CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 25 gennaio 2012
596.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Squadre investigative comuni sovranazionali. C. 4262, approvata dal Senato, C. 1776 Di Pietro e C. 2506 Garavini.

PROPOSTA DI TESTO UNIFICATO

Istituzione di squadre investigative comuni sovranazionali

Art. 1.
(Attuazione della decisione quadro n. 2002/465/GAI).

  1. La presente legge è diretta ad attuare nell'ordinamento interno la decisione quadro n. 2002/465/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, ed a garantire il rispetto degli obblighi derivanti dalle disposizioni in materia di squadre investigative comuni contenute in altri accordi e convenzioni internazionali, in vigore per lo Stato italiano.

Art. 2.
(Procedura attiva per la costituzione delle squadre investigative comuni).

  1. Il procuratore della Repubblica può richiedere, in base agli accordi e convenzioni di cui all'articolo 1, la costituzione delle squadre investigative comuni quando procede ad indagini relative a delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o a delitti per i quali è prevista la pena massima non inferiore a quattro anni di reclusione.
  2. La richiesta di cui al comma 1 può essere formulata quando vi è l'esigenza di compiere indagini particolarmente complesse sul territorio di più Stati o di assicurare il loro coordinamento, a condizione che i fatti per cui si procede siano previsti come reato dalla legge di ciascuno Stato.
  3. La richiesta di cui al comma 1, nel caso di avocazione delle indagini a norma dell'articolo 372, è formulata dal procuratore generale presso la corte di appello; nei casi indicati dall'articolo 371-bis, comma 3, lettera h), del codice di procedura penale dal procuratore nazionale antimafia.
  4 Quando risulta che più uffici del pubblico ministero procedono ad indagini collegate a quelle delle autorità straniere di cui al comma 1, la richiesta è formulata d'intesa fra gli uffici procedenti. Nel caso di mancata intesa, il contrasto è risolto dal procuratore generale presso la corte d'appello ovvero, se gli uffici del pubblico ministero appartengono a distretti diversi, dal procuratore generale presso la corte di cassazione). Nel caso di indagini relative ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, il contrasto è risolto dal procuratore nazionale antimafia.
  5. La richiesta di istituzione della squadra investigativa comune è trasmessa alla competente autorità dello Stato estero. L'autorità giudiziaria richiedente, inoltre, informa dell'iniziativa il procuratore generale presso la corte di appello o il procuratore nazionale antimafia se si tratta di indagini relative ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis del codice di procedura penale, ai fini dell'eventuale coordinamento investigativo.
  6. La squadra investigativa comune opera sul territorio dello Stato in base alle disposizioni del codice di procedura penale Pag. 107e delle leggi complementari. Essa agisce sotto secondo le direttive del pubblico ministero.

Art. 3.
(Procedura passiva per la costituzione delle squadre investigative comuni).

  1. La richiesta di costituzione della squadra investigativa comune proveniente dall'autorità di uno Stato estero è trasmessa al procuratore della Repubblica il quale, se ritiene che la competenza appartiene ad altro ufficio, trasmette immediatamente la richiesta all'autorità competente, dandone avviso all'autorità straniera richiedente. Il procuratore della Repubblica informa dell'iniziativa il procuratore generale presso la corte di appello, o il procuratore nazionale antimafia se si tratta di indagini relative ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ai fini dell'eventuale coordinamento investigativo.
  2. Il procuratore della Repubblica competente trasmette senza ritardo la richiesta di costituzione della squadra investigativa comune al Ministro della giustizia che, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, può disporre che ad essa non si dia corso qualora ritenga che possano essere compromessi la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato.
  3. Se nella richiesta di istituzione di una squadra investigativa comune è previsto il compimento di atti espressamente vietati dalla legge o contrari ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano, il procuratore della Repubblica, sentito il procuratore generale presso la corte di appello o il procuratore nazionale antimafia se si tratta di indagini relative ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, comunica all'autorità dello Stato estero richiedente il rigetto della richiesta.
  4. Nel caso di cui al comma 3, il procuratore della Repubblica trasmette senza ritardo al Ministro della giustizia il provvedimento di rigetto della richiesta di istituzione di squadre investigative comuni.

Art. 4.
(Atto costitutivo e durata della squadra investigativa comune).

