CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 8 giugno 2011
491.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Ambiente, territorio e lavori pubblici (VIII)
ALLEGATO

TESTO AGGIORNATO AL 5 LUGLIO 2011

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ALLEGATO 1

D.L. 70/2011 Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (C. 4357 Governo).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La VIII Commissione,
esaminato il disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (C. 4357 Governo);
rilevato che:
il decreto-legge in esame reca misure di rilevante importanza nelle materie di competenza della Commissione, in primo luogo, per la disciplina delle opere pubbliche su cui si innesta un complesso intervento normativo di modifica del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, e di alcune norme del Regolamento di attuazione del Codice di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010;
sono altresì di considerevole importanza le misure recate dall'articolo 5, concernente interventi per l'edilizia privata, e dall'articolo 10, che al comma 11 istituisce l'Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche;
considerato che:
il decreto in esame provvede a inserire misure finalizzate a ridurre i tempi di realizzazione delle opere pubbliche, semplificare le procedure di affidamento e diminuire il contenzioso, tra le quali il tetto alle riserve, la diminuzione del limite di spesa per le opere compensative, nonché la stretta correlazione delle varianti alla funzionalità dell'opera; tali misure devono essere coniugate con l'esigenza di un miglioramento della qualità tecnica della progettazione e della verifica della stessa qualità tecnica;
talune disposizioni del decreto legge necessitano di un adeguato coordinamento con la normativa vigente;
tenuto conto di alcuni elementi di informazione e di valutazione emersi nel corso delle audizioni svolte presso le Commissioni competenti in sede referente;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti osservazioni:
a) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di modificare le disposizioni di cui all'articolo 4, comma 2, lettera o), prevedendo che il meccanismo di compensazione si attivi qualora il prezzo dei singoli materiali da costruzione subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 15 per cento, rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle Infrastrutture nell'anno di presentazione dell'offerta con il decreto ministeriale che reca le variazioni percentuali annuali dei prezzi dei materiali da costruzione, e che in tal caso la compensazione sia determinata applicando la percentuale di variazione che eccede il 15 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell'anno solare precedente al medesimo decreto ministeriale che reca le variazioni percentuali annuali dei prezzi dei materiali da costruzione;

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b) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di introdurre, all'articolo 4, comma 2, lettera q), una modifica al comma 2 dell'articolo 153 del decreto legislativo n. 163 del 2006, allo scopo di espungere il riferimento allo studio di fattibilità, che non è più previsto dal comma 19 come novellato dal decreto legge in esame;
c) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di riferire correttamente la novella di cui all'articolo 4, comma 2, lettera v), eventualmente riferendola alla fine del terzo periodo del comma 3 dell'articolo 169 del decreto legislativo n. 163 del 2006, e non alla fine del comma 3 dello stesso articolo 169;
d) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di sopprimere all'articolo 4, comma 2, la lettera hh), o quantomeno di ridurre l'onerosità del limite ivi previsto del 20 per cento per l'importo complessivo delle «riserve», in quanto, pur concordando con l'obiettivo di limitare la lievitazione dei costi in fase esecutiva, si ritiene che il perseguimento di tale obiettivo non possa eccessivamente gravare sulle imprese appaltatrici;
e) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di mantenere il tetto del 2 per cento per la realizzazione delle opere compensative nel caso delle infrastrutture strategiche, ma di escluderlo per le infrastrutture ordinarie, in tal senso sopprimendo il comma 14 dell'articolo 4, in considerazione del fatto che queste ultime sono, praticamente nella totalità dei casi, di importo ridotto e tale che il tetto del 2 per cento costituirebbe un ostacolo insuperabile alla mitigazione degli impatti di natura sociale e territoriale delle stesse infrastrutture;
f) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di innalzare la soglia per il ricorso alla procedura negoziata senza bando di gara anche per l'affidamento dei servizi di progettazione;
g) valutino le Commissioni di merito, all'articolo 5, comma 8, l'opportunità di sostituire le parole «piani volumetrici» con le seguenti: «planovolumetrici»;
h) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di formulare in maniera più chiara la definizione di aree urbane degradate di cui all'articolo 5, comma 9;
i) valutino le Commissioni di merito, al fine di rafforzare i profili di indipendenza e di autorevolezza dell'istituenda Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, l'opportunità di modificare il comma 16 dell'articolo 10, prevedendo l'aumento da tre a cinque anni della durata della carica dei componenti dell'Agenzia, nonché di sopprimere il comma 21 del medesimo articolo 10;
j) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di sopprimere il comma 2 dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che prevede in capo al Ministero dell'ambiente la definizione delle componenti di costo della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua, atteso che tale competenza viene attribuita dall'articolo 10, comma 14, lettera c), del decreto in esame all'Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche;
k) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di attribuire alla istituenda Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche il compito di esprimersi in merito alla sussistenza delle peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, di cui al comma 3 dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, ai fini dell'affidamento della gestione del servizio idrico integrato a società in house;
l) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di introdurre una modifica all'articolo 49 del decreto legislativo n. 163 del 2006 nel senso di prevedere una dichiarazione da parte dell'impresa ausiliaria attestante l'effettivo possesso dei requisiti tecnici che mette a disposizione del partecipante alla gara.

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ALLEGATO 2

D.L. 70/2011 Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (C. 4357 Governo).

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA PRESENTATA DAL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO

La Commissione VIII,
esaminato il disegno di legge n. 4357 e rilevato che, per le parti di propria competenza,
sotto il profilo del metodo
esso reca un contenuto importante e molto ampio che mal si coniuga con le peculiarità connesse allo strumento utilizzato, quello del decreto legge, che il potere esecutivo è autorizzato ad adottare, ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione, solo in casi straordinari di necessità e di urgenza, che peraltro è difficile ravvisare nelle disposizioni di competenza della presente Commissione; in particolare, all'articolo 4, la materia della costruzione di opere pubbliche e dei contratti pubblici di appalto; all'articolo 5, la materia della liberalizzazione nell'edificazione di costruzioni private; all'articolo 10, la materia della gestione dei servizi idrici e all'articolo 3, la materia del diritto di superficie di durata ventennale nelle zone costiere necessitano di confronti maggiormente articolati ed approfonditi che i tempi disponibili alle Camere per la conversione in legge del decreto non rendono praticabili, con un grave vulnus per la certezza del diritto e la semplificazione legislativa;
il metodo confuso e incoerente con cui la maggioranza ed il Governo intendono modificare norme del Codice degli appalti, perdendo di vista la necessità di una revisione urgente ed organica del Codice stesso, appare una grave occasione mancata e il decreto legge in esame genera di fatto una rischiosa semplificazione per la costruzione delle opere pubbliche che non assicura un reale cambiamento del sistema che è letteralmente paralizzato;
lo scorso mese di aprile la VIII Commissione, ha esaminato, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento della Camera, il Libro verde sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di appalti pubblici, per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti, approvando un parere in cui si rappresentava l'esigenza di promuovere interventi che contribuissero a risolvere talune criticità del sistema degli appalti in Italia;
il metodo adottato dalle istituzioni dell'Unione Europea appare particolarmente apprezzabile e in netto contrasto con quanto fatto dal Governo nazionale, in quanto favorisce un preventivo e ampio confronto sulle diverse problematiche (di carattere giuridico, di efficienza amministrativa, economico e di regolazione del mercato per la tutela della concorrenza) che riguardano la materia degli appalti, attraverso una puntuale ricognizione dei problemi emersi con riferimento all'attuazione della normativa europea vigente e alla possibilità di apportare ad essa le correzioni e le integrazioni che risulteranno necessarie; con il «Libro verde» si discute delle nuove regole da costruire per gli acquisti pubblici dal 2013-2014 ad oltre il 2020; si tratta di una riflessione strategica e di sistema di cui anche l'Italia avrebbe necessità;
il Gruppo del Pd chiede quindi con forza al Governo lo stralcio dell'articolo 4

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dal decreto legge 70/2011 e di attuare la riforma del Codice dell'appalto mediante legge ordinaria;
per quel che riguarda la materia della liberalizzazione nell'edificazione di costruzioni private prevista all'articolo 5 il parere è fortemente negativo; sotto il profilo del metodo si rileva come l'intervento legislativo di urgenza presenta profili di violazione delle competenze costituzionalmente garantite delle regioni e rischia di produrre incertezza giuridica per il sovrapporsi senza concertazione con provvedimenti regionali; il mancato coordinamento e l'assenza di una pianificazione esercitata nell'ottica della sussidiarietà di fatto non consentiranno il raggiungimento dell'obiettivo, ossia la semplificazione, anche valutando le gravi lacune presenti nelle disposizioni relative al cosiddetto «Piano città» che, di fatto, rendono le norme inapplicabili;
a proposito dell'articolo 3, in materia di concessione del diritto di superficie di durata ventennale nelle zone costiere, si sottolinea come le norme abbiano già determinato reazioni avverse da parte dell'Unione europea con il rischio di penalizzare ulteriormente l'Italia già sottoposta a due procedure di contenzioso per violazione, nella gestione delle concessioni balneari, dell'articolo 12 della direttiva 2006/123/CE (Direttiva servizi) e dell'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro; altre sono state le richieste del Gruppo PD a tutela della categoria dei Balneari e delle loro prerogative di piccole e medie imprese; innanzitutto l'Italia deve chiudere le procedure di contenzioso in atto e, senza rinunciare al bene pubblico del demanio marittimo, deve ridiscutere in sede europea l'applicazione della direttiva servizi, salvaguardando l'unicità delle nostre imprese turistiche, gli investimenti realizzati ed anche la dimensione medio piccola ma molto diffusa del sistema;
infine, appare quantomeno sospetto l'inserimento nel decreto della materia della gestione dei servizi idrici con l'istituzione dell'Agenzia nazionale per i servizi idrici e la cessazione del regime transitorio per la determinazione delle tariffe idriche con specifiche deliberazioni CIPE, così a ridosso del Referendum che verte proprio sulla gestione delle risorse idriche; inoltre appare un'intenzione poco trasparente di individuare in un decreto omnibus lo strumento per inserire un argomento così delicato che avrebbe richiesto una discussione parlamentare approfondita come il Parlamento chiede da molto tempo;
considerato che sotto il profilo del merito
quanto all'articolo 3:
il decreto interviene sui beni del demanio marittimo, i beni pubblici di maggiore rilievo ambientale, costituendo un diritto di superficie ventennale sulle aree formate da arenili edificate e inedificate;
i beni demaniali sono, per natura, res extra commercium, sottratti ai rapporti patrimoniali privati e quindi inalienabili, imprescrittibili ed inespropriabili; non possono formare oggetto di negozi giuridici né di usucapione né essere oggetto di trasferimento a terzi: la violazione del divieto implica la nullità dell'atto di trasferimento; nel nostro sistema, vi è dunque una totale sottrazione dei beni demaniali al regime di circolazione privatistico; la trasferibilità di tali beni può essere realizzata solo con le regole di diritto pubblico e «purché ciò non venga ostacolato dalla natura del bene»;
con la cessione del diritto di superficie sull'arenile inedificato, viene ceduto, a norma del decreto, un vero e proprio ius aedificandi e quindi un vero e proprio diritto di edificare costruzioni di carattere permanente e l'arenile inedificato diventa area edificabile; il diritto di superficie si costituisce, e successivamente si mantiene, previo accatastamento delle edificazioni ai sensi dell'articolo 19 del

