TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 832 di Mercoledì 12 luglio 2017

 
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MOZIONI IN MATERIA DI TRASPARENZA DEI CONTRATTI DERIVATI STIPULATI DAL MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni i contratti derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze con molteplici controparti bancarie hanno generato cospicue perdite effettive e potenziali per lo Stato;
    in base a dati pubblicati ad aprile 2016 dall'ISTAT nel 2015 i contratti derivati hanno generato perdite per complessivi 6,8 miliardi di euro;
    nella risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 3-02802 del 21 febbraio 2017, il Ministro interrogato ha reso noto, tra l'altro, che:
     a) il valore di mercato della posizione complessiva dello Stato in contratti derivati al 31 dicembre 2016 è di circa 37,8 miliardi di euro con segno negativo;
     b) nel corso del 2016 il saldo tra pagamenti e incassi del portafoglio swap è stato pari a circa 4,2 miliardi di euro;
     c) nel 2016 le banche-controparti hanno esercitato quattro swaptions con effetto complessivo sul debito contabile dello Stato pari a circa 3,2 miliardi di euro;
     d) nel 2016 lo Stato ha subìto altresì l'esercizio di una clausola di early termination inserita in un contratto di interest rate swap e, per effetto dell'estinzione anticipata del contratto, ha dovuto corrispondere alla banca-controparte un importo di un miliardo di euro circa;
    da alcuni articoli di stampa pubblicati lo scorso mese di febbraio e non smentiti dal Ministero, si è appreso che i contratti derivati chiusi anticipatamente da Morgan Stanley tra fine 2011 e inizio 2012 contenessero delle clausole di riservatezza (confidentiality) a beneficio della Banca, ma, derogabili da parte del «Tesoro» se a chiedere di conoscere i contratti siano alcune istituzioni, tra cui è compreso un ordine di un legislative body cioè un'entità legislativa tra cui – ad avviso degli scriventi – rientrano senza dubbio le Camere e le relative Commissioni,