  1. L'atto costitutivo della squadra investigativa comune è sottoscritto dal procuratore della Repubblica ovvero dai procuratori della Repubblica interessati nel caso in cui l'indagine è connessa o collegata ad altra in corso presso un diverso ufficio di procura.
  2. L'atto costitutivo della squadra investigativa comune indica:
   a) il titolo di reato con la descrizione sommaria dei i fatti oggetto delle indagini;
   b) i motivi che giustificano la costituzione della squadra investigativa comune;
   c) il nominativo del responsabile della squadra nel territorio dello Stato ove si svolgono le indagini e delle condizioni di esercizio delle sue funzioni;
   d) il nominativo dei pubblici ministeri eventualmente designati a farne parte;
   e) il nominativo del capo della squadra da individuare nel funzionario o nell'ufficiale appartenenti alla polizia giudiziaria;
   f) il nominativo dei componenti designati dalle competenti autorità straniere;
   g) i membri nazionali ed i membri distaccati degli Stati, delle organizzazioni internazionali e degli altri organismi istituzionali ai quali è richiesta, ai sensi del trattato sull'Unione europea, la designazione di rappresentanti esperti nelle materie dell'indagine comune;
   h) le modalità di partecipazione dei rappresentanti ed esperti designati dagli Stati, organizzazioni internazionali organismi istituiti nell'ambito dell'Unione europea, di cui alla lettera g);
   i) il nominativo dei magistrati eventualmente designati dal procuratore generale presso la corte d'appello o dal procuratore nazionale antimafia, se si tratta di indagini relative ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, ai fini del coordinamento investigativo;Pag. 108
   l) gli atti da compiersi all'estero e delle modalità necessarie all'utilizzazione processuale dei medesimi;
   m) il termine entro il quale la squadra investigativa comune può operare.

  3. Quando la squadra investigativa è costituita nell'ambito degli strumenti normativi dell'Unione europea, l'atto costitutivo può prevedere che alle attività da compiere sul territorio dello Stato italiano possono assistere rappresentanti o esperti di altri Stati, di organizzazioni internazionali o di organismi istituiti ai sensi del Trattato sull'Unione europea, nei limiti della competenza dell'ente di appartenenza.
  4. Il termine di cui al comma 2, lettera m), non può essere superiore a sei mesi. In ragione della oggettiva impossibilità di concludere le indagini nel termine stabilito, può essere richiesta, prima della scadenza delle indagini, la proroga del termine al giudice per le indagini preliminari che ha sede presso il Tribunale del capoluogo del distretto in cui opera il procuratore che ha sottoscritto l'atto costitutivo della squadra ovvero, nei casi indicati dall'articolo 371-bis, comma 3, lettera h), del codice di procedura penale, al giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma... In ogni caso la durata non può essere superiore al termine massimo delle indagini previsto per i reati per cui si procede. La proroga è comunicata al procuratore generale presso la Corte di appello o al procuratore nazionale antimafia.
  5. Le modificazioni dell'atto costitutivo di squadre istituite su richiesta di Stato straniero sono comunicate anche al Ministro della giustizia.

Art. 5.
(Membri distaccati, rappresentanti ed esperti. Direzione delle indagini).

  1. Salvo che nell'atto costitutivo sia stabilito diversamente, i membri della squadra investigativa comune designati dalla competente autorità di uno Stato estero possono partecipare agli atti di indagine da compiere sul territorio dello Stato italiano, nonché all'esecuzione di provvedimenti dell'autorità giudiziaria.
  2. Il pubblico ministero che dirige la squadra investigativa comune può escludere i membri della squadra indicati nel comma 1 dalla partecipazione a singoli atti.
  3. Ai membri della squadra investigativa comune indicati al comma 1 sono attribuite le funzioni di agente di polizia giudiziaria nei limiti previsti dall'atto costitutivo. Ad essi, se autorizzati ai sensi della legge 21 febbraio 1990, n. 36, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 53 del codice penale
  4. Ai rappresentanti o esperti di altri Stati, di organizzazioni internazionali o di organismi istituiti ai sensi del Trattato sull'Unione europea non è consentito di esercitare le funzioni conferite ai membri della squadra investigativa comune.
  5. La squadra investigativa comune opera sul territorio dello Stato in base alle disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari.

Art. 6.
(Utilizzazione delle informazioni investigative e degli atti di indagine).

