CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 15 febbraio 2011
438.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. (Testo base C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb.).

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

La I Commissione,
esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 2350, approvata in un testo unificato dal Senato, recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento»,
considerato che le disposizioni da esso recate sono fondamentalmente riconducibili alle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato «ordinamento civile» e «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (articolo 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione);
rilevato che:
l'articolo 1, comma 1, lettera b), vieta «ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio», senza tuttavia fornire una definizione di «eutanasia»;
se la volontà della Commissione di merito è di introdurre nell'ordinamento una nuova fattispecie penale in relazione all'eutanasia, appare opportuno - alla luce del principio costituzionale di tassatività della fattispecie penale, il quale impone al legislatore di definire con chiarezza e univocità la condotta per la quale prevede una pena e vieta al giudice di estendere in via analogica l'ambito applicativo della norma incriminatrice - che questa nuova fattispecie sia determinata in modo chiaro e univoco, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero rinvio alle citate disposizioni del codice penale (gli articoli 575, 579 e 580, che prevedono pene diverse per l'omicidio, l'omicidio del consenziente e l'istigazione o aiuto al suicidio); in alternativa, si potrebbe sopprimere la lettera c) del comma 1 dell'articolo 1;
rilevato che:
l'articolo 7, comma 3, del testo in esame - in quanto prevede che, in caso di controversia tra il medico curante e il fiduciario in merito al seguito da dare alle volontà espresse dal paziente nella sua dichiarazione anticipata di trattamento, la questione viene sottoposta alla valutazione di un collegio di medici, il cui parere è vincolante per il medico curante, fermo il diritto di quest'ultimo all'obiezione di coscienza - pone di fatto il medico curante sullo stesso piano del fiduciario, in contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha spesso richiamato il principio secondo il quale «in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l'autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali» (sentenze n. 338 del 2003; n. 282 del 2002; n. 151 del 2009);
sotto il profilo del coordinamento interno del testo, va tenuto altresì presente che il comma 1 del medesimo articolo 7 - disponendo che le volontà espresse dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono prese in considerazione dal medico curante, che, sentito il

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fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno - affida ogni scelta al medico, obbligandolo soltanto a sentire il fiduciario; per quest'ultimo, tra l'altro, non è richiesta alcuna particolare qualifica professionale;
rilevato, ancora, che:
la Costituzione sancisce il diritto della persona a scegliere le cure cui sottoporsi, stabilendo che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, fermo restando che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana;
il diritto della persona all'autodeterminazione non può, tuttavia, estendersi fino a disporre di valori indisponibili come la tutela della vita;
occorre pertanto trovare il miglior bilanciamento tra il diritto di rifiutare i trattamenti non desiderati e il dovere alla tutela della salute e della propria vita, che è un bene per la stessa società;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente condizione:
1) all'articolo 7, si sopprima il comma 3;
e con la seguente osservazione:
a) all'articolo 1, valuti la Commissione di merito l'opportunità di definire in modo chiaro e univoco la fattispecie penale dell'eutanasia e la relativa pena.

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ALLEGATO 2

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. (Testo base C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb.).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO

La I Commissione,
riunita in sede consultiva per l'espressione del parere sul nuovo testo della proposta di legge C. 2350, recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento»,
considerato che:
1. L'adozione di una disciplina delle dichiarazioni anticipate di trattamento è una fra le modalità possibili per garantire l'esercizio del diritto alla salute di cui all'articolo 32 della Costituzione. Tale disciplina, pur essendo una disciplina attuativa di un principio costituzionale, non ha un contenuto costituzionalmente vincolato: al legislatore è cioè riconosciuto un certo margine di discrezionalità. Tuttavia, quali che siano i contenuti di tale discrezionalità, il legislatore è comunque tenuto a rispettare il vincolo generale di ragionevolezza delle leggi ed è tenuto ad adottare una disciplina internamente coerente. Pertanto, se sono ammissibili - dal punto di vista costituzionale - più soluzioni normative, è comunque irragionevole prevedere l'istituto delle dichiarazioni anticipate di trattamento e al tempo stesso attribuire a dette dichiarazioni una efficacia pressoché nulla. Secondo il testo attuale del disegno di legge,mediante le direttive è possibile esprimere un mero «orientamento» (articolo 3, comma 1) ed esso ha valore puramente indicativo per il medico, il quale è unicamente tenuto a «prenderle in considerazione» (articolo 7, comma 1), annotando se del caso nella cartella clinica le «motivazioni per le quali intende seguirle o meno». In tal modo, si configurano le DAT come uno strumento inutile e contraddittorio: questa parte della disciplina è viziata da intrinseca irragionevolezza (e viola pertanto l'articolo 3, comma 1, della Costituzione).
2. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 282 del 2002 ha affermato in maniera esplicita il principio del bilanciamento tra due diritti fondamentali: il diritto alla salute (articolo 32, primo comma, della Costituzione) e quello all'autodeterminazione e alla libertà della scelta terapeutica (articolo 32, secondo comma, della Costituzione). Essendo entrambi principi e valori costituzionali, essi non solo vanno letti contestualmente ma devono formare oggetto di un'accorta opera di bilanciamento, rispetto alla quale l'attività del legislatore deve essere molto prudente.
3. Il diritto alla salute, garantito dall'articolo 32 della Costituzione, include il diritto a che siano alleviate le sofferenze del malato in tutti i casi in cui ciò sia possibile. Il concetto di salute, infatti, va inteso come riferito al benessere psico-fisico della persona e non meramente alla preservazione della sua sussistenza fisica, pure rilevante. In quest'ottica, le cure palliative rappresentano ormai un contenuto implicito del diritto alla salute. Ciò è a maggior ragione vero nella prospettiva di uno sviluppo graduale dei valori costituzionali, i quali si inverano

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gradualmente e progressivamente nell'ordinamento giuridico, finendo per cristallizzarsi attorno al nucleo duro della disposizione costituzionale cui afferiscono. Se il disegno di legge in questione finalizza l'attività medica, fra l'altro, all'»alleviamento della sofferenza» (articolo 1, comma 1, lettera c)) e prevede un vero e proprio diritto dei pazienti terminali o in condizione di morte prevista come imminente «a essere assistiti con una adeguata terapia contro il dolore secondo quanto previsto dai protocolli delle cure palliative ai sensi della normativa vigente in materia» (articolo 1, comma 3), esso non può poi limitare i trattamenti in questione - che costituiscono il contenuto di un diritto costituzionalmente garantito - con riferimento ad una particolare categoria di malati. È peraltro proprio questa la scelta singolarmente compiuta dall'articolo 2, comma 8 (»Per tutti i soggetti minori, interdetti, inabilitati o altrimenti incapaci il personale sanitario è comunque tenuto, in assenza di una dichiarazione anticipata di trattamento, ad operare sempre avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute del paziente») che non prevede, fra le finalità che il personale sanitario è tenuto a perseguire, l'«alleviamento della sofferenza».
4. Mentre l'articolo 2, comma 1, stabilisce come regola generale che «ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole», l'articolo 2, comma 9, stabilisce che non sia necessario richiedere il consenso informato per somministrare un trattamento sanitario quando la persona incapace di intendere o volere «sia in pericolo per il verificarsi di una grave complicanza o di un evento acuto». La formulazione di questa seconda disposizione sembra comportare che il medico non è tenuto a richiedere il consenso tutte le volte in cui una terapia si dimostra necessaria e ciò indipendentemente dal fatto ad esempio che il verificarsi delle complicazioni e dell'acutizzarsi delle patologie fosse ampiamente prevedibile. Anche in questo caso ci si trova dunque di fronte alla previsione di una regola ed al suo successivo sostanziale svuotamento. Anche per questo profilo, pertanto, il disegno di legge in questione si rivela viziato da irragionevolezza e dunque costituzionalmente illegittimo.
5. L'articolo 3, comma 6, si rivela particolarmente generico e potenzialmente contraddittorio. Anzitutto risulta poco chiaro il concetto di «incapacità permanente» che viene utilizzato in tale disposizione. Inoltre, in tale (non chiara) ipotesi, risultano a rischio di esclusione sia le direttive anticipate di trattamento, sia le opinioni dei familiari (o delle figure di sostegno). Per questo punto, come per molti altri, il disegno di legge sembra ispirato ad una logica che mette al centro le opinioni del personale medico, dando considerazione pressoché nulla ai diretti interessati, il che risulta a sua volta contraddittorio con la ratio intrinseca di un disegno di legge ispirato alla finalità di valorizzare la volontà dei pazienti e l'alleanza terapeutica con il medico, mediante l'istituto delle direttive anticipate.
6. L'articolo 3, comma 5, prevede che l'idratazione e l'alimentazione, nelle loro diverse forme, debbano essere mantenute fino alla fine della vita. Tali trattamenti sanitari non possono pertanto formare oggetto di disposizioni anticipate di trattamento. A questa opzione si possono opporre due obiezioni, la prima di irragionevolezza interna, la seconda di contrasto con l'articolo 32, secondo comma, della Costituzione.
Per il primo profilo va notato che il divieto non si riferisce solo al caso degli stati vegetativi persistenti, in relazione ai quali esso potrebbe essere dotato di una sua ratio, ma, poiché nella norma viene ad assumere una validità generale, risulta irragionevole rispetto alla possibilità di esplicare a pieno titolo la propria personale concezione della identità e della di

