Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 830 di lunedì 10 luglio 2017

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

La seduta comincia alle 12.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNALISA PANNARALE, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 7 luglio 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Bellanova, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Buttiglione, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Migliore, Orlando, Pisicchio, Portas, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Tabacci, Tancredi, Simone Valente, Valeria Valente, Velo e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio dello scioglimento di un gruppo parlamentare .

PRESIDENTE. Comunico che l'Ufficio di Presidenza, nella riunione del 4 luglio 2017, ha preso atto che per il gruppo parlamentare Civici e Innovatori non sussistono i requisiti di cui all'articolo 14, commi 1 e 2, del Regolamento. Conseguentemente, a decorre dalla data odierna, il predetto gruppo parlamentare è da ritenersi sciolto e i suoi componenti devono intendersi iscritti al gruppo Misto.

Annunzio della formazione di una componente politica nell'ambito del gruppo parlamentare Misto .

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito della richiesta pervenuta in data odierna, è stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, del Regolamento, la formazione della componente politica denominata “Civici e Innovatori” nell'ambito del gruppo parlamentare Misto, a cui aderiscono i deputati Alberto Bombassei, Ivan Catalano, Antimo Cesaro, Stefano Dambruoso, Adriana Galgano, Gianfranco Librandi, Andrea Mazziotti Di Celso, Domenico Menorello, Bruno Molea, Giovanni Monchiero, Mara Mucci, Roberta Oliaro e Giuseppe Stefano Quintarelli.

Nelle more della nomina degli organi della componente previsti dallo statuto del gruppo Misto, la rappresentanza della componente medesima è affidata al deputato Giovanni Monchiero.

Modifica nella composizione del Comitato per la legislazione .

PRESIDENTE. Comunico che venerdì 7 luglio è venuto a scadenza il quinto turno di presidenza del Comitato per la legislazione del deputato Andrea Giorgis.

Ai sensi artico 16-bis, comma 2, del Regolamento, e sulla base dei criteri stabiliti dalla Giunta per il Regolamento il 16 ottobre 2001, le funzioni di presidente del Comitato per il sesto turno di presidenza sono state assunte, a decorrere dall'8 luglio, dal deputato Tancredi Turco; le funzioni di vicepresidente sono state assunte dalla deputata Marilena Fabbri.

Le funzioni di segretario restano affidate alla deputata Francesca Businarolo.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, recante disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A . (A.C. 4565-A) (ore 12,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 4565-A: Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, recante disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.

Ricordo che nella seduta del 4 luglio sono state respinte le questioni pregiudiziali Sibilia ed altri n. 1, Busin ed altri n. 2 e Rampelli ed altri n. 3.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4565-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

La Commissione VI (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Giovanni Sanga.

GIOVANNI SANGA, Relatore per la maggioranza. Grazie, Presidente. La conversione di questo decreto ha fatto discutere molto in queste settimane. Abbiamo discusso in Aula per le pregiudiziali, in Commissione, ora di nuovo in Aula; si è discusso nei tanti luoghi di dibattito e di confronto nel nostro Paese, si è discusso sui territori. Le banche coinvolte avevano un forte radicamento territoriale, rappresentavano un punto di riferimento imprescindibile, soprattutto per le comunità del Veneto. Queste banche sono state spesso identificate con l'intraprendenza, la laboriosità, il rigore, la solidità di quelle terre, terre segnate da un forte dinamismo imprenditoriale, da una cultura del lavoro, che non ha eguali in Italia e in Europa. Quello che è avvenuto ha sconvolto l'intero Paese. Negli ultimi tempi, dietro la parvenza dell'efficienza e della garanzia, che questi istituti di credito manifestavano, si nascondevano illegalità diffuse, clientele, interessi personali, una gestione criminale dell'azienda e dell'erogazione del credito, che ha seminato sconcerto, disprezzo, ha distrutto un rapporto di fiducia ultra secolare. Presidente, mi è capitato di partecipare a dibattiti pubblici in Veneto su questi temi.

Ho toccato con mano le sofferenze degli abitanti, che invocano giustizia sulle malefatte di quegli amministratori e noi vogliamo essere sicuri che la giustizia possa e debba fare il suo corso fino in fondo sul piano delle responsabilità penali e patrimoniali, distinguendo l'agire degli amministratori colpevoli da quelli che negli ultimi tempi hanno retto la sorte di questi istituti per evitarne il tracollo e il fallimento. In quei dibattiti emergevano spesso i racconti inquietanti e le trame di presunte commistioni tra gli amministratori della Banca Popolare di Vicenza e della Veneto Banca con il sistema di potere locale, non solo per la parte politica che da tempo governa quelle lande, ma anche di un certo mondo professionale, di settori dell'imprenditoria e della pubblica amministrazione, che più volte e in diverse occasioni si sono seduti allo stesso banchetto.

Presidente, lo abbiamo detto più volte in quest'Aula, l'Italia insieme all'Europa e al mondo occidentale ha vissuto in questi anni una crisi profonda, più precisamente ha vissuto anni di recessione, che hanno portato a meno 11 per cento di prodotto interno lordo, meno 25 per cento di produzione industriale, meno 30 per cento di investimenti. Questa crisi profonda ha coinvolto l'intero sistema produttivo del Paese, anche le terre dinamiche e creative da un punto di vista imprenditoriale. Nelle regioni Veneto e Lombardia alcuni settori dell'economia hanno assunto un'altra fisionomia, si pensi solo al comparto dell'edilizia, dove sono cessate la metà delle imprese e dimezzati i lavoratori. Il sistema bancario non poteva non risentirne, le sofferenze e i crediti deteriorati sono cresciuti a dismisura. Premesso questo, in Veneto è successo qualcosa di più, oltre alla crisi: una gestione dissennata al di là di ogni regola di buona amministrazione ha portato al dissesto delle due banche e, quindi, alle decisioni non più rinviabili di questa settimana.

Dopo giorni frenetici di valutazioni, analisi, esami comparati tra il nostro Governo e le autorità competenti, l'organismo di vigilanza ha dichiarato che le due banche erano ormai in uno stato di probabile fallimento. La procedura di ricapitalizzazione precauzionale non è stata considerata percorribile, in quanto la DG Competition aveva chiesto più di un miliardo di capitali privati, oltre ai fondi pubblici, ma i capitali privati non si sono più resi disponibili. Di fronte al rischio del fallimento, del tracollo del sistema veneto, con gli effetti devastanti per l'economia italiana, le autorità europee ed il nostro Paese hanno allora concordato sulla procedura di liquidazione coatta amministrativa: è il decreto che stiamo esaminando oggi, Presidente.

Lo voglio dire a tutti coloro che sono stati turlupinati e imbrogliati: questo decreto non può fare miracoli e riportare indietro il tempo e le lancette dell'orologio, ma mette certamente un punto alla crisi generata in questi anni. L'accordo con Banca intesa, risultato di una procedura, che poi avrò modo di descrivere, era forse l'unico possibile nel contesto attuale del panorama del settore creditizio. Non dobbiamo avere reticenze alcune, Banca Intesa è una delle più solide banche a livello europeo. Altri istituti sono già impegnati nel nostro Paese in azioni importanti di risanamento: UBI ha rilevato le tre banche in risoluzione, a seguito dei procedimenti del 2015, UniCredit è stato impegnato in una rilevante operazione di aumento di capitale dal valore di 13 miliardi di euro nei mesi appena trascorsi, Banca Popolare di Milano e Verona hanno costituito all'inizio del 2017, di quest'anno, la nuova banca Banco BPM, il gruppo Iccrea sta intensamente lavorando con le BCC sul territorio, al fine di dare seguito alla riforma del credito cooperativo che lo scorso anno il Parlamento ha approvato. Questo per citare i principali istituti di credito italiano. Stiamo allora con i piedi per terra, guardiamo alla realtà per quella che effettivamente è, per come si presenta.

Il decreto del 25 giugno ha consentito che il lunedì mattina tutti gli sportelli bancari della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca fossero di nuovo aperti, i correntisti avessero garantiti i loro depositi, gli imprenditori potessero mantenere le linee di credito, i mutui e i finanziamenti per le attività produttive, le famiglie e le aziende guardassero avanti, al domani, con maggior fiducia e serenità. Nessun dipendente è stato licenziato e, quindi, nessuno ha perso il posto di lavoro; occorre restituire serenità ad una comunità, quella del Veneto, che molto ha dato alla crescita sociale e allo sviluppo economico dell'intero nostro Paese.

Mi soffermo su alcuni aspetti del provvedimento in esame, lasciando, invece, agli atti la descrizione più puntuale di ogni articolo.

Primo, la selezione dell'acquirente, Banca Intesa San Paolo, che è stato individuato sulla base di una procedura aperta e trasparente che ha coinvolto sei potenziali acquirenti, cinque gruppi bancari e un gruppo assicurativo. È stata fatta un'asta con due offerte di acquisto vincolanti, quella di Intesa è risultata essere la migliore, idonea ad assicurare la continuità aziendale; così si legge nella relazione della Banca d'Italia inviata al Parlamento.

Secondo, sul tema “aiuti di Stato”. È stata molto discussa questa questione, direi, anche, strumentalmente e a sproposito, in questi giorni. Sempre Banca d'Italia ribadisce che l'operazione nel suo complesso e, in particolare, la scelta di erogare un aiuto di Stato nell'ambito della procedura di liquidazione nazionale, è pienamente conforme con la normativa europea ed è stata valutata compatibile con le norme sugli aiuti di Stato. Gli orientamenti sugli aiuti di Stato nel settore bancario, contenuti nella comunicazione dell'agosto 2013, consentono, a determinate condizioni, l'erogazione di sostegno pubblico, finalizzato all'uscita ordinata della banca in crisi dal mercato.

Terzo, le risorse messe a disposizione per l'intervento non conteranno ai fini del rispetto del Patto di stabilità. Questo lo ha dichiarato il Vicepresidente della Commissione europea. Il sostegno sarà considerato una tantum.

Quarto, Banca Intesa acquista le due banche e le società controllate da queste a un euro, ma che cosa acquista? Acquista 45,9 miliardi di attivo, così distribuiti: 3,8, credito verso banche; 3,1, crediti in bonis verso la clientela; 8,8, attività finanziarie; 3,2, poste diverse. Acquista anche 51,3 miliardi di passività, 9,3 miliardi di debiti verso banche, 25,8 miliardi di debiti verso la clientela, 11,8 miliardi di titoli in circolazione. E, allora, lo sbilancio, 51,3 meno 45,9, cioè 5,4 miliardi, è un valore provvisorio che è destinato ad aumentare, poiché vi sono crediti in bonis di minore qualità che hanno un'alta probabilità di trasformarsi in crediti deteriorati; inoltre, occorrerà fare la due diligence per la verifica effettiva del valore delle poste.

Lo Stato esborsa per cassa circa 4,8 miliardi di euro, di cui 3,5 per coprire i fabbisogni di capitale che si generano in capo a Intesa per l'operazione e 1,3 miliardi per le misure di ristrutturazione aziendale che Intesa dovrà attivare.

Inoltre, lo Stato mette a disposizione garanzie per circa 12 miliardi; sono garanzie e non esborsi effettivi, infatti, se analizziamo la relazione tecnica allegata al testo del decreto, possiamo sintetizzare che la procedura di liquidazione quantifica impegni per il realizzo delle attività per circa 10,6 miliardi, ma a fronte di un recupero dei crediti deteriorati di ben 11,6 miliardi. Nel tempo, a chiusura dell'operazione, si stima un avanzo di un miliardo che andrà ad ulteriore beneficio degli investitori danneggiati, quindi anche gli azionisti.

Quinto, i crediti deteriorati; crediti deteriorati che non passano in capo Intesa, ma saranno ceduti alla Società per la Gestione di Attività Spa, una società sotto il controllo del Ministero dell'Economia e delle finanze che vanta precedenti con alta performance nel recupero dei crediti deteriorati. Nel caso in esame, su un totale di 17,8 miliardi, si stima, appunto, un recupero di circa 10 miliardi.

Sesto, le misure di ristoro per gli obbligazionisti subordinati; si prevede la facoltà di accedere alle prestazioni del Fondo di solidarietà, istituito dalla legge di stabilità del 2016 e definito con i provvedimenti, poi, successivi. I titoli subordinati devono essere sottoscritti entro la data del 12 giugno 2014, deve trattarsi di debito emesso nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con le due banche emittenti; gli investitori devono detenere un patrimonio mobiliare di proprietà inferiore ai 100.000 euro o un reddito complessivo ai fini Irpef, nell'anno 2014, inferiore a 35.000 euro; l'indennizzo forfettario è pari all'80 per cento dal corrispettivo sostenuto con alcune correzioni. Nel caso delle due banche venete, Banca Intesa, a titolo di ristoro per i piccoli risparmiatori detentori di obbligazioni subordinate, metterà a disposizione ulteriori 60 milioni di euro. Possiamo stimare, quindi, un indennizzo finale di circa non l'80, ma il 100 per cento.

Presidente, lascio agli atti l'analisi puntuale di ogni singolo articolo del provvedimento e concludo, facendo rilevare e sottolineando, in quest'Aula, l'impegno di questo Governo, l'impegno del Governo Renzi, della legislatura in corso, sulla questione banche, un impegno che è stato davvero rilevante. Resterà nella storia, ma non per le polemiche alimentate ad arte per scopi propagandistici, ma per le riforme attuate, riforme invocate da decenni e fondamentali per la tenuta stessa del sistema finanziario ed economico, sociale ed imprenditoriale del nostro Paese.

Potremmo fare un lungo elenco di provvedimenti approvati per tenere in piedi non i banchieri, come qualcuno sostiene, ma per tutelare i risparmiatori e le famiglie, per tutelare i correntisti e le aziende italiane. Cito soltanto la riforma delle banche popolari che non è mai stata oggetto, purtroppo, di un confronto serio, ma per lo più è stata segnata da un dibattito sempre molto strumentale. Ebbene, questa riforma ha fatto venire a galla i fenomeni negativi che ho più volte richiamato. E poi la riforma delle banche di credito cooperativo che, oggi, si stanno organizzando e strutturando in gruppi, gruppi che devono garantire l'autonomia delle singole BCC e che, attraverso il contratto di coesione, definiranno l'insieme dei legami fra loro e delle garanzie solidali. E, poi, Presidente, questo intervento, con questo decreto, è indispensabile per salvare i risparmi di 2 milioni di famiglie, il lavoro di circa 200.000 imprese, con l'occupazione di circa 3 milioni di persone, nonché con l'occupazione diretta del personale delle banche.

PRESIDENTE. Onorevole Sanga, lei è autorizzato, ovviamente, a consegnare il testo completo della sua relazione.

Ha facoltà ora di intervenire, se lo ritiene, il rappresentante del Governo, che si riserva di farlo successivamente.

È iscritto a parlare il deputato Giampaolo Galli. Ne ha facoltà.

GIAMPAOLO GALLI. Grazie, Presidente. L'intervento oggi in discussione è un intervento necessario; come è stato appena detto, non salviamo i banchieri, ma le famiglie e le imprese che hanno rapporti con le due banche, i lavoratori e il territorio.

È facile capire cosa succederebbe se il decreto non fosse convertito; il mattino dopo, domani stesso, i depositanti correrebbero a ritirare i loro risparmi e le banche sarebbero costrette a richiamare i prestiti con effetto immediato. Si è detto che non è vero, che questa è un'esagerazione, perché c'è il Fondo di garanzia dei depositi, ma il Fondo garantisce depositi fino a 100.000 euro e molti depositi, specie di imprese anche piccole, stanno sopra questa soglia. Inoltre, i depositanti più piccoli, nell'incertezza e malgrado tutte le rassicurazioni, finirebbero per ritirare ugualmente i loro depositi, una massa considerevole di titoli all'attivo delle due banche sarebbe gettata sul mercato, con effetti destabilizzanti anche sul mercato obbligazionario. Inoltre e soprattutto, verrebbe minata la fiducia nell'intero sistema bancario italiano.

Naturalmente, è lecito ritenere che ci fossero altre soluzioni possibili e che, nel corso del tempo, si sarebbero potute fare scelte diverse. Attenzione, però, al senno del poi. Ricordo, innanzitutto, che nella discussione che facemmo in quest'Aula, nel marzo 2015, sulla legge di trasformazione delle banche popolari, le opposizioni ci dicevano che le banche malate erano le Spa, non le Popolari. Cito una frase che fu detta in Aula, fra le tante, da un esponente del MoVimento 5 Stelle, peraltro con ottima enfasi oratoria. Diceva, questo onorevole deputato: “non possiamo permettere che ci venga detto che le Banche Popolari sono fragili e vanno trasformate in Spa; non possiamo permettere che una delle motivazioni alla base di questo decreto-legge” - quello della trasformazione, quello che si discuteva allora - “sia la scarsa disponibilità di credito alle imprese, quando dati alla mano - dati alla mano, non chiacchiere, Presidente, dati alla mano -, le uniche che hanno continuato a mantenere il credito alle imprese durante la crisi sono proprio le Banche Popolari”. In effetti, le Banche Popolari venivano difese quasi da tutti, dagli imprenditori che stavano nei consigli d'amministrazione, dalla stampa, dai politici locali e, da ultimo, da alcune opposizioni in quest'Aula, proprio perché davano credito con facilità ed erano poco attente al principio della sana e prudente gestione.

Ma perché sono emersi i problemi di queste due banche? I problemi di fondo sono stati generati dalla recessione e da una governance malata, quella che, appunto, le opposizioni, testardamente e caparbiamente difendevano, in contrapposizione con il modello, tra virgolette, “capitalistico” delle società per azioni. Ma i problemi vennero alla luce a seguito degli stress test europei del 2014, quando, per migliorare i coefficienti di capitali, le due banche iniziarono a chiedere ai loro clienti di comprare azioni a fronte dei prestiti concessi: una pratica illegale, che fu sanzionata e che indusse la vigilanza italiana ed europea a dichiarare che il capitale così raccolto non era vero capitale, e comunque non era più computabile ai fini dei coefficienti patrimoniali. Di qui, l'emergere della crisi.

Nel marzo del 2015, quando discutevamo delle Banche Popolari, noi non sapevamo dei problemi specifici delle Banche Venete, ma capivamo benissimo - e lo dicemmo - che le Banche Popolari non avrebbero potuto far fronte alle esigenze di rafforzamento patrimoniale, che erano emerse non solo in Italia, ma in tutto il mondo, con la grande crisi. E anche su questo vi fu la totale incomprensione e caparbia chiusura delle opposizioni.

Oggi, sulle Banche Venete c'è chi critica il Governo per aver perso tempo con l'ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale, che alla fine non è stata accettata dalla Commissione europea, e c'è chi lo critica per il motivo opposto: non aver sfidato la Commissione europea insistendo comunque su quell'operazione. Ora, la ricapitalizzazione precauzionale ha certamente il pregio della chiarezza, è un'operazione in cui lo Stato mette dei soldi e a fronte di questi ottiene delle azioni, tipicamente di controllo: la nazionalizzazione temporanea, come peraltro si sta facendo con Monte dei Paschi di Siena. Al Governo questa sembrava l'ipotesi più ragionevole, quindi comprensibile che abbia battuto questa strada per molti mesi. Si poteva procedere senza il consenso della Commissione? La risposta è: certamente no! Avremmo avuto un danno reputazionale molto forte e saremmo stati accusati di un illecito, cioè di dare alle banche aiuti di Stato non consentiti. Ciò avrebbe messo in dubbio la stessa sostenibilità dell'operazione. La Commissione avrebbe, poi, chiesto alle due banche di restituire i soldi, come avvenne in passato con altri aiuti di Stato dichiarati illegittimi, quali le quote latte o i contributi pubblici per i contratti di formazione lavoro. Per lo stesso motivo sarebbe stato impossibile utilizzare le risorse del Fondo interbancario di garanzia dei depositi. Questa, dunque, era una strada che non poteva essere percorsa, in particolare dopo che la Vigilanza europea dichiarò che le due banche erano in situazione fallimentare: ciò avvenne - è bene ricordarlo - solo il giorno 23 giugno, ossia il venerdì precedente alla domenica in cui fu emanato il decreto.

Si poteva, per altro verso, rinunciare prima all'ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale, in modo da fare, come qualcuno dice, le cose con tempi più adeguati. Ci sarebbe stato il tempo per fare un'asta pubblica? Si sarebbero spuntate condizioni migliori per il contribuente? La risposta, a mio avviso, è, ancora una volta, certamente negativa. Per fare l'asta, occorre dichiarare lo stato in cui si trovano le banche, insolvenza o quasi insolvenza, e cosa si vuole farne, liquidazione. Una volta che questa notizia è pubblica, occorre aver risolto il problema prima che riaprano gli sportelli, altrimenti succede un guaio enorme. Questo è il motivo per cui l'asta è stata effettuata presso intermediari nazionali ed europei in tempi molto brevi, peraltro secondo le indicazioni di schemi previsti dalla Commissione europea. Non ha alcun senso la critica di chi dice che, se ci fosse stato più tempo, si sarebbero spuntate condizioni più favorevoli per il contribuente e, quindi, meno favorevoli per il cessionario che poi è stato scelto, cioè Intesa San Paolo. Questa critica non fa i conti con la realtà, di cosa significa e quali tempi richiede la gestione della crisi di una banca.

Un'altra critica che viene mossa a questo decreto è quella secondo cui avremmo frettolosamente innovato la procedura di liquidazione. Questo è vero solo in parte e, al riguardo, credo vadano fatte due osservazioni: in primo luogo, le regole europee sul bail-in e sulle gestioni delle crisi bancarie sono nuove e la caratteristica comune a tutte le crisi bancarie verificatesi in Europa fino ad oggi è che non hanno mai applicato il bail-in. Quindi tutti hanno dovuto trovare strade innovative e ciò è avvenuto in una situazione di transizione, in cui un numero davvero eccessivo di autorità aveva un ruolo nella decisione; in secondo luogo, le crisi hanno sempre una loro specificità e difficilmente possono essere gestite senza innovare. Desidero approfondire un attimo questo punto, anche perché da qui ha origine una critica ancora più radicale al Governo: ogni crisi è stata trattata in modo diverso, il che ha dato luogo a disparità di trattamento nei confronti dei diversi stakeholder delle banche. Certamente, le disparità vanno evitate nella misura del possibile, ma la semplice verità è questa: è, di fatto, fallito il tentativo dell'Unione europea di scrivere un libro delle regole piuttosto rigido e applicabile nello stesso modo a tutte le situazioni.

Questo fallimento o, comunque, grave difficoltà ha varie ragioni, vorrei sottolinearne una che riguarda la radice profonda del problema: gli interventi sulle crisi devono avere sempre un margine di discrezionalità. Il punto - che è ben noto a tutti gli esperti almeno dal 1873, quando uno scrittore inglese scrisse un libricino prezioso intitolato Lombard Street, che è tornato di grande interesse negli ultimi anni - è che, se si scrive un libro delle regole, in cui si sa quando e come si interviene, i banchieri e i loro azionisti tenderanno ad assumere rischi eccessivi, perché, tra virgolette, “tanto, se le cose vanno male, paga lo Stato o la Banca centrale”. Per evitare che questo accada, cioè per evitare l'azzardo morale, sarebbe sensato non avere alcun libro delle regole e annunciare che lo Stato non interverrà in caso di crisi, se non per salvare i piccoli risparmiatori. Quando, però, la crisi si verifica, lo Stato deve intervenire almeno nei casi in cui rischia di essere travolto l'intero sistema. Di qui l'indicazione che gli interventi devono essere decisi di volta in volta, con margini di discrezionalità a seconda delle caratteristiche della gravità della crisi. Si può ritenere che questo sia, per molti versi, uno stato dell'arte insoddisfacente, l'Europa ha cercato di superarlo e dobbiamo prendere atto che, per ora, non c'è riuscita: un manuale per la gestione delle crisi, per ora, non c'è.

Vorrei sottolineare come non ci sia neanche negli Stati Uniti, non è solo un problema europeo, e che anche negli Stati Uniti si è proceduto per tentativi successivi e con molti errori. Vale la pena ricordare alcuni passaggi chiave di quell'esperienza, perché presentano moltissimi elementi di riflessione per mettere nella giusta luce quanto sta accadendo da noi, anche in vista dei ragionamenti che dovremo fare nella Commissione bicamerale d'inchiesta sul sistema bancario. Vedo che alcune forze politiche hanno già emesso la sentenza: le autorità sono colpevoli. Devo dire che con questo approccio è difficile fare un serio lavoro di indagine. La sentenza viene emessa prima che ci sia, come dire, il procedimento. Io trovo più utile prepararci a quel lavoro cercando di capire cosa è successo in Italia e come si confronta con quanto è successo altrove. Ricordo allora, molto in sintesi, che il 15 settembre la banca Lehman Brothers fu lasciata fallire, il giorno dopo la FED salvò AIG, la più grande assicurazione americana con un intervento per ben 85 miliardi di dollari.

Nei giorni successivi, alcune banche furono salvate con la nazionalizzazione temporanea, come stiamo facendo noi con MPS, altre con accorpamenti in banche più grandi e con l'aiuto di risorse pubbliche, come stiamo facendo con le banche venete. Lo stesso “fondo Paulson” da ben 700 miliardi di dollari, approvato il successivo 3 ottobre dal Congresso, avrebbe dovuto garantire o farsi carico degli attivi tossici delle banche; in realtà, fu usato principalmente per le ricapitalizzazioni.

Di fronte a questi fatti, molti esponenti del Congresso mossero alle autorità americane - l'Amministrazione Bush e la Fed di Bernanke - accuse che assomigliano molto alle accuse che vengono mosse oggi alle autorità italiane. Ne elenco alcune: inaccettabile che il Parlamento sia stato scavalcato; inaccettabile che nulla si sapesse circa l'utilizzo di ben 85 miliardi di dollari per la AIG; mancanza di una strategia coerente per affrontare la crisi; inaccettabile che i problemi non fossero stati compresi ed affrontati per tempo dalla vigilanza; Fed connivente o, addirittura, succube delle grandi banche di Wall Street. Tutte queste accuse le sentiamo fare anche oggi a proposito di un intervento da 5 miliardi, non da 85 o da 700 miliardi.

Barack Obama, allora candidato democratico alla Presidenza, non si unì alle critiche di comodo e, a fine 2008, appena eletto Presidente, cioè un mese dopo, scelse come Ministro del tesoro proprio quel Tim Geithner che, in qualità di presidente della Fed di New York, aveva gestito in prima persona tutte le crisi bancarie; e, nel gennaio del 2010, rinnovò il mandato a Bernanke come presidente della Fed.

Queste scelte costarono molto ad Obama in termini di reazioni populiste: Obama fu accusato di essere il Presidente dei banchieri e lo stesso movimento “Occupy Wall Street” nacque negli Stati Uniti l'anno dopo ed era rivolto, in principio, proprio contro l'amministrazione Obama, anche se poi si allargò a molti altri Paesi. In realtà, quella di Obama, con il senno di poi, fu una scelta lungimirante e coraggiosa, perché Geithner e Bernanke, ottimi banchieri centrali, avevano le conoscenze giuste per affrontare e risolvere la crisi, cosa che poi fu fatta per fortuna di tutti noi.

Oggi sappiamo che, se dopo il fallimento di Lehman le altre grandi banche non fossero state salvate, la crisi mondiale avrebbe avuto conseguenze ancora più nefaste di quelle, già terribili, che abbiamo sperimentato. Auspico che anche in Italia, alla fine, prevalga la saggezza di Obama o che, comunque, si facciano analisi serie e scevre di pregiudizi nei confronti del nostro Governo e delle nostre autorità.

Queste considerazioni sugli Stati Uniti mi aiutano anche a rispondere a quella che è l'accusa più pesante che una parte del Parlamento rivolge oggi al Governo: di aver messo, cioè, il Parlamento di fronte al fatto compiuto e di non aver dato, quindi, al Parlamento la possibilità nel tempo per modificare il decreto. Questo è un problema reale, ma vorrei dire che è un problema che si è posto sempre e ovunque nei casi di crisi bancarie. Ripeto: nel momento in cui emerge la crisi, essa va risolta immediatamente.

