di parità di trattamento nei casi di esternalizzazioni e terziarizzazione. Si è inoltre lamentata una non puntuale applicazione delle disposizioni Pag. 211dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 in materia di attività delocalizzate.
  I rappresentati dell'UGL si sono associati alla richiesta di una estensione delle tutele assicurate dall'articolo 2112 del codice civile anche ai cambi di appalto, considerando anche le professionalità presenti nei call center, nonché di garantire una puntuale applicazione dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, soprattutto con riferimento alla possibilità per gli utenti di chiedere, al momento della chiamata, di parlare con un operatore che risiede in Italia. Con riferimento al ricorso alle gare al massimo ribasso da parte delle pubbliche amministrazioni, si è auspicato il maggiore ricorso al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, che consente di valorizzare, ai fini dell'aggiudicazione, la qualità del servizio offerto, la sicurezza e l'ambiente di lavoro, con ciò frenando anche i processi di delocalizzazione.

3.10. Ministero dello sviluppo economico.

  L'audizione del Vice Ministro dello sviluppo economico Claudio De Vincenti, svoltasi il 15 luglio 2014, ha costituito l'occasione per acquisire un primo aggiornamento in ordine alle iniziative intraprese dal Governo nel settore e ai possibili futuri interventi in materia. Il Vice Ministro, nel ricordare preliminarmente le iniziative assunte nel recente passato per favorire l'evoluzione tecnologica del settore dei call center e a stabilizzarne gli occupati, avviata nel 2006 e ripresa, senza particolare fortuna nel 2010, ha sottolineato come il 27 maggio 2014 sia stato convocato un tavolo di settore presso il Ministero dello sviluppo economico, con la partecipazione di rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle associazioni imprenditoriali e dei sindacati, al fine di riavviare un confronto sulle tematiche di interesse del settore. In quella sede sono stati segnalati molti dei temi considerati prioritari da organizzazioni datoriali e sindacali e già in larga parte emersi nel corso delle precedenti audizioni dell'indagine conoscitiva: il carico fiscale, in particolare dell'IRAP, sulle imprese; le turbative derivanti, nell'ambito delle gare di appalto, da incentivazioni improprie e da bandi caratterizzati dal massimo ribasso; la garanzia di continuità nei rapporti di lavoro, con particolare riferimento alla successione negli appalti; la garanzia della sicurezza del servizio nei casi di delocalizzazione degli apparati di comunicazione e di conservazione dei dati in Paesi non appartenenti all'Unione europea.
  Quanto all'IRAP, il Vice Ministro ha evidenziato come un eventuale intervento di riduzione, che non potrà avere carattere settoriale, dovrà essere valutato nell'ambito della più ampia riforma prevista dalla delega in materia fiscale di cui alla legge n. 23 del 2014, considerando altresì che – in un contesto nel quale i margini sono fortemente contratti dai ribassi operati nelle gare d'appalto – il beneficio derivante dalla riduzione del livello dell'imposta rischierebbe di essere traslato in favore del committente.
  Per quanto riguarda le gare di appalto, si è prospettata l'esigenza, soprattutto nella fornitura di servizi, di un'attenta ricognizione della normativa che impedisca il verificarsi di fenomeni lesivi di un mercato corretto, che vanno a discapito della qualità del servizio e possono favorire infiltrazioni di organizzazioni criminali. In questo contesto, il Vice Ministro ha segnalato l'opportunità di promuovere il ricorso da parte delle pubbliche amministrazioni al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, utilizzato correntemente dalla Consip per l'acquisto di beni intermedi, che – nello specifico settore dei call center – potrebbe altresì promuovere la crescita tecnologica del settore e la qualificazione dei lavoratori.
  Quanto al tema dei cambi di appalto, al tavolo di confronto con le parti sociali è stata sollecitata una modifica legislativa che estenda i principi che regolano il trasferimento di azienda o di ramo di azienda – in particolare l'articolo 2112 del codice civile – alla fattispecie del subentro di un nuovo appaltatore nella prestazione Pag. 212del medesimo servizio. Al riguardo, il Vice Ministro, nel richiamare l'esigenza di valutare attentamente i potenziali rischi di limitazione all'autonomia gestionale derivanti da un intervento normativo, ha invitato a valutare se sia possibile individuare una regolamentazione in sede negoziale tra le parti interessate.
  Per quanto attiene al tema delle delocalizzazioni di attività in Paesi non appartenenti all'Unione europea, fortemente segnalato da alcuni dei principali operatori del settore, si è segnalato come eventuali interventi debbano essere necessariamente essere decisi a livello europeo.
  Il Vice Ministro si è quindi soffermato sugli effetti distorsivi degli incentivi previsti dalla legislazione vigente, che alimentano situazioni di concorrenza sleale da parte delle imprese beneficiarie e, stante la temporaneità degli incentivi, rischiano di determinare, nel lungo periodo, problemi occupazionali e crisi aziendali. Sul punto, si è segnalato il tema dell'omogeneizzazione delle normative regionali di incentivazione, al fine di frenare fenomeni «migratori» dell'occupazione di carattere necessariamente temporaneo.