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gnità umana, con l'aggravante anche dalla indeterminatezza della previsione su chi sia il soggetto responsabile della definizione dell'eccezione prevista dalla norma.
Anche in relazione agli stati vegetativi persistenti, un limite di questo tipo può costituire violazione dell'articolo 32 della Costituzione, il quale prevede non solo che nessun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per disposizione di legge, ma anche che la legge in nessun caso può «violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
esprime

PARERE CONTRARIO

Bressa, Amici, Bordo, D'Antona, Ferrari, Fontanelli, Giachetti, Giovanelli, Lo Moro, Minniti, Naccarato, Pollastrini, Maurizio Turco, Vassallo, Zaccaria.

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ALLEGATO 3

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. (Testo base C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb.).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL DEPUTATO CALDERISI

La Commissione Affari costituzionali,
esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 2350, approvata in un testo unificato dal Senato, recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento»,
considerato che:
A) il progetto di legge, nel disciplinare la delicatissima questione del fine-vita, dovrebbe realizzare un ragionevole bilanciamento tra i beni e gli interessi costituzionali in gioco, ossia il diritto alla vita, il diritto alla salute ed il dovere del medico di curare, da una parte, e il diritto all'autodeterminazione individuale, la dignità personale, il rispetto della persona umana ed il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari non voluti, dall'altra, beni ed interessi che trovano fondamento negli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione;
come riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, «la pratica terapeutica si pone [...] all'incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell'arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica, diritto questo che l'articolo 32, secondo comma, secondo periodo, della Costituzione pone come limite invalicabile anche ai trattamenti sanitari che possono essere imposti per legge come obbligatori a tutela della salute pubblica» (sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 2002). C'è naturalmente ampia discrezionalità legislativa nel trovare il migliore bilanciamento tra questi beni e diritti costituzionali, ma questa discrezionalità non può spingersi fino ad azzerare, in determinate fattispecie, uno dei beni o diritti in considerazione. Il bilanciamento deve esser reale e, in qualche misura, non può che presentarsi come il frutto di compromessi realistici e ragionevoli;
il progetto di legge in esame, invece, da un lato, riconosce principi fondamentali a livello costituzionale, quali il principio della dignità della persona, che prevale rispetto all'interesse della società e alle applicazioni della scienza, il principio dell'alleanza terapeutica tra medico e paziente, il principio del consenso informato, dall'altra pone tali e tante limitazioni ai predetti principi da svuotarli sostanzialmente; un progetto di legge che interviene per disciplinare le «dichiarazioni anticipate di trattamento», come indicato nel titolo, e contemporaneamente prevede limiti assoluti al contenuto di tali dichiarazioni, con particolare riguardo alle più cruciali scelte di fine vita (articolo 3, comma 4), è in sé contraddittorio e denota un'irrazionalità intrinseca della normativa;
B) il progetto di legge non dà una definizione legale di eutanasia; viene infatti vietata «ogni forma di eutanasia» attraverso il richiamo a fattispecie penali (articolo 575 codice penale - «Omicidio», articolo 579 codice penale - «Omicidio del consenziente», e articolo 580 codice