Aggiungo un'altra considerazione: è quasi impossibile risolvere una grave crisi prima che essa esploda. Molti oggi dicono - anche qui, il senno di poi - che si sarebbe dovuto intervenire molto prima sull'intero sistema bancario, comunque prima che entrassero in vigore le norme sugli aiuti di Stato, come fecero Germania, Spagna ed altri. Può darsi, ma l'esperienza di questi anni ci dice in modo del tutto inequivocabile che i Governi riescono ad intervenire mettendo soldi pubblici nelle banche solo quando la crisi è conclamata e sotto gli occhi di tutti. Solo allora l'opinione pubblica, forse, capisce che l'intervento è necessario.

Gli USA non avrebbero mai fatto questo senza il crollo di Lehman, lo stesso vale per la Germania, l'Olanda, il Regno Unito e tanti altri. Noi non avevamo, a differenza di altri, una crisi sistemica: avevamo focolai di crisi che avrebbero potuto ingenerare una crisi sistemica, il che è molto diverso.

Ricordo, inoltre, che gli unici interventi che furono fatti prima del 2015 in Italia furono i Tremonti e, poi, i Monti-bond per il Monte Paschi di Siena e che questi interventi sono stati usati ampiamente, ancora oggi vengono usati, nella polemica politica per dire che il Partito Democratico è intervenuto per salvare la sua banca; il che è falso, come è falso quanto si dice su Banca Etruria, che pure non ha ricevuto un euro, ha visto sanzionati i suoi amministratori, è stata commissariata e, infine, messa in risoluzione. Chissà quale sarebbe stato il favore nei confronti di questa banca?

Aggiungo che, nel caso dell'Italia, si sarebbe dovuto fare come in Spagna, dichiarando che la crisi era sistemica, attingendo al Meccanismo europeo di stabilità (MES o ESM) e sottoponendoci al programma imposto dalla cosiddetta troika. Non so quanti in questo Parlamento avrebbero approvato una scelta del genere, quanti fra coloro che oggi dicono che la crisi avrebbe dovuto essere stata risolta prima.

Essendo il relatore di questo provvedimento in Commissione bilancio, desidero infine chiarire un punto relativo ai conti dell'operazione. Alcuni deputati hanno sostenuto che è irrealistico ipotizzare, come fa la relazione tecnica, un recupero crediti per 9,9 miliardi su 17,8 miliardi di crediti deteriorati. Il problema è che questi colleghi, a mio avviso, confrontano la stima del recupero che si può ottenere nell'arco di molti anni - quella a cui fa riferimento la relazione tecnica - con i prezzi di vendita sul mercato dei crediti deteriorati, che sono del 17-20-25 per cento. Il confronto in questi termini è, dunque, disomogeneo.

Il dato della relazione tecnica è ottenuto sulla base dell'esperienza reale delle banche e della stessa SGA nel caso del Banco di Napoli. Vi sono studi specifici della Banca d'Italia che portano a questo risultato, citati nella relazione tecnica, tenendo anche conto della circostanza che i crediti deteriorati che vengono ceduti alla SGA includono non solo le sofferenze, ma anche le inadempienze probabili per 8,4 miliardi. È sempre legittimo, naturalmente, che il Parlamento discuta delle ipotesi della relazione tecnica, ma se lo si vuole fare, lo si faccia sulla base di dati reali e di confronti omogenei.

Qualcuno ha anche detto che, se questi sono i conti, non si capisce perché le due banche siano state messe in liquidazione: gli amministratori uscenti, quelli che furono scelti dal Fondo Atlante per rimediare ai guasti delle passate gestioni, potevano fare il loro recupero crediti e risanare le banche senza bisogno della liquidazione e dell'intervento di Banca Intesa. Si torna così, di fatto, all'ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale. Il fatto è che questo argomento non ha convinto la vigilanza europea che ha esplicitamente detto che i piani che erano stati sottoposti dalle due banche non erano credibili e perché lo fossero era, comunque, necessario che un investitore privato, come ha ricordato adesso l'onorevole Sanga, fosse disposto a mettere almeno un miliardo; cosa che non è avvenuta.

È certamente, infine, fantasiosa l'idea che si potesse far intervenire il Fondo interbancario di garanzia dei depositi in qualità di investitore privato mentre è in corso una controversia proprio su questo punto presso la Corte di giustizia europea.

Concludo con l'auspicio che, in questo o in altri provvedimenti, a breve si trovi il modo di accogliere almeno due richieste che sono state formulate dal relatore riguardo alla data del 1° febbraio 2016 per le misure di ristoro a favore degli obbligazionisti subordinati e alla possibilità di compensare le minusvalenze su azioni senza dover attendere la conclusione della liquidazione. Il provvedimento va, comunque, approvato nei tempi più brevi possibili al fine di eliminare ogni possibile fonte di incertezza sulla sorte dei tanti stakeholder di queste due banche (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pesco. Ne ha facoltà.

DANIELE PESCO. Grazie, Presidente. In quest'Aula si dibatte oggi l'ennesimo decreto sulle banche, ne abbiamo visti tanti da quando siamo in Parlamento e, in particolare, questo sulle banche venete: una bomba che sembrava essere disinnescata per attività anche del Governo con riferimento al cosiddetto Fondo Atlante, ma così non è stato. Il Fondo Atlante ricordiamo che era un fondo privato, ma diciamo che c'è stata una sponsorizzazione pubblica non indifferente e, quindi, possiamo dire che è stata un'operazione pubblico-privata.

Ma andiamo a guardare un po' cosa è successo negli anni, perché bisogna guardare un po' indietro. Abbiamo ricevuto molte critiche sulla nostra attività politica in ambito bancario e cercherò di rispondere alle critiche che sono state mosse in quest'Aula oggi. Ebbene, partendo dal passato, il problema delle banche venete era già alla cronaca di Bankitalia fin dai primi anni Duemila; nel 2007 arrivano le prime denunce Adusbef e, quindi, si sapeva che le cose non andavano bene. Non andavano bene perché molti finanziamenti erano i cosiddetti finanziamenti, mutui baciati: se vuoi un finanziamento devi comprare anche le azioni.

E non si parla di azioni di valore simbolico, come, ad esempio, nelle banche di credito cooperativo, qui si parla di pacchetti di azioni importanti: tu compri le azioni, ti diamo il finanziamento e ti facciamo anche guadagnare sulla rivendita delle azioni, non ti preoccupare. Ed è un sistema che tutti conoscevano, lo sapevano tutti che funzionava così, ma chi doveva vigilare non ha detto nulla. Non ha detto nulla. Certo, poi ci sono stati diversi fascicoli aperti per ostacolo alla vigilanza e per altre cose meno significative, ma sul fatto che si stava creando una bolla assurda nessuno ha detto nulla. E badate bene che questo non c'entra con il concetto che le banche popolari sono banche che, secondo il MoVimento 5 Stelle, vanno tutelate; secondo il MoVimento 5 Stelle le banche popolari vanno e andavano tutelate per il fatto che hanno quel principio base che si chiama voto capitario, dove tutte le persone valgono in modo uguale sulla scelta della banca. Ebbene, sappiamo benissimo che il voto capitario ha in sé dei rischi, dei pericoli, come il fatto che possa essere utilizzato in modo difforme dal buon governo della banca: il classico sistema delle deleghe, che ha permesso a gruppi di potere di continuare a governare, secondo loro piacimento, queste banche.

Presidente, su questo si potevano tranquillamente trovare delle norme capaci di regolamentare anche il sistema delle deleghe, di riuscire a fare in modo che le persone non potevano ricandidarsi sempre, spesso e che fossero riconfermate sempre le stesse; bastava fare dei presidi. Non era necessario mettere queste banche sul mercato, ma il decreto “banche popolari” ha fatto questo: ha messo queste banche sul mercato, pensando che il mercato fosse la soluzione di tutti i mali. Ma così non è stato. Sono andate sul mercato con un investitore privato-pubblico, Fondo Atlante, e dopo pochi mesi, boom, di nuovo il baratro, il baratro: azioni azzerate, e ci troviamo da capo a risolvere delle situazioni che forse, se fossero state prese delle decisioni precedentemente, si sarebbero risolte in modo diverso. Bastava intervenire un anno fa, per riuscire a ridurre il conto della spesa che i cittadini andranno a pagare, per mettere mano e risolvere questa situazione. Risolvere, tra l'altro, in un modo che il MoVimento 5 Stelle e penso molti cittadini non condividono assolutamente.

Oltre al decreto “banche popolari” bisogna ricordare altri atti normativi importantissimi, come quello del bail-in: prima è stata recepita la direttiva sul bail-in, dopo pochi mesi è stata messa in pratica, in modo un po' frettoloso, con quattro banche come protagoniste, e soprattutto con i loro risparmiatori, investitori - chiamiamoli come volete voi -, che hanno comprato quelle obbligazioni di quattro banche - obbligazioni subordinate che pagavano poco più o in modo uguale ai titoli di Stato come interesse -, e questi obbligazionisti sono stati messi sul lastrico perché le loro obbligazioni sono state logicamente azzerate e poi qualcosa è stato fatto grazie anche alle proteste che ci sono state, però purtroppo non abbastanza. Soprattutto, ci si dimentica sempre degli azionisti, quegli azionisti che spesso sono stati invogliati a comprare le azioni con metodi un pochino fuori dal normale, come, ad esempio, come dicevo prima, con i “mutui baciati” oppure altri ricatti. Quindi: bail-in e risoluzione delle quattro banche; e sembrava che dell'esperienza si fosse fatto tesoro e che quindi non ci saremmo trovati di nuovo nella stessa situazione; invece sì, perché con le banche venete siamo di nuovo nella stessa situazione, e il Governo insieme alla maggioranza cerca di aggirare le norme che ha approvato, quali quelle del bail-in, cercando nella liquidazione coatta amministrativa, cioè quello che viene messo in piedi con questo decreto, la soluzione per queste banche e per la nazione, soluzione che però, secondo noi, non c'è.

Non possiamo non dimenticare cosa è successo poi con il famoso decreto “di Natale”, quel decreto col quale vengono istituiti tre sistemi per riuscire a ricapitalizzare una banca con l'utilizzo di soldi pubblici, che, per quanto riguarda quella parte, il MoVimento 5 Stelle era quasi d'accordo, perché prevedeva il fatto di poter garantire dei finanziamenti delle banche (e ci può stare), dei finanziamenti dalla Banca d'Italia verso le banche in crisi (e ci può stare), oppure l'entrata dello Stato direttamente nelle azioni, nel capitale della banca, e anche questo secondo noi ci può stare. Ciò che mancava in quel decreto e che continua a mancare, sono le regole severe per andare ad acciuffare - permettetemi il termine - quegli amministratori bancari che in questi anni hanno fatto quello che han voluto, che negli anni hanno prestato risorse ed elargito finanziamenti senza le dovute garanzie. Quello mancava in quel decreto! Mancava anche la trasparenza, per capire a chi sono andati quei soldi, quei miliardi.

Su tutti i giornali un po' di nomi li abbiamo visti, come, ad esempio, il famoso imprenditore Bellavista Caltagirone, che ha preso milioni da tutte le banche in crisi, guarda caso: le quattro banche, Monte dei Paschi, le venete, Carige. Sono tutte banche che hanno finanziato le stesse persone, quindi vuol dire che sotto c'è qualcosa di un pochino più grande, di più consistente. E per quei soldi che sono stati prestati e non sono tornati indietro dovremmo creare quegli strumenti, anche a livello normativo, per andare a riprenderceli. Dove sono finiti? In quale paradiso fiscale son finiti? Vogliamo cercare di fare tutti insieme una misura per andare a riprendere quei soldi? Fantasia? Può essere. Favole? Può essere. Però dobbiamo quanto meno pensarci, sforzarci per andare a riprendere quei soldi, perché quei soldi fanno parte del sistema bancario italiano, e il sistema bancario comunque provvede a dare risorse a chi ne ha bisogno; e se questi soldi vengono prestati a persone che non hanno diritto di riceverli o non hanno garanzie sufficienti per poter riceve finanziamenti, sono risorse che vengono tolte al nostro sistema Paese, quindi dobbiamo assolutamente fare il possibile affinché queste risorse vengano utilizzate bene. Ciò per i grandi gruppi, logicamente; poi ci sono i soggetti che non hanno possibilità di dare garanzie, e per i piccoli prestiti sappiamo benissimo che ci sono misure che possono dare risposte anche alle persone che non hanno garanzie, come quella che si chiama microcredito, sul quale il MoVimento 5 Stelle ha fatto molto. Ma andiamo avanti.

Quindi, il decreto di Natale, Monte dei Paschi, e poi arriva il problema delle banche venete con questo decreto, che a noi lascia molto, molto, molto perplessi, perché fino a poche settimane fa il Governo ci ha detto che le cose si potevano risolvere in modo diverso: ci poteva essere la ricapitalizzazione precauzionale. Sappiamo che mancava 1 miliardo, che non si trovava questo miliardo, che dovevano mettercelo i privati: ebbene, in quel caso, visto che ce lo ordinava la Commissione europea, che ci dava il divieto di potere continuare su questa strada, se non si trovava questo miliardo, secondo noi tutta l'attività governativa doveva essere finalizzata nel trovare quegli strumenti utili per incentivare i privati ad investire su queste banche, magari utilizzando delle garanzie. Forse vi vietavano anche le garanzie? Forse sì, allora saremmo dovuti andare contro ciò che dice la Commissione europea, perché si può provare ogni tanto ad andare contro, come quando ci hanno detto di approvare il bail-in e noi siamo stati gli unici a dire: “no, il bail-in non va approvato”; ma l'avete approvato lo stesso, e avete visto cos'è successo. Adesso, insomma, è la stessa cosa: se ci dicono che non si può fare la ricapitalizzazione precauzionale perché manca 1 miliardo, il miliardo lo si cerca, magari con garanzia statale, e poi magari si risolvono le conseguenze che ne derivano. Ci si poteva provare, invece no: arriva la liquidazione coatta amministrativa. Il Governo fa una gara e trova un advisor, la Banca Rothschild, la quale convoca degli operatori. Per delle attività importati come quelle banche venete, ci aspettavamo almeno 20, 30 operatori bancari - in Italia ci sono più di 2.000 banche! -, invece no, vengono intervistati sei operatori, di questi abbiamo saputo che di offerte ne fanno solo in due, e ci è stato detto in Commissione che il progetto presentato da Banca Intesa era il più completo, quindi è stato quello che è stato maggiormente gradito.

Ma Banca Intesa non ha fatto un'offerta, Banca Intesa ha chiesto, Banca Intesa ha scritto delle condizioni, non ha fatto un'offerta. Fare un'offerta è una cosa diversa: fare un'offerta significa che, se io ti voglio vendere una cosa a 1 miliardo, tu mi fai un'offerta per acquistarla, al rialzo o al ribasso. Invece Banca Intesa, in questo caso, ha fissato delle condizioni scritte nero su bianco, e l'ha fatto in due atti fondamentali: il primo è questo, ed è il decreto, che ha scritto Bankitalia, perché si vede (è scritto da un banchiere, si legge), e l'altro è il contratto che è stato scritto sulla base di questo, il contratto tra Banca Intesa e le banche in liquidazione. Quel contratto, scritto sulla base di questo decreto, è un atto secondo noi capestro; lo sono sia quel contratto che questo decreto, tutte e due. Sono degli atti veramente a vantaggio solo di un operatore, e quell'operatore è Banca Intesa, che sembrerebbe il salvatore dalla patria, perché riesce a non licenziare i lavoratori, ma poi vediamo che ne licenzierà 3.900, di cui non si ha certezza se licenzierà sono quelli delle banche venete o se probabilmente anche molti lavoratori di Intesa saranno invogliati a lasciare il posto. Ma arriviamo per gradi a queste cose. Quindi, liquidazione coatta amministrativa, operatore Banca Intesa, che si acquista che cosa?

Acquista la parte buona. La parte cattiva, invece, i crediti deteriorati vanno nella famosa SGA, società gestione attivi, la famosa banca creata per la risoluzione dei problemi del Banco di Napoli che ha gestito le sofferenze, le ha gestite anche bene, Banco di Napoli che, dopo qualche anno, è diventato Banca Intesa.

Questa SGA, quindi, era una società privata, ma, per una norma scritta ai tempi della crisi del Banco di Napoli, vi era un pegno su tale società, che doveva restituire la liquidità allo Stato nel caso avessero realizzato, per così dire, delle plusvalenze. Ebbene, questo pegno è stato rispettato e non solo la liquidità è passata allo Stato, ma la società stessa è diventata una società ricompresa nel novero delle società pubbliche. Quindi, una società privata è diventata pubblica e in più, ora, ritorna a operare, per conto di chi? A nostro avviso, non per conto dello Stato, ma sempre di Banca Intesa e anche qui ci arriviamo per gradi, perché SGA gestirà le sofferenze delle banche venete, i crediti deteriorati, ma, nel famoso contratto di cui dicevo prima, dove vi è scritto che cosa prenderà Banca Intesa, non solo acquisirà le attività buone, ma acquisirà anche il diritto di gestire le attività cattive, quelle che passano alla SGA.

Ma questo non è scritto nel decreto-legge; perché quindi fate fare operazioni sulle banche venete al di fuori dal decreto, che non sono comprese nel decreto? Perché fate gestire tutte queste cose a Banca Intesa? Probabilmente perché sono cose che lei vi ha chiesto e quindi voi l'avete accontentata, ma tutte queste condizioni e tutti questi soddisfacimenti verso Banca Intesa facevano parte dell'offerta, facevano parte di quel pacchetto che avete presentato, quanto meno, ai sei operatori? Oppure Banca Intesa vi ha chiesto cose particolari e solo ad essa avete detto di sì? Perché, se è così, capirete che non possiamo accettare il decreto-legge.

Non possiamo neanche accettare la decisione dell'Antitrust di poche ore fa, secondo la quale questo decreto-legge non è contrario alla concorrenza. Come può non essere contrario alla concorrenza un decreto scritto apposta da Banca Intesa, un contratto capestro che mette tutto nelle mani Banca Intesa, anche la parte che non dovrebbe gestire? Parliamo di un finanziamento di 5 miliardi di euro, garantito dallo Stato, finanziamento fatto dalle banche venete verso Banca Intesa. Infatti, le attività buone, che vengono passate dalle banche venete a Banca Intesa, logicamente non si compensano tra attività e passività, perché buona parte delle attività cattive sono passate, come ho detto prima, alla famosa SGA e quindi vi è un debito delle banche in liquidazione verso Banca Intesa. Questo debito è di circa 5 miliardi: guarda caso, gli stessi 5 miliardi che lo Stato dà a Banca Intesa per iniziare l'attività, di cui 3,5 per l'adeguamento dei cosiddetti rapporti patrimoniali e 1,285 per il personale, lo scivolo per far andare in prepensionamento diversi lavoratori.

Ebbene, Banca Intesa cosa ne fa di questi 5 miliardi? Banca Intesa li presta alle banche venete e li presta all'1 per cento, perché le banche sono comunque in debito verso Banca Intesa. Quindi, alla fine è sempre un circolo vizioso: lo Stato dà 5 miliardi a Banca Intesa, questa li dà alle banche venete, le quali logicamente lo prestano di nuovo a Banca Intesa. Cosa ci guadagna Banca Intesa? L'1 per cento l'anno, ossia 50 milioni all'anno con i quali potrà pagare la parte restante dei lavoratori; quindi, alla fine è un'operazione con soli vantaggi per Banca Intesa, tutti vantaggi.

Proseguiamo, perché non si finisce con i 5 miliardi di liquidità, ma ci sono anche altri 12 miliardi di garanzie, perché lo Stato garantisce questo finanziamento da 5 miliardi; garantisce questo famoso squilibrio; poi, va a garantire altre attività varie del passato delle banche venete con circa 2 miliardi; poi va a garantire - secondo noi, è il tasto più dolente - 4 miliardi di attività in teoria in bonis ma classificate problematiche. Innanzitutto, abbiamo inventato quindi un nuovo tipo di attività, perché, oltre agli incagli e oltre alle sofferenze, ci sono anche questi crediti in bonis problematici, di cui non si è mai parlato.

Diciamo pure che sono crediti probabilmente catalogati da un'altra parte però probabilmente c'è qualcosa di sospetto e vengono considerati in questo modo e vengono garantiti in questo modo. Ma l'aspetto più grave è che i 4 miliardi possono tornare al mittente, alle banche venete, ma dopo quanto tempo? E cosa avverrà in questo periodo di tempo? È facile che le attività si mischino; è facile anche, peraltro, che molti finanziamenti, magari di Banca Intesa e delle banche verso soggetti che magari hanno finanziamenti sia con Banca Intesa sia con le banche venete, queste attività verranno mischiate e quindi che garanzia abbiamo che torneranno indietro al mittente solo le attività catalogate adesso in quei 4 miliardi?

Potrà tornare indietro di tutto e chi sarà a pagare? Lo Stato. Pagherà lo Stato, perché tutta questa operazione si tiene in piedi proprio per quei dati di cui parlava prima l'onorevole Galli sulle percentuali di recupero e su questo dovremmo aprire un capitolo. Presidente - mi rivolgo al Presidente, ma è chiaro che mi riferisco al collega Galli -, dovremmo aprire un capitolo intero e questo veramente è il tasto più dolente di tutti e mi accingo a spiegarvi per quale ragione.

Nella risoluzione delle quattro banche, che cosa è accaduto? È accaduto che voi ci avete detto che le attività deteriorate delle quattro banche valevano circa 17 punti percentuali. Non lo dicevate voi: lo diceva Bankitalia, perché si era sentita con la Commissione europea e con la Banca centrale europea. Ci avete detto che la valutazione era così bassa perché si basava sui prezzi di mercato per la vendita di queste attività sul mercato il giorno dopo la risoluzione, perché erano attività che andavano vendute in fretta. È importante questo passaggio, collega, ci terrei che lo ascoltassi.

Tali attività andavano vendute in fretta; poi sono state rivalutate e siete arrivati ad una valutazione di circa il 22 per cento. In questo caso, che cosa accade? Abbiamo una liquidazione e, quindi, le attività possono essere trattate con più calma e voi ci dite che possono arrivare a valere almeno il 55 per cento, perché tutto il decreto-legge si basa su questa valutazione, ossia 55 per cento, cioè quello che dovrebbe recuperare la SGA per rimettere in sesto le banche in liquidazione, per essere in grado poi di pagare il finanziamento a Banca Intesa di 5 miliardi.

Il 55 per cento non è una cifra elevatissima: probabilmente lo recupereranno, ma cosa c'è che non va? Non va il fatto che esiste un principio nelle risoluzioni bancarie che sarebbe il No Creditor Worse Off, cioè che non ci deve essere un trattamento peggiore per i creditori nel momento in cui ci sono delle alternative. Ebbene, nel caso delle quattro banche l'alternativa era la risoluzione o la liquidazione coatta amministrativa. Ebbene, un azionista è andato a Banca d'Italia e ha chiesto: visto che avete applicato la risoluzione alle quattro banche, mi potete dire se aveste applicato invece la liquidazione coatta amministrativa che cosa sarebbe successo? Banca d'Italia ha tirato fuori una perizia, fatta da un famoso operatore internazionale, da una multinazionale, e ha detto che in quel caso il recupero sarebbe stato al massimo del 23 per cento e, sottratte le spese del recupero, si sarebbe arrivati al 19 per cento. Quindi anche nel caso di liquidazione coatta amministrativa, le cifre sarebbero state queste, a detta di Banca d'Italia; e quindi che cosa vuol dire? Vuol dire che Banca d'Italia si costruisce queste stime un po' come vuole; se le fa fare un po' come vuole queste stime: capiamo o no che sia la risoluzione delle quattro banche sia questa sono basate sulle stime? Ebbene, là il 17 per cento andava bene e adesso qua va bene il 55 per cento? Là il 19 per cento andava bene anche nel caso della liquidazione - ripeto: 19 per cento - e qua, invece, ci dite che recupereranno il 55 per cento. E, bene o male, guardate che non mi sto riferendo al caso specifico di cosa c'è dentro in quelle sofferenze, perché si parla di dati statistici e quindi se andava bene all'epoca il 19 per cento vuol dire che il 19 per cento va bene anche adesso e, se va bene anche adesso, vuol dire che questa operazione non si regge in piedi, non sta in piedi e questo è grave, perché tutto il Parlamento e tutto il Paese stanno a guardare quello che fa il Governo e ciò che la maggioranza approva. E se queste cose non stanno in piedi dal punto di vista matematico, è una cosa che ci fa innervosire come delle bestie e, se pensiamo che i risparmiatori che ancora non hanno recuperato i loro soldi nelle obbligazioni subordinate, ci arrabbiamo ancora di più. Tuttavia, manteniamo la calma, cerchiamo di essere calmi, perché con l'ira non si risolve nulla. Quindi, stiamo calmi e andiamo avanti nell'esame del decreto-legge.

Si tratta di un decreto-legge che dovrebbe essere migliorato, in teoria, con gli emendamenti del relatore e del Governo. Abbiamo già visto gli emendamenti, ce li hanno presentati: spostano la data per il rimborso dei subordinati. Logicamente, prima avevate posto una data troppo restrittiva, scrivendola nel decreto-legge, e adesso, facendovi salvatori della patria, ponete una data logicamente più giusta, che vada a rimborsare anche le persone che hanno acquistato dopo l'approvazione della BRRD per fortuna. Voglio vedere chi sono i risparmiatori che guardano cosa accade nella Commissione europea su leggi che il Parlamento italiano non ha ancora recepito. Quindi, avete inserito o inserirete cose normali nel miglioramento.

Poi che cosa vedremo inserire probabilmente domani nel decreto-legge? Vedremo inserire un nuovo prodotto, che sta a metà tra le obbligazioni senior e le obbligazioni subordinate, un prodotto di cui non neanche capiamo il motivo.

Poi, andando a guardare un po' i numeri, ce ne rendiamo conto: è un prodotto nuovo, che verrà venduto e verrà, magari, apprezzato anche dai creditori, dagli investitori con una certa - diciamo così - voglia di investire, perché sarà un pochino più sicuro delle subordinate e alla fine lo si fa solo perché le banche non riescono più vendere le subordinate. Grazie, con quello che avete combinato col decreto “salva banche”, è logico che siate costretti a inventarvi nuovi prodotti.

Andiamo avanti, perché nelle migliorie che proporrete - e le avete già proposte per la Commissione - vi è anche la possibilità per le quattro banche di indebitarsi ancora di più. Per fare cosa? Per andare a gestire i crediti deteriorati, quindi potranno indebitarsi in più. Con chi si indebiteranno probabilmente? Con chi? Sempre con Banca Intesa. Ebbene, per fare cosa? Per gestire in modo migliore le sofferenze. Va bene, ci può stare, ci potrebbe anche stare, ma alla fine l'operatore è sempre quella, è sempre Banca Intesa, perché alla fine è lei che gestirà le sofferenze; lo farà con SGA, perché c'è scritto sul contratto, c'è scritto che Banca intesa gestirà quelle sofferenze. La cosa non ci lascia perplessi, ma ci lascia veramente basiti, ci lasciano basiti queste cose. Non si può fare un decreto così, scritto, diretto, da un operatore solo. Non si può fare. Noi ci mettiamo nei vostri panni, capiamo che avete fatto il possibile per riuscire a risolvere questa situazione, però, veramente, avreste dovuto sforzarvi di più per trovare una soluzione alternativa e migliore.

L'ultima cosa, Presidente, poi mi taccio. Questo provvedimento contiene circa 60 deroghe, ne abbiamo contate circa una sessantina. Ebbene, come amministratore liquidatore di questa operazione è stato scelto uno degli amministratori delegati di una delle banche, il signor Viola: lui sarà liquidatore di entrambe le banche insieme ad altre persone. Anche questa cosa ci incuriosisce moltissimo. Perché proprio lui? Perché proprio lui deve fare il liquidatore, quando forse sarebbe stato corretto avere tutti soggetti terzi, tutti soggetti terzi e non persone che hanno già gestito quelle banche?

Quindi, abbiamo chiesto: facciamo una deroga in più, inseriamo che il liquidatore non possa essere una persona che ha amministrato le banche in passato. Ci è stato detto che questa è una deroga a principi generali troppo forti, non si poteva fare. Ma su 60 deroghe, aggiungiamone una che riporti un po' di legalità in questo Paese. Grazie, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Michele Ragosta. Ne ha facoltà.

