TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 818 di Mercoledì 21 giugno 2017

 
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PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla II Commissione (Giustizia):
S. 2473 – Senatori FALANGA ed altri: «Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi» (approvata dalla 2a Commissione permanente del Senato). (4439)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE IL FUNZIONAMENTO DELLE PROVINCE

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione sancisce che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (articolo 114), che le province sono titolari di funzioni amministrative (articoli 117 e 118), hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse autonome, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, rappresentanti le risorse con le quali possono finanziare integralmente le funzioni loro attribuite (articolo 119);
    tra le funzioni fondamentali, si ricorda, è competenza delle province, quali enti con funzioni di area vasta: la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, nonché la costruzione e gestione delle strade provinciali e relativa regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; la programmazione provinciale della rete scolastica e la gestione dell'edilizia scolastica; la cura dello sviluppo strategico del territorio e la gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo;
    l'esito referendario negativo del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi, di fatto, riporta «in vita» le istituzioni provinciali, non essendosi manifestata la volontà popolare di eliminarle;
    tale esito stride oggi con la previsione della cosiddetta legge Delrio n. 56 del 2014, che ha smantellato le province, impoverendole di funzioni fondamentali e portando alla deregulation la gestione dell'area vasta a livello territoriale;
    necessita, pertanto, in una prospettiva di lungo periodo, un intervento normativo che adegui la citata legge n. 56 del 2014 ed al contempo delinei un ordinamento locale delle province in coerenza col dettame costituzionale;
    già la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), considerando le province quali «enti in attesa di riforma costituzionale», ha operato un taglio pari a 1 miliardo di euro nel 2015, cui si aggiunge un altro miliardo nel 2016 ed un altro miliardo ancora nel 2017;
    sulla base di una serie di interventi normativi (decreto-legge n. 201 del 2011; decreto-legge n. 95 del 2012; decreto-legge n. 66 del 2014 e, appunto, legge n. 190 del 2014) negli ultimi cinque anni c’è stata da parte dello Stato una continua riduzione di risorse alle province pari a: 1.115 milioni di euro nel 2013, 2.059 milioni di euro nel 2014, 3.241 milioni di euro nel 2015, 4.250 milioni di euro nel 2016 e 5.250 milioni di euro nel 2017 (dato che comprende anche le città metropolitane, istituite il 1o gennaio 2015);
    a fronte dei predetti tagli, le province hanno dovuto effettuare una drastica riduzione della propria spesa corrente, quantificata in 2,7 miliardi di euro dal 2013 al 2016 (2013: 7,5 miliardi di euro; 2014: 6,2 miliardi di euro; 2015: 5,2 miliardi di euro; 2016: 4,8 miliardi di euro), pari ad un 40 per cento in meno che, inevitabilmente, si riversa sui servizi essenziali erogati per la sicurezza dei territori e lo sviluppo locale;
    dal totale delle entrate di tutte le province e città metropolitane, pari a 3 miliardi e 668 milioni di euro (di cui 1,3 miliardi derivante dall'imposta provinciale di trascrizione e 2,3 miliardi dalle assicurazioni di responsabilità civili automobili), sottratto il taglio imposto dalla legge di stabilità n. 190 del 2014 (pari a 3 miliardi di euro nel triennio) e quello conseguente alla spending review di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 (pari a 579 milioni di euro), sui territori provinciali resta appena il 3 per cento degli introiti per poter coprire le spese delle loro funzioni fondamentali;
    l'ammontare residuo di risorse a disposizione è, pertanto, decisamente ed ovviamente insufficiente, al punto che l'Upi - Unione delle province italiane ha dovuto promuovere una mobilitazione con il deposito, da parte dei presidenti di provincia, di esposti cautelativi alle procure della Repubblica, alle prefetture e alle sezioni regionali della Corte dei conti;
    secondo l'Upi, infatti, le entrate 2017 sono pari a 2 miliardi e 916 milioni di euro a fronte di uscite pari a 3 miliardi e 608 milioni di euro, escludendo l'ulteriore taglio di 650 milioni di euro, quindi con un ammanco nel 2017 per chiudere i bilanci delle sole 75 province di regioni a statuto ordinario pari a quasi 700 milioni di euro (691.954.000), il che pone le province medesime nell'oggettiva impossibilità di approvare i bilanci preventivi entro il 31 marzo 2017 secondo quanto disposto dalla legge di bilancio per il 2017;
    addirittura la stessa Sose, la società del Ministero dell'economia e delle finanze incaricata di calcolare i fabbisogni standard degli enti locali, ha quantificato in 651,5 milioni di euro la distanza tra le entrate garantite e le spese necessarie alle funzioni che ancora restano in capo alle province, nonostante l'alleggerimento della riforma cosiddetta Delrio, prime fra tutte la messa in sicurezza e la manutenzione dei 130 mila chilometri di strade provinciali e la gestione dei 5.100 edifici scolastici,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche normative, volte a:
   a) ripristinare le funzioni attribuite alla province ante legge n. 56 del 2014, consolidando la loro esistenza costituzionale alla luce del voto referendario del 4 dicembre 2016;
   b) individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto del dettame costituzionale di cui all'articolo 119 della Costituzione;
   c) semplificare la forma di governo degli enti attraverso una revisione della disciplina relativa agli organi, allo loro durata, al sistema di elezione ripristinandone l'elezione diretta;
   d) destinare alle province una quota del fondo Anas pari ad almeno 300 milioni di euro per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali, così da avviare le opere necessarie per riportare in sicurezza un'importante e strategica rete viaria;
   e) assegnare alle province le ulteriori risorse necessarie a garantire l'espletamento delle funzioni fondamentali necessarie per la sicurezza dei territori ed i servizi essenziali ai cittadini, come evidenziato anche dalla Sose nel corso dell'audizione parlamentare del 16 marzo 2017 in Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale;
   f) riportare nei bilanci delle province i risparmi derivanti dai propri atti e provvedimenti di spending review;
   g) ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti attraverso l'abrogazione della disposizione di cui al comma 420 della legge n. 190 del 2014;
   h) riconoscere alle province, in via straordinaria anche per il 2017, la facoltà di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci.
(1-01553)
«Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
(21 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica è composta dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (articolo 114 della Costituzione);
    le province sono titolari di funzioni amministrative (articoli 117 e 118 della Costituzione);
    le province hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa; le risorse derivanti da queste fonti consentono di finanziare integralmente le funzioni attribuite (articolo 119 della Costituzione);
    la legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio»), recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», non ha abolito le province, ma le ha trasformate in enti di secondo livello, governate da sindaci e amministratori comunali;
    infatti, l'articolo 1 della suddetta legge, al comma 85, dispone che le province, quali enti con funzioni di area vasta, mantengono l'esercizio delle seguenti funzioni fondamentali: a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale; c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; e) gestione dell'edilizia scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    la «legge Delrio», del resto, era solo propedeutica all'eliminazione delle province dalla Costituzione, alla loro trasformazione in «enti di area vasta» e all'assegnazione a comuni e regioni, e solo residualmente agli enti di area vasta e alle città metropolitane, secondo il principio di sussidiarietà, anche delle funzioni fondamentali che la «legge Delrio» aveva mantenuto in capo alle province;
    tale progetto complessivo di riordino delle funzioni statali si è interrotto a seguito dell'esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che ha avuto, fra le altre, la conseguenza di mantenere in capo alle province la loro autonomia istituzionale, finanziaria e organizzativa, in coerenza con il principio autonomistico sancito dall'articolo 5 della Costituzione, e tutte le competenze fondamentali;
    anche il trasferimento alle regioni delle competenze sottratte alle province dalla «legge Delrio» (caccia e pesca, acque, trasporto rifiuti oltre frontiera, autonomie e altro) ha visto risultati del tutto difformi da regione a regione: in quelle virtuose il trasferimento è completato, ma in molte altre il trasferimento è ancora in corso, con la conseguenza che alcune province si devono ancora occupare di funzioni che non dovrebbero essere più di loro competenza, con conseguente aggravio di costi e di personale;
    senza aspettare la conclusione dell’iter della riforma costituzionale, e della conseguente eliminazione delle province, il Governo ha ritenuto, «in attesa della riforma costituzionale», di operare comunque tagli drastici ai bilanci provinciali;
    così, nella legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha operato, all'articolo 1, comma 418, un taglio di 3 miliardi di euro complessivi a regime del tutto insostenibile per i bilanci, così attuato: un miliardo di euro nel 2015 (decreto-legge n. 78 del 2015, articolo 1, comma 10, e tabella 2), cui si aggiunge un miliardo di euro nel 2016 (decreto-legge n. 113 del 2016, articolo 8, comma 1-bis, e tabella 1) e un miliardo di euro nel 2017 (provvedimento attuativo ancora da definire);
    la manovra finanziaria nei confronti delle province non ha operato solo un taglio, ma un vero e proprio prelievo di risorse dai loro bilanci: a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo si tratta di un prelievo incoerente, perché nega il principio di autonomia finanziaria degli enti sancito dall'articolo 119 della Costituzione, e di una sottrazione di risorse proprie (le entrate dai tributi locali) che avrebbero come destinazione, secondo il dettato costituzionale, la copertura integrale delle funzioni attribuite;
    dal 2013 al 2017 alle province è stato imposto un taglio complessivo alle risorse pari a 5,2 miliardi di euro, che derivano dall'applicazione delle seguenti disposizioni: decreto-legge n. 201 del 2011 (taglio di 415 milioni di euro), decreto-legge n. 95 del 2012 (taglio di 1.250 milioni di euro), decreto-legge n. 66 del 2014 (taglio di 58 milioni di euro), legge n. 190 del 2014 (taglio 3.000 milioni di euro);
    conseguentemente, oggi vi è uno squilibrio nei bilanci delle province di circa 1.350 milioni di euro, che si ridurrà a circa 700 milioni di euro a fronte dell'assegnazione di una quota pari a 650 milioni di euro del «Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi a favore degli enti territoriali», previsto all'articolo 1, comma 438, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), a seguito dell'approvazione in data 23 febbraio 2017 in Conferenza unificata del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex articolo 1, comma 439, di suddetta legge;
    il Governo ha operato come se le province fossero già svuotate delle loro funzioni fondamentali (trasporti, strade, rete scolastica, tutela ambientale e altro), rimaste in realtà sotto la loro competenza, e i tagli di bilancio conseguenti a questa logica fanno sì che un intero comparto istituzionale costitutivo della Repubblica non sarà in grado né di approvare i bilanci, né di erogare i servizi: un'evenienza che non si è mai verificata nella storia del Paese;
    di conseguenza, si evidenziano, per esempio, profonde criticità ed emergenze sulla manutenzione degli edifici scolastici di competenza (oltre 5.000), a partire dalle più elementari regole di adeguamento alle norme antincendio (le cui scadenze vengono prorogate da oltre 20 anni) o all'acquisizione dei certificati di agibilità statico-sismica;
    anche la manutenzione dei circa 130.000 chilometri di strade provinciali subisce gli effetti della mancanza di fondi, considerando inoltre che, per la viabilità provinciale, è stata introdotta, con la normativa in materia di omicidio stradale, anche la responsabilità colposa a carico dei responsabili della manutenzione e costruzione delle strade, chiaramente indicata nella circolare del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno del 25 marzo 2016. Da ciò consegue il concreto pericolo di responsabilità non soltanto amministrativa, ma anche civile e penale, sia delle amministrazioni e sia, nel caso di responsabilità penali, dei funzionari e dirigenti addetti ai servizi;
    a tale proposito, occorre evidenziare che anche la Corte dei conti nella deliberazione n. 17 del 2015 della sezione delle autonomie, in cui si relaziona al Parlamento sul riordino delle province, nel richiamare l'attenzione sull'impatto delle misure conseguenti alla legge di stabilità n. 190 del 2014, le ritiene «suscettibili di generare forti tensioni sugli equilibri finanziari» ed afferma che «ancora più problematico si prefigura il taglio incrementale per il biennio 2016-2017, atteso che una volta riallocate le funzioni e le risorse a queste destinate, le province si troveranno a dover conseguire i risparmi richiesti su aggregati di spesa più ristretti e soprattutto vincolati alle funzioni fondamentali»;
    il direttore centrale della finanza locale del dipartimento degli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, dottor Giancarlo Verde, in un'audizione svoltasi in data 16 febbraio 2017 presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, attesta che la riduzione delle risorse, che ammonta a circa 4,8 miliardi di euro dal 2008 al 2016, «ha condotto ad uno stato generale di disagio finanziario delle province che ha portato ad una difficoltà nell'attendere alle funzioni assegnate che si evidenzia con la flessione qualitativa e, talvolta, perfino l'assenza di importanti servizi. In alcuni casi, è stato inevitabile il ricorso alla procedura di dissesto finanziario, 4 casi da sempre, ma solo 3 nell'ultimo quadriennio. Più significativo il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale previsto dall'articolo 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, a cui sono ricorse nel quinquennio trascorso ben 14 province. Pertanto quasi il 20 per cento degli enti è ricorso a misure straordinarie, percentuale che spinge a riflettere sulla grave situazione che vivono tali enti locali»;