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penale - «Istigazione o aiuto al suicidio») in realtà ben distinguibili dal concetto di eutanasia, in quanto relative a situazioni estranee alle problematiche di fine vita, che il provvedimento in esame intende disciplinare; non viene pertanto risolto il problema della definizione legislativa di eutanasia, cioè dei comportamenti che si intendono vietare sotto il duplice aspetto attivo e «passivo», in relazione al consenso del malato o alla sua assenza, dal punto di vista del malato e dell'agente; vengono invece introdotte previsioni penali irragionevoli e prive di determinatezza, in contrasto con l'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, che prevede una riserva assoluta di legge in materia penale, da cui discendono i principi di sufficiente determinatezza e di tassatività delle fattispecie penali, volti ad impedire qualunque attività di integrazione o di creazione di illeciti penali da parte dei giudici e degli interpreti; la vaghezza dei riferimenti a tre diverse norme penali, che prevedono fattispecie penali assai distinte tra loro, punite con pene diverse nel quantum, e comunque difficilmente trasponibili alle problematiche di fine vita, rende possibili interpretazioni giudiziarie assai divergenti e addirittura creative, in contraddizione frontale con uno degli scopi della legge, cioè proprio quello di impedire derive giudiziarie in questo settore;
C) il progetto di legge, inoltre, non riguarda solo i casi di malati in stato di incapacità di intendere e di volere, come ad esempio i soggetti in stato vegetativo permanente o persistente, ma è applicabile anche ai soggetti pienamente capaci di intendere e di volere; in particolare, per quanto riguarda l'articolo 1 («Tutela della vita e della salute») la cui sfera di efficacia non è circoscrivibile alle situazioni di pazienti non coscienti:
C. 1) l'affermazione di principio iniziale contenuta nell'articolo 1, comma 1, lettera a) (la vita è diritto «indisponibile»), che per la prima volta viene introdotta nell'ordinamento, appare opportuna e condivisibile a condizione, però, che non pregiudichi il necessario bilanciamento che il legislatore è tenuto ad effettuare con altri beni e interessi costituzionalmente tutelati. Nel caso del progetto di legge in esame occorre evitare che tale affermazione di principio entri in contraddizione con il diritto individuale a rifiutare in piena coscienza e attualità di consenso alcuni trattamenti sanitari, anche laddove da questo rifiuto possa discenderne la morte. Ciò sembra confermato dall'inciso «anche» previsto nell'articolo 1, comma 1, lettera a) («diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell'esistenza e nell'ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e volere»); il che significa, se i termini usati hanno un senso, che il diritto è indisponibile anche prima della fase terminale e non solo nell'ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e volere;
C.2) all'articolo 1, comma 1, lettera c), vi è il chiaro riferimento a un divieto - ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 codice penale - di «ogni forma di eutanasia, e ogni forma di assistenza o aiuto al suicidio, considerando l'attività medica e quella di assistenza alle persone esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute nonché all'alleviamento della sofferenza». Non sembra che questa disposizione possa riferirsi esclusivamente alla condizione di soggetti in stato vegetativo permanente o persistente, ma emerge che essa possa estendere la sua efficacia anche a situazioni di pazienti pienamente coscienti. L'aggiunta - all'articolo 1, comma 1, lettera d) - dell'obbligo del medico di informare anche sul divieto di qualunque forma di eutanasia, rafforza questa valutazione; inoltre, lo stesso riferimento preciso alle finalità dell'attività medica sembra deporre nella medesima direzione, addirittura qualificando l'attività del medico che segua le indicazioni esplicite ed attuali del paziente con il riferimento a fattispecie penali gravissime;
C.3) di conseguenza, il riferimento - che pure è contenuto nell'articolo 1, comma 1, lettera e) - al principio per cui nessuno può essere obbligato ad un determinato