  1. L'autorità giudiziaria può richiedere all'autorità dell'altro Stato con cui ha costituito la squadra investigativa comune di ritardare, per fini investigativi e processuali diversi da quelli indicati nell'atto istitutivo, l'utilizzazione delle informazioni ottenute dai componenti della squadra e non altrimenti disponibili, se essa può pregiudicare indagini o procedimenti penali in corso nello Stato, per un tempo non superiore a sei mesi. Il Ministro della giustizia viene informato senza ritardo della richiesta.
  2. L'autorità giudiziaria osserva, nei limiti di tempo di cui al comma 1, le condizioni richieste dall'autorità dell'altro Stato per l'utilizzazione delle informazioni di cui al medesimo comma 1 per fini investigativi e processuali diversi da quelli indicati nell'atto istitutivo della squadra investigativa comune.Pag. 109
  3. Nel fascicolo del dibattimento di cui all'articolo 431 del codice di procedura penale entrano a far parte i verbali degli atti non ripetibili posti in essere dalla squadra investigativa comune nel territorio dello Stato italiano ovvero all'estero.
  4. Nei casi previsti dalla presente legge, gli atti compiuti all'estero congiuntamente con l'autorità straniera o nell'ambito di squadre investigative comuni hanno la stessa efficacia degli atti corrispondenti compiuti secondo le norme del codice
  5. Le informazioni legalmente ottenute da un membro o da un membro distaccato durante la sua partecipazione a una squadra investigativa comune e non altrimenti disponibili per le autorità competenti dello Stato membro interessato possono essere utilizzate:
   a) per i fini previsti all'atto della costituzione della squadra;
   b) previo accordo dello Stato membro in cui le informazioni sono rese disponibili, per l'individuazione, l'indagine e il perseguimento di altri reati. Il consenso può essere negato soltanto qualora l'uso in questione mettesse a repentaglio le indagini penali nello Stato membro interessato o qualora quest'ultimo potesse rifiutare l'assistenza giudiziaria ai fini di tale uso;
   c) per scongiurare una minaccia immediata e grave alla sicurezza pubblica, lasciando impregiudicata la lettera b) in caso di successivo avvio di un'indagine penale;
   d) per altri scopi entro i limiti convenuti dagli Stati membri che hanno costituito la squadra.

Art. 7.
(Responsabilità penale).

  1. Nel corso delle operazioni della squadra investiva comune, i funzionari di uno Stato membro diverso dallo Stato membro in cui si svolge l'operazione sono assimilati ai funzionari di quest'ultimo Stato membro per quanto riguarda i reati che dovessero subire o commettere.

Art. 8.
(Responsabilità civile per i danni).

  1. Lo Stato italiano è responsabile dei danni causati nell'adempimento della missione della squadra investigativa comune da parte dei propri funzionari conformemente al diritto dello Stato membro nel cui territorio essi operano.
  2. Se lo Stato membro nel cui territorio sono causati i danni di cui al comma 1 provvede al risarcimento di tali danni alle condizioni applicabili ai danni causati dai propri funzionari, lo Stato italiano i cui funzionari abbiano causato danni a terzi nel territorio di un altro Stato membro rimborsa integralmente a quest'ultimo le somme versate alle vittime o ai loro aventi diritto.
  3. Quando la squadra investigativa comune è costituita nell'ambito degli strumenti dell'Unione europea, lo Stato provvede al risarcimento dei danni causati dal funzionario straniero o dal membro distaccato in territorio italiano, limitatamente ai danni derivanti dallo svolgimento della attività della squadra investigativa comune, salvo il diritto di rivalsa nei confronti dello Stato di appartenenza.

Art. 9.
(Clausola di invarianza).