    i presidenti delle province, riuniti in assemblea generale alla presenza dei parlamentari della Repubblica nella giornata del 16 febbraio 2017, hanno denunciato a gran voce di trovarsi nella concreta impossibilità di erogare servizi fondamentali per la collettività, legati alle funzioni individuate dalla legge n. 56 del 2014 per province e città metropolitane;
    i presidenti delle province, nella medesima giornata, sono stati ricevuti dal Presidente della Repubblica, a cui hanno chiesto sostegno affinché il Governo agisca con tempestività e senza esitazioni e affronti e risolva le questioni di estrema emergenza che riguardano i territori, mettendo queste istituzioni nelle condizioni di garantire la sicurezza dei 130.000 chilometri di strade provinciali, delle 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2.500.000 ragazzi, di realizzare gli interventi necessari a contrastare il dissesto idrogeologico;
    alcuni presidenti delle province si sono sentiti costretti, per la prima volta nella storia, a rivolgersi alla procura della Repubblica con un esposto cautelativo, affinché si accerti di chi è la vera responsabilità di eventuali disservizi delle province,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative urgenti, anche normative, necessarie per garantire alle province italiane, enti costitutivi della Repubblica, di far fronte alle proprie funzioni istituzionali, e in particolare volte:
   a) ad individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione;
   b) ad assegnare alle province almeno 250 milioni di euro aggiuntivi per l'esercizio delle funzioni fondamentali, necessari per garantire la sicurezza e i servizi adeguati ai cittadini;
   c) ad assegnare alle province almeno 300 milioni di euro del fondo Anas per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali, così da aprire le opere necessarie per riportare in sicurezza questa rete viaria strategica;
   d) a lasciare nei bilanci delle province i risparmi dei costi della politica determinati dalla gratuità totale dei presidenti e dei consiglieri provinciali, considerato che nelle province la politica ha costo zero, unico caso tra le istituzioni della Repubblica: questi risparmi devono essere messi a disposizione delle comunità locali;
   e) a ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti, attraverso la soppressione del comma 420 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, con la possibilità di avere in organico quelle professionalità indispensabili per svolgere le funzioni che rimangono loro assegnate;
   f) a cancellare le sanzioni per le province che hanno mancato gli impegni del patto di stabilità 2016, in quanto lo «sforamento» è stato indotto dai tagli ai bilanci e dall'uso degli strumenti straordinari che il Governo ha obbligato ad usare pur di chiudere i bilanci;
   g) a consentire alle province in via straordinaria anche per il 2017 di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci;
   h) in una prospettiva temporale più lunga, a promuovere una revisione della legge n. 56 del 2014 per disegnare un ordinamento locale delle province stabile e coerente con la Costituzione, considerato che a tal fine è necessario:
    1) consolidare le funzioni fondamentali previste dalla legge n. 56 del 2014, ampliare le funzioni amministrative territoriali e valorizzare con le funzioni di assistenza e di supporto ai comuni, le stazioni uniche appaltanti e i servizi pubblici locali previsti dai commi 88 e 90 dell'articolo 1, in modo da fornire indirizzi chiari anche per il riordino della legislazione regionale;
    2) semplificare la forma di governo degli enti, attraverso una revisione della disciplina relativa agli organi, alla loro durata, al sistema di elezione;
    3) conferire una delega per la revisione del testo unico degli enti locali, per adeguarlo alle novità in materia di comuni, province e città metropolitane.
(1-01560)
«Brunetta, Gelmini, Occhiuto, Russo, Sisto, Fabrizio Di Stefano».
(27 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica italiana «è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato», ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione; tale articolo, riformulato con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, conferisce evidentemente un particolare rilievo, addirittura letteralmente «costitutivo», a tutti i livelli di governo territoriale, per quanto la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 274 del 2003 abbia precisato che ciò non comporta affatto una totale equiparazione fra tali enti, con poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che Comuni e Province non hanno potestà legislativa;
    l'appena evidenziata complessità dei livelli di governo e soprattutto il disegno territoriale degli stessi sono, almeno nelle loro linee fondamentali, frutto di scelte ormai risalenti nel tempo, ponendo il Paese sostanzialmente di fronte a un'organizzazione amministrativa disegnata secondo i parametri di efficienza dettati nei tempi in cui i trasporti erano misurati dal tragitto quotidiano di un cavallo, risultando così incapaci di rispondere alle attuali esigenze di prestazioni di servizi e di svolgimento delle attività professionali e lavorative in generale;
    è necessario tornare a governare efficacemente il Paese, rifondando le basi di cittadinanza e ridisegnando pertanto, con coraggio e ambizione, il tessuto complesso del governo locale;
    è necessario che ciò avvenga secondo un processo che lo Stato e il Governo in particolare devono legittimare, facilitare e seguire, ma che deve realizzarsi comunque attraverso modalità bottom up, sulla base di dinamiche moderne di cooperazione tra enti su strategie di sviluppo condivise, individuando livelli di efficienza scalare a geometria variabile nell'offerta dei servizi, senza dirigismo, bensì assecondando e favorendo lo sviluppo più generalizzato di quanto in molti luoghi del Paese si sta già muovendo in questa direzione, a legislazione vigente;
    si tratta, in sostanza, di procedere con modalità profondamente diverse rispetto a quelle seguite dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, che hanno operato «dall'alto», con norme astruse e contraddittorie, latrici di soluzioni spesso irrealizzabili, senza mai offrire una lettura empiricamente fondata del Paese;
    se certamente sono mancate scelte di riorganizzazione del livello regionale, rispetto al quale l'unico intervento era stato rimesso a una riforma costituzionale (bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016) con l'unico obiettivo di ricentralizzare (peraltro secondo modalità capaci di ingenerare ulteriore incertezza nei rapporti giuridici e di non riso vere certamente – ma anzi forse di aggravare – la conflittualità tra lo Stato e le regioni rimessa alla giurisdizione costituzionale), trascurando, invece l'attivazione di dinamiche di cooperazione macroregionale per pervenire, in un medio periodo, a una semplificazione del tessuto regionale attraverso processi condivisi di ridisegno secondo l'articolo n. 132 della Costituzione e non superando – ma anzi amplificando – il doppio regionalismo (ordinario e speciale); è soprattutto a livello locale che a parere dei firmatari del presente atto si sono realizzati gli interventi più miopi, inadeguati e inefficaci, privi di qualunque visione della riorganizzazione dell'assetto territoriale e condotti, invece, sempre e soltanto per la necessità di fare cassa;
    in quest'ambito è soprattutto l'ente intermedio, la provincia, ad avere ottenuto il trattamento peggiore. Considerata, con notevole superficialità, alla stregua di un «ente inutile», dal 2011 si è solo pensato ad una sua grossolana soppressione, a tessuto di governo territoriale invariato;
    così la «eliminazione delle Province» e divenuto uno dei primi obiettivi del Governo Monti, insediatosi in presenza di un'emergenza finanziaria, sembrando rispondere in merito al contenuto di una lettera inviata dalla Banca centrale europea precedente al precedente Governo il 5 agosto 2011, che in effetti risulta sul punto piuttosto atipica, per quanto scendeva nel dettaglio, sottolineando «l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)»;
    se la «eliminazione» delle province non era realizzabile in tempi brevi, essendo queste – come abbiamo detto – previste dalla Costituzione, addirittura come «enti costitutivi» della Repubblica (tanto che, a prendere alla lettera la formulazione dell'articolo n. 114 della Costituzione ci si potrebbe chiedere se possa esistere una Repubblica senza province), il Governo Monti è comunque intervenuto addirittura con decreto-legge a svuotare l'ente intermedio di funzioni, sopprimendone gli organi elettivi, per sostituirli con altri di secondo grado (espressi, in sostanza, dai comuni appartenenti alla provincia stessa);
    la eliminazione di organi eletti a suffragio universale diretto ha anzitutto rappresentato un vulnus nella possibilità per i cittadini di influire (direttamente) nella determinazione dell'indirizzo politico provinciale, costringendoli a subire scelte politiche (e non di mera gestione, come talvolta si è provato a sostenere) degli organi di secondo livello (peraltro non del tutto adeguatamente rappresentativi dell'intero territorio provinciale), rischiando di compromettere almeno in parte, considerato il mantenimento della capacità impositiva, il principio cardine del costituzionalismo del no taxation without representation;
    la prima riforma delle province, realizzata dal Governo Monti con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, con il dichiarato esclusivo (e sembrerebbe esclusivo) obiettivo di riduzione dei costi (la rubrica dell'articolo n. 23 reca «Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorità di Governo, del CNEL, delle Autorità indipendenti e delle Province»), con una nuova disciplina di organizzazione (che li rende enti di secondo livello dal punto di vista degli organi) e una drastica riduzione delle funzioni attribuite è stata oggetto di ricorso di fronte alla Corte costituzionale che, con sentenza n. 220 del 2013, l'ha giudicata incostituzionale, in quanto «la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicate dell'intero sistema»;
    il radicale vizio d'incostituzionalità riscontrato ha, secondo i presentatori del presente atto, di fatto impedito alla Corte di affrontare i profili più specifici e ha aperto la strada ad un'ulteriore riforma, realizzata con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (cosiddetta «legge Delrio» dal nome del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del Governo Letta al quale si deve l'iniziativa);
    questa legge, pur con alcune modifiche, mantiene due aspetti della precedente riforma: un forte ridimensionamento delle funzioni delle province e la eliminazione del suffragio universale diretto per la scelta degli organi politici, ancora consegnati a una rappresentanza di secondo livello, con i limiti già evidenziati;
    nel frattempo, il Governo Renzi, insediatosi dopo il Governo Letta, presentava una proposta di legge costituzionale recante un'ampia revisione della Parte seconda della Costituzione, prevedendo, tra l'altro, la soppressione delle province dal testo costituzionale, con ciò potendo porre i presupposti per la totale eliminazione dell'ente intermedio (che, in caso di approvazione della riforma, poi invece respinta dagli elettori con il referendum del 4 dicembre 2016, sarebbe comunque stato privato di riconoscimento costituzionale);
    intanto anche la cosiddetta «legge Delrio» è stata in effetti impugnata di fronte alla Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 50 del 2015, ha rigettato – come noto – tutte le censure formulate, ancorché con particolare riferimento a quelle ordinamentali abbia precisato che «è in corso l'approvazione di un progetto – da realizzarsi nelle forme di legge costituzionale – che ne prevede la futura soppressione, con la loro conseguente eliminazione dal novero degli enti autonomi riportati nell'articolo 114 Cost., come, del resto, chiaramente evincibile dall’incipit contenuto nel comma 51 dell'articolo 1 della legge in esame». Si tratta di una motivazione, a giudizio dei presentatori del presente atto, del tutto singolare nell'ambito della giurisprudenza costituzionale (probabilmente non solo italiana);
    in effetti, quella revisione costituzionale – come già ricordato – è stata sonoramente bocciata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre 2016, con la conseguenza che da più parti è stata sottolineata la necessità – anche da un punto di vista del rispetto della Costituzione – di reintrodurre un sistema di elezione diretta degli organi della provincia, non potendosi in proposito che sottolineare come – anche in base a quanto poco sopra ricordato –, anche al di là di un diretto vincolo costituzionale, ciò risulterebbe certamente più coerente con il fondamento democratico della Repubblica e quindi dei suoi enti costitutivi; ciò sarebbe anche più rispondente alla necessità che, a tutti i livelli di governo, sia data diretta espressione alla sovranità popolare, in proposito sembrando anzi da valorizzare una maggiore partecipazione dei cittadini, anche potenziando la presenza degli istituti di democrazia diretta negli statuti degli enti locali;
    la tendenza alla soppressione (o almeno al fortissimo e inadeguato ridimensionamento) delle province, pur in assenza di un più generale intervento sull'assetto del governo locale del Paese, è stata peraltro accompagnata da pesantissimi tagli di risorse, o meglio – come è stato evidenziato dall'Unione delle province italiane – un vero e proprio prelievo. In proposito basti ricordare che la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha previsto, all'articolo 1, comma 418, che le province e le Città metropolitane «concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ripartite nelle misure del 90 per cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra gli enti della regione siciliana e della regione Sardegna, ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa». Tali pesanti tagli si aggiungono a quelli realizzati con decreto-legge n. 201 del 2011, con decreto-legge n. 95 del 2012 e con decreto-legge n. 66 del 2014, giungendo, nel 2017, a sommare una riduzione di risorse pari a 5.250 milioni di euro;
