TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 817 di Martedì 20 giugno 2017

 
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INTERROGAZIONI

A)

   CAPARINI, BORGHESI, INVERNIZZI, ALLASIA, SIMONETTI, MOLTENI e RONDINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   ad oggi non è stato ancora emanato il bando per la presentazione delle domande per il riconoscimento dei contributi relativi all'anno 2016 per le emittenti radiofoniche e televisive locali (il termine per la relativa emanazione scadeva il 31 gennaio 2016);
   non è ancora stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri lo schema di decreto del Presidente della Repubblica relativo al nuovo regolamento (previsto dall'articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208) per il riconoscimento dei contributi annuali all'emittenza locale;
   tale situazione è insostenibile per le imprese televisive locali il cui settore sta affrontando un momento di grande difficoltà conseguente alla crisi del mercato pubblicitario, ai cambiamenti tecnologici e alla concorrenza delle nuove piattaforme –:
   come il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intendano procedere per erogare i contributi annuali per le emittenti televisive locali. (3-03085)
(19 giugno 2017)
(ex 4-16116 del 30 marzo 2017)

   D'INCÀ. – Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   la situazione relativa ai contributi annuali per le tv locali è molto grave;
   infatti: non sono stati ancora erogati i contributi statali relativi all'anno 2015; non è stato ancora emanato il bando per la presentazione delle domande per il riconoscimento dei contributi relativi all'anno 2016 (il termine per la relativa emanazione scadeva il 31 gennaio 2016);
   non è stato ancora approvato dal Consiglio dei ministri lo schema di decreto del Presidente della Repubblica relativo al nuovo regolamento (previsto dall'articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208) per il riconoscimento dei contributi annuali all'emittenza locale;
   tale situazione è insostenibile per le imprese televisive locali, cui settore sta affrontando un momento di grande difficoltà conseguente alla crisi del mercato pubblicitario, ai cambiamenti tecnologici e alla concorrenza delle nuove piattaforme –:
   come il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministero dello sviluppo economico, per quanto di competenza, intendano procedere per dare soluzione alle problematiche sopra richiamate.
(3-03090)
(19 giugno 2017)
(ex 4-15978 del 21 marzo 2017)

B)

   TERZONI e CECCONI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno e al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 51, comma 4, del decreto-legge n. 189 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 229 del 2016, ha autorizzato la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2016 e 45 milioni di euro per l'anno 2017 al fine di ripristinare l'integrità del parco mezzi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché per garantire l'attività di raccolta e trasporto del materiale derivante dal crollo degli edifici nei territori delle regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo colpiti dagli eventi sismici del 2016, nonché per assicurare lo svolgimento dell'attività di rimozione e trasporto delle macerie dai predetti territori;
   ad oggi, anche secondo quanto riferito dalla Ragioneria generale dello Stato, risulta che le somme stanziate, comprese quelle per il 2016, non siano ancora state messe a disposizione; in particolare per lo stanziamento di 5 milioni di euro per l'anno 2016 sarebbe stato disposto il trasferimento sul bilancio del Ministero dell'interno, mentre per lo stanziamento di 45 milioni di euro per l'anno 2017 risulta che il trasferimento sia ancora da effettuare –:
   quali siano le ragioni del ritardo registrato nell'utilizzo dei fondi di cui in premessa, stante anche l'aggravarsi dell'emergenza a causa degli ultimi eventi calamitosi;
   se non si ritenga urgente intervenire per garantire che tali somme siano messe a disposizione nel più breve tempo possibile;
   se sia stato predisposto un elenco dei mezzi necessari e se siano già state avviate le procedure per il loro acquisto. (3-02777)
(8 febbraio 2017)

C)

   LATRONICO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   nel comune di Scanzano Jonico (Matera) e nell'area del metapontino continuano a verificarsi numerosi episodi criminali a danno di attività economiche nei settori agricolo, artigianale, edilizio e turistico che lasciano presagire strutture delinquenziali organizzate;
   si rileva che il territorio del comune di Scanzano Jonico è attraversato dalla strada statale n. 106 Jonica, asse viario fondamentale per il Mezzogiorno, dove si verificano da anni episodi criminosi di varia natura;
   l'ultimo episodio incendiario mette in risalto la difficoltà che i cittadini sono costretti ad affrontare, che rischia di soffocare le energie e lo stesso spirito imprenditoriale, e sollecita una sempre maggiore attenzione sulle condizioni di sicurezza che devono essere garantite agli operatori economici ed a tutta la collettività;
   l'interrogante ha presentato altri atti di sindacato ispettivo dove evidenziava l'accrescersi di vari fenomeni malavitosi che si verificavano nel comune e la mancanza di un presidio di pubblica sicurezza nella cittadina lucana;
   dopo mesi di rapine, furti, incendi dolosi è necessario istituire in loco un presidio permanente di sicurezza, visto che il comune di Scanzano è rimasto senza alcun presidio in pianta stabile delle forze dell'ordine dopo il trasferimento del commissariato a Policoro;
   dopo gli ultimi accadimenti, i cittadini del comune lucano chiedono con insistenza misure concrete per contrastare ogni tipo di violenza ed evitare possibili episodi di giustizia «fai da te» per una maggiore tutela dell'incolumità e della sicurezza pubblica, anche attraverso l'installazione di impianti di videosorveglianza, vista l'estensione del territorio del comune dove insistono numerose attività economiche ed aziende agricole disseminate nelle aree rurali;
   il problema della sicurezza nell'area del metapontino deve essere affrontata con immediatezza, visto l'approssimarsi della stagione estiva e l'incrementarsi del flusso turistico, che porta ad un'autentica crescita esponenziale della popolazione e che rende ancor più evidente come debba essere garantita la tranquillità e la sicurezza del territorio –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative intenda assumere per intensificare l'azione di controllo delle forze dell'ordine, per contrastare questi episodi e garantire più sicurezza ai cittadini, anche attraverso l'installazione di sistemi di videosorveglianza nei punti nevralgici della cittadina lucana. (3-02922)
(29 marzo 2017)

   LATRONICO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   nella notte del 25 febbraio 2016 si è verificato l'ennesimo episodio incendiario ai danni del magazzino ortofrutticolo della Prometas, azienda leader negli anni ’80 per la lavorazione e commercializzazione di prodotti agricoli, chiuso da 3 anni, nel territorio del comune di Scanzano Jonico che è attraversato dalla strada statale n. 106 Jonica, arteria di collegamento tra la Puglia e la Calabria;
   da indiscrezioni giornalistiche si apprende che si è trattato di un atto doloso che ha interessato un'area di 5.000 metri quadri e le fiamme si sono propagate nel lato est del magazzino dove vi erano mezzi industriali e grossi cassoni in plastica utilizzati per la raccolta della frutta nei campi;
   i vigili del fuoco, oltre a spegnere il rogo, hanno dovuto mettere in sicurezza gli impianti della struttura, rilevando che quelli elettrici erano già stati depredati dei loro cavi di rame nella notte precedente;
   l'area del materano ed il comune di Scanzano Jonico continuano ad essere costantemente vittime di attentati incendiari notturni dolosi a danno di attività economiche nei settori agricolo, artigianale, edilizio e turistico. L'unico presidio delle forze dell'ordine, presente nel centro ionico, il commissariato della polizia di Stato, è stato trasferito negli ultimi anni nella città di Policoro;
   l'ultimo episodio incendiario mette in risalto la difficoltà che gli imprenditori dell'area jonica sono costretti ad affrontare, difficoltà che rischia di soffocare le energie e lo stesso spirito imprenditoriale, e sollecita una sempre maggiore attenzione sulle condizioni di sicurezza che devono essere garantite agli operatori economici ed a tutta la collettività;
   i fenomeni malavitosi connessi al racket delle estorsioni nel metapontino registrano una preoccupante recrudescenza e dal 2004 a oggi si è verificato un lungo elenco di atti intimidatori e attentati incendiari a Scanzano Jonico e sulla costa ionica lucana purtroppo rimasti ancora impuniti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative intenda assumere per intensificare l'azione di controllo delle forze dell'ordine per contrastare questi episodi e garantire più sicurezza ai cittadini.
(3-03088)
(19 giugno 2017)
(ex 5-07941 del 29 febbraio 2016)