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decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, la norma che ha reso possibile l'accatastamento delle case «fantasma» che non avevano risultanze catastali perché in molti casi non avevano i requisiti per l'inserimento in catasto; come contratto costitutivo o traslativo di diritti reali immobiliari, il contratto costitutivo o traslativo del diritto di superficie sarà redatto per iscritto e trascritto nei registri immobiliari ai fini dell'opponibilità ai terzi; si costituisce dunque un vero e proprio diritto reale di superficie debitamente trascritto, opponibile erga omnes;
rinnovando di venti anni in venti anni il diritto di superficie si costituisce il diritto a fare edificazioni sempre nuove o ristrutturazioni o ampliamenti dell'esistente, con danni incrementali per l'ambiente;
il decreto tutela «il diritto libero e gratuito di accesso e fruizione della battigia, anche ai fini di balneazione»; vi è da notare che la nozione di «battigia» - non prevista dal Codice della Navigazione - individua nell'accezione comune il bagnasciuga, la «linea della spiaggia dove si frangono le onde»; è evidente che il decreto, nel concedere gli arenili in diritto di superficie, riserva il diritto libero e gratuito di accesso e fruizione alla sola battigia «anche ai fini di balneazione»: non vi è un'eguale tutela - diritto libero e gratuito di accesso e fruizione - per tutti i beni del demanio marittimo, di cui all'articolo 28 del Codice della navigazione, per tutti gli usi pubblici del mare: dovremo rassegnarci a raggiungere in fretta la battigia per un frugale bagno, e rinunciare alla sdraio e all'ombrellone, che non sarà più «un diritto libero e gratuito»;
il diritto di superficie si costituisce sugli «arenili» di cui non esiste una definizione normativa: secondo la giurisprudenza, peraltro, gli arenili costituiscono un ampliamento dello stesso concetto di spiaggia; si prevede pertanto la costituzione di un diritto di superficie sulla spiaggia, anche nelle zone inedificate; in aperta contraddizione, peraltro, il decreto esclude dalla possibilità di costituire un diritto di superficie sulle spiagge e sulle scogliere;
senza dire che sulle aree già occupate da edificazioni esistenti, per le quali si ammette «qualunque destinazione d'uso», ancorché realizzate su spiaggia, arenile ovvero scogliera, tali edificazioni potranno essere mantenute in diritto di superficie»: pertanto qualsiasi «edificazione» indipendentemente dal fatto che sia, o meno, vincolata al suolo in modo permanente, viene trasformata dal decreto in diritto di superficie; nessun riferimento viene fatto alla concessione del servizio «turistico» o «balneare» che ha autorizzato e reso possibile l'uso, per un pubblico servizio, di tale «edificazione»; gli attuali concessionari di servizi turistico-balneari che utilizzano le edificazioni sugli arenili sulla base di una regolare concessione rischiano in tal modo che su tali edificazioni sia attribuito un diritto di superficie ad altri soggetti, in grado di «anticipare» il corrispettivo per il diritto di superficie;
né si richiede, come sarebbe corretto, che tali edificazioni, per avere titolo ad essere mantenute in diritto di superficie, abbiano regolari titoli abilitativi e conformi agli strumenti di piano previsti per gli arenili alla data di entrata in vigore del decreto;
vi è, in concreto, la possibilità che il decreto finisca per premiare in misura maggiore chi più ha abusato e violato il vincolo pubblico e di tutela ambientale e del paesaggio;
con il decreto il diritto di superficie sugli arenili viene ceduto a tempo determinato: scaduto il termine, il diritto di superficie si estingue e per «accessione» il proprietario del suolo (il demanio, l'ente locale) acquista la proprietà della costruzione a meno che il superficiario paghi il proprietario del terreno per la cessione dei relativi diritti di superficie;
vi sono differenze sostanziali rispetto all'attuale regime di concessione: il

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proprietario del diritto di superficie può alienarlo ad altri quindi se prima svolgeva un pubblico servizio può vendere il fabbricato in cui tale servizio veniva offerto; se, come richiesto dalla UE, i servizi turistico-balneari saranno messi a gara, chi vorrà partecipare alla gara per la gestione del servizio sarà costretto ad acquisire il diritto di superficie - che ai valori di mercato, secondo il pregio ambientale dell'area demaniale in cui si trova l'edificazione può essere molto oneroso - o a pagare un affitto così elevato al superficiario da essere costretto a rinunciare alla gara perché la sua offerta non può essere economicamente vantaggiosa; quindi la concessione del diritto di superficie può rappresentare un'invalicabile barriera sia per gli attuali gestori, se non hanno i capitali da anticipare per pagare il corrispettivo del diritto di superficie ventennale, ovvero per pagare una onerosa locazione al superficiario, sia per nuovi gestori di servizi balneari in Italia, che non abbiano capitali sufficienti;
nel decreto si prevede espressamente che nulla sia innovato in materia di concessioni sul demanio marittimo: la relazione illustrativa precisa che da tale affermazione discende che le concessioni demaniali vigenti proseguono sino alla loro scadenza e solo quando questa sarà intervenuta si procederà all'attribuzione dei diritti di superficie sui beni edificati per effetto delle concessioni vigenti; in alcun modo il decreto affronta la necessità di procedere alla revisione della normativa in materia di concessioni demaniali marittime nonostante sia tuttora pendente una procedura di infrazione comunitaria nei confronti dell'Italia circa la disciplina che prevedeva il rinnovo automatico delle concessioni e la preferenza accordata al concessionario uscente per il mancato adeguamento della normativa nazionale in materia di concessioni demaniali marittime ai contenuti previsti dalla «direttiva servizi» (direttiva Bolkestein 123/2006/CE); dunque né l'articolo della comunitaria tuttora all'esame del Parlamento né il decreto sviluppo sembrano in grado di risolvere la Procedura d'Infrazione n. 2008/4908 in materia di rilascio delle concessioni demaniali marittime a fini turistici ricreativi, avviata il 29 gennaio 2009 nei confronti del Governo Italiano dalla Commissione della Comunità Europea;
le risorse derivanti dai corrispettivi dei diritti di superficie sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad un Fondo costituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze per essere annualmente ripartite in quattro quote, in favore, rispettivamente, della Regione interessata; dei Comuni interessati; dei Distretti turistico-alberghieri; dell'erario, con particolare riferimento agli eventuali maggiori oneri per spese di competenza del Ministero dell'interno; appare essenziale prevedere che entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministro dell'Interno presenti una relazione al Parlamento in merito all'ammontare e all'utilizzo delle risorse assegnate, in particolare se queste siano impegnate nelle aree demaniali costiere che registrino intensi flussi di immigrazione, al fine di garantire che tali fondi siano utilizzati per misure di prima accoglienza agli immigrati;
i Distretti turistico - alberghieri, previsti dal decreto, non sono definiti: non si chiarisce quale sia la personalità giuridica di tali distretti, che consenta ad essi di essere destinatari di diritti e soggetti ad obblighi; nulla si dice in merito ai requisiti di tali distretti né delle imprese che ne fanno parte; le Regioni che non abbiano la struttura alberghiera e turistica per configurare un distretto non potranno essere destinatarie dei corrispettivi per diritti di superficie; le imprese che costituiscono un distretto turistico alberghiero potranno beneficiare di un sostanzioso aiuto di stato, a differenza degli operatori «solitari» che sono localizzati in aree dove non è possibile costituire il distretto: è il caso di molte località del sud e delle isole;
l'articolo 3 del decreto sviluppo crea anche problemi di rilievo costituzionale: la materia della concessione di beni del demanio marittimo portuale, secondo il titolo V della Costituzione, appartiene

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alla Regione e, per essa, al Comune territorialmente competente;
quanto all'articolo 4:
il settore degli appalti pubblici riveste un ruolo fondamentale nel perseguimento degli obiettivi di crescita come indicati nella Strategia Europa 2020, trattandosi di uno degli strumenti necessari per promuovere l'innovazione nelle imprese, per favorire la transizione verso un utilizzo più efficiente delle risorse anche ambientali, nonché per migliorare il contesto imprenditoriale, soprattutto per le piccole medie imprese (PMI); al riguardo, come indicato dal Libro verde sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di appalti pubblici il settore deve essere riformato affrontando e risolvendo questioni strutturali o sistemiche, cogliendo l'opportunità offerta dalla riforma degli appalti comunitari per affrontare alcuni nodi sistemici della disciplina; questo è ancora più importante in un momento come l'attuale in cui esigenze di sostenibilità condizionano in maniera crescente le politiche di spesa;
nel nostro Paese la riduzione degli investimenti nel campo delle opere pubbliche ha visto tagli negli ultimi tre anni che hanno raggiunto il 34 per cento con conseguenze molto pesanti sul comparto dell'edilizia. Nessuna delle misure introdotte in questo articolo coglie la necessità di correggere, semplificare e rendere più trasparente il mercato delle opere pubbliche e dei servizi attorno al quale ruotano interessi e credibilità di imprese ed Istituzioni;
la scelta di inserire le modifiche al codice dell'appalto nell'articolo 4 del decreto in esame appaiono stridenti rispetto all'obiettivo di modifica organica e coerente della disciplina da attuarsi attraverso un ampio dibattito e mediante un disegno di legge ordinario; le misure previste, dal punto di vista economico, si concentrano prevalentemente sulla questione del controllo dei costi - sia con riferimento al controllo dei costi di partecipazione, sia con riferimento al controllo degli scostamenti dei costi finali rispetto alle previsioni contrattuali - senza tuttavia affrontare e risolvere le questioni centrali che sono alla base del non controllo dei costi e che riguardano, come è noto, la scelta della tipologia di progetto posta a base di gara; le disposizioni prevedono tagli orizzontali di spesa, in particolare, in materia di riserve, revisioni prezzi, varianti migliorative e compensazioni, alle quali vengono posti tetti ex lege. Tuttavia, le relazioni tecniche non forniscono alcun elemento in ordine all'effetto quantitativo atteso da tali misure. Anche lo stesso dossier del servizio studi della Camera sottolinea, al contrario, l'opportunità di disporre di una indicazione, sia pure di massima, della entità dei risparmi attesi dai tetti fissati nella legge;
dal punto di vista dei controlli e della trasparenza nel testo non è possibile riscontrare alcun continuum che è fondamentale costituire, tra i concetti di qualificazione, discrezionalità, responsabilità delle stazioni appaltanti e obblighi di trasparenza nelle procedure; la previsione della verifica dei controlli essenzialmente ex post sul possesso di requisiti di partecipazione alle gare da parte delle stazioni appaltanti, l'autocertificazione per la dimostrazione dei requisiti richiesti per l'esecuzione dei lavori pubblici, previste nel decreto legge, non sono controbilanciate da un sistema di controlli che per strumenti e risorse sia in grado di effettuare i necessari controlli e, quindi, di gestire con efficacia il proprio ruolo;
nel decreto manca totalmente una riflessione seria che indichi disposizioni chiare per una migliore qualità dei progetti, già nella fase preliminare, presupposto indispensabile per una accurata valutazione della loro fattibilità e favorire una maggiore qualificazione delle stazioni appaltanti, utilizzando tutti gli strumenti già a disposizione, con particolare riguardo alla promozione di forme di aggregazione della domanda attraverso una razionalizzazione delle funzioni amministrative delle stazioni appaltanti, nel rispetto delle autonomie dei singoli enti e