    è stato calcolato che alle province resta appena il 3 per cento degli introiti raccolti sul territorio per poter coprire le spese delle loro funzioni fondamentali, destando preoccupazione, in particolare il mantenimento di 130 mila chilometri di strade provinciali, nonché di 5.100 scuole superiori, tanto che era stato evidenziato dalla stessa società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose) società costituita dal Ministero dell'economia, con il compito, tra l'altro, di determinare i fabbisogni standard in attuazione del federalismo fiscale, la necessità di prevedere 650 milioni di euro aggiuntivi per la spesa corrente delle province;
    le preoccupazioni per la suddetta situazione non sono state superate in sede di approvazione della cosiddetta recente «manovrina», cioè la legge di conversione del decreto-legge n. 50 del 2017, tanto che l'Unione provinciale italiana, a mezzo del suo presidente, si era rivolta anche al Presidente della Repubblica, con lettera 1o giugno 2017, evidenziando la suddetta situazione. Tuttavia, la definitiva conversione in legge del decreto-legge sopra menzionato da parte del Senato in data 15 giugno 2017, senza la previsione delle risorse ritenute strettamente necessarie, ha portato il presidente dell'Unione provinciale italiana a concludere che «è mancata la volontà di risolvere la grave emergenza per i servizi assicurati dalle province: una emergenza causata da tagli irragionevoli e ingiustificati di cui evidentemente ancora non si vuole ammettere l'errore. Saranno i mancati servizi che inevitabilmente ne deriveranno, i diritti allo studio, alla mobilità, alla sicurezza, negati in questo modo ai cittadini, a mettere Governo e Parlamento di fronte alle loro responsabilità»;
    tutto questo rende, oggi, le province enti deboli (anche dal punto di vista della legittimazione) e sempre meno capaci di svolgere anche le funzioni loro mantenute, con conseguenze negative sui servizi e quindi sulla vita dei cittadini,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte a:
   a) riorganizzare l'assetto del governo locale attraverso procedimenti condivisi con i territori;
   b) prevedere, nell'ambito di una riforma dell'intero quadro normativo degli enti locali, una razionalizzazione delle funzioni amministrative dei diversi livelli di governo e, in particolare, in relazione all'ente intermedio, il ritorno a un'organizzazione fondata sul suffragio universale diretto nella scelta degli organi rappresentativi, favorendo altresì forme di partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche, anche contemplando l'obbligo per i comuni e le province di prevedere nei loro statuti il referendum;
   c) individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard nel rispetto di quanto previsto all'articolo 119 della Costituzione;
   d) prioritariamente, assegnare alle province le ulteriori risorse necessarie a garantire lo svolgimento delle funzioni fondamentali assegnate, a partire dal mantenimento e dalla messa in sicurezza delle strade di competenza e degli istituti scolastici, anche sulla base delle valutazioni formulate dalla società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose).
(1-01646)
«Civati, Marcon, Airaudo, Brignone, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Palazzotto, Pannarale, Paglia, Pastorino, Pellegrino, Placido».
(19 giugno 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    le decisioni e le misure che hanno interessato negli ultimi sei anni la sorte delle province è l'ulteriore prova che «La distanza più breve tra due punti è la retta. In Italia è l'arabesco», in quanto la soluzione più lineare, semplice, funzionale e veloce sarebbe stata, naturalmente, quella di sopprimere le province, mediante una legge costituzionale;
    dal primo tentativo di riduzione delle funzioni delle province, di cui al cosiddetto «decreto-legge Monti», poi dichiarato illegittimo, passando per la cosiddetta «legge Delrio», sono trascorsi sei anni e mezzo;
    si segnala che il riordino introdotto dalla stessa legge Delrio fu definito espressamente «provvisorio», nell'attesa dell'abolizione per via costituzionale, nonché privo di oneri per la finanza pubblica;
    non è peregrino pensare che, evidentemente, nonostante le buone parole e i lodevoli intenti, nessun Governo abbia mai voluto davvero abolire le province;
    si segnala che, in occasione dell'esame della cosiddetta «legge Delrio», la Corte dei conti aveva evidenziato la probabilità che il riordino prospettato avrebbe potuto comportare «aggravi di spesa, confusione ordinamentale e moltiplicazione di oneri» e sottolineato che «le procedure indicate mal si concilierebbero, per la durata e la complessità, con la provvisorietà del disegno organizzativo perseguito dal provvedimento»;
    la cosiddetta «legge Delrio» ha soppresso, delle province, solo la modalità di elezione degli amministratori, mantenendo loro le funzioni originarie, anzi, incrementandole, salvo prevedere un percorso successivo di trasferimento delle funzioni e del relativo personale per il tramite dell'intervento delle regioni;
    tale percorso non è stato e non è privo di «buche», in alcuni casi voragini: per molte delle province le cui funzioni non sono state trasferite le risorse finanziarie sono insufficienti, i bilanci sono sostanzialmente al collasso, soffocati dai mutui e, anche nel caso in cui siano trasferite risorse statali per il tramite del fondo di riequilibrio, queste sono trattenute dalle banche e ben poco o nulla rimane a disposizione per il pagamento degli stipendi del personale, per lo svolgimento delle funzioni proprie e dei connessi servizi ai cittadini - in particolare quelli riguardanti le scuole e le strade;
    la Costituzione italiana contiene una serie di disposizioni inerenti alle province, in particolare con riguardo all'autonomia e all'ambito economico, in quanto le risorse finanziarie devono consentire di finanziare integralmente le funzioni attribuite;
    con tale quadro mal si concilia, anzi, secondo i firmatari del presente atto, trattasi di vera e propria violazione di principi ordinamentali e costituzionali, il limbo giuridico nel quale le province versano e i tagli subìti, in forza, anche, della previsione, evidentemente troppo azzardata, della loro soppressione, «caduta» insieme all'intero progetto di revisione della Costituzione, respinto a seguito del referendum del dicembre 2016,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per dotare le province che non sono in grado di provvedervi delle risorse necessarie a garantire, in primis, il pagamento della retribuzioni al personale, anche considerandolo creditore privilegiato e lo svolgimento delle funzioni proprie, in particolare quelle dedicate alle scuole e alle strade;
2) in ordine alla ricollocazione del personale delle province in mobilità, conseguente al disposto trasferimento di funzioni delle province, a provvedere, ferma restando la vigente disciplina in materia, alla massima ottimizzazione delle assegnazioni del personale medesimo, tenendo nel debito conto le amministrazioni, centrali e periferiche, che risultino in carenza di organico, tra le quali, ad avviso dei firmatari del presente atto, sono da considerarsi le amministrazioni della giustizia, in particolare penitenziaria e dei tribunali;
3) ad adottare iniziative per introdurre misure sanzionatorie nei confronti delle regioni, a valere sui trasferimenti statali, fatti salvi il settore sanitario e dei trasporti, nel caso di loro inadempienza in ordine al trasferimento di funzioni delle province e nel caso di mancata erogazione delle risorse dovute a ciascuna provincia per l'esercizio delle funzioni alle stesse trasferite;
4) ad assumere iniziative per dare la possibilità agli enti provinciali di apportare le necessarie correzioni al proprio bilancio – in ottemperanza ai princìpi della veridicità, attendibilità, correttezza, e comprensibilità – nei casi in cui, anche per difficoltà di comprensione della complessa normativa sulla nuova contabilità, il riaccertamento straordinario del 2015 si sia rivelato incompleto o impreciso;
5) ad assumere iniziative per estendere alle province la disciplina della ristrutturazione del debito delle regioni di cui all'articolo 45 del decreto-legge n. 66 del 2014 convertito dalla legge n. 89 del 2014.
(1-01647)
«Nesci, Dieni, Dadone, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Toninelli».
(19 giugno 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la legge 7 aprile 2014, n. 56, in prospettiva di una riforma costituzionale del titolo V della Costituzione italiana che, tra l'altro, avrebbe dovuto prevedere l'abrogazione delle provincie, ha disposto una radicale riforma della struttura istituzionale, organizzativa, nonché delle funzioni svolte, dall'ente provincia trasformandolo in un ente di area vasta al quale in via transitoria sono comunque state demandate una serie di funzioni fondamentali quali: la manutenzione, la messa in sicurezza, la gestione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali; la gestione ordinaria, manutenzione e messa in sicurezza, nonché spese di gestione utenze, per più di 5.000 istituti scolastici secondari di secondo grado; la predisposizione di interventi e opere a difesa dell'ambiente e per il contrasto al dissesto idrogeologico; infine, la pianificazione territoriale e dei trasporti;
    nelle more dell'abrogazione delle province la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 94 del 2014) ha operato un taglio anticipato di quasi tre miliardi di euro di risorse ai bilanci delle province e delle città metropolitane;
    la mancata attuazione della riforma costituzionale e la conseguente mancata abrogazione delle province a seguito della «bocciatura» del referendum confermativo del 4 dicembre 2016 insieme alle ulteriori riduzioni di risorse operate nel corso degli anni 2015 e 2016 nei confronti delle stesse, ha lasciato queste amministrazioni in una situazione di estrema gravità dal punto di vista amministrativo rendendo impossibile in molti casi svolgere le funzioni, anche di natura fondamentale, che la legge attribuisce loro;
    la condizione di grave difficoltà amministrativa delle province italiane è stata più volte richiamata dalla Corte dei Conti, anche nel corso di relazioni rivolte al Parlamento italiano. Nella relazione al Parlamento del 30 aprile 2015 la magistratura contabile denunciava come, a seguito dei ritardi dei trasferimenti erariali e regionali, delle reiterate manovre sul fondo sperimentale di riequilibri e, in conseguenza di una costante tensione sulle entrate, determinata dalla progressiva contrazione di quelle derivate, non sufficientemente compensata dal potenziamento delle entrate proprie, le province fossero state di fatto poste in una condizione tale da annullare qualsiasi capacità programmatoria;
    più recentemente, il 23 febbraio 2017, la Corte dei Conti, nel rapporto alle Camere sulla situazione dei bilanci delle province, ha denunciato la manifesta irragionevolezza della forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuità ed in settori di notevole rilevanza sociale, denunciando inoltre il grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei bilanci delle province, nonché il fatto che gli interventi emergenziali previsti non hanno prodotto un rimedio organico;
    la politica di costante riduzione delle risorse in favore delle province, oltre al dissesto di tre di esse e alla condizione di pre-dissesto di altre dieci amministrazioni provinciali, ha prodotto una situazione che, nell'anno in corso, registra una carenza di risorse necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni fondamentali e dei bisogni standard pari a 650 milioni di euro totali per tutte le province italiane;
    per l'anno 2017 a fronte di oltre 2 milioni di euro di entrate prodotte dal gettito di tributi di spettanza provinciale, circa 1 miliardo e 600 milioni di euro verrà sottratto ai territori e utilizzato dallo Stato centrale, dando vita ad una sottrazione pari al 78,4 per cento del gettito totale dei tributi propri delle province;
    la preoccupante ristrettezza di risorse con la quale le province si trovano a fare conti oltre ad impedire non solo una minima programmazione della gestione, ma anche l'impossibilità concreta di approvare il bilancio di previsione per il 2017, produce una lunga serie di conseguenze ulteriori ed effetti collaterali tutti di segno negativo;
    risorse insufficienti producono effetti sullo sviluppo del territorio con piccole e medie imprese che, nell'ultimo triennio, si sono viste quasi azzerate le commesse pubbliche. Inoltre, l'insufficienza di investimenti locali produce il progressivo deterioramento del patrimonio pubblico;
    nello specifico caso delle province, quanto precede significa mancati interventi sulle scuole, sulle strade di competenza provinciale e sulle opere di contrasto al fenomeno del dissesto idrogeologico, con conseguente aumento del rischio per la incolumità delle persone;
    le norme contenute nel recente decreto-legge n. 50 del 2017 riguardanti le province hanno previsto misure e stanziamenti di risorse del tutto insufficienti a fronte dei fabbisogni reali. Per la gestione delle strade di competenza provinciale, pari a 130 mila chilometri totali di rete viaria sono stati stanziati solo 100 milioni di euro per il 2017. A fronte di uno sbilancio di risorse pari a 650 milioni di euro per la gestione delle funzioni fondamentali sono stati stanziati 110 milioni di euro per l'anno 2017 e 80 per l'anno 2018. Anche sul fronte del personale le aperture registrate sono state minime rispetto alle esigenze più volte manifestate dalle province in merito al ripristino delle ordinarie condizioni di autonomia organizzativa in materia di personale;
    nel corso dell'esame parlamentare del disegno di legge di conversione del predetto decreto-legge n. 50 del 2017, il gruppo parlamentare Articolo 1-MDP ha sostenuto numerose proposte avanzate dall'Upi in occasione del ciclo di audizioni, come quella relativa allo stanziamento in loro favore di 650 milioni di euro e, successivamente, a seguito dell'approvazione di proposte emendative di iniziativa parlamentare si è riusciti o a migliorare in parte le disposizioni già presenti nel decreto o ad introdurne delle nuove e aggiuntive rispetto al testo originario;
    in particolare, le risorse per lo svolgimento delle funzioni fondamentali sono state aumentate a 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018. I fondi per la manutenzione ordinaria delle strade sono stati elevati a 170 milioni di euro per l'anno 2017 ed in aggiunta potranno essere destinati i proventi delle contravvenzioni elevate negli anni 2017 e 2018. Sono state incrementate di 15 milioni, sempre per il 2017, le risorse da destinare agli interventi di edilizia scolastica;
    tali modifiche devono considerarsi uno sforzo sicuramente utile ma, purtroppo, ancora non sufficiente per porre rimedio alla grave condizione di difficoltà finanziaria in cui versano le province per consentire loro di svolgere pienamente le funzioni previste per legge,