D)

   MOLEA. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   la paventata chiusura della polizia postale di Forlì-Cesena, così come delle altre sezioni provinciali, per demandare le funzioni ad un livello regionale sarebbe un grave errore;
   soprattutto in un momento nel quale web ed in particolare social network sono strumenti sempre più utilizzati nella vita quotidiana, anche purtroppo per perpetrare truffe e reati di vario tipo;
   il tema della sicurezza è oggi più che mai profondamente sentito ed occorre intervenire sempre con molta attenzione, affinché anche le ipotesi di riorganizzazione non privino i territori di presidi essenziali;
   crimini come la pedopornografia, i furti di identità e frodi informatiche sono in continua e rapida espansione e in questo contesto internet offre ampie possibilità di delinquere;
   la polizia postale, anche a livello locale, rappresenta un fondamentale strumento a tutela dei cittadini e della loro sicurezza, sotto ogni sua forma;
   come testimoniano i dati comunicati dal Siulp relativi proprio alla sezione forlivese: quasi 500 denunce ricevute ed oltre 100 persone denunciate in un anno, senza contare le oltre 500 richieste di collaborazione pervenute dalle altre forze di polizia e la diffusa attività di prevenzione, svolta anche negli istituti scolastici; ciononostante, la sezione forlivese vanta un solo ufficiale di polizia giudiziaria in organico;
   la situazione della polizia postale si inserisce purtroppo in un quadro complessivo che coinvolge a livello locale tutte le forze dell'ordine, che stanno vedendo assottigliarsi da una parte gli organici per effetto dell'attuazione del blocco del turnover, dall'altra i fondi assegnati per nuovi mezzi, strumenti, dotazioni tecnologiche e sedi più accoglienti;
   la necessaria esigenza di razionalizzazione, che oggi interessa l'apparato pubblico e che coinvolge anche le forze dell'ordine, non può andare a discapito della sicurezza dei cittadini, a maggior ragione in un ambito strategico per la sburocratizzazione e l'innovazione del Paese come il web –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e, nel caso, quali interventi tempestivi ritenga utile assumere al fine di scongiurare tale possibile chiusura, che andrebbe sicuramente a scapito della sicurezza di molti cittadini e di molti giovani. (3-00670)
(6 marzo 2014)

   IORI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   in una società sempre più «informatizzata» sono in costante aumento i crimini via web, soprattutto in danno dei minorenni, quali diffusione della pedopornografia e della pedofilia online, l'adescamento, il cyberbullismo, le minacce, lo stalking, le diffamazioni sulla rete, le truffe e la pirateria informatica, i furti di identità ed altri;
   l'evoluzione tecnologia ha portato e porterà in futuro alla nascita di nuove fattispecie criminose attuate tramite la rete internet;
   la ricerca svolta nel febbraio 2014 da Ipsos per Save the children su un campione di ragazzi dai 12 ai 17 anni mette in luce una diffusione capillare degli strumenti informatici fra i minori, oltre a rilevare che per ben il 72 per cento degli adolescenti il cyberbullismo è il fenomeno sociale più pericoloso del proprio tempo;
   la polizia postale svolge un ruolo indispensabile, essendo l'unica forza dell'ordine addetta allo studio, alla prevenzione, alla repressione e al contrasto dei reati commessi tramite la rete internet, in particolare quando le vittime sono minorenni;
   proprio in questi giorni presso il Senato della Repubblica è stata approvata una proposta di legge sul cyberbullismo (la proposta di legge n. 3139 che sta per arrivare alla Camera in quarta lettura) in cui si prevede che vengano privilegiati gli aspetti educativi e rieducativi, stanziando fondi specifici proprio per il lavoro nelle scuole della polizia postale nel triennio 2017-2019;
   in questa prospettiva la specialità della polizia postale e delle comunicazioni, oltre alla repressione ed al contrasto dei crimini perpetrati tramite la rete internet, attua un'attività di prevenzione e formazione, rivolta ai ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori italiane, per fornire agli studenti ed alle famiglie, oltre che agli insegnanti, conoscenze idonee a garantire una navigazione in rete consapevole e sicura;
   questo ruolo educativo è previsto anche dalla legge n. 107 del 2015 (la cosiddetta «buona scuola») laddove si premette l'importanza di prevenire i rischi e i pericoli della rete, attraverso collaudati progetti di sensibilizzazione e formazione degli insegnanti e workshop gratuiti presso le scuole che ne fanno richiesta;
   già nel 2014 era stata presentata dall'interrogante al Ministro dell'interno un'interrogazione parlamentare per evitare la soppressione di 74 sezioni provinciali di polizia postale e delle comunicazioni, la cui chiusura venne poi evitata;
   ora si ripresenta questa evenienza, difficilmente comprensibile, anche in una logica di contenimento della spesa, poiché tale specialità consente di intercettare reati e prevenire conseguenze e costi anche molto pesanti;
   la razionalizzazione delle risorse umane, a cui è finalizzata detta chiusura, vanifica in gran parte l'esperienza e la professionalità acquisita nel corso degli anni dal personale specializzato delle sezioni di polizia postale e delle comunicazioni destinate alla chiusura;
   infine, gli uffici delle sezioni di polizia postale sono sovvenzionati da Poste italiane spa, che assume sul proprio bilancio i costi di gestione, non gravando quindi su quelli del Ministero dell'interno –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno evitare la soppressione delle sezioni di polizia postale e delle comunicazioni di cui in premessa che porterebbe al depotenziamento di una specialità resa sempre più necessaria dalla crescente esigenza di prevenzione e contrasto dei reati informatici commessi tramite la rete internet, soprattutto a danno dei minorenni;
   se non ritenga il Ministro interrogato di assumere iniziative affinché tale specialità sia potenziata, implementata e dotata dei migliori e più avanzati mezzi tecnologici per prevenire, contrastare e reprimere i reati via web, in particolare considerando che le sezioni presenti sul territorio, oltre alla prevenzione e al contrasto del fenomeno, garantiscono un rapporto diretto con i cittadini attraverso la quotidiana attività per acquisire denunce, esposti e richieste sui reati online.
(3-02797)
(21 febbraio 2017)