  1. All'attuazione della presente legge, dalla quale non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.

Pag. 110

ALLEGATO 2

Interrogazione n. 5-05991 Ria ed altri: Problematiche relative al fenomeno dell'usura.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Signor Presidente, onorevoli deputati, l'onorevole Ria ed altri con l'interrogazione all'ordine del giorno chiedono di conoscere le misure che il Governo intende adottare per contrastare il fenomeno dell'usura.
  La questione viene posta anche in relazione alla pubblicazione di un rapporto di «Sos Impresa», edito il 10 gennaio 2012 con il titolo «Le mani della criminalità sulle imprese», che può senz'altro costituire uno strumento di approfondimento per gli addetti ai lavori.
  Devo innanzitutto premettere che il Ministero dell'interno, e per esso le autorità provinciali di pubblica sicurezza, rivolgono la massima attenzione a questo fenomeno, per la sua pericolosità sociale e per la devastazione che produce nei diversi strati della popolazione.
  Tuttavia la prevenzione e la repressione dell'usura continuano a registrare alcune difficoltà perché si tratta, per larga parte, di un fenomeno «sommerso», sia per l'elusività del delitto, sia per la nota ritrosia delle vittime alla denuncia. Per valutarne le dimensioni, sulla base di elementi certi fornisco, pertanto, i dati relativi agli esiti delle risultanze investigative e alle operazioni di polizia giudiziaria.
  Nel 2009 sono stati scoperti 530 reati, ed inquisite 1.256 persone. Nel 2010 sono stati 512 i reati scoperti e 1327 le persone inquisite; mentre nel 2011 i reati scoperti sono 423 e le persone inquisite 1188.
  L'usura si connota per il forte «impatto sociale» e non risparmia gli strati più deboli della società, abbassando così il livello di percezione di sicurezza, sia per le manifestazioni criminali ad essa collegate, connotate spesso da forte aggressività, sia per gli effetti dannosi sull'economia in generale.
  La gravità e complessità del fenomeno ha richiesto l'individuazione di specifici organismi che possano dedicarsi in maniera specialistica alla materia non solo per attività di contrasto, ma anche per finalità preventive e solidaristiche.
  Tali organismi, sui quali mi accingo a riferire, sono anche il risultato di una maggiore e più avvertita sensibilità dell'opinione pubblica sul problema, registrata nell'arco dell'ultimo decennio, dopo le iniziative sviluppate a seguito delle attività di alcuni organismi di solidarietà sociale e delle prime associazioni antiracket.
  In questa direzione il Ministero dell'interno intende ribadire alla Commissione la priorità dell'impegno e ciò perché i fenomeni di usura rappresentano la spia di altri fenomeni criminali. È nell'usura e nel racket che la criminalità organizzata esercita le forme più pervasive di controllo del territorio.
  Un buon deterrente è costituito dalla istituzione di organismi ad hoc. Mi riferisco, in particolare, al «Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiestorsione ed antiusura» con il quale si è voluta istituzionalizzare la risposta dello Stato a tale fenomeno.
  Il Commissario, ai sensi della legge 23 febbraio 1999, n. 44 articolo 19, presiede il Comitato di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura, istituito presso il Ministero dell'interno, che esamina le istanze di accesso al Fondo di solidarietà.Pag. 111
  L'azione del Commissario, in particolare, ha trovato concreta espressione in una serie di interventi, che meritano di essere segnalati.
  Mi riferisco al rifinanziamento del Fondo per la prevenzione dell'usura, previsto dall'articolo 15 della legge 7 marzo 1996, n. 108, e alla proposizione di progetti nell'ambito del PON Sicurezza Obiettivo «Convergenza 2007-2013», in partenariato con Associazioni di categoria ed Associazioni Antiracket e Antiusura.
  Colgo l'occasione per ricordare che queste associazioni svolgono un fondamentale ruolo in chiave preventiva, anche sotto il profilo del sostegno alle vittime dei reati.
  Nella stessa direzione viene svolta un'azione sul territorio, congiuntamente alle prefetture delle regioni maggiormente interessate, per la soluzione di singoli casi in cui si siano verificate difficoltà di accesso al credito o dismissioni improvvise degli affidamenti bancari ad imprenditori che abbiano denunciato i reati di estorsione o di usura.
  Particolare attenzione viene rivolta ai rapporti con il sistema bancario, con le categorie produttive e con il mondo dell'associazionismo.
  Grande significato assume la costituzione di parte civile del Commissario straordinario in processi per estorsione ed usura di particolare rilievo. Gli interventi in giudizio (finora 15) hanno anche consentito di ottenere decisioni risarcitorie.
  Vanno anche evidenziati gli interventi finalizzati a snellire le procedure di erogazione dei benefici previsti per le vittime del racket e dell'usura, allo scopo di ridurre i tempi di definizione delle istanze.
  I risultati sotto questo profilo sono incoraggianti, come evidenziato dalla rilevanza delle somme erogate.
  Negli ultimi dieci anni, infatti, sono stati corrisposti, solo per le vittime di usura, 92 milioni di euro circa, di cui oltre 31 milioni nell'ultimo triennio.
  Nel solco dell'attività di prevenzione e sensibilizzazione si pone anche la sottoscrizione di Protocolli di intesa tra Istituzioni pubbliche e tutti i soggetti interessati.
  Nel 2007 è stato sottoscritto l'Accordo-Quadro tra il Ministro dell'interno, l'ABI, la Banca d'Italia e da tutti i soggetti istituzionali e sociali, coinvolti nella prevenzione e nel sostegno alle vittime del racket, dell'estorsione e dell'usura.
  Periodicamente sono state promosse campagne di informazione volte a promuovere la più ampia conoscenza delle misure antiusura ed è stato attivato un numero verde per ricevere le denunce.
  Le persone in difficoltà devono sapere che l'usura non è una tappa obbligata per chi ha bisogno di aiuto finanziario e che vi sono norme (le leggi n. 108 del 1996 e n. 44 del 1999) che consentono di evitare il ricorso al finanziamento illecito, di liberare la vittima e punire l'usuraio.
  Ai fini della prevenzione del fenomeno – sovente, come già detto, collegato alla criminalità organizzata – assumono grande importanza le misure previste nel decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (cosiddetto Codice Antimafia).
  La normativa tiene conto dell'evoluzione delle modalità di «eterodirezione» dell'attività d'impresa da parte della criminalità organizzata, che non si limita più a controllare direttamente i consigli di amministrazione o le quote sociali ma, sempre più spesso, introduce propri «referenti» all'interno degli organi di controllo. In questa direzione le cautele antimafia, oltre ai già previsti organi di governance della società sono state estese anche al direttore tecnico.
  Voglio infine ricordare che il Senato della Repubblica, il 17 gennaio scorso, ha definitivamente approvato il disegno di legge 307-B, ora è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che reca norme in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
  L'intervento legislativo introduce maggiore flessibilità sulle modalità di accesso ai fondi per le vittime del racket e dell'usura e prevede un inasprimento delle pene in materia di estorsione.
  La nuova disciplina, tra l'altro, offre la possibilità di erogazione dei mutui previsti in favore delle vittime dell'usura Pag. 112anche ad imprenditori dichiarati falliti, previo parere favorevole del giudice fallimentare.
  È prevista, inoltre, che gli enti locali possano disporre l'esonero o il rimborso, totale o parziale, del pagamento dei tributi, tariffe e canoni a favore degli imprenditori vittime di richieste estorsive.
  Ribadisco, a questo punto, quanto già detto all'inizio del mio intervento e, nell'accogliere l'auspicio dell'onorevole interrogante, riaffermo l'impegno del Ministero dell'interno, e con esso di tutte le istituzioni responsabili, nel combattere questo fenomeno criminale e nel sostenere tutti coloro, imprenditori, commercianti ed esponenti della società civile, che si propongono di ostacolare questa forma di inquinamento dell'economia legale della società.