impegna il Governo:

1) ad individuare ulteriori risorse da destinare alla spesa corrente delle province al fine di consentire loro il pieno esercizio delle funzioni fondamentali e l'erogazione dei servizi essenziali;
2) ad assumere iniziative per incrementare ulteriormente le risorse da destinare alla spesa in conto capitale per la manutenzione delle strade nonché per l'edilizia scolastica, al fine di avviare un piano di investimenti volto a maggiormente tutelare la sicurezza dei cittadini;
3) a individuare gli strumenti attraverso i quali consentire alle province una vera ristrutturazione del debito, non limitandosi alla semplice rinegoziazione, come già avvenuto per le regioni;
4) ad attivarsi per consentire l'istituzione di un fondo straordinario in grado di agevolare le province in dissesto finanziario e quelle in condizione di pre-dissesto nel tornare in una condizione di maggiore stabilità finanziaria;
5) al fine di sostenere la ripresa delle province colpite dal terremoto, ad assumere iniziative per prevedere che queste siano dispensate dal pagamento del contributo alla finanza pubblica per il 2017, di cui all'articolo 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014, ed esentate dal rispetto del saldo di finanza pubblica per gli anni 2016 e 2017, nelle medesime modalità già previsti per le amministrazioni comunali;
6) a valutare una progressiva eliminazione dei vincoli che impediscono una efficiente gestione delle risorse umane fatti salvi i vincoli di natura finanziaria di cui all'articolo 1, comma 420, della legge n. 190 del 2014.
(1-01648)
«Melilla, Albini, Capodicasa, Laforgia, Ricciatti, Mognato, Fossati, Zappulla, D'Attorre, Scotto, Roberta Agostini».
(20 giugno 2017)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   SANTERINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come è noto il 21 giugno 2017 in tutta Italia si svolge la «Festa della musica», che quest'anno ha per tema «La strada suona»;
   si tratta di un'iniziativa molto importante non solo per il suo indubbio valore artistico, ma anche per il senso sociale che la festa assume;
   saranno coinvolti luoghi tra loro molto diversi, che vanno dalle ambasciate ai luoghi di culto, dai parchi ai musei, ma anche agli ospedali ed alle carceri, oltre, ovviamente, alle piazze e alle strade del nostro Paese, grazie alla collaborazione di musicisti professionisti ed amatoriali italiani, stranieri e «nuovi italiani»;
   il programma prevede migliaia di eventi in tutta Italia, nei giorni più lunghi dell'anno, incentrati in particolare sulla musica in strada, con migliaia di eventi;
   l'iniziativa è altamente condivisibile e l'auspicio è che non rimanga un evento isolato, ma che diventi un appuntamento ricorrente, coinvolgendo sempre più persone, sia artisti sia pubblico –:
   quali siano gli eventi più significativi in preparazione che il Ministro interrogato può anticipare per confermare il fatto che si tratta di una festa che ha tra i principali obiettivi quello di portare la musica nella strada in modo tale che sia ampiamente fruibile da tutti i cittadini. (3-03092)
(20 giugno 2017)

