TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 859 di Mercoledì 27 settembre 2017

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN ORDINE AI CRITERI DI RIPARTIZIONE DEL FONDO DI SOLIDARIETÀ COMUNALE, ANCHE NELL'OTTICA DELL'ATTUAZIONE DELLA RIFORMA DEL FEDERALISMO FISCALE

   La Camera,
   premesso che:
    l'assetto della finanza locale è stato investito, negli ultimi dieci anni, da un processo di ridefinizione tracciato principalmente dalla riforma federalista prevista con la modifica del titolo V della Costituzione nel 2001 e in seguito delineata con la legge delega 5 maggio 2009, n. 42, recante i princìpi e i criteri direttivi per l'attuazione del federalismo fiscale;
    dopo circa dieci anni dalla legge delega sopra citata, il quadro definito dalla stessa risulta implementato nell'ordinamento solo parzialmente, poiché in parte rallentato e aggravato a causa degli intrecci determinati dalle manovre relative al consolidamento dei conti pubblici, in considerazione della crisi economica e finanziaria, da cui è scaturita una maggiore centralizzazione delle decisioni di entrata e di spesa;
    il disegno iniziale, delineato dalla legge delega n. 42 del 2009, prevedeva che i fabbisogni standard fossero definiti in riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni per le funzioni fondamentali e che la loro perequazione integrale fosse garantita dall'istituzione del fondo di solidarietà comunale, finanziato attraverso la fiscalità generale, in presenza di un totale dei fabbisogni superiore al totale delle capacità fiscali;
    il rapporto presentato dall'Ifel, il 31 marzo 2017, recante «temi per l'analisi degli effetti della perequazione delle risorse comunali», mostra chiaramente come il sistema implementato dalla riforma federalista si distacchi in modo sostanziale dalle corrispettive previsioni contenute nella legge delega e come il disegno federalista promosso nel 2009 sia stato in larga misura modificato e addirittura «disatteso»;
    il sistema di trasferimenti perequativi delle spese correnti, avviato nel 2015, nell'ambito del fondo di solidarietà comunale integralmente finanziato con le risorse proprie dei comuni (decreto legislativo n. 23 del 2001) si allontana da quanto stabilito dalla legge delega n. 42 del 2009, che prevede il contributo dello Stato alla perequazione delle funzioni fondamentali;
    il rapporto dell'Ifel precisa, altresì, che, per quanto concerne i livelli essenziali dei servizi da garantire, il lavoro per la loro definizione è in una condizione di «stallo», poiché ci si è accorti delle sue difficoltà intrinseche: non essendo assicurate risorse necessarie a garantire livelli essenziali o minimi dei servizi su tutto il territorio, la loro applicazione rischierebbe che i divari tra i territori vengano colmati abbassando i livelli di servizio proprio ove maggiormente presenti, anche in considerazione del fatto che nell'ordinamento non sono previsti vincoli di destinazione per i trasferimenti perequativi;
    per le modalità con cui è strutturato il meccanismo del fondo di solidarietà comunale, nella formula di determinazione di trasferimenti comunali, i fabbisogni standard e le capacità fiscali pesano soltanto per una quota minoritaria, mentre il peso preponderante, nei fatti, è attribuito ai trasferimenti storici;
    in questo modo le zone rimaste «indietro», per lo più al Sud d'Italia, sono condannate a vivere tale arretramento, dal momento che eventuali tagli alla distribuzione delle risorse si concretizzano non guardando al bisogno effettivo ma alla spesa consolidata, per cui laddove si è speso poco si faranno tagli maggiori, mentre, in realtà, il bisogno è esattamente contrario;
    per la ripartizione delle risorse del fondo perequativo si utilizza, dunque, l'inconcepibile criterio della spesa storica che premia proprio chi, potendo spendere di più grazie agli introiti delle imposte comunali, ha storicamente più servizi da offrire ai propri cittadini;
    il meccanismo delineato, quindi, tenderebbe a riconoscere maggiori fabbisogni ai comuni con maggiore spesa, sotto l'ipotesi che questi siano anche i comuni con il maggior numero di servizi offerti, e tale fattispecie si verifica principalmente nel caso dei servizi sociali;
    l'attività di monitoraggio svolta dalla Sose spa, società tecnica del Ministero dell'economia e delle finanze, con il primo «Rapporto concernente la ricognizione dei livelli delle prestazioni che le regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi», consegnato il 30 gennaio 2017 al Ministero dell'economia e delle finanze, evidenzia nei servizi un forte divario dei livelli delle prestazioni effettivamente erogate tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud, divario che si riflette nei livelli di spesa mediamente più bassi registrati nel Mezzogiorno;
    il rapporto citato, redatto ai sensi del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, con sei anni di ritardo, specifica che se si prendono in considerazione i settori dei servizi sociali e degli asili nido, che propongono come target i livelli di servizio minimo più bassi, il divario tra Nord e Sud ammonterebbe a circa 1,4 miliardi di euro;
    in base ai dati del 2013, la Sose specifica che la spesa sociale giudicata essenziale, cioè relativa a servizi indispensabili, in Italia è di 18,8 miliardi di euro e che tali risorse non sono distribuite in modo omogeneo nelle quindici regioni a statuto ordinario (alle cinque regioni a statuto speciale non si applica la legge delega sul federalismo fiscale) per cui tra i cittadini, soprattutto i più deboli, non c’è uguaglianza;
    nel comparto degli asili nido, secondo il rapporto Sose, per il 2013 il livello di copertura medio nazionale, ovvero la quota percentuale di bambini frequentanti gli asili nido e il numero di utenti che percepiscono voucher sulla popolazione residente in età 0-2 anni, risulta pari al 12,73 per cento, ma la distribuzione del servizio mostra che le regioni del Centro-Nord sono caratterizzate da percentuali di copertura prossime o superiori al 15 per cento, mentre le regioni del Sud, ad eccezione dell'Abruzzo e della Basilicata, non superano mai il 5 per cento di copertura;
    se nel 2018 si seguirà il medesimo ragionamento anche per il servizio pubblico locale, il rischio è di assistere ad un continuo arretramento di molte zone del Sud Italia: nel settore dei trasporti, riservato alla popolazione scolastica, nel 2015 si registra un grave peggioramento nei comuni della Puglia, con una flessione del servizio del 13 per cento e una copertura limitata al 5 per cento degli studenti, un terzo dello standard;
    per portare i servizi di assistenza ad un adeguato livello, stima la Sose, bisognerebbe accrescere la spesa del computo dai 5 miliardi attuali a 6,9 miliardi di euro e per gli asili nido bisognerebbe prevedere un costo massimo aggiuntivo di 1,9 miliardi di euro rispetto agli 1,3 attuali;
    nelle quindici regioni a statuto ordinario, il servizio delle mense scolastiche è erogato a 1.367.998 alunni: nello specifico, in Italia gli utenti sono rimasti stabili nel passaggio dal 2013 al 2015, con una variazione positiva allo 0,25 per cento, anche se in Calabria e in Basilicata gli utenti sono diminuiti del 6 per cento e nei comuni della Campania addirittura del 10 per cento;
    i dati riportati evidenziano un mutamento profondo delle regole di allocazione fra i diversi territori della spesa pubblica a danno del Mezzogiorno, come se si fosse deciso di salvaguardare le regioni più forti e di concentrare le sofferenze in quelle più deboli;
    si è giunti, dunque, ad una visione distorta del federalismo fiscale, resa evidente principalmente dal fatto che sono stati stabiliti parametri secondo i quali per cui «chi ha più riceve», accentuando, in questo modo, le differenze e rendendo disomogenei i diritti di cittadinanza, giungendo ad una violazione di quell'eguaglianza sancita dall'articolo 3 della Costituzione;
    con il federalismo fiscale si dovrebbe puntare, essenzialmente, all'effettiva realizzazione dell'autogoverno regionale e alla responsabilizzazione delle regioni nei confronti delle rispettive comunità, dando concreta attuazione a quanto previsto dall'articolo 119 della Costituzione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte a prevedere, nella ripartizione delle risorse del fondo di solidarietà comunale, la definizione di specifici criteri volti a incrementare progressivamente il peso della componente perequativa rispetto a quella compensativa storica, al fine di rovesciare il meccanismo vigente secondo il quale si attribuiscono maggiori risorse alle amministrazioni che offrono maggiori quantità di servizi;

