TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 897 di Martedì 5 dicembre 2017

 
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INTERPELLANZE E INTERROGAZIONI

A) Interrogazioni

   MALISANI e PORTA. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   in Venezuela si presentano sempre con maggiore frequenza, sui media, notizie molto allarmanti rispetto alla situazione sociale, ormai in preda a scontri di piazza sempre più violenti, con decine di morti, molti dei quali minorenni;
   le condizioni di vita della popolazione sono progressivamente peggiorate: vengono a mancare il cibo e le medicine, non vi è alcuna sicurezza per cui i cittadini sono limitati nella propria libertà di movimento, al fine di evitare di esporsi a violenze e assassini;
   ai più alti livelli istituzionali è stata manifestata notevole preoccupazione per lo stato del Paese e in particolare per la situazione dei nostri connazionali, calcolabili oggi in circa 142.000 unità;
   in Venezuela si stima una presenza di circa 15.000 emigranti friulani;
   l'uscita dal Paese per rientrare in Italia è resa difficile dalla situazione politica ed economica e dalla distanza geografica –:
   se non si ritenga necessario assumere ogni iniziativa utile a lenire la preoccupante situazione umanitaria, con un'attenzione specifica nei confronti della comunità italiana residente, compresa quella friulana;
   se non si ritenga opportuno – visto il permanente stato di pericolo – prevedere un piano di rientro e di accoglienza, qualora i connazionali ritenessero inevitabile e necessario l'esodo forzato dal Venezuela. (3-03404)
(4 dicembre 2017)
(ex 5-11497 del 1o giugno 2017)

   BURTONE e LOSACCO. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   la situazione politico-istituzionale del Venezuela continua a deteriorarsi;
   da ultimo sostenitori del Presidente Maduro hanno assalito il Parlamento, aggredendo parlamentari dell'opposizione;
   da giorni militanti chavisti hanno innalzato il livello di scontro con aggressioni e sparatorie per le strade;
   vi è crescente preoccupazione tra i membri della numerosa comunità italiana presente nel Paese sudamericano;
   vi sono enormi difficoltà per recuperare cibo e medicinali e il Paese è ormai alle soglie di una guerra civile –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di tutelare adeguatamente la comunità italiana presente in Venezuela, considerata la drammaticità della situazione di queste ultimi giorni. (3-03406)
(4 dicembre 2017)
(ex 5-11774 del 7 luglio 2017)

   LOSACCO. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   la situazione politica e le relative gravi ripercussioni economiche del Venezuela sono fonte di grande preoccupazione da parte di tutta la comunità internazionale, tanto che, come annunciato nel corso dell'informativa del 17 maggio 2017 in Senato, sarà all'ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio di sicurezza dell'Onu;
   tra le voci che hanno espresso preoccupazione, vi sono quelle di Paesi che da sempre hanno rapporti di grande amicizia con il Venezuela, tra cui le autorità brasiliane, il già Presidente dell'Uruguay José Mujica; anche ai più alti livelli istituzionali italiani è stata richiamata l'esigenza di rispettare la volontà popolare e i principi fondamentali della democrazia;
   anche il Santo Padre ha ribadito come «i gravi problemi del Venezuela si possono risolvere se c’è la volontà di costruire ponti, di dialogare seriamente e di portare a termine gli accordi raggiunti»;
   il Venezuela, durante gli anni ’50 e ’60, è stato uno dei luoghi in cui si è maggiormente concentrata l'emigrazione meridionale e della Puglia in particolare, motivo per cui quello che sta accadendo oggi in quel Paese è fonte di preoccupazione anche per tutti quelli che lì oggi hanno amici e parenti. Oggi vivono lì circa 150 mila connazionali, cui si aggiungono le tante imprese italiane, che, nonostante il clima di forte incertezza istituzionale e le gravissime difficoltà economiche, continuano ad operare nel Paese, a riprova del forte legame che da sempre esiste tra l'Italia e questo Paese;
   a riprova della preoccupazione che serpeggia anche nel nostro Paese, non mancano in queste settimane appelli di varia natura e iniziative di carattere istituzionale, come ad esempio quella del consiglio comunale di Triggiano, che in Venezuela ha una propria forte e riconosciuta comunità. Su proposta del Partito Democratico e di altre forze politiche, è stata approvata una mozione con la quale si impegna il Governo a fare il possibile affinché cessino le violenze e si ripristini un corretto dialogo democratico, al fine anche di superare la difficile crisi economica e sociale che affligge il Paese;
   diversi sono gli atti di indirizzo presentati in Parlamento per impegnare il Governo a mettere in campo le opportune iniziative finalizzate alla tutela dei concittadini e delle imprese italiane e ad affrontare nelle sedi internazionali la delicatissima situazione del Venezuela –:
   quali concrete iniziative il Governo intenda porre in essere per la tutela dei connazionali e delle imprese italiane, al fine anche di rispondere alle preoccupazioni di quelle tante realtà del nostro Paese che sono legate, per via dei processi di emigrazione, da uno storico legame con il Venezuela, con la sua storia, con il suo popolo. (3-03407)
(4 dicembre 2017)
(ex 4-16745 del 26 maggio 2017)

   FEDRIGA, RONDINI e INVERNIZZI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   la situazione politica e dell'ordine pubblico in Venezuela non accenna a migliorare;
   lo scontro tra il Governo del Presidente Nicholas Maduro e le opposizioni si acuisce ogni giorno che passa, facendo registrare violenze crescenti contro le persone e le cose;
   la circostanza è motivo di preoccupazione in relazione alla presenza in Venezuela di una folta comunità di cittadini del nostro Paese – composta da non meno di 160 mila persone iscritte all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero – e al rischio che incombe sulla loro incolumità;
   costituirebbe un'aggravante del pericolo la circostanza che simpatizzi per l'opposizione a Maduro la maggioranza dei concittadini italiani residenti in Venezuela e, più in generale, della comunità italo-venezuelana che rappresenterebbe il 5 per cento della popolazione locale;
   l'ulteriore deteriorarsi della situazione potrebbe indurre molti fra i concittadini italiani in Venezuela a considerare troppo rischiosa la scelta di rimanere in quel Paese, con la conseguenza di ipotizzare un ritorno in Italia, che a quel punto dovrebbe essere organizzato o quanto meno agevolato dal Governo italiano;
   evacuare dal Venezuela i cittadini italiani che intendessero abbandonarlo non è tuttavia operazione da prendere sottogamba, comportando la predisposizione di un ponte aereo o di un'evacuazione via mare a grande distanza dai confini nazionali, da pianificare per tempo –:
   se il Governo stia monitorando l'evolversi della situazione in Venezuela, anche sotto il profilo della sicurezza dei concittadini che vi risiedono, e se siano o meno allo studio piani per la tutela della loro incolumità e sicurezza. (3-03408)
(4 dicembre 2017)
(ex 4-16723 del 26 maggio 2017)

B) Interrogazione

   GUIDESI e RONDINI. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   con una nota il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha comunicato agli assessorati per l'agricoltura delle regioni che, in un'ottica di razionalizzazione della spesa pubblica, le risorse destinate al «Programma dei controlli funzionali svolti dalle Associazioni degli allevatori (Ara/Apa) per ogni specie, razza o tipo genetico» per l'anno 2017 vengono ridotte, passando dai previsti 22,506 milioni di euro ai 7,206 milioni di euro, con un taglio di circa il 72 per cento;
   la decurtazione trae origine da un'intesa formalizzata tra Governo, regioni e province autonome di Trento e Bolzano in data 23 febbraio 2017 in sede di Conferenza Stato-regioni, in attuazione delle disposizioni contenute nei commi 680 e 682 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016) concernente il contributo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario per l'anno 2017;
   il 20 aprile 2017 la Conferenza Stato-regioni ha proceduto ad esaminare, sancendo la mancata intesa, il programma dei controlli dell'attitudine produttiva per la produzione di latte e/o carne (controlli funzionali) per l'anno 2017 predisposto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e trasmesso alla Conferenza in data 15 marzo 2017. In quell'occasione, per quanto consta agli interroganti, sembra che sia stato sottoposto alle regioni un documento che nei contenuti finanziari risultava già non fedele alla realtà, in quanto riferito alla precedente dotazione senza che ne sia stata data opportuna comunicazione;
   nel verbale della seduta del 20 aprile 2017 si legge che nella precedente riunione tecnica del 3 aprile 2017 era stato registrato l'avviso favorevole delle regioni al programma, ad eccezione della regione Lombardia, che, pur prendendo atto dello sforzo del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali nella rimodulazione dei criteri che determinano il riparto delle risorse, ha ritenuto gli stessi sostanzialmente immutati ed ha espresso parere sfavorevole all'intesa;
   questo taglio ha riguardato tutti i Ministeri, ma, mentre gli altri si sono impegnati per ripristinare i fondi attraverso diverse modalità di finanziamento – per esempio il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha previsto un reintegro dei fondi del welfare – il Ministro interrogato sembra agli interroganti aver operato pedissequamente il disimpegno dei fondi da trasferire alle regioni e non abbia invece proceduto a trovare risorse alternative per reintegrare quelle decurtate;
   non si può permettere che il taglio, giustificato da obbiettivi di finanza pubblica, ricada sul lavoro degli allevatori, privando in questo modo la zootecnia italiana di servizi fondamentali che assicurano la qualità e la salubrità del made in Italy. Questi tagli causeranno un danno enorme al sistema allevatoriale italiano, che ha sempre rappresentato garanzia assoluta per il mantenimento qualitativo del latte italiano, fiore all'occhiello dell'agricoltura del Paese;
   sarebbe opportuno, ad avviso degli interroganti, indire nel più breve tempo possibile una riunione della Commissione politiche agricole della Conferenza Stato-regioni dedicata all'argomento, affinché gli assessori per l'agricoltura delle regioni possano esprimersi su di una soluzione alternativa al taglio in questo ambito, in quanto vanno garantiti gli aiuti destinati alla tutela della biodiversità e al sostegno del sistema delle associazioni degli allevatori –:
   se non ravvisi la necessità di presentare un nuovo programma di controlli funzionali 2017 nel caso in cui non si volesse procedere al ripristino dell'originaria dotazione tramite forme alternative di finanziamento. (3-03405)
(4 dicembre 2017)
(ex 5-11685 del 28 giugno 2017)

C) Interrogazione

   GAGNARLI, PARENTELA e MASSIMILIANO BERNINI. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   la legge n. 157 del 1992, all'articolo 10, reca disposizioni per la redazione dei piani faunistici-venatori, ossia l'individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale;
   si tratta di strumenti fondamentali per la gestione dell'attività venatoria, che devono prevedere, tra le altre cose, le zone di protezione, le aree e le modalità in cui può svolgersi la stessa, anche in rapporto alle problematiche ambientali e alle esigenze di conservazione della natura;
   i piani faunistici – demandati dalla stessa legge n. 157 del 1992 alle regioni mediante il coordinamento dei piani faunistici-venatori provinciali – hanno una validità temporale ridotta (circa cinque anni), anche perché, con il passare del tempo, si modificano le caratteristiche del territorio, dell'ambiente, degli animali che lo popolano e di conseguenza verrebbero meno gli obiettivi dello strumento di cui sopra;
   all'apertura della stagione venatoria 2017/2018 solo dieci regioni dispongono di un piano venatorio valido (solo quattro hanno un piano redatto negli ultimi cinque anni), nelle altre questo strumento è inesistente o scaduto;
   secondo i dati diffusi dalla Lipu (Lega italiana protezione uccelli), in Abruzzo, il piano approvato nel 1996 è scaduto 2007, in Basilicata è scaduto nel 2003, mentre nelle Marche e in Toscana è scaduto nel 2015. Dal 2016 non è più valido neppure quello della Puglia. La provincia autonoma di Bolzano, la regione Liguria e la Sardegna non ce l'hanno, mentre l'Emilia-Romagna, la Lombardia e il Piemonte non hanno ancora concluso l’iter iniziato rispettivamente nel 2017, nel 2014 e nel 2013;
   tra quelli vigenti, ci sono il piano faunistico della Calabria, approvato nel 2003, quello della provincia autonoma di Trento (2010), dell'Umbria (2009), della Valle d'Aosta (2008) e del Veneto, approvato dieci anni fa. E poi c’è il caso del Lazio, dove vige un piano approvato nel lontano 1998. Più recenti solo quelli della Campania e della Sicilia (approvati entrambi nel 2013), del Friuli Venezia Giulia (2015) e del Molise (2016);
   tali evidenti lacune e ritardi hanno effetti anche sui siti della rete Natura 2000 dove la caccia è consentita a patto che siano osservate le disposizioni sui criteri minimi uniformi e sia effettuata la valutazione d'incidenza ai sensi della direttiva 92/43/CEE «Habitat»; ma in sole tre regioni (Campania, Friuli Venezia Giulia e Sicilia) la valutazione d'incidenza è stata realizzata in tempi recenti, mentre nelle restanti è obsoleta o addirittura mai realizzata;
   una mancanza, quest'ultima, che potrebbe rappresentare il rischio di una nuova infrazione della direttiva 92/43/CEE, con tutte le conseguenze del caso;
   in questo contesto, è importante ricordare che, in Italia, è ancora possibile cacciare cinque specie di uccelli classificati dal nuovo rapporto Birds in Europe come «Spec 1», specie minacciate a livello globale. Si tratta della tortora selvatica, della coturnice, della pavoncella, del moriglione e del tordo sassello, che andrebbero immediatamente sospese dai calendari venatori e considerate oggetto di speciali interventi di tutela, ma che invece oggi possono essere cacciate tranquillamente –:
  se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza, se del caso anche di carattere normativo, affinché i piani faunistici-venatori siano costantemente aggiornati dalle regioni italiane, nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 10 della legge n. 157 del 1992;
   se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare la realizzazione delle valutazioni di incidenza ambientale dei piani che riguardano siti che ricadono all'interno della Rete Natura 2000, così come previsto dalla direttiva «Habitat», al fine di non incorrere in una nuova procedura di infrazione europea e consentire una maggiore e più efficace tutela degli animali di tali aree;
   se non intendano, anche sentito il parere dell'Ispra, assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia prevista l'esclusione delle specie classificate in condizioni di conservazione sfavorevoli, e in particolare le cosiddette «Spec 1», dai calendari venatori, su tutto il territorio nazionale. (3-03409)
(4 dicembre 2017)
(ex 5-12453 del 13 ottobre 2017)