   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 17 maggio 2017 la Commissione europea, nell'ambito della procedura di infrazione 2011/2215, ha deferito l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea per la mancata bonifica o chiusura di 44 discariche, ex articolo 14 della direttiva 1999/31/CE;
   l'Italia era tenuta, entro il 16 luglio 2009, a bonificare o chiudere le discariche autorizzate o già in funzione prima del 16 luglio 2001, rendendole conformi alle normative vigenti. Malgrado il tempo concesso, l'Italia non ha adottato misure per bonificare o chiudere le citate discariche, dislocate tra Abruzzo, Basilicata, Campania, Puglia e Friuli Venezia Giulia, pertanto è scattato, inevitabilmente, il deferimento alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
   secondo le informazioni fornite dalla Commissione europea, sono 44 i siti che rappresentavano ancora una minaccia per la salute e l'ambiente e il 52,3 per cento del totale è collocato sul territorio della regione Basilicata;
   il ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea potrebbe comportare, ancora una volta, per il nostro Paese una condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie (composte da una somma forfettaria e da penalità giornaliere). Rispetto alle sanzioni già pagate dall'Italia, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sandro Gozi, ha recentemente dichiarato che, al 21 marzo 2017, il nostro Paese ha versato all'Unione europea ben 329 milioni di euro, dei quali 141 milioni di euro per la sentenza relativa alle «discariche abusive»;
   in merito alla situazione della Basilicata non può non tornare alla memoria quanto scritto nella relazione conclusiva dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti istituita nella XVI legislatura, che rappresentava la situazione del ciclo dei rifiuti in Lucania come «l'esempio lampante di quanto possa essere inefficiente la gestione dei rifiuti anche in una regione ove vi è una produzione contenuta degli stessi», sottolineando come il problema non fosse tanto quello relativo ai quantitativi di rifiuti prodotti, «quanto piuttosto quello della razionale predisposizione di un sistema di gestione idoneo a consentire lo smaltimento e/o il riciclo dei rifiuti in ossequio alle prescrizioni imposte a livello europeo e nazionale» –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per evitare un'ennesima condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea e, in particolare, per mettere a norma o chiudere definitivamente i siti presenti sul territorio della Basilicata, regione che già deve affrontare le gravi problematiche legate alle discariche abusive e alle questioni ambientali connesse all'industria petrolifera. (3-03093)
(20 giugno 2017)