MICHELE RAGOSTA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, siamo chiamati oggi a discutere del decreto sulle banche venete. I ritardi del Governo sono ormai evidenti, per anni ci è stato detto che il sistema bancario italiano era un sistema solido; oggi è evidente a tutti noi la drammaticità in cui versava e versa il sistema bancario italiano.

I ritardi del Governo sono ormai certificati dai numerosi interventi a pioggia del Governo Renzi prima e dell'attuale. Siamo stati chiamati a legiferare sulla crisi delle banche di credito cooperativo, sulla Banca Etruria, siamo intervenuti sulla crisi del Monte dei Paschi di Siena, oggi siamo chiamati a discutere e a legiferare sulle banche venete. Le bugie e i ritardi del Governo, da un lato, e la connivenza della Banca d'Italia quale organo di controllo, dall'altro, hanno messo a rischio gli sforzi e gli interessi di molte famiglie, dei risparmiatori, dei pensionati, delle piccole e medie imprese. Oggi con questo provvedimento si tenta di mettere una toppa. Migliaia saranno le famiglie e le imprese che pagheranno un prezzo altissimo.

Un provvedimento, quello in discussione oggi, che non affronta per niente le responsabilità, che sono evidenti, degli amministratori e dei dirigenti che hanno prodotto il fallimento di queste banche. Ancora una volta i cittadini sono chiamati a pagare per errori fatti da pochi, nel caso delle banche venete, con responsabilità non solo della politica, ma anche delle associazioni degli imprenditori e commercianti che sedevano stabilmente nei consigli di amministrazione delle stesse.

Chi ha sbagliato deve pagare, bisogna prevedere pene severe, anche il carcere se è necessario. È inaccettabile che, dopo avere accertato le responsabilità di molti amministratori di banche - i soliti noti - li ritroviamo in alcuni casi, si veda il Monte dei Paschi e non solo, a svolgere un ruolo di amministratore delegato, dopo che gli stessi hanno contribuito al loro fallimento negli anni passati: questo è inaccettabile.

È evidente a tutti noi che l'operazione di salvataggio delle due ex popolari del Nord Est, con la proposta di San Paolo Intesa, volta ad acquistare una parte delle attività dei due gruppi, è un onere non indifferente a carico delle casse pubbliche.

Ormai è noto a tutti che la disastrosa conduzione ventennale della Banca Popolare di Vicenza da parte di Gianni Zonin e Samuele Sorato e di Banca Veneto, con a capo Vincenzo Consoli e Flavio Trinca, non poteva che lasciare da pagare una fattura salata per la comunità. Quello che arriva a pagamento adesso è il conto di anni di mancati controlli e di gestioni inadeguate, è il conto di un intervento che arriva tardi, tardissimo, all'ultimo momento prima di uno schianto ancora più doloroso. Il conto è dunque altissimo e va pagato.

È evidente la responsabilità della Consob, da un lato, e della Banca d'Italia, dall'altro. Si pensi che quindici giorni fa il Presidente della Consob metteva in allerta gli eventuali investitori privati sui rischi presenti nelle due banche del Veneto, mentre un anno fa la medesima Consob autorizzava, i bilanci alla mano, la quotazione in borsa delle medesime banche. Con singolare coincidenza i guai delle due banche venete sono poi emersi in tutta la loro gravità, solo nel momento in cui l'onere della vigilanza è passato dalla Banca d'Italia alla Banca centrale europea, che ha agito in forza di nuove regole, ma che soprattutto le ha applicate.

Come sempre, pur non risparmiando critiche sui ritardi del Governo e sulle procedure del tutto discutibili, il mio gruppo si pone in modo responsabile e costruttivo, soprattutto per tutelare al meglio le migliaia di cittadini coinvolti. Il buon lavoro fatto in Commissione, teso a migliorare il provvedimento, è rimasto fino adesso inascoltato. Il nostro auspicio è che in queste ore il Governo, la maggioranza, accolga tutti gli emendamenti proposti dalla Commissione e dal mio gruppo parlamentare.

Ci aspettiamo nei prossimi giorni e nei prossimi mesi che il Governo, che è stato bravo a recuperare decine di miliardi per salvare le banche e il sistema bancario, riesca a recuperare altrettante risorse per aiutare gli ultimi, quelli che non hanno lavoro, i pensionati con pensioni di fame, i poveri. Ci piacerebbe che il Partito Democratico, come il figliol prodigo, ritrovasse la strada giusta, non solo con i banchieri, ma anche e soprattutto con i lavoratori e con i poveri. Grazie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Filippo Busin. Ne ha facoltà.

FILIPPO BUSIN. Grazie, Presidente. Io ho ascoltato con interesse il richiamo fatto alla crisi del 2008 di Lehman Brothers dall'onorevole Galli, solo che anch'io avevo fatto un richiamo a quella crisi, ma con delle considerazioni che sono opposte alle sue, nel senso che lì effettivamente ho visto da parte dell'allora Segretario al Tesoro, Paulson e Geithner, una gestione che sì ha avuto delle forzature anche nei confronti delle prerogative del Parlamento e di altre istituzioni, ma comunque un intervento risolutivo, un blitz risolutivo, che ha consentito a quel Paese e ad altri Paesi una ripartenza, che invece nel nostro caso non c'è stata. Da noi si è lasciata, per così dire, marcire per due anni, e anche più, una situazione che era già conclamata ed evidente, arrivando a questo epilogo doloroso che noi non possiamo di sicuro avallare.

Noi arriviamo a questa che è una crisi, come tutte le altre, anche quelle del 2008 vissute in America, del credito; in questo caso riguarda il credito fatto ai privati e, come sempre in Italia, ha delle peculiarità che io vorrei cercare di ricostruire in questo mio intervento.

Noi abbiamo avuto una fase espansiva molto forte del credito nei primi anni 2000, che è coincisa con l'entrata dell'Italia nell'unità monetaria, nell'euro, che fra l'altro è venuta subito dopo la fase di massima espansione, il cosiddetto miracolo del Nord Est, che ha visto il Veneto come protagonista e, quindi, ha toccato particolarmente l'area in cui appunto operavano le due banche popolari oggi in risoluzione.

Questa espansione del debito, unita ad una mancanza, al cominciare a deteriorarsi di una competitività del settore manifatturiero di quella regione e dell'Italia intera, ma, soprattutto, del Veneto che aveva la Germania come grande mercato di riferimento, ha comportato una crisi così grave del debito che non riusciva più a essere sostenuto da un'economia che, appunto, cominciava ad avere delle gravi difficoltà. Noi registriamo, dal 2008 ai nostri giorni, una perdita del 15 per cento della capacità produttiva del settore manifatturiero in Italia e questa perdita, questa crisi riguarda, come detto, in particolare, il Veneto.

Se combiniamo questo scenario con la particolare struttura economica della nostra economia, del nostro sistema produttivo, che è caratterizzato da una forte parcellizzazione: il 97 per cento e oltre delle aziende ha meno di 15 dipendenti, aziende che sono mediamente sottocapitalizzate, e che, quindi, per i propri fabbisogni fanno ricorso al credito, fondamentalmente credito bancario; a questo fabbisogno hanno risposto soprattutto o in modo particolarmente deciso, le banche popolari, ancor prima degli altri istituti di credito e per questo, anche, sono giunte a una crisi più profonda rispetto agli altri istituti di credito. Non stupisce, quindi, che i crediti performanti in capo alle banche siano quadruplicati, praticamente, dal 2008, siano passati da circa 50 miliardi agli oltre 200 miliardi che registriamo quest'anno.

Questa premessa è doverosa, perché sarebbe troppo facile per noi sfruttare, strumentalizzare politicamente una vicenda che ha avuto un contesto evidentemente difficile. È una crisi che era di difficile gestione per quello che abbiamo detto, cioè per l'innestarsi di una crisi internazionale su delle criticità, più o meno evidenti, più o meno palesate, che caratterizzavano il nostro sistema economico. Però, proprio da questo presupposto parte anche la nostra critica, perché ciò che è mancato, a nostro avviso, da parte della maggioranza è una consapevolezza chiara della gravità del problema e, di conseguenza, un intervento adeguato alla gravità della situazione.

Il modo in cui si è ignorato prima il problema con il Governo Letta, e, poi, gestito maldestramente, dal 2013 in poi, dal Governo Renzi, ha trasformato una situazione, come detto, difficile, in un vero e proprio disastro, di cui non si intravede, fra l'altro, la soluzione definitiva. Ogni decreto emanato dal Governo sembrava risolutivo, sembrava l'inizio di una nuova fase, finalmente positiva, con delle prospettive nuove e, invece, ci ritroviamo puntualmente punto e a capo e questo decreto non farà eccezione, perché non è assolutamente risolutivo; restano in campo delle questioni, assolutamente ancora da appalesarsi, molto pericolose, e le tappe dell'intervento del Governo sono molte e diluite anche nel tempo in modo ingiustificabile per la risoluzione di un problema che richiede, invece, come già detto, una certa tempestività e risolutezza. Ma non c'è dubbio che questo intervento del Governo inizi con il famoso decreto n. 3 del gennaio 2015, quando Renzi decise, in modo risoluto, appunto, per una trasformazione radicale delle banche popolari che avessero raggiunto una certa taglia, cioè avessero superato gli otto miliardi di attivo; dimensione che superavano abbondantemente le due banche venete messe in liquidazione coatta amministrativa. Io, l'ho già detto in varie occasioni, non voglio criticare la sostanza di quell'intervento e l'utilità di un intervento; evidentemente, la governance delle popolari, che avevano raggiunto una certa dimensione, non era più adeguata ai tempi. L'intervento era, quindi, doveroso, ciò che è stato sbagliato sono stati i tempi e ciò che è mancato, poi, è stata la valutazione di quelle che sarebbero state le conseguenze di questo scoperchiare il verminaio, il vaso di Pandora, come lo si vuol chiamare, delle banche popolari.

Infatti, sono passati due anni da quando questo è avvenuto, senza sentire una parola di verità che non fosse arrivata nell'ultima gestione di Viola e di Mion, presidente. L'idea che Renzi non fosse consapevole della portata di quel decreto e delle conseguenze che avrebbe generato ce l'abbiamo avuta, anche, informalmente, vedendo le reazioni di alcuni esponenti della maggioranza, che io ritengo più esperti di lui, più consapevoli della portata di quella decisione, che si chiedevano se ne fosse veramente consapevole, cioè se quello era un atto di coraggio, di piena consapevolezza, oppure se fosse un atto dettato da inconsapevolezza e sopravvalutazione delle proprie forze. I fatti hanno, poi, confermato che si trattava del secondo caso, cioè di una superficiale inconsapevolezza da parte dell'allora Primo Ministro. Da lì in poi è iniziata la politica del rinvio, con attori in campo ognuno impegnato, più che ha salvare la situazione, a salvare la propria posizione e a togliersi qualsiasi responsabilità, a cominciare dalla vecchia dirigenza che, complice la lentezza della giustizia, provvedeva a mettere al riparo i propri patrimoni; i traghettatori, Iorio e Carrus, hanno perso più di un anno e mezzo, impegnati a fare trascorrere il tempo, senza proporre un piano industriale che fosse credibile; la BCE che era impegnata solo ad alzare costantemente, in modo incomprensibile, l'asticella dei requisiti patrimoniali, quando questo rappresentava, di fatto, il colpo di grazia per le banche che tentavano un difficile percorso di risanamento. Tutti, comunque, impegnati a nascondere la verità, che significava impedire l'accertamento vero delle responsabilità, per lasciare, quando la situazione fosse definitivamente compromessa e non più occultabile, il cerino, come è avvenuto, in mano ai soci e ai contribuenti, gli unici ad aver pagato il caro prezzo di questo dissesto.

Si è ignorato che alla base di ogni ripartenza, in un settore delicato come quello del credito, fosse innanzitutto indispensabile un'operazione di trasparenza, di verità, per restituire fiducia ai risparmiatori. Questo non è avvenuto evidentemente, si è giustificato l'intervento del Governo per evitare il panico, ma sappiamo benissimo che questo panico c'è stato, eccome, e il mancato intervento risolutivo del Governo non ha fatto altro che aggravare questa situazione di incertezza. Si è fatto, esattamente, quindi, il contrario di quello che si doveva fare. Si è creato un clima di incertezza sempre maggiore, con risparmiatori che, al primo segnale di pericolo, hanno creato una vera e propria corsa agli sportelli, non documentata, non registrata dai mezzi di informazione, ma che, comunque, c'è stata. Io ricordo e voglio citare qui a mo' di esempio la corsa che c'è stata a togliere i depositi da Banca Popolare di Vicenza dopo l'approvazione del bail-in; in tre mesi una sola banca ha perso circa nove miliardi dei propri depositi, emorragia che poi è continuata e siamo arrivati a quasi 15 miliardi in totale.

Come detto, per ascoltare le prime parole di verità sulla situazione reale delle due banche, abbiamo dovuto attendere la gestione di Viola e di Mion, quando, ormai, comunque, la situazione era compromessa, cioè eravamo arrivati troppo tardi. Adesso mi chiedo che controlli avessero fatto Banca d'Italia, per almeno un decennio, quando ci sono stati allarmi e, addirittura, esposti in procura che denunciavano il prezzo sopravvalutato delle azioni, da parte dell'Adusbef, nel 2008, e una gestione padronale in evidente conflitto di interessi fatta nel 2001 dalla precedente gestione, quella del direttore generale Rigon. Dov'era la Consob, e mi riferisco soprattutto all'ultimo periodo, quando nel 2014 sono state vendute ancora azioni della Popolare di Vicenza a 62,5 euro cadauna a 40.000 nuovi soci - quindi su 112 mila, 40 mila sono stati fatti nel periodo finale, dal 2013 al 2014 - persuasi ad acquistare, perché si fidavano, evidentemente, della loro banca che aveva ancora il titolo di Popolare, con il nome della città messo nel titolo, Banca Popolare di Vicenza, a prezzi improbabili, azioni così liquide e pericolose? Che controlli ha eseguito poi la BCE che nel 2014 ha avallato l'aumento di capitale di un miliardo della Popolare di Vicenza, ottenuto, oltre che con la vendita di azioni ai 40.000 nuovi soci, anche con la conversione di 253 milioni di azioni convertibili, possedute da risparmiatori inconsapevoli del significato della parola convertibile?

Questo lo so per esperienza diretta e per testimonianza diretta, ci sono anche dei procedimenti giudiziari in corso che hanno un'alta probabilità di essere vinti dai risparmiatori. La responsabilità della dirigenza, degli organi di vigilanza e controllo, interni ed esterni, sono così evidenti che non si può accettare in nessun modo che nessuna di queste sia accertata e nessun colpevole sia punito; non solo, ma che non ci sia stata nessuna dimissione dei vertici degli istituti di vigilanza, che sono venuti evidentemente meno al loro ruolo. Ne va, come ho detto prima, e insisto, della credibilità del sistema, che è la base su cui poggia l'intero settore del credito. Ogni soluzione che non parta da questo assunto è velleitaria e non risolutiva, e non lo sarà neanche questo decreto, che certifica la resa dello Stato, di fatto messo sotto ricatto da un gruppo privato. Un Governo, questo anche, come i precedenti, che in ultima analisi offre un salvacondotto ai poteri forti - mi dispiace usare questa espressione, ma non so quali altri sinonimi usare - e condanna i risparmiatori, cioè la parte di quel popolo che, mai come in questa occasione, è stato privato dei propri diritti.

Come Lega non possiamo avallare questo provvedimento, così come non possiamo condividere l'intera gestione della crisi bancaria, con un Governo sempre alla rincorsa, mai padrone della situazione, in uno stato di allarme costante che si trasforma in panico negli ultimi minuti, quando si rischia, come è già stato accennato, la chiusura degli sportelli e, quindi, la corsa agli sportelli. Ma l'aspetto che più condanniamo di questo provvedimento è la mancanza di tutele per i risparmiatori, ancora una volta calpestati nei loro diritti. Era già successo e ne avevamo avuto una significativa avvisaglia all'inizio, quando sono stati negati loro i diritti di recesso con la famosa circolare della Banca d'Italia, che è stata impugnata al Consiglio di Stato, sospesa dal Consiglio di Stato e rimandata alla Consulta. Quindi, ha, evidentemente, degli elementi gravi di incostituzionalità, comunque quello era stato il primo avviso.

In definitiva, la vera vittima di questo decreto e di tutta la gestione è il cosiddetto popolo sovrano, come è stato sancito dalla Costituzione stessa, in definitiva, che non è stata difesa e salvaguardata da uno Stato che è troppo debole, incapace di individuare le responsabilità, anche gravi, delle istituzioni, che non hanno assolto al proprio ruolo, di una classe dirigente nella migliore delle ipotesi inadeguata, quando non collusa, che si autosostiene seguendo logiche clientelari, che niente hanno a che vedere con quelle aziendali. Manca, in questo decreto e in tutta la gestione della crisi, un Governo che sappia fare chiarezza, condannare i colpevoli, ripulire le istituzioni, per una autentica ripartenza, non solo del settore bancario, ma dell'economia e del Paese nel suo complesso.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paglia. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PAGLIA. Grazie, Presidente. Innanzitutto, viene spontaneo far notare che, già nell'incipit di questa discussione, precipitiamo in un elemento di stravaganza, cioè, a partire dal fatto che il relatore per la maggioranza illustra un decreto diverso da quello che adesso stiamo discutendo, perché, ad oggi, la maggioranza non è stata nemmeno in grado di fare una cosa che sembrava abbastanza elementare, cioè far confluire due decreti che avevano a che fare con la stessa materia, l'uno all'interno dell'altro. Lo dico perché la Commissione non è stata messa nelle condizioni di poter arrivare qui, oggi, alla discussione generale, con il testo definitivo. Noi siamo appesi all'ipotesi che tutto quello che l'onorevole Sanga ci ha detto ora, venga, poi, recepito con un emendamento ipotetico che dovrebbe essere fatto a partire da domani.

Mi auguro, peraltro, che non sia corretto - ma questo lo chiedo immediatamente al sottosegretario -, o meglio, me lo auguro e non me lo auguro, ecco, diciamo così, che non siano vere le notizie di stampa, perché qualcuno faceva anche trapelare l'idea che questi ritardi nel fare o non fare, nel riuscire o non riuscire a mettere un emendamento all'interno del decreto fosse dovuto a un tentativo dell'ultima ora, nel week-end, di provare a strappare qualcosina in un'ultima appendice di trattativa con Banca Intesa.

Lo spero e non lo spero perché, da un lato, sarebbe una cosa gravissima sul piano istituzionale che si interrompa una discussione nel suo luogo proprio, cioè il Parlamento, per riportarla in un luogo assolutamente improprio, cioè una trattativa privata con un istituto di credito; dall'altro, tuttavia, sarebbe quasi da augurarsi che così non fosse, perché qualsiasi elemento che in qualsiasi modo riesca a produrre qualche miglioramento rispetto ad un decreto che io trovo scandaloso, lo dico con una parola forte ma credo sia l'unica appropriata, sarebbe in qualche modo il benvenuto.

L'altra cosa che dobbiamo stigmatizzare in partenza è quella che dicevo adesso. Io credo che nella storia della Repubblica non si sia mai dato un momento in cui viene fatto un decreto-legge, quel decreto legge produce l'apertura di un contratto fra privati, che però coinvolge direttamente e in modo pesantissimo lo Stato, e in quel contratto fra privati si dice: se verrà modificata anche solo una riga rispetto al decreto iniziale, questo contratto non vale nulla, ben sapendo che l'annullamento di quel contratto, di fatto, inficerebbe anche il decreto di partenza. Si mettono, quindi, di conseguenza - e io credo non ci siano precedenti -, il Parlamento e la Repubblica nella condizione di lavorare letteralmente con una pistola puntata alla tempia.

Spiace che ai deputati di maggioranza questa cosa stia bene, che non ci sia stato un qualche sussulto anche da quelle parti, ma io credo che sia un precedente molto, molto, molto pericoloso, anche perché di aziende che hanno trattative aperte in Italia ce ne potrebbero essere moltissime: domani replichiamo con Alitalia, dopodomani replichiamo con la chiusura della partita su Ilva, su quante possiamo replicare? Cioè, se il modello diventa quello per cui un'azienda privata viene e detta le condizioni, e detta letteralmente un decreto al Governo e al Parlamento, per dire che solo a quelle condizioni si potrà salvare un'azienda con capitale pubblico. Perché, vedete, qui il paradosso, poi, è esattamente questo: che noi abbiamo un contratto fra una parte privata, Banca Intesa, una parte parapubblica, il liquidatore, con lo Stato che si fa da garante; cioè, lo Stato mette i soldi, Intesa acquista asset, che a questo punto diventano buoni, più che buoni, perfetti, e il contribuente paga. Questa è la sintesi del decreto, o meglio non di questo decreto, dell'altro, ma il dibattito ormai lo stiamo facendo su quello e, quindi, correttamente rimaniamo su quello.

Dunque, come succede questa cosa? Cioè, come parte questa cosa? Parte come si diceva in un vecchio film molto bello, che iniziava con un uomo che si buttava da un cornicione e, mentre lui cadeva dal cornicione, si diceva: “fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene...”, poi l'uomo si schiantava sul pavimento e la voce fuori campo diceva: “il problema non è la caduta, il problema è l'atterraggio”. Lo dico perché con le due banche venete è andata esattamente alla stessa maniera, cioè noi abbiamo da anni un bubbone aperto, con interrogazioni che si fanno qui dentro, domande che vengono poste al Governo da deputati, ma anche dalla stampa e altro, che, per un anno ma anche prima, hanno continuato a intervalli di un mese o due mesi a chiedere: ma come va avanti questa situazione? Tutto bene! Chiediamo anche alla Banca d'Italia: tutto bene! Richiediamo al Governo: tutto bene! Mai un problema al mondo, il Fondo Atlante era intervenuto a salvare due banche e questo veniva considerato, per l'ennesima volta, l'intervento risolutivo, fino a quando, appunto, quando arriviamo all'atterraggio, l'atterraggio è che tutto si sfracella, il Fondo Atlante perde 3, dicasi 3,5 miliardi, perché, quando adesso parliamo degli azionisti che vengono azzerati con questo decreto, gli azionisti adesso è il Fondo Atlante, non sono più i piccoli azionisti, quelli li ha già azzerati il Fondo Atlante un anno fa. Gli azionisti attuali delle due banche venete, è il Fondo Atlante, cioè di nuovo Intesa San Paolo, UniCredit e altre banche, sostanzialmente. Quelli sono gli azionisti. Quindi, quando parliamo, credo, ma non vedo come potrei sbagliarmi, di salvaguardare gli attuali azionisti in qualche modo, parliamo di salvaguardare ancora una volta Banca Intesa, UniCredit e le altre banche, perché gli altri azionisti hanno già perso totalmente il valore delle loro azioni già un anno fa.

Un anno fa cosa accadde? Un anno fa emerse che i bilanci di due banche - che erano state gestite nel peggiore dei modi possibili, probabilmente, approfittando certo del fatto che erano banche popolari, con tutte le contraddizioni che quel tipo di banche avevano, anche in conseguenza del decreto che il Governo faceva sulle popolari, in qualche modo costringendole a trasformarsi in Spa - erano totalmente insostenibili; ed emerse che una delle ragioni per cui erano fondamentalmente insostenibili è anche che sono state gestite, appunto, in modo criminale, direi in modo quasi letterale, anche per il fatto, però, come diceva giustamente il collega Busin, che il territorio su cui quelle banche insistono ha attraversato la crisi, anche qui, con una certa pesantezza, cioè non si può dire che in Veneto non sia successo nulla negli ultimi sette anni.

Quindi, che banche di territorio possano averne un danno questo era abbastanza evidente. Però, quando si è fatto il decreto sulle banche popolari, non si è fatto nulla, in qualche modo, per accompagnare banche che si sapevano essere in difficoltà verso un esito positivo, tant'è che adesso possiamo contare i morti: le due venete, prima Popolare dell'Etruria, eccetera, eccetera e, poi, quelle che verranno, forse. Ma, soprattutto, quando si è fatto il decreto sulle banche popolari - questo ci tengo a dirlo -, noi dicevamo allora, e non eravamo soli: guardate, se quello che voi dite è vero e, cioè, che è necessario questo decreto perché lì dentro ci sono state modalità di gestione opache, per non dire di peggio, allora questo è il momento anche di riformare le pene e le eventuali sanzioni per chi si sia reso responsabile.

Tutto ciò non si è voluto farlo e oggi io ci tengo a ribadirlo, perché i cittadini di questo Paese hanno una bruttissima impressione rispetto al fatto che, per l'ennesima volta, con miliardi di soldi pubblici, si salvino le banche e altrettanto ce l'hanno, perché si sta mettendo in piedi, per l'ennesima volta, lo spettacolo dell'impunità in questo Paese.

Se è vero che ci sono responsabilità dei gestori precedenti nel fatto che queste banche siano andate a scatafascio, è altrettanto vero che questi girano l'Italia con il sorriso sulle labbra. Questo deve lasciare indifferente un Parlamento? Vogliamo dire che è solo responsabilità della magistratura o non c'è una responsabilità anche nei confronti di chi, avendo la maggioranza per poterlo fare qui dentro, ha sempre rifiutato in questi anni di aggravare le pene, di allungare la prescrizione, di andare a colpire i responsabili dei disastri bancari? Noi lo abbiamo chiesto, non da soli, peraltro: non si è voluto fare e, quindi, oggi, abbiamo, appunto, questo poco edificante spettacolo dell'impunità.

Quindi, come dicevo, quando emerge il buco, il crac potenziale delle due banche, cosa si fa? Si prende il Fondo Atlante, che era nato per un'altra cosa - il Fondo Atlante era nato per aiutare le banche a liberarsi delle sofferenze, per questo era stato fatto, con un effetto leva -, e la quasi totale dotazione di capitale di quel Fondo viene utilizzata per ricapitalizzare le due banche. Dopo un anno, 3 miliardi e mezzo di capitale bruciato e siamo da capo. Siamo esattamente da capo.

Quindi, per mesi si va avanti a fare la cosa giusta, quella che noi avremmo condiviso: l'abbiamo sempre detto, quindi, non è un mistero adesso, non lo diciamo a bara già inchiodata, lo dicevamo anche prima. Si poteva operare la ricapitalizzazione preventiva? Noi ritenevamo di sì. Su questa trattativa il Governo è andato avanti per mesi. Si parlava di 5 miliardi, dico bene? Più o meno, la stessa cifra che oggi si impiega per fare un altro tipo di operazione. Io non ho avuto una risposta, per cui si è detto, ad un certo punto, in fretta e in furia, dopo aver passato mesi a dire che si poteva fare, che c'erano solo dei dettagli tecnici da chiudere con la Commissione europea, improvvisamente, i dettagli tecnici diventano una sostanziale impossibilità ad agire.

Ci si dice: questa cosa la Commissione europea non ce la fa fare. Perché? Perché sarebbero aiuti di Stato, se non salta fuori un miliardo di capitale privato. Questo rimarrà fra i tanti, grandi misteri che la Commissione europea determina e porta con sé nelle proprie aule. Perché, se questo è vero, voi mi dovete spiegare: se non sono aiuti di Stato quelli che abbiamo messo in campo oggi, cosa sono? Aiuti di Stato a Banca Intesa: noi, in questa questione, arriviamo persino a mettere 1 miliardo e 300 milioni di euro per gestire gli esuberi di personale non delle due banche di cui stiamo discutendo. Cioè, se io ho capito bene, su 4 mila esuberi complessivi, mille sono di Banca Popolare di Vicenza o di Veneto Banca, 3 mila sono di Banca Intesa, cioè di una banca terza. Per cui, 900 milioni di euro di quel miliardo e 300 li diamo a Banca Intesa per risolvere le sue questioni di personale. Le sue questioni di personale, non quelle delle due banche che va ad acquisire.

E i 3 miliardi e mezzo che noi diamo invece cash? Il contratto - andatevelo a leggere, è spettacolare - dice: noi li vogliamo liquidi, in cassa, entro stasera. Il giorno della firma del contratto, il contratto è valido se lo Stato ce li dà liquidi, entro stasera. Quindi, immagino che si faccia un bel bonifico immediato da 3 miliardi e mezzo di euro dalla Tesoreria della Repubblica a Banca Intesa per andare avanti con l'operazione, più un miliardo e due, anche quello liquido, cash, entro stasera. Quindi 4,7 sono già da un po' da un'altra parte, non più nelle disponibilità dello Stato.