D) Interrogazione

   CAPEZZONE e LATRONICO. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   la crisi di un settore di eccellenza, come quello apistico italiano, sta mettendo in estrema difficoltà un'attività di interesse nazionale;
   oltre l'80 per cento delle coltivazioni europee (circa 4 mila varietà di verdure e la maggioranza della frutta) esistono solo grazie al servizio reso da questi insetti;
   le pessime condizioni meteo degli ultimi anni (alternanza tra elevate temperature con fioriture anticipate e forte abbassamento delle temperature con gelate improvvise e durature) hanno provocato ingenti danni alle produzioni, danni riscontrati soprattutto sulla pianta di Robinia pseudoacacia;
   con un aggravio dei costi, gli apicoltori sono intervenuti con nutrizioni di emergenza a base di sciroppi zuccherini per consentire la sopravvivenza degli alveari;
   altri elementi che, in questo ultimo quinquennio, hanno determinato una forte riduzione della produzione di miele sono stati gli spopolamenti, gli avvelenamenti e la difficoltà di contenere l'infestazione da varroatosi;
   tutto ciò ha provocato un crollo del 70 per cento dei risultati produttivi del settore e, di riflesso, un aumento del 13 per cento delle importazioni dall'estero di miele, soprattutto dalla Cina, dalla Romania e dall'Ungheria;
   tali prodotti, spesso realizzati con pollini geneticamente modificati, ovviamente non soggiacciono ai rigorosi controlli previsti nel nostro Paese a tutela del consumatore;
   l'entità dei danni subiti, l'impossibilità di inserire l'apicoltura nei piani assicurativi nazionali e l'assenza di specifici sgravi fiscali e/o misure di sostegno rischiano seriamente di compromettere l'intero settore –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della crisi che coinvolge il settore apistico italiano e quali azioni intenda porre in essere per tutelare un'eccellenza nel panorama zootecnico italiano. (3-03411)
(4 dicembre 2017)
(ex 5-12325 del 28 settembre 2017)

E) Interpellanza e interrogazione

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   nelle carceri italiane nell'ultimo anno di sono verificate 8.000 aggressioni, a cui si affiancano poco meno di 10.000 casi di autolesionismo e circa 11 mila manifestazioni di protesta non collettiva;
   gli eventi critici all'interno delle carceri sono in continuo aumento;
   si registra sempre di più un organico che decresce di pari passo all'aumentare del lavoro, delle criticità e dei nuovi sistemi di sicurezza; aumentano gli episodi che disturbano la vita all'interno degli istituti penitenziari, creando problematiche ai detenuti e agli agenti in servizio;
   si registrano sempre più litigi ed episodi di violenza, ma anche proteste ed evasioni sono fenomeni che raggiungono numeri importanti;
   queste criticità sono un segnale di come le problematiche legate alla vita nelle carceri, senza gli adeguati mezzi e la professionalità del personale che vi lavora, rappresenti un vero pericolo, sia per i detenuti stessi che per i poliziotti in servizio;
   la denuncia di Angelo Urso, segretario generale della Uil polizia penitenziaria, e di Michele Cireddu, segretario regionale della Uil polizia penitenziaria, mette «in evidenza come la disparità numerica derivante dall'alto numero di detenuti rispetto ad un organico fermo da troppo tempo, si ripercuote sulla qualità del lavoro di chi rappresenta lo Stato all'interno del carcere»;
   il carcere deve rieducare, ma se tra le sue mura si registrano situazioni di violazioni delle regole di civile convivenza; c’è bisogno di mettere mano alla loro gestione-organizzazione;
   in Sardegna nell'anno 2016 sono stati 438 gli eventi critici, quali autolesionismi, tentativi di suicidio, risse ed altro;
   più della metà si sono verificati nel carcere di Uta, che ha il triste primato assoluto tra gli istituti della penisola per numero di tentati suicidi (61) e per numero di autolesionismi in proporzione al numero dei detenuti;
   le manifestazioni di protesta collettiva ed individuale invece sono così suddivisi:
    a) sciopero della fame collettivi 31, individuali 310;
    b) casi di rifiuto del vitto per protesta sono stati 913 collettivi e 36 individuali;
    c) numeri di astensione dalle attività sono stati 116 collettivi e 3 individuali;
    d) percussione sbarre per protesta sono stati 3608 collettivi;
    e) sono stati 14 i rifiuti di rientro nelle celle;
    f) le manifestazioni contro le condizioni di vita intramurarie sono state 4184;
    g) i casi di danneggiamento beni sono stati 24;
    h) proteste contro misure legislative sono state 598;
   si tratta di dati di una gravità inaudita che confermano tutte le denunce che l'interpellante ha anzitempo sottoposto all'attenzione del Governo;
   ancora niente è stato fatto per prevenire tragedie e anzi appare sempre più evidente un Governo latitante e una gestione dell'amministrazione penitenziaria non adeguata alle esigenze;
   si registra un tentativo sempre più evidente del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con la complicità del Ministero, di voler blindare la vita in carcere, rendendo sempre più complicato anche l'esercizio del mandato parlamentare –:
   se il Ministro interpellato non ritenga di dover affrontare con somma urgenza le criticità sopra richiamate;
   se non ritenga di dover adottare iniziative urgenti tese a coprire le rilevanti carenze negli organici e nella stessa organizzazione;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per ripristinare una normale detenzione nelle carceri sarde, che risulta sempre più grave a causa di scelte secondo l'interpellante irresponsabili che hanno destinato in Sardegna detenuti in regime di 41-bis, AS1, AS2, AS3 con aggravio di incombenze e lavoro, per il già scarso personale a disposizione in regime di ordinarietà;
   se non ritenga di dover provvedere alle nomine dirigenziali di cui in premessa, considerato che, più volte, le strutture carcerarie sono gestite in regime di comando e sovrapposizione d'incarico tra più strutture.
(2-01702) «Pili».
(8 marzo 2017)

   PILI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   nel 2014 nelle carceri sarde ci sono stati 272 atti di autolesionismo, 42 tentati suicidi di detenuti, 33 ferimenti, 25 colluttazioni;
   i dati sono stati resi noti da Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che dopo aver incontrato i rappresentanti sindacali regionali ha lanciato l'allarme sulla situazione degli istituti penitenziari nell'Isola, già oggetto di decine di atti di sindacato ispettivo dell'interrogante;
   nelle carceri sarde c’è un evento critico al giorno;
   risultano dislocati in Sardegna molti più detenuti del 2017, e come è stato già denunciato in un precedente atto di sindacato ispettivo, nel nuovo carcere di Uta si è arrivati a montare la terza branda in cella per far fronte all'affollamento;
   per i poliziotti penitenziari in servizio le condizioni di lavoro restano pericolose e stressanti;
   in Sardegna la polizia penitenziaria è sotto organico di oltre 400 unità;
   l'amministrazione penitenziaria, nonostante i richiami di Bruxelles, non ha affatto migliorato le condizioni di vivibilità nelle celle;
   in Sardegna lavorano circa 700 detenuti, il 35 per cento di quelli presenti, quasi tutti (655) alle dipendenze del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria impegnati in lavori di pulizia o, comunque, internamente al carcere, per poche ore a settimana –:
   se non ritenga indispensabile bloccare questo ennesimo grave segnale di sovraffollamento che sta gravemente compromettendo la sicurezza nelle carceri sarde;
   se non ritenga di dover bloccare nuovi trasferimenti, con particolare riferimento all'inaccettabile piano di trasferire in Sardegna i detenuti in regime di 41-bis;
   se non ritenga di dover coprire con urgenza i 400 posti vacanti nell'organico della polizia penitenziaria. (3-03410)
(4 dicembre 2017)
(ex 4-09481 del 16 giugno 2015)

F) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la società Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova s.p.a. è concessionaria per il tratto di Autostrada Serenissima che intercorre da Brescia a Padova;
   la società Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova s.p.a. è controllata da A4 Holding s.p.a., di cui da febbraio 2017 detiene il 59,93 per cento delle azioni la società spagnola Albertis;
   da notizie di stampa riportate dai quotidiani locali BresciaOggi e BSNews.it del 14 settembre 2017 la multinazionale spagnola Abertis avrebbe annunciato la volontà di chiudere i centri servizi di Padova ovest, Thiene, Vicenza ovest e Desenzano a partire dal 2018;
   il centro servizi posto a ridosso del casello di Desenzano offre un importante e utilissimo servizio a favore dei clienti/utenti in materia di mancati pagamenti, problematiche e disbrigo delle pratiche inerenti ai telepass, ai problemi alle sbarra, alle richieste turistiche;
   gli utenti del centro servizi di Desenzano sono, oltre a cittadini e aziende locali, soprattutto e in larga parte turisti, molti stranieri, diretti al lago e alle strutture alberghiere del lago di Garda;
   nel caso della chiusura del centro servizi di Desenzano gli utenti si troverebbero privi di un punto di servizio su tutto il lago di Garda, essendo il centro più vicino sito al casello di Verona sud –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere al fine di garantire il diritto alla mobilità degli utenti interessati dalla tratta autostradale di cui in premessa, salvaguardando l'apertura del centro servizi autostradali di Desenzano da parte del concessionario.
(2-01954) «Lacquaniti, Franco Bordo, Martelli».
(28 settembre 2017)

G) Interrogazione

   LATRONICO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   il tratto della strada statale n. 106 «Jonica» nel territorio di Nova Siri, ammodernato e raddoppiato, è stato inaugurato nel 2014 ed è costato 88 milioni di euro, di cui 66 a base di gara;
   su tale tratto, moderno e confortevole, che insiste sul nuovo cavalcavia nei pressi dello svincolo per Nova Siri, è stato imposto un limite di velocità di 50 chilometri all'ora in entrambe le direzioni di marcia, in buona sostanza addirittura inferiore a quello vigente sulla strada prima delle migliorie, quando la carreggiata era a due corsie;
   se è pur vero che l'automobilista va in qualche modo riportato nell'alveo della disciplina, il costringerlo a mantenere una velocità non superiore a cinquanta chilometri orari nel tratto segnalato pare eccessivo;
   l'imposizione di limiti di velocità non giustificati dalle reali necessità, come la cronaca di questi anni dimostra, sembra sempre più mirato a penalizzare i cittadini e a costituire sicura fonte di entrate per le amministrazioni locali, allontanandosi dall'obiettivo iniziale di garantire la sicurezza stradale;
   non si intende minimizzare o derubricare la questione della sicurezza stradale, ma, trattandosi di un tratto stradale nuovo, per il quale sono stati spesi milioni di euro per rendere più moderna, efficace e sicura l'infrastruttura, non si comprende il perché di un limite così basso per una strada a scorrimento veloce;
   questo tema dei limiti di velocità sulla strada statale n. 106 si estende a tutta la tratta viaria che collega Taranto a Sibari e si aggiunge alla numerosa presenza di rilevatori di velocità posizionati dai comuni lungo l'arteria in modo sproporzionato e con l'esplicito obiettivo di elevare multe e contravvenzioni a carico degli automobilisti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere per chiedere chiarimenti all'Anas, anche al fine di verificare quali eventuali esigenze di sicurezza abbiano suggerito di adottare gli attuali limiti di velocità lungo la strada statale n. 106 e quale autorizzazione sia stata data per l'installazione di numerosi rilevatori di velocità da parte dei comuni della casta ionica. (3-03208)
(12 settembre 2017)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA VOLTE A FAVORIRE LA DIFFUSIONE DEI PARCHI GIOCHI INCLUSIVI