   DAGA, VILLAROSA, ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 1o marzo 2017 è entrata in vigore la legge 27 febbraio 2017, n. 18, di conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243, recante «Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno»;
   l'articolo 2 è intervenuto nuovamente sulla gestione degli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue, oggetto di sentenze di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea in ordine all'applicazione della direttiva 91/271/CEE e di procedure di infrazione in corso, promettendo, con tale disposizione, di superare la grave inefficacia delle misure sinora adottate dallo Stato italiano, a fronte dei preoccupanti rilievi della Commissione europea, affidando i compiti di coordinamento e realizzazione degli interventi ad un unico commissario straordinario del Governo che, a far data dal decreto di nomina, agirà in sostituzione dei commissari straordinari già nominati;
   secondo quanto previsto dalla legge n. 18 del 2017, «il Commissario presenta annualmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una relazione sullo stato di attuazione degli interventi di cui al presente articolo e sulle criticità eventualmente riscontrate»;
   considerato che la Commissione europea, sulla procedura di infrazione n. 2004/2034, ha nuovamente deferito l'Italia alla Corte di giustizia, ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sarebbe opportuno che il commissario unico trasmettesse con cadenza semestrale una relazione alle commissioni parlamentari competenti sullo stato dell'arte e sugli obiettivi raggiunti in riferimento agli agglomerati urbani oggetto delle procedure di infrazione;
   nonostante la legge n. 18 del 2017 sia entrata in vigore il 1o marzo 2017 e considerata l'urgenza degli interventi, il commissario straordinario è stato nominato solo con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 5 giugno 2017;
   l'insufficiente depurazione e gli scarichi inquinanti rappresentano, secondo il rapporto di Legambiente 2016, il reato più contestato e in crescita rispetto al 2015 e rappresentano il 31,7 per cento delle infrazioni contestate –:
   se il Ministro interrogato intenda comunicare quali provvedimenti sono stati assunti negli oltre 4 mesi intercorsi tra l'entrata in vigore del decreto-legge sul Mezzogiorno e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della nomina del commissario, contestualmente comunicando quali provvedimenti urgenti il commissario intenderà assumere per garantire le operazioni di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue anche in relazione alla qualità delle acque di balneazione. (3-03094)
(20 giugno 2017)

   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale, negli ultimi mesi, ha dato ripetutamente notizia del fatto che il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Ancona ed in particolare la seconda squadra, a seguito dei lavori di ristrutturazione della sede di Vallemiano, opera con partenza temporanea da due anni e con successo presso l'aeroporto Sanzio di Falconara;
   collocazione transitoria che ha consentito, però, alla squadra di effettuare un numero elevato di interventi (circa 1200 annui) da un luogo che è strategico rispetto al territorio, su Falconara, Chiaravalle, Camerata Picena, Monte San Vito e Montemarciano, oltre a superstrada e autostrada;
   un decreto ministeriale aveva già previsto l'istituzione della cosiddetta «Falconara terrestre», un distaccamento che potesse agire in tempi rapidi sia sulla raffineria Api che sulle zone industriali di Castelferretti, Piane di Camerata e Borghetto di Monte San Vito. Decreto che non è stato mai tradotto in realtà anche se le criticità di quest'area non sono mai state risolte in maniera definitiva, tanto che la popolazione residente e le cronache locali di tanto in tanto tornano a denunciarle;
   l'attuale dislocazione di questa squadra risponde più proficuamente all'esigenza di prossimità e di sicurezza ed è utile non solo ai residenti, ma anche agli stessi vigili del fuoco per finalizzare gli interventi;
   la bassa Vallesina, infatti, se questa partenza temporanea dovesse tornare nella sede di Vallemiano, resterà scoperta e ricadrà nelle competenze di diversi distaccamenti fra cui Jesi e Senigallia, con tempi di intervento che potrebbero allungarsi a danno dell'efficacia delle azioni;
   un beneficio, quello della partenza temporanea, al quale le amministrazioni comunali interessate non vogliono rinunciare tanto che hanno approvato a questo scopo ordini del giorno con i quali hanno sottolineato la strategicità dell'attuale collocazione di questa squadra;
   il comando provinciale di Ancona ha reso noto che da una interlocuzione con il dipartimento non sarebbe emerso nulla in contrario alla permanenza di questa partenza temporanea nell'area del Sanzio;
   una partenza che in due anni non ha interferito con le attività dello scalo che, peraltro, ha anche effettuato investimenti per rendere compatibile l'accesso dei mezzi con le esigenze di sicurezza dei voli –:
   se non ritenga di favorire la definitiva ubicazione presso l'aeroporto Sanzio della seconda squadra di Ancona, in ragione del ruolo cruciale che ha avuto nel tempo e per la collocazione strategica che assume il presidio rispetto al territorio su cui deve operare. (3-03095)
(20 giugno 2017)

   COVELLO, FIANO, FAMIGLIETTI, SBROLLINI, PES, TARTAGLIONE, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   molta attenzione e preoccupazione ha suscitato tra le famiglie con figli in età preadolescenziale e adolescenziale la diffusione del pericolosissimo gioco conosciuto come «Blue whale» o «Balena blu»;
   si è appreso successivamente che i video che ne hanno creato l'alone di curiosità e suggestione risultano essere non veritieri;
   questo però non è stato sufficiente a disinnescare il fenomeno, in quanto diversi casi di cronaca hanno purtroppo riportato forme di emulazione di questa pratica virale che si è diffusa rapidamente tra la popolazione giovanile con centinaia di segnalazioni su tutto il territorio nazionale;
   la fenomenologia di questo pericolosissimo gioco e le modalità di diffusione anche su basi non veritiere preoccupa non poco e richiedono una attenta sensibilità da parte delle istituzioni competenti –:
   quali misure il Ministro interrogato, grazie all'attività della polizia postale, intenda promuovere al fine di contrastare la diffusione di simili fenomenologie e quali iniziative intenda adottare, anche in raccordo con il mondo della scuola, per una più incisiva attività di informazione rispetto ai pericoli della rete. (3-03096)
(20 giugno 2017)