   FABBRI, IORI, MARCHI e ARLOTTI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   nella prima settimana di marzo 2014 il Ministero dell'interno ha sottoposto all'attenzione dei questori della Repubblica un progetto di razionalizzazione della dislocazione dei presidi di polizia sul territorio, in un'ottica di rivisitazione ed ottimizzazione dei commissariati di polizia di Stato (nelle sue quattro specialità: stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e delle stazioni del Corpo carabinieri e delle forze speciali a carattere sussidiario;
   nell'ambito di detta spending review è prevista la soppressione di ben 74 sezioni provinciali di polizia postale e delle comunicazioni, unica specialità addetta allo studio, repressione e contrasto dei reati commessi tramite la rete internet, in particolare a danno dei minorenni;
   nella sola regione Emilia-Romagna verranno soppresse le sezioni di Ferrara, Forlì, Modena, Parma, Piacenza, Ravenna e Reggio Emilia. Quest'ultima sezione verrà chiusa già nei primi mesi del 2015;
   il rapporto di Inhope-International Association of internet hotlines rilevava nel 2010 ben 24.000 segnalazioni di siti contenenti immagini e video pedopornografici;
   il fenomeno dell'adescamento di minorenne di cui all'articolo 609-undecies del codice penale perpetrato tramite l'utilizzo degli strumenti telefonici e telematici è in costante aumento ed a seguito della diffusione dei social network coinvolge vittime con fasce di età sempre più basse;
   tra il 1o aprile 2010 ed il 30 settembre 2011, grazie al lavoro della polizia postale e delle comunicazioni, sono stati monitorati 31.432 siti sospetti. Solo nel corso del 2010 le operazioni sotto copertura hanno determinato l'apertura di 63 indagini con sottoposizione a provvedimenti restrittivi e alla denuncia di altre 582 persone per reati connessi alla pornografia minorile;
   la ricerca svolta nel febbraio 2014 da Ipsos per Save the children su un campione di ragazzi dai 12 ai 17 anni mette in luce una diffusione capillare degli strumenti informatici fra i minori, oltre a rilevare che per ben il 72 per cento degli adolescenti il cyber bullismo è il fenomeno sociale più pericoloso del proprio tempo;
   l'indagine conoscitiva sulle condizioni dell'infanzia e dell'adolescenza di Telefono azzurro ed Eurispes del 2012 evidenzia i pericoli e l'inadeguatezza della rete internet per i minorenni, riferendo un incremento delle denunce relative alla diffusione (minacciata o attuata) di foto e video «intimi» tramite le tecnologie informatiche ed i social network: un adolescente su 5 ha trovato online proprie foto imbarazzanti senza averne precedentemente autorizzato la pubblicazione. Più di un bambino su 4 (25,9 per cento) ammette di essersi imbattuto in pagine internet contenenti immagini di violenza, il 16 per cento dei bambini ha trovato in rete immagini di nudo, il 13 per cento siti che esaltano la magrezza, il 12,2 per cento siti con contenuti razzisti. Inoltre, più di un bambino su 10 riferisce di aver trovato online sue foto private (12,4 per cento) o sue foto che lo mettevano in imbarazzo (10,8 per cento); l'8,3 per cento ha visto pubblicati in rete video privati, il 7,1 per cento rivelazioni su propri fatti personali, il 6,7 per cento video imbarazzanti in cui egli stesso era presente;
   la polizia postale e delle comunicazioni è l'unica specialità della polizia di Stato idonea a prevenire, contrastare e reprimere la diffusione delle pedopornografia e della pedofilia tramite la rete internet, la pubblicazione di contenuti inappropriati per minorenni, l'adescamento online, il cyberbullismo, le minacce, lo stalking e le diffamazioni sulla rete, le truffe e la pirateria informatica, i furti di identità, il phishing e in ultimo la diffusione di virus, worm, trojan horses, spyware e programmi concepiti per invadere, danneggiare, sottrarre e nei casi più estremi cancellare dati personali. In una società sempre più «informatizzata» tali crimini sono in costante aumento. L'evoluzione tecnologia, inoltre, ha portato e porterà in futuro alla nascita di nuove fattispecie criminose attuate tramite la rete internet;
   in tale prospettiva la specialità della polizia postale e delle comunicazioni andrebbe implementata, dotata dei migliori e più avanzati mezzi tecnologici e potenziata. In particolare, non risponde ad una maggiore efficacia la soppressione delle sezioni presenti sul territorio, le quali, oltre alla prevenzione e al contrasto del fenomeno, attuano il rapporto diretto con il cittadino attraverso la quotidiana attività di front office per acquisire denunce, esposti e richieste di ogni genere;
   la polizia postale, oltre alla repressione ed al contrasto dei crimini perpetrati tramite la rete, attua un'attività di prevenzione e formazione, rivolta ai ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori italiane, per fornire agli studenti ed alle famiglie conoscenze idonee a garantire una navigazione in internet consapevole e sicura. Predispone altresì collaudati progetti di sensibilizzazione e formazione degli insegnanti circa i rischi e pericoli della rete e svolge workshop gratuiti presso le scuole che ne fanno richiesta;
   la razionalizzazione delle risorse umane, a cui è finalizzata detta chiusura, è inoltre vanificante in gran parte dell'esperienza e della professionalità acquisita nel corso degli anni dal personale specializzato delle sezioni di polizia, postale e delle comunicazioni destinate alla chiusura;
   sebbene il dipartimento di pubblica sicurezza abbia previsto la ricollocazione del personale di polizia postale e delle comunicazioni presso gli uffici investigativi delle questure, per svolgere indagini in tema di reati informatici, rimane incomprensibile il sistema di direzione, coordinamento e aggiornamento del personale in tali strutture non specializzate;
   le sezioni della polizia postale e delle comunicazioni sono sovvenzionate, ad eccezione che per gli stipendi, dalla società Poste italiane spa, società privata che assume sul proprio bilancio tutti i costi di gestione che non vanno a gravare, conseguentemente, su quelli del Ministero dell'interno. La soppressione delle sezioni non produrrebbe dunque alcun beneficio economico per lo Stato. La chiusura comporterebbe, invece, un aggravio di spesa per dotare il personale trasferito di locali, computer, attrezzature tecnologiche ed informatiche, arredi, autovetture di servizio ed ogni altro strumento necessario, il cui costo, ad oggi, è a carico della società privata Poste Italiane spa –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno preservare le sezioni di polizia postale e delle comunicazioni, considerato che:
    a) il beneficio economico per lo Stato derivante dalle soppressioni di dette sezioni è irrisorio, stanti il sovvenzionamento di Poste italiane spa e l'aggravio di spesa per dotare il personale trasferito nelle questure di locali, attrezzature informatiche ed ogni altro strumento necessario;
    b) il depotenziamento di questa specialità, resa sempre più necessaria dal numero crescente di reati informatici commessi tramite la rete internet soprattutto a danno di minorenni, comporta una diminuita attività di contrasto, protezione e prevenzione. (3-03086)
(19 giugno 2017)
(ex 5-04341 del 19 dicembre 2014)