2) ad assumere le opportune iniziative normative volte a dare completa attuazione alla riforma del federalismo fiscale prevista dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, con cui si stabilisce il principio dell'equilibrio dei bilanci degli enti locali e territoriali, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.
(1-01687)
«Occhiuto, Carfagna, Russo, Sisto, Catanoso, Luigi Cesaro, De Girolamo, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Genovese, Giammanco, Gullo, Laboccetta, Labriola, Minardo, Palese, Prestigiacomo, Santelli, Sarro, Elvira Savino, Vella».
(12 settembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    a più di quindici anni dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, il percorso attuativo del federalismo fiscale appare ancora, come delineato nella terza relazione semestrale della XVII legislatura della Commissione parlamentare dedicata, in una fase di transizione;
    con la modifica dell'articolo 119 della Costituzione, il legislatore si era posto l'obiettivo di introdurre nell'ordinamento un nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali basato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale;
    in seguito, con la legge delega 5 maggio 2009, n. 42, era stata prevista la creazione di nuovi parametri ai quali ancorare il finanziamento delle spese degli enti territoriali, i «fabbisogni standard» per il finanziamento delle funzioni fondamentali, e la considerazione delle capacità fiscali, per quello delle altre funzioni;
    il nuovo sistema prevedeva tre meccanismi di perequazione: due per le spese correnti e uno per le spese di investimento. Un «fondo perequativo», di ammontare pari alla differenza tra i fabbisogni e le capacità fiscali standard (perequazione integrale e verticale) per coprire interamente il costo dell'esercizio delle funzioni fondamentali; un secondo fondo, con lo scopo di ridurre parzialmente le differenze esistenti tra i comuni in termini di capacità fiscale standard (perequazione parziale e orizzontale) e un ultimo meccanismo perequativo per le spese di investimenti da realizzare in base ad un indicatore di fabbisogno infrastrutturale;
    il fondo perequativo per le funzioni fondamentali è stato attuato prima con il fondo sperimentale di riequilibrio e poi, dal 2013, con il fondo di solidarietà comunale, alimentato esclusivamente dai comuni e non anche dalla fiscalità generale; un fondo a perequazione orizzontale dunque, e non verticale, come era stabilito dalla legge n. 42 del 2009;
    ancora sostanzialmente inattuata risulta la perequazione per le spese di investimento;
    la crisi economica, inoltre, ha imposto ai governi misure di contenimento della spesa pubblica che hanno interessato anche aspetti fondamentali della finanza locale; la stessa Corte dei conti ha rilevato che i tagli ai trasferimenti verso gli enti locali fino al 2014 ne hanno oggettivamente ridotto gli spazi di autonomia gestionale, organizzativa e di entrata;
    in tale quadro di criticità si è tuttavia proceduto all'elaborazione dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali standard, con metodologie innovative e trasparenti e con successive sperimentazioni che ne hanno via via precisato e consolidato la robustezza, anche sulla base delle risposte fornite ad appositi questionari dagli enti locali; questi indicatori sono ormai diventati indispensabili per la disciplina del rapporti finanziari tra Stato ed enti locali e hanno cominciato a costituire uno degli elementi per la distribuzione delle risorse, all'interno di regole più volte introdotte e modificate negli ultimi anni;
    l'applicazione di criteri perequativi è stata avviata nel 2015 con l'accordo del 31 marzo 2015 in Conferenza Stato-città per definire la ripartizione del fondo di solidarietà comunale (FSC), per una quota pari al 20 per cento, secondo i fabbisogni e le capacità fiscali standard; l'articolo 1, comma 449, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), ha previsto un percorso graduale ma deciso di innalzamento di tale quota che è stata fissata al 55 per cento per il 2018, al 70 per cento nel 2019, all'85 per cento nel 2020 ed infine al 100 per cento a partire dal 2021 sul 50 per cento della dotazione del fondo stesso;
    dai dati diffusi dall'ufficio parlamentare di bilancio risulta che, rispetto alla distribuzione storica, nel 2017 questa nuova distribuzione favorisce le grandi città (+1,1 per cento) e i comuni tra 5 e 50 mila abitanti, mentre «penalizza» maggiormente i piccoli comuni (perdite superiori al 2 per cento delle risorse storiche);
    dal punto di vista territoriale, si registra una riduzione delle risorse rispetto a quelle storiche per i comuni del Nord (-0,9 per cento delle risorse storiche), peggiorando leggermente la posizione del comuni del Nord-ovest e migliorando quella del comuni del Nord-est. I benefici maggiori sono concentrati al centro (+2,1 per cento), incrementati con la revisione operata nel 2017. Sono beneficiati, anche se in misura più limitata, i comuni del Sud (+0,5 per cento rispetto al fondo storico), su cui la revisione 2017 ha comportato un impatto molto limitato;
    tra le grandi città il nuovo sistema garantisce i maggiori benefici a Roma (+6,7 per cento rispetto alla situazione storica). Anche Milano riceve più trasferimenti rispetto alla situazione storica. Firenze, Taranto, Napoli e Genova soffrono una riduzione delle risorse superiore al 3 per cento, e sono generalmente penalizzati nella transizione al 2017. Le grandi città maggiormente beneficiate dalle modifiche introdotte con il fondo 2017 sono Ravenna (+2 per cento rispetto al 2016) e Roma (+1,5 per cento), mentre quelle maggiormente penalizzate sono Verona (-1,8 per cento) e Perugia (-1,6 per cento);
    sempre secondo il documento dell'ufficio parlamentare di bilancio si evidenzia una generale sostenibilità finanziaria degli effetti del nuovo sistema di determinazione dei trasferimenti, che tuttavia risulta caratterizzato da inerzia rispetto all'attribuzione storica delle risorse, non risolvendo le forti disparità territoriali nella fornitura del servizi. Il rafforzamento delle istanze perequative implicherebbe un collegamento tra l'attribuzione delle risorse finanziarie e la fissazione di livelli essenziali delle prestazioni per tutti gli enti sull'intero territorio nazionale, allo scopo di affrancarsi dai divari nei livelli di fornitura dei servizi che ancora caratterizzano la situazione attuale e influiscono sulle stime dei fabbisogni standard;
    se la mancata definizione dei Lep/Lea è figlia di una preoccupazione finanziarla, e cioè del timore da parte dello Stato centrale di fornire legittimità a richieste di trasferimenti aventi dimensioni incompatibili con il mantenimento degli equilibri di finanza pubblica, è utile ricordare che la legge n. 42 del 2009 forniva e fornisce ancora una strada che sarebbe possibile percorrere, così come lo è stata quella del calcolo del fabbisogni e delle capacità fiscali standard, attraverso l'introduzione degli «obiettivi intermedi di servizio», e cioè di percorsi graduali e monitorabili finalizzati nel tempo al raggiungimento degli obiettivi ottimali definiti dai Lep/Lea, anche sulla base del sovraordinati vincoli finanziari;
    tuttavia, nell'odierna imperfetta attuazione del federalismo solidale contenuto nella legge n. 42 del 2009, la componente perequativa che il fondo di solidarietà comunale lega ai fabbisogni standard non può essere modificata senza valutare al contempo gli indicatori di capacità fiscale. Gli enti che, per quanto sottodotati, non riescono ad essere sufficientemente efficienti e non raggiungono lo standard di entrate proprie derivante dalla loro, pur bassa, capacità fiscale, non possono e non devono essere premiati. Simmetricamente, è necessario evitare che vengano penalizzati gli enti a più elevata capacità ed efficienza fiscale, al fine di evitare la conseguenza paradossale di ridurre i livelli di servizio laddove sono stati raggiunti standard più elevati in condizioni di equilibrio e di efficienza;
    inoltre, proprio in considerazione del peso crescente della distribuzione del fondo di solidarietà comunale in base alle capacità fiscali, è necessario evitare anche la penalizzazione implicita per i comuni nel quali sia stato attuato un processo virtuoso di aggiornamento del valori catastali,