   La Camera,
   premesso che:
    la Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dallo Stato italiano con legge 27 maggio 1991 n. 176, prevede, all'articolo 31, comma 1, che «gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica», includendo quindi tra i titolari di tale diritto anche i bambini e i ragazzi con disabilità;
    l'Italia, con legge 3 marzo 2009, n. 18 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 61 del 14 marzo 2009), ha ratificato e resa esecutiva la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con protocollo opzionale, adottata dall'Assemblea generale dell'Onu il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, ove, all'articolo 30, comma d), si afferma «(...) gli Stati parti prenderanno le appropriate decisioni per assicurare che i bambini con disabilità abbiano eguale accesso alla partecipazione ad attività ludiche, ricreative e di tempo libero, sportive, incluse tutte quelle attività che fanno parte del sistema scolastico»;
    il gioco, quindi, è un diritto di tutti i bambini, ma diventa un problema quando la difficoltà a muoversi o l'incapacità di vedere, oppure ancora la scarsa capacità d'attenzione e concentrazione su di un compito, lo compromettono. Se per tutti i bambini esiste un diritto al gioco, la disabilità rischia di negarlo, perché il gioco difficilmente vi compare spontaneamente, perché talvolta non sono capaci di imitare, perché i giochi tradizionali non sono pensati per chi ha difficoltà nel fare anche le cose più semplici, perché le famiglie spesso sono iperprotettive o al contrario troppo deleganti, perché questi bambini sono lasciati fuori dai circuiti ricreativi del territorio, perché gli adulti non si stanno impegnando a sufficienza per credere nel potenziale del gioco e quindi intraprendere cambiamenti efficaci;
    i bambini con disabilità hanno il diritto, quindi, di giocare in spazi adatti alle loro esigenze, con strumenti idonei alle loro capacità e per farlo hanno bisogno di parchi giochi inclusivi, parchi giochi per tutti, ovverosia aree attrezzate con singole giostre o interi spazi dove anche i bambini con disabilità – fisiche o sensoriali – o con problemi di movimento possano giocare in sicurezza, insieme a tutti gli altri;
    non si tratta solo di giochi per disabili, quindi, ma giochi per tutti, cioè spazi privi di barriere architettoniche o sensoriali dove tutti i bambini, anche quelli con disabilità, possono muoversi liberamente utilizzando strutture adatte;
    un parco giochi inclusivo è quindi un parco dove tutti i bambini, anche quelli con disabilità, possono esercitare il loro diritto al gioco. Sono parchi privi di barriere architettoniche, dove sono installati giochi il più possibile accessibili e fruibili da parte di bambini, che, ad esempio, usano la carrozzina, sono ipovedenti, hanno una disabilità motoria lieve, ma anche bambini normodotati. Parchi in cui ci sono strutture gioco con rampe al posto delle scale, tunnel giganti il cui accesso possibile anche alle carrozzine, giostre girevoli che possono essere utilizzate da tutti;
    attualmente in Italia risultano pochissimi parchi giochi accessibili ai bambini con disabilità sia nelle aree verdi pubbliche sia nelle scuole, non solo perché mancano i finanziamenti, ma perché manca una vera e proprio politica dell'inclusione, una reale sensibilità da parte delle amministrazioni locali, nonché il rispetto del bene pubblico, visto che anche i parchi giochi già esistenti per i bambini cosiddetti normodotati sono spesso inaccessibili, perché sporchi o distrutti dai vandali o in condizioni pessime, perché non ci sono i fondi per la manutenzione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per diffondere la cultura, non solo presso gli utenti ma anche presso le pubbliche amministrazioni interessate, della necessità di prevedere dei parchi giochi inclusivi, dove tutti i bambini, indipendentemente dalle loro condizioni psicofisiche, possano giocare insieme;
2) a predisporre, in collaborazione con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, linee guida volte a definire quali siano le caratteristiche di un parco giochi inclusivo e le modalità che ciascuna amministrazione locale deve rispettare per dotarsi sul proprio territorio di parchi giochi inclusivi, nonché a redigere un censimento di quelli che sono fino ad oggi i parchi giochi inclusivi presenti sul territorio nazionale;
3) ad assumere iniziative per prevedere, nel primo provvedimento utile, risorse finanziarie adeguate da trasferire alle amministrazioni locali per l'istituzione di nuovi parchi giochi inclusivi.
(1-01746) «Argentin, Sbrollini, Scopelliti, D'Incecco, Mazzoli, Tidei, Miccoli, Marchi, Manfredi, Villecco Calipari, Bonaccorsi, Miotto».
(30 novembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    i parchi inclusivi sono quelli in cui i giochi non sono diversi né meno divertenti di quelli che si trovano nei parchi tradizionali, ma hanno in più dei semplici accorgimenti che li rendono accessibili a tutti: per accedere agli scivoli c’è una rampa dove può passare una carrozzina, l'altalena non è una tavoletta ma una cesta dove ci si può anche sdraiare, i giochi a molle hanno protezioni posteriori e laterali che sostengono un piccolo con difficoltà motorie. Inoltre, in detti parchi, vengono installati giochi sensoriali che possono, comunque, essere utilizzati da tutti;
    fondamentale per il nostro Paese è la promozione delle pari opportunità tra tutti i cittadini ed il superamento degli squilibri economici e sociali esistenti nel proprio ambito al fine di realizzare il pieno sviluppo della persona umana, riconoscendo le formazioni sociali nelle quali essa si esprime, sostenendo e promuovendo il libero svolgimento della vita sociale nel pluralismo dei gruppi e delle istituzioni, favorendo lo sviluppo delle associazioni democratiche e del volontariato;
    l'articolo 8 comma 1 lettera e) della legge n. 104 del 1992 stabilisce che «l'inserimento e l'integrazione della persona handicappata» si realizza anche attraverso «l'adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali» e l'articolo 23, della medesima legge a favore delle persone disabili, prescrive in capo ai comuni l'obbligo di «rimozione di ostacoli per l'esercizio di attività sportive, turistiche e ricreative»;
    è un diritto dei bambini disabili quello di poter usufruire dei parchi pubblici e di giocare senza essere esclusi, a causa di giochi inadeguati e/o di barriere architettoniche;
    è fondamentale garantire l'accessibilità e la fruibilità dei parchi cittadini come previsto dalla legge n. 18 del 3 marzo 2009 di «Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità»;
    fondamentali sono gli articoli 23 e 31 della convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989) secondo i quali:
    (articolo 23): «Gli Stati parti riconoscono che i fanciulli mentalmente o fisicamente handicappati devono condurre una vita piena e decente, in condizioni che garantiscano la loro dignità, favoriscano la loro autonomia e agevolino una loro attiva partecipazione alla vita della comunità.»;
    (articolo 31): 1. «Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica». 2. «Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l'organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali»;
    giocare è un diritto fondamentale di tutti i bambini, sancito anche dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia dell'Unicef, ma la maggior parte dei parchi giochi esistenti in Italia non sono accessibili ai bambini con disabilità e la sensibilità delle istituzioni territoriali, su questo argomento, si sta orientando verso la creazione dei primi parchi accessibili a tutti, senza barriere architettoniche che ne impediscano la fruibilità ad una fascia di bimbi con problematiche motorie di vario tipo;
   per i parchi inclusivi mancano i progetti, gli studi di fattibilità, le procedure per l'identificazione del sito ma, soprattutto, le risorse finanziarie,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assumere iniziative, per quanto di competenza e in collaborazione con gli enti locali, per verificare lo stato attuale delle attrezzature ludiche presenti nei parchi e nei giardini delle aree dove sono ubicate, per controllare che le stesse siano accessibili anche ai bambini disabili, ai quali deve essere assicurato almeno un gioco in ogni parco attrezzato;
2) a valutare l'opportunità di promuovere, d'intesa con gli enti locali, iniziative volte all'installazione, se non presenti, di giochi per bambini disabili nei parchi oggetto di interventi in corso o appaltati;
3) a valutare l'opportunità di predisporre progetti statali relativi a nuove aree verdi adibite ad aree di gioco;
4) a valutare l'opportunità di assumere iniziative affinché venga predisposto, in sede di Conferenza unificata, un piano per la sostituzione delle attrezzature obsolete presenti nei parchi e nei giardini, assicurando che le nuove dotazioni siano compatibili con l'utilizzo delle stesse da parte di bambini con disabilità, e per la dotazione di giochi per bambini disabili in tutti i parchi, prevedendo adeguate risorse finanziarie.
(1-01761) «Bechis, Artini, Baldassarre, Segoni, Turco, Pisicchio».
(4 dicembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo una stima diffusa dall'Unicef ci sono circa 93 milioni di bambini nel mondo, al di sotto dei 14 anni, che convivono con una disabilità moderata o grave;
    la definizione di disabilità è rimasta per molto tempo basata prevalentemente sull'aspetto medico. Negli ultimi anni si sta affermando invece un paradigma della disabilità che non è più soltanto di carattere sanitario, ma anche sociale: in altri termini, la disabilità si identifica sempre più non soltanto con una condizione di salute, ma anche nelle barriere, ambientali e sociali, che impediscono l'inclusione;
    la legge n. 104 del 1992 ha come principio ispiratore la volontà di fare da garante per le persone che ne abbiano maggiore necessità e per mantenerlo ha introdotto il concetto di gravità dell’handicap;
    all'articolo 3, comma 3, la legge n. 104 del 1992, sancisce che: «qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici»;
    l'articolo 8, comma 1, lettera e), della legge n. 104 del 1992 prevede che l'inserimento e l'integrazione sociale della persona handicappata si realizzano mediante adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali. Inoltre, all'articolo 23 della sopra citata legge (rimozione di ostacoli per l'esercizio di attività sportive, turistiche e ricreative) si prevede che: «le regioni e i comuni realizzano, in conformità alle disposizioni vigenti in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, ciascuna per gli impianti di propria competenza, l'accessibilità e la fruibilità delle strutture sportive e dei connessi servizi da parte delle persone handicappate»;
    ai sensi della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (CDI) e della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD), i Governi di tutto il mondo si sono assunti la responsabilità di garantire che tutti i bambini, indipendentemente dal loro grado di abilità o disabilità, godano degli stessi diritti, senza discriminazioni di alcun genere. Fino al mese di febbraio del 2013, 193 Paesi avevano ratificato la CDI, mentre 127 Paesi dell'Unione europea avevano ratificato la CDPD;
    i bambini e le bambine con disabilità sono certamente, a parità di condizioni sociali ed economiche, quelli in assoluto più vulnerabili. Hanno bisogni speciali e sono facili vittime di varie forme di esclusione;
    negli ultimi anni in Europa è aumentata la costruzione dei parchi giochi inclusivi. Queste aree consentono l'abbattimento delle barriere architettoniche mediante rampe di accesso, percorsi per bambini ipovedenti, percorsi tattili, vasche rialzate per l'orticoltura, scivoli a doppia pista, tutto studiato per consentire ai piccoli con diverse abilità di giocare ed imparare assieme ai propri amici, fratelli e genitori;
    numerosi psicologici ritengono che i giochi all'aperto offrono benefici terapeutici per tutti: sono divertenti, aiutano a tenere i bambini in buona salute, favoriscono la consapevolezza del rischio, aspetto importante per la costruzione sociale ed emotiva. Inoltre, reputano che l'accesso allo sport e alle attività ricreative non solo giova direttamente ai bambini con disabilità, ma aiuta anche a migliorare la loro percezione all'interno della comunità;
    i bambini e gli adolescenti con disabilità e le loro famiglie sono troppo spesso invisibili nelle politiche e nella società,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, in sinergia con gli enti locali, per rendere concreto il diritto dei bambini con disabilità a giocare all'aria aperta attribuendo priorità all'inclusività e all'accessibilità quando si costruiscono nuovi parchi e quando si ristrutturano le aree pubbliche esistenti già destinate ai giochi;
2) ad assumere iniziative comprendenti programmi finanziari specifici per bambini con disabilità, che prevedano anche la costruzione di parchi giochi inclusivi;
3) ad adottare iniziative per definire un quadro normativo specifico per la creazione di spazi pubblici specializzati per bambini con disabilità;
4) a favorire la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie utili alla pianificazione e alla progettazione di spazi di gioco pubblici inclusivi adatti a tutti;
5) a sostenere campagne mediatiche che promuovano l'integrazione sociale dei bambini con disabilità.
(1-01762) «Galgano, Monchiero, Menorello, Oliaro, Mucci, Catalano, Molea, Secco, Vaccaro, Bueno, Bombassei».
(4 dicembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    quando si affronta il tema della disabilità e in particolar modo quando si tratta di bambini disabili, l'obiettivo prioritario deve essere quello di migliorare il più possibile la loro qualità di vita e quella delle loro famiglie. Per fare ciò, prima di tutto, bisogna lavorare affinché muti il modo di affrontare le problematiche legate al mondo della non autosufficienza. È necessario infatti pensare alle persone non autosufficienti in termini di centralità dei bisogni, ai quali si devono fornire delle risposte efficaci tese alla valorizzazione dei potenziali della persona, e non soltanto incentrate nella misurazione dei deficit. Il bisogno di salute deve essere quantificato in relazione a quanto una persona potrebbe fare se venissero posti in essere quegli interventi capaci di contrastare o di ridurre un deficit e di abbattere quelle barriere che costituiscono un handicap apparentemente insormontabile per la persona con disabilità;
    un progetto di riforma del sistema deve partire dalla centralità della persona, al fine di valutare e di rilevare quelle che sono le capacità residue e i bisogni del singolo, seguendo un procedimento inverso rispetto alla tradizionale tendenza di partire dalle risorse collettive per poi arrivare agli stanziamenti in favore del singolo. I diritti di cittadinanza delle persone non autosufficienti non possono limitarsi all'accesso ai servizi sanitari, all'istruzione nelle scuole e nelle università, alla predisposizione di forme di sostegno socio-assistenziale e alla realizzazione di inserimenti mirati nel contesto lavorativo. Devono essere più ampi ed è questo il lavoro che il legislatore è chiamato a fare, liberandosi dal preconcetto legato alla funzione assistenziale. La vera pari dignità per tutti si potrà infatti raggiungere soltanto quando diverranno di primaria importanza anche il diritto al tempo libero, il diritto di viaggiare, il diritto di esprimersi, il diritto all'attività fisica e il diritto di divertirsi;
    la possibilità di fruire di luoghi per il tempo libero, per la comunicazione e per la socializzazione non deve essere garantita soltanto ad alcuni. La cultura e il gioco sono patrimonio di tutti. Negli ultimi anni in Italia molto è stato fatto anche sotto il profilo normativo, ma purtroppo nel nostro Paese troppo spesso le leggi restano sulla carta, non vengono attuate o applicate. La Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dallo Stato italiano con legge 27 maggio 1991, n. 176, prevede, all'articolo 31, comma 1, che «gli Stati parte riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica», includendo quindi tra i titolari di tale diritto anche i bambini e i ragazzi con disabilità;
    l'Italia, con legge n. 18 del 3 marzo 2009 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14 marzo 2009), ha ratificato e resa esecutiva la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con protocollo opzionale, adottata dall'Assemblea generale dell'Onu il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008 ove all'articolo 30, comma d), si afferma «(...) gli Stati Parti prenderanno le appropriate decisioni per assicurare che i bambini con disabilità abbiano eguale accesso alla partecipazione ad attività ludiche, ricreative e di tempo libero, sportive, incluse tutte quelle attività che fanno parte del sistema scolastico»;
    è ormai diffusa la consapevolezza dell'importanza che il gioco e lo sport possono assumere per i disabili, non solo quali strumenti di recupero psico-fisico, ma anche quali mezzi di integrazione sociale. Se il gioco è un diritto di tutti i bambini, tutti i bambini devono essere messi in condizione di poter giocare e per farlo è necessario far sì che le aree attrezzate siano costruite in modo tale da permettere anche ai bambini disabili di usufruirne a pieno. Parchi privi di barriere architettoniche, con giochi inclusivi dove anche i bambini con disabilità possano in piena sicurezza partecipare insieme agli altri alle attività ludiche;
    ad oggi, in Italia, i parchi giochi accessibili a tutti sono una rarità fortemente voluta dalle amministrazioni più virtuose e capaci di comprendere l'importanza di queste strutture non solo al fine di garantire, come è giusto che sia, il diritto al gioco a tutti i bambini, ma anche per sviluppare fin dalla più giovane età un approccio culturale della disabilità che sia fondato non solo sul rispetto della diversità, ma anche sulla consapevolezza che tutti debbano avere le stesse possibilità se messi in condizione di essere alla pari. Il gioco del golf insegna ad esempio che tutti i giocatori sono dotati di un handicap di partenza che permette ad esempio al campione del mondo di poter giocare anche con un principiante partendo alla pari;
    la giusta cultura dei diritti non può essere realmente operativa se le amministrazioni locali non vengono dotate delle risorse economiche necessarie per mettere in moto politiche ed interventi mirati a far sì che vengano eliminate le barriere architettoniche che non permettono la piena fruibilità di tutti i servizi alle persone con disabilità. Oramai, difatti, da tempo in Italia, se da un lato si legifera, in linea di principio, con sempre più attenzione nei confronti delle persone disabili e delle loro famiglie, dall'altro lato, si continuano a tagliare le risorse dedicate, lasciando di fatto alle amministrazioni degli enti locali la responsabilità di non riuscire nei fatti ad intervenire concretamente nello sviluppo di progetti finalizzati alla piena inclusione delle persone con disabilità,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per stanziare, nel primo provvedimento utile, risorse finanziarie da trasferire alle amministrazioni locali da dedicare a progetti mirati alla piena inclusione dei bambini disabili nelle attività culturali, ludiche e sportive delle comunità cittadine;
2) a predisporre, in sede di Conferenza unificata, progetti mirati a dotare in tempi rapidi tutto il territorio nazionale di parchi giochi inclusivi con caratteristiche comuni.
(1-01764) «Rondini, Fedriga, Allasia, Altieri, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Lo Monte, Marti, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(4 dicembre 2017)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A CONTRASTARE IL FENOMENO DELLA CORRUZIONE IN AMBITO SANITARIO