Quelli vengono motivati con il fatto che Banca Intesa non vuole vedere pregiudicati i diritti dei suoi azionisti a mantenere invariato il proprio dividendo. È chiara questa cosa? Cioè, non c'è semplicemente la motivazione per cui si dice: mantenere stabile il livello di solidità dell'istituto, che sarebbe comprensibile. Sarebbe comprensibile che lo Stato si ponesse il tema che, nel momento in cui fa acquisire due istituti di incerta redditività e incerta robustezza ad una banca terza, che non siano, poi, le mele marce ad infettare la mela buona.

Ma qui non c'è solo questo: Banca Intesa ci dice: io ho detto che ai miei azionisti do dividendo 10 e io devo mantenere dividendo 10 l'anno prossimo, quello dopo e quello dopo ancora. Quindi noi stiamo dicendo, in buona sostanza, che prendiamo 3 miliardi e mezzo dalle tasche dei contribuenti italiani per metterli nelle tasche degli azionisti di Intesa San Paolo. Questa è l'operazione. Noi prendiamo soldi pubblici dai contribuenti e li mettiamo dritti per dritti nelle tasche degli azionisti di una banca.

Allora, io dico una cosa, perché qui il Governo e la maggioranza - il Governo, soprattutto - hanno messo lo Stato italiano, evidentemente, in una condizione di minorità rispetto ad un istituto privato, il quale cinicamente se ne è approfittato fino in fondo. Il contratto fra Banca Intesa e il liquidatore io penso potrà essere studiato nei prossimi dieci anni come l'esempio del contratto capestro. Nelle facoltà di giurisprudenza di questo Paese si può portare quel contratto e dire: dove può arrivare chi ha rapporti di forza totalmente sbilanciati per imporre la sua volontà alla parte debole? Può arrivare qui. Può guardarlo fino in fondo: persino le clausole di rescissione di quel contratto sono unilaterali, scritto nero su bianco: Intesa, se non è contenta, cioè se il Parlamento cambia una virgola, può rescindere, ma non è previsto che il liquidatore posso in alcun modo mai rescindere quel contratto. Persino lì c'è una asimmetria, nelle clausole rescissorie: io non lo avevo mai visto in vita mia. Mai.

Allora, facciamo il caso contrario, perché ogni tanto il caso contrario va anche fatto. Cosa sarebbe successo se noi le avessimo lasciate andare a fondo queste due banche? Certo, ne avrebbe avuto un danno enorme il sistema Paese, certo si sarebbe probabilmente prodotto un effetto contagio, la stabilità del sistema finanziario sarebbe stata messa a repentaglio; ma avrebbe pagato di più il sistema bancario o il sistema Paese? Io credo che avrebbe pagato di più il sistema bancario. Io credo che gli azionisti e il management di Intesa, se io pagavo 5, in caso di crollo extra-bancario, loro pagavano 100.

Quindi, credo che, forse, era necessario tenere fino in fondo e dire: voi non state facendo un favore a noi, perché, se tu sei la prima banca del Paese e lavori soprattutto in questo Paese, la stabilità del sistema finanziario e bancario è più un problema tuo che mio. È più un problema della prima banca del Paese che dello Stato la stabilità del sistema bancario, perché noi, certo, avremmo avuto grandissime difficoltà, ma loro saltavano per aria, i loro azionisti. Quindi, forse, almeno si poteva dire che l'anno prossimo si poteva prendere un pochino in meno in termini di dividendo per senso di responsabilità verso il Paese. Le facessero saltare queste banche e, poi, vediamo quanto dividendo avrebbero preso gli azionisti di Banca Intesa e quanto capitale sarebbe rimasto agli azionisti di Banca Intesa. Se queste banche fossero saltate, quanto gliene sarebbe rimasto? Zero.

Ma qui si confondono, ancora una volta, interesse generale e interesse privato, perché da un interesse generale reale, la stabilità finanziaria e anche la salvezza di quelle due banche, si va a chiudere un'operazione che è uno smaccato regalo ad un istituto di credito privato, a cui vengono dati gli asset buoni, solo quelli buoni. Anche qui: si riservano con pieno diritto di prendere per i prossimi due anni e mezzo - tre anni - i crediti che dovessero deteriorarsi nel divenire e metterli a costo dello Stato.

Cioè, non solo quelli deteriorati, adesso , non solo quelli a sofferenza tutti sulle spalle nostre, non solo quelli insoluti tutti sulle spalle nostre, non solo quelli ristrutturati tutti sulle spalle nostre, anche quelli che adesso sembrano buoni. Cioè, ipotesi: domani mattina Intesa gestisce malissimo questi due istituti, una serie di posizioni vanno a sofferenza e ci vengono consegnate in un pacco dono - se questo accade nei prossimi tre anni - ancora una volta a noi contribuenti italiani. Avete permesso che venisse scritta questa roba; questa roba qui, non un'altra. E poi qualcuno ha anche il coraggio di dire che non gli abbiamo fatto un regalo? Gli avete regalato di fatto il monopolio dell'attività bancaria in alcune delle aree più dinamiche del Paese; tanto monopolio che probabilmente dovrà sbarazzarsi - immagino vendendoli con un qualche ricavo - di alcuni asset, perché probabilmente l'Antitrust in qualche modo dovrà intervenire, vista la concentrazione che Banca Intesa va ad avere adesso, perché non sono neanche banche controllate, ma vengono fuse completamente, perché, come accadde con Cartagine, qui deve sparire anche il marchio. Questa è l'unica condizione comica che alla fine l'Unione europea ha voluto mettere, se ho capito bene, perché si trattava di salvaguardare questa cosa degli aiuti di Stato: i marchi dovevano scomparire, bisogna togliere le insegne per fare contenta la Commissione europea all'interno di questa operazione.

Questi, però, non sono aiuti di Stato, perché? Si è degnato qualcuno di spiegarlo qui dentro? Io ho capito che la Commissione europea non si è degnata di spiegarlo, si è limitata a dire che l'operazione andava bene. Noto che la Commissione europea, evidentemente per ragioni tutte ideologiche e tutte politiche, si riserva di favorire operazioni di concentrazione bancaria all'interno del privato e si riserva di non ammettere e non far passare operazioni in cui il pubblico, per tutelare l'interesse pubblico, procede di fatto alla nazionalizzazione degli istituti. Questo è il punto: nazionalizzazione degli istituti no, concentrazione delle banche sì. D'altronde, questo lo sappiamo, è quello che da anni dice di volere anche Mario Draghi: in Italia, alla fine di tutta questa giostra, ci devono rimanere pochi istituti, quattro o cinque, e si va avanti così. Ripeto, non sarebbe neanche niente, se non fosse che i 5 miliardi e quelli che verranno sono tutti sulle tasche degli italiani. Ma si dice: attraverso la gestione delle sofferenze, lo Stato italiano rientrerà in parte di quelle che… Su questo faccio notare solo una cosa, poi chiedo al sottosegretario se ha notizie più aggiornate, ne approfitto: a me risulta che ad oggi, sulle sofferenze delle quattro banche mandate in risoluzione nel novembre 2015, quindi a distanza di quasi due anni dall'evento, se ne siano perse completamente le tracce, se siamo ancora nella parte in cui stiamo cercando di capire cosa abbiamo fra le mani. Allora, se questa è l'efficienza di gestione che il Governo italiano, che dello Stato diciamo ha la sinecura, è in grado di mettere in campo, possiamo dubitare della capacità di rientrare in tempi che non siano biblici? È su quello che va fatto il target, non sul Banco di Napoli; è sull'operazione più vicina, non su quella di trent'anni fa, francamente. Che ci sia stato un momento in cui, in questo Paese con Governi e personale politico un po' più serio di quello attuale, forse si fosse stati in grado anche di fare operazioni di recupero, potrei anche non dubitare, ma oggi vedo quello che ho fra le mani, e vedo che un'operazione analoga langue da due anni senza che se ne sappia nulla, non si batte ciglio. È da due anni che quell'operazione serve solo a sganciare decine, centinaia di milioni di euro alle banche d'affari straniere che si preoccupano di gestire la partita: punto, altro non c'è. E c'è da dire, sotto certi aspetti, per fortuna… ma vado oltre. È curiosa anche - forse non è strettamente attinente, ma è curiosa, lo dico come consiglio - la figura di Fabrizio Viola, che forse le cronache fra qualche anno ricorderanno come una persona ha avuto la sfortuna e la pazienza di farsi caricare sulle spalle tutti i crac delle banche italiane; è un onere non indifferente, effettivamente.

Però, anche qui, quando si chiedono 5 miliardi di euro ai contribuenti, un po' l'opinione pubblica dovrebbe contare. Mi metto nei panni di un cittadino che vede quest'uomo che viene messo prima al Monte dei Paschi di Siena, e al Monte dei Paschi di Siena, quando se ne va per ordine del Governo, ricordo, che evidentemente non era soddisfatto dell'andamento, il Monte dei Paschi di Siena è sull'orlo del tracollo; uscito dal Monte dei Paschi di Siena va a Banca Popolare di Vicenza per un anno, e finita la gestione di Banca Popolare di Vicenza questa è tecnicamente fallita, e quindi, a completamento di questa brillante carriera degli ultimi anni, viene nominato commissario non di una ma di entrambe le banche.

Sempre rispetto ai messaggi che questo palazzo lancia ai cittadini italiani, questo che tipo di messaggio è? Che tipo di messaggio è che un amministratore delegato, o comunque un manager, che attraversa tutti i peggiori fallimenti del sistema bancario debba poi anche essere nominato in continuità? Non credo che sia un messaggio particolarmente positivo. Credo che quando noi parliamo di restituire credibilità, da un lato alla politica dall'altro al sistema bancario e finanziario del Paese, che ne ha bisogno, queste cose contano, non sono ininfluenti. Non c'erano altri manager? Non si poteva metterlo per un po' tra parentesi, il dottor Fabrizio Viola? Credo che avrebbe anche potuto permetterselo, perché non sempre ai risultati sono conseguenti gli stipendi, in questo Paese, quindi credo che avrebbe potuto permetterselo.

Infine, mi ha incuriosito la scelta di inserire in questo decreto, improvvisamente - anche qui con una fretta inusitata, senza un dibattito da nessuna parte, senza che si fosse informata in alcun modo una pratica all'interno delle Commissioni competenti del Parlamento -, con un emendamento del relatore, una nuova forma di obbligazioni all'interno delle possibilità che hanno le banche per autofinanziarsi sul mercato. È un'obbligazione che sta a cavallo, esattamente in mezzo, fra le obbligazioni subordinate e le obbligazione ordinarie. Lo dico qui anche se lo sappiamo tutti, ma ogni tanto è meglio che ce lo ricordiamo: non è che la nuova obbligazione sia salva rispetto al bail-in e la subordinata non lo fosse; rispetto al bail-in, l'una vale l'altra, perché il bail-in altro non è che una graduatoria delle perdite. Prima era: prima le subordinate, poi le ordinarie e poi i depositi; adesso diventerà: prima le subordinate, poi le mezze subordinate, poi le ordinarie e poi i depositi. Cioè, non è che se le banche smettono di autofinanziarsi con le obbligazioni subordinate - che ormai non si può nemmeno più pronunciare in questo Paese questa parola -, ma iniziano con le secondarie, quelle sono trattate diversamente rispetto al bail-in. No, sono trattate esattamente allo stesso modo, esattamente alla stessa maniera, intervengono semplicemente un gradino dopo. Allora, che operazione è questa? Ciò perché veramente viene non il sospetto, e non voglio neanche dire in questo caso che la cosa sia voluta, ma lo dico come termine problematico: questa cosa gliela spieghiamo bene ai risparmiatori? Cioè, non è che adesso, che hanno imparato che magari dalle obbligazioni subordinate è meglio stare alla larga, mettiamo dentro un altro tipo di strumento finanziario per cui al pensionato a cui adesso non viene più proposta l'obbligazione subordinata perché persino il più ignorante in materia finanziaria ormai di fronte a quella parola scappa lontano alcuni chilometri si dice: Ti propongo un'obbligazione. Ma non saranno di quelle subordinate? No, questa non è di quelle subordinate, figurarsi, è un prodotto nuovo, è secondaria. Ma va nel bail-in? No, quello riguarda le subordinate, questa è salva. No, non è salva.

Non è salva. Allora, io proprio in questo momento sarei stato un po' più attento, sarei un po' più attento, ci ripenserei, dato che agli investitori istituzionali, la secondaria o la subordinata, nulla gli toglie, perché sanno benissimo quello che fanno; continueranno ad acquistare obbligazioni subordinate se ritengono che ne valga la pena o non lo faranno. Ma rispetto al cosiddetto mercato retail, cioè quello a cui abbiamo rifilato pacchi letterali negli ultimi due anni, avete rifilato pacchi letterali di decreto in decreto, a quelli invece che forse per una volta, a forza di pugnalate alla schiena, avevano capito di cosa si trattava, il “prodottino” nuovo forse non era esattamente il momento in cui inserirlo. Allora, anche qui io mi chiedo, chiedo al Governo, chiedo alla maggioranza: perché se ne sentiva questo bisogno? Perché altri Paesi l'hanno fatto prima; la Francia, per esempio, l'ha fatto prima, quando ha introdotto il bail-in, ha introdotto anche un'obbligazione intermedia, ma quando ha fatto bail-in, non dopo, dopo non serve a niente. Allora serve perché chi le vende si riattrezza. Adesso non serve più a niente, adesso ha il bruttissimo odore di un'operazione di tipo diverso, di un'operazione antipanico che consenta agli istituti di credito di tornare a finanziare.

Ma se gli istituti di credito, e chiudo, oggi hanno delle difficoltà, come dicono tutti i dati, ad autofinanziarsi con le obbligazioni, questo non è né colpa dei risparmiatori, né sotto certi aspetti colpa degli istituti di credito. Questa è una responsabilità piena che il Governo ha, il Ministro Padoan nello specifico, che trattiene in pieno su di sé e che deriva dal modo sciagurato con cui ha voluto gestire la risoluzione di quelle quattro banche, creando un disastro, minando allora la fiducia dei risparmiatori. La mina nella fiducia dei risparmiatori è abbastanza evidente, i dati li dava prima il collega Busin, e non è stata indifferente rispetto ad innescare anche le crisi successive perché quando comincia a esserci il ritiro di massa dei depositi è ovvio che quello indebolisce una banca. Quella è la radice, quella è la radice! Ed è una radice politica di cui voi mantenete intatta tutta la responsabilità. Oggi siamo semplicemente alla puntata successiva, augurandoci che sia l'ultima, anche se le voci che girano sotto questo profilo non sono ottimistiche.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4565-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza; vi rinunzia.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Grazie Presidente. Mi concentrerò su alcune risposte in un dibattito che considero molto utile anche nei toni e nelle modalità, al di là delle differenze di opinioni.

L'onorevole Galli ha posto una questione molto rilevante nel dibattito di questi settimane, ha reso evidente come nelle diverse situazioni che abbiamo affrontato (le due ultime a livello italiano, Monte Paschi e le due venete, ma il riferimento è aperto anche alla questione spagnola), in nessuno di questi casi, è stato usato il bail-in. Credo che questo apra una riflessione interessante, importante, nella discussione futura sulle regole europee. La ragione per la quale non è stato applicato in nessuno dei due casi italiani il bail-in è quella che certamente non corrisponde quello strumento, in astratto con delle regole anche logiche come la partecipazione di tutti i soggetti in caso di fallimento, alla realtà di fatto. Nel caso delle due venete, soprattutto l'onorevole Pesco, ha ricordato all'inizio del suo intervento tutta la operazione delle baciate e noi abbiamo ben presente che nel caso delle venete non si può negare che non ci sia stato misselling. Quindi, applicare il bail-in che coinvolge addirittura i correntisti, sia pure nella misura superiore ai 100 mila euro, o coinvolge buona parte degli obbligazionisti, sempre diverso è il caso degli azionisti in termini generali, avrebbe avuto un effetto francamente irrispettoso di un percorso che noi stessi consideriamo anomalo e di mala gestio. Tant'è che questo è uno dei temi che ha portato poi a far sì che il Governo favorisse la costituzione della Commissione d'inchiesta.

Ma sempre l'onorevole Pesco ha posto altre tre questioni che meritano di essere approfondite nel dialogo che si è aperto. La prima l'ha posta anche l'onorevole Paglia: sì, noi avremmo preferito le precauzionali, non l'abbiamo mai negato e lo diciamo ancora oggi. La strada delle precauzionali che abbiamo adottato per il Monte Paschi è la strada che a seguito del decreto che avevamo, non a caso, richiesto e votato qualche mese fa, è considerata per il Governo la strada più convincente, perché è quella che consente un intervento diretto nella gestione, un cambiamento di approccio, che consente il massimo della tutela possibile nella legislazione data e consente di arrivare a poi rimettere nel mercato le banche una volta risanate con uno sforzo pubblico, sicuramente, ma uno sforzo ben finalizzato e, peraltro, ben chiaro anche nell'assunzione di responsabilità. Nel caso del Monte Paschi addirittura arriviamo a diventare azionisti al 70 per cento, quindi un'operazione di assoluto rilievo. Qual è la ragione per la quale non siamo stati in condizioni di arrivare fino in fondo su questa strada che consideriamo la migliore nel caso specifico? Quella che ad un certo punto è emersa è questa necessità da parte dell'Unione europea di considerare necessario un apporto di capitali privati più o meno stimati, con la motivazione esplicita che dovendo intervenire del capitale pubblico, e non potendo il capitale pubblico azzerare debiti pregressi, ci fosse un intervento sistemico del mercato privato. Il mercato privato non ha aderito a questa impostazione. Ora io penso, lo dico al di là del decreto, ma approfitto della discussione che si è aperta, che questo è un tema che sarà necessario approfondire. Perché il mercato privato non ha aderito a una soluzione tutto sommato non clamorosamente impossibile anche sulla cifra presentata? Credo che le ragioni siano più di una, voglia accennarle proprio per lasciarle ad una riflessione futura. La prima è che se per mercato privato intendiamo il sistema bancario, il sistema bancario riteneva di aver già dato, avendo partecipato alla situazione di Atlante uno e Atlante due, e quindi di aver contribuito già ad esempio nel caso delle Venete al loro salvataggio.

La seconda ragione è che probabilmente il mercato complessivamente inteso non credeva che il Governo andasse fino in fondo e probabilmente pensava che alla fine si arrivasse al bail-in, si arrivasse quindi ad una situazione nella quale quei soldi immessi sarebbero stati tutti a fondo perduto e non sarebbero entrati in un percorso invece di rivalutazione progressiva sulla base di un piano industriale di rilancio. Se è stato così, è stato un errore di valutazione, una cosa sbagliata, perché noi abbiamo detto chiaro che non avremmo lasciato fallire le due banche e che avremmo trovato tutte le strade per evitare questo.

La terza ragione che invece meriterà approfondimento è quella che (e lo dico anche all'onorevole Busin, anche per concomitanza territoriale, visto che lui ha fatto riferimento al fatto che per fortuna con gli ultimi amministratori si è riuscito a capire qualcosa) anche il mercato privato non ha reagito, forse per le stesse motivazioni. Mi chiedo se non è stata persa un'occasione da parte del marcato complessivamente inteso, pur capendo che quella quota sarebbe apparentemente andata in un fondo perduto, ma avrebbe costituito un ingresso in un percorso… Non è necessario che il precauzionale veda l'apporto al 100 per cento dello Stato, avrebbe potuto essere compartecipato da soggetti privati. È una riflessione più ampia che meriterà di essere fatta. Quindi, sì avremmo preferito la precauzionale, poi la misura del mistero con il quale è ad un certo punto emerso questo contributo, se si tratta di un mistero gaudioso o no, lo vedremo a valle.

Sicuramente, però, noi abbiamo dovuto prendere atto delle indicazioni che ci vengono dall'Europa e dell'assenza di risposta del mercato e ci siamo cautelati, sempre con l'idea di non applicare il bail-in e di dare una soluzione.

La seconda osservazione che l'onorevole Pesco fa riguarda l'offerta di Intesa. Al di là della terminologia, è chiaro che chi compera o chi intende comperare mette delle condizioni, fa parte di una trattativa tra privati, può essere condivisa o non condivisa, piacere o non piacere, ma è del tutto evidente, ed è chiaro nel quadro della gara. So che c'è un'osservazione - non è emersa questa mattina, ma era emersa nel dibattito in Commissione -, se cinque giorni erano troppi o erano pochi. Vedete, quando si è capito che il mercato non reagiva positivamente alla possibilità di fare la precauzionale, noi ci siamo messi in moto, affidando ad un advisor l'apertura di un confronto. Da dove nasce l'urgenza? Nasce dal fatto che il tempo passava e la non reazione positiva del mercato alla possibilità della precauzionale, sulla quale noi eravamo – ripeto – pronti, beh, ha creato un'accelerazione del processo di analisi da parte dell'Unione europea, per cui l'incombenza della dichiarazione di fallimento la sentivamo arrivare ora per ora, giorno per giorno, tant'è che siamo arrivati ad un certo punto, il venerdì, che ci siamo rapidamente dovuti attrezzare per una soluzione rapida, perché era stata annunciata dall'Unione europea, di fatto, la conclusione dell'iter.

Di fronte a questa gara, diciamo breve nel tempo, ma trasparente nel merito - è stato detto prima, tutti sapevano quello che si stava facendo -, alcuni operatori hanno risposto con soluzioni parziali, l'unica soluzione completa era questa che è stata fatta da Intesa e su questo abbiamo costruito le condizioni. Quali erano le condizioni, nel momento in cui lo Stato non vuole applicare il bail-in, che ha davanti a sé come prioritarie? La prima che non si chiudessero gli sportelli, perché un ipotetico non fallimento teorico, con sportelli chiusi il lunedì, avrebbe coinciso lo stesso a un fallimento di fatto e a una sensazione di panico.

La prima era che non si chiudessero sportelli. La seconda è che non ci fossero soluzioni traumatiche per i lavoratori, per l'occupazione; l'onorevole Pesco lo ricordava, facendo il calcolo della distribuzione tra i dipendenti delle due banche e i dipendenti di Intesa. La terza, che si riducesse al minimo possibile il danno per i risparmiatori e cioè ci fosse un salvataggio dei correntisti - parliamo di decine di miliardi di soldi depositati - e il più possibile degli obbligazionisti, per i quali, oltre all'operazione dell'80 per cento, che spetta allo Stato nelle regole del BRRD, c'è il contributo del 20 per cento di Intesa per arrivare a coprire il 100 per cento. Su questi parametri noi abbiamo ritenuto la proposta possibile anche nella separazione tra la bad bank e la good bank. Quindi, da questo punto di vista il vero senso di questa operazione è aver salvaguardato l'economia di un territorio, non aver consentito cioè che una ricaduta drammatica che ci sarebbe stata in caso di fallimento o di bail-in, di liquidazione non coatta o di bail-in, avesse avuto un effetto dirompente per il territorio.

La terza osservazione che fa l'onorevole Pesco riguarda, invece, la parte relativa al valore del recupero degli NPL. Come sa, il valore di recupero degli NPL è il 46,9, non il 50, si arriva a quella cifra perché noi riteniamo che si possano recuperare al 100 per cento le inadempienze probabili, quelle migranti in bonis, al 46,9 quelle migranti in sofferenze, al 46,9 le sofferenze lorde; quindi il 55 è il 46,9 più la parte che, volgendo in bonis, noi valutiamo migliori la percentuale complessiva.

Come siamo arrivati a stimare questo 46,9? Certo, ci siamo affidati a studi recenti e in particolare a I tassi di recupero delle sofferenze di Ciocchetta, Conti, De Luca, Guida, Rendina e Santini, attraverso l'intervento di Banca d'Italia, che ha fatto una valutazione che è stata pubblicata nel Bollettino il 7 gennaio di quest'anno. Quindi, abbiamo preso dei riferimenti molto probabili, scientificamente consolidati.

Quanto tempo ci metteremo a recuperare? Questo è l'altro punto che ha posto l'onorevole Paglia, perché è importante ai fini dell'operazione complessiva. Noi abbiamo stimato che il 90 per cento di questa operazione arriva entro 7-8 anni, quindi è un periodo non brevissimo, ma è un periodo insomma che ha una sua visibilità e prevedibilità possibili. È chiaro che da questo punto di vista noi ci siamo mossi con l'obiettivo preciso di trovare soluzioni a un problema che aveva queste caratteristiche e che mi pare che in questo modo ha trovato le risposte necessarie.

Io penso, concludendo, Presidente e colleghi, che, quando si dice: “non c'erano alternative”, si vuole rappresentare questo schema di ragionamento, che può essere condiviso o non condiviso, ma non si dice: “non c'erano alternative”, perché abbiamo rinunciato a riflettere, ma perché abbiamo scelto fondamentalmente di non accettare una conclusione drammatica che fosse di ricaduta sull'economia di un territorio tra i più importanti non solo d'Italia, ma della stessa Europa. Il fatto che nel non esserci alternative emergano i problemi che io ho rapidamente e in maniera sommaria descritto, da quello più generale posto dall'onorevole Galli del perché no al bail-in e cosa apre questo in una discussione sistemica, a quelli di merito della salvaguardia il più possibile dei risparmiatori, a quello fondamentale che non chiudessero lunedì mattina gli istituti, beh, si capisce che, da questo punto di vista, questa operazione è in parallelo a quella di Monte Paschi, ma soprattutto, come noi pensiamo, chiude una fase - chiude una fase - e ci può consentire di affrontare la prospettiva del sistema bancario italiano avendo messo sotto controllo due situazioni che potevano diventare entrambe con conseguenze sistemiche.

Penso che si possa dire che abbiamo svoltato dal punto di vista della condizione più drammatica, ora si tratta di affrontare il grande problema che abbiamo di fronte. La differenza, onorevole Paglia, tra gli NPL delle quattro banche e questi è che oggi è cambiato il quadro, oggi si parla in maniera trasparente di un mercato degli NPL, che può diventare addirittura un'opportunità, se ben gestito, e non soltanto una fregatura. Allora eravamo in un quadro diverso e questa è l'ultima considerazione che voglio fare.

C'è un percorso, un percorso di affinamento progressivo non soltanto della posizione del Governo, della posizione del Parlamento, della posizione dell'Europa: come si sono affrontate le questioni delle crisi bancarie è il risultato di una linea di graduale riflessione di quadro di riferimento diverso. La stessa situazione spagnola è stata diversa e in questo quadro è molto importante tener conto del quadro evolutivo; il quadro evolutivo dimostra che l'approccio con il quale noi abbiamo affrontato le questioni ha, da un lato, delle coerenze - evitare le conseguenze sistemiche – e, dall'altro, dei progressivi assestamenti di innovazioni che possono consentire di guardare con fiducia le prospettive (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario Baretta. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017 (A.C. 4505-A) (ore 14,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 4505-A: Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è in distribuzione e sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4505-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Marina Berlinghieri.

MARINA BERLINGHIERI, Relatrice. Grazie, Presidente. Onorevoli deputati, ci accingiamo, oggi, a dare avvio all'esame, nell'ambito della cosiddetta sessione comunitaria, del disegno di legge europea 2017; a un anno dall'approvazione dell'ultima legge europea 2015-2016 viene di nuovo fatto ricorso allo strumento legislativo fornito dalla legge n. 234 del 2012, al fine di conseguire l'obiettivo prioritario di ridurre ulteriormente il numero delle procedure di infrazione che ancora residuano nei confronti dell'Italia.

Ricordo che la legge europea rappresenta uno strumento particolarmente qualificante del processo di partecipazione dell'Italia all'adempimento degli obblighi e all'esercizio dei poteri derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, in quanto volta a prevenire l'apertura o a consentire l'archiviazione di procedure di infrazione, nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo, a permettere la pronta definizione dei casi di precontenzioso nell'ambito del cosiddetto sistema EU Pilot. È di tutta evidenza la rilevanza che tale strumento assume in relazione al posizionamento dell'Italia nelle statistiche delle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione Europea nei confronti dei Paesi membri dell'Unione, pubblicate nella relazione annuale sul controllo dell'applicazione del diritto dell'Unione europea.