impegna il Governo

1) al fine di innalzare il livello di trasparenza sull'operato in materia di derivati dello Stato – valendosi delle suddette deroghe contrattuali – a rendere pubblici i contratti derivati estinti anticipatamente da Morgan Stanley ed a rendere noti tutti i contratti derivati in essere o quanto meno estinti, anche con altre controparti bancarie, che non presentino clausole di riservatezza o che presentino clausole derogabili come quelle di Morgan Stanley.
(1-01594)
«Ruocco, Sibilia, Alberti, D'Uva, Pesco, Pisano, Villarosa».
(11 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il ricorso a strumenti finanziari quali i contratti derivati da parte dello Stato Italiano non è un fenomeno recente, bensì strutturale e di lungo periodo, che ha avuto inizio tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta. Finalità del ricorso agli strumenti di finanza derivata era essenzialmente quella di contrastare il rischio di cambio monetario in un periodo fortemente segnato da ampie fluttuazioni della lira;
    tali operazioni sono state di segno positivo, producendo dunque dei guadagni che hanno avuto effetti positivi di riduzione dell'indebitamento netto, nel periodo che va dal 1998 al 2005. Dopo tale anno si registra una netta inversione di tendenza, dovuta in gran parte a fattori di natura macro economica e al ciclo economico internazionale, con un aumento della spesa per interessi che ha prodotto effetti negativi sul debito;
    il ricorso agli strumenti finanziari derivati è stato molto ampio anche da parte degli enti locali a partire dalla metà degli anni Novanta con risultati in gran parte non positivi e che hanno successivamente indotto il legislatore ad intervenire più volte a partire dal 2001 proprio al fine di regolare e limitare il ricorso degli enti locali all'investimento in contratti derivati;
    la gestione dei contratti derivati è materia estremamente complessa in particolare da parte dell'amministrazione pubblica centrale, perché impone attente analisi al fine di valutare la remuneratività dell'investimento, ai fini dei conti pubblici e del bilancio statale, in un arco temporale molto esteso che va ben oltre il periodo di vigenza dell'amministrazione pro tempore che stipula il contratto o decide di avvalersi delle clausole o delle opzioni che alcuni strumenti derivati prevedono nel tempo;
    in tal senso, è estremamente indicativa la vicenda che nel 2012 vide il Governo italiano dover pagare 3,1 miliardi di euro alla banca Morgan Stanley per chiudere quattro contratti derivati e rinegoziare due coperture sulle valute. Il Governo dell'epoca, a quanto si apprese, non poté esimersi da tale ingentissimo esborso di risorse pubbliche in forza dell'applicazione di una clausola inserita nel 1994 nei contratti stipulati con Morgan Stanley e dell'esistenza della quale i membri del Governo e i dirigenti del Tesoro nel 2012 sembra non avessero piena contezza;
    proprio su tale vicenda è in corso un procedimento per danno erariale avviato dalla Corte dei Conti nell'ambito del quale la richiesta complessiva di danni ammonta a più di quattro miliardi di euro;
    al di là del procedimento giudiziario-contabile, del quale è doveroso attendere la conclusione definitiva, la vicenda del 2012 ha rappresentato un forte shock per l'opinione pubblica ed ha squarciato il velo che avvolgeva la materia relativi ai contratti derivati dello Stato;
    come rilevato da un documento redatto dall'Ufficio parlamentare di bilancio del 9 febbraio 2015 sull'utilizzo di strumenti finanziari derivati da parte dell'amministrazione centrale vi è stata e perdura un'assenza di informazione pubblica e di piena trasparenza sulla natura dei prodotti detenuti e sulle operazioni stipulate;
    gli elementi di rischio insiti nella natura degli strumenti finanziari derivati, la loro estensione temporale, e soprattutto l'utilizzo di risorse pubbliche e gli effetti che si possono produrre sul bilancio statale, richiedono di fornire un livello minimo di trasparenza, costituito da informazioni periodiche inerenti alle operazioni già stipulate e ancora in essere, quelli di nuova stipula, relativamente al valore nozionale del contratto e all'ammontare complessivo delle risorse coinvolte, alla durata, alle controparti, al loro merito di credito e al valore di mercato. Per gli strumenti di nuova stipula, dovrebbero essere fornite informazioni, almeno aggregate per tipologia e durata dei derivati, riguardanti il valore nozionale, il merito di credito delle controparti e il valore di mercato, come peraltro avviene in molti Stati europei, al fine di consentire una valutazione sulle scelte operate e sulle strategie poste in essere dal decisore pubblico;
    tale trasparenza è stata già da tempo prevista dal legislatore per gli enti locali in relazione ai contratti derivati detenuti;
    continua invece ad essere non adeguata per quanto riguarda il Governo, fatti salvi i dati forniti saltuariamente in occasione di risposte ad atti di sindacato ispettivo;
    appare condivisibile quanto sostenuto dal Ministro dell'economia e delle finanze sul livello di disclosure in riferimento agli strumenti derivati, anche in risposta ad atti di sindacato ispettivo, in ordine alla necessità di tutelare lo Stato da uno svantaggio competitivo che si potrebbe produrre nei confronti di altri operatori di mercato; purtuttavia, tale necessità può trovare un punto di equilibrio con l'esigenza di fornire strumenti basilari di conoscenza e trasparenza al fine di consentire ex post una valutazione ed un controllo sulla gestione di risorse pubbliche operata,