   La Camera,
   premesso che:
    la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, ha dato all'Italia la patente di uno dei migliori sistemi di salute pubblica al mondo e nonostante le successive riforme, ivi inclusa la riforma del titolo V della Costituzione, ne abbiano mutato sostanzialmente la struttura, ha consentito al nostro Paese di mantenere saldo il principio dell'universalità, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, ed in tal senso anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha considerato che il servizio sanitario nazionale del nostro Paese è uno dei migliori al mondo, per la correlazione esistente tra lo stato di salute della popolazione e il soddisfacimento dei bisogni assistenziali;
    il sistema sanitario pubblico italiano deve essere tutelato da corrotti e corruttori e deve essere salvaguardato dall'infiltrazione della corruzione e della malavita, non solo per difendere il servizio pubblico, ma anche e soprattutto per tutelare il diritto fondamentale alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione;
    il paradigma che oggi lega la tutela della salute alla sostenibilità economica del sistema sanitario italiano non può prescindere da un'efficace lotta alla corruzione, agli sprechi, alle inefficienze e richiede di eliminare tutte quelle storture legislative e gestionali che alimentano tale spreco di risorse, senza in realtà rispondere ai bisogni di salute dei cittadini;
    diffusamente si è detto che lo stato di salute di una popolazione è la cartina al tornasole del livello di civiltà di un Paese ed uno Stato che non combatte o non previene la corruzione misura il proprio livello di inciviltà, che nell'ambito della salute, come inevitabile conseguenza, determina proprio il peggioramento della condizione di salute della popolazione;
    il contesto politico e socio-economico e le correlate scelte politiche ed economiche hanno un'influenza decisiva sulla domanda di salute ed è compito dello Stato compiere scelte coraggiose che incidano in maniera efficace sul contesto e sulle sue storture e la corruzione è la principale stortura del sistema salute o, se si vuole, dell'intero sistema politico e socioeconomico italiano;
    l'Ocse nel 2017 ha pubblicato il report «Tackling wasteful speding on health», che affronta il tema della corruzione in sanità facendo una panoramica sui Paesi Ocse, tra cui l'Italia, ed apre tale report affermando: «Una parte significativa della spesa sanitaria è – nella migliore delle ipotesi – spreco, o peggio danneggia la nostra salute»;
    riprendendo proprio tale affermazione dell'Ocse, nel mese di aprile 2017, è stato pubblicato anche il report «Curiamo la corruzione-percezione rischi e sprechi in sanità», un importante lavoro d'indagine coordinato da Transparency International Italia e in collaborazione con il Censis, Ispe sanità e Rissc (Centro ricerche e studi su sicurezza e criminalità);
    più precisamente il report di Transparency International Italia è il risultato di tre percorsi d'indagine: la percezione dei rischi e delle strategie effettuata dal Censis tra il 2016 e il 2017, la valutazione dei rischi e l'analisi delle contromisure contenute nei piani triennali di prevenzione della corruzione 2016-2018 delle strutture sanitarie, condotta da Rissc e l'analisi di sprechi e inefficienze che emergono dalla valutazione dei conti economici 2013 delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, tenuto conto delle diverse realtà regionali, elaborata da Ispe sanità;
    le tre indagini condotte e illustrate nel citato report di Transparency hanno fornito dati e a risultati allarmanti:
     a) in riferimento alla percezione della corruzione in sanità si è rilevato che «nel 25,7 per cento delle aziende sanitarie si sono verificati episodi di corruzione nell'ultimo anno; il 42,6 per cento delle aziende sanitarie ha un indice alto (14,7 per cento) o medio-alto (27,9 per cento) di percezione del rischio; secondo il 63,2 per cento dei responsabili per la prevenzione della corruzione intervistati, la corruzione in sanità rimane stabile; il 64,7 per cento dei responsabili per la prevenzione della corruzione intervistati ritiene che il rischio nella propria azienda sia moderato, solo il 5,9 per cento lo giudica elevato; i settori ritenuti maggiormente a rischio dagli intervistati sono quello degli acquisti e delle forniture, le liste d'attesa e le assunzioni del personale»;
     b) in riferimento ai rischi di corruzione in sanità si è rilevato che «il 51,7 per cento delle aziende sanitarie non si è adeguatamente dotata di strumenti anticorruzione, come previsto dalla legge 190/2012; i rischi di corruzione più frequenti sono: 1) violazione delle liste d'attesa (45 per cento); 2) segnalazione dei decessi alle imprese funebri private (44 per cento); 3) favoritismi ai pazienti provenienti dalla libera professione (41 per cento); 4) prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni (38 per cento); 5) falsificazione delle condizioni del paziente per aggirare il sistema delle liste d'attesa (37 per cento); i rischi di corruzione più elevati sono: 1) sperimentazione clinica condizionata dagli sponsor (12,9/25); 2) prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni (12,3/25); 3) violazione dei regolamenti di polizia mortuaria (11,7/25); 4) favoritismi ai pazienti provenienti dalla libera professione (11,4/25); 5) segnalazione dei decessi alle imprese funebri private (11,2/25)»;
     c) in riferimento all'analisi economica degli sprechi in sanità si è rilevato che «la stima della corruzione sommata agli sprechi, misurata con un nuovo indicatore di inefficienza, oscilla intorno al 6 per cento delle spese correnti annue del servizio sanitario nazionale (dati 2013); l'ammontare delle potenziali inefficienze nell'acquisto di beni e servizi sanitari nel servizio sanitario nazionale è stimato in circa 13 miliardi di euro»;
    i dati impietosi sulla corruzione in sanità, innanzi citati, rilevano dunque che gli episodi di corruzione più frequenti riguardano, tra gli altri, proprio l'attività libero professionale intramuraria, le nomine apicali, la prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni e la sperimentazione clinica correlata agli sponsor;
    dall'indagine illustrata nel report «Curiamo la corruzione 2017» emerge che il valore medio di rischio più alto, nel ventaglio di rischi analizzati, riguarda proprio l'area delle sponsorizzazioni: in particolare, la «sperimentazione condizionata» (12,89) e gli «indebiti comportamenti prescrittivi a seguito di sponsorizzazione» (12,28); il rischio di corruzione della sperimentazione – condizionata dal fenomeno per cui il ricercatore è disposto ad alterare il percorso della sperimentazione in una o più delle sue fasi, ottenendo risultati graditi al donor, al fine di garantire nuovi finanziamenti o vantaggi di altra natura – raggiunge il 18 per cento; tale rischio comprende le condotte in cui il medico manipola la sperimentazione clinica al fine di ottenere particolari vantaggi. La falsificazione della sperimentazione può interessare: la selezione del campione (compreso l'inserimento di pazienti nelle sperimentazioni senza consenso informato), l'esecuzione della sperimentazione, la raccolta o l'analisi dei risultati. Il rischio comprende anche la predisposizione della ricerca clinica a fini commerciali e nell'interesse dei soli sperimentatori, da cui possano conseguire l'alterazione degli esiti e la manipolazione dei fondi;
    con delibera n. 831 del 3 agosto 2016 l'Anac ha adottato il piano nazionale anticorruzione 2016 che, come noto, contiene uno specifico focus sulla sanità, con l'indicazione di specifiche misure «quali possibili soluzioni organizzative per preservare il servizio sanitario nazionale dal rischio di eventi corruttivi (con specifico riferimento al contesto strutturale, sociale ed economico in cui si collocano ed operano le istituzioni medesime) e per innalzare il livello globale di integrità, di competenza e di produttività del sistema sanitario nazionale»;
    gli acquisti nel settore sanitario, come evidenzia l'Anac e come noto a tutti, sono a forte rischio di corruzione sia per varietà e complessità dei beni e servizi e sia per varietà e specificità degli attori coinvolti (clinici, direzione sanitaria, provveditori, ingegneri clinici, epidemiologi, informatici, farmacisti, personale infermieristico e altro) e che si trovano non di rado in una condizione potenziale di conflitto d'interesse, poiché sono al tempo stesso coloro che esprimono un fabbisogno e che usufruiscono di un determinato bene o servizio, potendo quindi in tal maniera influenzare ed orientare la domanda (si pensi al caso dei clinici che propongono l'acquisto di protesi);
    nel settore degli acquisti l'auspicata centralizzazione stenta a partire come dovrebbe e di fatto non esclude che gli enti del servizio sanitario nazionale possano procedere, anche attraverso frazionamenti artificiosi, a gare proprie e «personalizzate» e di fatto non c’è alcun tipo di controllo che rilevi, ad esempio, il numero degli affidamenti diretti sul totale degli acquisti, spesso giustificati dall'infungibilità o esclusività del bene, né viene effettuata una verifica a tappeto del numero di proroghe e rinnovi sul totale degli affidamenti o del ricorso a procedure in deroga, dettate da situazioni di urgenza;
    appare necessario rendere uniforme e tracciabile l'intero processo che va dalla definizione del fabbisogno e dalla programmazione dei beni da acquistare e/o dei servizi da appaltare fino alla logistica e alle giacenze di magazzino; è necessario rendere tracciabile e pubblica l'intera filiera di un bene o servizio, dalla fase dello stoccaggio a quella della somministrazione o consumo;
    è necessario implementare sistemi uniformi di controllo esterno ed informatizzati che consentano di rilevare, sulla base di indici di rilevazione automatizzati, l'esistenza di anomalie negli acquisti tali da rappresentare un allarme di spreco, inefficienza o corruzione; il sistema dovrebbe essere integrato con un programma operativo contabile e patrimoniale, unico per tutte le strutture sanitarie del territorio nazionale, che consenta ai cittadini, attraverso un'interfaccia accessibile a chiunque, di indagare, in tempo reale, l'intera filiera di un centro di costo e di un capitolo di bilancio, attraverso un sistema di ricerca semplificato e diversificato (ad esempio per singolo fornitore, per centro unico di prenotazione, per conto identificativo di gara, per singolo bene, per voce di bilancio e altro); in tale modo, ad esempio, si potrebbe rilevare per ciascun fornitore tutti i pagamenti o gli incassi effettuati da una azienda sanitaria o da tutte le aziende sanitarie di una certa regione, con un collegamento attivo ai titoli che hanno consentito quel pagamento (determine a contrarre, gare effettuate, documentazione di gara e altro) o quell'incasso;
    il sistema operativo dovrebbe, altresì, consentire d'indagare e ricercare, sempre in tempo reale, anche lo stato patrimoniale, con la possibilità di rilevare i beni d'inventario e le rimanenze di magazzino, nonché la movimentazione delle scorte, con associazione informatizzata ai cicli di terapia applicati a pazienti i cui dati sanitari siano stati opportunamente decodificati, così da garantire la completa tracciabilità di ogni prodotto sanitario o farmaceutico;
    il sistema operativo integrato dovrebbe consentire d'indagare, sempre in tempo reale, tutte le fasi dell'esecuzione del contratto, opportunamente aggiornate dal responsabile o direttore dell'esecuzione del contratto, inclusi i contratti di convenzionamento o accreditamento con le strutture sanitarie private, con evidenza dei verbali ispettivi e delle verifiche condotte con periodicità prestabilita;
    il sistema operativo contabile, pubblico e accessibile a chiunque, dovrebbe consentire l'accesso alla prescritta contabilità separata dell'attività di intramoenia, con la possibilità d'indagare tutti i costi imputabili all'attività intramoenia, ivi incluse le attrezzature o gli spazi interni o esterni utilizzati per lo svolgimento del servizio, nonché la relativa autorizzazione e il volume di attività per ciascun professionista;
    il sistema operativo contabile, integrato con il sistema degli acquisti e dei contratti, dovrebbe prevedere un meccanismo tale che il mancato aggiornamento dello stesso non consenta alcuna operazione successiva o cumulativa e comporti una penalizzazione economica, nonché una responsabilità disciplinare in capo ai soggetti responsabili del mancato aggiornamento;
    il sistema degli acquisti e tutti i relativi rischi corruttivi sono attigui ai non meno diffusi rischi corruttivi connessi alle attività di ricerca, di sperimentazione clinica e alle correlate sponsorizzazioni, la cui individuazione appare più difficile laddove un eventuale abuso si colloca spesso al limine con l'autonomia professionale dei professionisti della sanità (si pensi, ad esempio, alla prescrizione dei farmaci). Tale abuso spesso è correlato alle diverse forme di sponsorizzazione, diretta o indiretta, che le industrie dei presidi sanitari elargiscono a vantaggio dei professionisti o degli enti della sanità; al riguardo, particolarmente esposto a rischio di corruzione, è il settore della formazione dei professionisti della sanità soprattutto a quando con l'introduzione del sistema obbligatorio di formazione continua, l'educazione continua in medicina, si è costruito un complesso sistema in cui i diversi attori della formazione sanitaria sono considerati soggetti appetibili, da parte delle industrie farmaceutiche e dei dispositivi sanitari, al fine di incrementare la produzione e l'acquisto;
    sulle sponsorizzazioni in sanità appare necessario intervenire urgentemente prevedendo che:
     a) ogni forma di sponsorizzazione debba essere acquisita nel rispetto dei principi del codice dei contratti pubblici, ovvero nel rispetto della trasparenza, evidenza pubblica, concorrenzialità, rotazione, imparzialità e altro;
     b) siano costituiti dei fondi indistinti destinati alla formazione dei professionisti della salute e all'attività di ricerca e il cui utilizzo non sia finalizzato ad una specifica attività formativa o di ricerca, né sia destinato a professionisti specifici, prevedendo che l'utilizzo delle risorse, da parte delle strutture sanitarie pubbliche o private o delle associazioni private, avvenga nel rispetto della rotazione, trasparenza ed imparzialità;
     c) si introduca un divieto assoluto per i professionisti della sanità di percepire qualsiasi tipo di vantaggio, diretto o indiretto, da parte delle industrie operanti nella sanità;
     d) vi sia un obbligo per tutti i professionisti della salute di rendere pubblica una dichiarazione ove siano evincibili tutte le relazioni d'interesse o finanziarie, anche pregresse, con le industrie operanti nella sanità;
     e) si introduca un divieto assoluto di meccanismi premiali correlati alla vendita di prodotti farmaceutici o presidi sanitari, sia per gli informatori scientifici sia gli agenti o i rappresentanti di prodotti destinati alla sanità;