  Sul piano istituzionale, il Vice Ministro ha assicurato l'impegno a ricostituire rapidamente l'Osservatorio nazionale sul settore, che potrà costituire una sede per mettere in comune le conoscenze e i dati in possesso di istituzioni e parti sociali e per elaborare le necessarie misure correttive.

3.11. Teleperfomance Italia.

  Il 22 luglio 2014 si è svolta l'audizione di rappresentanti di Teleperformance, gruppo operante nel settore dei call center a livello globale e presente sul territorio italiano, con circa 3.200 lavoratori, dei quali 2.290 lavoratori dipendenti e 950 lavoratori a progetto.
  Sul piano generale, gli auditi hanno evidenziato come nel settore dei call center in outsourcing si sia sviluppata una tendenza a praticare prezzi bassissimi, spesso inferiori al costo del lavoro, anche a prescindere dall'aggiudicazione delle gare di appalto al massimo ribasso, a causa della presenza di forti esuberi di personale, legati in particolare ai processi di automazione e informatizzazione, nonché alla reinternalizzazione di alcuni servizi. In questo contesto, si registrano peraltro fenomeni distorsivi della competizione tra le imprese dovuti allo sfruttamento degli incentivi alle nuove assunzioni e, in particolare, di quelli di cui alla legge n. 407 del 1990, che consentono una concorrenza sui prezzi non altrimenti realizzabile. Per altro verso, la pratica di ricorrere a prezzi troppo bassi rischia di portare all'emersione di debiti fiscali e contributivi anche ingenti, nonché a un non corretto utilizzo dei contratti a progetto. Nel ritenere comunque positivo un intervento volto a rivedere la normativa codicistica in materia di gare al massimo ribasso, i rappresentanti di Teleperformance hanno comunque osservato come gli eccessi di ribasso potrebbero essere contrastati fissando più elevati livelli di qualità dei servizi, in linea con le esperienze di altri Paesi.
  In conformità a quanto rappresentato nelle precedenti audizioni, si è segnalata l'opportunità di un intervento di alleggerimento del carico derivante dall'IRAP, che incide fortemente sui settori labour intensive, prospettandosi altresì un migliore utilizzo dei fondi strutturali per il finanziamento delle spese per la formazione del personale. Si è altresì proposta una rimodulazione delle incentivazioni previste a legislazione vigente, a partire dalla legge n. 407 del 1990, ipotizzandosi la fissazione di un limite massimo anno ai benefici contributivi ovvero una loro diluizione su un arco temporale più ampio, al fine di ridurre l'impatto concorrenziale delle agevolazioni e promuovere una occupazione più duratura.
  Sul versante della qualità dei servizi resi, si ritiene utile lo svolgimento di indagini sulla soddisfazione della clientela operata da soggetti terzi, come avviene nel settore dell'energia: se esistesse l'obbligo di raggiungere un determinato livello di soddisfazione dei consumatori, misurato da un'autorità di regolazione o da un ente Pag. 213super partes, si potrebbe innescare un processo virtuoso che accrescerebbe l'orientamento delle attività di call center verso il raggiungimento di livelli di servizi più elevati.
  I rappresentanti di Teleperformance Italia hanno quindi valutato favorevolmente l'introduzione di clausole sociali volte a tutelare il personale al momento del cambio di appalto, evidenziando come tali clausole potrebbero contribuire a limitare l'aggiudicazione delle gare a prezzi inferiori a quelli del costo del lavoro, che, in questo caso, sarebbe noto a priori. Da ultimo, si è richiamata l'esigenza di una tempestiva adozione della normativa di rango secondario attuativa delle disposizioni dell'articolo 1, comma 22, della legge n. 147 del 2013, recante incentivi per le imprese che abbiano proceduto a stabilizzazioni di lavoratori nel settore dei call center.

3.12. Federutility.

  Federutility, audita nella seduta del 30 luglio 2014, è una federazione che riunisce le aziende di servizi pubblici locali che operano nei settori della produzione e della distribuzione di energia elettrica, del gas e dell'acqua e che, proprio per la natura delle autorità svolte, si avvale in modo significativo di servizi di call center, affidati all'interno dell'azienda a lavoratori inquadrati in diversi contratti collettivi, a seconda dell'attività di riferimento (è largamente prevalente il ricorso al contratto collettivo del settore elettrico). Le tipologie contrattuali prevalenti sono contratti a termine, contratti di apprendistato e, in qualche caso, anche contratti a tempo indeterminato, mediante assunzioni in via diretta o trasformazioni di altre forme contrattuali alla fine di un apprendistato o di un contratto a termine. Il ricorso all’outsourcing per le imprese della federazione è piuttosto limitato, dovendosi assicurare, attraverso i call center, servizi complessi, ed è prevalentemente finalizzato alla gestione di picchi di contatti con la clientela, situazioni di emergenza o allo svolgimento di attività di tipo squisitamente commerciale. Si è, del resto, osservato come le imprese aderenti alla federazione abbiano precisi obblighi sul piano della qualità, della puntualità e della continuità dei servizi, derivanti dalla regolamentazione del settore di riferimento, che determinano una sostanziale stabilità nel tempo delle attività, che non hanno incontrato le difficoltà affrontate, nel corso di questi anni di crisi, dagli operatori in outsourcing, il cui mercato si caratterizza per un'estrema variabilità e frammentarietà. Conseguentemente, non sono state oggetto di segnalazione particolari emergenze sul piano occupazionale, anche in relazione alla marginalità degli affidamenti di servizi in appalto.

