CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 22 aprile 2009
167.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile. C. 1441-bis-B.

PARERE APPROVATO

La Commissione Giustizia,
esaminato il testo del disegno di legge in oggetto,
rilevato che:
l'articolo 48 introduce nel codice di procedura civile il nuovo articolo 360-bis, che prevede il c.d. filtro in Cassazione, consistente in un esame preliminare di ammissibilità dei ricorsi in Cassazione, delegato ad un collegio di tre magistrati;
appare necessario modificare la predetta disciplina, precisando i presupposti del giudizio di ammissibilità, al fine di circoscriverne l'ambito di discrezionalità, nonché il procedimento per la decisione sull'inammissibilità del ricorso e per la decisione in camera di consiglio;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente condizione:
l'articolo 48 sia riformulato come segue:
«1. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo l'articolo 360 è inserito il seguente:
«Art. 360-bis - (Inammissibilità del ricorso).

Il ricorso è inammissibile:
1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa;
2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo»;
b) il primo comma dell'articolo 376 è sostituito dal seguente:
«Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall'articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione, che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375, primo comma, numeri l) e 5). Se la sezione non definisce il giudizio, gli atti sono rimessi al primo presidente, che procede all'assegnazione alle sezioni semplici»;
c) l'articolo 380-bis è sostituto dal seguente:
«Art. 380-bis. - (Procedimento per la decisione sull'inammissibilità del ricorso e per la decisione in camera di consiglio). Il relatore della sezione di cui all'articolo 376, primo comma, primo periodo, se appare possibile definire il giudizio ai sensi dell'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia.

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Il presidente fissa con decreto l'adunanza della Corte. Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza il decreto e la relazione sono comunicati al pubblico ministero e notificati agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare, il primo conclusioni scritte, e i secondi memorie, non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere sentiti, se compaiono.
Se il ricorso è dichiarato ammissibile, il relatore nominato ai sensi dell'articolo 377, primo comma, ultimo periodo, quando appaiono ricorrere le ipotesi previste dall'articolo 375, primo comma, numeri 2) e 3), deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione dei motivi in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio e si applica il secondo comma.
Se ritiene che non ricorrono le ipotesi previste dall'articolo 375, primo comma, numeri 2) e 3), la Corte rinvia la causa alla pubblica udienza.»;
d) l'articolo 366-bis è abrogato;
e) all'articolo 375 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al primo comma, il numero 1 è sostituito dal seguente:
«1) dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall'articolo 360»;
2) al primo comma, il numero 5 è sostituito dal seguente:
«5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l'eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza».

2. Al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante disposizioni in materia di ordinamento giudiziario, dopo l'articolo 67 è inserito il seguente:
«Art. 67-bis. - (Criteri per la composizione della sezione prevista dall'articolo 376 del codice di procedura civile). - 1. A comporre la sezione prevista dall'articolo 376, comma 1, del codice di procedura civile, sono chiamati, di regola, magistrati appartenenti a tutte le sezioni».

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ALLEGATO 2

Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile. C. 1441-bis-B.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE

La Commissione Giustizia,
esaminato il disegno di legge in oggetto,
rilevato che:
1) con riferimento all'articolo 46:
a) l'attribuzione alla competenza del giudice di pace delle domande aventi ad oggetto la richiesta di condanna dell'INPS, dell'INAIL o di altri enti previdenziali o assistenziali al pagamento di interessi e rivalutazione sulle prestazioni pagate in ritardo potrebbe apparire una misura razionale. Si tratta infatti di controversie seriali estremamente semplici e bagatellari. Una più attenta considerazione di alcuni profili concreti porta invece a considerare questa modificazione di competenza una misura potenzialmente disastrosa, in grado di infliggere un grave colpo alle finanze dell'INPS. Occorre infatti considerare che si tratta di cause che, per la loro stragrande maggioranza non corrispondono ad alcun reale bisogno di giustizia dei cittadini. Costoro, infatti, se ricevano la pensione o l'indennizzo con qualche mese di ritardo a tutto pensano purché a pretendere la piccola somma ad essi dovuta per interessi e rivalutazione. Si tratta invece di filoni di cause che apparentemente e vengono promosse nell'interesse e del cittadino che figura parte, ma in realtà sono il frutto di un indotto, che in qualche misura, rappresenta un fenomeno patologico. In questo momento storico, una misura che apre prospettive di tal fatta e che comporta rischi di tale entità per la finanza pubblica appare certamente da evitare. Ma appare anche assolutamente da evitare una misura che avrebbe come risultato quello di ingolfare ulteriormente il sistema di giustizia senza corrispondere ad alcun bisogno di giustizia propriamente detto;
2) con riferimento all'articolo 48:
a) il Senato ha approvato con poche modificazioni il testo del disegno di legge già varato dalla Camera, sul quale la Giunta della sezione Cassazione dell'Associazione nazionale magistrati ha ribadito, con il documento del 16 marzo 2009, un giudizio critico, in un motivato documento adottato all'unanimità. L'Assemblea della Cassazione, convocata il giorno 28 ottobre 2008 dal Primo Presidente, pur non avendo adottato alcun deliberato formale, ha registrato il susseguirsi di interventi molto critici sulle progettate norme, soprattutto con riferimento ai gravi inconvenienti pratici determinati dalla imperfetta formulazione delle stesse e ai gravi profili di incostituzionalità che la riforma presentava. Il Consiglio Superiore della Magistratura e l'Associazione Nazionale Magistrati hanno formulato analoghi rilievi. Il Consiglio Nazionale Forense si è espresso il 25 febbraio 2009 manifestando una motivata preoccupazione per lo stravolgimento delle funzioni della Corte di legittimità che la riforma provocherebbe, per i suoi riflessi ordinamentali e per i suoi aspetti di illegittimità costituzionale. Da ultimo, critiche altrettanto unanimi ed altrettanto ferme sono state espresse da avvocati e docenti nel convegno organizzato l'11 marzo 2009, congiuntamente dall'Ordine

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degli avvocati di Roma e dall'Organismo Unitario dell'Avvocatura. Infine, anche molti autorevoli esponenti dell'accademia hanno manifestato il proprio dissenso. Su questa linea si sono espressi tutti gli organismi ascoltati in sede di audizione presso le competenti Commissioni delle Camere;
b) il problema nasce dalla formulazione del nuovo articolo 360-bis, che stabilisce, al suo primo comma, le quattro ipotesi in presenza delle quali il ricorso per cassazione «è dichiarato ammissibile». È stato rilevato in particolare che risulterebbe attribuita alla Cassazione la possibilità di dichiarare inammissibile - e quindi di decidere di non giudicare, neppure al fine di dichiarare la manifesta infondatezza - un ricorso proposto in conformità alle forme e ai termini stabiliti dalla legge e che denunzi una violazione di legge. Ciò in palese contrasto con l'articolo 111, settimo comma, della Costituzione, secondo il quale «contro le sentenze è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge». Si avrebbe, poi, automaticamente una sorta di abrogazione implicita dell'articolo 360, primo comma n. 5. La sentenza di merito non potrebbe più essere impugnata per vizio di motivazione. Inoltre, la norma rende del tutto indecifrabili i rapporti tra essa ed il precedente articolo 360 del codice di procedura civile. Infine, è molto difficile sostenere che una simile riforma avrebbe risultati positivi in termini di deflazione del lavoro della Corte;
c) la decisione sull'ammissibilità del ricorso e cioè la decisione se la Corte di cassazione debba o meno decidere il ricorso è rimessa alla valutazione di un collegio formato da tre magistrati (senza che sia precisato come gli stessi siano nominati). Per tale valutazione - salvo i casi di contrasto con precedenti decisioni o di novità della questione - la legge non detta alcuna direttiva né alcun criterio, sicché si tratta di una decisione arbitraria (la formula legislativa «questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento» non ha, ovviamente, alcun valore precettivo, cioè non precisa cosa i tre giudici debbono fare, come debbano decidere e sulla base di quali ragioni. Per ottenere che la Corte riesamini una questione, non sarebbe più sufficiente proporre nuovi e persuasivi argomenti, ma diverrebbe necessario che i tre giudici ai quali è rimessa la verifica di ammissibilità ritengano che la Corte «debba pronunziarsi», senza che la norma dica nulla sui criteri in base ai quali essi debbono operare tale valutazione;
d) la decisione - di ammissibilità o di inammissibilità - verrebbe adottata dal collegio di tre magistrati, con ordinanza non impugnabile, emessa a seguito di procedimento in camera di consiglio per il quale la norma rinvia alla disciplina di cui all'articolo 380-bis: a seguito di un esame collegiale preliminare, se il collegio si orienta per l'inammissibilità, uno dei componenti ne riferisce in una relazione che viene comunicata alle parti e al pubblico ministero, i quali hanno la facoltà di depositare memorie e di essere sentiti in camera di consiglio. Vengono richiamati i commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 380-bis, ma non il quinto comma. Ne consegue che, se anche il collegio, melius re perpensa, giungesse a ritenere che il ricorso è ammissibile, lo dovrebbe giudicare esso stesso - in formazione ristretta e in camera di consiglio - e non rinviare la causa alla pubblica udienza;
e) la decisione di ammissibilità in definitiva appare indirizzata a divenire eccezionale, affidata a parametri di estrema elasticità e di quasi nessuna vincolatività, come si è detto. In realtà, questo esame preliminare di ammissibilità rappresenta il vero e proprio guardiano alla porta di accesso alla Corte. Un guardiano chiamato a selezionare gli accessi in base a credenziali in buona misura «politiche», sia pure di politica giudiziaria o di «politica nomofilattica»;
f) nella Relazione di inaugurazione dell'anno giudiziario 2009, il Primo Presidente della Cassazione plaudiva all'iniziativa