    tra i diversi interventi atti a prevenire la corruzione in sanità il piano nazionale anticorruzione 2016 segnala la necessità di adottare, oltre che misure per la gestione dei conflitti di interessi nei processi di procurement in sanità e per il rafforzamento della trasparenza nel settore degli acquisti, nonché un intervento incisivo nelle nomine e negli incarichi dirigenziali in sanità e anche misure specifiche sulle sperimentazioni cliniche;
    in particolare, l'Anac evidenzia che «i proventi derivanti alle aziende sanitarie a seguito di sperimentazioni cliniche, specie nel caso di studi clinici randomizzati interventistici con farmaci che devono essere introdotti sul mercato, possono assumere una consistenza molto rilevante (di decine di milioni euro per anno in aziende di grandi dimensioni e di elevato richiamo). Per questo motivo e per le cointeressenze che possono esserci tra le ditte farmaceutiche e gli sperimentatori, si tratta di un'attività a rischio corruttivo. L'azione dei comitati etici, volta ad accertare la scientificità e l'eticità del protocollo di studio, non fornisce specifiche garanzie al riguardo. Pertanto al fine di gestire, in un'ottica di prevenzione della corruzione, la discrezionalità degli sperimentatori di attribuzione (e »auto-attribuzione«) dei proventi, è opportuno che ogni azienda sanitaria integri il regolamento del comitato etico con un disciplinare che indichi le modalità di ripartizione dei proventi, detratti i costi da sostenersi per la conduzione della sperimentazione e l’overhead dovuto all'azienda per l'impegno degli uffici addetti alle pratiche amministrative ed il coordinamento generale»;
    è inoltre opportuno – così suggerisce l'Anac – adottare un sistema di verifica dei conflitti di interesse dei comitati etici tale da identificare, oltre l'eventuale conflitto di interesse al momento della nomina, anche la sua eventuale sussistenza al momento della presentazione e valutazione della sperimentazione clinica. A monte della stipula del contratto per la sperimentazione, è opportuno individuare con esattezza l'effettivo titolare dell'impresa, soprattutto ove il contratto venga stipulato con soggetti aventi sede in Stati esteri e/o a bassa fiscalità, anche al fine di verificare l'esistenza di indicatori di rischio secondo la normativa antiriciclaggio. Va, inoltre, richiamata l'attenzione sull'opportunità di prevedere, nei regolamenti aziendali, un congruo lasso di tempo tra il finanziamento per la ricerca e la cessazione di un contratto a titolo oneroso con il soggetto che finanzia la ricerca, o sue imprese controllate;
    l'Anac, con atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 1388 del 14 dicembre 2016, ha segnalato che le disposizioni sulla trasparenza delle nomine dirigenziali, come introdotte o modificate dalla cosiddetta delega Madia nel 2016, in virtù di un probabile «refuso», non si applicano alla dirigenza sanitaria (direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo, nonché per gli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse) e tali obblighi di pubblicazione riguardano, tra gli altri, i dati e compensi relativi ad altre cariche, incarichi con oneri a carico della finanza pubblica, dati reddituali e altro;
    nel sopra citato atto l'Anac ha espresso altresì la necessità che gli obblighi di pubblicazione della dirigenza sanitaria, già previsti per la dirigenza pubblica, dovrebbero includere anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario;
    appare quindi inaccettabile che i dirigenti del servizio sanitario nazionale, a legislazione vigente, godano di una clamorosa e inaccettabile esenzione dalle regole della trasparenza (funzionali a prevenire la corruzione), nonostante si trovino a gestire ingenti e importanti risorse economiche del Paese, destinate alla salute dei cittadini e nonostante siano collocati, per contiguità alla politica e ad interessi politico-elettorali, più di ogni altra dirigenza, in un contesto a forte rischio di corruzione;
    la recente riforma del terzo settore, attraverso l'emanazione di uno specifico codice, introduce importanti e rilevanti novità, con implicazioni anche nelle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie laddove si prevede che le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione, a livello territoriale, degli interventi nelle attività di interesse generale, assicurano il coinvolgimento degli enti del terzo settore mediante forme di co-programmazione e co-progettazione; nell'ambito di tale coinvolgimento non sono stati opportunamente richiamati i principi della concorrenzialità, dell'economicità, dell'efficacia, dell'evidenza pubblica e né è stata richiamata la disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016), laddove applicabile, ed in ogni caso il rispetto dei principi in essa riportati; il nuovo codice del terzo settore amplia la possibilità di fare convenzioni a tutte le attività di interesse generale indicate dal codice medesimo (ad esempio, prestazioni sanitarie inserite nei livelli essenziali di assistenza) rispetto alla situazione previgente, che invece limitava tale possibilità solo per gli interventi e servizi sociali;
    la convenzione è uno strumento che consente di derogare alla disciplina generale dei contratti della pubblica amministrazione e, quindi, consente di affidare alle associazioni del terzo settore l'esecuzione di servizi pubblici, senza dover passare per gare di appalto o altre procedure (ristrette od allargate) di affidamento; anche in relazione ai servizi di trasporto sanitario e di emergenza urgenza il nuovo codice del terzo settore, rispetto alla situazione previgente, prevede l'affidamento diretto, derogando alla disciplina generale dei contratti della pubblica amministrazione e al di fuori dell’house providing;
    in riferimento all'accreditamento e/o convenzionamento per l'erogazione di servizi sanitari e sociali si ricorda che – con atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 958 del 7 settembre 2016 – l'Anac ritiene necessario intervenire legislativamente anche sulla tracciabilità finanziaria dei servizi sanitari e sociali erogati, in regime di convenzione, da strutture private accreditate;
    le disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari, previste dall'articolo 3 della legge n. 136 del 2010, hanno la finalità specifica di rendere trasparenti le operazioni finanziarie relative all'utilizzo del corrispettivo dei contratti pubblici, in modo da consentire un controllo a posteriori sui flussi finanziari provenienti dalle amministrazioni pubbliche e intercettare eventuali usi degli stessi da parte di imprese malavitose;
    la tracciabilità dei flussi finanziari è stata introdotta nel 2010 al fine di arginare la penetrazione economica delle organizzazioni mafiose negli appalti pubblici; gli obblighi connessi all'istituto della tracciabilità si articolano, essenzialmente, in tre adempimenti principali: utilizzo di conti correnti dedicati; effettuazione dei movimenti finanziari tracciabili; indicazione, negli strumenti di pagamento relativi a ogni transazione, del codice identificativo di gara;
    in riferimento ai suddetti obblighi l'Anac esprime, quindi, l'esigenza di un rafforzamento delle misure di controllo della spesa con finalità di ordine pubblico, anche nel delicato settore dei servizi sanitari e socio-sanitari gestiti dai privati accreditati, «in modo da anticipare, il più a monte possibile, la soglia di prevenzione, creando meccanismi che consentano di intercettare i fenomeni di intrusione criminale nei flussi finanziari provenienti dagli enti pubblici»;
    sia il report «Curiamo la corruzione» e sia il piano nazionale anticorruzione dell'Anac ulteriormente ribadiscono come gli eventi corruttivi si concentrino anche nella libera professione intramuraria e nella gestione delle liste di attesa, questioni già affrontate con la mozione n. 1/01563 del MoVimento 5 Stelle, approvata alla Camera dei deputati il 12 aprile 2017, con la quale il Governo si è impegnato ad intervenire per dare attuazione alla determina Anac 28 ottobre 2015, n. 12, e ad assumere iniziative affinché il mancato rispetto delle indicazioni previste per l'attività libero professionale intramuraria determini reali conseguenze penalizzanti per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili delle strutture sanitarie, ivi inclusa la sospensione dell'attività libero-professionale, laddove non sia stata attivata la prescritta infrastruttura di rete, così da controllare che i volumi delle prestazioni libero professionali non abbiano superato quelli eseguiti nell'orario di lavoro e rendere tracciabili tutti i pagamenti connessi all'attività libero professionale, garantendo l'effettiva pubblicità dei criteri di formazione e dei tempi previsti delle liste di attesa;
    la sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale non può e non deve significare una compressione del diritto alla salute e non può passare attraverso la riduzione di risorse economiche e umane, né può essere l’escamotage di una privatizzazione di fatto, ma deve essere garantita attraverso un coordinato smantellamento di tutte le diseconomie, gli sprechi e le sacche di opacità e corruzione che non possono essere risolte solo con accordi, protocolli o dichiarazioni d'intenti, ma richiedono piuttosto un sistema coordinato di misure e interventi che rappresentino una strategia univoca nella lotta alla corruzione in sanità;
    il rapporto della rete europea contro le frodi e la corruzione in sanità stimava in sei miliardi di euro la quantità di risorse sottratte alla sanità italiana, cifra peraltro non ritenuta esaustiva dal «Libro bianco» dell'Ispe (Istituto per la promozione dell'etica), secondo il quale tali cifre non tengono conto dell'indotto (inefficienza e sprechi) correlato agli eventi corruttivi accertati dalla magistratura, indotto che porta a stimare il costo della corruzione in sanità addirittura in 23,6 miliardi di euro l'anno;
    i dati sulla corruzione in sanità rivelano peraltro la forte sperequazione regionale esistente nel nostro Paese anche in termini di garanzia, qualità, efficacia ed efficienza ed infatti i dati diffusi dal rapporto sopra citato ripartiscono così i fenomeni corruttivi: 41 per cento al Sud, 30 per cento al Centro, il 23 per cento al Nord e il 6 per cento è costituito da diversi reati compiuti in più luoghi;
    è necessario intervenire sul conflitto d'interesse, prevedendo rigide regole etiche e di comportamento sull'informazione scientifica, nonché severe misure disciplinari per chiunque nell'ambito della sanità interferisca illegittimamente nel mercato della farmaceutica e delle prestazioni sanitarie, influenzando sia la domanda che l'offerta o costituendo accordi occulti per vantaggi privati;
    un'efficace lotta alla corruzione deve coinvolgere tutti i cittadini e tutti i funzionari pubblici sollecitando, attraverso tutele ed incentivi specifici, uno spirito di servizio che porti a segnalare ogni forma di illecito e ogni evento corruttivo, tutele specifiche che garantiscano il denunciante attraverso un anonimato inviolabile e incentivi che prevedano forme di premialità su quanto ritorna all'amministrazione in termini di risarcimento per danno erariale e come conseguenza della denuncia o segnalazione fatta; è opportuno escludere qualsiasi possibilità di licenziamento del dipendente che denuncia la struttura sanitaria per illeciti e/o irregolarità riscontrate;
    in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione è opportuno prevedere la revoca o il divieto di rinnovo dell'incarico dirigenziale, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose, per i direttori generali, i direttori amministrativi e i direttori sanitari, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, per i direttori dei servizi socio-sanitari e per tutte le figure dirigenziali delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale;
    è necessario intervenire efficacemente nel settore dei prodotti farmaceutici, dei dispositivi, delle tecnologie nonché nell'attività di ricerca, di sperimentazione clinica e di formazione e sulle correlate sponsorizzazioni, come ambiti particolarmente esposti al rischio di fenomeni corruttivi e di conflitto d'interessi ed in tal senso appare indispensabile rompere il legame esistente tra aziende produttrici di prodotti e servizi della salute e i professionisti che vi operano, vietando ogni legame promozionale diretto da parte di aziende/informatori presso gli operatori pubblici della sanità;
    appare indispensabile introdurre l'obbligo di dichiarazione pubblica affinché siano rese conoscibili tutte le relazioni e/o interessi che possono coinvolgere i professionisti dell'area sanitaria e amministrativa nell'espletamento di attività sia decisionali che esecutive e che siano in relazione a prodotti farmaceutici o parafarmaceutici o comunque a prodotti e/o servizi commercializzabili nell'ambito della salute (ivi inclusi, ad esempio, i prodotti assicurativi, prodotti e/o attività formative);
    il 27 giugno 2017 il procuratore generale della Corte dei conti, nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato per l'anno 2016, nella sua requisitoria orale ha avuto modo di evidenziare che: «il sistema dei controlli» si struttura in una nutrita serie di «sottosistemi», a connessione estremamente debole tra di loro, tanto da correre il rischio di essere un «non sistema», al cui costo complessivo non indifferente, anche nell'ottica della revisione della spesa, non corrisponde una proporzionale utilità. Difatti, proprio per la sua complessità e le sue incongruenze, tale sistema nel complesso non solo risulta scarsamente comprensibile anche agli addetti ai lavori, ma soprattutto è scarsamente efficace per assicurare legalità ed efficienza, e per contrastare quei comportamenti illeciti i cui effetti negativi sulle risorse pubbliche sono, spesso, devastanti;
    è necessario un ripensamento globale e senza pregiudizi di tutti i meccanismi di controllo, per semplificare il quadro normativo, eliminando interferenze e parziali sovrapposizioni, ed innescare quindi tra i rinnovati meccanismi nuove e più proficue sinergie, anche con la previsione di strumenti di raccordo e con una particolare attenzione ad escludere le pur frequenti situazioni di conflitto di interessi, soprattutto a livello locale. In questo modo sarebbe più facile raggiungere un duplice obiettivo: dare una spinta all'efficienza della spesa, con positivi effetti anche sul mercato, e contribuire ad aumentare concretamente il livello del contrasto a fenomeni di illecito e di corruzione;
    meccanismi di spesa efficienti, trasparenti e tempestivi, oggetto di un monitoraggio continuo svolto anche con finalità diverse, impediscono la creazione di quelle «zone grigie» in cui più facilmente si possono insinuare e trovare terreno fertile conflitti di interesse e illeciti di rilievo anche penale;
    i rilevanti effetti distorsivi che le irregolarità e gli illeciti penali, proprio nei settori in cui più alto è il livello della spesa, come quelli della sanità, della realizzazione di opere pubbliche e della prestazione di servizi richiedono un approccio più sostanziale che, superando talune impostazioni dottrinarie astrattamente fondate, ma assolutamente inadeguate in concreto, affronti il fenomeno della corruzione in una logica sistematica che tenga in adeguata considerazione la diffusività del fenomeno e l'insufficienza delle misure finora apprestate dall'ordinamento,