3.13. Comune di Milano.

  Nell'audizione del direttore generale del Comune di Milano, svolta il 17 settembre 2014, si è inteso approfondire la tematica delle gare di appalto relative all'affidamento dei servizi di call center, acquisendo elementi riferiti, in particolare, alla gara di appalto relativa al servizio di infoline del medesimo Comune, a cui diversi soggetti auditi hanno più volte fatto riferimento nel corso dell'indagine, segnalando possibili criticità concernenti la copertura dei costi del personale da utilizzare nel servizio.
  Il direttore generale ha al riguardo precisato alcuni dei termini della gara in questione, fornendo indicazioni utili anche al fine di una ricostruzione più complessiva delle procedure nel settore. In particolare, si è sottolineato come il Comune abbia proceduto con una gara che utilizza il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, attribuendo al punteggio tecnico un punteggio pari a 60 su 100, inserendo nel capitolato speciale d'appalto una specifica prescrizione volta a mantenere l'attività dell'aggiudicatario nel comune di Milano, anche al fine di contrastare possibili delocalizzazioni. Quanto ai profili attinenti al contenimento delle spese, si è osservato come si tratta di una scelta in qualche modo obbligata, nel quadro dei processi di revisione complessiva Pag. 214della spesa, alla quale si è fatto fronte anche con processi di parziale reinternalizzazione del servizio e con l'utilizzo di infrastrutture informatiche interne e non più messe a disposizione dall'appaltatore. Si è, inoltre, agito sul versante dei servizi offerti, riducendone la portata negli orari di minore utilizzo, con una rimodulazione tesa comunque ad assicurare la garanzia dei servizi essenziali. Per quanto concerne, invece, il tema controverso della tariffa prevista per la remunerazione dell'appaltatore si è rappresentato come il capitolato – diversamente dal precedente, che considerava la remunerazione unitaria, facendo riferimento all'equivalente a tempo pieno (FTE) – preveda un pagamento parametrato ai minuti di conversazione telefonica effettuata, utilizzando un criterio di recente adottato anche dall'accordo quadro della Consip. La disputa che si è sviluppata sull'adeguatezza delle remunerazioni – e per la quale si è in attesa di un parere dell'ANAC – attiene essenzialmente alle modalità di computo del numero dei minuti lavorati, sussistendo non marginali differenze tra i risultati ottenuti nel calcolo effettuato dal Comune di Milano e quello degli operatori e dei sindacati. Sulla base dei propri calcoli, il direttore generale del Comune di Milano ha assicurato che nella fattispecie in discussione non si evidenziano criticità circa il rispetto dei minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva.

3.14. Garante per la protezione dei dati personali.

  Al Garante per la protezione dei dati personali, audito nella seduta del 23 settembre 2014, a seguito dell'ampliamento del programma dell'indagine, si è richiesto, in particolare, di fornire elementi di informazione circa l'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, tese a tutelare i dati personali in caso di contatti con call center posti al di fuori del territorio dell'Unione europea. Il Presidente del Garante ha, peraltro, segnalato come per una compiuta analisi del settore sotto il profilo della tutela della privacy si debba anzitutto considerare l'esigenza di tutelare i consumatori rispetto a campagne di marketing telefonico invadenti ed aggressive, ricordando il recente intervento regolatorio volto a contrastare le telefonate «mute», fenomeno che ha raggiunto negli anni dimensioni allarmanti.