impegna il Governo

1) ad individuare gli strumenti e le forme di pubblicità che riterrà opportune al fine di fornire elementi di conoscenza e informazione di natura periodica in ordine alle operazioni in strumenti derivati che consentano ex post la possibilità di operare un controllo e una valutazione sulla gestione effettuata.
(1-01653)
«Melilla, Laforgia, Albini, Capodicasa, Ricciatti, Zoggia, Scotto, Kronbichler, Roberta Agostini, Zaccagnini».
(3 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi tempi l'attività in strumenti derivati dello Stato è stata oggetto di particolare attenzione da parte del Parlamento e degli organi di informazione;
    l'indagine conoscitiva avviata dalla VI Commissione della Camera il cui programma di audizioni si è concluso nella prima metà del 2015 ha posto in luce la necessità di maggiori informazioni in materia, su cui il livello di trasparenza risultava inferiore al resto delle attività legate alla gestione del debito pubblico;
    nel corso delle suddette audizioni è stata in larga parte colmata tale lacuna informativa e, al tempo stesso, è stato formalmente preso l'impegno da parte direttore generale del tesoro a rendere regolare il flusso informativo in un rapporto annuale sulla gestione del debito pubblico;
    si è apprezzato il rispetto di tale impegno, che ha visto una cospicua mole di dati fornita nel rapporto annuale sul debito pubblico, in cui si è dato conto delle strategie sottostanti all'utilizzo degli strumenti derivati nell'ambito della gestione complessiva e si sono illustrate in dettaglio le operazioni concluse nell'anno di riferimento, in modo tale da rendere chiari obiettivi perseguiti e risultati conseguiti in un contesto organico di integrazione delle varie attività gestionali;
    il livello di trasparenza raggiunto è ormai paragonabile a quello dei Paesi che divulgano il più ampio set di Informazioni al riguardo, senza che nessuno si spinga alla pubblicazione dei singoli contratti, viste le evidenti controindicazioni in termini di potenziali impatti di mercato;
    sono stati rispettati gli adempimenti richiesti dalla riforma della legge di contabilità (legge 4 agosto 2016, n. 163), con l'ottemperanza del dispositivo di cui all'articolo 10, comma 3, lettera f), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, attraverso l'inserimento nella sezione II del documento di economia e finanza (DEF) di una disamina degli effetti dei flussi di cassa correlati alla gestione in strumenti derivati, sia con riferimento ai dati di consuntivo, sia esplicitando gli impatti attesi nell'orizzonte di previsione del DEF;
    permane, tuttavia, una difficoltà di lettura di taluni impatti, come recenti articoli di stampa hanno evidenziato, lasciando margini ad interpretazioni soggettive che rischiano di non essere del tutto corrette;
    il quadro complessivo richiede comunque ulteriori sforzi nel senso della trasparenza, che la rilevanza degli importi impone: in particolare, appare necessario spiegare meglio i diversi impatti non solo finanziari, ma anche di natura contabile secondo la normativa statistica europea, su saldi e stock di finanza pubblica, e utile la pubblicazione di chiarimenti su come si collegano fra loro le diverse pubblicazioni in materia, auspicabilmente integrandole ove la loro lettura non appaia di immediata comprensione,

impegna il Governo:

1) a rendere disponibile sul sito web del dipartimento del tesoro relativo al debito pubblico con maggiore frequenza, preferibilmente su base trimestrale, l'aggiornamento dei dati, oggi disponibili solo annualmente, relativi a: nozionali e valori di mercato del portafoglio derivati, stock dei titoli di Stato valorizzato non solo al valore nominale ma anche al valore di mercato, indicatori di rischio con e senza impatto dei derivati;