   IORI, MARCHI e GANDOLFI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta dalla riunione del servizio della polizia delle comunicazioni tenutasi il 5 aprile 2017 per presentare il piano di razionalizzazione dei presidi della suddetta polizia postale, nonostante il continuo incremento dei reati perpetrati tramite il web, verranno chiuse 54 sezioni della polizia delle comunicazioni delle 72 tuttora esistenti; se il piano prospettato nel 2016 prevedeva il mantenimento degli uffici sede di procure distrettuali competenti in materia di reati di esclusiva pertinenza della polizia postale, non si comprende come mai alcune città debbano avere un ufficio della polizia postale ed altre no;
   in Emilia-Romagna verranno chiuse 5 sezioni su 7 e ben 35 dipendenti, specializzatisi da almeno un decennio con indagini e corsi di aggiornamento, verranno destinati ad un non ancora noto tipo di servizio che potrebbe anche non aver nulla a che fare con i reati informatici;
   per l'Emilia-Romagna è prevista la salvaguardia, oltre che della sede compartimentale di Bologna (procura distrettuale presente), anche degli uffici di Parma e Rimini (procura distrettuale non presente); e non appare plausibile pensare ad una ripartizione territoriale con una sezione per l'Emilia ed una per la Romagna, poiché in realtà non potranno essere variate le competenze territoriali per i moltissimi reati compiuti tramite il web e pertanto i cittadini di Parma avranno un ufficio specializzato su indagini di tale tipo, a differenza di quelli di Reggio Emilia o di Modena;
   è di fondamentale importanza l'acquisizione delle notizie di reato dove è preminente l'utilizzo di sistemi informatici. Senza le opportune conoscenze si rischia di omettere particolari riferimenti informatici che successivamente renderanno impossibili le indagini. Cosa accaduta più volte alla sezione di Reggio Emilia nelle indagini delegate da altri uffici;
   la sezione di Reggio Emilia, nonostante l'ormai numero esiguo di dipendenti, 4, contro gli 8 di tre anni fa, mai sostituiti, ha comunque trattato nel 2016 ben 580 fascicoli di indagine e denunciato 100 persone. Riceve inoltre quotidianamente decine di telefonate e mail da cittadini incappati in truffe, estorsioni, frodi informatiche, attacchi di virus, problematiche con i social network e altro, smistate molte volte dalla questura o dalle stazioni dei carabinieri alle quali viene fornita sempre una risposta esaustiva anche per aumentare il senso di sicurezza dei cittadini;
   altro aspetto rilevante e meritevole di attenzione è costituito dagli incontri con le scolaresche: nel 2017 oltre 28 incontri con gli alunni reggiani e due con la cittadinanza, che sarà quasi impossibile ripetere;
   infine è imminente la firma del rinnovo della convenzione con Poste italiane spa, che proseguirà quella ormai esistente da tantissimi anni, con la quale Poste italiane spa forniva e fornirà uffici, autoveicoli e strumenti informatici per l'operatività della polizia postale; a tale riguardo non si capisce perché il dipartimento di pubblica sicurezza voglia perdere una parte delle forniture, dato che un punto della summenzionata convenzione prevede che l'accordo subirà modifiche parziali o totali a seconda del numero dei presidi che verranno chiusi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, a fronte delle considerazioni sopra riportate, evitare la soppressione delle sezioni di polizia postale e delle comunicazioni di cui in premessa che porterebbe al depotenziamento di una specialità resa sempre più necessaria, in particolare considerando che le sezioni presenti sul territorio di Reggio Emilia, oltre alla prevenzione e al contrasto del fenomeno, garantiscono un rapporto diretto con i cittadini attraverso la quotidiana attività per acquisire denunce, esposti e richieste sui reati online, nonché costituiscono una risposta alla crescente esigenza di prevenzione e contrasto dei reati informatici commessi tramite la rete internet soprattutto a danno dei minorenni. (3-03087)
(19 giugno 2017)
(ex 5-11130 del 12 aprile 2017)

   RICCIATTI, QUARANTA, D'ATTORRE, ROBERTA AGOSTINI, PIRAS, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, SCOTTO e NICCHI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il piano nazionale di razionalizzazione della polizia di Stato prevede la chiusura di 54 sedi di polizia postale dislocate su tutto il territorio nazionale;
   saranno pertanto soppressi numerosi presidi con conseguente redistribuzione del personale addetto alle questure;
   gli uffici di polizia postale svolgono una delicatissima e qualificata funzione di contrasto alle crescenti attività criminali perpetrate attraverso gli strumenti informatici, quali accessi abusivi a sistemi informatici, frodi informatiche e truffe e-commerce, furti d'identità, diffamazioni e minacce sui social network, pedopornografia;
   tra le sedi interessate dal piano di razionalizzazione e che potrebbero essere chiuse nei prossimi mesi figura quella di Pesaro;
   come per altri presidi, i dati relativi alle denunce effettuate presso gli uffici di polizia postale di Pesaro mostrano un'attività con volumi significativi (con oltre 400 denunce all'anno), che andranno a sovraccaricare, in caso di chiusura, l'unico presidio che residuerà nella regione: quello di Ancona;
   la redistribuzione del personale attualmente in servizio presso i presidi di polizia postale nelle questure comporterà, inoltre, una dispersione di professionalità che andrebbero al contrario sostenute e potenziate, considerato il costante aumento, nel numero e nel grado di offensività, dei reati informatici;
   sebbene il piano di razionalizzazione abbia il corretto obiettivo di ridurre i costi amministrativi, questo non può avvenire a discapito delle attività di istituto della polizia;
   ad avviso degli interroganti, lo smantellamento della sede della polizia postale di Pesaro priverà il territorio di un importante presidio di sicurezza e prevenzione per i cittadini, considerato che, oltre all'attività di repressione dei reati, la polizia postale svolge anche un'importantissima attività a contatto diretto con i cittadini, con iniziative educative, di formazione ed informazione;
   tra queste attività risulta particolarmente meritoria quella svolta presso le scuole, nei confronti sia di studenti e docenti che di genitori, per prevenire reati che destano un forte allarme sociale, come il cyberbullismo, la pedopornografia e l'adescamento di minori –:
   se il Ministro interrogato non intenda, anche alla luce delle criticità illustrate in premessa, rivedere il piano di ridimensionamento, al fine di scongiurare la perdita delle attività svolte dalla polizia postale di Pesaro;
   quali misure intenda promuovere per garantire il prezioso e insostituibile lavoro che i presidi territoriali hanno sino ad oggi svolto in ordine alle attività di prevenzione, educazione e formazione contro i rischi della rete internet. (3-03089)
(19 giugno 2017)
(ex 5-11147 del 18 aprile 2017)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE IL FUNZIONAMENTO DELLE PROVINCE