Ricordo, infatti, che, secondo i dati dell'ultima relazione riferita all'anno 2015, il nostro Paese continua a collocarsi in coda alle classifiche dei 28 Paesi, per numero totale di infrazioni, malgrado la costante riduzione dei casi pendenti verso l'Italia, nel periodo 2011-2015. Con riferimento ai casi di precontenzioso, l'Italia risulta essere il Paese con il maggior numero di casi EU Pilot, pur presentando un tasso di risoluzione dei casi aperti più alto della media degli altri Paesi dell'Unione europea.

Vorrei sottolineare come il lavoro costantemente condotto dal Parlamento italiano nella corrente legislatura, in cui per la prima volta è stata data applicazione alla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha disposto lo sdoppiamento della legge comunitaria in due distinti provvedimenti, abbia consentito all'Italia di raggiungere risultati ragguardevoli sotto il profilo della prevenzione e della riduzione del contenzioso con la Commissione europea. Ricordo che, a partire dal 2013, le Camere hanno approvato quattro leggi europee, 2013, 2013-bis, 2014, 2015 e 2016, praticamente una legge per ciascun anno di legislatura, garantendo un'attività parlamentare costante che ha consentito all'Italia di imprimere una decisa accelerazione nel percorso di riduzione dei casi pendenti, vuoi sotto il profilo delle infrazioni aperte per mancato o tardivo recepimento di direttive europee, vuoi per quanto riguarda il recepimento non corretto e/o l'applicazione errata del diritto dell'Unione.

La validità del percorso virtuoso inaugurato nella presente legislatura, e che potrà essere confermato con la rapida approvazione del disegno di legge europea 2017, è testimoniata dall'andamento costantemente decrescente del numero delle procedure a carico del nostro Paese. Segnalo, infatti, che, al 14 giugno di quest'anno, data dell'ultimo aggiornamento delle decisioni assunte dalla Commissione europea in materia di procedure di infrazione, il numero delle procedure a carico del nostro Paese scende al minimo storico di 66 procedure, di cui 53 per violazione del diritto dell'Unione e 13 per mancato recepimento di direttive. Da un confronto con i numeri di inizio legislatura, al 21 marzo 2013, nei confronti dell'Italia erano pendenti 97 casi di infrazione. Emerge un dato inequivocabile: grazie all'intenso lavoro svolto, l'Italia ha quasi dimezzato il contenzioso esistente con l'Unione europea, dimostrando in tal modo una volontà di piena adesione al dettato europeo, nonché una straordinaria capacità di recupero dell'arretrato.

Il netto e incessante miglioramento della posizione italiana appare ancor più evidente se si raffrontano i dati attuali con quelli degli anni precedenti; nel luglio 2007, infatti, erano pendenti nei confronti dell'Italia 213 procedure di precontenzioso e contenzioso. Tale risultato è riconducibile, da un lato, alla crescente qualità della legislazione adottata dal Parlamento italiano, sotto il profilo della compatibilità comunitaria dei provvedimenti, a conferma della crescente consapevolezza ed attenzione del legislatore italiano verso i parametri normativi fissati a livello europeo, dall'altro, è innegabile l'impatto positivo della sistematica approvazione delle leggi europee da parte delle Camere, che ha consentito una revisione continua della normativa nazionale e l'introduzione delle opportune misure correttive per rendere la legislazione italiana in linea con il quadro europeo.

Vorrei ora passare ad una sintetica illustrazione dei contenuti del disegno di legge che è stato presentato alla Camera lo scorso 19 maggio, con 14 articoli, e che si compone ora di un totale di 19 articoli. Di questi, cinque sono diretti a chiudere casi EU Pilot, tre servono invece per porre fine ad altrettante procedure di infrazione e tre a dare corretta attuazione a direttive già recepite nell'ordinamento interno.

Segnalo che nel corso dell'esame in sede referente, conclusosi il 5 luglio 2017, il disegno di legge è stato oggetto di modificazioni ed integrazioni; in particolare, sono stati inseriti 6 nuovi articoli, è stato soppresso un articolo e sono state apportate modifiche a sette articoli.

In materia di libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi, l'articolo 1 modifica il decreto legislativo n. 96 del 2001, riallineando la disciplina per l'accesso degli avvocati stabiliti al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori a quella prevista dalla legge professionale forense per gli avvocati che hanno ottenuto la qualifica in Italia.

L'articolo 2, modificato, novella il codice dei medicinali veterinari, introducendo una disciplina sulla tracciabilità dei farmaci ad uso veterinario, mediante ricetta sanitaria elettronica, applicabile anche ai mangimi medicati, di cui al decreto legislativo n. 90 del 1993.

L'articolo 2-bis, inserito in Commissione, modifica il codice delle comunicazioni elettroniche per introdurre sanzioni amministrative per la violazione delle disposizioni europee relative al roaming, nelle reti pubbliche di comunicazioni mobili e al cosiddetto Internet aperto, su cui sono state avanzate richieste di chiarimenti all'Italia nell'ambito di un caso EU Pilot.

Sulle tematiche riguardanti la giustizia e la sicurezza, l'articolo 3 amplia il campo di applicazione dell'aggravante di negazionismo, prevista dalla legge n. 654 del 1975, stabilendo la punibilità anche della grave minimizzazione e dell'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra. Viene, inoltre, aggiunto il negazionismo ai delitti che, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, comportano la responsabilità delle persone giuridiche. L'intervento dovrebbe consentire di sanare il caso EU Pilot 8184, attuando i contenuti della decisione quadro 2008/913/GAI, sulla lotta contro talune forme di espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

L'articolo 4, modificato, estende l'ambito di applicazione delle disposizioni della legge europea 2015-2016 relative all'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti anche alle fattispecie precedenti alla sua entrata in vigore, modificando, altresì, alcuni dei criteri per l'accesso al fondo per l'indennizzo. La disposizione, che prevede oneri pari a 26 milioni di euro per l'anno 2017, a valere sul Fondo per il recepimento della normativa europea, e a 1,4 milioni di euro annui, dall'anno 2018, a valere sul Fondo per interventi strutturali di politica economica, si propone di risolvere la procedura di infrazione n. 2011/4147.

In tema di fiscalità segnalo l'avvenuta soppressione dell'articolo 5 del disegno di legge che modificava la disciplina dei rimborsi IVA al fine di consentire l'archiviazione della procedura di infrazione n. 2013/4080, in recepimento di una condizione posta dalla V Commissione (Bilancio), ai fini del rispetto dell'articolo 81 della Costituzione, che ha rilevato la necessità di aggiornare la stima alla base della quantificazione degli oneri previsti dalla norma che poi è stata soppressa.

L'articolo 6 modifica la disciplina concernente la non imponibilità ai fini IVA delle cessioni di beni, effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, destinati ad essere trasportati o spediti fuori dall'Unione europea, in attuazione di finalità umanitarie, al fine di garantire l'attuazione della direttiva 2006/112/CE.

L'articolo 7 estende il regime fiscale agevolato per le navi iscritte al Registro internazionale italiano anche a favore dei soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia, che utilizzano navi adibite esclusivamente a traffici commerciali, iscritte in registri di Paesi dell'Unione europea e dello spazio economico europeo, prevedendo le coperture finanziarie degli oneri previsti, pari a 20 milioni di euro per il 2018, a 11 milioni di euro a decorrere dal 2019. La disposizione mira alla chiusura della procedura EU Pilot 7060/14/TAXU, relativa alla compatibilità con il diritto dell'Unione europea delle vigenti disposizioni concernenti i regimi di determinazione del reddito imponibile delle imprese marittime.

In materia di lavoro, l'articolo 8 stanzia risorse per consentire il superamento del contenzioso relativo alla ricostruzione di carriera degli ex lettori di lingua straniera assunti nelle università statali prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 120 del 1995, al fine di risolvere il caso EU Pilot 2079/11/EMPL, nell'ambito del quale la Commissione europea ha chiesto chiarimenti all'Italia circa la compatibilità dell'articolo 26, che ha stabilito l'automatica estinzione dei giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, relativi al trattamento economico degli ex lettori, con l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.

Alcune disposizioni operano in materia di salute.

L'articolo 9, modificato, riguardante l'etichettatura delle caseine e dei caseinati destinati all'alimentazione umana, prevede attività di controllo in attuazione della direttiva dell'Unione Europea UE 2015/2203, sulle indicazioni obbligatorie da riportare nell'etichettatura dei prodotti e il controllo sul rispetto dei nuovi parametri dei tenori di umidità e di grassi, previsti negli allegati della direttiva. Inoltre, interviene sulle regole di commercializzazione dei lotti di prodotto fabbricati anteriormente all'entrata in vigore della legge europea 2017 e delle etichette non conformi. La disposizione è volta a dare diretta attuazione alla direttiva UE 2015/2203 al fine di consentire l'archiviazione della procedura di infrazione n. 2017/0129, avviata dalla Commissione europea il 24 gennaio 2017 per mancato recepimento della direttiva entro il termine in essa previsto.

L'articolo 9-bis, inserito nel corso dell'esame in Commissione, interviene sulla validità temporale del certificato medico dei lavoratori marittimi, nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio, stabilendo che lo stesso può essere prorogato per un periodo non superiore a tre mesi. L'intervento legislativo attuato mediante novella al decreto legislativo n. 71 del 2015 mira a rispondere alle contestazioni del caso EU Pilot 8443/16, circa il non corretto recepimento della direttiva 2008/106/CE.

L'articolo 9-ter, anch'esso inserito in Commissione, introduce un nuovo illecito amministrativo punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10 mila a 60 mila euro a carico di chiunque viola le disposizioni in materia di pubblicità previste dal Regolamento n. 1272 del 2008 sulla classificazione, l'etichettatura e l'imballaggio di sostanze e miscele.

In materia ambientale, l'articolo 10, modificato, integra le disposizioni del codice dell'ambiente relative ai metodi di analisi utilizzati per il monitoraggio dello stato delle acque, al fine di garantire l'intercomparabilità, a livello di distretto idrografico, dei risultati del monitoraggio medesimo, nonché la valutazione delle tendenze ascendenti e di inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee, al fine di superare alcune delle contestazioni avanzate dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 7304/15.

L'articolo 11, modificato, interviene sulla disciplina relativa ai limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, stabilendo che gli stessi limiti (riferiti ai contenuti di fosforo e azoto) devono essere monitorati e rispettati non in relazione alla potenzialità dell'impianto, ma, più in generale, al carico inquinante generato dall'agglomerato urbano. Inoltre, il comma 2-bis esclude effetti derivanti dalla modifica di cui al comma 1 su quanto disposto dall'articolo 92 del cosiddetto codice dell'ambiente, che disciplina le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, e sulla sua applicazione in relazione ai limiti di utilizzo delle materie agricole contenenti azoto nelle medesime aree.

L'articolo 11-bis, inserito nel corso dell'esame in Commissione, reca una disciplina volta alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, allo scopo di attuare la direttiva del 2015, n. 720, in merito alla quale, nei confronti dell'Italia, è in corso la procedura di infrazione n. 2017/0127, per mancato recepimento nei termini allo stadio di parere motivato.

Ulteriori disposizioni sono poi contenute al Capo VII.

L'articolo 12 reca modifiche alla legge n. 234 del 2012 sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, al fine di assicurare una maggiore partecipazione del Parlamento nazionale alla fase ascendente degli atti delegati dell'Unione europea e di garantirne il corretto e tempestivo recepimento. In particolare, la lettera a) propone l'inserimento di una nuova lettera e)-bis del comma 7 dell'articolo 29, in forza del quale si dispone che nella relazione illustrativa del disegno di legge di delegazione europea sia inserito l'elenco delle direttive dell'Unione europea che delegano alla Commissione europea il potere di adottare atti, di cui all'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Inoltre, la lettera b) dispone in merito al recepimento, con decreto ministeriale, degli atti delegati aventi un contenuto meramente tecnico; a tal fine, novella il comma 6 dell'articolo 31 della legge n. 234 del 2012, richiamando la disciplina di cui all'articolo 36 per il recepimento degli atti delegati dell'Unione Europea che recano meri adeguamenti tecnici.

L'articolo 12-bis, inserito in Commissione, reca disposizioni ai fini dell'integrale attuazione della direttiva n. 33 del 2014 per l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative agli ascensori e ai componenti di sicurezza per ascensori, con specifico riferimento ai certificati di abilitazione.

L'articolo 13, modificato, disciplina il trattamento economico del personale esterno, estraneo alla pubblica amministrazione, che partecipa ad iniziative e missioni del servizio di azione esterna dell'Unione europea, novellando a tal fine la legge n. 145 del 2016 sulla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali.

L'articolo 13-bis, inserito nel corso dell'esame in Commissione, estende la possibilità di avvalersi di personale non appartenente alla pubblica amministrazione anche per la realizzazione e il monitoraggio di interventi di cooperazione allo sviluppo, con finanziamento dell'Unione europea per la durata degli interventi e alle medesime condizioni previste per l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.

Da ultimo, l'articolo 14, modificato, reca una clausola di invarianza finanziaria per le disposizioni del disegno di legge, fatta eccezione per l'articolo 4, l'articolo 7 e l'articolo 8.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. Ringrazio la relatrice e vorrei anch'io sottolineare alcuni aspetti, in parte, tra l'altro, già evocati, ma che ritengo particolarmente importante ricordare.

Il primo è il quadro all'interno del quale si inserisce questa legge europea ed è un quadro che vede l'Italia il Paese più virtuoso nella gestione delle infrazioni in base al rapporto, uscito qualche giorno fa, della Commissione europea sulla gestione del contenzioso comunitario del 2016. Se noi prendiamo l'inizio del 2014, in cui le infrazioni dell'Italia erano 121, e prendiamo lo stato attuale - prima che questa legge europea venga discussa e che, se approvata dalle due Camere, entri in vigore -, noi siamo passati da 121 a 66 infrazioni. Abbiamo, praticamente, in poco più di tre anni, dimezzato le infrazioni e questa diminuzione, con questo ritmo e questa velocità, non ha precedenti con i Governi precedenti e questo grazie all'ottimo lavoro di squadra, lo ripeterò sempre, fino alla fine della legislatura, tra Governo e Parlamento, tra Governo, Camera e Senato, tra Governo e tutti i gruppi politici, non solo quelli di maggioranza, che voglio ringraziare ovviamente in maniera particolare, ma anche quelli dell'opposizione.

Tutti hanno sempre cercato, tranne per alcuni aspetti, di lavorare nella stessa direzione ed è un dato particolarmente importante alla luce proprio del rapporto della Commissione europea, che cade veramente in maniera molto tempistica per quanto riguarda l'inizio della discussione in Aula della legge europea di cui stiamo trattando, perché la Commissione europea indica che nel 2016 sono aumentate le varie denunce di soggetti privati o, comunque, non autorità pubbliche, nei confronti di tutti gli Stati membri; indica che i controlli, esercitati della stessa Commissione, sono aumentati; indica che sono aumentate le infrazioni aperte in tutta l'Unione europea, perché la Commissione europea parla di 186 infrazioni aperte. Bene, in questo contesto che, diciamo così, è più competitivo per quanto riguarda la gestione del contenzioso con l'Unione europea, l'Italia tocca il minimo storico e questo è un risultato di cui dobbiamo essere tutti soddisfatti ed è un risultato all'interno del quale si inserisce la legge europea di cui stiamo discutendo, che, come è già stato ricordato, vuole contribuire a due aspetti del nostro impegno come Italia. Il primo aspetto è la gestione della fase precontenziosa, i cosiddetti EU Pilot: sono sei i casi EU Pilot che miriamo a chiudere, cioè sono sei i casi in cui miriamo a prevenire l'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia; l'altro aspetto è, invece, la chiusura di tre procedure di infrazione.

Anche su questo io vorrei attirare l'attenzione del Parlamento, ossia sul fatto che sempre di più sarà necessario intervenire in via tempestiva, perché il nuovo orientamento della Commissione europea, che l'Italia come altri Governi hanno contestato, ma che è l'orientamento verso il quale la Commissione europea sembra andare, è di diminuire sempre di più i casi di EU Pilot, cioè passare direttamente all'avvio del contenzioso con gli Stati membri. Proprio per questo, fare un attento lavoro di prevenzione e fare un attento lavoro a monte, anziché a valle, ci servirà anche per prevenire l'avvio di tutta una serie di procedure di infrazioni formali, che, evidentemente, potrebbe, nei confronti di tutti gli Stati membri, aumentare, se la Commissione veramente farà sempre meno ricorso ai casi EU Pilot.

Quindi, il lavoro di prevenzione, il lavoro a monte, il lavoro che dobbiamo continuare a svolgere tra Governo e Parlamento e che riguarda, in particolare, anche le regioni, perché parte del contenzioso - rispondiamo in questa legge europea ad una buona parte del contenzioso, ad esempio, in materia ambientale - dipende dalla responsabilità delle regioni, ebbene questo lavoro di prevenzione, di dialogo preventivo tra Governo, Parlamento e regioni, che abbiamo sperimentato in maniera positiva in questi tre anni e mezzo, diventerà sempre più importante. Questo è il primo aspetto di sistema, Presidente, su cui volevo attirare l'attenzione della Camera e dei parlamentari.

Il secondo aspetto è la caratteristica di questa legge europea: le leggi europee, è noto, sono dei provvedimenti orizzontali, ma ogni legge europea ha un punto che la qualifica in maniera particolare e che credo che sia interesse, se il provvedimento verrà approvato, che questo aspetto venga valorizzato nei confronti dei cittadini italiani da parte del Governo e da parte del Parlamento: l'aspetto fondamentale di questa legge europea è la tutela dei diritti fondamentali.

Ci sono una serie di provvedimenti, ai quali stiamo lavorando con i parlamentari e le parlamentari che hanno presentato alcuni emendamenti per migliorare ancora di più l'obiettivo perseguito dal Governo, che vanno a fare in modo che essere in conformità con le disposizioni europee voglia dire aumentare la tutela dei diritti fondamentali e lottare in maniera più efficace contro le violazioni di diritti fondamentali. Ne cito alcuni che mi sembrano i più rilevanti. Diamo attuazione finalmente, recepiamo in Italia, le nuove disposizioni europee della lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia.

In particolare, lo voglio sottolineare, la disposizione che ci accingiamo a recepire punisce espressamente le condotte di minimizzazione e apologia della Shoah e dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra ed introduce, inoltre, in questa materia la responsabilità amministrativa delle società e degli enti in relazione alle predette fattispecie criminose. Questo è il primo punto di grandissima rilevanza e credo che aumentare la nostra capacità di colpire e di reprimere questi crimini odiosi sia certamente un aspetto di grandissima rilevanza.

Il secondo su cui stiamo lavorando in queste ore per migliorare, rafforzare la tutela rispetto al testo originario del Governo è quello della disciplina per l'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti. Dobbiamo superare alcune criticità, dobbiamo superare alcune limitazioni che, certamente, vanno superate, dobbiamo anche assicurare che ci siano le risorse necessarie per introdurre una normativa, che è una normativa di grande civiltà ed è una normativa sulla quale l'Italia ha accumulato un eccessivo ritardo. Quindi, dobbiamo assolutamente mirare ad estendere la disciplina relativa, in particolare, all'accesso al Fondo per l'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti a chiunque sia stato vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 gennaio 2005. Questo è il secondo punto.

Il terzo punto su cui il Governo presenterà ulteriori proposte è la tutela del diritto alla riservatezza, tutela dei dati personali, ruolo di un'Autorità garante che ha una rilevanza costituzionale europea come il Garante per la protezione dei dati personali. Da questo punto di vista dobbiamo introdurre delle norme che assicurino un efficace trattamento dei dati personali e aumentare, attraverso il recepimento della normativa europea, le garanzie di sicurezza e professionalità dei dati sensibili.

Questi, Presidente, sono i tre aspetti più rilevanti, che indicano anche come essere - e concludo - in conformità con le disposizioni europee, che tra l'altro l'Italia ha prima negoziato, possa farci ottenere due risultati. Il primo risultato è quello di aumentare le garanzie e i diritti per i cittadini, ed è un tema fondamentale; il secondo è risparmiare soldi, risparmiare fondi, cominciare a far diminuire il numero di sentenze di condanna, che vengono, tra l'altro, comminate con tanto di interessi. Quindi, da una parte, legge europea dopo legge europea, aumentiamo i diritti e le tutele per i cittadini e, dall'altra parte, diminuiamo anche i soldi sprecati in multe, sprecati in sanzioni, sprecati in interessi, che, invece, in tempi di risorse scarse, vanno utilizzati in altro modo, sempre con l'obiettivo di aumentare le tutele, le garanzie e le opportunità per i cittadini italiani.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Matarrelli. Ne ha facoltà.

TONI MATARRELLI. Grazie, Presidente. Il disegno di legge europea del 2017 contiene quattordici articoli che modificano o integrano disposizioni vigenti dell'ordinamento nazionale per adeguarne i contenuti al diritto europeo. Il provvedimento è volto a consentire la definizione di tre procedure di infrazione e di tre casi EU Pilot e a superare una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell'ambito di un caso EU Pilot, a garantire la corretta attuazione di due direttive già recepite nell'ordinamento interno, nonché ad apportare alcune modifiche alla legge n. 234 del 2012.

L'articolato si compone di disposizioni aventi natura eterogenea che intervengono nei seguenti settori: libera circolazione delle merci, giustizia e sicurezza, fiscalità, lavoro, tutela della salute, tutela dell'ambiente, altre disposizioni. Come ricordato, alcune disposizioni contenute nel disegno di legge europea sono volte alla chiusura di procedure di infrazione. In particolare, l'articolo 4 introduce una disciplina transitoria del Fondo per l'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, che estende la possibilità di accedere al fondo a chiunque sia stato vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005 per completare l'adeguamento della normativa nazionale alla direttiva 2004/80 della Commissione europea.

L'articolo 10 del disegno di legge europea 2017 detta una serie di disposizioni per superare le contestazioni mosse dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI relative alla non corretta applicazione a livello nazionale della direttiva n. 2009/90 della Commissione europea. In particolare, la norma inserita nel disegno di legge è finalizzata ad assicurare la compatibilità a livello di bacino idrografico dei dati relativi al monitoraggio delle acque raccolte dai vari soggetti che incidono territorialmente sul bacino idrografico. Nella maggior parte dei casi si tratta di diverse regioni che, ad oggi, usano metodologie di rilevazione tra loro diverse e, quindi, rendono impossibile o complicata l'intercomparabilità dei dati.

L'intervento normativo del Governo, però, non tiene conto di una lunga serie di altre contestazioni mosse dalla Commissione europea relativamente alla valutazione dei piani di gestione dei bacini idrografici, che mostrerebbe significative differenze nell'implementazione di alcuni punti chiave della direttiva europea 2000/60 della Commissione.

Le carenze individuate dalla Commissione nei programmi di monitoraggio dello stato di qualità delle acque riguardano la mancata adozione di alcune metodologie ritenute fondamentali per arrivare ad una definizione dello stato di qualità delle acque. L'emendamento inserisce una disposizione aggiuntiva all'articolo 10 del disegno di legge, attribuendo alle Autorità di bacino distrettuali il compito di promuovere intese con le regioni e le province autonome ricadenti nel distretto idrografico di competenza, al fine dell'adozione di alcune delle metodologie di monitoraggio della qualità delle acque segnalate nei rilievi mossi dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI.

Questa legge europea, di fatto, avvicina l'ordinamento italiano a quello europeo portando anche migliori utili, ma l'Europa non può essere sempre solo questa. I conflitti commerciali e fiscali che ancora vivono all'interno della stessa Unione europea e i crescenti distinguo sul fronte della ormai necessaria e inderogabile politica comune in materia di accoglienza di migranti non danno all'Europa il respiro della speranza che ha suscitato fin dalla sua ideazione. Perciò va bene recepire ciò che rende le etichette più chiare, ma, accanto a questo, deve anche avvenire un salto di qualità che, ad oggi, stenta a verificarsi.

Il voto della Brexit è il risultato della separazione crescente e conflittuale tra oligarchie economiche e popolazione, tra sviluppo del capitalismo finanziario e persone comuni, più direttamente tra poveri e ricchi di questa Europa, in cui i poveri sono sempre di più e i ricchi sempre di meno e sempre più ricchi. In conclusione, se la democrazia non riuscirà a farsi valere nel suo significato e peso più profondo, gli attuali Trattati, su cui si è fondato un patto sbagliato e antipopolare, diventeranno carta straccia. È necessario fin da subito edificare un patto nuovo. Perciò, se vorremo, al posto del pareggio di bilancio, la tutela dei diritti dei cittadini, il potere d'acquisto dei loro salari e la possibilità di avere un reddito e una casa, probabilmente l'Europa potrà tornare a espandersi, e finalmente potrà portare condizioni di vita migliori.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elvira Savino. Ne ha facoltà.

ELVIRA SAVINO. Signora Presidente, la legge europea rappresenta, insieme alla legge di delegazione europea, uno dei due strumenti di adeguamento all'ordinamento dell'Unione europea, e, nello specifico, contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea stessa e nei casi in cui il Governo abbia riconosciuto la fondatezza dei rilievi mossi dalla Commissione europea nell'ambito di procedure di infrazione o di procedure di pre-infrazione, cosiddetti EU Pilot.

Ci troviamo di fronte a un testo che spazia dalla libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi a giustizia e sicurezza, per passare al settore della fiscalità, del lavoro, della tutela della salute e dell'ambiente. Di particolare interesse è l'articolo 3, che amplia il campo di applicazione dell'aggravante di negazionismo, prevista dalla legge n. 654 del 1975. Si stabilisce la punibilità anche della grave minimizzazione e dell'apologia della Shoah e dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra. Con ciò si dovrebbe sanare il caso EU Pilot 8184/15/JUST e attuare i contenuti della decisione quadro 2008/913/GAI, sulla lotta contro alcune forme di espressioni di razzismo e di xenofobia mediante il diritto penale. Tale punto è particolarmente importante per una forza politica liberale come la nostra, una forza politica che ritiene che la libertà è tale solo quando esercitata in un quadro di regole condivise, quando il rispetto di tali regole diventa il centro del vivere civile. Ma le regole - non ci stancheremo mai di ripeterlo - non possono essere troppe, e soprattutto non possono essere troppo invasive. Quello che vale a livello nazionale, vale tanto più sul piano europeo, dove ci abbiamo messo anni a capire che la politica doveva avere la priorità, e che le norme di omogeneizzazione, anche di particolari piccoli e insignificanti, come il colore dei taxi, per esempio, non faceva che allontanare le persone dall'Europa. E le persone hanno accettato questa Europa impicciona finché, come tutte le cose, in un momento di crisi molto forte, non si sono ribellate alla stessa idea di un'Europa così concepita. Ma siamo ancora in tempo: gli anni di pace che l'Unione europea ci ha garantito sono ciò che di buono e concreto è scaturito dal progetto originario, adesso dobbiamo rilanciare.

Tornando al testo al nostro esame, siamo soddisfatti anche dell'approvazione dell'articolo 4, che estende l'ambito di applicazione delle disposizioni della legge europea 2015-2016, relative all'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, anche alle fattispecie precedenti alla sua entrata in vigore. Su tale punto eravamo intervenuti anche in sede di approvazione della precedente legge europea, e siamo quindi soddisfatti che il Governo sia tornato sui suoi passi, seppure per sanare un'ulteriore infrazione che probabilmente poteva essere evitata. Siamo, altresì, convinti che l'attenzione alla fase ascendente sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea dia al Parlamento la centralità che gli spetta. Ciò che proprio non ci convince, invece, è la prassi, inaugurata da qualche anno, di presentare separatamente ai due rami del Parlamento la legge europea e quella di delegazione europea, anche perché, al fine di assicurare una maggiore partecipazione del Parlamento nazionale alla fase ascendente degli atti delegati dell'Unione europea e di garantirne il corretto e tempestivo recepimento, sarebbe il caso di avere una visione d'insieme.

La Camera si è trovata ad esaminare la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 e sul programma di lavoro per il 2017 in modo completamente slegato dalla legge di delegazione europea, che invece il Senato ha potuto esaminare in contemporanea. Ritengo che la sessione dedicata alle politiche da porre in essere a livello europeo e le normative da approvare al fine di sanare le infrazioni dovrebbero andare di pari passo in un'unica Camera, come peraltro è stato fatto nei primi anni di applicazione della legge del 2012, al fine di poter meglio operare in un contesto omogeneo ed informato. L'altra questione riguarda l'atteggiamento del Governo nei confronti delle opposizioni: abbiamo presentato pochi emendamenti, concentrati su problemi seri, ma nonostante la fondatezza delle nostre richieste non abbiamo avuto neppure una spiegazione circa il parere contrario che la maggioranza ha espresso nelle Commissioni di merito.