impegna il Governo

1) a riconsiderare il percorso attuativo del federalismo fiscale, in coerenza con l'articolo 119 della Costituzione, attraverso iniziative per:
   a) la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, anche utilizzando la previsione legislativa di ancorarne il raggiungimento attraverso obiettivi intermedi di servizio;
   b) la previsione di un apporto di finanziamento statale nell'alimentazione del fondo di solidarietà comunale, legato al raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni e degli obiettivi intermedi di servizio, nel rispetto dei vincoli aggregati di finanza pubblica;
   c) l'attivazione degli opportuni strumenti di ricognizione e di valutazione, così come si è fatto per il calcolo dei fabbisogni e delle capacità fiscali standard, per dare avvio al processo di perequazione infrastrutturale;
   d) il superamento progressivo del « tax gap» tra valori di mercato e valori catastali.
(1-01705)
«Marchi, Marantelli, Causi, De Menech, Rubinato, Cinzia Maria Fontana, Giulietti, Guerra, Marchetti, Misiani».
(25 settembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    in attuazione della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, recante i principi e i criteri direttivi per l'attuazione del federalismo fiscale, in riferimento all'articolo 119 della Costituzione sono stati emanati numerosi provvedimenti, e segnatamente ben nove decreti legislativi, finalizzati a definire il nuovo assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali. Tuttavia, ad oggi, il quadro attuativo della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, risulta implementato solo parzialmente nell'ambito del nostro ordinamento, anche a causa di importanti mutamenti nel frattempo intervenuti nel quadro istituzionale della finanza locale che hanno inciso profondamente sull'impostazione del disegno della legge delega e riconducibili principalmente all'aggravarsi della crisi economica e finanziaria e alla conseguente necessità di una maggior centralizzazione delle decisioni di entrata e di spesa;
    il federalismo fiscale, come noto, riconosce l'autonomia finanziaria e di spesa degli enti locali, consentendo loro di applicare tributi ed entrate propri nel rispetto della Costituzione e dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché di disporre di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio. Con le entrate finanziare ottenute attraverso l'autonoma imposizione fiscale gli enti locali ottengono, dunque, le risorse necessarie per svolgere le funzioni pubbliche loro attribuite;
    in particolare, il sistema su cui si impernia il federalismo fiscale, alla luce dei principi e dei criteri direttivi contenuti nella legge delega, avrebbe dovuto poggiare sulla distinzione tra le spese riconducibili alle funzioni fondamentali e le spese riconducibili alle funzioni non fondamentali. Con riferimento alle prime, lo Stato avrebbe concorso al loro integrale finanziamento mediante un fondo perequativo volto a coprire la differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscali, mentre per quanto concerne le seconde, si sarebbe dovuto provvedere ad un loro parziale finanziamento con un fondo perequativo orizzontale basato sulla capacità fiscale per abitante;
    purtuttavia, il sistema perequativo attuale si configura in molti casi in maniera diversa da quello previsto in fase di legge delega. In esso, infatti, il parametro della spesa storica continua a svolgere un ruolo preminente rispetto al parametro della perequazione di cui i fabbisogni standard e le capacità fiscali costituiscono i due pilastri fondamentali; su di essi si regge la perequazione delle risorse finanziarie dei comuni realizzata attraverso il Fondo di solidarietà comunale (FSC);
    il Fondo di solidarietà comunale (FSC) si basa su un meccanismo assai complesso in cui le finalità perequative, fondate appunto sul confronto tra fabbisogni standard e capacità fiscali, vengono calate in un sistema preesistente di trasferimenti verticali fino al 2013 e poi prevalentemente orizzontale su cui, tra l'altro, si sono scaricati i tagli alle risorse comunali apportati nel 2014 e nel 2015, nonché i meccanismi compensativi degli interventi di soppressione dei tributi municipali;
    in un documento realizzato dall'Ufficio parlamentare di bilancio (nota di lavoro 1/2017) in merito alla ripartizione dell'FSC per l'anno 2017 si evidenzia una generale sostenibilità finanziaria degli effetti del nuovo sistema di determinazione dei trasferimenti, che purtuttavia risulta caratterizzato da inerzia rispetto all'attribuzione storica delle risorse, non risolvendo le forti disparità territoriali nella fornitura dei servizi. Tale stato di cose, secondo quanto rilevato dall'Ufficio parlamentare di bilancio, ha stemperato l'impatto potenziale degli elementi innovativi introdotti nella perequazione comunale e può apparire non in linea con le aspettative esistenti all'avvio della stagione di determinazione dei fabbisogni standard. Ripartire le risorse del Fondo di solidarietà comunale (FSC) prevalentemente sulla base della spesa storica produce l'effetto che le amministrazioni comunali che dispongono di maggiori risorse economiche e, di conseguenza, sono in grado di fornire più servizi traggono maggiori benefici, rispetto a quelle che, possedendo risorse più scarse, forniscono servizi in misura minore. Una simile condizione rischia di aumentare lo squilibrio già esistente tra i comuni del Mezzogiorno e quelli del Nord e Centro Italia per quanto riguarda la spesa sociale e la fornitura di prestazioni indispensabili,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte a modificare l'attuale sistema di allocazione delle risorse del fondo di solidarietà comunale basando l'allocazione delle risorse medesime prevalentemente su criteri di natura perequativa rispetto a quelli della spesa storica;

2) ad adottare iniziative tese a individuare livelli essenziali delle prestazioni e obiettivi intermedi di servizio per tutti gli enti sull'intero territorio nazionale, allo scopo di affrancarsi dai divari nei livelli di fornitura dei servizi che ancora caratterizzano la situazione attuale;