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione sancisce che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (articolo 114), che le province sono titolari di funzioni amministrative (articoli 117 e 118), hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse autonome, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, rappresentanti le risorse con le quali possono finanziare integralmente le funzioni loro attribuite (articolo 119);
    tra le funzioni fondamentali, si ricorda, è competenza delle province, quali enti con funzioni di area vasta: la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, nonché la costruzione e gestione delle strade provinciali e relativa regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; la programmazione provinciale della rete scolastica e la gestione dell'edilizia scolastica; la cura dello sviluppo strategico del territorio e la gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo;
    l'esito referendario negativo del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi, di fatto, riporta «in vita» le istituzioni provinciali, non essendosi manifestata la volontà popolare di eliminarle;
    tale esito stride oggi con la previsione della cosiddetta legge Delrio n. 56 del 2014, che ha smantellato le province, impoverendole di funzioni fondamentali e portando alla deregulation la gestione dell'area vasta a livello territoriale;
    necessita, pertanto, in una prospettiva di lungo periodo, un intervento normativo che adegui la citata legge n. 56 del 2014 ed al contempo delinei un ordinamento locale delle province in coerenza col dettame costituzionale;
    già la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), considerando le province quali «enti in attesa di riforma costituzionale», ha operato un taglio pari a 1 miliardo di euro nel 2015, cui si aggiunge un altro miliardo nel 2016 ed un altro miliardo ancora nel 2017;
    sulla base di una serie di interventi normativi (decreto-legge n. 201 del 2011; decreto-legge n. 95 del 2012; decreto-legge n. 66 del 2014 e, appunto, legge n. 190 del 2014) negli ultimi cinque anni c’è stata da parte dello Stato una continua riduzione di risorse alle province pari a: 1.115 milioni di euro nel 2013, 2.059 milioni di euro nel 2014, 3.241 milioni di euro nel 2015, 4.250 milioni di euro nel 2016 e 5.250 milioni di euro nel 2017 (dato che comprende anche le città metropolitane, istituite il 1o gennaio 2015);
    a fronte dei predetti tagli, le province hanno dovuto effettuare una drastica riduzione della propria spesa corrente, quantificata in 2,7 miliardi di euro dal 2013 al 2016 (2013: 7,5 miliardi di euro; 2014: 6,2 miliardi di euro; 2015: 5,2 miliardi di euro; 2016: 4,8 miliardi di euro), pari ad un 40 per cento in meno che, inevitabilmente, si riversa sui servizi essenziali erogati per la sicurezza dei territori e lo sviluppo locale;
    dal totale delle entrate di tutte le province e città metropolitane, pari a 3 miliardi e 668 milioni di euro (di cui 1,3 miliardi derivante dall'imposta provinciale di trascrizione e 2,3 miliardi dalle assicurazioni di responsabilità civili automobili), sottratto il taglio imposto dalla legge di stabilità n. 190 del 2014 (pari a 3 miliardi di euro nel triennio) e quello conseguente alla spending review di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 (pari a 579 milioni di euro), sui territori provinciali resta appena il 3 per cento degli introiti per poter coprire le spese delle loro funzioni fondamentali;
    l'ammontare residuo di risorse a disposizione è, pertanto, decisamente ed ovviamente insufficiente, al punto che l'Upi – Unione delle province italiane ha dovuto promuovere una mobilitazione con il deposito, da parte dei presidenti di provincia, di esposti cautelativi alle procure della Repubblica, alle prefetture e alle sezioni regionali della Corte dei conti;
    secondo l'Upi, infatti, le entrate 2017 sono pari a 2 miliardi e 916 milioni di euro a fronte di uscite pari a 3 miliardi e 608 milioni di euro, escludendo l'ulteriore taglio di 650 milioni di euro, quindi con un ammanco nel 2017 per chiudere i bilanci delle sole 75 province di regioni a statuto ordinario pari a quasi 700 milioni di euro (691.954.000), il che pone le province medesime nell'oggettiva impossibilità di approvare i bilanci preventivi entro il 31 marzo 2017 secondo quanto disposto dalla legge di bilancio per il 2017;
    addirittura la stessa Sose, la società del Ministero dell'economia e delle finanze incaricata di calcolare i fabbisogni standard degli enti locali, ha quantificato in 651,5 milioni di euro la distanza tra le entrate garantite e le spese necessarie alle funzioni che ancora restano in capo alle province, nonostante l'alleggerimento della riforma cosiddetta Delrio, prime fra tutte la messa in sicurezza e la manutenzione dei 130 mila chilometri di strade provinciali e la gestione dei 5.100 edifici scolastici,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche normative, volte a:
   a) ripristinare le funzioni attribuite alla province ante legge n. 56 del 2014, consolidando la loro esistenza costituzionale alla luce del voto referendario del 4 dicembre 2016;
   b) individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto del dettame costituzionale di cui all'articolo 119 della Costituzione;
   c) semplificare la forma di governo degli enti attraverso una revisione della disciplina relativa agli organi, allo loro durata, al sistema di elezione ripristinandone l'elezione diretta;
   d) destinare alle province una quota del fondo Anas pari ad almeno 300 milioni di euro per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali, così da avviare le opere necessarie per riportare in sicurezza un'importante e strategica rete viaria;
   e) assegnare alle province le ulteriori risorse necessarie a garantire l'espletamento delle funzioni fondamentali necessarie per la sicurezza dei territori ed i servizi essenziali ai cittadini, come evidenziato anche dalla Sose nel corso dell'audizione parlamentare del 16 marzo 2017 in Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale;
   f) riportare nei bilanci delle province i risparmi derivanti dai propri atti e provvedimenti di spending review;
   g) ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti attraverso l'abrogazione della disposizione di cui al comma 420 della legge n. 190 del 2014;
   h) riconoscere alle province, in via straordinaria anche per il 2017, la facoltà di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci.
(1-01553)
«Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
(21 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica è composta dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (articolo 114 della Costituzione);
    le province sono titolari di funzioni amministrative (articoli 117 e 118 della Costituzione);
    le province hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa; le risorse derivanti da queste fonti consentono di finanziare integralmente le funzioni attribuite (articolo 119 della Costituzione);
    la legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio»), recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», non ha abolito le province, ma le ha trasformate in enti di secondo livello, governate da sindaci e amministratori comunali;
    infatti, l'articolo 1 della suddetta legge, al comma 85, dispone che le province, quali enti con funzioni di area vasta, mantengono l'esercizio delle seguenti funzioni fondamentali: a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale; c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; e) gestione dell'edilizia scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    la «legge Delrio», del resto, era solo propedeutica all'eliminazione delle province dalla Costituzione, alla loro trasformazione in «enti di area vasta» e all'assegnazione a comuni e regioni, e solo residualmente agli enti di area vasta e alle città metropolitane, secondo il principio di sussidiarietà, anche delle funzioni fondamentali che la «legge Delrio» aveva mantenuto in capo alle province;
    tale progetto complessivo di riordino delle funzioni statali si è interrotto a seguito dell'esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che ha avuto, fra le altre, la conseguenza di mantenere in capo alle province la loro autonomia istituzionale, finanziaria e organizzativa, in coerenza con il principio autonomistico sancito dall'articolo 5 della Costituzione, e tutte le competenze fondamentali;
    anche il trasferimento alle regioni delle competenze sottratte alle province dalla «legge Delrio» (caccia e pesca, acque, trasporto rifiuti oltre frontiera, autonomie e altro) ha visto risultati del tutto difformi da regione a regione: in quelle virtuose il trasferimento è completato, ma in molte altre il trasferimento è ancora in corso, con la conseguenza che alcune province si devono ancora occupare di funzioni che non dovrebbero essere più di loro competenza, con conseguente aggravio di costi e di personale;
    senza aspettare la conclusione dell’iter della riforma costituzionale, e della conseguente eliminazione delle province, il Governo ha ritenuto, «in attesa della riforma costituzionale», di operare comunque tagli drastici ai bilanci provinciali;