Nel nostro caso, nel caso dei nostri emendamenti, si trattava semplicemente di dare un segnale di attenzione a quelle miriadi di imprese che lavorano per la pubblica amministrazione e che non vengono pagate in tempi ragionevoli. Abbiamo chiesto di ridurre il tempo delle proroghe di pagamento, che spesso causano il fallimento di quelle piccole e medie imprese che costituiscono la ricchezza del nostro sistema economico. Il Governo non ci ha detto di no perché non c'è la copertura finanziaria o perché sia contrario per qualche questione di principio, ha fatto semplicemente finta di non capirne l'implicazione, nonostante il nostro Paese sia in infrazione da anni nell'attuazione della direttiva n. 7 del 2011, relativa proprio la lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra i privati e la pubblica amministrazione. Ma la maggioranza non si è limitata a questo: sempre in merito a questioni attinenti i contribuenti, ha soppresso l'articolo 5 del provvedimento, in materia di rimborsi IVA, perché nel Fondo per il recepimento delle direttive europee non ci sono abbastanza soldi. La direttiva n. 112 del 2006 consente infatti al contribuente di riportare un'eventuale eccedenza fra l'ammontare dell'IVA a credito e quella a debito ad un periodo d'imposta successivo, e di ottenerne appunto il rimborso. Ma in Italia, che in questo è in infrazione, tale diritto non è garantito a tutti, ma solo a coloro che prestino una cauzione in titoli di Stato o una fideiussione triennale a garanzia dei rimborsi al fisco dell'eventuale indebito, nonché i cosiddetti contribuenti virtuosi. In ogni caso, il termine dei tre mesi previsto dalla direttiva non è rispettato neppure per chi è in regola, con buona pace appunto del popolo delle partite IVA.

D'altra parte, questo è un Governo che sulla delicatissima questione dei migranti oggi ci propone un “aiutiamoli a casa loro”, promettendo in contemporanea, però, una legge sullo iussoli, che non farebbe altro che suscitare illusioni e false speranze, come ha detto anche il nostro presidente in una recente intervista. Ma che credibilità può avere un Governo che strizza l'occhio a tutti, che si fonda persino in Parlamento su una maggioranza frantumata, fatta di parti molto antitetiche, comunque inconciliabili? In vista dell'incontro a Varsavia fra le delegazioni dell'Unione Europea che partecipano alla missione varata nel 2014 e previsto per domani, 11 luglio, nella sede di Frontex, al fine di ridiscutere i termini appunto dell'Accordo, il Governo italiano ora si preoccupa che l'inerzia dell'Europa mandi a fondo il nostro Paese, dopo avere varato misure sui migranti che si sono dimostrate assolutamente insufficienti a far fronte a quella che da anni abbiamo definito non un'emergenza ma un problema sistemico e aver chiesto che come tale venisse affrontato. Misure non incisive e del tutto marginali, che hanno ridotto l'Italia a una zattera del Mediterraneo, altro che portaerei.

Finalmente, grazie alle nostre reiterate denunce, inizierà un controllo sulle navi di alcune ONG che lucrano sulla pelle dei nuovi schiavi e che hanno trasformato la loro attività in un corridoio umanitario privato. Finalmente si mette in discussione l'operazione Triton, male e tardi, tanto che dobbiamo minacciare di non dare più la disponibilità ad utilizzare i nostri porti pur di cambiarla, o, in casi estremi, di ritirarci dalla missione stessa. Sono anni che ci sgoliamo, anche in queste Aule parlamentari, per misure serie ed efficaci, salvo essere trattati come razzisti, quando invece il buonismo di certa politica non ha fatto altro che incrementare i guadagni di un sistema criminale fondato sul mercato delle vite di persone che in gran parte sono migranti economici e in minima parte rifugiati politici.

Peraltro, la maggioranza parlamentare, sempre con i migliori propositi, la settimana scorsa ha introdotto in Italia il reato di tortura, di fatto inibendo il 90 per cento dei rimpatri, visto che molti dei Paesi di provenienza di questi migranti sono sospettati di fare ricorso a tali pratiche tanto difficili da dimostrare, dal momento che il reato in Italia, in realtà, è stato introdotto pensando al comportamento delle nostre forze di polizia al G8 di Genova.

Insomma, dopo anni di acquiescenza nei confronti dell'Europa, l'Italia ha una credibilità ridotta ai minimi termini da Governi succedutisi senza alcun mandato popolare, frutto di manovre e logiche di altri tempi, che avevamo pensato superati e che mettono in pericolo la definizione stessa di democrazia, alla quale i cittadini guardano con sempre maggiore diffidenza. È un Paese in cui disparità e ingiustizie sono sotto gli occhi di tutti, un Paese che vede sgretolarsi lo stato sociale così faticosamente raggiunto.

I Governi, a causa delle politiche degli ultimi anni, basate sul dare tutto a tutti, non garantiscono nemmeno il minimo ai propri cittadini. Sono Governi poco credibili che, dopo aver così entusiasticamente sostenuto il nuovo Presidente francese, sono stati presi sonoramente a schiaffi dallo stesso sulla questione che, in questo momento, sta minando più delle altre la nostra democrazia, ossia l'indiscriminato accesso dei migranti nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4505-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice rinunzia alla replica.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Presidente, intervengo brevemente, anche se molto di quello che è stato detto va oltre il disegno di legge europea, ma credo che vada lasciata agli atti anche la politica del Governo su quanto è stato detto nella discussione.

Il primo intervento dell'onorevole Matarrelli evocava gli errori gli errori che sarebbero stati compiuti dal Governo in materia di promozione dei diritti. Ripeto che, se c'è un filo rosso del disegno di legge europea, è recepire e aumentare la tutela dei diritti fondamentali.

Un'altra esponente dell'opposizione - mi riferisco all'onorevole Elvira Savino - ha voluto sottolineare questo aspetto rispetto alle misure europee per assicurare che tutti gli Stati membri facciano la loro parte. Ricordo che finalmente con tre procedure di infrazione che sono state avviate dalla Commissione europea - io lo ripeto da un anno - nei confronti di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Ricordo che quella che sui giornali - ma capita spesso a questo Governo e in realtà a tutti i Governi italiani - è presentata come una proposta tedesca e della Commissione europea, è una proposta italiana, cioè di introdurre una nuova condizionalità: chi viola lo Stato di diritto e i diritti fondamentali - purtroppo, ci sono forti rischi di violazione dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali all'interno dell'Unione europea - deve vedersi sospesi o congelati i fondi europei, i fondi del bilancio europeo.

È una proposta che ho avuto più volte occasione di presentare sia in Commissione sia in Aula e che è stata presentata ufficialmente dal Governo italiano in aprile. Oggi fa parte delle proposte del Governo svedese, del Governo tedesco e della Commissione europea nella comunicazione dei commissari Oettinger e Cretu sulle finanze pubbliche europee. Non so se questo sia credibilità o influenza, diciamo che come Italia dovremmo essere tutti soddisfatti che idee che in quest'Aula ho sentito essere condivise dalla maggioranza e dall'opposizione non siano più solo idee del Governo - sono idee del Governo Renzi dal 2014 - cominciano finalmente a diventare misure concrete, idee, condizioni delle istituzioni europee, della Commissione europea e di alcuni Governi che condividono con noi la battaglia per quanto riguarda lo Stato di diritto e i diritti fondamentali.

Dell'onorevole Savino non condivido il fatto che si critichi il meccanismo che ci ha permesso di ridurre in maniera drastica le procedure di infrazione, che non mi sembra fossero 66 all'epoca in cui il Governo del Paese era affidato al centrodestra: mi sembra che fossero tre o quattro volte di più. Non ho la cifra oggi del numero di infrazioni dell'Italia nel 2011, ma diciamo che ho la sicurezza di dire che erano almeno tre o quattro volte superiori a quelle che abbiamo oggi.

E l'abbiamo fatto proprio grazie anche alla cooperazione del Parlamento, alla cooperazione di tutti i gruppi politici perché, al di là delle contestazioni, sul merito devo dire che c'è stato un atteggiamento di fatto cooperativo anche nei gruppi di opposizione, ma la ragione per cui noi abbiamo voluto sdoppiare legge europea e legge di delegazione e procedere in parallelo in maniera alternata, una volta alla Camera e una volta al Senato, è esattamente l'esigenza anche di tempestività, di esame approfondito, sempre in una lettura, e tempestività. Senza tempestività si prendono le infrazioni; senza tempestività si prendono le sanzioni di condanna; senza tempestività, onorevole Salvino, i nostri contribuenti, i contribuenti italiani devono pagare sanzioni e interessi.

Noi riteniamo che quei fondi vadano utilizzati in altro modo, quindi confermo il metodo seguito dal Governo e credo che le cifre - quelle è difficile discuterle - tra il 2011 e il 2017 dicono che, forse, questo sia un metodo più efficace rispetto a quello che è stato utilizzato in passato.

Sulla riduzione dei tempi di pagamento della PA, lei sa che certamente è un problema molto importante, ma sa anche, credo - perché ha presentato un emendamento al riguardo, quindi immagino che lei conosca la situazione -, che è una situazione che vede un netto miglioramento, certificato da parte della Commissione europea, nei pagamenti delle amministrazioni centrali e nei ritardi nelle regioni. Da questo punto di vista, il suo emendamento non risolveva alcunché ed è per questo che il Governo ha dato parere negativo.

Sui rimborsi IVA la tranquillizzo, perché ha ragione. Quella dei rimborsi IVA è un'infrazione che dobbiamo chiudere e che verrà chiusa nella legge europea. Dobbiamo tenere conto dei rilievi della Commissione bilancio. Quindi, stiamo lavorando per tenere conto dei rilievi della Commissione bilancio e, in Aula, certamente, il tema verrà riproposto al Governo alla luce dei rilievi del Parlamento, perché è il Parlamento che ha indicato che c'erano degli aspetti di copertura finanziaria. Quindi, copriremo e, quindi, anche gestiremo anche giustamente quest'infrazione, che è molto importante. Sì, li presenteremo, onorevole Savino: in Aula si possono presentare emendamenti, anche questo. Insomma, le do questa notizia.

L'ultimo punto è il tema delle ONG. Io lascio a lei, anche se ci sono in Aula non moltissimi parlamentari, però rimane agli atti… Quindi, io lascio a lei la responsabilità di quello che ha detto sul lavoro delle ONG: lucrano sul traffico di nuovi schiavi. Lei ha detto che le ONG lucrano sul traffico di nuovi schiavi.

Io ritengo che quest'affermazione sia gravissima. Il Governo non la condivide, il Governo lavora perché, alla luce del rapporto bilaterale e dell'accordo bilaterale tra Italia e Libia di febbraio, stiamo rafforzando le capacità di intervento della guardia costiera libica nelle acque territoriali libiche. E, proprio alla luce di quest'aumento di rafforzamento della guardia costiera libica, stiamo anche elaborando un nuovo codice di condotta delle ONG. Infatti, certamente, ci sono delle zone in cui, quando gli Stati e i Governi possono intervenire, è opportuno che lo facciano gli Stati e i Governi e non lo facciano altri soggetti privati, pur avendo una chiara missione umanitaria, come le ONG. Ma dire - tra l'altro, non so quali informazioni e quali prove lei abbia - che le ONG lucrano sul traffico di nuovi schiavi, io la invito ad assumersi le responsabilità di questo.

Ha evocato anche il tema Mare Nostrum e Triton. Allora, in quest'Aula, all'epoca di Mare Nostrum, la critica che veniva fatta all'Italia era: siete da soli, ci sono solo navi italiane e pagate solo voi. La trasformazione dell'operazione Mare Nostrum in Triton e, poi, Sophia è di avere fatto in modo che non ci fossero solo navi italiane a controllare il Mediterraneo, ma ci fossero navi europee e che non pagasse l'Italia, ma pagasse il bilancio dell'Unione europea.

A quest'azione sono collegate altre due iniziative, su cui dobbiamo tutti spingere molto di più. La prima è quella di una nuova strategia, con tanto di fondi - vedi il trust fund, con la finestra dell'Europa per il Nord Africa, deciso a La Valletta in febbraio -, cioè più fondi per rafforzare la Libia e per affrontare il tema nei Paesi di origine e di transito. Poi il tema della relocation, su cui ho detto sono state avviate tre procedure d'infrazione, su cui tutti dobbiamo certamente spingere, perché è una palese violazione di un accordo europeo.

Sul tema della credibilità, io la invito, magari, a parlare con i rappresentanti istituzionali dell'Unione europea - alcuni si trovano anche in italiano - e magari faccia una bella comparazione tra la credibilità dell'Italia in ottobre 2011 e la credibilità dell'Italia, oggi, in luglio 2017 e, magari, avrà delle sorprese.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Fiano ed altri: Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista (A.C. 3343-A) (ore 15,03).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 3343-A: Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è in distribuzione e sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3343-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Walter Verini.

WALTER VERINI, Relatore per la maggioranza. La ringrazio, Presidente. Se ci fosse stato bisogno di qualche esempio che motivasse la necessità e per certi aspetti l'urgenza di un provvedimento come questo, ebbene, è stata la cronaca di questi ultimi giorni a fornirlo. In ordine di tempo, l'ultima è stata l'incredibile vicenda di Chioggia, dove in uno stabilimento balneare, situato in una area di proprietà demaniale, un signore ha allestito un vero e proprio armamentario neofascista e neonazista, con incitamenti alla violenza, riferimenti alle camere a gas dei campi di sterminio, irrisione e riferimenti alla necessità di sterminare tossicodipendenti. Non si tratta di opinioni, sia pure vergognose, ma di reati di vera e propria istigazione alla violenza, come ha detto bene ieri il costituzionalista Michele Ainis. Lo stesso è avvenuto qualche giorno fa a Milano, dove un gruppo di neofascisti ha assediato il comune, dimostrando con i fatti il loro odio, il loro disprezzo per la democrazia e le istituzioni.

La proposta di legge che illustro, il cui primo firmatario è l'onorevole Emanuele Fiano, è diretta perciò innanzitutto a introdurre nel codice penale l'articolo 293-bis del codice stesso, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista. Non soltanto in altri Paesi d'Europa, ma anche nel nostro Paese - lo accennavo prima - sono sempre più frequenti gli episodi e le manifestazioni che richiamano apertamente concezioni apologetiche del fascismo e del nazifascismo. Non si tratta soltanto di fatti, pur gravi, di valore simbolico, la cui gravità peraltro è appunto indiscutibile; spesso, a queste manifestazioni, a questi episodi apologetici si accompagnano gesti, condotte e comportamenti violenti, intolleranti, razzisti, cioè tipici di una cultura e di una prassi che trae origine e spunto in periodi storici che hanno procurato all'Europa e al nostro Paese dittature e guerre, leggi razziali e discriminazioni, violenze e persecuzioni.

Il rifiuto del fascismo, del nazifascismo, è vero, sono ormai un patrimonio consolidato del Paese, ma è proprio per questo che non possono essere consentiti o tollerati comportamenti che intacchino questo patrimonio comune.

La cosa, poi, è particolarmente rilevante se si considera quello che succede nella rete, dove le pulsioni neofasciste, neonaziste, le istigazioni alla violenza in nome di queste cose, le posizioni razziste e xenofobe sono dilaganti, raggiungendo milioni e milioni di persone e capita che ci sia chi, a questi incitamenti, fa seguire fatti e condotte criminose specifiche. È anche per questo che si deve porre riparo, innalzando qualche argine in più, argine che - lo voglio dire con chiarezza - non può essere legato solo ad un pur necessario inasprimento legislativo; occorre mettere sempre di più in campo altri strumenti, altri anticorpi che sono sociali, culturali.

Ieri, per una coincidenza, stavo a Gualdo Tadino, una città della mia regione, l'Umbria, dove il comune conferiva la cittadinanza onoraria a Remo Bonomi, una persona di 93 anni sopravvissuta all'orrore di Mauthausen. È stata un'occasione emozionante, come emozionanti sono state altre occasioni che, come è capitato a me, hanno vissuto tanti altri. Penso alle testimonianze di Piero Terracina o Sami Modiano oppure dello stesso papà di Emanuele Fiano, Nedo, penso a quelle di Andra e Tatiana Bucci o di altri, tanti altri che non ci sono più. Io ho conosciuto, tra gli altri, Settimia Spizzichino e Shlomo Venezia. Queste persone, che hanno vissuto i campi di sterminio, che hanno visto trucidare i propri genitori, fratelli e sorelle, hanno avuto il coraggio, dopo tanti anni, di tornare a parlare e raccontare quelle cose ai ragazzi, proprio lì dove erano avvenute, ad Auschwitz-Birkenau e lo hanno fatto perché non accadano più.

Ecco, noi dovremmo far conoscere queste testimonianze, far capire davvero e sempre di più alle giovani generazioni cosa furono le leggi razziali, il carcere speciale, le torture di via Tasso, le Fosse Ardeatine, i campi di sterminio.

Ma, ecco il punto, con questa legge, che hanno presentato insieme Emanuele Fiano e altri parlamentari che l'hanno sottoscritta, non si intende colpire le opinioni, le idee, la ricerca storica e neppure quel folklore di cattivo gusto che spesso, intorno ai cascami del regime fascista, prospera. Non è così, come non era così quando approvammo la norma sul negazionismo e ha fatto bene lo stesso Fiano a ricordare in un'intervista, citando Giacomo Matteotti: quelle del fascismo non sono idee, sono crimini e questi crimini non sono solo quelli di ottanta e più anni fa, ma quelli che accadono oggi, che sono accaduti in giro per l'Europa, come a Utoya, che parlano di incendi alle sinagoghe, di antisemitismo dilagante, in rete e fuori della rete, di tanti episodi di intolleranza razzista nei confronti dei diversi, che magari accadono anche cavalcando malcontento sociale, rabbie, paure e insicurezze del tempo che stiamo vivendo.

Nel proporre all'Aula l'approvazione di questa legge è evidente che ribadiamo, fino in fondo, anche la disponibilità a lavorare, nei prossimi giorni, per fugare ogni dubbio che si voglia colpire la ricerca, l'opinione. Non è così e non vogliamo che ci siano alibi per nessuno. Però, un conto è questo e un conto è definire questa legge, come ha fatto un movimento parlamentare, quello di 5 Stelle, “liberticida”. Ha fatto bene il segretario del PD, poco fa, a rispondere che di liberticida c'è stato, in questo Paese, il regime fascista.

Infine, per quanto attiene alla motivazione della proposta di legge, facciamo presente che questa consiste nella insufficienza degli strumenti apprestati finora dal legislatore per la repressione di tali comportamenti individuali di propaganda. In particolare, è citato l'esempio di una tipica manifestazione di adesione all'ideologia fascista, come il cosiddetto saluto romano, in base alla giurisprudenza punito a volte ai sensi della legge Scelba, altre in base alla legge Mancino.

Il nuovo articolo 293-bis del codice, aggiunto all'articolo unico della proposta di legge ai delitti contro la personalità interna dello Stato, punisce come delitto la propaganda del regime fascista e nazifascista. La fattispecie penale, punita con la reclusione da sei mesi a due anni, è individuata nella propaganda di immagini, contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, delle relative ideologie, anche solo la produzione, la distribuzione, la diffusione e la vendita di beni che raffigurino persone, immagini o simboli chiaramente riferiti a tali partiti e ideologie e che – ripeto - non abbiano a che vedere con la ricerca storica, la pubblicistica, il collezionismo amatoriale e così via, solo per citare qualche esempio.

Nel richiamare poi pubblicamente la simbologia, la gestualità del partito fascista, del partito nazionalsocialista tedesco ovvero delle relative ideologiche – continua, Presidente, la relazione che chiedo a lei il permesso di consegnare, perché per ragioni di tempo non posso illustrarla tutta -, è tuttavia importante ricordare come costituisca aggravante del delitto di cui all'articolo 293-bis, con l'aumento di un terzo della pena, questa propaganda del regime fascista e nazifascista commessa attraverso strumenti telematici o informatici. L'aggravante riguarda, quindi, sia i siti Internet di propaganda delle ideologie fasciste e nazifasciste sia il merchandisingon line dei gadgets o degli altri beni chiaramente riferiti a questo partito, a quest'ideologia.

In conclusione, la norma che viene portata all'esame dell'Aula ha un suo rilievo, certo, legislativo, ma ce l'ha anche civile e culturale. La democrazia, è vero, si difende innanzitutto facendola funzionare bene, facendola amare da tutti i cittadini, perché è il sistema più adatto a risolvere problemi, a dare risposte ai bisogni collettivi e individuali e lo fa portando a sintesi conflitti sociali, politici, lo si fa rendendo più forte la democrazia, le istituzioni sempre più libere, capaci cioè di sintonizzarsi e sincronizzarsi con i tempi di una società che ha bisogno di risposte.

Ma la democrazia si rafforza dando anche segnali a risposte di questo tipo, come la legge sul negazionismo che abbiamo approvato tempo fa, come questa proposta di legge. E mi auguro che nel dibattito, nelle conclusioni che l'Aula vorrà affrontare ci siano le condizioni perché questo patrimonio, che poi è quello che sta scritto a caratteri incancellabili nei principi della nostra Costituzione, possa essere il più possibile condiviso, mettendo da parte atteggiamenti, come quelli che abbiamo ascoltato (leggi “liberticide” e così via) che francamente sono del tutto lontani dal contenuto, dallo spirito e dalla filosofia di questa proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Verini, è autorizzato a consegnare il testo integrale della sua relazione.

Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

È iscritta a parlare la deputata Giuliani. Ne ha facoltà.

FABRIZIA GIULIANI. Presidente, la discussione che si è sollevata in queste ore, anche a seguito degli episodi che venivano prima ricordati dal relatore, ma anche la discussione a cui stiamo assistendo, nelle forme pubbliche in cui, ormai, le discussioni politiche si svolgono, mostra un dato che io vorrei davvero sottolineare, ossia che la questione che affrontiamo in questa norma, relativa appunto alla propaganda del regime nazista e nazifascista, è una questione molto viva nella nostra società. Per essere ancora più chiara, non si tratta di una norma che tende ad affrontare qualcosa che è alle nostre spalle, che riguarda questioni importanti come la storia, la memoria, il vissuto e le esperienze del nostro Paese, esperienze e vissuti che sono presenti, come sempre accade, in forma individuale e collettiva. No, questa norma non riguarda qualcosa che è soltanto alle nostre spalle, qualche cosa che, a volte, ha preso anche le vesti di una retorica, di una retorica vuota che, magari, può sollevare anche nei giovani un senso di impazienza o, persino, di frustrazione, sentimenti molto sbagliati, ma comprensibili. No, questa norma è rivolta assolutamente all'oggi, è rivolta a fornire strumenti per affrontare, oggi, qualche cosa di vivo e di attuale.

La propaganda nazista e nazifascista può, infatti, avvalersi non solo di vesti nuove, iper moderne e, magari, anche, molto accattivanti, può essere veicolata, appunto, in contenuti nuovi, ma può anche riproporsi, sic et simpliciter, nelle vesti dell'intolleranza, del razzismo e dello sprezzo per le forme della democrazia. Queste non sono soltanto delle forme nuove, Presidente, ma sono anche dei contenuti che oggi si riattualizzano. Dunque, credo che questo sia il vero nodo politico con il quale occorre fare i conti e che per questa ragione è così sentito anche da parte dei media e dei nostri cittadini e ognuno ritiene di voler partecipare a questa discussione.

Allora, le ragioni per cui questo accade, sono ragioni che affondano le loro radici della nostra storia. Tutti gli storici del dopoguerra, gli storici della Resistenza, l'intera nostra storia nazionale è stata segnata anche dal fatto che si sia sottolineato quanto il nostro passato, forse, non sia stato adeguatamente elaborato e forse anche gli scontri politici ai quali assistiamo oggi mostrano questa insufficiente elaborazione. Questa naturalmente, non è questione dottrinaria o accademica, è questione drammaticamente politica, alla quale il nostro ordinamento deve essere in grado di dare delle risposte, soprattutto nei momenti di maggior fragilità.

Proprio lo scorso sabato 8 luglio, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, intervenendo in un convegno che riguardava, appunto, queste questioni, organizzato da ANPI, a Palazzo Marino, ha chiesto esplicitamente di aggiornare la norma relativa al reato di propaganda del regime nazista e nazifascista, per far fronte, appunto, ai troppi episodi di intolleranza.

Francamente, questo non è un bel segnale, non è un bel segnale che il sindaco di una città così importante segnali questa necessità, però, anche se non ci piace, dobbiamo assolutamente raccogliere questo invito ed è quanto, appunto, la norma, che è stata proposta dal collega Fiano e alla quale tutti noi ci siamo uniti, si prefigge, pertanto, di dare. Io credo che queste risposte risultino drammaticamente urgenti in momenti come questi che ci troviamo ad attraversare, non soltanto a livello nazionale, ma, senza timore di spostare oltre i confini di questa discussione le cose che vado a dire, voglio ricordare che le questioni che ci troviamo ad affrontare possono risultare drammaticamente urgenti proprio in relazione alla fragilità che attraversa, oggi, il processo di unificazione europea. Perché la difficoltà di dar seguito al progetto di unificazione europea e, soprattutto, ai fondamenti sui quali questo progetto si fonda, che sono, appunto, quelli nati in seguito al conflitto della seconda guerra mondiale e alla capacità che ha mostrato l'Europa di volere elaborare, di misurarsi con il proprio passato, per metterselo definitivamente alle spalle, non voglio ricordare le ragioni per le quali all'Europa è stato assegnato il Nobel per la pace, ma sono esattamente questioni che richiamavano questi valori.

Ecco, allora, dentro questo tipo di panorama, è evidente che occorre attrezzarsi; sappiamo, naturalmente, che andiamo ad intervenire su una dimensione legislativa che ha già dei punti fermi importanti, quello posto nel 1952, dalla cosiddetta norma Scelba, e, poi, ancora, le questioni sulle quali si è intervenuti nel 1993 con la legge Mancino.

Tuttavia, nonostante la nostra normativa abbia già delle risposte chiare e ben definite, sembrano sfuggire alle maglie delle tipologie di reato previste alcuni comportamenti che possono apparire estemporanei o, magari, perfino innocui, ma non lo sono affatto, possono provocare una difformità interpretativa. Ed è esattamente per affrontare tale difformità interpretativa che si è ritenuto necessario questo ulteriore intervento normativo che, come è stato spiegato nella relazione illustrativa, vuole introdurre nel codice penale questa nuova fattispecie di reato che di liberticida - vorrei rassicurare i colleghi del Cinque Stelle, che però non sono presenti in questa discussione - non ha davvero nulla, questo unico articolo del provvedimento, che prevede l'inserimento nel codice penale, tra i delitti contro la personalità dello Stato, dell'articolo 293-bis che punisce, con la reclusione da sei mesi a due anni, la propaganda del regime fascista e nazifascista.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (ore 15,20)

FABRIZIA GIULIANI. Viene introdotta, inoltre, come aggravante del delitto, la propaganda commessa, appunto, attraverso nuovi strumenti, quelli telematici e informatici, che, come sappiamo, possono essere davvero insidiosi e davvero influenti e assolutamente non prevedibili negli anni nei quali si è intervenuti su questo tipo di reato.

Ora, io credo che l'antifascismo e l'antinazismo, così come il rifiuto del razzismo e di ogni ideologia totalitaria e antidemocratica sono questioni che sono alla base della nostra Costituzione repubblicana - è stato ricordato - e costituiscono le ragioni profonde del progetto di Europa unita, nato sulle macerie delle due guerre mondiali.