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tenendo conto dell'oggetto dell'appalto e della localizzazione territoriale dell'opera da realizzare, in modo da consentire alle stazioni appaltanti non strutturate di delegare le funzioni amministrative di committenti ad amministrazioni più organizzate, ovvero di esercitarle in forma associata;

le poche condivisibili misure di semplificazione e snellimento delle procedure sono associate a disposizioni che rischiano di produrre effetti opposti a quelli cui il presente decreto dovrebbe mirare. L'innalzamento delle soglie per l'affidamento degli appalti mediante procedura negoziata, ad esempio, particolarmente grave nel caso di lavori nel settore dei beni culturali, rischia di avere come conseguenza la contrazione del mercato, se non accompagnata da disposizioni che garantiscano una effettiva rotazione e pubblicità, per non parlare del fatto che tale innalzamento si applica anche ai servizi e alle forniture. I nuovi livelli di soglia escluderanno oltre il 90 per cento degli appalti dall'obbligo di gara senza che nel decreto siano previste misure che impediscano degenerazioni e interpretazioni di comodo. La norma assolutamente non condivisibile ed in contrasto con le norme europee rischia inoltre di penalizzare le nuove imprese che non potendo trovare nelle gare elemento di partecipazione faticheranno ad entrare nel mercato;
altro elemento che induce più di una perplessità sul provvedimento è l'innalzamento della soglia entro la quale è consentita l'esclusione automatica delle offerte anomale, come pure la limitazione alla possibilità di iscrivere riserve, il contenimento della spesa per le compensazioni in caso di variazioni dei prezzi dei materiali da costruzione e per le compensazioni territoriali, quest'ultima particolarmente inopportuna nel caso degli oneri delle mitigazioni decise in sede di valutazione d'impatto ambientale; tutte queste misure, se da un lato potrebbero comportare riduzioni dei costi per la pubblica amministrazione, non sembrano adeguate allo scopo di rilanciare il settore economico delle costruzioni, in particolare per quanto riguarda le piccole imprese, sulle quali si trasferirebbero gli oneri delle economie realizzate dalle stazioni appaltanti;
poche misure condivisibili, molte rischiose semplificazioni e apparenti riduzioni dei costi e una clamorosa occasione persa. Sebbene la sede, com'è stato sottolineato, non è quella propria per la riforma della legislazione sui lavori pubblici, si sarebbe potuto intervenire sulle vere criticità di tale disciplina: con interventi diretti ad agevolare le tante piccole amministrazioni che spesso non hanno strutture adeguate alla complessità delle procedure e delle valutazioni; con innovazioni mirate alla qualità delle progettazioni e quindi realmente incidenti sui costi dell'esecuzione; con misure di maggior impatto sull'ampliamento del mercato delle costruzioni. Più in generale, non è chiaro, come il decreto in commento si iscriva nel quadro del DEF e del PNR con riferimento alle altre iniziative ivi richiamate con finalità di sviluppo e crescita (innovazione, sostegno alle imprese e PMI, per citare solo le principali); non ultimo, in assenza di qualunque quantificazione sull'impatto delle misure, non è affatto chiaro come - a dispetto del titolo del provvedimento - il dl si iscriva nel quadro degli impegni assunti dall'Italia nel contesto del «semestre europeo»;
quanto all'articolo 5:
esso contiene norme che determinano una profonda revisione dell'ordinamento vigente in materia edilizia ed urbanistica che produce una estrema deregolamentazione della materia urbanistica ed una deresponsabilizzazione dei Comuni e Regioni;
come già denunciato dalle Regioni nel parere reso sul decreto alla Commissione infrastrutture, mobilità e governo del territorio, l'articolo 5 e, in particolare il cosiddetto «piano città», «presenta profili di violazione delle competenza costituzionalmente garantite delle Regioni - la materia urbanistica è concorrente - che

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rischia di generare confusione piuttosto che semplificare, per il sovrapporsi, anche dal punto di vista temporale, di provvedimenti statali non concertati rispetto a provvedimenti regionali;»
in particolare, l'intervento legislativo di urgenza previsto all'articolo 5 presenta profili di violazione delle competenze costituzionalmente garantite delle regioni e dei comuni e potrebbe generare un notevole contenzioso laddove il testo non ha solo un ruolo di indirizzo e di definizione dei principi ma entra invece inopportunamente nel «merito» di scelte e procedure inerenti la materia edilizia in forme e contenuti propri delle competenze comunali;
per quel che riguarda il cosiddetto «piano città», le norme del decreto sono immediatamente operative su tutto il territorio nazionale fatta salva l'approvazione entro 120 giorni di leggi regionali coerenti con il decreto; in caso di mancata iniziativa legislativa regionale intervengono in via sostitutiva; su tali aspetti il parere del Partito Democratico é profondamente contrario ritenendo che il testo proposto lede un principio costituzionale e limita le prerogative degli enti locali precludendo una seria applicazione dell'idea federalista;
l'introduzione del principio del «silenzio-assenso» da parte delle Amministrazioni comunali nel rilascio dei permessi di costruire, lungi dal costituire una semplificazione delle procedure amministrative, relega nei fatti i Comuni ad un ruolo notarile nel complesso percorso che conduce alla trasformazione fisica del territorio; se è pur vero che occorre ridurre e sveltire molti passaggi che oggi impacciano i procedimenti attuativi in edilizia con le disposizioni presenti nel testo i Comuni perdono ogni possibilità di verifica a monte anche delle più importanti trasformazioni che richiedono comunque attenzione e controllo;
inoltre va ricordato che oggi le banche e gli Istituti di Credito rilasciano con molta difficoltà finanziamenti, fidi bancari o mutui ad operatori che non presentino agli atti un regolare permesso di costruire; il procedimento del «silenzio- assenso» applicato al permesso di costruire rischia dunque di aprire lo spazio ad un rapporto con soggetti erogatori di credito e di risorse finanziarie non sempre trasparenti poiché in assenza di disponibilità degli Istituti di Credito riconosciuti agiscono spesso soggetti che operano nel campo della criminalità e del riciclaggio; ecco dunque che la norma del «silenzio-assenso»anziché rappresentare una forma di snellimento può rischiare di trasformarsi in una forma di deregolazione e di agibilità per la circolazione di capitali «opachi»;
le disposizioni contenute nel piano città con cui sono incentivate anche con premi volumetrici cambi di destinazione d'uso che privilegiano nettamente il settore residenziale aprono la strada ad uno spostamento del mercato immobiliare che tenderà a privilegiare la residenza - peraltro privata - e ad abbandonare l'interesse per le trasformazioni urbane indirizzate verso le attività produttive ed il terziario; in questo modo anziché favorire lo sviluppo - come dovrebbe essere negli obiettivi del decreto - si spingono le cose verso un carattere sempre più accentuato delle periferie urbane come dormitori, si espelle cittadinanza di ceto medio e popolare e si riducono spazi ed opportunità per favorire e modernizzare la rete delle attività terziarie e produttive finalizzate allo sviluppo ed alla crescita economica;
in tutto l'articolo 5 si usano sempre e solo i termini «cubatura» e «volumetria» che oltre ad essere desueti e quasi del tutto superati dalla disciplina e dalla terminologia urbanistica moderna appaiono estremamente rischiosi perché nei casi di cambio di destinazione d'uso e di collegati incentivi premiali consentono vigorosissime valorizzazioni immobiliari di superficie utile lorda, la quale rappresenta invece la categoria più esatta per calcolare i valori immobiliari reali;
la norma sulle demolizioni e ricostruzioni con premio volumetrico si configura

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inoltre come una sorta di «condono per ricchi» essendo ben chiaro che operazioni di tale importanza possono essere sostenute solo attraverso significativi investimenti finalizzati alla compravendita degli immobili ed alla loro integrale trasformazione e vale la pena segnalare che nel meccanismo premiale nulla resta alla collettività in termini di ricchezza materiale poiché i Comuni si limitano a fare da notai o a rilasciare i permessi ma non incamerano alcuna parte delle rendita urbana generata dalle trasformazioni prodotte con il meccanismo premiale;
anche per questa ultima motivazione nel decreto non c'è alcun riferimento né alcuna soluzione per il rilancio dell'edilizia residenziale sociale da tempo ferma al palo e che nemmeno il Piano Casa 1 ne il Piano Casa 2 hanno contribuito a far ripartire;
le disposizioni contenute nell'articolo 5 rischiano dunque di produrre gravi squilibri nello sviluppo del territorio, nell'economia del Paese, nella crescita delle città e delle periferie e di generare ancor più gravi ingiustizie sociali tra ricchi e meno ricchi oltre - come già ricordato - incidere profondamente e negativamente su principi costituzionali molto delicati;
il Partito Democratico esprime dunque parere contrario alla formulazione dell'articolo 5 e torna a sollecitare la Commissione tutta e la Presidenza stessa ad avviare con rapidità ed efficacia una discussione organica sul «Governo del Territorio» esaminando le proposte di legge presentate dai vari gruppi o quantomeno ad affrontare l'esame dei Testi presentati sulla materia delle perequazioni, compensazioni ed incentivazioni urbanistiche e sulla questione rilevante della riqualificazione delle aree urbane degradate;
e ancora, nel merito, quanto ai commi 11-27 dell'articolo 10;
il provvedimento in esame interviene nel settore dei servizi idrici attraverso l'istituzione dell'agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche (commi 11-27 dell'articolo 10) e con l'introduzione di una norma di interpretazione autentica dell'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, oggetto di richiesta di abrogazione da parte di uno dei quesiti della consultazione referendaria del 12 e 13 giugno prossimi;
la creazione di un nuovo soggetto - a cui si affidano, tra l'altro, i compiti di definire i livelli minimi di qualità del servizio idrico, di definire le componenti di costo della tariffa, di predisporre il metodo per la determinazione della tariffa, di approvare le tariffe, nonché poteri di vigilanza, sanzionatori e sostitutivi - sembra frutto di una frettolosa, quanto irrazionale, esigenza di intervenire su un quadro normativo confuso e farraginoso e che potrebbe subire una rilevante trasformazione in caso di successo dei referendum. Al di là della discutibile scelta di intervenire con decretazione d'urgenza in una materia sottoposta a referendum, le norme introdotte destano non poche perplessità sotto il profilo contenutistico. Non è sufficientemente chiara la portata del potere sanzionatorio attribuita all'agenzia a causa della vaghezza del riferimento alle violazioni sulla base delle quali assumerebbe efficacia il potere sanzionatorio, mentre l'ipotesi di sospensione o decadenza del servizio per i trasgressori sembra una mera dichiarazione di principio, stante la problematica attuabilità di una disposizione che sembra improbabile possa non compromettere la fruibilità del servizio. Appare discutibile l'esclusione della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dal procedimento per la predisposizione delle convenzioni di cui all'articolo 151 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sulla base della considerazione che, pur essendo la disciplina legislativa della materia affidata alla competenza esclusiva dello Stato, non va dimenticato che l'aspetto relativo all'attribuzione delle funzioni amministrative è regolato dall'articolo 118 della Costituzione che afferma i principi di sussidiarietà, differenziazione