Pag. 113

ALLEGATO 3

Interrogazione n. 5-05992 Samperi: Sulla necessità di rafforzare gli strumenti di contrasto alla mafia.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Rispondo all'interrogazione dell'onorevole Samperi evidenziando, innanzitutto, che prima dell'emanazione del decreto legislativo 159/2011 (cosiddetto Codice antimafia), la legge n. 575/65 (precedentemente vigente) già prevedeva, all'articolo 2-ter, terzo comma, che il provvedimento di confisca nel caso di indagini complesse potesse essere emanato anche successivamente all'adozione della misura di prevenzione personale, purché entro un anno dalla data dell'avvenuto sequestro. La medesima disposizione prevedeva, altresì, che tale termine potesse essere prorogato di un ulteriore anno con provvedimento del tribunale. Le conseguenze della violazione del termine sono state subito chiarite dall'interpretazione giurisprudenziale, che ha ritenuto l'inefficacia del sequestro e la conseguente nullità del successivo provvedimento di confisca, tranne nel caso in cui la misura patrimoniale fosse stata emessa contestualmente alla misura personale. La conclusione appariva, però, fortemente sospetta di illegittimità costituzionale – sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della carta fondamentale – in quanto consentiva di trattare in modo differente situazioni del tutto analoghe, contrariamente al principio affermato nella sentenza n. 465/93 della Corte costituzionale, dove si precisava chiaramente che una eventuale distinzione nell'applicazione dei termini dell'articolo 2-ter fondata sul momento in cui viene disposto il sequestro dei beni «non può essere seguita perché si fonda su un criterio di differenziazione – il momento di applicazione della cautela – del tutto estrinseco ed accidentale rispetto alle finalità della misura patrimoniale».
  Il codice antimafia, pertanto, in attuazione di uno specifico punto di delega, ha provveduto correttamente ad uniformare la disciplina del termine per l'emanazione del decreto di confisca, prevedendo che lo stesso debba essere sempre emesso entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario, prorogabile per periodi di sei mesi e per non più di due volte in caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti; il termine complessivo di due anni e sei mesi, previsto dalla nuova disciplina risulta, pertanto, anche più ampio di quello precedentemente vigente, pari a due anni. In relazione, poi, alla tutela dei terzi nel procedimento di prevenzione, la legge delega imponeva di procedere alla verifica della buona fede degli stessi, al precipuo fine di consentire loro l'insinuazione nella procedura di prevenzione per ottenere soddisfazione delle proprie pretese. L'unico limite posto al riguardo dalla legge citata era quello del 70 per cento del valore dei beni confiscati, ribadito nell'articolo 53 del codice. I criteri di delega, pertanto, imponevano – in assenza di adeguati stanziamenti che consentissero di rinvenire aliunde la copertura finanziaria per soddisfare le legittime pretese dei terzi e di evitare, quindi, la vendita dei beni – di procedersi, ove necessario, alla liquidazione del patrimonio del destinatario Pag. 114della misura di prevenzione patrimoniale. Il codice antimafia, pertanto, ha in tal modo effettuato l'unico contemperamento possibile tra le esigenze di tutela dei terzi, ormai unanimemente riconosciute, e le risorse finanziarie attualmente disponibili, che non consentono, allo stato, la creazione di un fondo dedicato alla soddisfazione delle predette pretese creditorie.