Io concludo, affermando che è necessario avvalersi di strumenti che ci consentano di affrontare in forme nuove la minaccia che viene alla vita delle nostre democrazie, questo è il punto, non parliamo di cose che sono alle nostre spalle; la fragilità della democrazia è qualcosa che oggi è davvero molto presente e che può presentarsi in abiti nuovi, appunto, anche molto diversi e, tuttavia, veicola sempre la stessa identica minaccia: colpire il progetto europeo, colpire il valore della diversità, colpire la tolleranza, la tutela dei diritti, la dignità della vita umana; sono questioni che tutti dovremmo difendere perché, forse, davvero, mi consenta Presidente, ma l'unico bene non negoziabile, l'unico valore davvero non negoziabile che tutti dovremmo difendere è quello della tutela delle nostre democrazie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Roberto Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, signora Presidente. Io ho ascoltato l'intervento del relatore Verini, che ha cercato di nobilitare le intenzioni di questo testo, secondo me riuscendoci male, perché vede, onorevole Verini, una cosa è la memoria, che va sempre rinnovata, va sempre affermata per abiurare tutti i totalitarismi - tutti i totalitarismi! - di destra e di sinistra, altra cosa è, invece, la ricerca di piazzare una bandierina ideologica, magari violentando il codice penale, come si sta facendo con questo testo. C'era davvero necessità di questo testo che peraltro, va ad introdurre una nuova fattispecie di reato, intervenendo su leggi che già ci sono nel nostro ordinamento? Non è che venite voi e vi occupate per la prima volta, in tanti anni di storia repubblicana, di questi problemi, c'è la legge Scelba che già punisce l'apologia del fascismo, c'è la legge Mancino che si occupa di sanzionare la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale ed etnico, e oggi c'è anche questo nuovo testo di legge, che, per quando ci riguarda, è una vera e propria bandierina ideologica. Una norma che contiene una fattispecie assolutamente indeterminata, che si presenta più come un tributo ideologico che non come una reale necessità normativa. Se aveste pensato ad un altro testo, magari censurando, come sarebbe stato giusto, oltre ai regimi fascisti e nazi-fascisti, anche i regimi comunisti, i regimi jihadisti, tutti i tipi di totalitarismi, forse oggi questo dubbio in ordine all'approccio troppo ideologico non ci sarebbe.

Credo si evinca chiaramente dal parere reso dalla Commissione affari costituzionali, che chiede quantomeno di coordinare la nuova fattispecie di reato prevista dalla proposta di legge in esame con i reati già previsti dalle cosiddette leggi Scelba e Mancino, in quanto alcune condotte potrebbero risultare riconducibili a più fattispecie di reato, per le quali sono stabilite pene in parte diverse e aggravanti differenziate. Ebbene, c'è già un quadro normativo riconosciuto, che funziona, a cui però si sente la necessità, evidentemente, di mettere mano, ma non attraverso modifiche specifiche rispetto all'esistente, ma introducendo addirittura un nuovo reato nel codice penale. Potevamo dunque aspettarcelo da parte di una maggioranza che porta all'attenzione di questa Camera, quasi settimanalmente, l'introduzione di nuovi reati, in una sorta di panpenalismo che sta destrutturando il nostro sistema penale: la scorsa settimana era il turno della tortura, con un chiaro intervento strumentale contro le nostre forze dell'ordine, oggi è il turno della propaganda fascista, con altri obiettivi di stampo ideologico. Non possiamo non parlare di ideologia, anche perché il nuovo reato cita solo un regime totalitario che ha caratterizzato lo scorso secolo. Perché uno solo, onorevoli colleghi? Perché altri regimi totalitari non meritano in egual misura di poter essere rievocati? La stessa Commissione affari costituzionali denuncia l'indeterminatezza della fattispecie penale, proponendo la riscrittura del testo e rendendo la formulazione più aderente al principio di determinatezza della fattispecie penale di cui all'articolo 25 della Costituzione.

La verità è, signora Presidente, e concludo, che non c'era necessità, secondo noi, di un testo del genere e che questo testo dimostra che il vostro atteggiamento è l'atteggiamento di chi ricerca argomenti diversi, in una sorta di ricerca gli argomenti di distrazione di massa, per distrarre l'opinione pubblica dalle questioni che realmente interessano i cittadini. Ci state riuscendo male, vi basterebbe girarvi attorno e ascoltare un po' il Paese, per rendervi evidente che non sono queste le necessità e le urgenze che quest'Aula dovrebbe affrontare, ma sono ben altre e né la maggioranza, né il Governo stanno dimostrando di saperle affrontare (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Emanuele Fiano. Ne ha facoltà.

EMANUELE FIANO. La ringrazio, Presidente. Non immaginavo, devo dirle la verità, quando ho scritto il primo testo di questa legge, che tipo di opposizioni questa proposta avrebbe prodotto nel nostro Parlamento.

Io pensavo e penso che questa legge sia figlia, in maniera trasposta, della XII disposizione finale della Costituzione e della storia della democrazia in questo Paese, a partire da quelle parole, sacre per me, che un celebre deputato di questo Parlamento, assassinato da sicari fascisti sul lungotevere qua vicino, Giacomo Matteotti, ebbe a dire a proposito del fascismo, con una illuminata distinzione fra l'idea e i crimini, giacché è una delle critiche risorgenti nel dibattito italiano, sia in occasione della XII disposizione finale - e non dico transitoria, perché la parte sulla ricostituzione del partito fascista è finale, quella transitoria è sui cinque anni di esclusione dalle strutture dello Stato degli ex fascisti -, sia in quell'occasione in cui si tentò, con eccezioni, presso la Corte costituzionale di invalidare quella disposizione, sia in occasione del dibattito leggibile nei verbali di questa Camera del 1952 in occasione della legge Scelba, sia ancora nel dibattito che ha attraversato questo Paese e questa Camera in occasione della legge Mancino e anche nella sua riscrittura all'epoca di un Governo di centrodestra, le critiche sono sempre state di due tipi, che ricorrono oggi. Io pensavo che sarebbero state superate, tanto più da chi viene dalla stessa tradizione socialista dalla quale anch'io sento di venire, da quel maestro di vita che fu in quest'Aula Giacomo Matteotti.

E le due critiche si ripartiscono, una, in quella che ha scritto il MoVimento 5 Stelle, e una, in quella che ho appena ascoltato dal collega Occhiuto. Racchiuderei quella che ho ascoltato dal collega Occhiuto nell'idea di benaltrismo: il Paese, l'Europa, la società occidentale hanno ben altri problemi, la fame, i soldi, le pensioni, il lavoro dei figli, lo stipendio, lo sviluppo che occuparsi di questo; e l'altra, cito le parole scritte nel parere reso dal MoVimento 5 Stelle nella I Commissione della Camera: che questo sarebbe un provvedimento liberticida, punire la propaganda dell'ideologia fascista in questo Paese sarebbe un provvedimento liberticida. Nossignori, signora Presidente, liberticida fu quella ideologia che portò in questo Paese centinaia di migliaia di morti, tra militari, perseguitati politici, perseguitati razziali, lo sanno tutti che c'è una vicenda personale che mi lega a questi temi, ma non è questo che mi ha mosso, sì, io ho dieci persone della mia famiglia che furono gentilmente accompagnate dagli aguzzini fascisti e consegnate nelle mani di nazisti per essere prima gasati e poi bruciati nel campo di sterminio di Birkenau e, quindi, conosco i mandanti di quell'assassinio, della mia famiglia e anche di altri quasi 8 mila ebrei italiani, ma parlo dei moltissimi altri, torturati da quel regime, imprigionati, negati ai loro cari, uccisi, consegnati ai nazisti, uccisi come civili, uccisi come militari.

Vede, al di là del percorso che ha portato i padri costituenti a scrivere la XII disposizione finale, al di là del dibattito che ha accompagnato la scrittura della legge Scelba, che volle - Governo democristiano, non un Governo di sinistra - aggiungere al divieto di ricostituzione del partito fascista anche il divieto dell'esaltazione dei princìpi e delle idee fasciste, ma che è scritta nel 1952 e non poteva contemplare, come lei sa molto bene, signora Presidente, essendo essa stessa un alfiere della battaglia contro i discorsi di odio sulla rete Internet, non poteva contemplare le fattispecie contemporanee e moderne di propaganda di idee fasciste o, comunque, discriminatorie, e infine, al di là del dibattito che corrispose alla scrittura e poi riscrittura della legge Mancino, questa è la storia del dibattito che ha attraversato il passato, ma c'è un presente, signora Presidente, questo mi ha mosso a promuovere questa legge.

Il presente è un continente, il nostro, da dieci anni sottoposto a una difficilissima crisi economico-finanziaria e ad anni di politica europea improntata al taglio della spesa sociale, che ha prodotto maggiore diseguaglianza in questo continente, maggiore impoverimento, maggiore rabbia nella società, maggiori fenomeni di allontanamento dalla politica, e a tutto questo, come sappiamo, e non è questo il luogo e il giorno per farne dibattito, si è sommato il tema difficilissimo ed epocale dell'immigrazione.

E questo, signora Presidente, è il terreno più fertile perché oggi rinascano e si moltiplichino quelle ideologie di morte, di violenza, di discriminazione razziale o di genere sessuale o religiosa o per il colore della pelle. Esse sono rinate, e sono tante: lo dicono tutti i fattori di indagini europee, tutte le polizie, le magistrature e gli Stati dicono esattamente di questo.

Pochi giorni fa, una pagina che è stata oscurata, forse perché io mi sono permesso di segnalarla alla proprietà di Facebook, una pagina che si chiama “Camerati italiani”, una delle migliaia di pagine pubblicate in questo Paese senza filtro e che propagandano idee di morte, orribili, razziste e violente scriveva, pubblicando per intero il video di un discorso di Joseph Goebbels, l'ideologo dell'ideologia nazista, in particolare con riferimento alla soluzione finale degli ebrei: “Il nazionalsocialista Joseph Paul Goebbels ci aveva avvertiti più di 75 anni fa del pericolo ebraico. Il giudaismo internazionale distruggerà l'Europa e la razza bianca. L'Occidente è in pericolo. E non fa alcuna differenza se i Governi e gli intellettuali non se ne rendono conto. In ogni caso, noi non vogliamo rassegnarci a questo pericolo. Vediamo i commando ebraici” - è un testo scritto adesso - “liquidatori e dietro di loro il terrore, lo spettro della fame di massa e della totale distruzione”. E poi pubblica il testo di Goebbels. Sono centinaia di migliaia le persone colpite da questa modalità di propaganda senza filtro, che può colpire persone senza preparazione.

Per questo, signora Presidente, per non chiudere gli occhi di fronte a questo, di fronte alla celebrazione del compleanno di Hitler nella provincia di Varese da parte di un'organizzazione orgogliosamente neonazista, per non chiudere gli occhi di fronte alle spiagge mussoliniane di Chioggia, di fronte alle centinaia di pagine web dove, appunto, discorsi di gerarchi nazisti e fascisti vengono propagandati senza filtri, ho pensato che fosse giusto, innanzitutto in onore alla storia di questo Paese, alla sua Costituzione repubblicana nata dopo una guerra di liberazione dei partigiani, una guerra antifascista, che fosse prima di tutto giusto apportare il reato dalla “legge Scelba” dentro il nostro codice penale, dentro il nostro corpo giuridico principale per i reati di tipo penale, ampliando le fattispecie comprese dalla “legge Scelba” anche alla propaganda fatta a mezzo web e alla produzione, diffusione, distribuzione di oggetti, di immagini, di tutto ciò che richiama facendone oggetto di propaganda; non volendo colpire chi ne fa oggetto di studio storico o di collezione, ma colpire quella modalità di propaganda.

A coloro che oggi, in queste ore, ci dicono che questo provvedimento è liberticida, io rispondo che liberticida è l'ideologia della quale noi vogliamo evitare l'esaltazione e la propaganda e invertire i termini della discussione non serve. La libertà - questa è la mia personale opinione - non deve offrire casa a chi la vuole negare. E penso che sia stata la stessa opinione che ha guidato i Padri costituenti, che ha guidato il Ministro Scelba o che ha guidato il senatore Mancino. A maggior ragione oggi, che così immane ci pare il compito di dare soluzione allo spostamento di masse così ingenti di popolazioni che migrano nel mondo per fame, per guerra o persecuzione e, quindi, non solo nel ricordo di coloro che per mano del fascismo mussoliniano in Italia o del nazismo hitleriano in Germania e in tutta l'Europa furono uccisi è necessario dire: basta all'indifferenza verso chi, ancora oggi, professa idee di violenza, di sopraffazione, discriminazione o fascismo.

E mi rivolgo a tutte le forze democratiche, non importa di quale colore sia la loro appartenenza: che possa cessare, anche solo per poche ore, in questo Parlamento - ho finito -, una polemica tra noi, che abbia un risvolto politico attuale, di oggi, tra Governo e opposizioni. Non è vero, onorevole Occhiuto, che la legge esistente funziona: sono decine i casi di sentenze contraddittorie tra loro che con la “legge Scelba” esistente non hanno punito questo tipo di reato. E, dunque, mi rivolgo anche ai colleghi che hanno parlato prima, al collega che ha parlato prima per Forza Italia: fate cessare la polemica contemporanea, ragionate se in questo Paese siamo diventati o siamo completamente vaccinati contro il risorgere di idee di intolleranza. Io penso che serva un rigurgito di azione comune, il più trasversale possibile, contro l'indifferenza: credo che ce lo chieda la storia e anche la nostra situazione contemporanea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 3343-A)

PRESIDENTE. Avverto che il relatore per la maggioranza e il rappresentante del Governo hanno rinunciato ad intervenire in sede di replica.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico che il presidente del gruppo parlamentare Misto, con lettera pervenuta in data odierna, ha reso noto che il deputato Giovanni Monchiero è stato nominato vicepresidente del gruppo in rappresentanza della componente politica Civici e Innovatori.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 11 luglio 2017, alle 11:

1.  Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.

  (ore 14)

2.  Seguito della discussione del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, recante disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A. (C. 4565-A)

Relatori: SANGA, per la maggioranza; SIBILIA, di minoranza.

3.  Seguito della discussione della proposta di legge:

DAMBRUOSO ed altri: Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 3558-A)

Relatori: POLLASTRINI, per la maggioranza; LA RUSSA, di minoranza.

4.  Seguito della discussione delle mozioni Ruocco ed altri n. 1-01594, Melilla ed altri n. 1-01653, Marchi, Tancredi, Librandi, Tabacci, Locatelli, Gebhard ed altri n. 1-01654, Brunetta ed altri n. 1-01655, Simonetti ed altri n. 1-01658 e Capezzone ed altri n. 1-01659 in materia di trasparenza dei contratti derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze.

5.  Seguito della discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 e sul Programma di lavoro della Commissione per il 2017. (Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A)

Relatrice: BERLINGHIERI.

6.  Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017. (C. 4505-A)

Relatrice: BERLINGHIERI.

7.  Seguito della discussione della proposta di legge:

RICHETTI ed altri: Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali. (C. 3225-A/R)

e delle abbinate proposte di legge: VACCARO; LENZI e AMICI; GRIMOLDI; CAPELLI ed altri; VITELLI ed altri; LOMBARDI ed altri; NUTI ed altri; PIAZZONI ed altri; MANNINO ed altri; SERENI ed altri; CAPARINI ed altri; GIACOBBE ed altri; FRANCESCO SANNA; TURCO ed altri; CRISTIAN IANNUZZI; MELILLA ed altri; CIVATI ed altri; BIANCONI; GIGLI ed altri; CAPARINI ed altri.

(C. 495-661-1093-1137-1958-2354-2409-2446-2545-2562-3140-3276-3323-3326-3789-3835-4100-4131-4235-4259)

Relatori: RICHETTI, per la maggioranza; TURCO, di minoranza.

8.  Seguito della discussione della proposta di legge:

FIANO ed altri: Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista. (C. 3343-A)

Relatori: VERINI, per la maggioranza; FERRARESI, di minoranza.

La seduta termina alle 15,40.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: GIOVANNI SANGA (A.C. 4565-A)

GIOVANNI SANGA, Relatore per la maggioranza. (Relazione – A.C. 4565-A). L'articolo 1 individua l'ambito di applicazione del provvedimento, precisando che lo stesso disciplina l'avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A., nonché le modalità e le condizioni delle misure a sostegno delle stesse, in conformità alla disciplina europea in materia di aiuti di Stato (comma 1).

In considerazione della rifusione, effettuata nel corso dell'esame in sede referente, del contenuto decreto-legge n. 89 del 2017 nel provvedimento in esame (introdotto articolo 01), il comma 1-bis dell'articolo 1 dispone l'abrogazione del predetto decreto-legge, mantenendo la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge.

Il comma 2 prevede che le misure del decreto che integrano la fattispecie di aiuto di Stato, ai sensi dell'articolo 107 del TFUE, sono adottate subordinatamente alla positiva decisione della Commissione europea che stabilisca la loro compatibilità con la relativa disciplina europea.

Il comma 3 stabilisce che il Ministero dell'economia e delle finanze, sulla base degli elementi forniti dalla Banca d'Italia, debba presentare alla Commissione europea una relazione annuale, sino al termine della procedura, con le informazioni dettagliate riguardo agli interventi dello Stato effettuati in esecuzione del decreto in esame.

L'articolo 2, comma 1, a seguito del parere positivo della Commissione UE, affida a uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, adottati su proposta della Banca d'Italia, il compito di disporre: a) la liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza; b) la continuazione, ove necessario, dell'esercizio dell'impresa o di determinati rami di attività, per il tempo tecnico necessario ad attuare le cessioni previste ai sensi del provvedimento in esame. In deroga all'articolo 90, comma 3, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario), la continuazione è disposta senza necessità di acquisire autorizzazioni o pareri della Banca d'Italia o del comitato di sorveglianza.

Ai sensi del richiamato comma 3, infatti, in via ordinaria la continuazione dell'impresa bancaria o di determinati rami di essa è richiesta dai commissari liquidatori, nei casi di necessità e per il miglior realizzo dell'attivo; essa viene concessa previa autorizzazione della Banca d'Italia, secondo le cautele indicate dal comitato di sorveglianza; c) la cessione da parte dei commissari liquidatori degli asset all'acquirente individuato (Intesa Sanpaolo) in conformità all'offerta vincolante formulata dal cessionario medesimo. Con l'offerta il cessionario assume gli impegni ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato, identificati nell'offerta stessa. Con comunicato stampa del 26 giugno 2017, Intesa Sanpaolo ha reso noto di aver firmato con i commissari liquidatori di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca il contratto di acquisto, al prezzo simbolico di un euro, di alcune attività e passività e alcuni rapporti giuridici facenti capo alle due banche (si veda la scheda di lettura dell'articolo 3 per ulteriori dettagli); d) gli specifici interventi pubblici a sostegno della cessione degli asset, in conformità all'offerta vincolante di cui alla lettera c).

Ai sensi del comma 2, dopo l'adozione dei predetti decreti, l'accertamento del passivo dei soggetti in liquidazione ai sensi dell'articolo 86 del Testo unico bancario è condotto con riferimento ai soli crediti non ceduti, retrocessi ai sensi dell'articolo 4 o sorti dopo l'avvio della procedura.

Il comma 3 dispone che l'efficacia dei provvedimenti adottati ai sensi del comma 1 decorre, relativamente a quanto previsto in base alle lettere b), c) e d) del medesimo comma (quindi con l'esclusione del provvedimento di liquidazione), dalla data di insediamento degli organi liquidatori e, comunque, dal sesto giorno lavorativo successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta (ai sensi del richiamato articolo 83, comma 1, del Testo unico bancario).

Con una disposizione di chiusura, per quanto non disposto dal decreto in esame si rimanda alla disciplina della liquidazione contenuta nel Testo unico bancario.

L'articolo 3 consente ai commissari liquidatori nominati dalla Banca d'Italia di cedere l'azienda delle banche venete poste in liquidazione, o parti di essa, a un soggetto selezionato sulla base di una procedura aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell'offerta di acquisto più conveniente.

Più in dettaglio, il comma 1 dispone che i commissari liquidatori cedano le aziende bancarie di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza, o singoli rami, nonché i beni, i diritti e i rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, ad un soggetto individuato sulla base di una procedura aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell'offerta di acquisto più conveniente, ai sensi del comma 3.

Alla cessione non si applica la speciale disciplina di vigilanza prevista dal Testo Unico Bancario per le cessioni di banche (articolo 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7 del TUB), salvo per quanto espressamente richiamato nel decreto in esame. Dalla lettera della norma sembrano trovare applicazione nel caso di specie: il comma 3 dell'articolo 58, che mantiene ferma la validità dei privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione; restano altresì applicabili, ai sensi di detto comma 3, le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti; il comma 6 dell'articolo 58, il quale prevede che le parti di contratti ceduti possano recedere entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari suddetti, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità del cedente.

Non si applica inoltre, stante la specialità della disciplina in esame, la norma sulla cessione dell'impresa nel contesto delle ordinarie operazioni di liquidazione coatta amministrativa (di cui all'articolo 90, comma 2 TUB).

Le norme in esame espressamente escludono dalla cessione, anche in deroga al principio della par condicio creditorum (sancito dall'articolo 2741 c.c.): determinate passività indicate dalle norme sul bail-in nel quadro di una procedura di risoluzione (articolo 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del decreto legislativo n. 180 del 2015).

Si tratta, in particolare: delle riserve e del capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare, nonché dagli altri strumenti finanziari computabili nel capitale primario di classe 1, con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali; del valore nominale degli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1, anche per la parte non computata nel capitale regolamentare; del valore nominale degli elementi di classe 2, anche per la parte non computata nel capitale regolamentare; del valore nominale dei debiti subordinati diversi dagli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 o dagli elementi di classe 2; i debiti delle banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati, derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse; le passività derivanti da controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa.

Il comma 2 prevede norme speciali per assicurare l'immediata efficacia della cessione nei confronti dei terzi, anche in considerazione della necessità di assicurare la continuità dell'esercizio dell'impresa per evitare lo scioglimento dei contratti conseguente all'avvio della procedura concorsuale.

In particolare si dispone l'efficacia della cessione verso i terzi a seguito della pubblicazione sul sito della Banca d'Italia della notizia della cessione.

Al riguardo si evidenzia che il 26 giugno 2017 sul sito della Banca d'Italia è stata pubblicata la notizia del contratto di cessione a Intesa Sanpaolo S.p.A. di ramo delle aziende bancarie Veneto Banca S.p.A. in l.c.a. e Banca Popolare di Vicenza S.p.a. in l.c.a..

Sono esclusi dal perimetro della cessione, tra l'altro, i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili ed esposizioni scadute) e ulteriori attività e passività delle banche in liquidazione, come specificate nel contratto di cessione. Sono altresì esclusi i diritti degli azionisti, gli strumenti di capitale (computabili e non nei fondi propri) e le passività subordinate. Il cessionario succede, senza soluzione di continuità, alle banche in liquidazione coatta amministrativa nei diritti, nelle attività, nelle passività, nei rapporti, nei privilegi e nelle garanzie, nonché nei giudizi, oggetto di cessione, secondo quanto previsto nell'offerta dallo stesso formulata e oggetto di accettazione da parte dei commissari liquidatori delle banche medesime. L'acquisto delle suddette attività e passività prevede il pagamento del corrispettivo simbolico di 1 euro da parte del cessionario ed è stato da questi condizionato all'attivazione di talune misure di intervento pubblico a sostegno della cessione, come disciplinate dal provvedimento in esame.

Non è dunque necessario svolgere altri adempimenti previsti dalla legge, anche a fini costitutivi, di pubblicità notizia o dichiarativa, ivi inclusi quelli previsti dagli articoli 1264 (per l'efficacia della cessione nei confronti del debitore), 2022 (sui trasferimenti dei titoli nominativi), 2355 (sugli adempimenti per la circolazione delle azioni), 2470 (sui trasferimenti di quote di s.r.l.), 2525 (sul passaggio delle quote in società cooperative), 2556 (sui trasferimenti di imprese soggette a registrazione) e 2559, primo comma (sulla cessione dei crediti relativi all'azienda ceduta), del codice civile, né adempiere a quanto previsto dal già illustrato articolo 58, comma 2, del Testo unico bancario.

Ferme restando la validità dei privilegi e delle garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione (articolo 58, comma 3, TUB), il cessionario effettua gli adempimenti eventualmente richiesti a fini costitutivi, di pubblicità notizia o dichiarativa, così come l'indicazione di dati catastali e confini per gli immobili trasferiti, entro 180 giorni dalla pubblicazione sul sito (dunque entro il 23 dicembre 2017). Restano fermi gli obblighi di comunicazione previsti dall'articolo 120 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 in tema di decorrenza delle valute e calcolo degli interessi.

Nei confronti dei debitori ceduti la pubblicazione sul sito produce gli effetti indicati dall'articolo 1264 del codice civile, diventando dunque efficace nei loro confronti.

Inoltre, non si applicano i termini previsti dalla legge (articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428) per le comunicazioni relative ai trasferimenti d'azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori.

Il cessionario risponde solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione; questi non è obbligato solidalmente con il cedente, nel caso di cessione dell'azienda nella cui attività è stato commesso un reato, al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dalla legge (non si applica dunque l'articolo 31 del decreto legislativo n. 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa di enti e società).

Si chiarisce che al cessionario si applica l'articolo 47, comma 9, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 in tema di cessione di enti sottoposti a risoluzione. In tali ipotesi il cessionario succede all'ente risolto, limitatamente ai diritti, alle attività o alle passività ceduti: a) nel diritto alla libera prestazione dei servizi in un altro Stato membro; b) nel diritto allo stabilimento in un altro Stato membro; c) nei diritti di partecipazione dell'ente sottoposto a risoluzione a infrastrutture di mercato, a sedi di negoziazione, a sistemi di indennizzo degli investitori e a sistemi di garanzia dei depositanti, purché il cessionario rispetti i requisiti per la partecipazione a detti sistemi.

Sono previste regole specifiche per i beni culturali, come definiti ai sensi del relativo codice (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). In particolare, ai fini dell'esercizio della prelazione di acquisto da parte del MIBACT o degli enti territoriali autorizzati ex lege, la denuncia di trasferimento (di cui all'articolo 59) è effettuata dal cessionario entro trenta giorni dalla conclusione del contratto di cessione. Inoltre, la condizione sospensiva prevista dall'articolo 61, comma 4, del medesimo decreto legislativo si applica alla sola clausola del contratto di cessione relativa al trasferimento dei beni culturali.

In sintesi, ai sensi dell'articolo 60 del codice dei beni culturali, il Ministero o, ove previsto dalla legge, la regione o gli altri enti pubblici territoriali interessati, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento. La prelazione è esercitata nel termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia di trasferimento. In pendenza del predetto termine, l'atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente all'esercizio della prelazione e all'alienante è vietato effettuare la consegna della cosa.

Non si applica il comma 6 del medesimo articolo, che, nel caso in cui il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate, consente all'acquirente di recedere dal contratto.

Al contratto di cessione, nella parte in cui esso ha ad oggetto il trasferimento di beni immobili, non si applicano: l'articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (in tema di obbligo di allegare all'atto di vendita l'attestato di prestazione energetica degli edifici); l'articolo 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52 (relativo all'obbligo di allegare all'atto di trasferimento le planimetrie ed altri dati catastali); l'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica, 6 giugno 200, n. 380 (relativo all'obbligo di allegare il certificato di destinazione urbanistica agli atti di trasferimento di beni immobili); l'articolo 36, nella parte in cui prevede il diritto del locatore ceduto di opporsi alla cessione del contratto di locazione da parte del conduttore, per il caso in cui gli immobili siano parte di un'azienda, e l'articolo 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (quest'ultimo in tema di prelazione del conduttore nell'acquisto di un immobile locato) (comma 2, lettera a) dell'articolo 3 in esame); le nullità di cui agli articoli 46 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (rispettivamente riferite ai trasferimenti di edifici, o loro parti, senza estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, ovvero senza licenza o concessione ad edificare). Si chiarisce che, ove l'immobile ceduto si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, il cessionario presenta domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla conclusione del contratto di cessione (comma 2, lettera b) dell'articolo 3 in esame); le altre ipotesi di nullità previste dalla vigente disciplina in materia urbanistica, ambientale o relativa ai beni culturali e qualsiasi altra normativa nazionale o regionale, comprese le regole dei piani regolatori o del governo del territorio degli enti locali e le pianificazioni di altri enti pubblici che possano incidere sulla conformità urbanistica, edilizia, storica ed architettonica dell'immobile (comma 2, lettera c) dell'articolo 3 in esame).