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ed adeguatezza. L'attribuzione, all'istituenda agenzia, delle competenze in materia di definizione delle componenti di costo e di predisposizione del metodo tariffario sembra non essere adeguatamente coordinata con il quadro normativo previgente - frutto della direttiva 2000/60 e del suo recepimento con il decreto legislativo n. 152 del 2006 - e si ha il fondato timore che si possa dare vita ad incertezze applicative;
un ulteriore elemento critico riguarda l'ipotesi di conferire poteri sostitutivi all'agenzia di vigilanza sulle risorse idriche, senza tenere nell'adeguata considerazione né il quadro normativo attuale né alcuni importanti pronunciamenti giurisprudenziali, tra cui alcune importanti sentenze della Corte Costituzionale che hanno chiarito la necessità che l'esercizio di poteri sostitutivi debba essere previsto e disciplinato da una legge corredata dei necessari presupposti sostanziali e procedurali, debba riguardare esclusivamente il compimenti di atti o attività privi di discrezionalità sostanziale e che debba essere affidato ad un organo di governo regionale o comunque svolgersi sulla base di una sua indicazione e, infine, che debbano sussistere adeguate garanzie procedurali.
La composizione dell'agenzia e i meccanismi di nomina non sembrano rispondere alle finalità per cui l'agenzia viene istituita. Il numero dei componenti non sembra sufficiente per l'importanza del ruolo svolto dal nuovo organismo e qualche dubbio si pone sulla nomina del direttore generale - le cui mansioni sono squisitamente tecniche - per il quale, non solo la nomina avviene con atto del Governo, ma si esclude finanche l'applicazione del cosiddetto «spoil system».
Da ultimo si segnala l'inopportunità della norma interpretativa in merito al comma 8 dell'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, a seguito della quale è da considerarsi cessato il regime transitorio per la determinazione delle tariffe del servizio idrico di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge n. 79 del 1995 (cosiddetto regime CIPE). La formulazione della norma potrebbe recare non pochi problemi di effettiva applicabilità, in quanto il metodo normalizzato - di cui al comma 3 dell'articolo 13 della legge n. 36 del 1994, poi trasfuso nel codice dell'ambiente - potrà essere realisticamente applicato solamente a partire dai nuovi affidamenti;
Tutto ciò premesso e considerato esprime

PARERE CONTRARIO

Mariani, Margiotta, Braga, Morassut, Bratti, Benamati, Bocci, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Motta, Realacci, Viola.

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ALLEGATO 3

D.L. 70/2011 Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (C. 4357 Governo).

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA PRESENTATA DAL GRUPPO DEL L'ITALIA DEI VALORI

La Commissione Ambiente,
esaminato il disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 maggio 2011. n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (C. 4357);
considerato che:
il cosiddetto «decreto sviluppo» contiene una serie di norme eterogenee molte delle quali non hanno nemmeno i requisiti di necessità ed urgenza dato che per la loro attuazione si rinvia a norme attuative non immediate;
si può legittimamente dubitare che questo provvedimento abbia una qualche efficacia nel rilancio della crescita e della produttività del nostro sistema Paese, stante che si tratta di misure senza spesa ed essendo, perlopiù, altre le urgenze. Gli unici soldi «freschi» derivano da una sorte di condono riguardante la rivalutazione delle partecipazioni azionarie non quotate e degli immobili (per 240 milioni per l'anno 2012, e 120 milioni annui per il 2013 e il 2014);
il Governo ha annunciato un ulteriore provvedimento per il mese di giugno che dovrebbe contenere misure di contenimento dei conti pubblici;
per la crescita e il rilancio della nostra economia e dell'occupazione serve un insieme di riforme come quelle indicate dalla Risoluzione dell'Italia dei Valori presentata in occasione del dibattito sul Documento di Economia e Finanza per il 2012;
viceversa questo decreto interviene con 10 articoli e più di 300 commi (il tredicesimo intervento di finanza pubblica di questo governo negli ultimi tre anni) senza minimamente procedere sulla strada delle riforme. Anzi in alcuni casi complicando ancora il quadro burocratico e gli adempimenti amministrativi per le imprese;
è il caso degli appalti pubblici regolati già attualmente da oltre 600 articoli. Sarebbe opportuno sfoltirne la giungla normativa. L'articolo 4 del decreto-legge introduce modifiche di 36 disposizioni già in vigore, dieci nuove decorrenze a numerose norme del regolamento, e modifica altre 4 leggi sempre sugli appalti pubblici;
in compenso, si innalzano i limiti di importo che permettono di affidare gli appalti di lavoro mediante procedura negoziata. Un modo per favorire gli amici ed offrire il destro al dilagare della corruzione: infatti gli appalti saranno assegnati senza gara per opere pubbliche di importo fino a 1 milione di euro;
si introduce un pericoloso «silenzio-assenso» passati i 90 giorni (180 per città oltre i 100 mila abitanti) per i permessi a costruire in assenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali;
con l'istituzione dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, con compiti di regolazione del mercato nel settore delle acque pubbliche e di gestione del servizio pubblico locale idrico integrato, si tenta di proseguire nella politica di privatizzazione del settore;

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si prova poi ad aggirare le regole europee sulla concorrenza per quanto concerne le concessioni demaniali sulle spiagge introducendo il diritto di superficie sia pure ridotto - dopo le polemiche - da 90 a 20 anni;
si rafforzano i poteri dell'Esattore (Equitalia) disponendo che esso non può attendere più di tanto: il giudice tributario deve essere veloce ed anche se la pretesa dell'erario è manifestamente infondata, non può sospendere per più di 120 giorni la riscossione. Una norma ad alto rischio di incostituzionalità;
le stesse misure «per premiare il merito» scolastico (con un Fondo di 10 milioni) appaino risibili e viziate da un intento accentratore, stante anche i tagli apportate negli ultimi anni alla pubblica istruzione;
si cerca viceversa di bloccare i ricorsi per i precari della scuola con una norma di interpretazione autentica;
rilevato per gli aspetti di competenza della Commissione, che:
con l'articolo 4, si interviene principalmente, e per l'ennesima volta, a modificare il Codice appalti. L'obiettivo è ancora principalmente quello di semplificare, «sburocratizzare», e ridurre i costi, in particolare in fase di gara;
sempre alla ricerca di una semplificazione delle gare, al comma 2, si propongono aperture ancora più ampie alle procedure negoziate senza bando, che vengono estese per i lavori di importo fino a un milione di euro rispetto agli attuali 500 mila euro, e nel caso di lavori relativi ai beni culturali fino a 1,5 milioni triplicando l'attuale soglia di 500 mila euro, sapendo perfettamente che la procedura di gara di per sé non costituisce un rallentamento del procedimento, e l'elevazione di queste soglie finisce col sacrificare la necessaria concorrenza e trasparenza a tutto vantaggio della discrezionalità;
la stessa Confindustria, durante l'Audizione del 31 maggio scorso in Commissione bilancio, ha evidenziato «le forti perplessità circa l'aumento dell'importo da 500 mila a 1 milione entro il quale è possibile autorizzare la procedura negoziata senza pubblicazione preventiva del bando. Aumentare gli importi dei lavori per le procedure di aggiudicazione maggiormente discrezionali e a bassissimo (o quasi nullo) confronto competitivo non è una misura di semplificazione per le imprese»;
ricordiamo inoltre che a gennaio scorso, l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, aveva reso pubblici i risultati di una ricognizione sugli affidamenti a trattativa privata dei grandi comuni degli ultimi tre anni (2007-2010), da cui era emerso un quadro desolante: con più di 80.000 contratti per un valore di 61 milioni affidati senza gara. Da quando nel 2008 la soglia era stata innalzata a 500.000 euro per la trattativa privata vi era stato un incremento vertiginoso di lavori senza gara dove un lavoro su due era ormai affidato senza procedura competitiva. Il comune di Roma è stato tra i più solerti ad affidare senza gara con ben 42 bandi e un valore nel triennio di ben 248 milioni di euro. Non solo, in diversi casi i lavori sono stati frazionati artificiosamente proprio per rientrare sotto la soglia fissata per poter applicare la trattativa privata;
il Governo invece sceglie di proseguire una «corsa al rialzo» delle basi di gara degli appalti pubblici affidabili mediante procedura negoziata che potrebbe non avere limite;
nulla viene previsto e introdotto ai fini di una reale trasparenza nella assegnazione degli appalti pubblici e di contrasto ai troppo diffusi fenomeni di corruzione in questo settore, a cominciare dal mettere mano ai poteri e alle competenze della Protezione civile, che soprattutto in questi ultimi anni si è trasformata in un formidabile sistema di potere troppo spesso sottratto a ogni controllo e con la possibilità quasi illimitata di operare in deroga, principalmente con lo strumento delle ordinanze, alla normativa vigente,