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governativa per l'introduzione di questo «filtro» e si augurava che il Governo mantenesse il testo originario e non consentisse ulteriori modifiche dello strumento «che lo snaturerebbero e ne annullerebbero l'utilità e la funzionalità». Aggiungeva, ancora, a sostegno di quest'auspicio, che «si tratta di una riforma fondamentale, che avrebbe un duplice, rilevantissimo beneficio: per la Corte stessa, non più oberata da questioni «bagatellari»; per l'intero sistema, Giustizia poiché consentirebbe alla Corte di concentrarsi ancor più sul suo ruolo «di indirizzo», migliorando tempi dei processi e certezza degli indirizzi». In realtà, è facile rilevare come i «presunti» benefici, che dovrebbero derivare dall'introduzione di un simile meccanismo di limitazione di accesso al giudizio di legittimità, non solo non siano ragionevolmente prevedibili alla luce del testo del nuovo articolo 360-bis, ma si ricolleghino ad un modello di «filtro» che non è quello previsto dall'articolo 360-bis. È vero che anche in Francia, a partire dal 2001, è previsto il meccanismo delle formations restreintes composte da tre giudici chiamati a decidere - attraverso un esame preliminare - sul rigetto dei ricorsi inammissibili o manifestamente infondati. Ma nel sistema francese: queste formazioni ristrette sono costituite all'interno di ogni sezione; un membro del collegio o una delle parti possa far domanda per rinviare l'esame alla chambre in composizione ordinaria. Occorre ricordare che nel sistema tedesco l'ammissibilità del ricorso davanti alla Corte di revision sino al 2001 era subordinata ad un criterio «patrimoniale» (valore della causa pari ad almeno 60.000 marchi). La riforma del 2001 ha abolito tale limite, ma ha introdotto un meccanismo di controllo del gravame affidato al giudice che ha emesso la sentenza. Infatti, l'accesso al grado superiore è subordinato all'autorizzazione alla impugnazione indicata in sentenza (Zalassung) e va comunque rilasciata ove la causa rivesta «importanza di principio», per una questione di diritto di interesse generale od in ipotesi di Divergenz (quando la decisione si discosti dalla giurisprudenza di vertice) al fine di garantire l'uniformità e lo sviluppo della giurisprudenza. La riforma ha anche previsto la possibilità di riesame del diniego del giudice a quo da parte dei Senate della Corte di revisione. Secondo l'articolo 543 Z.P.O., nel testo novellato dalla riforma del 2001, l'impugnazione può avere corso quando la questione di diritto sia di importanza fondamentale, allorché l'evoluzione del diritto o la salvaguardia dell'uniformità della giurisprudenza richiedano una decisione della Suprema Corte, o in presenza della violazione di fondamentali principi procedurali;
g) è evidente, dunque, che l'introduzione nel nostro sistema di un modello di «filtro» simile a quello francese o tedesco porrebbe dubbi non irragionevoli di legittimità costituzionale alla luce degli articolo 24 e 111, settimo comma, della Costituzione. Ma è parimenti evidente che il duplice, rilevantissimo beneficio ricollegato all'introduzione dell'articolo 360-bis sia difficilmente giustificabile con riferimento alla proposta formulazione di quest'articolo ed al modello di «filtro» ivi ideato. Né l'applicazione dell'articolo 360-bis potrà portare all'eliminazione delle «questioni bagatellari» che oberano la Corte, visto che dalla formulazione dell'articolo non emerge alcun riferimento - e non poteva essere diversamente, stante il settimo comma. dell'articolo 111 Cost. - né al valore né alla materia della controversia con riferimento alla quale dovesse essere proposto il ricorso;
h) è estremamente difficile che uno strumento come quello delineato dall'articolo 360-bis migliorare i «tempi dei processi» e la «certezza degli indirizzi» - secondo gli auspici del Primo Presidente della Cassazione - visto che, da un lato, la fase di «filtro» costituirebbe comunque un'ulteriore fase del giudizio davanti alla Cassazione che andrebbe ad aggiungersi al normale giudizio inevitabilmente allungandone i tempi di trattazione e, dall'altro lato, non può ritenersi sufficiente l'introduzione del «filtro» per ritenere assicurata l'uniformità degli indirizzi della