    così, nella legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha operato, all'articolo 1, comma 418, un taglio di 3 miliardi di euro complessivi a regime del tutto insostenibile per i bilanci, così attuato: un miliardo di euro nel 2015 (decreto-legge n. 78 del 2015, articolo 1, comma 10, e tabella 2), cui si aggiunge un miliardo di euro nel 2016 (decreto-legge n. 113 del 2016, articolo 8, comma 1-bis, e tabella 1) e un miliardo di euro nel 2017 (provvedimento attuativo ancora da definire);
    la manovra finanziaria nei confronti delle province non ha operato solo un taglio, ma un vero e proprio prelievo di risorse dai loro bilanci: a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo si tratta di un prelievo incoerente, perché nega il principio di autonomia finanziaria degli enti sancito dall'articolo 119 della Costituzione, e di una sottrazione di risorse proprie (le entrate dai tributi locali) che avrebbero come destinazione, secondo il dettato costituzionale, la copertura integrale delle funzioni attribuite;
    dal 2013 al 2017 alle province è stato imposto un taglio complessivo alle risorse pari a 5,2 miliardi di euro, che derivano dall'applicazione delle seguenti disposizioni: decreto-legge n. 201 del 2011 (taglio di 415 milioni di euro), decreto-legge n. 95 del 2012 (taglio di 1.250 milioni di euro), decreto-legge n. 66 del 2014 (taglio di 58 milioni di euro), legge n. 190 del 2014 (taglio 3.000 milioni di euro);
    conseguentemente, oggi vi è uno squilibrio nei bilanci delle province di circa 1.350 milioni di euro, che si ridurrà a circa 700 milioni di euro a fronte dell'assegnazione di una quota pari a 650 milioni di euro del «Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi a favore degli enti territoriali», previsto all'articolo 1, comma 438, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), a seguito dell'approvazione in data 23 febbraio 2017 in Conferenza unificata del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex articolo 1, comma 439, di suddetta legge;
    il Governo ha operato come se le province fossero già svuotate delle loro funzioni fondamentali (trasporti, strade, rete scolastica, tutela ambientale e altro), rimaste in realtà sotto la loro competenza, e i tagli di bilancio conseguenti a questa logica fanno sì che un intero comparto istituzionale costitutivo della Repubblica non sarà in grado né di approvare i bilanci, né di erogare i servizi: un'evenienza che non si è mai verificata nella storia del Paese;
    di conseguenza, si evidenziano, per esempio, profonde criticità ed emergenze sulla manutenzione degli edifici scolastici di competenza (oltre 5.000), a partire dalle più elementari regole di adeguamento alle norme antincendio (le cui scadenze vengono prorogate da oltre 20 anni) o all'acquisizione dei certificati di agibilità statico-sismica;
    anche la manutenzione dei circa 130.000 chilometri di strade provinciali subisce gli effetti della mancanza di fondi, considerando inoltre che, per la viabilità provinciale, è stata introdotta, con la normativa in materia di omicidio stradale, anche la responsabilità colposa a carico dei responsabili della manutenzione e costruzione delle strade, chiaramente indicata nella circolare del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno del 25 marzo 2016. Da ciò consegue il concreto pericolo di responsabilità non soltanto amministrativa, ma anche civile e penale, sia delle amministrazioni e sia, nel caso di responsabilità penali, dei funzionari e dirigenti addetti ai servizi;
    a tale proposito, occorre evidenziare che anche la Corte dei conti nella deliberazione n. 17 del 2015 della sezione delle autonomie, in cui si relaziona al Parlamento sul riordino delle province, nel richiamare l'attenzione sull'impatto delle misure conseguenti alla legge di stabilità n. 190 del 2014, le ritiene «suscettibili di generare forti tensioni sugli equilibri finanziari» ed afferma che «ancora più problematico si prefigura il taglio incrementale per il biennio 2016-2017, atteso che una volta riallocate le funzioni e le risorse a queste destinate, le province si troveranno a dover conseguire i risparmi richiesti su aggregati di spesa più ristretti e soprattutto vincolati alle funzioni fondamentali»;
    il direttore centrale della finanza locale del dipartimento degli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, dottor Giancarlo Verde, in un'audizione svoltasi in data 16 febbraio 2017 presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, attesta che la riduzione delle risorse, che ammonta a circa 4,8 miliardi di euro dal 2008 al 2016, «ha condotto ad uno stato generale di disagio finanziario delle province che ha portato ad una difficoltà nell'attendere alle funzioni assegnate che si evidenzia con la flessione qualitativa e, talvolta, perfino l'assenza di importanti servizi. In alcuni casi, è stato inevitabile il ricorso alla procedura di dissesto finanziario, 4 casi da sempre, ma solo 3 nell'ultimo quadriennio. Più significativo il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale previsto dall'articolo 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, a cui sono ricorse nel quinquennio trascorso ben 14 province. Pertanto quasi il 20 per cento degli enti è ricorso a misure straordinarie, percentuale che spinge a riflettere sulla grave situazione che vivono tali enti locali»;
    i presidenti delle province, riuniti in assemblea generale alla presenza dei parlamentari della Repubblica nella giornata del 16 febbraio 2017, hanno denunciato a gran voce di trovarsi nella concreta impossibilità di erogare servizi fondamentali per la collettività, legati alle funzioni individuate dalla legge n. 56 del 2014 per province e città metropolitane;
    i presidenti delle province, nella medesima giornata, sono stati ricevuti dal Presidente della Repubblica, a cui hanno chiesto sostegno affinché il Governo agisca con tempestività e senza esitazioni e affronti e risolva le questioni di estrema emergenza che riguardano i territori, mettendo queste istituzioni nelle condizioni di garantire la sicurezza dei 130.000 chilometri di strade provinciali, delle 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2.500.000 ragazzi, di realizzare gli interventi necessari a contrastare il dissesto idrogeologico;
    alcuni presidenti delle province si sono sentiti costretti, per la prima volta nella storia, a rivolgersi alla procura della Repubblica con un esposto cautelativo, affinché si accerti di chi è la vera responsabilità di eventuali disservizi delle province,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative urgenti, anche normative, necessarie per garantire alle province italiane, enti costitutivi della Repubblica, di far fronte alle proprie funzioni istituzionali, e in particolare volte:
  a) ad individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione;
  b) ad assegnare alle province almeno 250 milioni di euro aggiuntivi per l'esercizio delle funzioni fondamentali, necessari per garantire la sicurezza e i servizi adeguati ai cittadini;
  c) ad assegnare alle province almeno 300 milioni di euro del fondo Anas per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali, così da aprire le opere necessarie per riportare in sicurezza questa rete viaria strategica;
  d) a lasciare nei bilanci delle province i risparmi dei costi della politica determinati dalla gratuità totale dei presidenti e dei consiglieri provin ciali, considerato che nelle pro vince la politica ha costo zero,  unico caso tra le istituzioni della  Repubblica: questi risparmi de vono essere messi a disposizione  delle comunità locali;
   e) a ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti, attraverso la soppressione del comma 420 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, con la possibilità di avere in organico quelle professionalità indispensabili per svolgere le funzioni che rimangono loro assegnate;
   f) a cancellare le sanzioni per le province che hanno mancato gli impegni del patto di stabilità 2016, in quanto lo «sforamento» è stato indotto dai tagli ai bilanci e dall'uso degli strumenti straordinari che il Governo ha obbligato ad usare pur di chiudere i bilanci;
   g) a consentire alle province in via straordinaria anche per il 2017 di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci;
   h) in una prospettiva temporale più lunga, a promuovere una revisione della legge n. 56 del 2014 per disegnare un ordinamento locale delle province stabile e coerente con la Costituzione, considerato che a tal fine è necessario:
    1) consolidare le funzioni fondamentali previste dalla legge n. 56 del 2014, ampliare le funzioni amministrative territoriali e valorizzare con le funzioni di assistenza e di supporto ai comuni, le stazioni uniche appaltanti e i servizi pubblici locali previsti dai commi 88 e 90 dell'articolo 1, in modo da fornire indirizzi chiari anche per il riordino della legislazione regionale;
    2) semplificare la forma di governo degli enti, attraverso una revisione della disciplina relativa agli organi, alla loro durata, al sistema di elezione;
    3) conferire una delega per la revisione del testo unico degli enti locali, per adeguarlo alle novità in materia di comuni, province e città metropolitane.
(1-01560)
«Brunetta, Gelmini, Occhiuto, Russo, Sisto, Fabrizio Di Stefano».