  Per quanto attiene specificamente al tema delle delocalizzazioni, si sono in particolare richiamati i contenuti del provvedimento prescrittivo in materia di trattamento dei dati personali effettuato mediante l'utilizzo di call center siti in Paesi al di fuori della Unione europea del 10 ottobre 2013, evidenziando come il suo ambito di applicazione sia più ampio rispetto a quello dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, come identificato dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 14 del 2013, che fa riferimento alle aziende che svolgono in via assolutamente prevalente un'attività di call center e che restringe l'obbligo di comunicazione alle sole ipotesi di delocalizzazione che generano esuberi. Con il provvedimento si è prescritto, in particolare, di integrare l'informativa resa agli utenti precisando l'ubicazione dell'operatore e di adottare, nel caso in cui la chiamata venga effettuata dal cittadino, apposite procedure per consentire la scelta di un operatore italiano; di effettuare, nel caso di trasferimento o di affidamento del trasferimento di dati personali a un call center sito al di fuori dell'Unione europea, un'apposita comunicazione al Garante. In ottemperanza a dette prescrizioni, sono pervenute trentasei notificazioni da parte di società titolari di trattamento che utilizzano call center ubicati al di fuori dell'Unione europea e, principalmente, siti in Albania e Tunisia, mentre non sono oggetto di notifica le delocalizzazioni all'interno dell'Unione europea, quali, in particolare, quelle verso la Romania e la Bulgaria, in linea con i principi della libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi previsti dal diritto europeo. Nel complesso, dall'analisi del Garante emerge quindi come permanga prevalente lo svolgimento Pag. 215di attività sul territorio italiano, riscontrandosi come la responsabilità del trattamento – anche in caso di delocalizzazione – permanga in capo alla società committente italiana.
  Dalle risultanze istruttorie di tipo documentale è in generale emerso che la parte più rilevante dell'attività svolta è effettuata sul territorio nazionale, mentre l'affidamento a partner esteri appare essere residuale, ancorché risulti in aumento. Rispetto alla rappresentazione che spesso si registra nell'opinione pubblica di una delocalizzazione selvaggia di attività di call center verso Paesi non appartenenti all'Unione europea, che determinerebbe sotto il profilo della protezione dei dati fenomeni rilevanti di trattamenti illeciti, il Garante ritiene che dai riscontri effettuati – ad oggi principalmente di tipo documentale – non sembra giustificato un diffuso allarme. Nel segnalare l'avvio di una attività di collaborazione con l'omologa autorità albanese anche al fine di procedere ad attività congiunte di accertamento, il Garante ha evidenziato come i maggiori rischi possano derivare dall'assenza di adeguate misure di protezione dei dati trattati, specialmente sotto il profilo della loro conservazione, osservano come appaiano più esposte a tali rischi le società di piccole dimensioni, che in molti casi delegano tutta l'attività connessa al marketing, compresa la raccolta dei dati, a società estere.
  Al fine di non diminuire le garanzie riconosciute, il Garante segnala l'opportunità di introdurre nell'ordinamento una disposizione con la quale attribuire espressamente al soggetto per conto del quale si effettua il contatto promozionale la titolarità dei dati trattati e, conseguentemente, prevedere, in caso di illeciti, una responsabilità in solido con i soggetti terzi che hanno effettuato la chiamata. In questo modo, le società committenti sarebbero concretamente costrette a delegare l'attività promozionale soltanto a soggetti terzi affidabili e in grado di rispettare le disposizioni del Codice per la tutela dei dati personali.

3.15. Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  A conclusione del ciclo di audizioni, è intervenuta, nella seduta del 30 settembre 2014, il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Teresa Bellanova, che ha evidenziato l'attenzione dedicata al settore dei call center sin dall'inizio del suo incarico, osservando come giustamente si siano riaccesi i riflettori su un settore che presenta significative problematiche sul piano dell'occupazione e che, dopo gli interventi succedutisi a partire dalla circolare n. 17 del 2006, era collocato in posizione di secondo piano nell'agenda politica italiana. A testimonianza della rinnovata attenzione rivolta alla situazione dei call center, il Sottosegretario ha ricordato l'avvio di un tavolo dedicato al settore presso il Ministero dello sviluppo economico, teso in primo luogo a promuovere la tutela dei lavoratori.
  Quanto alle problematiche del comparto, si è in primo luogo richiamata la forte incidenza del fattore lavoro sui costi di produzione, quantificabile in circa il 70-80 per cento del totale, osservandosi come la concorrenza sui prezzi, specialmente nell'attuale contesto di crisi, può facilmente portare all'elusione o all'evasione rispetto agli obblighi contributivi e fiscali. Tale rischio risulta peraltro acuito dal fatto che la maggior parte delle società del settore operano in outsourcing, trovandosi così inevitabilmente a subire la riduzione dei prezzi operata dai committenti, con gravi conseguenze non solo per la condizione dei lavoratori, ma anche per la concorrenza e la vita delle imprese. Nel sottolineare le criticità derivanti dal ricorso a gare al massimo ribasso, il Sottosegretario ha segnalato come, specialmente per le pubbliche amministrazioni, dovrebbe essere incentivato in maniera significativa l'uso dell'offerta economicamente più vantaggiosa quale criterio di selezione delle offerte. Sul punto, ritiene che possa accogliersi l'ipotesi di escludere il costo del lavoro dai fattori che concorrono Pag. 216a determinare l'offerta nelle procedure di gara, eventualmente attraverso l'elaborazione di un costo standard.