impegna il Governo:

1) ad affrontare in maniera sistemica e globale il problema della corruzione in sanità attraverso misure coordinate che siano risolutive delle problematiche esposte in premessa;
2) ad intervenire efficacemente nel settore dei prodotti farmaceutici, dei dispositivi, delle tecnologie nonché dell'attività di ricerca, di sperimentazione clinica e di formazione e delle correlate sponsorizzazioni, assumendo iniziative per rescindere ogni legame esistente tra aziende produttrici di prodotti e servizi della salute e i professionisti che vi operano, anche introducendo divieti volti a rimuovere ogni legame promozionale diretto o indiretto, sia all'interno delle strutture sanitarie pubbliche o private accreditate o nei locali ove si erogano prestazioni sanitarie convenzionate, sia durante gli eventi formativi, tra le aziende/informatori e gli operatori/professionisti della sanità, e prevedendo specifiche sanzioni o la risoluzione di ogni convenzionamento/accreditamento per i soggetti coinvolti o responsabili di ogni indebito condizionamento;
3) ad assumere iniziative per introdurre l'obbligo di dichiarazione pubblica, che preveda conseguenze in caso di falso, affinché siano rese conoscibili tutte le relazioni e/o interessi che possono coinvolgere i professionisti dell'area sanitaria e amministrativa nell'espletamento di attività sia decisionali che esecutive e che siano in relazione a prodotti farmaceutici o parafarmaceutici o comunque a prodotti e/o servizi commercializzabili nell'ambito della salute (ivi inclusi, ad esempio, i prodotti assicurativi, prodotti e/o attività formative);
4) ad attivare un efficace monitoraggio nel settore degli acquisti in ambito sanitario al fine di rilevare l'attuazione delle procedure centralizzate d'acquisto, il numero degli affidamenti diretti sul totale degli acquisti, il numero di proroghe e rinnovi sul totale degli affidamenti e il numero delle procedure in deroga, dettate da situazioni di urgenza, anche attraverso iniziative volte all'introduzione di misure volte a rendere uniforme, pubblico e tracciabile l'intero processo dell’e-procurement, dalla definizione del fabbisogno e dalla programmazione dei beni da acquistare e/o dei servizi da appaltare fino alla logistica e alle giacenze di magazzino, al fine di rendere tracciabile e pubblica l'intera filiera di un bene o servizio, dalla fase dello stoccaggio a quella della somministrazione o consumo;
5) ad assumere le iniziative di competenza affinché, in modo uniforme sul territorio nazionale, sia adottato un sistema di controllo esterno ed informatizzato, come descritto in premessa, che consenta ai cittadini di rilevare, in tempo reale e attraverso un'interfaccia accessibile a chiunque, l'esistenza di anomalie negli acquisti, l'intera filiera di un centro di costo e di un capitolo di bilancio, i titoli che hanno consentito qualsiasi pagamento o incasso, lo stato patrimoniale, i beni d'inventario e le rimanenze di magazzino, nonché la movimentazione delle scorte, la completa tracciabilità di ogni prodotto sanitario o farmaceutico, le fasi dell'esecuzione dei contratti, inclusi i contratti di convenzionamento o accreditamento con le strutture sanitarie private, la contabilità separata dell'attività di intramoenia, anche prevedendo che il mancato aggiornamento del sistema operativo integrato non consenta alcuna operazione successiva o cumulativa e comporti una penalizzazione economica, nonché una responsabilità disciplinare in capo ai soggetti responsabili;
6) ad intervenire efficacemente sulle sponsorizzazioni in sanità, così come descritto in premessa, assumendo iniziative per garantire il rispetto dei principi di trasparenza, evidenza pubblica, concorrenzialità, rotazione, imparzialità, contemplando anche la costituzione di fondi indistinti destinati alla formazione dei professionisti della salute e all'attività di ricerca e il divieto assoluto per i professionisti della sanità di percepire qualsiasi tipo di vantaggio, diretto o indiretto, da parte delle industrie operanti nella sanità, nonché un divieto di meccanismi premiali correlati alla vendita di prodotti farmaceutici o presidi sanitari;
7) ad assumere iniziative per introdurre tutele ed incentivi per i cittadini utenti e per i funzionari pubblici del servizio sanitario nazionale che segnalino ogni forma di illecito e ogni evento corruttivo, contemplando un anonimato inviolabile e forme di premialità su quanto ritorna all'amministrazione in termini di risarcimento per danno erariale e come conseguenza della denuncia o segnalazione fatta, escludendo altresì qualsiasi possibilità di licenziamento del dipendente che denuncia la struttura sanitaria per illeciti e/o irregolarità riscontrate;
8) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per prevedere la revoca dell'incarico dirigenziale in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose, per i direttori generali, i direttori amministrativi e di direttori sanitari, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, per i direttori dei servizi socio-sanitari e per tutte le figure dirigenziali delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale;
9) ad intervenire in maniera organica sulle sperimentazioni cliniche dei farmaci, così come descritto in premessa, adottando iniziative per assicurare in particolare che le persone incaricate e coinvolte a qualsiasi titolo nella sperimentazione clinica non abbiano conflitti di interesse, siano esenti da qualsiasi indebito condizionamento e che non abbiano interessi finanziari o personali, diretti o indiretti, potenzialmente in grado di inficiarne l'imparzialità della ricerca, garantendo a tal fine che dette persone compilino e rendano pubblici, ogni anno, una dichiarazione sui loro interessi finanziari e il curriculum vitae, dal quale sia desumibile ogni carica o incarico, anche gratuito, presso enti o aziende, pubblici e privati;
10) ad intervenire, sempre nell'ambito della sperimentazione clinica, affinché i ricercatori abbiano un ruolo primario sia nel disegno sia nella conduzione degli studi clinici, con integrale autonomia nell'analisi, nella pubblicazione e nella diffusione dei dati, senza alcuna influenza o condizionamento da parte del soggetto finanziatore della ricerca o da vincoli di proprietà di soggetti terzi che possano deciderne la diffusione o meno in funzione dei propri interessi commerciali, anche assumendo iniziative per assicurare che le riviste scientifiche si impegnino a promuovere il rispetto delle regole di trasparenza, anche dando evidenza di eventuali conflitti d'interesse dei membri dei comitati o responsabili editoriali;
11) ad assumere iniziative per introdurre misure che, in conformità al regolamento (UE) n. 536/2014, assicurino che i dati inclusi in un rapporto su uno studio clinico, le principali caratteristiche della sperimentazione e i relativi risultati non siano considerati informazioni commerciali di carattere riservato se l'autorizzazione all'immissione in commercio è già stata concessa, ivi incluse le ragioni dell'interruzione temporanea e della conclusione anticipata, nonché i dati relativi agli eventi e reazioni avverse;
12) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché in ogni azienda sanitaria il regolamento del comitato etico cui è demandata la valutazione di una sperimentazione clinica indichi in maniera trasparente le modalità di ripartizione dei proventi, assicurando che il contratto per la sperimentazione sia effettuato previa individuazione dell'effettivo titolare dell'impresa, anche al fine di verificare l'esistenza di indicatori di rischio secondo la normativa antiriciclaggio e valutando anche l'opportunità di definire, per la costituzione dei comitati etici, un elenco nazionale, di soggetti qualificati e con adeguata esperienza, selezionati con procedure ad evidenza pubblica, sulla base di criteri e requisiti predefiniti;
13) a dare riscontro all'atto di segnalazione dell'Anac n. 1388 del 14 dicembre 2016, anche attraverso iniziative normative d'interpretazione autentica ovvero integrative e correttive, affinché le disposizioni sulla trasparenza di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013, già previste per la dirigenza pubblica, siano da intendersi applicabili anche alla dirigenza sanitaria, includendovi anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario;
14) a dare riscontro all'atto di segnalazione dell'Anac n. 1388 del 14 dicembre 2016, anche attraverso iniziative normative affinché il potere sanzionatorio dell'Anac sia effettivamente applicabile a tutti gli obblighi di pubblicazione previsti nel decreto legislativo n. 33 del 2013, individuando nell'Anac il soggetto deputato ad introitare le sanzioni comminate;
15) a dare riscontro all'atto di segnalazione dell'Anac n. 958 del 7 settembre 2016, adottando iniziative affinché le disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari, previste dall'articolo 3 della legge n. 136 del 2010, siano applicabili anche ai servizi sanitari e sociali erogati da strutture private accreditate o in regime di convenzionamento, anche ai sensi del codice del terzo settore, anche se non riferibili a contratti di appalto o di concessione;
16) a potenziare le iniziative volte ad assicurare che l'attività libero-professionale intramuraria rispetti pienamente le indicazioni di legge, accelerando l'introduzione di un meccanismo sanzionatorio per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili delle strutture medesime, ivi inclusa la sospensione dell'attività libero-professionale, laddove non sia stata attivata la prescritta infrastruttura di rete, secondo i termini e le modalità già previste nella mozione n. 1-01563 approvata alla Camera dei deputati il 12 aprile 2017;
17) ad assumere iniziative finalizzate ad introdurre disposizioni volte a rescindere il legame tra le nomine dei dirigenti della sanità e la politica, escludendo che l'individuazione dei direttori generali delle aziende sanitarie sia rimessa ai presidenti di regione o ad altri organi politici.
(1-01701) (Nuova formulazione) «Nesci, Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Colonnese, Mantero, Baroni, Colletti, Dall'Osso».
(19 settembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare la salute «come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» (articolo 32) e l'assunzione e la gestione del servizio pubblico sanitario rappresentano l'adempimento di un dovere costituzionale cui il legislatore ha provveduto, in modo organico e compiuto, a partire dalla legge n. 833 del 1978 che ha istituito il servizio sanitario nazionale: pubblico, universalistico, solidaristico, finanziato attraverso la fiscalità generale;
    successivamente il decreto legislativo n. 502 del 1992, così come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 517 del 1993, nel confermare la tutela del diritto alla salute delineato dalla legge n. 833 del 1978, ha disegnato un modello organizzativo di aziende sanitarie «dinamico», in grado cioè, attraverso la flessibilità funzionale e la impostazione per obiettivi, di rispondere pienamente, in termini quantitativi e qualitativi, alla domanda sanitaria;
    le principali innovazioni riguardarono la regionalizzazione del servizio sanitario nazionale che, da allora è costituito dai servizi sanitari regionali, l'attribuzione alle aziende sanitarie della personalità giuridica pubblica, il finanziamento per quota capitaria, l'accreditamento e il finanziamento a tariffa delle strutture;
    il decreto legislativo n. 229 del 1999 «Norme per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale» ha portato, a compimento il processo di regionalizzazione del sistema e aziendalizzazione delle strutture; ha potenziato il ruolo dei comuni nella programmazione e nella valutazione dei servizi; ha sottolineato il forte rilievo della integrazione sociosanitaria; ha focalizzato l'attenzione sulla qualità, appropriatezza ed efficacia delle prestazioni, provvedendo ad affermare il principio di contestualità tra identificazione dei livelli di assistenza garantiti dal servizio sanitario nazionale e la definizione del fabbisogno nazionale;
    l'evoluzione in senso federalista del sistema di tutela della salute, dopo i primi passi compiuti con il decreto legislativo n. 112 del 1998, si afferma più compiutamente con il decreto legislativo n. 56 del 2000, recante il nuovo sistema di finanziamento regionale dei servizi, e con la riforma generale apportata con la revisione del titolo V, parte II, della Costituzione, attuata con la legge n. 3 del 2001, che contiene i presupposti per la futura approvazione di nuove e distinte discipline regionali della sanità pubblica;
    le politiche di tutela della salute devono farsi carico di promuovere trasparenza e legalità nel settore sanitario perché un sistema sanitario affidabile e integro è uno strumento di rassicurazione contro il rischio di dover affrontare la malattia in solitudine, di fiducia nelle istituzioni e nella comunità, di promozione del capitale sociale. La mancanza di integrità riduce l'accesso ai servizi, soprattutto fra i più vulnerabili; peggiora in modo significativo – a parità di ogni altra condizione – gli indicatori generali di salute; è associata a una più elevata mortalità infantile. Nonostante studi recenti confermino il buono stato di salute degli italiani, dovuto alle discrete condizioni ambientali e socioeconomiche del Paese, ma anche all'ampia accessibilità a trattamenti sanitari efficaci garantita dalla presenza di un servizio sanitario universalistico, esistono molte differenze tra le singole regioni. La cronica assenza di programmazione, il consolidarsi di forti interessi economici, l'utilizzo della sanità a fini politici hanno fatto sì che in alcune realtà italiane sia stato più difficile contrastare sprechi e illegalità, minando la fiducia nel sistema di tutela della salute da parte delle persone che vivono in quei territori;
    la promozione e la tutela della salute devono essere considerati ambiti essenziali, fondanti e costitutivi per qualsiasi società democratica contemporanea. La tutela della salute deve costituirsi come dimensione di sistema. Alle attività che rivestono finalità preventive, di cura e riabilitative sono chiamate a partecipare attivamente tutte le persone che saranno protagoniste della costruzione sia della cura sia del benessere, nel senso più ampio del termine, della persona;
    la salute si promuove anche contrastando l'illegalità e la lotta alla corruzione è uno dei pilastri da edificare per contribuire alla sostenibilità del nostro sistema sanitario nazionale e per conservare i livelli di qualità raggiunti;
    come la stessa Ministra della salute, Beatrice Lorenzin, ha affermato in un messaggio inviato in occasione della seconda Giornata nazionale contro la corruzione in sanità, quest'ultima «è un settore ad alto rischio di corruzione, ma nonostante ciò garantisce standard elevatissimi di qualità delle prestazioni agli assistiti. Il tema della corruzione in sanità lo abbiamo affrontato in maniera concreta fin dall'inizio del mio mandato e abbiamo promosso e attuato ogni iniziativa per contrastare comportamenti criminosi perché quando in sanità si commette un reato, si ruba e si attraggono risorse che sarebbero destinate all'assistenza e cura delle persone più fragili; l'eliminazione di spechi e inefficienze e la riduzione della disuguaglianze sono sicuramente tra gli obiettivi principali che stiamo perseguendo. Soprattutto in questo momento storico l'importanza risiede tutta nella qualità ed efficienza delle cure erogate, e per migliorare la qualità e l'efficienza del sistema sanitario è necessario disporre di dati e di elementi di misurazione certi ed omogenei. La parola d'ordine deve essere semplificazione e “misurazione”, misurare per incidere sulle criticità prima che arrivino a pregiudicare la qualità, la sicurezza, l'equità nell'accesso alle cure, attraverso attività di audit clinici, organizzativi e gestionali»;
    l'11 settembre 2013, l'Autorità nazionale anticorruzione ha approvato, su proposta del dipartimento della funzione pubblica il piano nazionale anticorruzione, che permette di disporre di un quadro unitario e strategico di programmazione delle attività per prevenire e contrastare la corruzione nel settore pubblico e crea le premesse perché le amministrazioni possano redigere i loro piani triennali per la prevenzione della corruzione e, di conseguenza, predisporre gli strumenti previsti dalla legge n. 190 del 2012; in seguito alle modifiche intervenute con il decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni dalla legge n. 114 del 2014, l'autorità nazionale anticorruzione – ANAC, il 28 ottobre 2015, ha approvato l'aggiornamento del PNA con la determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015. Con determinazione n. 831 del 3 agosto 2016, l'ANAC ha, altresì, approvato il piano nazionale anticorruzione 2016. Secondo il contenuto del piano nazionale 2013, il Ministero della salute ha adottato il piano di prevenzione della corruzione 2013-2016, successivamente aggiornato con i piani relativi ai trienni 2015-2017, 2016-2018 e 2017-2019, tenendo conto delle indicazioni fornite dall'ANAC con l'aggiornamento PNA 2015 e con il PNA 2016;
    la prevista adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione, PTPC, trovano un significato maggiore e più forte nel settore sanitario, nel quale ogni euro bruciato dalla corruzione è sottratto alle cure dei pazienti, con conseguenti effetti negativi anche sulla salute della popolazione;
    Raffaele Cantone, presidente dell'autorità nazionale anticorruzione, nella relazione 2016 dell'Anac illustrata il 6 luglio 2017 alla Camera, ha sottolineato che, «grazie alla proficua collaborazione con Ministero della Salute e Agenas (Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali) si sono individuate le aree più vulnerabili ad abusi e corruzione (gli appalti, i concorsi, l'accreditamento, la gestione dei proventi delle sperimentazioni cliniche, delle liste d'attesa e delle camere mortuarie) e si è chiesto di adottare per esse specifiche misure preventive, la cui attuazione sarà oggetto di un piano ispettivo ad hoc. Un'attività – sottolinea l'Autorità anticorruzione – volta non criminalizzare ma a preservare un settore che ha grandi eccellenze e che consente a tutti l'accesso alle cure»;
    la relazione evidenzia le «luci e ombre nell'applicazione dei vati strumenti di prevenzione della corruzione». Secondo la relazione, lo scorso anno sono state avviate 845 istruttorie, soprattutto nei confronti di comuni, strutture sanitarie e società pubbliche, mentre pochissime (12) sono state le sanzioni irrogate, a conferma del loro utilizzo solo come extrema ratio ma anche dell'elevato livello di adeguamento alle richieste dell'Autorità, «Fra i tanti casi trattati – ha spiegato il Presidente Cantone – ne va menzionato soprattutto uno, quello di una Asl nella regione Campania, in cui la vigilanza si è svolta con una logica di accompagnamento verso il ripristino dalla legalità. Si è partiti da una verifica ispettiva effettuata a seguito di notizie relative a gravi illeciti commessi per favorire, fra l'altro, l'accreditamento di strutture sanitarie private carenti dei requisiti e pagamenti multipli di fatture, da cui era emersa l'inadeguatezza delle misure preventive adottate. Il commissario straordinario della ASL ha accolto positivamente i rilievi e, con in collaborazione dei nostri uffici, ha adottato misure concrete e virtuose: in particolare, ha effettuato la rotazione del direttori dei distretti, ha sostituito quasi tutti i componenti delle commissioni competenti al rilascio delle autorizzazioni e ha pubblicato sul proprio sito tutti gli atti di interesse pubblico»;
    come affermato dallo stesso presidente di Agenas, Luca Coletto, anche le regioni sono fortemente impegnate in processi di miglioramento delle performance cliniche, economiche ed amministrativo-gestionali. Lo sforzo ulteriore deve essere quello di prendere sempre più consapevolezza, anche con il supporto di Agenas, che l'adozione e il rispetto di misure dirette a promuovere integrità e trasparenza, è una tappa immancabile del percorso virtuoso che i sistemi sanitari regionali hanno intrapreso;
    l'approvazione in via definitiva della legge sul « whistleblowing» ha inoltre rappresentato un ulteriore e significativo passo avanti nella lotta alla corruzione, una efficace e concreta tutela di chi segnala illeciti: esso potrà rivelarsi, infatti, uno strumento prezioso per rompere quel circuito omertoso che rende spesso difficile scoprire i fenomeni corruttivi e che insieme ad altri, fondamentali, passi compiuti in questi anni, quali il rafforzamento dei poteri dell'Anac, l'introduzione dei reati di autoriciclaggio, falso in bilancio e voto di scambio, l'estensione ai corrotti delle misure di prevenzione patrimoniale e l'adeguamento delle pene, la riforma della prescrizione e l'accelerazione dei tempi del processo, consentendo sul fronte della lotta contro la corruzione a questa legislatura di chiudersi con un bilancio decisamente in attivo;
    infine, ad assicurare l'esigenza di una razionalizzazione della spesa sanitaria, da un lato, e, dall'altro lato, l'approntamento di misure volte al contenimento della stessa ha concorso anche la Corte dei conti attraverso l'esercizio dell'attività di controllo e giurisdizione in ordine alle multiformi attività poste in essere dai soggetti che, a vario titolo, agiscono nell'ambito del servizio sanitario nazionale,

impegna il Governo:

1) a continuare e coordinare con sollecitudine il lavoro globale e sistematico già intrapreso dalle varie istituzioni di lotta alla corruzione, in particolare nel settore sanitario;
2) al fine di prevenire, e contrastare fenomeni corruttivi in ambito sanitario, a diffondere ed incentivare con tecnologie e con metodi innovativi l'utilizzo degli open data (tutte le informazioni devono essere trasparenti e accessibili) e la semplificazione di tutte le procedure, anche nell'ambito della open government partnership, promuovendo così la cultura della trasparenza nella pubblica amministrazione, poiché trasparenza, accountability e partecipazione devono essere obbiettivi fondamentali per un'azione di Governo contro la corruzione;
3) al fine di prevenire e contrastare fenomeni corruttivi in ambito sanitario a predispone tutte le misure necessarie per applicare il piano triennale contro la corruzione specialmente per ciò che riguarda la rotazione dei dirigenti e dei funzionari, poiché ciò costituisce una misura organizzativa di prevenzione della corruzione nell'ambito delle pubbliche amministrazioni, specie per quanto concerne il personale operante in settori esposti a maggior rischio di corruzione;
4) ad incentivare e promuovere, con la collaborazione delle regioni, ognuno per le proprie competenze, l'adozione da parte delle aziende ospedaliere ancora sprovviste, di linee guida per l'elaborazione dei piani anticorruzione, così come previsto dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, «attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni»;
5) a predisporre tutte le iniziative necessarie affinché siano garantite la trasparenza nei bilanci, la trasparenza dei bandi di gara e di concorso, la trasparenza nei rapporti con il privato, la trasparenza nei tempi di attesa così come previsto nel piano anticorruzione predisposto dall'Agenas;
6) a dare piena e completa attuazione alle strategie di trasparenza e informazione contenute nel regolamento (UE) n. 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la direttiva 2001/20/CE;
7) ad assumere le iniziative di competenza perché si evitino comportamenti non corretti nell'attività extra e intramoenia;
8) al fine di prevenire e contrastare fenomeni corruttivi in ambito sanitario, a predisporre tutte le iniziative necessarie affinché non si instaurino conflitti di interesse in capo ai gestori di servizi in global service ai quali dovrebbe essere vietato di avere interesse diretto o indiretto nella produzione dei beni oggetto dei servizi interessati dall'appalto.
(1-01763) «Lenzi, Verini, Miotto, Bazoli, Giuseppe Guerini, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Gelli, Grassi, Mariano, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini, Amoddio, Berretta, Campana, Di Lello, Ermini, Ferranti, Giuliani, Greco, Iori, Magorno, Mattiello, Morani, Rossomando, Tartaglione, Vazio, Zan».
(4 dicembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    in questi anni si sta purtroppo assistendo a un costante definanziamento in termini reali della sanità pubblica, e una progressiva diminuzione in termini di rapporto spesa sanitaria/Pil;
    anche la recente Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2017, conferma la scelta di una riduzione di risorse reali al servizio sanitario nazionale, già prevista dal Documento di economia e finanza 2016 e da quelli precedenti;
    una spesa sanitaria in rapporto al Pil programmata in costante contrazione, significa che, in termini reali, la fetta di risorse spettante alla sanità pubblica continuerà a ridursi nei prossimi anni;
    la sua incidenza sul Pil si conferma in decrescita: era del 7,1 per cento nel 2010; del 6,8 per cento nel 2015; del 6,6 per cento nel 2017 e arriverà al 6,3 per cento nel 2020. Per ritornare ai livelli percentuali del 2010, bisognerà attendere il 2035;
    entro il 2019, la percentuale della spesa sanitaria sarà del 6,4 per cento. Sotto la soglia di quel 6,5 per cento che l'Organizzazione mondiale della sanità individua come livello minimo;
    questo definanziamento della sanità pubblica nazionale, avviene nonostante che nel rapporto spesa sanitaria/Pil, siamo da tempo sotto la media dei rispettivi valori della Unione europea a 15;
    le spese sostenute per finanziare il Ssn si continuano a equiparare a qualsiasi altro centro di costo, e la conseguenza di questa visione miope è che, al pari di altri costi, diventa azione «virtuosa» quella di ridurne gradualmente la loro incidenza rispetto al prodotto interno lordo;
    sarebbe invece necessario invertire questa tendenza. La nostra sanità ha bisogno di più investimenti e più risorse, e le necessarie risorse da «liberare» al fine di un finanziamento del Ssn, possono e devono essere reperite anche attraverso un vero, serio e credibile contrasto alla corruzione presente nel settore, con un controllo realmente rigoroso degli accreditamenti, alle diseconomie, piuttosto che con una riduzione del diritto primario dei cittadini alla salute;
    si stima che tra corruzione e sprechi in ambito sanitario, se ne vanno in fumo più di 6 miliardi di euro. L'associazione Libera ha segnalato che la sola perdita erariale dovuta all'illegalità in sanità per il triennio 2010/2012 era di circa 1,6 miliardi di euro;
    detta cifra di 6 miliardi di euro, peraltro, non ricomprende un altro ambito, ossia quello legato a tutti quegli sprechi collegati ai conflitti di interesse professionali che, anche se privi di rilevanza giuridica, erodono una percentuale ancora maggiore di risorse pubbliche;
    il conflitto di interessi in ambito sanitario è particolarmente presente e favorisce la diffusione di interventi sanitari (ad esempio farmaci, test diagnostici, interventi chirurgici) a volte inappropriati, ma spesso conseguenti a comportamenti opportunistici. Una delle forme nelle quali si esplicitano in misura maggiore i conflitti di interesse riguarda il mondo della ricerca che produce le informazioni necessarie per guidare i comportamenti professionali. Oggi, infatti, l'agenda della ricerca è in buona parte dettata dall'industria biomedicale e farmaceutica; le riviste biomediche hanno enormi autonomie per decidere quali studi pubblicare; i medici ottengono la maggior parte delle informazioni sui farmaci dagli informatori scientifici. Così come il conflitto di interesse finisce troppo spesso per condizionare le prescrizioni e le erogazioni di molti interventi sanitari inappropriati, particolarmente quando il profitto commerciale diventa il movente principale del mercato e i meccanismi di regolazione sono inesistenti o inefficaci. Un altro ambito nel quale si evidenzia una maggiore diffusione del conflitto di interesse, è quello legato alle società scientifiche. A fronte di interessi economici, i conflitti di interesse possano pregiudicare l'indipendenza delle società scientifiche, anche perché in Italia non esiste alcun obbligo di rendicontare pubblicamente l'entità dei finanziamenti ricevuti dall'industria. È diffusa l'abitudine per la quale l'organizzazione dei congressi delle società scientifiche viene spesso sponsorizzata da aziende biomedicali e farmaceutiche;
    nel settore sanitario le frodi e la corruzione producono effetti non solo economici (in particolare sulla finanza pubblica), ma sottraggono risorse ai programmi di assistenza, e intaccano inevitabilmente la fiducia nel sistema di tutela della salute da parte dei cittadini;
    la corruzione in sanità ha quindi diverse ricadute negative: sui cittadini, che potrebbero aspirare a una maggiore qualità del servizio o comunque a un servizio meno costoso; sulle casse dello Stato, che vedono disperdersi in piccoli o grandi rivoli corruttivi fino a 6 miliardi di euro all'anno; sul tessuto produttivo italiano, che perde in innovazione e competitività;
    con l'entrata in vigore della legge n. 190 del 2012 tutte le pubbliche amministrazioni sono state chiamate a formulare ed adottare, entro il 31 gennaio di ogni anno, un documento con il quale si struttura internamente un lavoro di analisi finalizzato a definire una strategia di prevenzione del fenomeno corruttivo;
    nel novembre 2015 è stato presentato il «Rapporto sullo stato di attuazione delle azioni adottate dalla sanità pubblica in materia di trasparenza ed integrità» in Italia, frutto della collaborazione tra Agenas e Libera. Il settore sanitario, infatti, è considerato uno dei più esposti al rischio di illegalità e per questo – si legge nel Rapporto – necessita di adeguati livelli di trasparenza: date le notevoli dimensioni della spesa, la pervasività delle asimmetrie informative, l'entità dei rapporti con i privati, l'incertezza e l'imprevedibilità della domanda, l'alta specializzazione dei prodotti acquistati e delle prestazioni fornite, la necessità di complessi sistemi di regolazione, e altro;
    il monitoraggio del Rapporto si è concentrato sulla pubblicazione dei piani triennali di prevenzione della corruzione (Ptpc) con riferimento ai trienni 2014-2016 e 2015-2017, ed ha avuto ad oggetto le relazioni annuali relative al 2013 e 2014, un documento che i responsabili della prevenzione della corruzione devono predisporre ogni anno per documentare l'attività svolta e i risultati ottenuti;
    il 18 per cento delle Asl non ha ancora adottato, né pubblicato il piano di prevenzione della corruzione;
    riguardo l'attuazione dei piani anticorruzione, previsti dalla citata legge n. 190 del 2012, di 230 aziende sanitarie emerge però che, nel 40 per cento dei casi, queste si sono limitate a un adempimento formale dell'obbligo di legge, non inserendo all'interno del piano né l'analisi dei rischi di corruzione, né le misure di prevenzione, mentre il 33 per cento ha svolto un'analisi parziale e solo una struttura sanitaria su quattro ha risposto in pieno al dettato normativo;
    la determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 dell'Autorità nazionale anticorruzione, riporta come la valutazione condotta dall'Anac medesima su un campione di 247 piani di prevenzione della corruzione (PTPC) di Asl, aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie e Irccs ha fatto rilevare una generale carenza nell'analisi del contesto esterno che spesso è risultata del tutto assente. La mappatura dei processi e delle attività non sempre è stata sviluppata in modo esaustivo e anche l'individuazione delle specifiche misure in relazione agli eventi rischiosi è risultata inadeguata. Non tutte le aziende hanno indicato ulteriori aree di rischio, cosiddette «aree di rischio specifiche», omettendo quindi un approfondimento che è, invece, di particolare rilievo ove si consideri la peculiarità del settore in cui le stesse operano;
    la medesima determinazione n. 12 del 2015, indica tra i maggiori fattori di rischio, quelli collegati in particolare agli acquisti e agli appalti in ambito sanitario. Sotto questo aspetto, l'Anac sottolinea la «condizione di potenziale intrinseca “prossimità” di interessi, generata dal fatto che i soggetti proponenti l'acquisto sono spesso anche coloro che utilizzano i materiali acquistati, con conseguenti benefici diretti e/o indiretti nei confronti dello stesso utilizzatore: ad esempio, i clinici proponenti l'acquisto di materiale di consumo (come ad esempio protesi, farmaci), sono anche i soggetti che impiegano tali beni nella pratica clinica e possono quindi orientare la quantità e tipologia di materiale richiesto. In effetti, i prodotti sanitari, avendo un elevato contenuto tecnico, si prestano per la loro peculiarità, a un interesse “oggettivo” alla scelta da parte del committente/clinico. In questo contesto è utile quindi introdurre misure di prevenzione e di sicurezza che documentino le motivazioni ovvero le ragioni tecniche sottese alla richiesta di acquisto di quel particolare prodotto, con assunzione delle relative responsabilità»;
    dalla relazione sull'attività svolta dall'Autorità nazionale Anticorruzione per il 2016, trasmessa al Parlamento il 28 giugno 2017, emerge come per la parte specifica sulla sanità, il campione di piani triennali di prevenzione della corruzione (Ptpc), analizzati nel monitoraggio 2016, risulta ancora lontano dal risultato atteso. «Dall'analisi del monitoraggio risulta che le indicazioni contenute nell'aggiornamento 2015 al PNA sono state seguite dagli enti interessati solo in parte. Infatti, se si considerano le amministrazioni facenti parte del campione e interessate all'analisi, una bassa percentuale di ASL e Policlinici universitari hanno censito alcuni dei processi tipici delle amministrazioni del comparto (tra cui, attività libero professionale e liste di attesa per circa il 35%, attività conseguenti al decesso in ambito intraospedaliero per circa il 28% delle amministrazioni campionate). Anche con riferimento alle misure specifiche suggerite dall'Aggiornamento 2015 al PNA nel focus sulla sanità, i livelli di recepimento rimangono tendenzialmente bassi (comunque sempre inferiori al 40%)»;
    risulta indispensabile chiamare alla responsabilità tutte le Asl, le aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie e gli Irccs che non hanno dato corso ai piani previsti dalla legge anticorruzione. Sotto questo aspetto è necessario applicare il principio di responsabilità ed un sistema di premi e punizioni, anche nei confronti dei dirigenti che non hanno ancora applicato la legge, o lo hanno fatto solo formalmente;
    il rapporto «Curiamo la corruzione 2016», promosso da Transparency International Italia in partnership con Censis, Ispe-Sanità e Rissc, riporta come la corruzione si conferma un problema esiziale per il Ssn e costituisce un pesante freno in termini di efficienza, soprattutto a causa di una forte ingerenza del pubblico nel privato non sempre caratterizzata dalla massima trasparenza e per via delle infiltrazioni criminali all'interno delle strutture;
    l'indagine rivela che i cinque rischi più gravi per il Ssn consistono in: accordi preventivi tra i partecipanti ad una gara, soprattutto nella spartizione dei lavori in subappalto; definizione di esclusività di un servizio, che elimina la concorrenza a favore dell'impresa titolare del servizio o del bene; rimodulazione indebita del cronoprogramma in funzione delle esigenze o a vantaggio dell'appaltatore; la nomina di soggetti di parte nelle commissioni di gara per garantire un occhio di favore nella selezione del contraente; il comodato gratuito o la donazione di attrezzature, farmaci e dispositivi per generare maggiori consumi o spese non previste o non autorizzate;
    il secondo e più recente Rapporto «Curiamo la corruzione 2017» di Transparency International, mostra come nel 25,7 per cento delle aziende sanitarie si sarebbe verificato almeno un caso di corruzione negli ultimi dodici mesi, mentre per il 65 per cento dei responsabili anti-corruzione il fenomeno è dato come «stabile»: nulla sarebbe cambiato, insomma. I rischi più alti che vengono attribuiti ai settori degli acquisti e delle forniture, dunque al buco nero degli appalti, ma anche alla gestione delle liste d'attesa negli ospedali e perfino alle assunzioni;
    nel giudizio della Corte dei Conti al Rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2016, la sanità è indicata come Settore a rischio di diseguaglianze, ma anche di conflitti di interesse, illeciti anche penali e corruzione;
    nell'ambito del suddetto giudizio, il 27 giugno 2017, nella sua Requisitoria orale, il Procuratore generale Claudio Galtieri, ha ricordato come meccanismi di spesa efficienti, trasparenti, tempestivi e sotto monitoraggio continuo, impediscono la creazione di quelle «zone grigie» in cui più facilmente «si possono insinuare e trovare terreno fertile conflitti di interesse e illeciti di rilievo anche penale». È inoltre rilevato che «I rilevanti effetti distorsivi e le irregolarità e gli illeciti penali, proprio nei settori in cui più alto è il livello della spesa, come quelli della sanità (...), richiedono un approccio più sostanziale che (...) affronti il fenomeno della corruzione in una logica sistematica che tenga in adeguata considerazione la diffusività del fenomeno e l'insufficienza delle misure finora apprestate dell'ordinamento»;
    sempre in ambito sanitario, è peraltro quanto mai urgente una revisione del sistema degli appalti pubblici. In sanità vi è infatti il più alto tasso di proroghe e rinnovi spesso a prezzi non concordati e non in linea con il mercato. È necessario che nei piani di prevenzione della corruzione (Ptpc) il tema dei contratti venga affrontato con particolare riguardo all'intero ciclo degli approvvigionamenti, a partire dal rafforzamento dei livelli di trasparenza;
    nell'ambito del fenomeno degli illeciti e della corruzione in sanità, come ha in più occasioni ricordato lo stesso Raffaele Cantone, le liste di attesa e l'attività libero professionale intramoenia (Alpi), rientrano in quegli ambiti sanitari potenzialmente esposti a rischi corruttivi;
    questo aspetto è ben presente nella già citata determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 dell'Autorità nazionale Anticorruzione (Anac), nella quale l'attività libero professionale e le liste d'attesa vengono ricomprese espressamente tra le «aree di rischio specifiche». Nel provvedimento citato, si segnala tra l'altro come «l'attività libero professionale, specie con riferimento alle connessioni con il sistema di gestione delle liste di attesa e alla trasparenza delle procedure di gestione delle prenotazioni e di identificazione dei livelli di priorità delle prestazioni, può rappresentare un'area di rischio di comportamenti opportunistici che possono favorire posizioni di privilegio e/o di profitti indebiti, a svantaggio dei cittadini»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per mettere in atto tutti gli strumenti utili a garantire la massima trasparenza nel settore sanitario, anche al fine di ridurre i fenomeni di illegalità e di conflitti di interesse;
2) ad assumere iniziative volte a prevedere che tutte le risorse rinvenienti dalle misure e dalle attività di contrasto alle frodi e alla corruzione in ambito sanitario, nonché alle diseconomie e agli sprechi interni alla sanità, siano reinvestite nel Servizio sanitario nazionale;
3) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a verificare e garantire che tutte le Asl, le aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico attuino effettivamente, e non in maniera meramente formale, efficaci e corretti piani di prevenzione della corruzione previsti dalla legge n. 190 del 2012, anche prevedendo l'applicazione del principio di responsabilità nei confronti dei dirigenti responsabili dell'adozione dei suddetti piani di prevenzione, qualora i medesimi piani non risultino essere stati presentati o risultino palesemente inidonei a prevenire il rischio di corruzione e si limitino ad un solo adempimento formale dell'obbligo di legge;
4) ad assumere iniziative per estendere gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari, previsti dall'articolo 3 della legge n. 136 del 2010, anche ai servizi sanitari e socio-sanitari erogati da strutture private accreditate, così come proposto dalla stessa Anac con la delibera n. 958 del 7 settembre 2016;
5) ad assumere iniziative per introdurre specifiche previsioni in materia di appalti pubblici nel settore della sanità pubblica, al fine di eliminare le distorsioni legate al troppo frequente ricorso a proroghe automatiche e taciti rinnovi di appalti, nonché per incrementare la trasparenza e il controllo nelle procedure che riguardano i meccanismi di spesa;
6) ad adottare opportune iniziative anche di carattere normativo, per un efficace contrasto alla corruzione e ai conflitti di interesse, con particolare riguardo alle aree di maggior rischio del settore sanitario, quali, per esempio, quelle che riguardano: i rapporti con gli informatori dell'industria, i compensi per consulenze effettuate dai professionisti per conto dell'industria, la regolamentazione delle sponsorizzazioni e delle donazioni;
7) con riguardo all'attività libero-professionale, al fine di ridurre sensibilmente i rischi di corruzione o di profitti indebiti, e di uniformare i tempi di attesa della struttura pubblica a quelli della medesima attività libero professionale, ad avviare in particolare tutte le iniziative efficaci, per quanto di competenza, volte a garantire una gestione trasparente, informatizzata e centralizzata delle procedure di gestione delle prenotazioni e delle liste di attesa di tutte le strutture pubbliche e convenzionate per prestazioni, esami, visite specialistiche e ricoveri;
8) ad assumere iniziative volte a prevedere esplicitamente che, nell'ambito delle procedure per il conferimento degli incarichi di direzione sanitaria, compresi gli incarichi di struttura complessa, queste siano rispettose dei principi di massima trasparenza, in coerenza con la determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 e il Piano nazionale anticorruzione dell'Anac.
(1-01765) «Fossati, Murer, Fontanelli, Laforgia, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Bossa, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Epifani, Fava, Ferrara, Folino, Formisano, Carlo Galli, Kronbichler, Lacquaniti, Leva, Martelli, Matarrelli, Pierdomenico Martino, Melilla, Mognato, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Scotto, Simoni, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».
(4 dicembre 2017)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE VOLTE A PROMUOVERE UNA MORATORIA INTERNAZIONALE DELLO SVILUPPO DI SISTEMI DI ARMA DI TIPO AWS (AUTONOMOUS WEAPONS SYSTEM) E A PREVEDERE UN DIVIETO DI SVILUPPO E COMMERCIALIZZAZIONE DI TALI SISTEMI DI ARMA IN AMBITO NAZIONALE