Pag. 115

ALLEGATO 4

Interrogazione n. 5-05993 Palomba: Problematiche connesse alla carenza di organico presso il tribunale di Nuoro.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Rispondo all'onorevole Palomba passando subito a riferire i dati riguardanti la specifica situazione operativa del Tribunale di Nuoro.
  Detto ufficio giudiziario – composto oltre che dal Capo dell'Ufficio, da 2 Presidenti di sezione e da 13 giudici presenta, allo stato, le vacanze di 5 dei predetti posti di giudice.
  La situazione come sopra descritta, peraltro, tiene conto sia dei trasferimenti (già disposti ma attualmente ancora privi di effetti) dei dottori Nicola Fenicia al Tribunale di Rovereto (con decreto ministeriale in data 23 giugno 2011) ed Elisa Marras al Tribunale di Sassari (con decreto ministeriale in data 16 gennaio 2012), sia dei trasferimenti (anch'essi già disposti ma privi, allo stato, di effetti) dei dottori Mariano Arca (con decreto ministeriale del 20 ottobre 2011) e Manuela Anzani (deliberato dal Consiglio Superiore della Magistratura nella seduta del 21 dicembre 2011) al Tribunale in questione.
  Ciò detto, proprio con specifico riferimento alle problematiche che caratterizzano il settore penale, va segnalato che – contrariamente a quanto evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo – allo stesso risultano tabellarmente destinati, sia pure in via non esclusiva – oltre al Capo dell'Ufficio ed al Presidente di sezione dottor Antonio Luigi Demuro, anche i giudici Tiziana Longu (dal 3 febbraio 2011) e Cristiana Satta (dall'11 aprile 2011).
  Peraltro, anche il dottor Claudio Cozzella è stato addetto al settore penale dibattimentale dal 3 novembre 2009 al 21 dicembre 2011, data in cui ha assunto le funzioni di g.i.p./g.u.p. in sostituzione della dottoressa Anna Rita Murgia, trasferita ad altra sede giudiziaria.
  Intendo inoltre ricordare che, con provvedimento di variazione tabellare dell'8 giugno 2011, il Presidente del Tribunale ha disposto, in particolare, che a decorrere dal 16 settembre 2011 i collegi penali per lo svolgimento dei nuovi processi, da fissarsi nella giornata di martedì di ogni settimana, siano formati dal Presidente della Sezione dottor Luigi Demuro, dalla dottoressa Tiziana Longu e dal dottor Andrea Bernardino, con possibilità di sostituzione di uno dei due giudici con il dottor Claudio Cozzella limitatamente ai processi per i quali si può prevedere la definizione entro il gennaio 2012.
  Infine, nel rimarcare che le questioni attinenti alla copertura degli organici del personale di magistratura richiamano profili di specifica competenza del Consiglio Superiore della Magistratura, voglio evidenziare che le problematiche che connotano le condizioni dell'organico del Tribunale di Nuoro e quelle di tutti gli altri uffici giudiziari interessati ai movimenti di magistrati hanno costituito oggetto di ordinaria informazione e conoscenza di tutti gli organi ed uffici competenti.
  Nello specifico, e nel pieno rispetto delle prerogative del Consiglio Superiore della Magistratura, il competente Dipartimento dell'Organizzazione giudiziaria ha segnalato che non sono stati ravvisati, allo stato ulteriori e diversi profili utili ad azionare le facoltà del Ministro della giustizia di cui all'articolo 11 della legge n. 195 del 1958.