  Quanto all'esigenza di salvaguardare i lavoratori del settore nelle ipotesi di cambio d'appalto, il sottosegretario evidenzia l'assenza di norme di tutela di rango primario in materia, auspicando il ricorso allo strumento della contrattazione collettiva, nella consapevolezza delle inevitabili difficoltà connesse all'esigenza di tutelare il diritto di iniziativa privata dell'imprenditore. A tal fine, sulla scorta di quanto avviene in altri settori labour intensive si è prospettata come prioritaria l'introduzione a livello contrattuale la clausola sociale, quale garanzia concreta di salvaguardia dei livelli occupazionali e di non dispersione delle professionalità acquisite, evidenziandosi come il Governo abbia rivolto alle parti sociali un appello a procedere in tal senso.
  Quanto al fenomeno delle delocalizzazioni, il sottosegretario, nel richiamare i potenziali rischi per la riservatezza delle persone, ritiene utile avviare una riflessione sull'introduzione di adeguati strumenti di tutela, come quelli indicati dal Garante per la protezione dei dati personali, che chiamino in causa anche le società committenti, in presenza di violazioni sulle norme a tutela della riservatezza. Quanto all'esigenza di garantire una effettiva tutela nei Paesi al di fuori dell'Unione europea, il sottosegretario suggerisce di valorizzare il ricorso ad intese bilaterali. In attesa di giungere a soluzioni di più complessa realizzazione, il Sottosegretario ritiene che ci si possa sin d'ora attivare per vigilare sulla concreta applicazione di norme già vigenti, quale, in particolare, l'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, eventualmente ipotizzando di estenderne l'applicazione anche ai call center che abbiano meno di venti dipendenti.
  Un ulteriore elemento di criticità per il settore è individuato nel sistema degli incentivi e, in particolare, nell'utilizzo delle agevolazioni di cui alla legge n. 407 del 1990 da parte di imprese che, al termine dell'erogazione dei benefici finiscono per porre in mobilità o in cassa integrazione i propri lavoratori.
  Per quanto attiene alla prospettata ricostituzione di un Osservatorio sul settore, il Sottosegretario Bellanova ha evidenziato come allo stato si sia proceduto alla creazione di un tavolo dedicato al settore presso il Ministero dello sviluppo economico, che – in linea con l'esperienza del passato Osservatorio – prevede la partecipazione delle istituzioni interessate e delle parti sociali, segnalando come nelle prossime settimane verranno approfonditi i temi già emersi nelle precedenti riunioni.

4. Conclusioni e proposte.

  Le audizioni svolte nel corso dell'indagine hanno consentito di mettere chiaramente a fuoco i temi che più direttamente si ricollegano alle problematiche del settore dei call center. Nel complesso, le valutazioni dei soggetti auditi, pur con dei distinguo su questioni anche rilevanti, tendono ad essere concordanti sugli interventi che sarebbe necessario mettere in atto.
  Una prima fondamentale questione è quella degli effetti dell'intervento pubblico, realizzato attraverso le agevolazioni per le assunzioni, riconducibili essenzialmente alla legge n. 407 del 1990. Si tratta di uno strumento volto a incentivare le imprese che assumono disoccupati o cassintegrati da almeno 24 mesi (con una riduzione contributiva del 50 per cento, che arriva fino al 100 per cento nel Mezzogiorno, per un periodo di tre anni) che ha tuttavia finito per creare, quantomeno nel settore dei call center, gravi distorsioni nel corretto funzionamento del mercato. Lucrando in modo opportunistico lo sconto contributivo, infatti, molte aziende, spesso costituite ex novo con l'obiettivo di partecipare a determinate gare d'appalto (il cosiddetto «mordi e fuggi», riscontrabile soprattutto da parte di aziende localizzate nel Mezzogiorno), riescono ad aggiudicarsi importanti commesse grazie a offerte altrimenti fuori mercato traducendo, in certa misura, lo sconto contributivo in un risparmio per il committente. Si tratta, Pag. 217beninteso, di comportamenti del tutto legittimi, in quanto le imprese che beneficiano degli sgravi contributivi non fanno altro che avvalersi di una opportunità offerta loro dal legislatore. Come già evidenziato, in termini più generali, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato del lavoro svolta dalla Commissione in apertura di legislatura (ove è stata rimarcata, all'interno di un più ampio discorso sull'analisi delle politiche pubbliche, l'importanza di una seria valutazione di impatto degli incentivi pubblici alle assunzioni, che già in altre occasioni hanno dato prova di scarsa efficacia), l'impatto sulla concreta realtà economica di un incentivo alle assunzioni, finalizzato dal legislatore a ridurre la disoccupazione e il costo degli ammortizzatori sociali (considerato che l'incentivo riguarda anche l'assunzione di cassintegrati) risulta spesso assai diverso rispetto a quanto inizialmente ipotizzato. Una importante innovazione in questo quadro è senz'altro rappresentata dalle disposizioni del disegno di legge di stabilità 2015 che prevedono la soppressione dei benefici contributivi di cui all'articolo 8, comma 9, della legge n. 407 del 1990, riproponendo, limitatamente alle assunzioni realizzate nel 2015, un analogo beneficio contributivo, limitato a 36 mesi, ma più ampio (sgravio contributivo totale sull'intero territorio nazionale) e generalizzato (in quanto riferito a tutte le assunzioni a tempo indeterminato).