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trattamento sanitario, se non per disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto della persona umana, sembra rimodellato nel modo che segue: l'autodeterminazione trova un limite legale, e questo limite è dato anche e proprio dalla normativa in esame, che avverte che il limite dell'autodeterminazione è situato nell'impossibilità di chiedere al medico «qualunque forma» di eutanasia. In tal modo, il problema del rispetto del diritto all'autodeterminazione garantito dall'articolo 32 della Costituzione è solo spostato verso le «forme» che l'eutanasia può assumere, che restano indistinte: se (in piena coscienza) si chiede al medico di non porre in atto un trattamento sanitario, che in base alle conoscenze mediche è il solo che può salvare la vita, vi è il rischio che tale richiesta urti contro i principi contenuti nell'articolo 1, comma 1, lettere c) e d). Ciò ripropone fortemente l'esigenza di chiarire cosa si intenda per eutanasia (attiva e passiva), in modo preciso e determinato ai sensi dell'articolo 25 della Costituzione;
D) sotto altro profilo, il bilanciamento legislativo non appare soddisfacente nemmeno in riferimento alla efficacia delle dichiarazioni anticipate di trattamento, quindi con riferimento alla forza della volontà espressa «allora» da un paziente «ora» in condizioni di incoscienza. Ciò risulta con evidenza in riferimento all'articolo 7 della proposta di legge, nella parte in cui si afferma che il medico è legittimato a non porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico, contrastando così le decisioni non solo del dichiarante, ma anche del fiduciario e addirittura dell'eventuale collegio medico. Qui è di tutta evidenza che la volontà espressa dal dichiarante, tutelata dall'articolo 32, comma secondo, della Costituzione, non è bilanciata affatto, ma assolutamente azzerata dalla prevalente volontà del medico. Il problema non pare affatto risolto dal comma 3 dell'articolo 7. Qui si prevede che in caso di controversia fra fiduciario e medico curante, la questione è sottoposta alla valutazione di un collegio di medici e che «il parere espresso dal collegio medico è vincolante per il medico curante, il quale non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico. Resta comunque sempre valido il principio della inviolabilità e della indisponibilità della vita umana». Tale formulazione appare priva di senso giuridico: da una parte, si afferma la vincolatività, per il medico, del parere collegiale; dall'altra, però, il medico non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni, non solo scientifiche, ma anche deontologiche; ciò, in buona sostanza, significa dire che il parere collegiale non obbliga il medico, proprio nei casi critici o eticamente cruciali. Tale soluzione può essere accettabile alla sola condizione che la stessa struttura di ricovero ovvero l'azienda sanitaria sia tenuta a individuare al suo interno altro medico disponibile a mettere in atto le indicazioni collegiali, con l'eventuale precisazione che, se tale medico non si trovi, onde evitare che al fiduciario e ai familiari del paziente non autosufficiente sia imposto di spostarsi in altro luogo di ricovero, debba prevedersi una procedura di assegnazione temporanea di un medico esterno disponibile (in caso di aziende sanitarie «pubbliche» o accreditate);
E) l'articolo 3, comma 5, sancisce l'obbligo di mantenere l'alimentazione e l'idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle, fino al termine della vita e dispone che l'alimentazione e l'idratazione non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento; viene dunque esclusa in assoluto la natura di trattamento sanitario dell'alimentazione e dell'idratazione forzata, anche se vi sono casi, ben noti alla pratica medica, in cui di trattamenti sanitari sicuramente si tratta, ed anche particolarmente invasivi, invadendo la sfera della scienza medica e sovrapponendo ad essa definizioni assolute. L'eccezione «del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni essenziali

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del corpo» costituisce solo una invasione ulteriore della sfera della scienza medica, giacché è ovvio per qualunque medico che un trattamento inefficace va evitato; se si vuole dire che è vietato l'accanimento, la disposizione è superflua, essendo già prevista dall'articolo 1, comma 1, lettera f). In questi termini, a seguito dell'esclusione in assoluto della natura di trattamento sanitario, il paziente non ha diritto di rifiutare l'alimentazione e l'idratazione forzata, in contrasto con gli articoli 32, secondo comma, e 13 della Costituzione,
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
1) sia introdotta una definizione legislativa di eutanasia, sotto il duplice aspetto attivo e «passivo», in relazione al consenso del malato o alla sua assenza, dal punto di vista del malato e dell'agente, e siano definite puntualmente le fattispecie penali relative al fine-vita, al fine di garantire il rispetto del principio di legalità in materia penale, di cui all'articolo 25, secondo comma, della Costituzione;
2) sia riformulato il testo alla luce di quanto espresso in premessa, al fine di realizzare un effettivo e ragionevole bilanciamento tra i beni e gli interessi costituzionali in gioco, che trovano fondamento negli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione: il diritto alla vita, il diritto alla salute ed il dovere del medico di curare, da una parte, e il diritto all'autodeterminazione individuale, la dignità personale, il rispetto della persona umana ed il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari non voluti, dall'altra. In particolare:
a) sia chiarito in maniera inequivoca che non è in alcun modo messo in discussione il diritto del paziente cosciente di rifiutare i trattamenti sanitari, incluso il diritto di interrompere i trattamenti sanitari già iniziati, modificando, sulla base dei rilievi contenuti in premessa (lettera C)), le disposizioni dell'articolo 1, comma 1, lettere a), c) ed e);
b) sia riconosciuto il valore della volontà del paziente, come espressa nella dichiarazione anticipata di trattamento, rispetto alle convinzioni del medico (fermo restando per quest'ultimo il diritto all'obiezione di coscienza) e, in caso di rifiuto del medico curante di seguire le indicazioni del collegio di cui all'articolo 7, comma 3, sia comunque garantito il rispetto della volontà del paziente in tempi certi e rapidi e nella stessa struttura di ricovero o, in caso di mancato ricovero, da parte dell'azienda sanitaria di competenza;
c) non sia escluso in assoluto il diritto del paziente di rifiutare l'alimentazione e l'idratazione forzata, sia in condizioni di capacità di intendere e di volere che di incapacità, consentendo, in questo secondo caso, la dichiarazione anticipata di trattamento;
oppure, in alternativa ad un effettivo e ragionevole bilanciamento tra i beni e gli interessi costituzionali in gioco di cui alla condizione 2):
2.1) si limiti l'intervento legislativo al divieto di eutanasia e di accanimento terapeutico, previa loro definizione legislativa, senza introdurre la dichiarazione anticipata di trattamento, lasciando quindi la «zona grigia» più delicata alla sapiente cura e decisione del medico, della persona interessata e dei suoi familiari.
Calderisi.