Pag. 116

ALLEGATO 5

Interrogazione n. 5-05994 Contento: Sulla carenza di personale presso la procura della Repubblica di Pordenone.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Rispondo all'onorevole Contento segnalando, in primo luogo – con un'osservazione di carattere generale – che le problematiche attinenti alla copertura degli organici del personale di magistratura, ivi compreso quello della Procura della Repubblica di Pordenone, richiamano profili di specifica competenza del Consiglio Superiore della Magistratura.
  La mia è una premessa doverosa che non priva di rilevanza la questione affrontata nell'atto di sindacato ispettivo, che ruota sulla necessità, che il Governo condivide, di ottimizzare e, se del caso, potenziare le risorse degli uffici giudiziari, al fine di garantire una migliore efficacia nell'erogazione del «servizio giustizia».
  Ciò premesso, passo subito a riferire i dati riguardanti la specifica situazione operativa della Procura della Repubblica di Pordenone, sulla base delle informazioni acquisite dal competente Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria.
  Faccio presente, in particolare, che l'organico magistratuale togato di tale ufficio requirente, composto, oltre che dal Capo dell'Ufficio, da 7 Sostituti Procuratori presenta, allo stato, le vacanze di 2 dei predetti posti di Sostituto Procuratore.
  Preciso, in proposito, che le due vacanze sono state già pubblicate dal Consiglio Superiore della Magistratura in data 21 luglio 2011 ma che la procedura si è conclusa senza assegnazione dei due posti messi a concorso per mancanza di aspiranti. Pertanto, per poter realizzare l'effettiva copertura dei posti in questione, la procedura citata dovrà essere rinnovata.
  Voglio comunque evidenziare che la situazione descritta tiene conto del trasferimento dalla Procura della Repubblica di Verona a quella di Pordenone del dottor Pier Umberto Vallerin (già disposto con decreto ministeriale 20 ottobre 2011 ma attualmente ancora privo di effetti).
  Quanto all'aliquota di giudici onorari (Vice procuratori onorari) assegnata alla Procura della Repubblica di Pordenone, la stessa risulta attualmente composta da sette unità, quattro delle quali presenti in servizio, mentre le altre tre unità sono in attesa di assumere possesso delle funzioni loro assegnate.
  Nell'accingermi a concludere, desidero comunque rassicurare l'interrogante che resta ferma l'attenzione del Ministro della giustizia alle problematiche dell'ufficio requirente di Pordenone e l'impegno a fronteggiarne le esigenze operative, nell'imprescindibile contemperamento con i bisogni di tutti gli altri Uffici giudiziari.