2) a chiarire nel rapporto annuale sul debito i legami fra le diverse pubblicazioni statistiche in materia di derivati, dando contezza dei relativi impatti su saldi e stock di finanza pubblica, integrando l'informazione ove necessario.
(1-01654)
«Marchi, Tancredi, Librandi, Tabacci, Locatelli, Gebhard, Giampaolo Galli, Boccadutri, Paola Bragantini, Cenni, Covello, Dell'Aringa, Fanucci, Cinzia Maria Fontana, Ginato, Giulietti, Guerra, Losacco, Marchetti, Melilli, Misiani, Parrini, Pilozzi, Preziosi, Rubinato».
(3 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    i contratti su strumenti derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze con controparti bancarie hanno generato, negli ultimi anni, perdite enormi per lo Stato italiano e che, in base a dati dell'Istat pubblicati nell'aprile 2016, nel solo 2015 i contratti su strumenti derivati hanno generato perdite per complessivi 6,8 miliardi di euro;
    la posizione negativa complessiva dello Stato in contratti derivati al 31 dicembre 2016 ammonta a circa 37,8 miliardi di euro;
    la procura generale presso la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha recentemente aperto un procedimento istruttorio circa l'avvenuto pagamento da parte del Ministero dell'economia e delle finanze italiano di 2,5 miliardi di euro alla banca di affari americana Morgan Stanley per la chiusura di strumenti derivati, definiti «speculativi» dalla stessa Corte, conclusosi con l'invito a fornire informazioni alle parti interessate, in particolare, all'attuale direttrice della direzione debito pubblico del Tesoro, Maria Cannata, al suo predecessore e attuale direttore generale del tesoro, Vincenzo La Via e agli ex direttori generali del tesoro, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, ai quali è stato contestato un danno allo Stato quantificabile in 4,1 miliardi di euro, dei quali circa 1 miliardo alla sola Cannata;
    nel suddetto atto di citazione, la Corte ha riconosciuto come il Tesoro abbia versato nelle casse della banca d'affari Morgan Stanley 3,1 miliardi di euro pubblici per chiudere quattro contratti derivati e rinegoziare due coperture sulle valute;
    come riconosciuto dalla predetta Corte, per una commissione di 47 milioni di euro nel 2004, Morgan Stanley nel 2012 ha incassato un miliardo di euro su un solo derivato;
    nel 2011, Morgan Stanley aveva 19 contratti derivati aperti con lo Stato italiano, in diverse valute, pari a oltre 10 miliardi di euro, 2,2 miliardi di sterline, 1,1 miliardi di franchi svizzeri e 2 miliardi di dollari, con maturity dai 10 ai 40 anni e, su alcuni di questi, la predetta Corte ha riconosciuto l'esistenza di «palesi violazioni dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione contrattuale»;
    dall'inchiesta della predetta Corte è emerso che il Tesoro non solo non era capace di predispone i collaterali sui contratti sottoscritti, ma aveva perfino «carenza di risorse strumentali e di personale adeguato», tanto da non essere in grado di ponderare il rischio dei contratti che andava sottoscrivendo;
    nel 2016 le controparti hanno esercitato quattro swaptions con effetto complessivo sul debito dello Stato pari a circa 3,2 miliardi di euro;
    nel 2016 lo Stato ha subìto altresì l'esercizio di una clausola di early termination inserita in un contratto di interest rate swap e, per effetto dell'estinzione anticipata del contratto, ha dovuto corrispondere alla controparte l'importo di un miliardo di euro circa;
    il decreto legislativo n. 97 del 2016 ha introdotto significative modifiche al decreto legislativo n. 33 del 2013, recante disposizioni in materia di trasparenza, e il nuovo articolo 5 del suddetto decreto ha disposto il diritto di accedere incondizionatamente a tutte le informazioni e dati che le amministrazioni sono tenute a rendere pubbliche tramite inserimento sui propri siti web, prevedendo che: «Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis»;
    il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 13 ottobre 1995, n. 561 - Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell'ambito delle attribuzioni del Ministero del tesoro e degli organi periferici in qualsiasi forma da questi dipendenti sottratti al diritto di accesso all'articolo 3 non prevede che i contratti di diritto privato sottoscritti dal Tesoro con banche specialiste siano sottratti al diritto d'accesso,