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nonché al controllo da parte dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, e al preventivo controllo di legittimità della Corte dei conti;
sempre l'articolo 4 del decreto in esame, prevede una drastica riduzione del tetto delle risorse da assegnare alle opere compensative dell'impatto territoriale e sociale, che scende infatti dal 5 per cento al 2 per cento del costo totale dell'opera pubblica. In questo tetto devono peraltro rientrare anche le opere di mitigazione ambientale richieste dalla commissione per la Valutazione dell'impatto ambientale (VIA);
la suddetta disposizione quindi prevede di fatto una doppia «penalizzazione», la prima è la riduzione rispetto alla normativa vigente di ben il 60 per cento delle risorse da destinare alle opere compensative; la seconda è che in questo taglio debbano rientrare anche le opere richieste dalla Commissione VIA, finora escluse dal computo;
l'articolo 5, concernente le costruzioni private, è ancora di più indicativo di come si sia di fronte a un decreto per lo sviluppo «insostenibile»;
anche questo articolo con la finalità illusoria di rilanciare l'edilizia, non fa altro che allentare pericolosamente i vincoli, e aumentare le semplificazioni per le autorizzazioni a costruire, col rischio più che concreto di produrre ulteriori aggressioni al nostro territorio;
norme che se non adeguatamente controbilanciate mettono a repentaglio la storia urbana del nostro Paese e il suo paesaggio, puntando in direzione opposta a quella della sostenibilità, della riqualificazione edilizia, dell'utilizzo accorto del nostro territorio, della realizzazione di quartieri vivibili;
si introduce il silenzio-assenso per il rilascio del permesso di costruire, in sostituzione del silenzio-rifiuto che finora regolava l'autorizzazione del permesso a costruire;
viene estesa la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) anche all'edilizia, che va a sostituire l'attuale DIA. In tal modo si consente di attivare il cantiere il giorno stesso della sua presentazione, e non più dopo 30 giorni come previsto dalla DIA;
in un territorio già fortemente compromesso come il nostro, e con un'urbanizzazione sempre più incontrollata, il poter iniziare da subito un'attività edile (come prevede la SCIA), finirà per avere modesti vantaggi per il privato, e molti più rischi e «controindicazioni» per la collettività;
come è ben evidente, nell'impostazione del decreto-legge al nostro esame l'esigenza di accelerare gli interventi, prevale sulle cautele ispirate al forte rischio di nuovi ulteriori abusi edilizi o di eccessiva deresponsabilizzazione dei funzionari comunali;
sempre con l'articolo 5, il Governo ci riprova con il «Piano casa». Tornano con forza nella disciplina statale, la possibilità di realizzare volumetrie aggiuntive in deroga al piano regolatore anche attraverso la demolizione e ricostruzione, il mutamento delle destinazioni d'uso e la modifica della sagoma degli edifici esistenti. Se entro 120 giorni le regioni non approveranno proprie leggi in linea con questo decreto, le suddette disposizioni entreranno automaticamente in vigore;
inoltre, sempre in attesa dell'approvazione delle leggi regionali, la realizzazione dei suddetti interventi (volumetria aggiuntiva, delocalizzazione volumetrie in aree diverse, cambio destinazione d'uso, modifiche delle sagome), potrà avvenire in deroga agli strumenti urbanistici locali, anche per il mutamento della destinazione d'uso, e inoltre sarà sufficiente l'approvazione della Giunta comunale al posto del Consiglio comunale. Quest'ultima rappresenta una modifica dell'attuale normativa abbastanza grave. Il far prendere la decisione dalla Giunta piuttosto che dal Consiglio comunale, riduce infatti i processi di partecipazione e controllo da parte dei consigli comunali;

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insomma un complesso di norme che ha già messo in allarme le regioni, che hanno chiesto un tavolo dal governo per valutarne l'impatto e il rispetto delle proprie prerogative in materia urbanistica;
in definitiva, gli effetti di tutte queste disposizioni sul rilancio del settore dell'edilizia saranno assolutamente modesti a fronte di conseguenze pesanti sulla qualità architettonica del costruito, con edifici scollegati dal territorio e con periferie sempre più degradate,
esprime

PARERE CONTRARIO.

Piffari.

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ALLEGATO 4

5-04839 Brandolini: Interventi urgenti per la messa in sicurezza della superstrada E/45.

TESTO DELLA RISPOSTA

In merito alla problematica evidenziata faccio presente che, nell'ultimo anno, sono proseguiti i lavori nei tre principali cantieri del tratta romagnolo per oltre 30 milioni di euro, già finanziati.
L'intervento per la ricostruzione delle solette del viadotto «Case Bruciate», a Bagno di Romagna, è stato completato consentendo di eliminare definitivamente la deviazione di 5 km sulla viabilità provinciale, in direzione Roma.
Sono stati completati i lavori di ampliamento e ammodernamento della carreggiata sud tra Bagno di Romagna e San Piero in Bagno e avviati gli stessi interventi in carreggiata nord.
Per quanto riguarda il lavoro più delicato, quello del citato viadotto Fornello a Verghereto, è stata completata la demolizione della carreggiata sud del viadotto e ricostruita una delle tre pile e avviate le restanti operazioni necessarie per la ricostruzione del viadotto con l'impalcato in acciaio.
Il senso unico alternato regolato da semaforo, tra Canili e Verghereto, reso necessario proprio dal cantiere del viadotto Fornello, verrà eliminato non appena sarà riaperta la carreggiata sud, presumibilmente entro la fine dell'autunno. In tal modo non sarà più necessaria nemmeno l'eventuale deviazione sulla viabilità esterna, in direzione nord.
In corrispondenza del cantiere tra Bagno di Romagna e San Piero in Bagno, a fine luglio sarà completata la carreggiata nord, fatta eccezione per i giunti di dilatazione degli impalcati che saranno realizzati successivamente in presenza di traffico. In occasione dell'esodo estivo i disagi relativi allo scambio di carreggiata saranno rimossi e le lavorazioni residue, su un tratto di circa 100 metri in carreggiata sud, saranno rinviate a settembre.
Per la E/45 il problema del traffico e dei mezzi pesanti, con carichi non regolari, rappresenta un fattore gravoso per l'arteria. Nel tratto appenninico va considerato che l'infrastruttura è sottoposta ad eccessivi fenomeni di ammaloramento dovuti alle escursioni termiche che si registrano nel corso dell'anno nonché all'azione chimica dei cloruri di sodio e di calcio impiegati, in grandi quantità, nel corso dei mesi invernali per assicurare la percorribilità della strada, in particolare sui viadotti.
La presenza dei detti cantieri, inoltre, richiede inevitabilmente dei restringimenti di carreggiata che convogliano l'intero flusso di traffico su una superficie minore che, di conseguenza, viene maggiormente sollecitata oltre a rendere più difficile l'esecuzione di interventi di manutenzione del piano viabile in presenza di traffico.
L'aspetto principale del problema è da ricondurre al fatto che la pavimentazione stradale eseguita all'epoca di costruzione della strada è ormai inadeguata per i volumi di traffico attuale e per la percentuale di traffico pesante.
Per i restanti tratti si è operato con le risorse disponibili effettuando interventi «tampone» che non determinano, chiaramente, un allungamento della vita utile della pavimentazione.
Fatta questa doverosa precisazione evidenzio che, recentemente, la Corte dei conti ha approvato il Contratto di Programma ANAS relativo alla Manutenzione

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Straordinaria 2010 e che, quindi, si potrà procedere sulla SS 3-bis con l'affidamento dei lavori di rafforzamento e ripristino della sovrastruttura stradale dal km 216+000 al km 250+000 in tratti saltuari - tra i Comuni di Cesena e Ravenna -, il cui bando di gara era stato pubblicato nel settembre 2010.
I lavori dovrebbero iniziare nei prossimi giorni.
In considerazione del ritardo sul Programma di appaltabilità dello scorso anno, l'Ufficio ANAS compartimentale ha deciso di utilizzare le risorse programmate per la manutenzione straordinaria delle opere idrauliche, eseguendo interventi localizzati sulle pavimentazioni, la cui quota sulla SS 3-bis ammonta a circa euro 700.000, con esecuzione prevedibile tra ottobre e novembre 2011.
Ulteriori interventi sono stati programmati entro l'anno per un importo di 4 milioni di euro e riguarderanno il rifacimento delle pavimentazioni nei tratti più ammalorati dell'arteria.
Tengo a far rilevare come la trasformazione della E45 in autostrada è un grande progetto di respiro nazionale e internazionale, di valenza strategica, probabilmente il più importante in Italia dai tempi dell'Autosole, per il suo valore trasportistico ed economico. Tale opera - realizzabile grazie al project financing che consentirà di contenere fortemente l'impegno pubblico consentirà non solo di collegare vaste aree del centro e del sud tirrenico con il Nord-Est del Paese, ma anche di interconnettersi con il corridoio transeuropeo n. 5 «Lisbona-Kiev».
I tempi di realizzazione di un'opera così importante, che coinvolge 5 regioni, 11 province e 48 comuni, non saranno brevi; per tale motivo l'ANAS ha già programmato interventi di manutenzione e ammodernamento dell'attuale infrastruttura.
Per quando riguarda il progetto relativo ai corridoio Orte-Mestre, citato dall'onorevole interrogante, si informa che è in corso la procedura V.I.A. con l'approvazione del progetto preliminare, presentato dal promotore nel giugno 2003, e successivamente aggiornato nel corso del 2007 per recepire le richieste avanzate dal Ministero dell'ambiente in relazione ai costi di investimento e all'importo dei contributi pubblici previsti.
In data 21 ottobre 2010, la Commissione Tecnica di Verifica dell'impatto Ambientale - VIA e VAS, ha emesso il parere favorevole, con prescrizioni, al progetto preliminare presentato dal Promotore e, si è ora in attesa dell'assenso anche da parte del Ministero per i beni e le attività culturali.
Il Ministero che rappresento potrà, pertanto, in tempi brevi, predisporre la propria istruttoria per la presentazione del progetto preliminare e della proposta del Promotore all'approvazione del CIPE e, procedere alla pubblicazione del bando di gara per l'individuazione del concessionario.

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ALLEGATO 5

7-00414 Benamati: In materia di isolamento sismico delle costruzioni civili e industriali.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

La VIII Commissione,
premesso che:
una costruzione antisismica progettata secondo tecniche tradizionali, ma con moderni criteri, deve soddisfare due requisiti fondamentali: (1) non deve crollare sotto l'azione di terremoti violenti; (2) non deve subire danni significativi per effetto di terremoti di bassa-media intensità;
il primo requisito ha implicazioni molto importanti, ovvero presuppone l'accettazione di danni anche gravi nella costruzione, a condizione, però, che la stessa non crolli, minimizzando così, i danni alle persone. Il secondo requisito è rilevante in termini economici, perché serve a ridurre i costi di riparazione a seguito di terremoti che possono colpire la costruzione durante la sua vita. Nell'ipotesi che le costruzioni fossero tutte realizzate in accordo con i suddetti moderni criteri antisismici, comunque, se si verificasse un terremoto violento (ad esempio, in Italia, simile a quelli del Friuli del 1976 e Campano-Lucano del 1980 ed anche quello recente dell'Abruzzo del 2009), esso causerebbe un numero limitato di vittime ma sicuramente ingenti danni economici e sociali;
si renderebbero necessari, infatti, provvedimenti d'evacuazione di lungo periodo, per permettere la riparazione dei danni e la messa in campo di alloggi provvisori con conseguenze economiche e sociali significative;
dunque, sebbene le costruzioni tradizionali progettate con moderni criteri antisismici possano condurre a significativi miglioramenti, è evidente come non si possano eliminare del tutto gli effetti del sisma;
si comprende, quindi, perché l'attenzione di molti ricercatori e dell'industria si sia concentrata, negli ultimi 30 anni, sulla messa a punto di tecnologie innovative per la riduzione degli effetti dei terremoti. Da un lato l'obiettivo è stato quello di superare le limitazioni delle costruzioni tradizionali, dall'altro, si sono voluti rendere più semplici ed efficaci, nonché più economici, gli interventi di miglioramento ed adeguamento sismico delle strutture esistenti;
grazie a tali attività di ricerca e sviluppo, per la progettazione antisismica sono attualmente disponibili sistemi e dispositivi in grado di accrescere considerevolmente la protezione delle costruzioni e, quindi, di garantire un livello di sicurezza assai più elevato alla popolazione e l'assenza di danni significativi nel caso di terremoti anche molto violenti, rispetto a quanto è possibile ottenere adottando l'approccio progettuale tradizionale;
i sistemi antisismici più efficaci sono quelli d'isolamento sismico, tecnica che, appunto, si pone l'obiettivo di «isolare» la costruzione dal sisma. Poiché l'energia sismica è trasmessa dal terreno alla struttura attraverso le sue fondazioni, il principio generale è di «disconnettere» la costruzione dal terreno. Più precisamente, con l'isolamento sismico si cerca di disaccoppiare il movimento della costruzione da quello del terreno, perlomeno in direzione orizzontale, «filtrando» cioè le