3) a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri dei saldi di finanza pubblica, di adottare iniziative volte ad un ampliamento degli spazi finanziari a favore del sistema delle autonomie.
(1-01708)
«Melilla, Laforgia, Albini, Capodicasa, Ricciatti, Martelli, Cimbro, Zappulla, Nicchi, Mognato».
(26 settembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la riforma del federalismo fiscale ha segnato una svolta senza precedenti nel nostro sistema: si tratta di un rinnovato corpus normativo volto a definire un sistema di finanza multilivello che declina in modo nuovo ed originale i rapporti tra Stato, autonomie ed Unione europea, con lo scopo di assicurare un coordinamento unitario e coerente non solo della finanza pubblica, ma anche delle stesse politiche pubbliche che si dipanano tra i diversi livelli di governo;
    il duplice scopo del federalismo fiscale è quello di arrivare ad una razionalizzazione nella gestione delle risorse pubbliche che possa, al contempo, garantire, anzi migliorare, l'offerta dei servizi per i cittadini. Attraverso un simile strumento, inoltre, si mira anche a responsabilizzare maggiormente gli enti territoriali e locali, implementando il principio di sussidiarietà orizzontale e verticale previsti nell'articolo 118 della Costituzione;
    tale normativa, prevista nella legge n. 42 del 2009 di attuazione della delega costituzionale dell'articolo 119 della Costituzione, rimane però oggi ancora sostanzialmente inattuata;
    il fondo di solidarietà comunale (FSC) ha sostituito, nel 2013, il vecchio fondo sperimentale di riequilibrio previsto dal decreto n. 23 del 2011 sul federalismo municipale, mantenendo lo scopo di limitare le disuguaglianze del gettito immobiliare tra città ricche e città povere;
    ad oggi, il fondo di solidarietà comunale, secondo quanto si apprende dalla nota metodologica del Ministero dell'economia e delle finanze del 19 gennaio 2017, è articolato in due componenti: la prima è la componente tradizionale, a sua volta articolata in una parte destinata al riequilibrio delle risorse storiche, che avviene attraverso la trattenuta dall'Imu, e una parte perequativa; la seconda è la componente costituita dal ristoro dei gettiti perduti per le esenzioni e agevolazioni Imu e tasi previste dalla legge di stabilità 2016;
    a partire dal 2015, per le assegnazioni a ciascun comune, è stata utilizzata l'applicazione di criteri perequativi basati sui fabbisogni e sulle capacità fiscali standard pari ad una quota pari al 20 per cento delle risorse del fondo, aumentata progressivamente al 30 per cento nel 2016 e al 40 per cento nel 2017. Il coefficiente di riparto delle risorse standard complessive è stato costituito portando il peso della componente relativa alla differenza tra i fabbisogni standard e capacità fiscali dal 70 all'80 per cento e il peso della popolazione (capacità fiscale pro-capite) dal 30 per cento al 20 per cento. In futuro il peso dei due parametri è destinato a crescere progressivamente visto che la fetta di risorse distribuite sulla base delle capacità fiscali e dei fabbisogni salirà al 55 per cento nel 2018, al 70 per cento nel 2019, all'85 per cento nel 2020 e al 100 per cento a decorrere dal 2021. La componente di ristoro rimane invece sostanzialmente la stessa;
    nonostante l'implementazione dei criteri perequativi basati sui fabbisogni e sulle capacità fiscali standard, nel 2016, si è utilizzato un aggiustamento statistico al fine di mitigare gli effetti della distribuzione tra i comuni della quota del 30 per cento del fondo, in favore dei comuni che in sede di prima assegnazione avevano registrato un differenziale negativo tra la dotazione standard e la dotazione storica in percentuale delle risorse complessive di riferimento inferiore o uguale al 2 per cento;
    ugualmente, quest'anno, l'articolo 14 della manovra correttiva (decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50) ha previsto, ai fini del riparto del fondo di solidarietà comunale, il correttivo statistico sulla metodologia dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali per attenuare gli scostamenti negativi più ampi, riducendo dall'8 al 4 per cento delle soglie di variazione in aumento o in diminuzione rispetto all'ammontare delle risorse storiche. Ciò, in sostanza, è equivalso a non tagliare di netto i fondi a quei comuni che hanno una spesa storica più alta, che sarebbero stati penalizzati dai costi standard;
    si tratta di 14 milioni di euro ancora non distribuiti (degli 80 previsti dalla legge di bilancio 2017 per le compensazioni sul minor gettito della Tasi) e di 11 milioni ancora non distribuiti (dei 155 milioni di euro previsti dalla stabilità 2016 a titolo di compensazione per il minor gettito dovuto agli aggiornamenti catastali). Durante l'esame presso la Camera deputati, è stata inoltre accolta una proposta governativa che ha aumentato l'FSC di 25 milioni di euro finalizzati a costituire un accantonamento in favore dei comuni che presentano una variazione negativa della spettanza del fondo di solidarietà comunale rispetto alle risorse storiche, a titolo di correttivo del meccanismo di perequazione. A decorrere dal 2022 i 25 milioni di euro saranno poi destinati alle fusioni dei comuni;
    dunque, il criterio basato su risorse standard rimane ancora sostanzialmente insufficiente ed è evidente come tale correttivo ritardi l'applicazione completa dei costi standard ed aiuti gli enti meno virtuosi, che, operando una razionale ed oculata gestione delle proprie risorse, hanno invece rispettato i patti di stabilità, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla normativa interna e dall'appartenenza dell'Italia alla zona euro. Allo stesso modo, non è stato dato adeguato rilievo, nelle note metodologiche di riparto del fondo di solidarietà comunale, al differenziale positivo o negativo del residuo fiscale comunale che, segnando la differenza tra tutte le entrate e le risorse che in quel territorio vengono spese, costituisce anche un indicatore della virtuosità degli enti locali nella razionalizzazione delle spese di soldi pubblici;
    al contempo, è stato sempre previsto un ampio spettro di esclusione dalle sanzioni per i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità prima in vigore o il pareggio di bilancio ora vigente;
    per poter razionalizzare la spesa in maniera selettiva occorre rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard;
    i tagli non devono essere previsti sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi, cosa che ad oggi non viene fatta. Il passaggio dalla spesa storica al costo standard orienterà la politica delle amministrazioni verso una nuova logica meritocratica che eviti le note inefficienze del passato;
    è necessario attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità attraverso il pieno compimento del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e sprechi) al costo/fabbisogno standard (che finanzia i servizi), al fine di garantire un elevatissimo grado di solidarietà e di gestione responsabile del pubblico denaro;
    al fine di addivenire alla migliore gestione finanziaria possibile, il superamento del patto di stabilità andrebbe accompagnato ad una serie di altri provvedimenti in merito ad una più razionale riduzione e ad un mirato contenimento della spesa pubblica generale, recuperando gli sprechi per indirizzare così le risorse reperite in investimenti utili al bene dell'intera collettività;
    la pubblica amministrazione è il fronte sul quale va combattuta la principale battaglia per l'efficienza e il risparmio: il tasso di spreco medio è nell'ordine del 20-25 per cento, il che significa che, se si adottassero pratiche incisive, si potrebbero risparmiare almeno 100 miliardi l'anno;
    gli sprechi della pubblica amministrazione non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche alle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa. Si parla, ovviamente di situazioni nelle quali la spesa, sebbene utilizzata dagli attori per finalità pubbliche, non è impiegata nel modo migliore, più produttivo e più efficace, a causa di un approccio non rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici;
    la metodologia di ripartizione del fondo di solidarietà comunale comporta inoltre significativi svantaggi per i piccoli comuni; la capacità fiscale, infatti, in questi centri, risulta gonfiata dal gettito potenziale di imu e tasi, determinata da un patrimonio immobiliare spesso abbandonato, ma considerato ancora potenzialmente produttivo di reddito da parte del fisco;
    tale problematica è stata nuovamente sollevata, in sede di audizione presso la Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, dalla direttrice generale del dipartimento delle finanze Fabrizia Lapecorella che ha spiegato come nei piccolissimi comuni (sotto i 500 abitanti) la capacità fiscale pro capite per il 2018 raggiungerà quota 629 euro. Nella classe demografica che va da 500 e mille abitanti, invece, si scende a 491 euro pro capite, ma si tratta sempre di cifre che, se appaiono realistiche per un comune di grandi dimensioni (483 euro è infatti la capacità fiscale pro capite degli enti tra 60 mila e 100 mila abitanti) risultano abnormi per un mini-ente;
    ciò è possibile perché l'ingente patrimonio immobiliare presente in questi piccoli comuni, costituito spesso da seconde case non più abitate, spalmato su una popolazione esigua, porta inevitabilmente la capacità fiscale pro capite a livelli pari a quelli delle metropoli (695 euro è il valore di riferimento per le città sopra i 250.000 abitanti);
    i piccoli comuni sono quindi penalizzati, perché il loro alto valore di capacità fiscale, che non viene compensato da elevati fabbisogni come nel caso delle grandi città, rischia di portare inevitabilmente a una penalizzazione nella distribuzione delle risorse;
    la riduzione della capacità fiscale porterà a una riduzione della quota perequativa del fondo di solidarietà comunale 2018, fermo restando che il totale delle risorse a disposizione dei comuni resterà invariato;
    si tenga infine presente che la stessa criticità si presenta anche per i comuni ad alta vocazione turistica,