(27 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica italiana «è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato», ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione; tale articolo, riformulato con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, conferisce evidentemente un particolare rilievo, addirittura letteralmente «costitutivo», a tutti i livelli di governo territoriale, per quanto la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 274 del 2003 abbia precisato che ciò «non comporta affatto una totale equiparazione fra tali enti, con poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che Comuni e Province non hanno potestà legislativa;
    l'appena evidenziata complessità dei livelli di governo e soprattutto il disegno territoriale degli stessi sono, almeno nelle loro linee fondamentali, frutto di scelte ormai risalenti nel tempo, ponendo sostanzialmente di fronte a un'organizzazione amministrativa disegnata secondo i parametri di efficienza dettati nei tempi in cui i trasporti erano misurati dal tragitto quotidiano di un cavallo, risultando così incapaci di rispondere alle attuali esigenze di prestazioni di servizi e di svolgimento delle attività professionali e lavorative in generale;
    è necessario tornare a governare efficacemente il Paese, rifondando le basi di cittadinanza e ridisegnando pertanto, con coraggio e ambizione, il tessuto complesso del governo locale;
    è necessario che ciò avvenga secondo un processo che lo Stato e il Governo in particolare devono legittimare, facilitare e seguire, ma che deve realizzarsi comunque attraverso modalità bottom up, sulla base di dinamiche moderne di cooperazione tra enti su strategie di sviluppo condivise, individuando livelli di efficienza scalare a geometria variabile nell'offerta dei servizi, senza dirigismo, bensì assecondando e favorendo lo sviluppo più generalizzato di quanto in molti luoghi del Paese si sta già muovendo in questa direzione, a legislazione vigente;
    si tratta, in sostanza, di procedere con modalità profondamente diverse rispetto a quelle seguite dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, che hanno operato «dall'alto», con norme astruse e contraddittorie, latrici di soluzioni spesso irrealizzabili, senza mai offrire una lettura empiricamente fondata del Paese;
    se certamente sono mancate scelte di riorganizzazione del livello regionale, rispetto al quale l'unico intervento era stato rimesso a una riforma costituzionale (bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016) con l'unico obiettivo di ricentralizzare (peraltro secondo modalità capaci di ingenerare ulteriore incertezza nei rapporti giuridici e di non riso vere certamente – ma anzi forse di aggravare – la conflittualità tra lo Stato e le regioni rimessa alla giurisdizione costituzionale), trascurando, invece l'attivazione di dinamiche di cooperazione macroregionale per pervenire, in un medio periodo, a una semplificazione del tessuto regionale attraverso processi condivisi di ridisegno secondo l'articolo n. 132 della Costituzione e non superando – ma anzi amplificando – il doppio regionalismo (ordinario e speciale); è soprattutto a livello locale che a parere dei firmatari del presente atto si sono realizzati gli interventi più miopi, inadeguati e inefficaci, privi di qualunque visione della riorganizzazione dell'assetto territoriale e condotti, invece, sempre e soltanto per la necessità di fare cassa;
    in quest'ambito è soprattutto l'ente intermedio, la provincia, ad avere ottenuto il trattamento peggiore. Considerata, con notevole superficialità, alla stregua di un «ente inutile», dal 2011 si è solo pensato ad una sua grossolana soppressione, a tessuto di governo territoriale invariato;
    così la «eliminazione delle Province» e divenuto uno dei primi obiettivi del Governo Monti, insediatosi in presenza di un'emergenza finanziaria, sembrando rispondere in merito al contenuto di una lettera inviata dalla Banca centrale europea precedente al precedente Governo il 5 agosto 2011, che in effetti risulta sul punto piuttosto atipica, per quanto scendeva nel dettaglio, sottolineando «l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)»;
    se la «eliminazione» delle province non era realizzabile in tempi brevi, essendo queste – come abbiamo detto – previste dalla Costituzione, addirittura come «enti costitutivi» della Repubblica (tanto che, a prendere alla lettera la formulazione dell'articolo n. 114 della Costituzione ci si potrebbe chiedere se possa esistere una Repubblica senza province), il Governo Monti è comunque intervenuto addirittura con decreto-legge a svuotare l'ente intermedio di funzioni, sopprimendone gli organi elettivi, per sostituirli con altri di secondo grado (espressi, in sostanza, dai comuni appartenenti alla provincia stessa);
    la eliminazione di organi eletti a suffragio universale diretto ha anzitutto rappresentato un vulnus nella possibilità per i cittadini di influire (direttamente) nella determinazione dell'indirizzo politico provinciale, costringendoli a subire scelte politiche (e non di mera gestione, come talvolta si è provato a sostenere) degli organi di secondo livello (peraltro non del tutto adeguatamente rappresentativi dell'intero territorio provinciale), rischiando di compromettere almeno in parte, considerato il mantenimento della capacità impositiva, il principio cardine del costituzionalismo del no taxation without representation;
    la prima riforma delle province, realizzata dal Governo Monti con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, con il dichiarato esclusivo (e sembrerebbe esclusivo) obiettivo di riduzione dei costi (la rubrica dell'articolo n. 23 reca «Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorità di Governo, del CNEL, delle Autorità indipendenti e delle Province»), con una nuova disciplina di organizzazione (che li rende enti di secondo livello dal punto di vista degli organi) e una drastica riduzione delle funzioni attribuite è stata oggetto di ricorso di fronte alla Corte costituzionale che, con sentenza n. 220 del 2013, l'ha giudicata incostituzionale, in quanto «la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicate dell'intero sistema»;
    il radicale vizio d'incostituzionalità riscontrato ha, secondo i presentatori del presente atto, di fatto impedito alla Corte di affrontare i profili più specifici e ha aperto la strada ad un'ulteriore riforma, realizzata con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (cosiddetta «legge Delrio» dal nome del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del Governo Letta al quale si deve l'iniziativa);
    questa legge, pur con alcune modifiche, mantiene due aspetti della precedente riforma: un forte ridimensionamento delle funzioni delle province, e la eliminazione del suffragio universale diretto per la scelta degli organi politici, ancora consegnati a una rappresentanza di secondo livello, con i limiti già evidenziati;
    nel frattempo, il Governo Renzi, insediatosi dopo il Governo Letta, presentava una proposta di legge costituzionale recante un'ampia revisione della Parte seconda della Costituzione, prevedendo, tra l'altro, la soppressione delle province dal testo costituzionale, con ciò potendo porre i presupposti per la totale eliminazione dell'ente intermedio (che, in caso di approvazione della riforma, poi invece respinta dagli elettori con il referendum del 4 dicembre 2016, sarebbe comunque stato privato di riconoscimento costituzionale);
    intanto anche la cosiddetta «legge Delrio» è stata in effetti impugnata di fronte alla Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 50 del 2015, ha rigettato – come noto – tutte le censure formulate, ancorché con particolare riferimento a quelle ordinamentali abbia precisato che «è in corso l'approvazione di un progetto – da realizzarsi nelle forme di legge costituzionale – che ne prevede la futura soppressione, con la loro conseguente eliminazione dal novero degli enti autonomi riportati nell'articolo 114 Cost., come, del resto, chiaramente evincibile dall’incipit contenuto nel comma 51 dell'articolo 1 della legge in esame». Si tratta di una motivazione, a giudizio dei presentatori del presente atto, del tutto singolare nell'ambito della giurisprudenza costituzionale (probabilmente non solo italiana);
    in effetti, quella revisione costituzionale – come già ricordato – è stata sonoramente bocciata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre 2016, con la conseguenza che da più parti è stata sottolineata la necessità – anche da un punto di vista del rispetto della Costituzione – di reintrodurre un sistema di elezione diretta degli organi della provincia, non potendosi in proposito che sottolineare come – anche in base a quanto poco sopra ricordato –, anche al di là di un diretto vincolo costituzionale, ciò risulterebbe certamente più coerente con il fondamento democratico della Repubblica e quindi dei suoi enti costitutivi; ciò sarebbe anche più rispondente alla necessità che, a tutti i livelli di governo, sia data diretta espressione alla sovranità popolare, in proposito sembrando anzi da valorizzare una maggiore partecipazione dei cittadini, anche potenziando la presenza degli istituti di democrazia diretta negli statuti degli enti locali; 