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componenti orizzontali del terremoto, che sono le più pericolose. Ciò è effettuato mediante l'inserimento (usualmente alla base od in corrispondenza del piano più basso) di dispositivi, detti isolatori, orizzontalmente estremamente flessibili (per lo più in gomma armata internamente con lamine d'acciaio) e/o a scorrimento od anche a rotolamento. Pertanto, al di sopra gli isolatori, la struttura si muove, lentamente, come un «corpo rigido» nel piano orizzontale, e, quindi, senza danneggiamento non solo delle parti strutturali, ma neppure di quelle non strutturali. Il movimento molto lento, inoltre, tende a ridurre l'effetto panico, che può essere pericoloso in edifici affollati (in primis nelle scuole). Sebbene la funzione principale del sistema d'isolamento sia quella di filtro dell'energia sismica, esso deve però possedere anche una sufficiente capacità dissipativa, in modo da limitare lo spostamento di progetto a valori accettabili;
oltre ad essere caratterizzato dalle funzioni principale e secondaria summenzionate, un sistema d'isolamento adeguato deve possedere: una buona capacità ricentrante (cioè di riportare la struttura nella posizione iniziale una volta terminato il terremoto), una vita utile sufficientemente lunga (almeno pari a quella delle usuali costruzioni, sebbene debba essere anche garantita la sostituibilità degli isolatori), rigidezza crescente al diminuire del livello dell'eccitazione sismica (elevata per quelle di modesta entità, così da impedire continue vibrazioni, ad esempio, sotto l'azione del vento), rigidezza e smorzamento poco sensibili ad effetti quali le variazioni di temperatura, l'invecchiamento, ed altri;
esistono oggi in commercio diversi tipi di isolatori per far fronte a diverse condizioni di lavoro. I più noti sono gli isolatori in gomma ma esistono anche isolatori a scorrimento a «superficie piana» (Sliding Device o SD, usualmente costituiti da superfici piane di acciaio sovrapposte a superfici, pure piane, di teflon), «a pendolo scorrevole» ed «a rotolamento»;
i comuni isolatori in gomma (i quali forniscono la capacità ricentrante) sono da qualche anno accoppiati ad isolatori SD per sorreggere parti di edifici che non devono sostenere carichi verticali rilevanti e per contribuire a minimizzare gli effetti torsionali (in tal modo si possono isolare in modo economico, ad esempio, anche edifici leggeri o con forti asimmetrie in pianta);
l'efficacia di questi sistemi costituiti da dispositivi in gomma ed SD è stata dimostrata non solo da oltre 30 anni di dettagliate ricerche numerico-sperimentali in vari paesi (con Italia in prima linea), ma anche dall'ottimo comportamento che tutti gli edifici da essi protetti hanno dimostrato durante violenti terremoti, a partire da quelli che colpirono Los Angeles e Kobe nel 1994 e 1995, fino agli eventi più recenti: quello del Sichuan, in Cina, nel 2008 e quelli del Cile e della Nuova Zelanda di quest'anno;
più di recente l'attenzione nella ricerca e sviluppo si è appuntata sugli isolatori «a pendolo scorrevole» la cui funzionalità risulta meno dipendente dalla massa e dalla asimmetria delle strutture sovrastanti consentendo quindi maggiore flessibilità nelle realizzazioni, il principio di funzionamento di questi dispositivi si basa sullo scorrimento di un elemento di materiale speciale a superfici convesse sulle superfici concave di elementi in acciaio. A questa famiglia appartiene il cosiddetto Friction Pendulum System (FPS), realizzato circa 25 anni fa, e le sue recenti evoluzioni, che utilizzano materiali «a scorrimento» più «teneri» dello speciale tessuto che caratterizza il Friction Pendulum System;
si tratta del cosiddetto Sliding Isolation Pendulum (SIP) di produzione tedesca, che fa uso di un particolare materiale «a scorrimento» polietilenico, ed i cosiddetti isolatori Curved Sliding Surface (CSS) ora sviluppati e prodotti in Italia. Il nuovo materiale «a scorrimento» degli isolatori SIP è stato sviluppato pochi anni fa per evitare che la diversa deformazione

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degli elementi in acciaio e di quello a scorrimento sotto effetto del peso proprio, portasse, dopo qualche tempo, a concentrazioni del carico verticale sulla superficie in acciaio, con conseguente notevole aumento del valore del coefficiente di attrito di primo distacco e, quindi, notevole perdita di efficacia dell'isolatore. Gli isolatori «a pendolo scorrevole», oltre a filtrare l'energia sismica, possiedono quindi una sufficiente capacità dissipativa (grazie all'attrito) e, se ben progettati e mantenuti nelle condizioni di progetto, sono ricentranti (grazie alla curvatura degli elementi che li costituiscono);
si deve, però, osservare che per il loro corretto funzionamento è molto importante che il materiale a scorrimento non subisca abrasioni o danneggiamenti né in fase iniziale, né durante la sua vita e sia adeguatamente protetto da tutto ciò che, come polvere o umidità, può modificare il valore del coefficiente d'attrito;
per quanto attiene all'uso dei dispositivi di isolamento la normativa europea prevede per gli isolatori sismici (utilizzabili nell'UE) il possesso del marchio CE (come è richiesto per quelli in gomma o a scorrimento acciaio-teflon), ovvero aver ottenuto, per i nuovi materiali utilizzati, l'European Technical Approval o ETA (come ad esempio è richiesto per quelli a scorrimento che utilizzino materiali diversi dal teflon). Tale normativa, già da tempo in vigore per gli appoggi, è entrata in vigore all'inizio di agosto di quest'anno anche per gli isolatori, per i quali viene previsto un anno di transizione nell'applicazione;
in questa fase in Italia è necessario che gli isolatori, oltre ad essere stati debitamente qualificati, siano omologati dal Consiglio superiore dei lavori pubblici (CSLLPP);
va però sottolineato che per l'ottenimento del certificato di omologazione da parte del CSLLPP sono richiesti studi appropriati e sperimentazione sui nuovi materiali. Quanto alla qualificazione, essa include anche sperimentazione sugli isolatori, secondo quanto previsto dalle norme. In questa ottica vi è però da rilevare che le norme, sia italiane che europee, sono state «pensate» riferendosi ai classici sistemi d'isolamento che erano stati sviluppati ed installati in Europa, cioè a quelli costituiti da isolatori in gomma e SD. Tali norme, pertanto, attualmente richiedono l'effettuazione di prove dinamiche solo «monodirezionali» con carico verticale (simulante il peso della sovrastruttura) costante. Il moto orizzontale è applicato agli isolatori solo in una direzione alla volta. Inoltre, non è richiesta l'applicazione di andamenti temporali di terremoti reali. Molti esperti, però, ritengono questo insufficiente. Ad esempio l'esperienza acquisita presso i laboratori dell'Università della California a San Diego (dove è in funzione una delle due sole attrezzature che, a livello mondiale, sono in grado di effettuare prove dinamiche multidirezionali su dispositivi antisismici in grande scala) sembra indicare, per diversi tipi di isolatori «a pendolo scorrevole», la necessità di qualificare questi dispositivi utilizzando prototipi in scala piena e sottoponendo questi anche a prove dinamiche quantomeno «bidirezionali» (cioè con ambedue le componenti orizzontali del terremoto applicate contemporaneamente) e con riproduzione di andamenti temporali di terremoti reali;
per la progettazione di strutture con isolamento sismico, la normativa applicata nei vari Paesi segue schematicamente due approcci diversi (in funzione della percezione che si ha del rischio sismico in tali Paesi):
a) quello di progettare l'opera senza tener conto della riduzione delle forze sismiche agenti sulla sovrastruttura e, quindi, sulle fondazioni, operata dall'isolamento sismico;
b) quello di tener conto, almeno parzialmente, di tali benefici;
con il primo approccio (utilizzato in Giappone, Stati Uniti d'America, Cile ed altro) l'isolamento comporta ovviamente un costo aggiuntivo. Con il secondo approccio