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Corte. Affidare il «filtro» ad un collegio formato ad hoc, che deve esaminare tutti i ricorsi proposti (allo stato, oltre 100.000), se può, in teoria, incidere sui tempi del giudizio in Cassazione perché toglierebbe di mezzo i ricorsi senza possibilità di accoglimento, per essere svolto in maniera corretta ed approfondita richiede molto più tempo di quello che impiegherebbe la sezione ad eseguire il medesimo esame preliminare sui ricorsi ad essa affidati. Pertanto, se si vuole tener ferma la volontà di introdurre un «filtro» all'accesso in Cassazione, la soluzione non può non essere conforme al dettato costituzionale dell'articolo 111, 7o co., Cost. e va trovata nell'alveo già segnato dagli artt. 375 e 380 bis c.p.c. e sul terreno organizzativo interno alla stessa Corte. Il rischio da evitare ad ogni costo è di confondere i mezzi con il fine. Ed in questo caso il fine non è quello di introdurre un «filtro» all'accesso in Cassazione purché sia, ma di trovare il modo di farla funzionare al meglio, senza ledere garanzie costituzionali;
3) con riferimento all'articolo 55:
a) l'ampiezza del compito attribuito con la norma di delega rende palese l'assoluta genericità dei principi e dei criteri direttivi, tali da impedire che la delega possa esplicarsi con significativa efficacia. Le lacune che caratterizzano la norma, sotto questo profilo, sono infatti tali da restringere l'opera del legislatore-delegato in modo non coerente con le esigenze che pure la norma si propone di soddisfare e, in caso ciò non accada, da esporre le norme delegate a censure di legittimità costituzionale. Al riguardo, è sufficiente ricordare quanto accaduto sia con le norme del processo societario, sia con le disposizioni concernenti le sezioni specializzate per la proprietà intellettuale ed industriale, che hanno costituito oggetto di numerose censure sollevate dai giudici comuni, non poche delle quali accolte dalla Corte costituzionale. Disseminare il processo di queste «mine a tempo» vuol dire rallentare i processi e non danno quella certezza che è, invece, il bene primario che il legislatore ordinario deva garantire alla disciplina del processo;
b) è sufficiente ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale: l'esigenza della determinazione di princìpi e criteri direttivi e della definizione dell'oggetto della delega è particolarmente pressante quanto meno delimitato e specifico è il compito affidato al legislatore delegato (sentenza n. 292 del 2000); benché non debba ritenersi preclusa dall'articolo 76 Cost. la delimitazione dell'area della delega effettuata mediante il ricorso a clausole generali, occorre che esse siano accompagnate dall'indicazione di adeguati e puntuali principi e criteri direttivi (sentenza n. 159 del 2001); nell'ambito di una delega diretta a rivedere e riordinare una normativa vigente, la «revisione» e il «riordino», in quanto possono comportare l'introduzione di innovazioni della disciplina preesistente, esigono la previsione di principi e criteri direttivi, idonei a circoscrivere le scelte discrezionali del Governo (sentenze n. 239 del 2003 e n. 354 del 1998); sebbene la delega legislativa non escluda ogni discrezionalità del legislatore delegato, questa può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega (ordinanze n. 213 del 2005, n. 490 del 2000); la delega che ha ad oggetto il riassetto di norme preesistenti giustifica l'introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente soltanto se siano stabiliti principi e criteri direttivi volti a definire in tal senso l'oggetto della delega ed a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato (sentenze n. 170 del 2007; n. 239 del 2003 e n. 354 del 1998);
c) all'articolo 55, numero 4), lett era B), numero 2), non appare opportuno mantenere l'inciso «restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario» in quanto, di fatto, si introdurrebbe un procedimento sommario nuovo diverso da quello previsto dall'articolo 52, che recita espressamente: «Se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione

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non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l'udienza di cui all'articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II» (nuovo articolo 703, terzo comma del codice di procedura civile.). L'appello avverso l'ordinanza di primo grado serve tra l'altro a convertire il processo da sommario in processo a cognizione piena (nuovo articolo 702-quater del codice di procedura civile). Se l'inciso non dovesse essere soppresso ne deriverebbe di fatto che, accanto al procedimento sommario generale disciplinato dall'articolo 52, verrebbe introdotto un ulteriore procedimento sommario speciale con funzione non più decisoria, in quanto non suscettibile di essere trasformato nel rito ordinario neppure in appello, con risultati opposti alla semplificazione;
d) all'articolo 55, numero 4), lettera B), numero 3), occorre eliminare la frase «ovvero titolo II del codice di procedura civile». L'alternativa appare pericolosa, e dunque per come formulata va soppressa, perché di fatto consente al legislatore delegato di scegliere discrezionalmente fra il processo davanti al tribunale o quello davanti al giudice di pace, cioè fra due riti molto diversi fra loro, senza indicare i criteri ai quali improntare la scelta;. È è importante, invece, che il rito tendenzialmente «unico» sia quello ordinario davanti al tribunale;
e) all'articolo 55, numero 4), lettera c), la formulazione: «la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lettera b) non comporta l'abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile» va soppressa, perché di fatto consente al legislatore delegato di mantenere in vita gli elementi caratteristici dei riti speciali e dunque di far rientrare dalla finestra ciò che si vorrebbe far uscire dalla porta; si suggerisce perciò la seguente riformulazione: «nella riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lettera b) il legislatore delegato deve comunque far salve le disposizioni della legislazione speciale che disciplinano attività processuali delle parti o del giudice finalizzate a produrre effetti non conseguibili con le norme del rito a cui il procedimento della legislazione speciale viene ricondotto»;
f) all'articolo 55, numero 4), lettera d), non si dice alcunché sulla disciplina transitoria, che diventa determinante al fine di rendere funzionale la semplificazione dei riti: la soluzione migliore in questo caso dovrebbe essere quella di rendere applicabile la nuova disciplina anche alle cause già pendenti al momento dell'entrata in vigore dei decreti legislativi. Si suggerisce la seguente disposizione: «la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lettera b) è applicabile anche alle cause già pendenti alla data di entrata in vigore del o dei decreti legislativi, previa pronuncia, anche fuori udienza, di ordinanza di mutamento del rito nel rispetto del contraddittorio fra le parti»;
g) all'articolo 55, numero 4), lettera e), la formulazione andrebbe corretta relativamente al riferimento alle disposizioni processuali in materia di famiglia. Infatti, il rito relativo al divorzio andrebbe ricondotto alla medesima disciplina della separazione mentre nell'attuale formulazione i due istituti nonostante l'omogeneità della materia resterebbero diversamente disciplinati;
h) all'articolo 55, numero 5), è opportuno prevedere una disciplina per i giudizi pendenti relativi al rito che si abroga prevedendo che: «per le controversie pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, il tribunale, se competente, dispone con ordinanza il mutamento del rito, designa il giudice istruttore e fissa l'udienza di cui all'articolo 183 del codice di procedura civile; altrimenti, con ordinanza rimette la causa davanti al giudice competente fissando un termine perentorio non superiore a 30 giorni per la riassunzione»; aggiungendo inoltre: «È altresì abrogato l'articolo 70-ter delle disposizioni