impegna il Governo:

1) ad implementare, attraverso iniziative normative ad hoc o nell'ambito della prima iniziativa utile, la riforma del federalismo fiscale al fine di completare l'attuazione del nuovo articolo 119 che prevede non soltanto l'equilibrio dei bilanci degli enti locali e territoriali, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, ma anche l'autonomia di entrata e di spesa, di cui non è mai stata completata l'attuazione, come specificato in premessa;

2) ad assumere iniziative per prevedere una disciplina premiale per gli enti che hanno rispettato il patto di stabilità interno e il pareggio di bilancio, tenendo conto del residuo fiscale positivo, al fine di premiare altresì i comuni virtuosi;

3) ad adottare al più presto adeguati strumenti normativi di riparto del fondo di solidarietà comunale al fine di non penalizzare, come esposto in premessa, i «mini-enti», così come pure i comuni a vocazione turistica, in modo da evitare che l'elevata capacità fiscale prodotta da questi causi una sproporzionata riduzione della quota perequativa del fondo di solidarietà comunale per il prossimo anno.
(1-01709)
«Busin, Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(26 settembre 2017)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

  LUPI e VIGNALI. – Al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. – Per sapere – premesso che:
   l'accordo di partenariato, adottato nel settembre 2014 ai sensi dell'articolo 14 del regolamento (UE) n. 1303/2013, nella sezione I A, alla pagina 258, relativa all'obiettivo tematico 11, prevede espressamente che: «il FSE (Fondo sociale europeo) e il FESR (Fondo europeo di sviluppo regionale) interverranno nel settore dell'educazione pubblica, con esclusione delle private e/o parificate»;
   con il comma 313 della legge di bilancio per l'anno 2017, è stata introdotta una nuova disposizione, che ha individuato le scuole paritarie tra i possibili beneficiari del programma operativo istituzionale (PON) «Per la Scuola». Il comma recita che dove si parla di istituzioni scolastiche si devono intendere tutte le istituzioni scolastiche che costituiscono il sistema nazionale di istruzione, ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 62 del 2000;
   con l'entrata in vigore della legge di bilancio, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha effettuato i necessari approfondimenti sulle ricadute che l'attuazione della norma comporta, avviando, dal mese di gennaio 2017 un'interlocuzione con il competente Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri, volta a valutare eventuali iniziative attuative che risultassero già allo stato compatibili con il quadro ordinamentale comunitario;
   in particolare, si chiedeva di verificare l'eventuale modifica dell'accordo di partenariato come previsto dalla legge di bilancio e l'avvio dell'iter previsto per ottenere dalla Commissione europea indicazioni sulle specifiche modifiche, in coerenza con la norma citata dell'accordo di partenariato del PON;
   in attesa della definizione delle suddette procedure, considerata la necessità di attuare il programma operativo in ragione delle scadenze previste per la spesa, sia per l'anno 2017, sia per l'anno 2018, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha ritenuto opportuno procedere all'accantonamento per le scuole paritarie di una quota parte dei finanziamenti disponibili, tramite inserimento in tutti gli avvisi pubblici del Programma PON, di uno specifico riferimento;
   a marzo 2017 risulta all'interrogante che sia stato avviato un confronto tecnico tra il capo di gabinetto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il capo di gabinetto del Ministro per la coesione territoriale e del Mezzogiorno, con esiti positivi –:
   se il Governo abbia avviato la necessaria interlocuzione con la Commissione europea per la modifica dell'accordo di partenariato di cui in premessa e, conseguentemente, ai fini della riprogrammazione del PON. (3-03266)
(26 settembre 2017)

  GALATI. – Al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10 del decreto-legge n. 101 del 2013 ha istituito l'Agenzia per la coesione territoriale, dotata di autonomia organizzativa e sottoposta alla vigilanza diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha l'obiettivo di sostenere, promuovere ed accompagnare programmi e progetti per lo sviluppo e la coesione territoriale;
   in particolare l'Agenzia persegue la finalità di curare l'azione di programmazione, coordinamento, sorveglianza e sostegno della politica di coesione;
   secondo fonti riportate recentemente a mezzo stampa, sarebbero numerose le incongruenze connesse al modus operandi della struttura, sulle quali appare opportuno avere dei chiarimenti. Anzitutto emergerebbe una proliferazione abnorme di consulenze di «esperti», con incarichi di durata settennale per un compenso che varia tra i 50.000 e gli 85.000 euro lordi annui;
   i consulenti sarebbero, secondo quanto trapelato dai giornali, circa 150, sebbene sul sito web siano tracciati solamente 85 incarichi. Il che pone prioritariamente un problema di trasparenza: non sarebbe infatti ammissibile, né compatibile con i principi di trasparenza e pubblicità cui dovrebbe informarsi l'azione amministrativa, che le risorse destinate al personale di un'agenzia istituita con legge dello Stato non siano pubblicate puntualmente. Il costo totale relativo solo alla spesa per il personale dell'Agenzia, sarebbe pari a 42,3 milioni di euro e solo una parte di questa spesa, sia in termini correnti che previsionali, sarebbe suscettibile di monitoraggio pubblico;
   l'Agenzia, secondo le medesime fonti, avrebbe indetto un bando per un ammontare di 879 mila euro per l'esternalizzazione del servizio di rendicontazione e amministrazione del personale, pur disponendo di un ufficio apposito per il bilancio e per il personale che assorbe già 30 dipendenti;
   la situazione descrive un quadro organizzativo apparentemente incoerente, con una proliferazione incontrollata di incarichi e consulenze e conseguente lievitazione dei costi di funzionamento, rispetto ai quali non risulterebbe reperibile una rendicontazione della gestione delle risorse disponibili correlata ai livelli delle performance della struttura;
   il tutto aggravato dai dati, non incoraggianti, relativi agli andamenti della spesa e dell'utilizzo dei fondi dell'Unione europea in attuazione del ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020, che, secondo le informazioni reperibili sul sito della Commissione europea, si attesterebbero all'1,2 per cento del totale delle risorse in dotazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle informazioni ivi rappresentate e se consideri il rapporto tra i costi di funzionamento della struttura e i livelli delle performance coerente all'obiettivo strategico del sostegno alla politica di coesione del Paese. (3-03267)
(26 settembre 2017)