   BRUNETTA e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi le prefetture hanno trasmesso ai sindaci di province italiane una comunicazione in cui si annuncia che «l'intensificazione degli sbarchi ha reso necessario innalzare a 210.000 l'originaria pianificazione del piano nazionale di riparto (di richiedenti asilo) calcolata su 200.000 unità». Di conseguenza, «con nota separata, sarà comunicata alle SS.LL. la nuova quota di richiedenti asilo previsti in base alla più recente pianificazione»;
   la comunicazione prosegue poi specificando che la prefettura si riserva con decorrenza immediata di attivare le acquisizioni eventualmente reperite sul territorio secondo un ordine di precedenza così articolato: in primo luogo, saranno utilizzate le disponibilità acquisite nei comuni «sotto-quota». In secondo luogo si ricorrerà ai posti individuati nei comuni in equilibrio, cioè né in surplus né in deficit di accoglienza. Infine, come extrema ratio ed in mancanza di altre possibilità, si farà uso di posti disponibili nei comuni «sovra-quota»;
   non solo quindi si obbligano i comuni «sotto-quota» a ricevere migranti contro la propria volontà, ma si provvede addirittura a spezzare gli equilibri raggiunti nei comuni che, per volontà o costrizione, hanno ospitato un numero di richiedenti asilo conforme ai parametri, trasformandosi così in comuni «in surplus»;
   da una parte i sindaci perdono ogni potere di rappresentatività sul proprio territorio, non potendo più farsi carico di tutelare gli interessi della collettività, e perdono, allo stesso tempo, risorse economiche che sono costretti comunque ad investire nell'accoglienza; dall'altra, la prefettura si assumere la grave responsabilità ad avviso degli interroganti di «spedire» richiedenti asilo «alla cieca», senza tenere in debita considerazione le esigenze dei territori, gli aspetti e le tensioni di rilevanza sociale, o le necessità legate al tessuto economico;
   vi sono comuni dove, soprattutto nel periodo estivo, la popolazione cresce in maniera esponenziale: il riferimento è a quei centri ad alta densità turistica, fortemente penalizzati da un sistema di accoglienza che il nostro Paese – già in crisi – non è più nella condizione di sostenere –:
   su quali atti adottati dal Governo si basi la comunicazione citata, quali siano i territori interessati al nuovo riparto e i criteri utilizzati e quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intende intraprendere – nell'ambito delle decisioni relative al sistema di accoglienza – per coinvolgere adeguatamente e non delegittimare le amministrazioni locali – e, di conseguenza, la cittadinanza – a tutela dei territori e delle loro specificità, anche alla luce del fatto che i flussi migratori non sembrano placarsi. (3-03097)
(20 giugno 2017)

   ALLASIA, FEDRIGA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia riportata anche a mezzo stampa quella di un bando del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per concedere contributi ad imprese di neo costituzione, purché straniere;
   89 beneficiari di finanziamento nel Lazio, 30 in Campania e 32 in Sicilia, per un totale di 1.392.000 euro erogati in favore di start up avviate nel 2016 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con un bando che esclude i cittadini italiani;
   sul sito www.giovani2g.it è pubblicato l'elenco degli idonei beneficiari ove è possibile leggere, tra i tanti, un finanziamento di 10.000 euro per il progetto «Chirurgia orale-prestazioni d'opera» nel Lazio ed uno di 19.321 euro per il progetto «Lavoro e inclusione» in Sicilia; molti hanno utilizzato il finanziamento per l'apertura di negozi di frutta e verdura, autolavaggi, barberie o Baobab street food;
   il bando del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, denominato «Giovani 2g» è rivolto a giovani di età compresa tra i 18 e 30 anni, purché stranieri cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea, per l'assegnazione a 160 giovani di un contributo a fondo perduto ad personam a sostegno della nascita di nuove realtà imprenditoriali o di autoimpiego, con la messa a disposizione di prestazioni di accompagnamento, consulenza e tutoraggio in capo a Italia lavoro;
   l'iniziativa, infatti, è finanziata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali – direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione con il fondo nazionale politiche migratorie attraverso Italia lavoro, ente strumentale del Ministero, più volte in odor di soppressione ed ora assorbita, almeno sulla carta, dall'Anpal;
   il termine di richiesta di erogazione del contributo fissato perentoriamente al 30 novembre 2016 (articolo 7 dell'avviso del 2 novembre 2015) è stato, invece, ripetutamente prorogato (prima al 31 gennaio 2017, poi al 31 marzo 2017 ed infine al 31 maggio 2017) –:
   quali siano le motivazioni alla base della decisione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di emanare il bando di cui in premessa e specificatamente, per il Lazio, la Campania e la Sicilia, e se ci sia un monitoraggio dell'esito della cosiddetta start up ovvero una certezza della loro effettiva operatività, posto che il finanziamento è a fondo perduto e, dunque, i soldi non devono esser restituiti, nonché se sia intenzione del Ministero prorogare ulteriormente il termine perentorio di richiesta del contributo e per quali motivi. (3-03098)
(20 giugno 2017)

   LAFORGIA, SPERANZA, SCOTTO, FRANCO BORDO, FOLINO, MOGNATO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, BOSSA, CAPODICASA, CIMBRO, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MATARRELLI, MELILLA, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, RAGOSTA, ROSTAN, SANNICANDRO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA, ZARATTI e ZOGGIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 15 giugno 2017 è stata approvata definitivamente la legge di conversione del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, all'interno del quale è stata inserita, nel corso dell'esame parlamentare, una nuova disciplina sul lavoro occasionale;
   sulla previgente disciplina in tema di voucher, grazie ai tre milioni di firme raccolte dalla Cgil, era stato indetto un referendum abrogativo che si sarebbe dovuto svolgere nella giornata del 28 maggio 2017. La consultazione referendaria è stata in seguito cancellata per via dell'intervento dei Governo che ha varato un decreto-legge totalmente abrogativo della disciplina sui voucher, successivamente convertito in legge dal Parlamento;
   la nuova disciplina in tema di lavoro occasionale è stata oggetto di numerose critiche da parte delle forze politiche e da parte dei sindacati sia sotto il profilo tecnico, sia sotto il profilo politico, anche alla luce della palese operazione di aggiramento del referendum abrogativo che è stata posta in essere;
   sabato 17 giugno 2017 a Roma la Cgil ha organizzato una manifestazione di protesta alla quale hanno aderito migliaia di cittadini e lavoratori;
   da ultimo, sulla nuova normativa in tema di voucher è stato pubblicato un documento da parte dell'Ufficio parlamentare di bilancio, un organo tecnico e indipendente, nel quale si riscontrano molteplici criticità in ordine alla nuova normativa approvata proprio nella parte che più era stata oggetto di critiche in sede parlamentare e da parte della Cgil, ovverosia quella che regolamenta il lavoro accessorio presso le imprese. Tra le criticità più rilevanti si segnala come i limiti attualmente previsti al lavoro occasionale potrebbero essere in futuro facilmente ampliati per ricomprendere ulteriori attività, come già avvenuto in passato. Inoltre, si ravvisa un margine temporale troppo elevato per i datori di lavoro in ordine alle comunicazioni relative alle prestazioni lavorative di cui hanno usufruito che potrebbe addirittura favorire il lavoro nero. Infine, l'Ufficio parlamentare del bilancio evidenzia l'assenza di limitazioni alle mansioni cui possono essere chiamati i lavoratori occasionali con la possibilità per i lavoratori stessi di poter essere impiegati per svolgere attività anche rischiose, con conseguente aumento dell'incidenza di infortuni sul lavoro –:
   se il Governo, alla luce di quanto evidenziato in premessa, non ritenga necessario aprire immediatamente un tavolo di confronto con la Cgil, le altre organizzazioni sindacali e quelle datoriali al fine di raggiungere un'intesa ampiamente condivisa in tema di lavoro occasionale ed eliminare le rilevanti criticità e lacune presenti nella normativa approvata. (3-03099)
(20 giugno 2017)

   MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto legislativo n. 564 del 1996, al comma 5, prevede una contribuzione aggiuntiva di natura volontaria per i lavoratori dipendenti, che siano dirigenti sindacali o componenti degli organismi direttivi statutari delle confederazioni ed organizzazioni sindacali. Il comma 6 amplia questa facoltà per gli emolumenti e le indennità corrisposti dall'organizzazione sindacale ai lavoratori collocati in distacco sindacale con diritto alla retribuzione erogata dal proprio datore di lavoro;
   come ha evidenziato l'Inps, attraverso l'operazione «Porte aperte», questa disciplina sembra creare un trattamento eccessivamente privilegiato a favore dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali dal momento che:
    a) per compensi per attività sindacale non superiori alla retribuzione figurativa del lavoratore, l'organizzazione sindacale non paga mai alcun contributo;
    b) i contributi sulla retribuzione figurativa del lavoratore sono a carico della gestione previdenziale di appartenenza, quindi della collettività dei lavoratori «contribuenti» della gestione;
    c) nel caso di distacco sindacale, il sindacato, se sceglie di versare la contribuzione aggiuntiva, è tenuto a versare i contributi sull'intera indennità corrisposta al rappresentante per l'esercizio dell'attività sindacale e non solo su compensi superiori alla retribuzione figurativa. Ciò comporta un importo maggiore dei contributi versati a favore del rappresentante dell'organizzazione sindacale;
   secondo notizie di stampa, sarebbe stata bloccata dal parere negativo dell'ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali una prima circolare dell'Inps che esplicitava la necessità di ricalcolare le pensioni dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali in distacco;
   secondo stime Inps, tale ricalcolo impatterebbe su 30 pensionati «di nuova liquidazione» e circa 1.400 pensionandi, oggi ancora rappresentanti delle organizzazioni sindacali attivi e comporterebbe una riduzione media dell'ordine del 27 per cento sulla pensione lorda. In un caso sui 19 presi in esame si avrebbe addirittura una riduzione del 66 per cento della somma percepita;
   una seconda circolare dal simile obiettivo, ma dal contenuto diverso sarebbe in corso di esame sempre presso l'ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   gli interventi proposti nelle circolari Inps sono stati contestati da parte di alcune organizzazioni sindacali con l'argomento che allo scopo sarebbe necessario un intervento normativo –:
   se, al fine di dare un segnale di equità al Paese su un tema delicato come le pensioni soprattutto in prospettiva futura, intenda dar corso alla circolare in corso di esame presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali o se intenda invece intervenire con una modifica normativa nel primo provvedimento utile. (3-03100)
(20 giugno 2017)

   RIZZETTO, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione di quanto disposto dal decreto-legge 30 luglio 2010, n. 78, il 16 dicembre 2014 è stato pubblicato il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze che reca le norme per l'adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita;
   tale decreto ha stabilito che: «A decorrere dal 1o gennaio 2016, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici (...) sono ulteriormente incrementati di 4 mesi e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla tabella b allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, sono ulteriormente incrementati di 0,3 unità»;
   pertanto, in conseguenza degli aumenti legati alla speranza di vita, sono stati notevolmente innalzati sia l'età per raggiungere la pensione di vecchiaia che i contributi per ottenere la pensione anticipata;
   l'adeguamento dei requisiti per l'accesso al pensionamento, facendo ricorso automatico ad un indicatore statistico che misura la probabilità media di quanti anni un uomo e una donna possano vivere, rappresenta un meccanismo pregiudizievole che comporta un aumento periodico del tempo in cui si potrà accedere all'assegno previdenziale, basandosi su un dato meramente previsionale;
   il sistema come ideato, appare a giudizio degli interroganti incongruo e irragionevole e, infatti, ora sta accadendo che ci si trovi a fare i conti con i recenti dati che attestano, per la prima volta nella storia d'Italia, un calo dell'aspettativa di vita degli italiani;
   i dati rilevati dal rapporto Osservasalute, presentato il 26 aprile 2016, ha attestato che nel 2015 la speranza di vita per uomini e donne era rispettivamente di 80,1 anni e 84,7 anni, inferiore rispetto al 2014, imputando tale calo soprattutto alla riduzione della prevenzione sanitaria;
   a maggior ragione, a fronte di un andamento in discesa dell'aspettativa di vita, è, quindi, necessario abolire l'attuale sistema di adeguamento alla stessa delle pensioni per eliminare un meccanismo che determina un grave pregiudizio per i cittadini, poiché la speranza di vita media non aumenta, ma si allunga il tempo per accedere all'assegno pensionistico, con il rischio per i pensionati di godere, in concreto, solo di pochi anni del trattamento pensionistico rispetto al reale ammontare dei contributi versati negli anni sotto forma di pensione –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per eliminare l'iniquo meccanismo di adeguamento delle pensioni all'aspettativa di vita. (3-03101)
(20 giugno 2017)

   GAROFALO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 la strategia di Lisbona attribuiva alla connettività in banda larga un ruolo fondamentale ai fini dello sviluppo dell'Ict nell'economia e nella società. La Commissione europea ha sempre sostenuto l'importanza dell'accesso ai servizi a banda larga per tutti i cittadini europei;
   il Governo ha già fissato la strategia della banda ultra larga con l'Agenda digitale 2020;
   con il piano banda ultra larga l'Esecutivo ha stanziato risorse per tre miliardi di euro al fine di portare la fibra pubblica nelle cosiddette «aree bianche», zone comunemente ritenute a fallimento di mercato; si tratta di piccoli comuni o zone periferiche di sei regioni italiane;
   il 16 giugno 2017 è stato infatti formato il contratto per portare la banda ultra larga pubblica nelle stesse regioni ed è stata assegnata a Open fiber (alleanza tra Enel e Cassa depositi e prestiti) la gara per il piano;
   sulla questione Open fiber, cioè sulla copertura totale del territorio con un servizio di qualità, sono sorti contrasti a giudizio dell'interrogante sicuramente inopportuni tra Enel, Cassa depositi e prestiti e Telecom;
   interesse nazionale è che venga realizzato un servizio di alto valore relativo alle infrastrutture digitali: un servizio fondamentale e strategico per il Paese;
   il Governo aveva già sensibilizzato le imprese pubbliche e private e deciso un suo intervento in una situazione in cui era indispensabile l'apporto di tutti gli attori sul tema;
   si ritiene, pertanto, assolutamente sbagliato e dannoso uno scontro pubblico-privato in un settore di questa rilevanza –:
   se il Governo non ritenga indispensabile aprire un tavolo di lavoro sull'argomento in discussione, non impedendo a chi vuole investire di farlo autonomamente, al fine di evitare il rischio della costituzione di nuovi monopoli e di realizzare, con l'accordo ed il sostegno degli attori interessati, un progetto essenziale per il futuro del Paese. (3-03102)
(20 giugno 2017)

   FASSINA, MARCON, AIRAUDO, PLACIDO, CIVATI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 21 dicembre 2012, il Ministero dello sviluppo economico, verificata la sussistenza dei requisiti ex articolo 1 del decreto-legge n. 347 del 2003, ha ammesso alla procedura di amministrazione straordinaria l'ex acciaieria Lucchini di Piombino, nominando a tal fine commissario straordinario il dottor Piero Nardi ed autorizzandolo, successivamente, a redigere un contratto preliminare di cessione degli asset del sito siderurgico;
   nel dicembre del 2014, dopo aver espresso parere favorevole in merito alla cessione degli asset, il comitato di sorveglianza ha accolto la manifestazione di interesse della multinazionale algerina Cevital spa all'acquisizione del suddetto sito industriale;
   l'offerta del gruppo Cevital fissava obiettivi positivi in grado di sviluppare la competitività e di salvaguardare sia gli interessi dei creditori che quelle dei lavoratori, in virtù di un piano industriale che prevedeva, a regime, la piena occupazione per tutto il personale, realizzabile grazie al rilancio della produzione di acciai ed alla riconversione industriale in ambito agroalimentare e logistico. Di contro a tutt'oggi si registrano solo il ridimensionamento, da due ad uno, dei forni elettrici e l'arresto dei treni di laminazione con conseguente perdita di commesse e clienti;
   il 30 giugno 2017 scade il previsto biennio di monitoraggio da parte del Ministero dello sviluppo economico, circostanza che consentirà alla Cevital di esercitare il pieno controllo sulla fabbrica e la piena facoltà di licenziamento. Inoltre nei prossimi sei mesi scadranno tutti i trattamenti di integrazione salariale, inclusi i contratti di solidarietà, il cui rinnovo, possibile solo a fronte di un rapporto tra occupati ed inoccupati superiore al 40 per cento, è a discrezione dell'imprenditore;
   il 28 giugno 2017, in vista delle suddette scadenze, è previsto un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico tra il commissario straordinario ed i vertici di Cevital per trovare soluzioni che consentano la continuità produttiva del sito ed il mantenimento dei posti di lavoro. A tal proposito nella memoria depositata dal commissario Nardi, nel corso dell'audizione del 30 maggio 2017 presso la Commissione VIII, si legge che: «in presenza di un nuovo piano industriale, potranno essere concordate tra le parti modifiche contrattuali e la correlata proroga dei termini per il loro adempimento con aggiornamento delle garanzie occupazionali» –:
   se non ritenga doveroso, stante ancora il mancato avvio del piano industriale, prorogare l'amministrazione straordinaria, anche mediante una modifica alla normativa vigente, al fine di prolungare il periodo di sorveglianza da parte del Ministero dello sviluppo economico e rinnovare il trattamento di integrazione salariale. (3-03103)
(20 giugno 2017)