  Nel caso dei call center, gli incentivi sono suscettibili di produrre un effetto «spiazzamento» che assai spesso mette in difficoltà le aziende più solide e strutturate, a vantaggio di realtà imprenditoriali effimere e transitorie, con gravi ricadute occupazionali. Infatti, da un lato le aziende beneficiarie degli incentivi entrano in difficoltà una volta concluso il triennio dei benefici; dall'altro, cambi di appalti in precedenza assegnati ad aziende non beneficiarie (o beneficiarie in misura minore) degli incentivi, costringono non di rado le aziende medesime a riduzioni di personale. Il risultato di tutto ciò è, assai spesso, che il bilancio pubblico, attraverso gli ammortizzatori sociali in deroga, deve farsi carico delle ricadute occupazionali di tali fenomeni. Lo Stato, così, finisce per pagare due volte, oltretutto con un risultato occupazionale netto tutt'altro che soddisfacente: una prima volta per gli incentivi (in termini di minori entrate contributive) e una seconda volta per sostenere il reddito dei disoccupati che tali politiche finiscono per produrre. Se questi sono gli effetti concreti degli incentivi alle assunzioni, appare pertanto opportuno, quantomeno nel settore dei call center, ove l'altissima incidenza dei costi di personale tende ad amplificarne le dinamiche più deleterie, un loro complessivo ripensamento. In tale quadro, l'ipotesi di un loro totale superamento potrebbe scongiurare fenomeni distorsivi del mercato e a ristabilire parità di trattamento tra le aziende. In alternativa, si potrebbe immaginare una riduzione dei benefici o la loro diluizione in un periodo più lungo, al fine di ridurre la «convenienza», dal punto di vista economico, di comportamenti opportunistici. In questo senso, assume, in particolare, rilievo il principio di delega contenuto nel cosiddetto «Jobs Act», recentemente approvato in via definitiva dalle Camere, riferito alla razionalizzazione degli incentivi all'assunzione esistenti, sulla base di un collegamento dei benefici alla minore probabilità di trovare occupazione, e di criteri di valutazione e di verifica della loro efficacia. In ogni caso, occorrerebbe evitare che gli incentivi siano diretti unicamente alle nuove assunzioni, indirizzandoli anche verso il mantenimento dell'occupazione esistente. Infine, occorre rafforzare gli strumenti già previsti dalla legislazione vigente volti a evitare che gli incentivi vadano a beneficio di aziende che delocalizzano in Paesi non appartenenti all'Unione europea.
  Altro tema fondamentale è quello dell'eccessivo carico fiscale e contributivo che grava sul settore. Quello dei call center, infatti, è un settore labour intensive, ove il costo del personale raggiunge quote assai rilevanti del fatturato (in alcune audizioni si è parlato di una quota che può raggiungere l'85 per cento). La distorsione maggiore si ricollega, pertanto, all'IRAP, la Pag. 218cui struttura è tale da risultare più gravosa per le aziende ove il monte salari è proporzionalmente più alto, risolvendosi in un disincentivo alla creazione di nuova occupazione. Vari studi dimostrano che la pressione fiscale nel settore dei call center raggiunge livelli difficilmente sostenibili, anche superiori al 65 per cento dell'imponibile. Su questo versante il Governo in carica si sta muovendo nella giusta direzione: devono, infatti, essere considerate con particolare favore le disposizioni contenute nel disegno di legge di stabilità 2015, volte a prevedere la deduzione del costo del lavoro dall'imponibile IRAP. Si tratta, infatti, di norme che paiono destinate a produrre finalmente una effettiva e duratura riduzione del costo del lavoro sostenuto dalle imprese, specialmente nei settori caratterizzati da una più alta incidenza di costi di personale.