impegna il Governo

1) a rendere pubblici, in versione integrale, tutti i contratti derivati in essere ed estinti dello Stato italiano, con tutte le controparti bancarie, nonché tutti gli accordi quadro («master agreement» e «schedules»), le conferme degli ordini («confirmation»), i decreti ministeriali autorizzativi e relativi all'apertura/ristrutturazione/novazione dei contratti, le attestazioni dei titoli sottostanti alle singole operazioni di copertura, i «term sheet» e il materiale illustrativo forniti dalle controparti, la documentazione che possa attestare contributori, soluzioni informatiche e modellistiche adottate per il «pricing», strutture dei tassi, di volatilità e curve di sconto «intraday», ovvero ogni documento che possa permettere o essere utile per la verifica di congruità puntuale dei prezzi negoziati con le controparti e, quindi, degli oneri e rischi preventivamente stimati dagli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze.
(1-01655)
«Brunetta, Sandra Savino, Giacomoni, Laffranco, Alberto Giorgetti, Palese, Milanato, Prestigiacomo».
(3 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    è comunemente noto che la maggiore componente del debito, pari circa all'84 per cento, è costituita dai titoli obbligazionari, che includono titoli di Stato, ossia tutti i titoli obbligazionari emessi dal Ministero dell'economia e delle finanze, sia sul mercato interno (BOT, CTZ, CCT, CCTeu, BTP, BTP€I e BTP Italia), sia sul mercato estero (programmi Global, MTN e Carta commerciale);
    l'Italia accede ai mercati esteri con differenti modalità: attraverso il programma «Global bond», la modalità di finanziamento più importante, con il quale sono emessi titoli diretti ad investitori di ogni parte del mondo anche se il mercato di riferimento principale è quello degli Stati Uniti che consente di soddisfare la gran parte della propria provvista sui mercati internazionali; attraverso il programma di prestiti a medio termine, «Medium Term Note Program», attivato sin dal 15 luglio 1998, rivolto principalmente ad investitori europei ed asiatici; nonché attraverso il programma di carta commerciale, cui costantemente ha fatto ricorso il Dipartimento del tesoro negli ultimi anni che, grazie alle sue caratteristiche di estrema flessibilità, permette al nostro Paese di finanziarsi emettendo titoli a sconto, di durata inferiore all'anno;
    sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze si legge che gli strumenti derivati, nonostante siano utilizzati per attività speculative - e questo uso è stato tra le cause della crisi, prima finanziaria e poi economica, cominciata nel 2007 - «possono però essere utilizzati come strumenti di protezione da rischi finanziari. Questo è l'uso che ne fa il Dipartimento del tesoro, che utilizza i contratti derivati per mettere il servizio di gestione del debito al riparo da eventi sfavorevoli sui mercati finanziari (per esempio, un'impennata dei tassi d'interesse) e sui mercati valutari (per esempio, una dinamica sfavorevole nei rapporti con altre valute di emissione di titoli di debito)»; in questa ottica, servirebbero a diversificare la base degli investitori internazionali per contenere il costo complessivo della provvista ed il rischio connesso al rifinanziamento del debito;
    in sede di audizione presso la Camera, nel febbraio 2015, il Dipartimento del tesoro ha spiegato che si sottoscrivono contratti derivati per assicurarsi una copertura che «minimizzi l'impatto di eventi sfavorevoli»: quest'ultima, però, presenta dei costi, come in tutte le assicurazioni, qualora non si verifichi l'evento sfavorevole. Sempre sul sito è riportato che «il valore di mercato di un contratto derivato non è, quindi, una perdita, ma una fotografia, date le condizioni di mercato del momento in cui la foto è scattata. Il costo effettivamente sostenuto anno per anno è registrato come costo di gestione del debito, al pari degli interessi pagati sui titoli di Stato»;
    sicuramente l'atteggiamento del Governo risulta altalenante: da un lato, si ammette che i derivati siano stati la causa della pesantissima crisi finanziaria, generata dal crollo dei mutui sub-prime nell'estate del 2008 – che portò al fallimento a catena di alcune banche d'affari, tra cui la celeberrima Lehman Brothers – e che poi si è riversata sull'economia reale del mondo intero ed in particolare, in Europa, del nostro Paese, con ripercussioni gravissime sui livelli occupazionali, sull'attività delle imprese e sullo stato di salute dei bilanci pubblici; dall'altro, però, si difendono i derivati, sostenendo che «una corretta valutazione nella gestione dei derivati può essere effettuata soltanto mettendo il costo sostenuto per i contratti in relazione con il costo sostenuto per gli interessi sul debito sottostante» e che «poiché il costo dei derivati tipicamente sottoscritti dal Tesoro cresce quando scendono i tassi di interesse, e diminuisce quando gli stessi crescono, il risultato conseguito grazie ai derivati è di contenere il costo della gestione del debito in un perimetro ragionevolmente pianificabile»;