    la tendenza alla soppressione (o almeno al fortissimo e inadeguato ridimensionamento) delle province, pur in assenza di un più generale intervento sull'assetto del governo locale del Paese, è stata peraltro accompagnata da pesantissimi tagli di risorse, o meglio – come è stato evidenziato dall'Unione delle province italiane – un vero e proprio prelievo. In proposito basti ricordare che la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha previsto, all'articolo 1, comma 418, che le province e le Città metropolitane «concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ripartite nelle misure del 90 per cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra gli enti della regione siciliana e della regione Sardegna, ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa». Tali pesanti tagli si aggiungono a quelli realizzati con decreto-legge n. 201 del 2011, con decreto-legge n. 95 del 2012 e con decreto-legge n. 66 del 2014, giungendo, nel 2017, a sommare una riduzione di risorse pari a 5.250 milioni di euro;
    è stato calcolato che alle province resta appena il 3 per cento degli introiti raccolti sul territorio per poter coprire le spese delle loro funzioni fondamentali, destando preoccupazione, in particolare il mantenimento di 130 mila chilometri di strade provinciali, nonché di 5.100 scuole superiori, tanto che era stato evidenziato dalla stessa società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose) società costituita dal Ministero dell'economia, con il compito, tra l'altro, di determinare i fabbisogni standard in attuazione del federalismo fiscale, la necessità di prevedere 650 milioni di euro aggiuntivi per la spesa corrente delle province;
    le preoccupazioni per la suddetta situazione non sono state superate in sede di approvazione della cosiddetta recente «manovrina», cioè la legge di conversione del decreto-legge n. 50 del 2017, tanto che l'Unione provinciale italiana, a mezzo del suo presidente, si era rivolta anche al Presidente della Repubblica, con lettera 1o giugno 2017, evidenziando la suddetta situazione. Tuttavia, la definitiva conversione in legge del decreto-legge sopra menzionato da parte del Senato in data 15 giugno 2017, senza la previsione delle risorse ritenute strettamente necessarie, ha portato il presidente dell'Unione provinciale italiana a concludere che «è mancata la volontà di risolvere la grave emergenza per i servizi assicurati dalle province: una emergenza causata da tagli irragionevoli e ingiustificati di cui evidentemente ancora non si vuole ammettere l'errore. Saranno i mancati servizi che inevitabilmente ne deriveranno, i diritti allo studio, alla mobilità, alla sicurezza, negati in questo modo ai cittadini, a mettere Governo e Parlamento di fronte alle loro responsabilità»;
    tutto questo rende, oggi, le province enti deboli (anche dal punto di vista della legittimazione) e sempre meno capaci di svolgere anche le funzioni loro mantenute, con conseguenze negative sui servizi e quindi sulla vita dei cittadini,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte a:
   a) riorganizzare l'assetto del governo locale attraversò procedimenti condivisi con i territori;
   b) prevedere, nell'ambito di una riforma dell'intero quadro normativo degli enti locali, una razionalizzazione delle funzioni amministrative dei diversi livelli di governo e, in particolare, in relazione all'ente intermedio, il ritorno a un'organizzazione fondata sul suffragio universale diretto nella scelta degli organi rappresentativi, favorendo altresì forme di partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche, anche contemplando l'obbligo per i comuni e le province di prevedere nei loro statuti il referendum;
   c) individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard nel rispetto di quanto previsto all'articolo 119 della Costituzione;
   d) prioritariamente, assegnare alle province le ulteriori risorse necessarie a garantire lo svolgimento delle funzioni fondamentali assegnate, a partire dal mantenimento e dalla messa in sicurezza delle strade di competenza e degli istituti scolastici, anche sulla base delle valutazioni formulate dalla società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose).
(1-01646)
«Civati, Marcon, Airaudo, Brignone, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Palazzotto, Pannarale, Paglia, Pastorino, Pellegrino, Placido».
(19 giugno 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    le decisioni e le misure che hanno interessato negli ultimi sei anni la sorte delle province è l'ulteriore prova che «La distanza più breve tra due punti è la retta. In Italia è l'arabesco», in quanto la soluzione più lineare, semplice, funzionale e veloce sarebbe stata, naturalmente, quella di sopprimere le province, mediante una legge costituzionale;
    dal primo tentativo di riduzione delle funzioni delle province, di cui al cosiddetto «decreto-legge Monti», poi dichiarato illegittimo, passando per la cosiddetta «legge Delrio», sono trascorsi sei anni e mezzo;
    si segnala che il riordino introdotto dalla stessa legge Delrio fu definito espressamente «provvisorio», nell'attesa dell'abolizione per via costituzionale, nonché privo di oneri per la finanza pubblica;
    non è peregrino pensare che, evidentemente, nonostante le buone parole e i lodevoli intenti, nessun Governo abbia mai voluto davvero abolire le province;
    si segnala che, in occasione dell'esame della cosiddetta «legge Delrio», la Corte dei conti aveva evidenziato la probabilità che il riordino prospettato avrebbe potuto comportare «aggravi di spesa, confusione ordinamentale e moltiplicazione di oneri» e sottolineato che «le procedure indicate mal si concilierebbero, per la durata e la complessità, con la provvisorietà del disegno organizzativo perseguito dal provvedimento»;
    la cosiddetta «legge Delrio» ha soppresso, delle province, solo la modalità di elezione degli amministratori, mantenendo loro le funzioni originarie, anzi, incrementandole, salvo prevedere un percorso successivo di trasferimento delle funzioni e del relativo personale per il tramite dell'intervento delle regioni;
    tale percorso non è stato e non è privo di «buche», in alcuni casi voragini: per molte delle province le cui funzioni non sono state trasferite le risorse finanziarie sono insufficienti, i bilanci sono sostanzialmente al collasso, soffocati dai mutui e, anche nel caso in cui siano trasferite risorse statali per il tramite del fondo di riequilibrio, queste sono trattenute dalle banche e ben poco o nulla rimane a disposizione per il pagamento degli stipendi del personale, per lo svolgimento delle funzioni proprie e dei connessi servizi ai cittadini – in particolare quelli riguardanti le scuole e le strade;
    la Costituzione italiana contiene una serie di disposizioni inerenti alle province, in particolare con riguardo all'autonomia e all'ambito economico, in quanto le risorse finanziarie devono consentire di finanziare integralmente le funzioni attribuite;
    con tale quadro mal si concilia, anzi, secondo i firmatari del presente atto, trattasi di vera e propria violazione di princìpi ordinamentali e costituzionali, il limbo giuridico nel quale le province versano e i tagli subìti, in forza, anche, della previsione, evidentemente troppo azzardata, della loro soppressione, «caduta» insieme all'intero progetto di revisione della Costituzione, respinto a seguito del referendum del dicembre 2016,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per dotare le province che non sono in grado di provvedervi delle risorse necessarie a garantire, in primis, il pagamento della retribuzioni al personale, anche considerandolo creditore privilegiato e lo svolgimento delle funzioni proprie, in particolare quelle dedicate alle scuole e alle strade;
2) in ordine alla ricollocazione del personale delle province in mobilità, conseguente al disposto trasferimento di funzioni delle province, a provvedere, ferma restando la vigente disciplina in materia, alla massima ottimizzazione delle assegnazioni del personale medesimo, tenendo nel debito conto le amministrazioni, centrali e periferiche, che risultino in carenza di organico, tra le quali, ad avviso dei firmatari del presente atto, sono da considerarsi le amministrazioni della giustizia, in particolare penitenziaria e dei tribunali;
3) ad adottare iniziative per introdurre misure sanzionatorie nei confronti delle regioni, a valere sui trasferimenti statali, fatti salvi il settore sanitario e dei trasporti, nel caso di loro inadempienza in ordine al trasferimento di funzioni delle province e nel caso di mancata erogazione delle risorse dovute a ciascuna provincia per l'esercizio delle funzioni alle stesse trasferite;
4) ad assumere iniziative per dare la possibilità agli enti provinciali di apportare le necessarie correzioni al proprio bilancio — in ottemperanza ai princìpi della veridicità, attendibilità, correttezza, e comprensibilità — nei casi in cui, anche per difficoltà di comprensione della complessa normativa sulla nuova contabilità, il riaccertamento straordinario del 2015 si sia rivelato incompleto o impreciso;
5) ad assumere iniziative per estendere alle province la disciplina della ristrutturazione del debito delle regioni di cui all'articolo 45 del decreto-legge n. 66 del 2014 convertito dalla legge n. 89 del 2014.
(1-01647)
«Nesci, Dieni, Dadone, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Toninelli».
(19 giugno 2017)