  Altro tema diffusamente sollevato nel corso dell'indagine è quello dei cambi di appalto. Nel momento in cui un committente, alla scadenza contrattuale, intende procedere all'affidamento del servizio a un nuovo appaltatore, si assiste spesso all'entrata in crisi dell'azienda che fino a quel momento aveva avuto la gestione del servizio, con gravi ricadute occupazionali. Fermo restando quanto detto poc'anzi in merito al ruolo degli incentivi nella genesi di tali dinamiche, occorre considerare che l'estensione delle procedure previste dall'articolo 2112 del codice civile ai trasferimenti d'azienda appare difficilmente praticabile, ove si considerino la diversità di situazioni che vengono in gioco e gli ostacoli di ordine prettamente giuridico che si frappongono a tale ipotesi. Posto che non sembra in discussione la corretta trasposizione della direttiva n. 2001/23/CE, che – secondo quanto evidenziato, da ultimo, dal Commissario europeo Marianne Thyssen in sede di risposta all'interrogazione E-008064/2014 presso il Parlamento europeo – risulta correttamente recepita, la strada che appare più agevolmente praticabile è quella della definizione, anche attraverso disposizioni di legge che rimandino a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, di precise regole procedurali di confronto sindacale per la gestione delle crisi conseguenti a cambi di appalto, che possa condurre a configurare clausole sociali volte a salvaguardare la posizione dei lavoratori della società appaltatrice uscente, attraverso la configurazione di obblighi in capo all'appaltatore subentrante. Per quanto riguarda, specificamente, la committenza pubblica, si dovrebbero individuare soluzioni intese a garantire l'inserimento nei bandi di gara o nei capitolati speciali di appalto di previsioni volte a tutelare il personale dell'impresa uscente e le relative condizioni economiche, al fine di non disperdere le professionalità acquisite ed evitare situazioni di criticità analoghe a quelle che si sono poste in precedenti cambi di appalto da parte di amministrazioni pubbliche. L'alta incidenza delle spese di personale, unitamente alla costante decrescita dei prezzi, implica che la concorrenza tra operatori si svolga, in misura preponderante, sul costo del lavoro, generando fenomeni di dumping sociale (alimentati, come detto, anche dall'uso opportunistico degli incentivi) che conducono, sempre più spesso, al trasferimento delle attività all'estero. Sebbene si tratti di una dinamica riconducibile, per taluni aspetti, alle più ampie dimensioni dei processi competitivi indotti dalla globalizzazione, non v’è dubbio che la pressione al ribasso delle retribuzioni generi preoccupazione, soprattutto laddove essa sia alimentata dal ricorso al criterio del massimo ribasso nelle procedure di aggiudicazione degli appalti. Ferma restando, anche in questo caso, la legittimità di procedure di assegnazione che avvengono comunque nel rispetto dell'ordinamento (le quali, peraltro, nell'attuale contesto di crisi economica, rispondono alla crescente esigenza di contenimento dei costi da parte dei committenti) appare tuttavia opportuno introdurre incentivi volti ad incoraggiare l'uso dell'offerta economicamente più vantaggiosa quale criterio di scelta nelle gare di appalto. Si tratta, com’è noto, di una modalità di selezione che non prende in considerazione solo il prezzo del servizio, in quanto la valutazione Pag. 219si estende ad altri fattori che caratterizzano lo svolgimento della prestazione lavorativa e concorrono a determinare la qualità complessiva del servizio offerto.
  L'utilizzo di tale criterio di assegnazione, infatti, se da un lato appare suscettibile di determinare nell'immediato costi più alti per l'appaltatore, dall'altro può rappresentare un investimento per il futuro in quanto (imponendo di tenere conto del livello professionale degli operatori e, quindi, incentivando la formazione del personale) finirebbe per accrescere la qualità dei servizi offerti, con un importante ritorno in termini di produttività e competitività per le aziende, nonché di efficienza e qualità del servizio per l'utenza. Per quanto riguarda, in particolare, gli appalti assegnati dalle pubbliche amministrazioni, occorre inoltre tenere conto del fatto che per esse non vale il principio della responsabilità solidale del committente per gli oneri previdenziali a carico dell'appaltatore nei confronti dei propri lavoratori codificato dall'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003. La scelta di un appaltatore che presenti adeguati requisiti di affidabilità e di solidità economica – che solo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa consente di selezionare – appare, quindi, tanto più importante nel caso degli appalti pubblici, posto che eventuali inadempienze dell'appaltatore, a differenza del settore privato, non potrebbero trovare rimedio, con grave danno per i lavoratori.
  Un più ampio ricorso al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, inoltre, potrebbe contribuire ad arginare i problemi che si originano a seguito di cambi di appalto, in quanto la professionalità acquisita dai lavoratori della società già titolare dell'appalto costituirebbe un importante valore aggiunto e si tradurrebbe automaticamente in un significativo elemento di valutazione dell'offerta.
  Infine, un più ampio utilizzo dell'offerta economicamente più vantaggiosa renderebbe verosimilmente meno competitiva l'offerta di operatori localizzati in Paesi non appartenenti all'Unione europea, dirottando la domanda sulle aziende ove gli incrementi della produttività sono perseguiti non solo mediante il contenimento delle spese di personale, ma anche attraverso l'investimento tecnologico e la formazione professionale dei lavoratori.
  Per quanto concerne, specificamente, la questione delle delocalizzazioni all'estero, gli unici profili sui quali appare ipotizzabile un intervento del legislatore sono quelli già individuati dall'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, rispetto ai quali è necessario rafforzare i controlli sulla corretta applicazione della normativa, che finora risulta largamente disattesa. In primo luogo, si potrebbe meglio specificare il divieto di erogare incentivi ad aziende che delocalizzano le attività in paesi esteri, mettendo a punto strumenti volti a sanzionare (magari prevedendo la restituzione, in tutto o in parte, degli incentivi percepiti) il trasferimento all'estero delle attività anche quando questo avvenga dopo (e per un certo numero di anni) che l'erogazione sia avvenuta. Si potrebbe, inoltre, estendere il divieto a tutte le tipologie di incentivi alle assunzioni, anche in considerazione del fatto che il disegno di legge di stabilità per il 2015 all'esame del Parlamento prevede l'abrogazione degli incentivi previsti dalla legge n. 407 del 1990, che sono gli unici ai quali fa riferimento il divieto previsto dal suddetto articolo 24-bis.