    è opportuno, quindi, ricordare che la «bolla» finanziaria che ha poi portato alla conseguente crisi è stato il risultato di una ripetuta e globale pratica di speculazione finanziaria ad elevata rischiosità dovuta ad un utilizzo spropositato di alte leve finanziarie associate alla compravendita di titoli «tossici», al fine di moltiplicare i profitti di investitori desiderosi di accumulare immensi guadagni a fronte dell'investimento di un capitale di base minimo. Tra gli strumenti finanziari maggiormente usati si ritrovano proprio i derivati associati a leve finanziarie elevate, oggetto di contrattazione in molti mercati, soprattutto in mercati al di fuori dei centri borsistici ufficiali, ossia in mercati non regolamentati, i cosiddetti OTC;
    la tanto decantata autoregolamentazione del mercato si è rivelata fallimentare e rischiosa, in quanto il sistema finanziario, sottratto ad ogni tipo di controllo istituzionale, ha lasciato il passo a prassi speculative rischiosissime, in cui gli operatori si sono sottratti da qualsiasi responsabilità di ordine debitorio ed etico;
    nel caso di fallimento di uno solo di questi soggetti, l'elevata interconnessione del sistema bancario in questo gioco di speculazione espone al rischio di default dell'intero sistema finanziario e bancario di un Paese, con ripercussioni anche internazionali, e la conseguente necessità di intervento degli Stati con giganteschi piani di salvataggio e ricapitalizzazione, così come è avvenuto anche nel nostro Paese;
    i derivati causano inoltre altri effetti negativi sul debito pubblico: secondo quanto dichiarato dallo stesso Ministro dell'economia e delle finanze presso la Camera dei deputati nel febbraio 2017, in sede di risposta ad un atto di sindacato ispettivo, il Tesoro ha sborsato 5,2 miliardi di euro per contratti derivati in essere con le banche internazionali, ammettendo che le perdite e i debiti prodotti da tali strumenti finanziari erano in continuo peggioramento (alla fine del 2016 il flusso negativo era pari a 37,8 miliardi di euro a fronte di 36,6 miliardi alla fine del 2015). Inoltre, nello stesso anno, 3,2 miliardi di euro di aumento del debito è imputabile alla maturazione delle swaption, ossia dei contratti di opzione su un interest rate swap. Si rammenta che lo swap, appartenendo alla categoria degli strumenti derivati, consiste nello scambio di flussi di cassa tra due controparti e si presenta come un contratto nominato (ma atipico in quanto privo di disciplina legislativa), a termine, consensuale, oneroso e aleatorio. Quest'ultimo, pur essendo annoverato come uno dei più moderni strumenti di copertura dei rischi, è comunque irrazionalmente costoso;
    lo scorso anno, infatti, quando le banche hanno deciso di esercitare le proprie opzioni – perché gli swap erano loro convenienti – il Tesoro ha dovuto pagare nel tempo un flusso netto d'interessi pari a 3,2 miliardi di euro;
    tenuto conto che il valore di mercato dei derivati corrisponde al flusso netto dei pagamenti attesi in futuro, è presumibile che le perdite potenziali sui derivati, di cui, come detto, 5,2 miliardi di euro sono stati già pagati nel 2016, possano ulteriormente peggiorare. Infatti, il Ministro dell'economia e delle finanze, nella stessa sede della Camera, ha reso noto che le ristrutturazioni di nuovi swaption avrebbero comportato un incremento del debito superiore a quello registrato;
    in particolare, inchieste di autorevoli organi di stampa hanno rivelato che i contratti con clausola di riservatezza influenzerebbero in maniera corposa l'andamento negativo del debito pubblico; stando alle stesse inchieste, simili contratti, accordati con la Morgan Stanley, sono costati al bilancio del nostro Paese ben 3,1 miliardi nel 2012. Sulla vicenda si è anche espressa la Corte dei Conti che ha quantificato in 4,1 miliardi di euro i danni erariali che potrebbero essere chiesti all'istituto americano e ad alcuni dirigenti del Tesoro;
    ancor più esosi risultano i costi complessivi di tali strumenti: da un report pubblicato dal Tesoro nel 2015, su 2.199 miliardi di debito pubblico, 160 miliardi erano riconducibili ai derivati, per cui si presume, che dal 2012 al 2016 lo Stato italiano abbia sostenuto costi per 16,9 miliardi di euro (con una perdita potenziale di 40 miliardi) solo per questi contratti;
    nonostante il tentativo di rendere più trasparente l'operato del Governo in questo ambito, attraverso l'inserimento nella seconda sezione del documento di economia e finanza (Def), di informazioni di dettaglio sui risultati e sulle previsioni dei conti dei principali settori di spesa, almeno per il triennio successivo, con particolare riferimento a quelli relativi all’«ammontare della spesa per interessi del bilancio dello Stato correlata a strumenti finanziari derivati», sarebbe ancora necessario intervenire al fine di aumentare la responsabilità degli agenti contabili che si occupano di tali investimenti e di individuare con precisione i centri di responsabilità amministrativa a cui imputare eventuali gestioni poco oculate,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative in tema di trasparenza al fine di rendere noto l'ammontare degli stock in essere relativi ai contratti derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze, da un lato, informando trimestralmente le Camere sui contratti che contengono clausole di riservatezza, compresi i relativi costi sostenuti dal bilancio dello Stato e l'incidenza di questi sul debito e, dall'altro, a fini conoscitivi generali dei cittadini, pubblicando semestralmente sul sito istituzionale del Ministero medesimo i dati relativi ai contratti derivati senza clausola di riservatezza, corredati, ugualmente, dai relativi costi sostenuti e dai dati sull'incidenza di questi sul debito;