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(utilizzato in Italia, in Cina ed in altri paesi) si permette una limitazione degli extracosti di costruzione, garantendo al contempo un livello di sicurezza pari a quello raggiungibile col primo approccio in condizione di corretto funzionamento degli isolatori;
in Italia, per garantire la sicurezza di una struttura con isolamento sismico, è dunque indispensabile che:
a) gli isolatori siano correttamente scelti (quanto alla loro tipologia, in funzione delle caratteristiche d'uso dell'opera da proteggere e di quelle dei terremoti attesi, in particolare della prevedibilità o meno di forti componenti verticali), qualificati, prodotti, installati, protetti dagli agenti esterni e soggetti alle indispensabili ispezioni e manutenzioni;
b) le strutture isolate di nuova costruzione e gli interventi di adeguamento o miglioramento sismico di strutture esistenti con l'isolamento siano correttamente progettate e realizzate, dedicando particolare attenzione ai giunti strutturali, (che devono permettere lo spostamento rigido della sovrastruttura isolata fino allo spostamento massimo di progetto), ai cosiddetti «elementi di interfaccia» , cioè a quegli elementi che attraversano i giunti strutturali e devono, quindi, sopportare indenni lo spostamento suddetto (scale, ascensori, tubazioni, in particolare quelle del gas, antincendio od altre rilevanti ai fini della sicurezza) e, nel caso di interventi su edifici esistenti, al taglio dei pilastri e delle pareti di sostegno ed agli irrobustimenti degli stessi, sopra e sotto gli isolatori, al fine di garantire una rigidezza sufficiente per la corretta uniforme trasmissione delle azioni sismiche;
c) le strutture isolate siano mantenute nelle condizioni previste a progetto per l'intera loro vita utile;
il controllo ultimo che le condizioni suddette siano rispettate è affidato, in Italia, al collaudatore statico in corso d'opera e alle sue eventuali prescrizioni sui comportamenti da tenere durante la vita utile dell'opera (che, peraltro, non sono ancora formalmente richieste). Se tali condizioni non fossero rispettate, una struttura isolata potrebbe risultare meno sicura di una fondata convenzionalmente;
per quanto riguarda le azioni sismiche di progetto trasmesse dal terreno alla costruzione (il cosiddetto «input sismico»), la normativa vigente in Italia si basa sulla loro determinazione attraverso il «metodo probabilistico». Tale metodo, però, sembrerebbe essersi dimostrato poco affidabile in numerosi recenti terremoti (come, ad esempio quello del Sichuan del 2008), perché privo di base fisica e perché tende a scartare eventi rari. Per porre rimedio a ciò sono stati per questo messi a punto (anche in Italia, nell'ambito di collaborazioni internazionali dell'università di Trieste) metodi deterministici, che invece si basano su una modellazione fisica della sorgente e della trasmissione delle onde nel terreno. Per le strutture isolate sismicamente, inoltre, i metodi deterministici hanno il vantaggio di fornire direttamente gli spostamenti del terreno. In Italia, contrariamente a quanto avviene in alcuni altri paesi (ad esempio la California), i metodi deterministici oggi non sono ancora utilizzati per la determinazione della pericolosità sismica, nonostante essi possano essere considerati complementari a quelli probabilistici;
per quanto riguarda la numerosità dei sistemi e dispositivi antisismici, ad oggi sono già stati applicati ad oltre 10.000 opere (edifici strategici, pubblici e residenziali, ponti e viadotti, impianti industriali, anche a rischio d'incidente rilevante, edifici monumentali e singoli capolavori), sia di nuova costruzione che riadeguate, ubicate in oltre 30 Paesi;
quanto al numero complessivo delle applicazioni, l'Italia è attualmente al quinto posto, a livello mondiale, dopo il Giappone, gli Stati Uniti d'America, la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa, quindi al primo posto nell'Unione europea. L'Italia sale poi al quarto posto (dopo il Giappone, la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione

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Russa, ma prima degli Stati Uniti d'America) considerando i soli edifici isolati sismicamente;
l'Italia, dove ora si contano circa 300 edifici isolati sismicamente ed oltre 250 ponti e viadotti protetti da sistemi e dispositivi antisismici, vanta, infatti, una lunga tradizione non solo nelle attività di ricerca e sviluppo dei sistemi e dei dispositivi suddetti, ma anche nella loro applicazione, avendo iniziato ad utilizzarli nel 1975 ai ponti ed ai viadotti e nel 1981 agli edifici, a seguito del terremoto campano-lucano del 1980 e quattro anni prima del Giappone e degli Stati Uniti d'America. L'industria manifatturiera italiana ha applicato i propri dispositivi antisismici non solo in Italia, ma anche in numerosi altri Paesi, sia europei che extraeuropei;
il numero delle applicazioni italiane sarebbe certamente molto maggiore se non si fosse assistito ad una lunga stasi dovuta all'assenza di una normativa adeguata e ad un iter approvativo lungo ed estremamente complesso ed incerto;
le applicazioni sono riprese in Italia dopo l'entrata in vigore dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri N. 3274 del 2003 (OPCM 3274/2003), che ha abolito l'obbligo di sottoporre i progetti delle costruzioni protette dai sistemi e dai dispositivi antisismici al vaglio del CSLLPP e, per incentivare l'utilizzazione dell'isolamento sismico, ha permesso di tenere parzialmente conto, nel progetto, della drastica riduzione delle forze sismiche agenti sulla struttura e (di conseguenza) sulle fondazioni che l'uso di tale tecnica produce;
data l'elevata percentuale dell'edificato italiano che non è in grado di sopportare le azioni sismiche alle quali potrebbe trovarsi soggetto, l'isolamento sismico offre, in Italia, ottime prospettive di una ancor più vasta applicazione, in quanto può essere agevolmente applicato ad edifici già esistenti. In considerazione dell'utilizzazione ancora poco comune dell'isolamento sismico in Italia, l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3274/2003 ha sottolineato l'obbligo del collaudo in corso d'opera delle strutture protette con tale tecnica ed ha previsto che tale incarico sia affidato ad un esperto del settore;
nella normativa successiva, però, pur permanendo l'obbligo del collaudo in corso d'opera, è stato eliminato quello che il relativo incarico debba essere affidato ad un esperto del settore;
a seguito del terremoto del Molise e della Puglia del 2002 e, soprattutto di quello dell'Abruzzo del 2009, vi è ora una massiccia richiesta d'isolamento sismico. Non essendo però tale tecnica ancora d'uso comune, molte imprese di costruzione, numerosi direttori dei lavori ed anche parecchi progettisti ne hanno scarsa conoscenza e, pertanto, il collaudatore in corso d'opera assume un ruolo di particolare rilevanza;
appare opportuno ed urgente porre in essere una serie di misure normative e di interventi tesi ad affrontare ed a mitigare tutti i problemi più sopra indicati ed in specifico a:
a) ripristinare l'obbligo che, per le strutture isolate, il collaudo in corso d'opera sia effettuato da parte di esperti del settore;
b) prevedere che il collaudatore in corso d'opera di una struttura isolata inserisca nel certificato di collaudo anche prescrizioni e raccomandazioni, atte a garantire che l'opera resti nelle condizioni di sicurezza sismica definite a progetto, per la sua intera vita utile;
c) prevedere che, per la valutazione dei dati di pericolosità sismica, si affianchi al metodo probabilistico quello deterministico e, comunque, che il progettista di strutture isolate sismicamente faccia riferimento anche ai dati ottenuti con quest'ultimo metodo per determinare lo spostamento massimo di progetto degli isolatori;
d) prevedere che, per la qualificazione sperimentale di nuove tipologie di

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isolatori, si utilizzino anche prototipi in scala piena e si sottopongano questi anche a prove dinamiche quantomeno «bidirezionali» (cioè con ambedue le componenti orizzontali dell'andamento temporale del terremoto applicate contemporaneamente) e con riproduzione di andamenti temporali corrispondenti a terremoti reali;
e) prevedere che, nel caso di isolatori il cui comportamento può essere influenzato anche dalla componente verticale del terremoto e soprattutto quando tali isolatori debbano essere installati in zone caratterizzate da un elevato valore della componente suddetta, siano effettuate anche prove sismiche «tridirezionali» (cioè con anche la componente verticale dell'andamento temporale di eventi reali applicata simultaneamente a quelle relative alle due orizzontali),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative atte a superare le problematiche evidenziate nel settore valutando la possibilità di introdurre le previsioni riportate in premessa.
(8-00124)
«Benamati, Ginoble, Alessandri».

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ALLEGATO 6

5-04732 Tommaso Foti: Erogazione del contributo spettante ai comuni che ospitano siti nucleari.

TESTO DELLA RISPOSTA

In merito a quanto indicato nell'interrogazione n. 5-04732 presentata dall'onorevole Foti, riguardante le misure di compensazione territoriale, relative agli anni 2008 e 2009, in favore dei siti che ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile nucleare, si rappresenta quanto segue.
Il Ministero dell'ambiente ha completato l'attività istruttoria di propria competenza: in particolare, l'ISPRA ha provveduto alla elaborazione delle quote di ripartizione delle misure compensative, così come previste ai sensi dell'articolo 4, comma 1-bis, della legge n. 368 del 2003, basate sull'inventario radiometrico presente nei siti nucleari italiani e sulle valutazioni della relativa pericolosità, integrate, prevedendone l'estensione anche ai comuni confinanti, come previsto dalla legge n. 13 del 2009. Ciò ha comportando una rielaborazione delle proposte relative al 2008.
I dati dell'ISPRA riferiti all'anno 2009 sono stati comunicati il 29 settembre 2010 e quelli relativi al 2008 il 22 ottobre 2010. I relativi decreti sono stati trasmessi al CIPE per le valutazioni di competenza rispettivamente in data 24 novembre 2010 (annualità 2009) e 14 febbraio 2011 (annualità 2008).
Attualmente, risulta che la ragioneria generale dello Stato stia effettuando le opportune verifiche contabili con la cassa conguaglio per il settore elettrico al fine di determinare le risorse disponibili.
Una volta verificata la completezza della documentazione e avuta la pronuncia del CIPE. le risorse saranno assegnate ai territori interessati.

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ALLEGATO 7

7-00549 Viola e 7-00575 Guido Dussin: Iniziative urgenti per la realizzazione di interventi di messa in sicurezza dal rischio idrogeologico di territori ubicati nelle regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia.

TESTO UNIFICATO

L'VIII Commissione,
premesso che:
nell'ambito dei rischi geologici che caratterizzano il nostro Paese, uno di quelli che comporta un maggior impatto socio-economico è il rischio geologico-idraulico. Con questo termine si fa riferimento al rischio derivante dal verificarsi di eventi meteorici estremi che inducono a tipologie di dissesto tra loro strettamente interconnesse, quali frane ed esondazioni;
nel nostro Paese il dissesto idrogeologico è un fenomeno sempre più ricorrente, legato alla particolare conformazione geologica del territorio, alla fragile e mutevole natura dei suoli ed all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme; fenomeni come i processi erosivi del suolo, le alluvioni, le esondazioni, gli arretramenti delle rive, le frane, le subsidenze, i terremoti comportano perdite di vite umane e ingenti danni materiali e ambientali; l'allentarsi del presidio e della ordinaria manutenzione umana, unitamente alla pressione antropica sul territorio, hanno accelerato o innescato tali processi naturali oppure hanno trasformato il territorio, rendendolo vulnerabile a processi destabilizzanti;
la pericolosità e i danni diffusi si manifestano, peraltro, anche a seguito di eventi non particolarmente intensi ma localizzati in aree fortemente urbanizzate e vulnerabili le cui cause sono, fra l'altro, da imputare alla inadeguatezza del reticolo idraulico urbano e secondario nonché ad uno sviluppo urbanistico impetuoso che, in sinergia con la contrazione complessiva del presidio agricolo, aumentano consistentemente il rischio idraulico;
la situazione di rischio idrogeologico del territorio italiano è nota e conclamata. Uno studio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare evidenzia che il 9,8 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e che sono 6.633 i comuni interessati pari all'81,9 per cento dei comuni italiani. In particolare, il 24,9 per cento dei comuni è interessato da aree a rischio frana, il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione e il 38,4 per cento da aree a rischio sia di frana che di alluvione. La superficie nazionale, classificata a potenziale rischio idrogeologico più alto, è pari a 21.551,3 chilometri quadrati (7,1 per cento del totale nazionale) suddivisa in 13.760 chilometri quadrati di aree franabili e 7.791 chilometri quadrati di aree alluvionabili; le aree a potenziale rischio di valanga ammontano a 1.544 chilometri quadrati, accorpate a quelle di frana; almeno il 60 per cento dei comuni italiani è a rischio idrogeologico molto elevato;
le aree a criticità idrogeologica sono pari al 9,8 per cento del territorio italiano; la superficie nazionale, classificata a potenziale rischio idrogeologico più alto, è pari a 21.551,3 chilometri quadrati (7,1 per cento del totale nazionale) suddivisa in 13.760 chilometri quadrati di aree franabili e 7.791 chilometri quadrati di aree alluvionabili; le aree a potenziale rischio di valanga ammontano a 1.544 chilometri quadrati, accorpate a quelle di