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
    lo sviluppo tecnologico, in particolare nei settori dell'elettronica e dell'intelligenza artificiale, con capacità di acquisizione di grandi quantità di dati, la loro elaborazione ed analisi in tempo reale con miglioramento delle performance mediante sistemi di autoapprendimento, consente di realizzare sistemi con facoltà di assumere decisioni autonome;
    uno dei settori di applicazione di tali tecnologie riguarda il settore degli armamenti, in particolare nei cosiddetti AWS - Autonomous Weapons Systems, ovvero sistemi d'arma che, una volta attivati, possono selezionare e ingaggiare bersagli senza ulteriore intervento di un operatore umano;
    l'esistenza degli AWS abilita, pertanto, la possibilità di eliminare l'operatore umano dal campo di battaglia, ponendo i presupposti di una trasformazione nella struttura delle operazioni militari qualitativamente diversa da precedenti innovazioni tecnologiche in tale ambito,

impegna il Governo:

1) a promuovere a livello europeo una moratoria internazionale dello sviluppo di sistemi d'arma di tipo AWS;
2) ad assumere iniziative per introdurre nella normativa nazionale la previsione di un divieto dello sviluppo e della commercializzazione di sistemi AWS.
(1-01620) «Quintarelli, Monchiero, Catalano, Galgano, Molea, Mucci, Mazziotti di Celso, Menorello, Carrozza, Fiano, D'Incà, Marzano, Coppola, Tentori, Pinna, Tinagli, Bruno Bossio, Basso, Dallai, Stella Bianchi, Scuvera, Gribaudo, Locatelli».
(3 maggio 2017)

MOZIONE CONCERNENTE INTERVENTI PER LA BONIFICA E LA PROTEZIONE AMBIENTALE DEL TERRITORIO BRESCIANO

   La Camera,
   premesso che:
    la situazione ambientale e sanitaria della provincia di Brescia presenta criticità peculiari e necessita, quindi, di un'attenzione e di interventi da parte delle istituzioni nazionali;
    il territorio bresciano, segnato da troppi anni di sottovalutazione del problema ambientale, potrebbe diventare a livello nazionale un laboratorio per sperimentare buone pratiche di bonifica, per risanare l'ambiente e ricostruire un territorio nel segno della legalità e della tutela dell'ambiente;
    la provincia di Brescia è, tra le aree nazionali, una di quelle di più antica industrializzazione ed è la terza a livello europeo per intensità di imprese industriali che vi operano. Per questa ragione ha subito le conseguenze e le eredità di un'industria pesante che ha operato senza le necessarie norme giuridiche di tutela ambientale e di limitazione delle emissioni industriali, che sono sostanzialmente giunte solo successivamente alla metà degli anni ’70 del secolo scorso. Una situazione che ha generato benessere economico, ma anche gravi danni alla salute delle persone e dell'ambiente;
    alle situazioni industriali pregresse, come dimostrato dalle numerose indagini delle forze dell'ordine – concluse e in corso – si è aggiunto un allarmante fenomeno di illegalità diffusa che ha visto il territorio bresciano terra di azione della criminalità organizzata e delle ecomafie: dai traffici di rifiuti, alle discariche illegali, fino agli interramenti di rifiuti tossici;
    nella relazione conclusiva della XVI legislatura della Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati nell'intero capitolo dedicato alla provincia di Brescia vengono analizzati numerosi aspetti critici: dalle indagini della procura di Brescia relative all'autostrada Bre.Be.Mi. alle problematiche relative allo smaltimento dei rifiuti industriali, dalla proliferazione delle cave e dal connesso problema delle discariche di rifiuti speciali alla critica situazione del comune di Montichiari dei comuni limitrofi, dalle difficili situazioni delle discariche e dell'utilizzo delle scorie alla situazione delle bonifiche, a cominciare dal sito inquinato di interesse nazionale della Caffaro e dallo stato della contaminazione;
    sempre sulla situazione della Caffaro il terzo rapporto dello studio Sentieri, pubblicato nell'aprile 2014, indica Brescia come la città con la maggior incidenza dei tumori rispetto alla media del Nord Italia;
    sempre grazie alle analisi dell'incidenza oncologica e dei ricoverati, a Brescia nell'area della Caffaro sono stati osservati eccessi per le sedi tumorali che la valutazione della Iarc del 2013 associa certamente (melanoma) o probabilmente (tumore della mammella, linfomi non-Hodgkin) con i policlorobifenili, principali contaminanti nel sito;
    lo studio epidemiologico condotto dall'azienda di tutela della salute di Brescia di analisi di mortalità nel quartiere S. Polo di Brescia nel periodo 2004-2008 ha evidenziato nella popolazione maschile eccessi di mortalità per il tumore alla vescica e per malattie respiratorie non tumorali, in particolare per le polmoniti, rispetto ai tassi rilevati nei residenti nel resto del comune di Brescia. Nelle donne si è rilevato un eccesso di mortalità, rispetto ai valori attesi, per il tumore al fegato e per la broncopneumopatia cronica ostruttiva. Infine, per quanto riguarda le malattie respiratorie non tumorali, si osserva un eccesso di morti per queste patologie in entrambi i sessi e, in particolare, per le polmoniti negli uomini (17 morti verso 9 morti attese) e broncopneumopatia cronica ostruttiva nelle donne (14 morti osservate verso circa 7 attese), tra i residenti a S. Polo rispetto al resto della città;
    vanno poi ricordati i territori di Vighizzolo e Montichiari che hanno quotidianamente a che fare con l'emergenza «cattivi odori» che ha portato anche al ricovero di alunni delle elementari. Una situazione che si va ad aggiungere a quella delle discariche con 11 siti abusivi e 11 autorizzati (di cui 4 ancora in gestione e 7 in post gestione), oltre che una richiesta in sospeso in regione per una discarica di amianto di oltre 1 milione di metri quadrati rifiuti e due ampliamenti. Una situazione molto rischiosa per la salute degli abitanti della zona e dell'ambiente, denunciata da anni dalle associazioni ambientaliste, dai comitati di cittadini e dai genitori degli alunni;
    non risulta ancora adottato il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento, ai sensi dell'articolo 241 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, di cui l'articolo 2, comma 4-ter, del decreto-legge n. 136 del 2013, che ne prevedeva l'adozione entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione;
    ai fini dell'individuazione di nuovi impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti, sarebbe necessario valutare l'introduzione di un fattore di pressione che non consideri solo le volumetrie delle discariche, ma anche le altre ricadute ambientali e gli impatti cumulativi, attraverso una modifica al comma 1 dell'articolo 195 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che, nell'ambito delle competenze statali concernenti l'indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, tenga conto in particolare del fattore di pressione per le discariche, inteso quale massima concentrazione di aree e di volume di rifiuti conferibili su unità di superficie territoriale;
    sarebbe, altresì, necessario subordinare la realizzazione di nuovi impianti o ampliamento di impianti esistenti finalizzati allo smaltimento dei rifiuti ad una concreta diminuzione del fattore di pressione come definito nel precedente capoverso,

impegna il Governo:

1) ad adottare al più presto il regolamento citato in premessa, relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento;
2) ad assumere iniziative per stanziare le risorse per avviare, tramite il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, nella provincia di Brescia la mappatura su vasta scala dei terreni, partendo dalle aree più a rischio, come emerso dalle indagini e dalle segnalazioni delle agenzie ambientali e delle associazioni ambientaliste e dei cittadini, al fine della classificazione degli stessi in base al grado di contaminazione;
3) a promuovere un aggiornamento dello studio Sentieri, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, avviando nella provincia di Brescia indagini epidemiologiche sullo statuto di salute della popolazione, a partire da quella maggiormente esposta come emerso dalle indagini delle agenzie ambientali e dell'azienda di tutela della salute di Brescia;
4) a definire, per quanto di competenza, un piano generale di bonifica anche sulla base delle evidenze emerse dalla mappatura e dalle analisi sopra citate e prevedere lo stanziamento di risorse adeguate, anche straordinarie, per quanto di competenza, necessarie alla sua attuazione;
5) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre, ai fini dell'individuazione di nuovi impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti, un fattore di pressione che non consideri solo le volumetrie delle discariche, ma sia inteso quale massima concentrazione di aree e di volume di rifiuti conferibili su unità di superficie territoriale;
6) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per subordinare la realizzazione di nuovi impianti o l'ampliamento di impianti per lo smaltimento di rifiuti, ovvero di impianti la cui realizzazione potrebbe determinare un peggioramento della qualità dell'aria, ad una concreta diminuzione del predetto fattore di pressione;
7) a valutare l'opportunità di promuovere forme di coinvolgimento delle popolazioni interessate dalla realizzazione di nuovi impianti di smaltimento dei rifiuti, anche nella forma del dibattito pubblico, sulla scorta di quanto prevede l'articolo 22 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, al fine di favorire la partecipazione dei cittadini.
(1-01644) «Sberna, Cominelli, Alberti, Lacquaniti, Bazoli, Berlinghieri, Romele, Sorial, Basilio, Borghesi, Cominardi, Gitti, Caparini, Alli».
(13 giugno 2017)