2) ad adottare, tenuto conto che i derivati sono strumenti costosi e aleatori connessi al rischio di rifinanziamento del debito, maggiori misure di trasparenza in sede di scelta degli istituti con cui contrattare i derivati, anche sulla base di indirizzi espressi dalle commissioni parlamentari competenti, al fine di stabilire con certezza quale sia l'agenzia che offre le condizioni economiche più convenienti ed abbattere, nella maggior misura possibile, il costo delle commissioni.
(1-01658)
«Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
(4 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    in questa legislatura, la Commissione finanze ha svolto un'indagine conoscitiva sulle tematiche relative agli strumenti finanziari derivati, compiendo un monitoraggio ad ampio raggio, sia con riferimento al comparto pubblico, sia con riferimento al comparto privato, su un settore dei mercati finanziari che appare particolarmente articolato e controverso, in ragione della complessità dei meccanismi contrattuali con cui sono costruiti, del carattere speculativo caratterizzante alcuni di tali strumenti, nonché delle dimensioni della leva finanziaria ad essi sottostante;
    in questo contesto è emerso come il fenomeno del ricorso agli strumenti finanziari derivati, in particolare da parte dello Stato e degli enti locali, debba essere inquadrato anche all'interno del più ampio tema della complicata gestione della nostra finanza pubblica: in breve occorre «guardare la foresta, non solo l'albero», ovvero il tema rappresentato dagli strumenti finanziari derivati è a maggior ragione preoccupante se si considera il «contesto» del debito pubblico italiano; il debito italiano è infatti il terzo debito pubblico del mondo, con oltre 2 mila miliardi di euro, ed è questa la madre di tutte le anomalie: appare dunque con chiarezza come la gestione di una simile massa debitoria porti con sé tutta una serie di altre anomalie, tra cui appunto l'uso massiccio degli strumenti finanziari derivati, per valori e perdite ritenute «accettabili» non paragonabile all'uso che ne fanno gli altri Paesi europei;
    è questo primo aspetto, nella metafora, la «foresta», il vero e proprio fallimento della politica italiana, che chiama in causa partiti e classe dirigente sia della Prima Repubblica, per aver generato questa incredibile mole di debito pubblico, inseguendo il consenso di breve-medio termine ma scaricando sulle future generazioni (che non potevano votare, ne scioperare, né protestare) un fardello immenso, sia della Seconda Repubblica, per essersi limitati a gestire lo status quo, senza avere il coraggio e la forza di tentare operazioni per abbattere, o almeno ridurre significativamente, questo debito, nemmeno quando le condizioni politiche e macro-economiche erano più favorevoli, per esempio negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore dell'euro, quando i tassi di interesse sui titoli di Stato toccarono i minimi storici grazie all'implicita garanzia europea;
    dal confronto tra l'Italia e gli altri. Paesi dell'Unione europea nell'uso degli strumenti finanziari derivati emerge un'anomalia che non può che destare forti preoccupazioni, in quanto nessun Paese e esposto ai derivati come lo e l'Italia: l'Italia e il primo Paese in Europa per perdite potenziali da derivati, con un valore di mercato negativo per circa 42 miliardi di euro; anche in rapporto al prodotto interno lordo il valore di mercato dei derivati italiani è tra i peggiori (peggio di noi solo la Grecia); è vero che rispetto al debito pubblico le distanze si riducono, che le dimensioni del debito italiano spiegano almeno in parte il massiccio ricorso ai derivati, e che bisogna tener conto dei benefici ricevuti dall'assicurazione sui movimenti sfavorevoli dei tassi di interesse, ma tutto ciò non rende meno anomala e allarmante la situazione;
    desta altresì forte preoccupazione la presenza in alcuni contratti derivati attualmente in essere, o chiusi nel recente passato, di clausole particolarmente onerose, definite addirittura «uniche nel loro genere»;
    non si può inoltre ignorare che permane un quadro di estrema incertezza e debolezza della economia italiana e dei tassi di interesse sui titoli di Stato: in tale contesto, ci si deve chiedere se basteranno le decisioni assunte dalla BCE a mantenere bassi i tassi, anche di fronte a dati di crescita deludenti, oppure se essi torneranno ad alzarsi, e in tale caso di quanto;
    non ci si può permettere di sottovalutare – o comunque di non considerare come possibile scenario di «worst case» – l'eventualità che l'Eurozona precipiti in una nuova crisi finanziaria: al riguardo l'andamento dei credit default swap (CDS) sul debito italiano – in un momento, come oggi, di relativa calma – dimostra che l'Italia continua ad essere considerata come potenziale «anello debole» in caso di crisi; occorre dunque chiedersi cosa accadrà alla scadenza del Quantitative Easing, quando i mercati dovranno tornare a giudicare la sostenibilità del debito pubblico italiano in relazione alla salute e alle potenzialità della economia, al netto delle condizioni favorevoli del Quantitative Easing;
    di fronte a questo quadro però, non sarebbe né utile né responsabile abbandonarsi a un approccio scandalistico: al contrario, seguendo l'appropriato approccio già adottato dalla Commissione in occasione della richiamata indagine conoscitiva, occorre innanzitutto realizzare una seria analisi e una fotografia accurata e nitida della situazione e, in secondo luogo, individuare possibili piste di lavoro per uscire dall'emergenza;
    è innanzitutto inaccettabile l'idea che il Parlamento sia tenuto all'oscuro della gestione di strumenti finanziari così delicati come i derivati, in quanto la loro complessità e le comprensibili ragioni di cautela non possono far sì che il Parlamento sia l'ultimo a sapere quando in gioco ci sono la tenuta dei conti pubblici, il denaro dei contribuenti e il livello di benessere e servizi pubblici che lasceremo in eredità alle future generazioni;
    la posta in gioco è altissima: per comprendere meglio di quali grandezze si tratti, basti pensare che con quello che il Paese spende ogni anno sui derivati si potrebbe cancellare una rilevante massa di tassazione sui cittadini, per non parlare delle perdite potenziali;
    se, da un lato, non si possono dimenticare le competenze maturate in materia dal Ministero dell'economia e delle finanze, nella gestione sia del debito pubblico in generale sia in particolare di strumenti così complessi come i derivati, dall'altro non ci si può nemmeno cullare nell'illusione che tutto vada sempre per il meglio e che non possano, al contrario, verificarsi degli shock finanziari; ad esempio, e impari il confronto tra i desk delle maggiori banche (capaci di condurre analisi mark to market minuto per minuto) e un ufficio pubblico, per quanto preparato ed esperto; inoltre, appaiono molto meno trasparenti le modalità, e ancor più elevate le criticità, nella gestione degli strumenti finanziari derivati da parte delle autonomie locali,