  PISICCHIO. – Al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. – Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 91 del 2017, convertito, con modificazioni dalla legge n. 123 del 2017, ha istituito all'articolo 4 le zone economiche speciali;
   con tale denominazione si intende una zona geograficamente limitata e chiaramente identificata, comprendente almeno un'area portuale avente caratteristiche stabilite da regolamento UE 1315/2013, nella quale le aziende già operative o che si insedieranno potranno usufruire di speciali condizioni per gli investimenti e per lo sviluppo;
   tali vantaggi si traducono in benefici fiscali e amministrativi. In particolare, le imprese che effettuano investimenti all'interno delle zone economiche speciali possono utilizzare il credito di imposta per l'acquisto di nuovi beni strumentali nel Mezzogiorno entro il limite massimo, per ciascun progetto di investimento, di 50 milioni di euro. Per il riconoscimento dei benefici le imprese devono mantenere la loro attività nell'area zone economiche speciali per almeno sette anni dopo il completamento dell'investimento, pena la revoca dei benefici concessi e goduti;
   il citato decreto-legge prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro interrogato, siano definiti, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, modalità e criteri per l'istituzione delle zone economiche speciali;
   quanto alla richiesta di istituzione delle singole zone, si prevede che siano le regioni meno sviluppate e in transizione a presentare la domanda per l'istituzione, specificando le caratteristiche dell'area individuata; la proposta deve essere accompagnata da un piano di sviluppo strategico, nel rispetto delle modalità e dei criteri individuati con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Ciascuna regione può presentare una proposta di istituzione di una zona economica speciale nel proprio territorio, o al massimo due, ove siano presenti più aree portuali. Le regioni che non posseggono aree portuali possono presentare istanza di istituzione di una zona economica speciale solo in forma associativa, qualora contigue, o in associazione con un'area portuale;
   le zone economiche speciali si sono affermate a livello mondiale come laboratori per l'attrazione degli investimenti e incubatori di innovazione, capaci di promuovere sviluppo produttivo e occupazionale. Oggi esistono nel mondo oltre 4.500 zone economiche speciali, istituite in 135 nazioni, che occupano circa 70 milioni di posti di lavoro. Nella sola Unione europea sono operative 16 zone economiche speciali, di cui 14 in Polonia con attrazione di investimenti pari a 170 miliardi di euro;
   quali iniziative intenda il Governo adottare per dare presto attuazione alla normativa propedeutica all'operatività delle zone economiche speciali che costituiscono per il Mezzogiorno uno strumento fondamentale per l'attrazione di investimenti produttivi, la creazione di occupazione e il recupero di competitività dei territori. (3-03268)
(26 settembre 2017)

  RUSSO, OCCHIUTO e CARFAGNA. – Al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. – Per sapere – premesso che:
   il divario tra Nord e Sud del Paese è particolarmente evidente se si osservano i dati relativi ai servizi offerti. I dati relativi al servizio mensa comunale della scuola primaria, ad esempio, mostrano come gli alunni che accedono al servizio siano a Torino l'81 per cento, e a Napoli il 36 per cento; a Piacenza il 95 per cento e a Salerno il 15 per cento; a Monza il 100 per cento e a Reggio Calabria lo 0,07 per cento;
   le carenze non sono dovute alla mancanze di strutture (tutte le scuole hanno un locale mensa dedicato); il tema è la scarsità delle risorse per garantire le prestazioni ed è una questione che coinvolge una serie di altri servizi, tra cui gli asili nido e il trasporto scolastico;
   nel comparto degli asili nido, la distribuzione del servizio mostra come le regioni del Centro-Nord siano caratterizzate da percentuali di copertura prossime o superiori al 15 per cento, mentre le regioni del Sud, ad eccezione dell'Abruzzo e della Basilicata, non superino mai il 5 per cento;
   la beffa ai danni dei diritti dei cittadini che vivono nel Mezzogiorno è dovuta alle modalità di riparto dei trasferimenti perequativi delle spese correnti, avviato nel 2015, nell'ambito del fondo di solidarietà comunale integralmente finanziato con le risorse proprie dei comuni (decreto legislativo n. 23 del 2001);
   per le modalità con cui è strutturato il meccanismo del fondo di solidarietà comunale, nella formula di determinazione di trasferimenti comunali, i fabbisogni standard e le capacità fiscali pesano soltanto per una quota minoritaria, mentre il peso preponderante, nei fatti, è attribuito ai trasferimenti storici;
   in questo modo, l'assenza di un servizio si traduce in uno zero a quel comune per il fabbisogno, lasciando indietro tutte quelle amministrazioni (principalmente al Sud) che non riescono a garantire le prestazioni non per assenza di richiesta, ma per mancanza di risorse –:
   quali siano gli attuali criteri di riparto del fondo di solidarietà comunale, e se il Governo ritenga di dover assumere iniziative volte a rimodulare tali criteri, partendo dai livelli essenziali delle prestazioni e dai fabbisogni standard, e non dalla spesa storica, come sollecitato più volte dal Parlamento. (3-03269)
(26 settembre 2017)

  CAPELLI. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   nel programma di sviluppo rurale 2014-2020 (PSR) della regione Sardegna, sono stati pubblicati i bandi della sottomisura 6.1 e «Pacchetto giovani»;
   le direttive per l'attuazione amministrativa delle misure risalgono ormai ad un anno fa e prevedevano l'apertura dello «sportello informatico» sul portale nazionale SIAN per la presentazione delle domande dal 15 settembre 2016 al 16 gennaio 2017, adempimento sul quale si sono registrati ritardi nella predisposizione delle procedure informatiche necessarie per la presentazione delle domande ma anche per l'istruttoria;
   gli applicativi per l'istruttoria non sono stati ancora resi disponibili da AGEA sul portale SIAN, tanto da «costringere» ARGEA a ricorrere provvisoriamente a procedure manuali per le domande presentate da circa 6 mesi;
   solo a partire dal 15 marzo 2017 è stata consentita la presentazione delle domande – che dopo appena una settimana erano 2800 –, mentre il termine di chiusura è scaduto il 14 aprile 2017;
   la dotazione finanziaria prevista per la misura 6.1, che prevede un premio per il primo insediamento in agricoltura di 35.000 euro, è pari a poco più di 20 milioni di euro. Saranno finanziati circa 570 beneficiari;
   più complesso è determinare il numero di ditte finanziabili nell'ambito del «pacchetto giovani», dove la dotazione finanziaria è pari a 50 milioni di euro, ma il premio è associato ad un progetto di investimenti di importo variabile, e la tipologia di investimento si colloca in differenti classi di priorità;
   l'assessorato all'agricoltura della regione Sardegna non è stato in grado di pubblicare e comunicare agli utenti l'elenco delle domande finanziabili a causa di problemi del portale SIAN nel ricostruire secondo l'ordine cronologico di presentazione, l'elenco delle domande finanziabili nel «pacchetto giovani»;
   è inevitabile il rinvio dell'avvio dell'attività istruttoria che dovrebbe essere contestuale alla presentazione della domanda;
   moltissime ditte attendono di sapere se la propria domanda rientra tra quelle che saranno ammesse al finanziamento a seguito della procedura istruttoria, anche questa da condurre sul portale SIAN attraverso un'apposita procedura, ancora inesistente;
   ARGEA Sardegna rilascia alle ditte che lo richiedano un codice da utilizzare per il tracciamento di fatturazioni e pagamenti, a loro «rischio e pericolo», in quanto il codice non sostituisce le procedure sopra ricordate –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per risolvere una questione che si trascina da tempo e che danneggia in maniera evidente l'intero sistema produttivo agricolo sardo. (3-03270)
(26 settembre 2017)

  GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   l'accordo economico e commerciale globale tra il Canada e l'Unione europea e i suoi Stati membri, istituisce tra le parti una zona di libero scambio in materia di beni, servizi ed investimenti;
   l'accordo è stato definito «misto» dalla Commissione europea e, in base a quanto disposto dalla decisione (UE) 2017/38 del Consiglio, del 28 ottobre 2016, è attualmente applicato a titolo provvisorio dall'Unione europea con esclusione di alcune parti riferite a investimenti, servizi finanziari e proprietà intellettuale;
   sono note le osservazioni, le considerazioni e le polemiche, spesso pretestuose, sorte intorno all'accordo, sia con riferimento alle procedure che hanno portato alla sua negoziazione, che alle tematiche oggetto dell'intesa;
   al netto delle valutazioni inerenti all'opportunità politica di liberalizzare numerosi settori commerciali, è impossibile non rilevare l'esistenza di significative asimmetrie economiche tra il Canada e l'Unione europea derivanti da diversità strutturali destinate ad impattare fortemente sull'economia delle parti;
   ad oggi non è possibile stimare, ancorché in via approssimativa, le conseguenze dell'armonizzazione delle norme regolamentari, né dell'abbattimento delle barriere non tariffarie agli scambi;
   a tal proposito, nel settore agricolo e, più in generale, in quello della sicurezza alimentare, le previsioni circa il meccanismo di equivalenza non appaiono idonee a garantire i più elevati standard di protezione sanitaria e fitosanitaria, assegnando alla parte esportatrice l'onere di dimostrare, ancorché in modo oggettivo, tale equivalenza;
   l'accordo fa riferimento alle disposizioni dell'Omc che consentono un divieto permanente al commercio solo se vi è un consenso scientifico che riconduce il danno ad uno specifico prodotto o ingrediente; in caso di disaccordo, il massimo livello di precauzione adottabile è un divieto temporaneo;
   la suddetta previsione applicata agli organismi geneticamente modificati mette fortemente in discussione la legislazione comunitaria improntata al principio di precauzione;
   la tutela accordata ad alcuni prodotti DOP e IGP, ancorché costituenti una parte significativa del valore complessivo del sistema delle certificazioni, lascia senza protezione un numero considerevole di piccoli produttori di eccellenze che tuttavia contribuiscono in maniera determinante alla formazione del prodotto interno lordo del nostro Paese;
   se e quali studi scientifici siano stati condotti al fine di valutare l'impatto delle disposizioni del Ceta sul comparto agricolo ed agroalimentare nazionale e con quali strumenti di «difesa» si intenda procedere nell'eventualità che le previsioni sulla crescita e sui reciproci benefici siano invece disattese. (3-03271)
(26 settembre 2017)

  MELILLA, STUMPO, LACQUANITI, ZACCAGNINI, LAFORGIA, QUARANTA, RICCIATTI, SPERANZA, SCOTTO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, FRANCO BORDO, BOSSA, CAPODICASA, CIMBRO, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FOLINO, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MATARRELLI, MARTINO, MOGNATO, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, RAGOSTA, ROSTAN, SANNICANDRO, SIMONI, ZACCAGNINI, ZAPPULLA, ZARATTI e ZOGGIA. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   questa estate, secondo una stima della Coldiretti, sono stati bruciati in Italia 120.000 ettari di superficie forestale e agricola;
   gli incendi sono aumentati di tre volte rispetto alla media degli ultimi 10 anni;
   i danni sono calcolati nell'ordine di centinaia di milioni di euro e la Coldiretti ha addirittura stimato danni per 10.000 euro ad ettaro;
   sono state colpite tutte le attività legate all'economia dei boschi, alla zootecnia, all'agricoltura, al turismo, all'escursionismo e all'agriturismo;
   sono morti nei roghi migliaia e migliaia di animali allevati e selvatici;
   vari Parchi nazionali dell'Italia centro-meridionale, a partire dalla Majella-Morrone, ma anche i Parchi del Gran Sasso, del Vesuvio, del Gargano, del Cilento, del Pollino e della Sila sono stati devastati con gravi inevitabili gravissime ripercussioni sul nostro delicato ecosistema;
   ad avviso degli interroganti, appare necessario prevedere un intervento di aiuti straordinari per i parchi devastati da tali incendi, come pure adottare con urgenza un'azione di potenziamento dell'attività di prevenzione degli incendi soprattutto nelle aree a produzione agricola e nelle zone nazionali protette per la loro straordinaria importanza per la tutela delle biodiversità –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare per fronteggiare la drammatica situazione descritta in premessa per tutelare e supportare le aree agricole interne ai Parchi nazionali devastati dagli incendi boschivi. (3-03272)
(26 settembre 2017)

  OLIVERIO, SANI, FIORIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, CARRA, COVA, CUOMO, DAL MORO, DI GIOIA, FALCONE, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari. – Per sapere – premesso che:
   i dati del Censimento Agricoltura 2010 mostravano la grande difficoltà di ricambio generazionale nel settore agricolo e un processo di senilizzazione che determinava un freno alla competitività (minore propensione all'innovazione – intesa come di prodotto, di processo e di mercato – e agli investimenti) e rischi di carattere ambientale legati all'abbandono e alla conseguente riduzione della gestione del territorio;
   i conduttori over 65 secondo i dati Istat coltivano un quarto della superficie agricola utilizzata nazionale e producono un quinto dell'intera produzione;
   nel 2015 la Coldiretti ha segnalato una inversione di tendenza con un aumento pari al 35 per cento degli agricoltori al di sotto dei 35 anni che, tra imprenditori agricoli, coadiuvanti familiari e soci di cooperative agricole sono arrivati a superare le 70 mila unità;
   si tratta di una nuova generazione di contadini, allevatori, pescatori e pastori che non si limitano a produrre alimenti « made in Italy» ma che stanno contribuendo a difendere cultura e bellezza del Paese;
   secondo dati Ismea la tendenza è confermata anche nel 2016, con un ulteriore aumento dei giovani agricoltori che a settembre 2016 risultavano 16.200 in più rispetto al corrispondente periodo del 2015, crescendo quindi del 9,1 per cento;
   la crescita della componente giovanile in agricoltura rappresenta un fattore competitivo fondamentale confermato, negli ultimi 3 anni, dallo sviluppo del settore primario che ha registrato un aumento dell’export da 33 miliardi a 38,4 miliardi di euro;
   in base ai dati Eurostat, in Italia le aziende agricole guidate da giovani al di sotto dei 35 anni, ottengono un ricavo di 73.000 euro, a fronte di una media di 43.000 con una performance superiore anche ai pari età europei, che si attestano su una media di 44.000 euro;
   è necessario continuare a mantenere alta l'attenzione sul ricambio generazionale, con politiche a servizio dei giovani che facilitino non solo l'ingresso di quest'ultimi nel settore agricolo, ma anche attività di formazione e consulenza che li accompagnino nello sviluppo continuo della propria azienda e nel mantenimento della stessa una volta avviata;
   è necessario, inoltre, semplificare l'accesso alla terra e al credito per i giovani al fine di favorire il loro stabile inserimento nel settore –:
   quali interventi siano stati messi in campo dal Governo, con quali risultati e quali strumenti si intendano attivare nei prossimi mesi. (3-03273)
(26 settembre 2017)

  SALTAMARTINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. – Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. – Per sapere – premesso che:
   ha grande risonanza sui media la questione dell'utilizzo di circa 33 milioni di euro raccolti dagli sms solidali destinati alla ricostruzione dei territori colpiti dal terremoto del Centro Italia;
   a seguito degli eventi sismici del 24 agosto 2016 e 26 e 30 ottobre 2016, che hanno devastato il Centro Italia distruggendo i paesi Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto. Il dipartimento della protezione civile ha aperto un conto corrente bancario, presso Monte dei Paschi di Siena, per raccogliere donazioni in favore delle popolazioni colpite, ed è stato altresì attivato il numero solidale 45500, grazie al quale è stato possibile donare 2 euro inviando un sms o chiamando da rete fissa;
   come disposto dal decreto-legge n. 189 del 2016, convertito dalla legge n. 229 del 2016, le donazioni al numero solidale 45500 e i versamenti sul conto corrente bancario sono confluiti nella contabilità speciale del commissario straordinario alla ricostruzione e sono stati gestiti secondo le modalità previste dal protocollo d'intesa per l'attivazione e la diffusione di numeri solidali;
   tale protocollo contempla l'istituzione di un comitato dei garanti al fine di valutare le iniziative da finanziare e assicurare la trasparenza nella gestione delle risorse raccolte;
   il comitato ha destinato l'importo raccolto, circa 33 milioni di euro, alle regioni, in base alla percentuale dei danni subiti e dopo la valutazione delle proposte formulate;
   i progetti approvati nell'incontro del comitato del 17 luglio 2017 per ciascuna delle quattro regioni terremotate sono stati annunciati nel sito della protezione civile;
   risultano finanziati progetti in comuni fuori dal cratere e comunque non interessati da zona rossa, come Poggio Bustone, Collevecchio, Rivodutri nel Lazio, mentre sono stati ignorati comuni completamente distrutti come Amatrice e Accumoli;
   a parere degli interroganti, i fondi raccolti dalla solidarietà degli italiani, che hanno voluto partecipare con il proprio contributo al grave disagio della gente terremotata, dovrebbero essere utilizzati per interventi complementari nelle zone maggiormente colpite dal sisma e non dovrebbero essere destinati a coprire le necessità del Governo per mancanza di fondi statali;
   occorre verificare l'effettiva destinazione dei fondi, per rispetto della volontà popolare e anche in considerazione dei ritardi registrati per la ricostruzione, ormai sotto gli occhi di tutti, e fugare ogni dubbio sulla raccolta dei soldi –:
   se il Governo intenda chiarire l'effettiva destinazione dei 33 milioni di euro raccolti dagli sms solidali e quali criteri siano stati utilizzati dal comitato dei garanti per la scelta dei progetti finanziati.
(3-03274)
(26 settembre 2017)

  FASSINA, MARCON, CIVATI, FRATOIANNI, AIRAUDO, PELLEGRINO, PLACIDO, PAGLIA e GREGORI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la compagnia aerea Ryanair ha previsto la cancellazione tra il 19 settembre e il 28 ottobre 2017 di centinaia di voli su tutto il territorio nazionale creando problemi a circa 400 mila passeggeri, disagi al trasporto aereo e all'economia nazionale ed europea;
   all'origine della decisione della compagnia ci sarebbe un errato calcolo delle ore di riposo e delle ferie non goduto dai piloti della compagnia aerea;
   i piloti in esercizio o che hanno ormai abbandonato l'azienda (oltre il 17 per cento del totale da inizio 2017), hanno rilasciato interviste nelle quali spiegano di subire inaccettabili condizioni contrattuali e di lavoro, con l'impossibilità ad esercitare i propri diritti sindacali. Nella stessa situazione si troverebbero anche i lavoratori dell'azienda che svolgono altre mansioni (primi ufficiali, steward e hostess, e altro);
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha aperto una istruttoria, dal momento che le cancellazioni potrebbero configurare una violazione dei doveri di diligenza di cui all'articolo 20 del Codice del consumo, nella misura in cui sarebbero in larga misura riconducibili a ragioni organizzative e gestionali già note all'azienda, quindi non a cause esterne al suo controllo, causando notevoli disagi ai consumatori;
   un secondo profilo di contestazione riguarderebbe il tenore e le modalità delle informazioni con cui i passeggeri sono stati informati della cancellazione dei voli e dei diritti che possono esercitare ai sensi del Reg. CE 261/04, che potrebbero essere idonei a indurli in errore circa l'esistenza e l'esercizio di tali diritti;
   Ryanair avrebbe offerto ai suoi piloti un bonus straordinario in cambio della parziale rinuncia alle ferie, ma i piloti non sembrano disposti ad accettare. Dalle loro dichiarazioni è evidente che la questione delle ferie vada inserita in un contesto più ampio relativo alle condizioni contrattuali e alla eccessiva flessibilità loro richiesta, che ha effetti negativi sulle condizioni di lavoro e di riflesso sul mercato e i diritti dei consumatori;
   la mancanza di insufficienti standard sociali e contrattuali nel mercato unico e della concorrenza crea fenomeni di dumping sociale –:
   quali iniziative intenda intraprendere, in sede nazionale ed europea, per ottenere l'innalzamento di standard sociali e contrattuali di tutela delle condizioni di lavoro nella regolamentazione del settore aereo, al fine di favorire l'applicazione di contratti collettivi che garantendo meglio il lavoro siano in grado di innalzare la qualità dei servizi. (3-03275)
(26 settembre 2017)

  RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'inchiesta denominata «chiamata alle armi», lunedì 25 settembre 2017 la Guardia di finanza di Firenze ha disposto una trentina di misure cautelari a carico di docenti universitari, tutti accusati di corruzione per concorsi universitari truccati e l'assegnazione fraudolenta di cattedre, sette dei quali sono stati arrestati mentre agli altri è stato interdetto l'esercizio delle funzioni di professore universitario e di quelle connesse ad ogni altro incarico accademico per la durata di dodici mesi;
   nell'inchiesta, nata dal tentativo di alcuni professori universitari di indurre un ricercatore, candidato al concorso per l'abilitazione scientifica nazionale all'insegnamento nel settore del diritto tributario, a ritirare la propria domanda allo scopo di favorire un altro ricercatore in possesso di un curriculum notevolmente inferiore, promettendogli in cambio l'abilitazione nella tornata successiva, sono indagate complessivamente cinquantanove persone su tutto il territorio nazionale;
   le indagini, come affermato dalla Guardia di finanza in una nota, hanno consentito di accertare «sistematici accordi corruttivi tra numerosi professori di diritto tributario», alcuni dei quali pubblici ufficiali poiché componenti di diverse commissioni nazionali nominate dal Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, finalizzati a rilasciare abilitazioni «secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori» al fine di soddisfare «interessi personali, professionali o associativi»;
   non è la prima volta che il sistema universitario italiano è interessato da gravi scandali, basta ricordare quello di pochi anni fa che aveva rivelato quanto lo stesso fosse afflitto dal nepotismo delle trasmissioni di cattedra di padre in figlio, fenomeno, peraltro, tutt'altro che sconfitto come rivelano i più recenti dati ufficiali;
   l'università italiana sta già attraversando un periodo di profonda crisi, da un lato per la riduzione delle risorse finanziarie e di personale che hanno colpito la quasi totalità degli atenei, e, dall'altro, per la disaffezione mostrata da migliaia di diplomati che scelgono di non intraprendere il percorso universitario –:
   quali siano le sue valutazioni, per quanto di competenza, in merito ai fatti descritti in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere per scongiurare il ripetersi di simili episodi e realizzare un sistema universitario efficiente e trasparente, in grado di formare davvero i giovani italiani. (3-03276)
(26 settembre 2017)