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frana; almeno il 60 per cento dei comuni italiani è a rischio idrogeologico molto elevato;
le dimensioni del fenomeno del dissesto idrogeologico vengono rese chiaramente evidenti da una panoramica di alcuni degli eventi che hanno interessato l'area italiana: 5.400 alluvioni e 11.000 frane negli ultimi 80 anni, 70.000 persone coinvolte e 30.000 miliardi di danni negli ultimi 20 anni;
il fabbisogno finanziario necessario per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza complessiva delle situazioni di dissesto del territorio nazionale appare essere quasi imponente, si calcola un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 per l'area del Centro-Nord, 13 per il Mezzogiorno e 4 per il patrimonio costiero;
la VIII Commissione della Camera dei deputati ha più volte messo in evidenza, anche attraverso l'indagine conoscitiva sulle politiche per la difesa del suolo e la risoluzione sul fondo regionale di protezione civile, la necessità di rafforzare la prevenzione e la pianificazione degli interventi per la messa in sicurezza del territorio; in tale ambito, la risoluzione 8-00040 dell'aprile 2009 ha impegnato il Governo ad attuare un organico programma di interventi per la prevenzione del rischio idrogeologico e la manutenzione del territorio;
in tali circostanze il Governo, come già aveva espresso nell'ambito di precedenti atti di indirizzo parlamentare, ha sostenuto che per evitare il verificarsi di tragedie sociali ed ambientali connesse ad alluvioni e smottamenti del territorio gravato da fenomeni meteorici avversi, è necessario procedere nel verso della prevenzione dei disastri realizzando specifiche azioni ed interventi di mitigazione dei rischi presenti;
con l'articolo 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009 (finanziaria per il 2010), sono stati destinati 900 milioni di euro ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico (individuate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile). Si fa presente che la cifra di 900 milioni di euro costituisce l'intera dotazione di risorse assegnate per il risanamento ambientale dalla delibera CIPE del 6 novembre 2009;
la norma in questione stabilisce che le risorse disponibili possano essere utilizzate, anche tramite accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e nell'ambito del quale venga definita la quota di cofinanziamento regionale;
lo strumento dell'accordo di programma ha consentito di convogliare, all'interno di un unico piano coordinato, sia le risorse statali sia quelle regionali, evitando cosi duplicazioni di interventi e frammentazione della spesa, e di attivare processi che consentiranno una più rapida attuazione degli interventi ed una maggiore incisività del monitoraggio;
in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, relativo al «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali», le regioni hanno assunto piena competenza sulla rete idrografica e sulle relative opere con piena responsabilità e in modo particolare ciò è avvenuto per la regione Veneto a decorrere dal 2003;
il dato di fatto inquietante, ripetutamente posto in evidenza, è che tutti i maggiori corsi d'acqua del Veneto, già di competenza del magistrato alle acque, hanno condizioni di rischio non inferiori a quelle che avevano nel 1966 allorché, come ben noto, si verificò, in concomitanza di un evento meteo eccezionale, una delle più disastrose alluvioni che abbiano mai colpito questa regione;
in questi quarant'anni non si sono infatti concretizzati, per detti corsi d'acqua, i necessari risolutivi interventi che rendano compatibile il transito della massima

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piena prevista con l'assetto delle difese e delle arginature nei tratti che vanno dall'alta pianura alla foce in Adriatico. Ciò nonostante tali opere siano state individuate, ancorché in linea di massima, già da tempo (atti della Commissione De Marchi del 1970 e, da ultimo, Piani stralcio per l'assetto idrogeologico - PAI);
alle gravi problematiche connesse alla rete idrografica principale, condiziona e spesso minaccia gran parte del territorio veneto, si devono aggiungere quelle derivanti dalla diffusa rete minore che, sempre più frequentemente, va in crisi anche in occasione di eventi non certo caratterizzati da tempi di ritorno elevati;
non bisogna sottovalutare la fragilità della costa veneta soggetta a gravi fenomeni di erosione e le situazioni di criticità connesse ai numerosissimi e rilevanti dissesti geologici;
queste insufficienze della rete idraulica si sono ulteriormente verificate, su parte del territorio veneto, durante gli ultimi eventi calamitosi dei mesi di ottobre e novembre 2010 e del marzo 2011, evidenziando cosi i problemi in particolar modo della rete idraulica di pianura;
ai sensi del predetto articolo 2, comma 240, della legge 191 del 2009 (finanziaria per il 2010), la regione Veneto con proprio atto decreto giunta regionale n. 2816 del 23 novembre 2010 ha approvato lo schema di accordo di programma con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e i relativi allegati che individuano una prima serie di interventi per la salvaguardia del territorio e le risorse necessarie per un ammontare di 64.077.000,00 di euro dei quali 55.193.000,00 a carico dello stato e 8.884.000,00 quale rimodulazione di risorse già a disposizione della regione a valere sulla legge n. 183 del 1989;
una della aree maggiormente colpite nell'alluvione del 1966 e periodicamente interessata da eventi calamitosi è quella del bacino idrografico del Livenza;
l'articolo 67 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto «codice ambientale») prevede i piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (PAI) per la tutela dal rischio idrogeologico. Nel relativo comma 2 di tale articolo, si prevede che le autorità di bacino possano approvare piani straordinari di emergenza diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico; tali piani straordinari di emergenza devono essere corredati di alcuni elementi essenziali, e in particolare devono prevedere l'individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico molto elevato per l'incolumità delle persone e per la sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale, con priorità per le aree a rischio idrogeologico per le quali è stato dichiarato lo stato di emergenza, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992;
il bacino idrografico del fiume Livenza ha una superficie di 2500 chilometri quadrati e si estende a cavallo tra le regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia; l'affluente principale e il fiume Meduna, che a sua volta riceve il fiume Cellina e assieme costituiscono un sistema caratterizzato da un disordine idrogeologico consistente in questa parte del bacino, collocata prevalentemente nella regione Friuli Venezia Giulia, si generano le portate critiche per il percorso vallivo;
il PAI del bacino idrografico del fiume Livenza ha individuato le opere prioritarie e necessarie per la messa in sicurezza di quel territorio che anche nella recente alluvione che ha colpito la regione Veneto ha corso gravissimi rischi di esondazione;
tra quelle principali previste dal PAI del Livenza vi sono 2 interventi di regolazione delle aree di espansione naturale delle piene del Livenza (nell'area Prà di Gai e Prà dei Bassi e nell'area golena di Motta di Livenza e Meduna per un ammontare secondo le ultime stime di 55 milioni di euro per il primo intervento e 15 milioni per il secondo);

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tra gli interventi previsti nel predetto accordo di programma di cui al decreto giunta regionale n. 2816 del 23 novembre 2010, per la zona relativa al PAI del Livenza sono stati finanziati solo 2 milioni di euro per il potenziamento degli argini del Livenza 1,8 per quelli del Monticano e 500 mila euro per il fiume Meschio;
appare evidente che lo stanziamento in tal senso previsto nell'accordo di programma, non sia sufficiente per soddisfare le effettive necessità di messa in sicurezza di questo corpo idrico (necessiterebbero non meno di 35 milioni di euro), essendo infatti, lo stanziamento, diretto alla manutenzione ordinaria degli argini dei fiumi di questo territorio ma non in grado di affrontare la straordinarietà degli eventi e soprattutto di dare risposte definitive per l'esecuzione della regolazione dell'esistente bacino del Prà dei Gai;
l'accordo di programma siglato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con la regione Friuli Venezia Giulia non ha previsto risorse da destinare al versante friulano di quel bacino con l'aumento dei rischi per il sistema veneto in quanto tributario del primo;
va evidenziato, da ultimo, che con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3943 del 25 maggio 2001, recante «Ulteriori disposizioni di protezione civile dirette a fronteggiare i danni conseguenti agli eccezionali eventi alluvionali che hanno colpito il territorio della Regione Veneto nei giorni dal 31 ottobre al 2 novembre 2010», si è stabilito, tra l'altro, che una quota di 150 milioni di euro dell'intera cifra di 300 milioni di euro previsti dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3906 del 13 novembre 2010 recante «Primi interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eccezionali eventi alluvionali che hanno colpito il territorio della regione Veneto nei giorni dal 31 ottobre al 2 novembre 2010» e successive modifiche ed integrazioni, sia destinata ad interventi pubblici di risanamento del territorio, siano essi di competenza della amministrazioni locali come delle strutture regionali, volti a fronteggiare il gravissimo dissesto idrogeologico in atto nella regione Veneto,

impegna il Governo:

a ripristinare l'originaria somma di 300 milioni di euro da destinare ai risarcimenti per i danni subiti dai soggetti pubblici e privati e per la ripresa delle attività produttive danneggiate dagli eventi alluvionali di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3906 del 13 novembre 2010;
a reperire ulteriori risorse da destinare ad un primo piano straordinario di interventi per fronteggiare il gravissimo dissesto idrogeologico in atto nella regione Veneto;
ad intraprendere le opportune iniziative affinché siano stanziate nel breve termine le necessarie risorse, possibilmente nella somma indicata in premessa, atte al finanziamento dell'intervento di Prà di Gai previsto dal PAI del bacino del Livenza, quale opera fondamentale per una soluzione definitiva alla situazione di rischio idraulico nel bacino del Livenza, e, conseguentemente, a procedere alla conclusione di uno specifico accordo di programma interregionale tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Veneto e la regione Friuli Venezia Giulia, secondo le procedure indicate nell'articolo 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009;
ad adottare, in particolare, le iniziative di propria competenza affinché, ove vi fossero ostacoli, sia consentito ai comuni del territorio interessato (sia quelli del Veneto e sia quelli del Friuli Venezia Giulia) di utilizzare le risorse economiche necessarie alla realizzazione degli interventi di ripristino e messa in sicurezza dei luoghi, al fine di prevenire il verificarsi di nuove calamità, prevedendo, attraverso le opportune iniziative normative, l'elusione

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delle spese finalizzate a tali interventi dai vincoli di finanza pubblica ed in particolare dal patto di stabilità, ed in tal senso mettendo a disposizione i fondi e le agevolazioni necessarie per mitigare l'impatto ambientale delle opere in questione, principalmente allo scopo di evitare che queste ultime incidano negativamente sulla salvaguardia dell'equilibrio idrogeologico locale specie per i comuni maggiormente interessati (Portobuffolè Mansuè e Prata di Pordenone).
(7-00575) «Viola, Guido Dussin».