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di attuazione del codice di procedura civile»;
i) l'articolo 55, comma 6, va soppresso poiché mantiene in vita un rito abrogato, così contraddicendo l'intento di unificazione dei riti. Occorre, infatti, precisare che una delle cause di proliferazione dei riti è stata proprio prodotta dalla diversificazione del periodo di vigenza delle norme processuali via via introdotte;
4) con riferimento all'articolo 62:
a) coerentemente con il sistema, che rimette al comitato dei creditori la pronuncia di un parere vincolante sulla proposta di concordato fallimentare (parere di convenienza rispetto alla liquidazione fallimentare), in caso di pluralità di proposte appare logico rimettere allo stesso organo anche la scelta di quella più favorevole, da sottoporre al voto dei creditori. Peraltro, rimettere al comitato dei creditori un assoluto ed insindacabile potere di scelta della proposta più conveniente implica il rischio di un conflitto di interessi, in quanto i componenti di tale organo potrebbero esprimere il loro favore per una proposta o per un'altra non già in considerazione della generale convenienza di quella posta in votazione, ma in previsione della soddisfazione del loro credito o di quello della categoria di appartenenza. Non vi sarebbe dunque più alcun controllo sulla effettività della scelta della proposta più conveniente per la massa.
b) in concreto potrebbe essere molto difficile scegliere quella più conveniente, dal momento che le varie proposte presentate potrebbero non essere omogenee, soprattutto con riferimento alle modalità di soddisfazione dei creditori, oggi previste - con le Riforme del 2006 e 2007 - anche nelle forme diverse dal mero soddisfacimento in denaro. Appare allora opportuno prevedere che il curatore - già chiamato ad esprimere un parere, sia pure non vincolante, sulla convenienza delle varie proposte rispetto alla liquidazione fallimentare - possa chiedere al giudice delegato di far sottoporre al voto dei creditori non solo la proposta prescelta dal comitato dei creditori, ma anche quella (o quelle altre) da ritenere altrettanto o più convenienti; in modo tale da rimettere all'effettivo giudizio di tutti creditori la scelta della proposta effettivamente più conveniente per loro. Si tratta di soluzione che, da un lato, consente di superare i segnalati problemi di conflitto di interesse o, comunque, di scelta non appagante effettuata dal comitato dei creditori (scelta che, in relazione al meccanismo previsto dall'articolo 128, secondo comma , della legge fallimentare, potrebbe essere decisiva); e, dall'altro, attribuisce al giudice delegato, ma solo su proposta del curatore, un potere di allargamento del ventaglio delle opportunità di voto sulla convenienza, del tutto coerente con la generale previsione dell'articolo 41, quarto comma, della legge fallimentare., espressamente richiamato dalla norma per il caso di difetto di funzionamento del comitato dei creditori. La possibilità che più proposte concordatarie vadano in votazione contemporaneamente implica la necessità di modificare anche la disciplina del voto di cui all'articolo 128 della legge fallimentare, al limitato fine di individuare criteri obiettivi attraverso i quali i creditori possano operare la scelta tra le varie proposte. Il primo criterio da indicare è, ovviamente, quello del maggiore consenso (o minore dissenso); subordinatamente, in caso di più proposte approvate con pari consensi, non potrà che essere avviata all'omologa la proposta presentata per prima, così dandosi un vantaggio a chi si è attivato con maggiore tempestività e indicandosi un criterio residuale del tutto oggettivo. Ciò in linea con la finalità, propria di tutto il disegno di legge, di incentivare soluzioni di trapasso, in questo caso di aziende o patrimoni, nelle condizioni di maggiore celerità e sicurezza giuridica;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente condizione:
sia soppresso l'articolo 48 o, in subordine, sia modificato in base a quanto

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esposto nel punto numero 2) della premessa;

e con le seguenti osservazioni:
a) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di modificare l'articolo 46 secondo quanto esposto al punto numero 1) della premessa;
b) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di modificare l'articolo 55 secondo quanto esposto al punto numero 3) della premessa;
c) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di modificare l'articolo 62 secondo quanto esposto al punto numero 4) della premessa;
Ferranti, Samperi, Pollastrini, Tenaglia, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Farina, Mantini, Melis, Rossomando, Tidei, Touadi, Vaccaro.

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ALLEGATO 3

Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie per il dolore. C. 624 Binetti ed abb.

PARERE APPROVATO

La Commissione Giustizia,
esaminato il testo unificato in oggetto,

rilevato che:
l'articolo 15 del provvedimento, in tema di semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nelle terapie del dolore, tra l'altro, inserisce nella tabella II, sezione B, allegata al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) la sostanza con la seguente denominazione comune: «Delta-8-tetraidrocannabinolo (THC)»;
l'inserimento di una sostanza in una delle tabelle del citato testo unico incide non solo sulle modalità della relativa prescrizione medica, ma anche su taluni dei presupposti che caratterizzano le attività illecite di cui all'articolo 72 nonché il quadro sanzionatorio complessivamente previsto dal predetto testo unico, con particolare riferimento agli articoli 73, 75, 79 e 82;
l'appartenenza della sostanza alla tabella II, sezione B, in alcuni casi rileva come elemento costitutivo dell'illecito e in altri casi rileva come circostanza attenuante;

esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente osservazione:
con riferimento all'articolo 15, valuti la Commissione di merito l'opportunità di approfondire i riflessi sul sistema sanzionatorio predisposto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, derivanti dall'inserimento del «Delta-8-tetraidrocannabinolo (THC)» tra le sostanze di cui alla tabella II, sezione B, allegata al medesimo Decreto.