Il comma 3 stabilisce che il cessionario sia individuato, anche sulla base di trattative a livello individuale, nell'ambito di una procedura, anche se svolta prima dell'entrata in vigore del decreto, aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell'offerta di acquisto più conveniente, nonché avendo riguardo agli impegni che esso dovrà assumersi ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato. Le spese per la procedura selettiva, incluse quelle per la consulenza di esperti in materia finanziaria, contabile, legale, sono a carico del soggetto in liquidazione e possono essere anticipate dal Ministero. Una volta recuperate, dette somme sono acquisite all'erario mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato.

Il comma 4 prevede che, se la concentrazione che deriva dalla cessione non è disciplinata dal regolamento comunitario sulle concentrazioni tra imprese (regolamento (UE) n. 139/2004), essa si intende autorizzata, in deroga alle procedure stabilite dalla legislazione nazionale antitrust, per rilevanti interessi generali dell'economia nazionale.

Infine, il comma 5 dispone che se la cessione comprende titoli assistiti da garanzia dello Stato su passività di nuova emissione (disciplinate dal decreto-legge n. 237 del 2016), il corrispettivo della garanzia è riconsiderato per tener conto della rischiosità del soggetto garantito. Il cessionario può altresì rinunciare, in tutto o in parte, alla garanzia dello Stato per i titoli da esso acquistati; in questo caso, la garanzia si estingue e, in relazione alla rinuncia, non è dovuto alcun corrispettivo.

L'articolo 4 autorizza il Ministro ad effettuare specifici interventi pubblici a sostegno dell'operazione di liquidazione delle banche venete. Ai sensi del comma 1 il Ministro dell'economia e delle finanze, anche in deroga alle norme di contabilità di Stato, con uno o più decreti dispone le seguenti misure: a) concessione della garanzia dello Stato, autonoma e a prima richiesta, sull'adempimento, da parte del soggetto in liquidazione: 1. degli obblighi derivanti dal finanziamento, erogato dal cessionario o da società che, al momento dell'avvio della liquidazione coatta amministrativa, appartenevano al gruppo bancario di una delle banche, a copertura dello sbilancio di cessione, definito in esito alla procedura - appositamente prevista - di due diligence, disciplinata al comma 4 del presente articolo, e alle retrocessioni di beni ed asset dal cessionario al cedente (di cui al comma 5, lettera a): si tratta di partecipazioni detenute da società che, all'avvio della liquidazione coatta amministrativa, erano controllate da una delle banche, nonché di crediti di dette società classificati come attività deteriorate). La garanzia può essere concessa per un importo massimo di 5.351 milioni di euro, elevabile fino a 6.351 milioni di euro, a seguito della predetta due diligence; 2. degli obblighi di riacquisto dei crediti ad alto rischio non classificati come attività deteriorate, indicati dal comma 5, lettera b), per un importo massimo di 4.000 milioni di euro; b) fornitura di supporto finanziario al cessionario delle banche in liquidazione, a fronte del fabbisogno di capitale generato dall'operazione di cessione, per un importo massimo di 3.500 milioni di euro; c) concessione della garanzia dello Stato, autonoma e a prima richiesta, sull'adempimento degli obblighi a carico del soggetto in liquidazione derivanti da impegni, dichiarazioni e garanzie concesse dal soggetto in liquidazione nel contratto di cessione, per un importo massimo pari alla somma tra 1.500 milioni di euro e il risultato della differenza tra il valore dei contenziosi pregressi dei soggetti in liquidazione, come indicato negli atti di causa, e il relativo accantonamento a fondo rischi, per un importo massimo di euro 491 milioni; d) l'erogazione al cessionario di risorse a sostegno di misure di ristrutturazione aziendale, in conformità agli impegni assunti dal cessionario necessari ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato, per un importo massimo di euro 1.285 milioni.

Complessivamente, dunque, l'iniezione di liquidità è pari a circa 4,8 miliardi di euro e la concessione di garanzie statali arriva ad un ammontare massimo di circa 12 miliardi di euro.

Ai sensi del comma 2, i provvedimenti ministeriali di adozione delle misure in esame devono stabilire uno specifico contenuto del contratto di cessione: occorre che tale contratto preveda l'anticipazione da parte del cessionario, al commissario liquidatore, delle spese necessarie per il funzionamento della procedura di liquidazione coatta amministrativa, incluse le indennità spettanti agli organi liquidatori.

Il decreto prevede quindi che il Ministero rimborsi al cessionario quanto anticipato. Il Ministero acquisisce un credito nei confronti del soggetto sottoposto a liquidazione coatta amministrativa per il rimborso. Il credito derivante dall'anticipo concesso dal cessionario o dal rimborso effettuato dal Ministero è prededucibile ai sensi delle specifiche regole della legge fallimentare (articolo 111, comma 1, numero 1) e articolo 111-bis della legge fallimentare).

Il comma 3 dispone che il credito del cessionario derivante dal finanziamento a copertura dello sbilancio di cessione, nella misura garantita dallo Stato, e il relativo credito di regresso dello Stato derivante dall'escussione della garanzia, siano pagati dopo i crediti prededucibili, ai sensi degli illustrati articoli 111, comma 1, numero 1) e 111-bis della legge fallimentare, e prima di ogni altro credito.

Per i pagamenti effettuati ai sensi delle altre misure di cui al comma 1 (lettera a), punto ii., e lettere b), c) e d)), il Ministero acquisisce un credito nei confronti del soggetto sottoposto a liquidazione coatta amministrativa.

Il credito del Ministero e il credito del cessionario derivante da violazione, inadempimento o non conformità degli impegni, dichiarazioni e garanzie concesse dal soggetto in liquidazione e garantiti dallo Stato, sono pagati con preferenza rispetto ai crediti chirografari, ma dopo i crediti per il finanziamento dello sbilancio di cessione. Il medesimo trattamento è riservato alla parte non garantita del credito del cessionario derivante dal finanziamento dello sbilancio di cessione.

Il comma 4 disciplina la procedura di due diligence. Entro il termine previsto dal contratto di cessione, un collegio di esperti indipendenti effettua una due diligence sul compendio ceduto, secondo quanto previsto nel contratto di cessione e applicando i criteri di valutazione ivi previsti, anche ai sensi dell'articolo 1349, primo comma, del codice civile. La richiamata norma del codice prevede che, ove la determinazione della prestazione dedotta in contratto sia deferita a un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento.

Il collegio è composto da tre componenti, di cui uno nominato dal Ministero, uno dal cessionario ed il terzo, con funzione di Presidente, designato di comune accordo dagli esperti nominati dalle parti o, in mancanza di accordo, dal Presidente del Tribunale di Roma. Tali esperti possiedono i requisiti indicati dall'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, ovvero non devono avere in corso né devono avere intrattenuto relazioni di affari, professionali o finanziarie con la banca o la capogruppo richiedenti l'intervento statale, tali da comprometterne l'indipendenza.

Ad esito della due diligence: a) il Ministro dell'economia e delle finanze dispone con decreto l'eventuale adeguamento dell'importo dell'intervento, nei limiti del comma 1, lettera b), ovvero 3.500 milioni di euro; b) il cessionario può restituire o retrocedere al soggetto in liquidazione attività, passività o rapporti dei soggetti in liquidazione o di società appartenenti ai gruppi bancari delle banche, entro il termine e alle condizioni definiti dal decreto ministeriale di adozione delle misure in commento. Si applica la predetta lettera a) in ordine agli adeguamenti dell'importo.

Il comma 5 autorizza il contratto di cessione a prevedere, in favore del cessionario, la possibilità di retrocedere alle banche in liquidazione i seguenti beni: a) partecipazioni detenute da società che, all'avvio della liquidazione coatta amministrativa, erano controllate da una delle banche, nonché i crediti di dette società classificati come attività deteriorate; b) crediti ad alto rischio non classificati come attività deteriorate, entro tre anni dalla cessione.

Il comma 6 dispone che alle restituzioni e retrocessioni stabilite ex lege o contrattualmente si applicano le specifiche norme derogatorie, in tema di cessioni di beni, indicate all'articolo 3, comma 2, per i trasferimenti di asset dai soggetti in liquidazione al cessionario. Si rinvia alla relativa scheda di lettura per la loro puntuale individuazione.

Nel caso di restituzioni e retrocessioni ad esito della due diligence, (comma 7) così come nel caso di restituzioni al soggetto in liquidazione in forza di condizioni risolutive della cessione pattuite nel contratto, il soggetto in liquidazione risponde dei debiti e delle passività restituiti o retrocessi, con piena liberazione del cessionario retrocedente anche nei confronti dei creditori e dei terzi.

L'articolo 5 disciplina la cessione alla Società per la Gestione di Attività S.p.A., da parte dei commissari liquidatori, dei crediti deteriorati e di altri attivi non ceduti o retrocessi. Il corrispettivo della cessione è rappresentato da un credito della liquidazione nei confronti della società, pari al valore di iscrizione contabile dei beni e dei rapporti giuridici ceduti nel bilancio della SGA S.p.A. A quest'ultima è attribuita l'amministrazione degli stessi.

Ai sensi del comma 1, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si prevede che i commissari liquidatori cedano alla Società per la Gestione di Attività S.p.A. (di seguito SGA), crediti deteriorati e altri attivi delle banche poste in liquidazione non ceduti (secondo l'articolo 3 del provvedimento in esame) o retrocessi (secondo l'articolo 4), unitamente ad eventuali altri beni, contratti, rapporti giuridici accessori o connessi ai crediti ceduti alla SGA.

La disposizione prevede una deroga alle norme del Testo unico bancario in tema di cessioni di rami d'azienda bancaria (articoli 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7 e 90, comma 2). Si applica l'articolo 3, comma 2 il quale prevede che, in caso di urgenza, il Ministro dell'economia e delle finanze sostituisca il CICR e dei provvedimenti assunti dia notizia al CICR nella prima riunione successiva, che deve essere convocata entro trenta giorni.

Il comma 2 stabilisce che il corrispettivo della cessione sia rappresentato da un credito della liquidazione coatta amministrativa nei confronti della SGA S.p.A., pari al valore di iscrizione contabile dei beni e dei rapporti giuridici ceduti nel bilancio della SGA S.p.A..

Il comma 3 prevede che la SGA S.p.A. amministri i crediti e gli altri beni e rapporti giuridici acquistati ai sensi del comma 1. In tal senso è prevista una deroga alle disposizioni di carattere generale emanate dalla Banca d'Italia, aventi ad oggetto l'adeguatezza patrimoniale, di cui all'articolo 108 in materia di vigilanza del Testo unico bancario.

Il comma 4 prevede che: la SGA possa costituire uno o più patrimoni destinati esclusivamente all'esercizio dell'attività di amministrazione dei crediti e degli altri beni e rapporti giuridici acquistati ai sensi del presente articolo; i patrimoni destinati possano essere costituiti per un valore anche superiore al 10 per cento del patrimonio netto della società; la relativa deliberazione dell'organo di amministrazione determini i beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato; detta deliberazione sia depositata, iscritta e pubblicata secondo le previsioni civilistiche (articolo 2436 del codice civile, che disciplina gli adempimenti pubblicitari per le modifiche statutarie nelle società per azioni); ai sensi del secondo comma dell'articolo 2447-quater del codice civile, nel termine di sessanta giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese, i creditori sociali anteriori all'iscrizione possano fare opposizione. Il tribunale, nonostante l'opposizione, può disporre che la deliberazione sia eseguita previa prestazione da parte della società di idonea garanzia; decorsi 60 giorni dall'iscrizione della deliberazione, ovvero dopo l'iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale, i beni e i rapporti giuridici individuati siano destinati esclusivamente al soddisfacimento del credito della liquidazione coatta amministrativa nei confronti della SGA (comma 2 dell'articolo 5 in commento) e costituiscano patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della SGA e dagli altri patrimoni destinati eventualmente costituiti; per le obbligazioni contratte in relazione al patrimonio destinato, la SGA risponda nei limiti del patrimonio stesso, salvo che la deliberazione dell'organo di amministrazione non disponga diversamente; si applichino le disposizioni di cui all'articolo 2447-quinquies, cc. 2, 3 e 4 del codice civile in materia di diritti dei creditori; i beni e i rapporti compresi nel patrimonio destinato siano distintamente indicati nello stato patrimoniale della società; si applichino le disposizioni dell'articolo 2447-septies del codice civile, in materia di bilancio che impongono una separata evidenziazione dei rendiconti riferiti ai diversi patrimoni; il rendiconto separato sia redatto in conformità ai principi contabili internazionali; infine, per quanto non diversamente disposto dall'articolo in esame, ai patrimoni destinati si applichino le disposizioni del codice civile sopra richiamate.

Il comma 5 prevede che la costituzione dei patrimoni destinati possa essere disposta anche con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze pubblicato per estratto e per notizia nella Gazzetta Ufficiale. In questo caso, la costituzione ha efficacia dal giorno della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale o, se precedente, da quello della pubblicazione effettuata da parte della Banca d'Italia sul proprio sito (cfr. articolo 3, comma 2, primo periodo, del provvedimento in esame). E' prevista a riguardo una deroga al regime civilistico di cui all'articolo 2447-quater, secondo comma, in materia di pubblicità della costituzione del patrimonio destinato e all'articolo 2447-quinquies, commi primo e secondo, in materia di diritti dei creditori.

Il comma 5 stabilisce altresì che i patrimoni destinati costituiti con decreto possano essere modificati con deliberazione dell'organo di amministrazione della SGA S.p.A. in conformità a quanto previsto al comma 4.

Il comma 6 dispone che alla società SGA S.p.A. si applichi la disposizione ai sensi della quale il Ministero dell'economia e delle finanze, nell'esercizio dei propri diritti di azionista, provvede a nominare i nuovi consigli, prevedendo la composizione degli stessi con tre membri, di cui due dipendenti dell'amministrazione economico-finanziaria e il terzo con funzioni di amministratore delegato (ultimi due periodi dell'articolo 23-quinquies, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, Decreto Revisione spesa pubblica).

L'articolo 6 disciplina le misure di ristoro a favore degli investitori. Ai sensi del comma 1, gli investitori (persone fisiche, imprenditori individuali, imprenditori agricoli o coltivatori diretti o i loro successori mortis causa) che, al momento dell'avvio della liquidazione coatta amministrativa di cui al provvedimento in esame, detenevano strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle banche poste in liquidazione e acquistati nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime emittenti, possono accedere alle prestazioni del Fondo di solidarietà per l'erogazione di prestazioni in favore degli investitori, istituito dalla legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 855). Il comma 2 stabilisce che agli investitori si applicano le disposizioni in materia di accesso al Fondo di solidarietà con erogazione diretta di cui all'articolo 9 del richiamato decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59. Il comma prevede altresì che l'istanza di erogazione dell'indennizzo forfettario (comma 6 del citato articolo 9) debba essere presentata, a pena di decadenza, entro il 30 settembre 2017.

L'articolo 7 introduce apposite norme in materia fiscale riguardanti il trattamento delle cessioni previste dall'articolo 3, in riferimento ai profili relativi alle DTA, all'IVA, all'IRES e all'IRAP. In sinesi si dispone che le cessioni di azienda previste dall'articolo 3 determinano anche la cessione delle DTA. Le stesse cessioni sono considerate cessioni di rami d'azienda e quindi escluse dall'IVA. Le eventuali plusvalenze sono inoltre esenti ai fini IRES e IRAP. I contributi erogati dal Ministero dell'economia e delle finanze al soggetto cessionario non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte dirette e al valore della produzione netta ai fini IRAP; mentre le spese sostenute dal cessionario nell'ambito delle misure di ristrutturazione aziendale sono comunque deducibili dal reddito complessivo ai fini delle imposte sul reddito e dal valore della produzione netta ai fini IRAP.

L'articolo 8 (unico comma) prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze possa dettare disposizioni tecniche di attuazione del provvedimento con uno o più decreti di natura non regolamentare.

L'articolo 9 stabilisce che le misure all'esame siano adottate a valere e nei limiti delle disponibilità del Fondo istituito dall'articolo 24 decreto legge n. 237 del 2016 "Tutela del risparmio nel settore creditizio", e dunque, nell'ambito degli interventi autorizzati dalle risoluzioni parlamentari di approvazione della Relazione al Parlamento presentata il 21 dicembre 2016. L'articolo 24 istituiva nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un Fondo con una dotazione di 20 miliardi di euro per l'anno 2017. Il Fondo è destinato alla copertura degli oneri derivanti dalle operazioni di sottoscrizione e acquisto di azioni effettuate per il rafforzamento patrimoniale e dalle garanzie concesse dallo Stato su passività di nuova emissione e sull'erogazione di liquidità di emergenza a favore delle banche e dei gruppi bancari italiani.

Il comma 2 stabilisce che alla compensazione degli eventuali effetti finanziari derivanti dall'esito della due diligence sul compendio ceduto (cfr. sopra articolo 4, comma 4), e della retrocessione al soggetto in liquidazione di ulteriori attività, passività o rapporti (cfr. sopra articolo 4, comma 5), si provveda per l'anno 2018 nel limite massimo di 300 milioni di euro a valere sul Fondo per le esigenze indifferibili (articolo 1, comma 200, legge 23 dicembre 2014, n. 190). Il secondo periodo prevede che, al fine della determinazione dello sbilancio di cessione, i commissari liquidatori forniscano al Ministero dell'economia e delle finanze una situazione patrimoniale in esito alla due diligence citata e successivamente aggiornata al 31 dicembre di ogni anno.

Il comma 3 prevede che, ai fini dell'immediata attuazione delle disposizioni del provvedimento in esame, il Ministro dell'economia e delle finanze apporti, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio. Si stabilisce altresì che, ove necessario e previa richiesta dell'amministrazione competente, il Ministero dell'economia e delle finanze possa disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione avviene tempestivamente con l'emissione di ordini di pagamento sui pertinenti capitoli di spesa.

L'articolo 10 stabilisce che il decreto-legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (25 giugno 2017).

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: WALTER VERINI (A.C. 3343-A)

WALTER VERINI, Relatore per la maggioranza. (Relazione – A.C. 3343-A). Se ci fosse stato bisogno di qualche esempio che motivasse la necessità e per certi aspetti l'urgenza di un provvedimento come questo, è stata la cronaca di questi ultimi giorni a fornirlo. In ordine di tempo, l'ultima è stata l'incredibile vicenda di Chioggia, dove in uno stabilimento balneare situato in un'area di proprietà demaniale, un signore ha allestito un vero e proprio armamentario neofascista e neonazista, con incitamenti alla violenza, riferimenti alle camere a gas dei campi di sterminio, irrisione e riferimenti alla necessità di “sterminare” tossicodipendenti! Non si tratta di opinioni, sia pure vergognose, ma di reati, di istigazione alla violenza come ha detto bene il costituzionalista Michele Ainis.

E lo stesso è avvenuto qualche giorno fa a Milano, dove un gruppo di neofascisti ha assediato il Comune, dimostrando con i fatti il loro odio e il loro disprezzo per la democrazia e le istituzioni.

La proposta di legge che illustro, il cui primo firmatario è l'on. Fiano, è diretta perciò innanzitutto ad introdurre nel codice penale l'articolo 293-bis del codice stesso, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista.

Non soltanto in altri paesi d'Europa, ma anche nel nostro Paese, sono sempre più frequenti gli episodi e le manifestazioni che richiamano apertamente concezioni apologetiche del fascismo e del nazifascismo.

Non si tratta soltanto di fatti di valore simbolico, la cui gravità - peraltro - è indiscutibile. Spesso a queste manifestazioni ed episodi apologetici si accompagnano gesti, condotte e comportamenti violenti, intolleranti, razzisti: cioè tipici di una cultura e di una prassi che trae origine e spunto in periodi storici che hanno procurato in Europa e in Italia dittature e guerre, leggi razziali e discriminazioni, violenze e persecuzioni.

Il rifiuto del fascismo e del nazifascismo sono ormai un patrimonio consolidato del Paese ed è per questo che non possono essere consentiti o tollerati comportamenti che intacchino questo patrimonio comune di civiltà democratica, di convivenza, di libertà, che del resto sta alla base della nostra Carta costituzionale.

La cosa è poi particolarmente rilevante se si considera quello che succede nella rete, dove le pulsioni neofasciste e neonaziste, le istigazioni alla violenza in nome di queste cose, le posizioni razziste e xenofobe sono dilaganti, raggiungendo milioni e milioni di persone.

E capita spesso che ci sia chi a questi incitamenti fa seguire fatti e condotte criminose specifiche. Ed è anche per questo che si deve porre riparo anche innalzando qualche argine in più.

Argine che, diciamolo con chiarezza, non può essere solo legato ad un pur necessario inasprimento legislativo. Occorre mettere sempre di più in campo altri strumenti, altri anticorpi, che sono sociali, culturali.

Ieri, per una coincidenza, stavo a Gualdo Tadino, una bella cittadina della mia regione, l'Umbria, dove il comune conferiva la cittadinanza onoraria a Remo Bonomi, una persona di novantatré anni sopravvissuta all'orrore di Mathausen. E' stata una occasione emozionante, come emozionanti sono state altre occasioni che, come è capitato a me, hanno vissuto tanti altri. Penso alle testimonianze di Piero Terracina o Sami Modiano, del papà di Fiano, Nedo, di Andra e Tatiana Bucci o di altri - come Settimia Spizzichino e Shlomo Venezia che non ci sono più e altri ancora. Queste persone, che hanno vissuto i campi di sterminio, che hanno visto trucidare i propri genitori, fratelli e sorelle, hanno avuto il coraggio, dopo tanti anni di tornare a parlare e raccontare quelle cose ai ragazzi, proprio lì dove erano avvenute, ad Auschwitz-Birkenau. E lo hanno fatto perché non accadano più.

Ecco, noi dovremmo far conoscere queste testimonianza, far capire davvero e sempre di più alle giovani generazioni cosa furono le leggi razziali, il carcere speciale, le torture di Via Tasso, le Fosse Ardeatine. E così via.

Ma ecco il punto: con questa legge non si intende colpire le opinioni, le idee, la ricerca storica. E neppure quel folclore di cattivo gusto che spesso intorno ai cascami del regime fascista prospera. Non è così. Come non era così quando approvammo la norma sul negazionismo. Ha detto bene lo stesso Fiano in una intervista, citando Giacomo Matteotti: “Quelle del fascismo non sono idee, sono crimini”. E questi crimini non sono solo quelli di ottanta e più anni fa, ma quelli che accadono oggi. Che sono accaduti in giro per l'Europa, come a Utoja. Che parlano di incendi alle Sinagoghe, di antisemitismo dilagante in rete e fuori dalla rete. Di tanti episodi di intolleranza razzista e nei confronti dei “diversi”, che magari accadono anche cavalcando malcontento sociale, rabbie, paure e insicurezze del tempo che stiamo vivendo. E nel proporre all'aula l'approvazione di questa legge è evidente che ribadiamo anche la disponibilità a lavorare nei prossimi giorni per fugare ogni dubbio che si voglia colpire la ricerca e l'opinione. Non è così e non vogliamo che ci siano alibi.

Nel passare all'esame del merito del provvedimento, questo si compone di un articolo unico, che la Commissione ha sostanzialmente confermato nella sua formulazione, salvo che per l'inserimento di una clausola di salvaguardia volta a regolare il rapporto con altri reati più gravi.

In merito all'istruttoria in sede referente faccio presente che la Commissione ha audito Giorgio Sacerdoti, professore emerito di diritto internazionale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca e rappresentanti dell'Unione Camere penali italiane.

Per quanto attiene alla motivazione della proposta di legge, faccio presente che questa consiste, secondo la relazione illustrativa, nella insufficienza degli strumenti apprestati dal legislatore per la repressione di tali comportamenti individuali di propaganda. In particolare, è citato l'esempio di una tipica manifestazione di adesione all'ideologia fascista come il cosiddetto saluto romano (in base alla giurisprudenza punito a volte ai sensi della legge Scelba, altre in base alla legge Mancino).

Il nuovo articolo 293-bis del codice penale, aggiunto dall'articolo unico della proposta di legge ai delitti contro la personalità interna dello Stato, punisce come delitto la propaganda del regime fascista e nazifascista.

La fattispecie penale - punita con la reclusione da sei mesi a due anni - è individuata: a) nella propaganda di immagini o contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco ovvero delle relativa ideologie, anche solo mediante la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni che raffigurino persone, immagini o simboli chiaramente riferiti a tali partiti o ideologie; (e che, ripeto, non abbiano a che vedere con la ricerca storica, la pubblicistica, il collezionismo amatoriale e così via, solo per citare qualche esempio...); b) nel richiamare pubblicamente la simbologia e la gestualità del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco ovvero delle relative ideologie.

In particolare appare essenziale, per la realizzazione della fattispecie di cui alla lettera a), l'inequivocabilità (“chiaramente riferiti”) del nesso tra i beni e i partiti o le ideologie fascisti o nazionalsocialisti.

L'articolo 293-bis del codice penale punisce dunque come delitto perseguibile d'ufficio: da un lato, la propaganda attiva e quella che si manifesta anche solo nei diversi passaggi della filiera produttiva (dalla produzione, alla distribuzione, alla diffusione, alla vendita) di immagini, oggettistica, gadgets di ogni tipo che comunque sono chiaramente riferiti all'ideologia fascista o nazifascista o ai relativi partiti (lettera a); dall'altro – mediante il richiamo alla gestualità, oltre che alla ideologia — comportamenti quali il saluto romano (o nazifascista) fatto in pubblico e l'ostentazione pubblica di simboli che a tali partiti o ideologie si riferiscano.

In ragione dell'entità della pena prevista, per il reato di cui all'articolo 293-bis non è possibile procedere all'arresto in flagranza.

Come si è accennato, la Commissione ha approvato un emendamento con il quale si è chiarito che la nuova fattispecie trova applicazione a condizione che il fatto non sia riconducibile ad un reato più grave.

Costituisce aggravante del delitto di cui all'articolo 293-bis (aumento di un terzo della pena) la propaganda del regime fascista e nazifascista commessa attraverso strumenti telematici o informatici. L'aggravante riguarda quindi sia i siti Internet di propaganda delle ideologie fasciste e nazifasciste sia il merchandising online dei gadgets e degli altri beni chiaramente riferiti al partito e all'ideologia fascista o nazifascista.

Per quanto attiene ai pareri espressi sul testo, ricordo che la Commissione Affari costituzionali ha espresso parere favorevole con osservazioni e che la Commissione Attività produttive ha espresso parere favorevole senza alcun rilievo.

In merito alla prima osservazione, vengono espresse delle perplessità sulla determinatezza della formulazione della fattispecie di reato, che potranno essere superate apportando al testo, attraverso un emendamento, delle modificazioni nel senso suggerito dalla Commissione Affari costituzionali, la quale rilevata l'opportunità, da un lato di punire la condotta di “chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti” – eliminando il termine “solo” che potrebbe generare incertezze -, e dall'altro di ricondurre il richiamo pubblico della simbologia o gestualità del partito fascista o nazionalsocialista tedesco alla condotta di propaganda punita dalla disposizione in esame.

In relazione alla seconda osservazione della Commissione Affari costituzionali relativa ai rapporti tra il nuovo reato introdotto nell'ordinamento dal provvedimento in esame e quelli già previsti in materia di propaganda ed apologia del fascismo, ritengo che tale questione sia in realtà risolta proprio dall'emendamento approvato in Commissione, che fa salva l'applicazione delle fattispecie penali che riconducono il fatto commesso ad un reato più grave.

In conclusione, la norma che viene portata all'esame dell'aula ha un suo rilievo certo legislativo, ma anche civile e culturale. La democrazia si difende innanzitutto facendola funzionare bene. Facendola amare da tutti i cittadini perché è il sistema più adatto a risolvere problemi, a dare risposte a bisogni collettivi e individuali. Portando a sintesi conflitti sociali e politici e rendendo le istituzioni sempre più libere, capaci di sintonizzarsi e sincronizzarsi con i tempi di una società che ha bisogno di risposte.

Ma la democrazia si rafforza dando anche segnali e risposte di questo tipo, come la legge sul negazionismo, come questa legge e mi auguro che nel dibattito e nelle conclusioni che l'aula vorrà affrontare ci siano le condizioni perché questo patrimonio – che poi è quello scolpito nei principi della Costituzione – possa essere il più possibile condiviso.