  Quanto alla delicata questione della tutela dei dati personali da parte di aziende collocate in Paesi ove il livello di protezione legale sia inferiore a quello previsto dalla normativa italiana, si potrebbe ipotizzare, al fine di promuovere comportamenti economici responsabili, l'introduzione di una disposizione con la quale attribuire espressamente al soggetto per conto del quale si effettua il contatto promozionale la titolarità dei dati trattati e, conseguentemente, prevedere, in caso di illeciti, una responsabilità in solido con i soggetti terzi che hanno effettuato la chiamata; in questo modo le società committenti sarebbero concretamente costrette a Pag. 220delegare l'attività promozionale soltanto a soggetti terzi affidabili e in grado di rispettare la normativa nazionale.
  La promozione di comportamenti virtuosi e un atteggiamento responsabile da parte degli operatori economici, secondo quanto fin qui auspicato, appare tuttavia possibile solo attraverso un dialogo sociale continuo che coinvolga tutti i soggetti presenti sul mercato. I problemi che affliggono il settore possono trovare soluzioni solo con il contributo fattivo e responsabile delle imprese, delle associazioni che le rappresentano, dei sindacati, della grande committenza e delle istituzioni chiamate a garantire l'applicazione delle norme.
  Quanto detto a proposito delle problematiche generate dai cambi di appalto vale, in termini di metodo, anche per affrontare le altre questioni sul tappeto. A tal fine appare quindi prioritario consolidare le sedi di confronto già operanti a livello governativo (un tavolo risulta aperto presso il Ministero dello sviluppo economico), valutando anche l'opportunità di riattivare uno strumento analogo all'osservatorio di settore operante negli anni passati.
  In tale sede sarebbe opportuno, in primo luogo, al fine di garantire uniformità di trattamento e superare le problematiche esistenti, verificare la possibilità di pervenire a un unico contratto collettivo nazionale dei lavoratori dei call center. Attualmente, infatti, nel settore coesistono due contratti nazionali, quello delle telecomunicazioni (leggermente più «oneroso») e quello del terziario.
  Nell'ambito di una nuova disciplina contrattuale unitaria, sarebbe, infatti, più agevole affrontare il delicato tema dell'applicazione a tutti i lavoratori dei minimi retributivi, attualmente previsti dall'accordo del 1o agosto 2013 per i soli lavoratori inquadrati nel settore delle telecomunicazioni, e, specularmente, quello dei riconoscimenti economici (adeguatamente «incentivanti») per le attività di vendita, nonché individuare gli strumenti per limitare efficacemente il ricorso a gare al massimo ribasso.
  Sul piano della disciplina dei contratti di lavoro nel settore, si segnala, inoltre, l'esigenza che il processo di revisione delle tipologie contrattuali previsto dall'articolo 1, comma 7, lettera a), del disegno di legge delega in materia di lavoro, recentemente approvato in via definitiva dalla Camere, tenga conto delle peculiarità delle attività outbound, per le quali la legislazione vigente regola, con specifiche disposizioni, il ricorso alla collaborazione coordinata e continuativa, anche attraverso un puntuale rinvio, per quanto attiene alla definizione del corrispettivo dovuto, alla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. In sede di definizione dei contenuti dei decreti legislativi attuativi della delega, dovranno pertanto individuarsi opportune soluzioni normative che tengano conto delle specificità delle attività outbound riscontrate già dalla circolare n. 17 del 2006.
  Devono altresì valutarsi, nell'ambito di una riflessione che coinvolga necessariamente l'INPS, in relazione al diverso inquadramento delle aziende, le differenze esistenti tra i diversi operatori del settore in relazione al versamento dell'aliquota di contribuzione alla cassa integrazione guadagni, dal momento che per gran parte degli operatori i trattamenti di sostegno al reddito dei lavoratori ricadono sulla fiscalità generale, mentre altri versano i relativi contributi, con conseguenti effetti distorsivi della concorrenza. Sembra quindi necessario porre rimedio a tale disparità di trattamento nel quadro del più generale processo di revisione della disciplina della normativa in materia di ammortizzatori sociali previsto dalla legge delega in materia di lavoro, di recente approvata dalle Camere.
  Infine, sempre su base pattizia, le parti sociali potrebbero attivarsi per garantire l'accesso all'interno dei call center di lavoratori non vedenti, tenendo conto che l'avanzamento tecnologico mette oggi a disposizione di tali soggetti (adeguatamente formati e addestrati) strumenti idonei a garantire un livello di prestazioni del tutto in linea con gli standard richiesti.