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ALLEGATO 4

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. (Testo base C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb.).

PARERE APPROVATO

La I Commissione,
esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 2350, approvata in un testo unificato dal Senato, recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento»;
considerato che le disposizioni da esso recate sono fondamentalmente riconducibili alle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato «ordinamento civile» e «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (articolo 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione);
rilevato che:
l'articolo 1, comma 1, lettera b), vieta «ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio», senza tuttavia fornire una definizione di «eutanasia»;
se la volontà della Commissione di merito è di introdurre nell'ordinamento una nuova fattispecie penale in relazione all'eutanasia, appare opportuno - alla luce del principio costituzionale di tassatività della fattispecie penale, il quale impone al legislatore di definire con chiarezza e univocità la condotta per la quale prevede una pena e vieta al giudice di estendere in via analogica l'ambito applicativo della norma incriminatrice - che questa nuova fattispecie sia determinata in modo chiaro e univoco, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero rinvio alle citate disposizioni del codice penale (gli articoli 575, 579 e 580, che prevedono pene diverse per l'omicidio, l'omicidio del consenziente e l'istigazione o aiuto al suicidio); in alternativa, si potrebbe sopprimere la lettera c) del comma 1 dell'articolo 1;
rilevato che:
l'articolo 7, comma 3, del testo in esame - in quanto prevede che, in caso di controversia tra il medico curante e il fiduciario in merito al seguito da dare alle volontà espresse dal paziente nella sua dichiarazione anticipata di trattamento, la questione viene sottoposta alla valutazione di un collegio di medici, il cui parere è vincolante per il medico curante, fermo il diritto di quest'ultimo all'obiezione di coscienza - pone di fatto il medico curante sullo stesso piano del fiduciario, in contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha spesso richiamato il principio secondo il quale «in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l'autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali» (sentenze n. 338 del 2003; n. 282 del 2002; n. 151 del 2009);
sotto il profilo del coordinamento interno del testo, va tenuto altresì presente che il comma 1 del medesimo articolo 7 - disponendo che le volontà espresse dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono prese in considerazione dal medico curante, che, sentito il

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fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno - affida ogni scelta al medico, obbligandolo soltanto a sentire il fiduciario; per quest'ultimo, tra l'altro, non è richiesta alcuna particolare qualifica professionale;
rilevato, ancora, che:
la Costituzione sancisce il diritto della persona a scegliere le cure cui sottoporsi, stabilendo che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, fermo restando che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana;
il diritto della persona all'autodeterminazione non può, tuttavia, estendersi fino a disporre di valori indisponibili come la tutela della vita;
occorre pertanto trovare il miglior bilanciamento tra il diritto di rifiutare i trattamenti non desiderati e il dovere alla tutela della salute e della propria vita, che è un bene per la stessa società;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente condizione:
1) all'articolo 7, comma 3, si sopprima il terzo periodo;
e con la seguente osservazione:
a) all'articolo 1, valuti la Commissione di merito l'opportunità di definire in modo chiaro e univoco la fattispecie penale dell'eutanasia e la relativa pena.