impegna il Governo:

1) a presentare in Parlamento proposte normative volte ad un reale abbattimento del debito pubblico, di natura non «cosmetica», che avrebbe, tra i suoi effetti positivi, anche quello di riportare su livelli fisiologici il ricorso agli strumenti finanziari derivati;

2) a garantire piena accountability, nei confronti del Parlamento e dell'opinione pubblica, circa tali operazioni finanziarie, assicurando trasparenza, totale conoscibilità almeno delle operazioni in strumenti derivati concluse, nonché un quadro informativo completo, con rapporti semestrali per valutare nell'insieme il profilo di rischio di tali operazioni;

3) per il futuro, a presentare in Parlamento una proposta di linee-guida dettagliate, recanti soprattutto una netta distinzione tra operazioni finanziarie in derivati consentite allo Stato e agli enti territoriali (quelle di carattere essenzialmente «assicurativo» e di tutela), e quelle che non dovranno essere più consentite ai soggetti pubblici (quelle a carattere «speculativo» o eccessivamente rischiose);

4) a presentare in Parlamento una proposta di normativa-quadro relativa alla definizione di adeguate e fattibili procedure di controllo su tali operazioni finanziarie, sia interno alle strutture del Ministero dell'economia e delle finanze sia esterno, da parte della Corte dei conti, sia preventivo che successivo alle operazioni stesse;

5) a presentare in Parlamento una proposta normativa per prevedere che le figure impegnate presso il Ministero dell'economia e delle finanze nella gestione degli strumenti finanziari derivati non possano, per un adeguato numero di anni successivo al cessare di questo loro impegno pubblico, trasferirsi presso le banche o le altre istituzioni private che siano state fino a quel momento loro controparti di tali tipo di operazioni.
(1-01659)
«Capezzone, Latronico, Altieri, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Marti, Matarrese, Vargiu».
(4 luglio 2017)