Pag. 117

ALLEGATO 6

Interrogazione n. 5-05995 Lussana: Sulla concessione del regime di semilibertà a favore di Marino Occhipinti in relazione alle esigenze di tutela delle vittime dei reati.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Onorevole Lussana, la Sua interrogazione trae origine dalla concessione a favore di Marino Occhipinti – detenuto presso la casa di reclusione di Padova – del beneficio previsto dall'articolo 48 della vigente legge sull'ordinamento penitenziario.
  Il Tribunale di Sorveglianza di Venezia, con ordinanza del 14 dicembre 2011, ha concesso all'Occhipinti il beneficio della semilibertà per lo svolgimento di attività lavorativa presso la Cooperativa Sociale Giotto di Padova, per conto della quale il detenuto lavora all'interno dell'istituto penitenziario da dieci anni; l'offerta lavorativa da parte della Cooperativa prevede l'impiego del detenuto nei cantieri gestiti dalla stessa, con mansioni di tipo sia amministrativo (connesse all'attività di call-center) che operativo (manutenzione del verde pubblico e spazzamento strade).
  Credo che non sia vano inquadrare correttamente la posizione giuridica dell'Occhipinti al fine di distinguere nettamente la sua figura da quella dei più noti fratelli Savi.
  Marino Occhipinti ha riportato due condanne definitive: la prima per i delitti di associazione a delinquere (reato commesso da gennaio ad aprile 1988), di omicidio volontario tentato e consumato, di tentata rapina aggravata, furto aggravato e violazione della normativa in materia di armi (reati commessi il 19 febbraio 1988); la seconda per due rapine aggravate e porto illegale di armi (commessi il 4 febbraio 1988), furto aggravato (commesso il 10 febbraio 1988) e detenzione illegale di munizioni (commesso sino al 29 novembre 1994).
  Come è agevole notare, i fatti ascritti all'Occhipinti – di indubbia gravità tenuto anche conto della qualità di appartenente alla Polizia di Stato rivestita dal predetto – si collocano (ad eccezione della detenzione di munizioni) in una finestra temporale molto ristretta, nella quale egli aveva appena 23 anni: i primi quattro mesi del 1988. I più noti fratelli Roberto, Fabio ed Alberto Savi sono stati ritenuti promotori e capi dell'associazione a delinquere tristemente nota come «banda della Uno bianca» e responsabili di oltre trenta delitti commessi fra il 1987 ed il 1994.
  L'Occhipinti è detenuto sin dal 29 novembre 1994 ed ha sin qui scontato (calcolata anche la pena detratta a titolo di liberazione anticipata, pari a quasi quattro anni) oltre venti anni della pena inflittagli (ergastolo con isolamento diurno per mesi sette e giorni ventidue, come risultante dal provvedimento di cumulo dell'11 novembre 2002).
  Il Tribunale di Sorveglianza di Venezia, nel concedere il beneficio richiesto dall'Occhipinti, ne ha positivamente valutato l’iter trattamentale, ritenendo che «risulta acclarato l'importante e genuino percorso di revisione critica del detenuto rispetto alle condotte antigiuridiche per cui è stato condannato».
  L'ultima relazione comportamentale del dicembre 2011 attesta il rilevante impegno profuso dall'Occhipinti nell'attività lavorativa svolta sia gratuitamente Pag. 118(per la redazione della rivista «Ristretti Orizzonti» e per la manutenzione di alcuni capannoni dell'istituto penitenziario di appartenenza) che con remunerazione (per conto della Cooperativa Sociale Giotto), mettendo in atto le proprie competenze e capacità personali ed avviando, attraverso il lavoro ed i contatti con gli operatori, un cammino di riavvicinamento alla società fondato su valori positivi e condivisi; il Tribunale ha giustamente posto in evidenza che l'Occhipinti utilizza parte della sua retribuzione per il risarcimento a favore delle vittime dei reati compresi nella prima sentenza di condanna.
  Venendo alla risposta alla interrogazione da Lei sottoposta, è nota la ferma volontà delle Istituzioni, e in primis del Guardasigilli, di introdurre nel nostro ordinamento forme ancora più incisive di tutela e protezione delle vittime dei reati e dei loro familiari.
  Sul tema specifico della tutela delle vittime di reati efferati, il Ministero della giustizia è impegnato – insieme ad altri Dicasteri – in un tavolo tecnico per l'attuazione della normativa in favore delle vittime del dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata. La finalità perseguita è quella di predispone un provvedimento di riordino e semplificazione della disciplina in materia previdenziale ed assistenziale in favore di quelle stesse vittime. Il testo del provvedimento è già all'esame del tavolo tecnico e consentirà di garantire ai beneficiari livelli di assistenza morale e materiale adeguati, quale espressione di solidarietà nazionale.
  Il Ministero della giustizia è altresì impegnato in un tavolo tecnico per l'attuazione della direttiva 2011/36/UE del 5 aprile 2011, riguardante la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime della tratta. Anche in questo caso è stato predisposto uno schema di delega legislativa finalizzato a dare completa e definitiva attuazione alla decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, con specifico riguardo alla posizione della vittima nel procedimento penale.
  In un'ottica di maggiore concretezza, mi preme segnalare che la «Commissione sulla mediazione penale e giustizia ripartiva», istituita sin dal 2002 presso il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della giustizia, ha svolto nel caso in esame una approfondita e significativa attività (della quale si dà atto nel testo dell'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza), che ritengo utile sintetizzare schematicamente:
   nel 2005, a seguito della manifestata volontà da parte dell'Occhipinti di avviare un percorso di riavvicinamento alle vittime dei reati, la predetta Commissione avviò un apposito percorso di mediazione penale (il primo in Italia che riguardava delitti di rilevante gravità), che giunse a maturazione nel dicembre 2009 e che condusse il detenuto ad ammettere le proprie responsabilità ed a chiedere perdono, secondo le proprie capacità;
   nel 2007, l'Occhipinti, attraverso la rivista Ristretti Orizzonti, ebbe modo di confrontarsi con prossimi congiunti di vittime di gravissimi reati, così maturando importanti riflessioni sul proprio vissuto;
   nel 2011, l'Occhipinti ebbe un incontro con il figlio di un maresciallo di pubblica sicurezza ucciso dalla Brigate Rosse nel 1976, a seguito del quale si ebbe modo di ipotizzare ulteriori percorsi riparativi verso le comunità (sociale e lavorativa) di appartenenza.

  Orbene, anche l'intrapreso cammino di mediazione penale (attuato nei confronti di prossimi congiunti di vittime di gravissimi reati, stante l'impossibilità di coinvolgere le vittime dei reati per i quali l'Occhipinti è stato condannato) ha condotto il Tribunale di Sorveglianza – unitamente alla ritenuta assenza di pericolosità sociale, alla revisione critica da parte del detenuto, alla positiva fruizione di Pag. 119numerosi permessi-premio ed alla validità dell'offerta lavorativa – a ritenere l'assoluta meritevolezza del percorso rieducativo dell'Occhipinti ed a concedergli il beneficio richiesto, pur nella esplicita consapevolezza della difficile praticabilità e talvolta dell'impossibilità di ottenere il perdono delle persone offese nel caso di commissione di gravissimi reati contro la persona.