TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 806 di Martedì 30 maggio 2017

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazioni

  ZOLEZZI. – Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni la popolazione di Montichiari (Brescia) ha una ridotta qualità di vita a causa di molestie odorigene sempre più importanti. A Montichiari, definita la «terra dei fuochi del Nord», sono presenti 13 discariche ed è stata chiesta l'autorizzazione per ulteriori 2. Sono presenti 2 impianti a biogas; è ricorrente lo spandimento di fanghi di depurazione sui suoli e sono in corso il rifacimento di alcune strade e le relative asfaltature;
   la regione Lombardia ha tentato di approvare una legge per limitare l'indice di pressione a 160.000 metri cubi di rifiuti per chilometro quadrato, conformandola sull'attuale pressione ambientale di Montichiari; tale proposta è ferma per i ricorsi delle aziende;
   in data 17 ottobre 2016 presso la scuola primaria della frazione di Vighizzolo si sono verificati malesseri importanti fra studenti e docenti, che hanno portato al ricovero di 15 bambini. Oltre ai segni chiari di intossicazione da causa aerogena (nausea, vomito, lacrimazione, capogiri), è stata riscontrata carbossiemoglobina elevata (2,5 per cento) in alcuni bambini;
   le lezioni sono riprese il giorno dopo nonostante persistere di cattivi odori;
   gli esiti degli accertamenti eseguiti da Arpa Lombardia non sono stati ancora resi noti, neppure nel corso della seduta della commissione ambiente del comune di Montichiari (Brescia), sollecitata il 26 ottobre 2016 dal consigliere del MoVimento 5 Stelle Rossi Paolo e da altri 4 consiglieri di minoranza per chiedere al sindaco di riferire in merito ai malori e in cui erano presenti Arpa, Ats e l'interrogante in qualità di consulente per la parte tecnica. In particolare, Arpa non ha reso noto l'esito del campionamento per acido solfidrico (può essere mortale in pochi minuti a elevate concentrazioni);
   gli episodi di miasmi sono ricorrenti ed è stata segnalata molestia odorigena importante anche la sera del 26 ottobre 2016 nella frazione di Vighizzolo, limitrofa alla discarica Gedit –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati, per quanto di competenza, circa le cause degli episodi acuti e cronici avvenuti e i possibili rischi per la salute nel breve e lungo termine per i cittadini di Montichiari;
   se intendano promuovere, per quanto di competenza, uno studio epidemiologico complessivo sulla popolazione di Montichiari;
   se si intendano assumere iniziative per mettere in sicurezza la popolazione scolastica, spostando almeno temporaneamente la sede delle lezioni, in attesa dell'esito degli accertamenti. (3-02592)
(2 novembre 2016)

  COMINELLI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il 17 ottobre 2016 11 bambini della scuola primaria di Vighizzolo di Montichiari, in provincia di Brescia, mentre si trovavano in classe durante l'orario scolastico, hanno accusato sintomi di nausea e vomito a causa di forti odori che respiravano nell'aria. Sono stati soccorsi e visitati e 7 di loro sono anche stati ricoverati presso l'ospedale di Desenzano per 24 ore. Nel sangue di alcuni alunni è stata trovata carbossiemoglobina elevata (2,5 per cento);
   un episodio identico si era verificato anche in precedenza, il 10 gennaio 2012, quando alcuni bambini accusarono malori simili e all'epoca si ritenne che responsabile dell'emissione dei miasmi fosse la vicina discarica Gedit;
   i responsabili dell'Arpa Lombardia in una conferenza stampa sul tema presso la regione Lombardia il 29 ottobre 2016 hanno dichiarato che, benché non sia stato ancora possibile individuare con certezza la causa degli odori, gli approfondimenti avviati nell'immediatezza e tuttora in corso servono comunque a valutare in termini più ampi la problematica che da tempo affligge Vighizzolo. Inoltre è stata confermata l'adesione dell'agenzia alla proposta dell'assessore regionale all'ambiente, Maria Claudia Terzi, di istituire un gruppo di lavoro ad hoc che coinvolga tutti i soggetti competenti territorialmente. Infine, Arpa ha sottolineato che gli esiti delle visite ispettive consentiranno alle autorità competenti (provincia e comune) di adottare gli opportuni provvedimenti in considerazione delle criticità rilevate dai tecnici dell'Agenzia, anche quelle relative alla problematica delle molestie olfattive;
    va ricordato che il territorio di Montichiari, spesso tristemente assurto alle cronache locali come «la terra dei fuochi del Nord», conta 11 siti inquinati (quindi abusivi) e 11 autorizzate (di cui 4 ancora in gestione e 7 in post gestione), oltre che una richiesta in sospeso in regione per una discarica di amianto di oltre 1 milione di metri quadrati di rifiuti e due sovralzi. Una situazione molto pesante per la salute degli abitanti della zona e dell'ambiente, denunciata da anni dalle associazioni ambientaliste, dai comitati di cittadini e dai genitori degli alunni, che recentemente hanno anche organizzato una fiaccolata di protesta per denunciare i fatti;
   risulta all'interrogante che recentemente l'Ats Brescia ha annunciato che a breve inizierà un piccolo studio epidemiologico sulla frazione di Vighizzolo e Fascia d'Oro –:
   se, pur nel rispetto delle competenze e delle indagini in corso da parte delle istituzioni locali, vista la gravità e l'urgenza della situazione, non si ritenga opportuno promuovere un'indagine epidemiologica su vasta scala sugli abitanti dell'area interessata dalla presenza delle discariche e mettere in campo le necessarie iniziative di competenza per tutelare con urgenza la salute dei cittadini, soprattutto quelli delle fasce più a rischio della popolazione, come i bambini e gli anziani. (3-03054)
(29 maggio 2017)
(ex 4-14894 del 25 novembre 2016)

  ALBERTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dal comunicato stampa News Arpa Lombardia n. 1132, reperibile al link http://ita.arpalombardia.it, nei primi giorni di ottobre 2016 a seguito delle segnalazioni dei cittadini il dipartimento di Brescia dell'Arpa Lombardia ha partecipato ad un tavolo convocato dal comune di Montichiari, in occasione del quale ha precisato quali siano le azioni di competenza del comune e quali di competenza dell'agenzia – anche ai sensi della delibera della giunta regionale n. 3018 del 2012, recante «Linee guida caratterizzazione emissioni gassose da attività a forte impatto odorigeno»;
   in relazione all'episodio di molestie olfattive che la mattina del 17 ottobre 2016 ha coinvolto una scuola di Vighizzolo (frazione del comune di Montichiari), il personale dell'Arpa Lombardia/dipartimento di Brescia è stato attivato dalla sala operativa della Protezione civile, che ha raggiunto il centro di comando dei vigili del fuoco presso il plesso scolastico di via San Giovanni 200;
   l'Arpa nella suddetta nota n. 1132 precisa: «Al momento dell'intervento l'odore non era percepibile, tuttavia i vigili del fuoco avevano potuto constatare che la direzione del vento durante l'episodio – segnalato al 118 verso le 9.30 a causa dei malesseri lamentati da alcuni soggetti, tra cui anche bambini – era opposta a quella delle zone in cui si trovano le discariche (Gedit e Systema) e, pertanto, la ricerca della sorgente odorifera si è orientata anche verso altre aree/impianti siti nell'area di provenienza del vento. Le verifiche ambientali si sono da poco concluse e gli esiti non hanno evidenziato alcuna criticità da ricondurre alla problematica segnalata, che sembra comunque essere stata circoscritta all'area del plesso scolastico»;
   si precisa che, nonostante l'episodio sia stato segnalato al 118 verso le 9.30, l'Arpa sarebbe stata attivata solo alle ore 11.00 e la stessa si sarebbe recata in loco solo qualche ora dopo;
   cittadini e comitati denunciano da anni una situazione insostenibile in cui devono convivere con odori e fumi senza che il problema sia stato risolto;
   l'Arpa ha anche, per questo motivo, un particolare impegno sull'area e il dipartimento competente avrebbe recentemente completato la verifica ispettiva della discarica Gedit e starebbe per concludere quella effettuata presso la discarica Systema;
   il giorno dopo a quello dell'episodio sopra richiamato, i genitori hanno tenuto i figli fuori dalle aule, organizzando un presidio. Alcune maestre hanno detto di essersi sentite male nella notte, dopo la giornata passata nell'istituto: mercoledì 19 ottobre 2016 solo 10 su 150 studenti sono entrati a scuola;
   il comune avrebbe il compito di avviare la raccolta di informazioni/segnalazioni sugli odori molesti, affidandola a un pool di persone appositamente individuate;
   secondo quanto riportato dalla pubblicazione online de Il Corriere della Sera del 17 ottobre 2016, dal titolo: «Montichiari: forte puzza alla scuola elementare, malori per 6 bambini»: «I vigili del fuoco hanno escluso che possa trattarsi di una fuga di gas interna alla scuola. Per i residenti le esalazioni provengono da una discarica vicina»;
   va ricordato che Montichiari è assurto alle cronache come capitale italiana dell'immondizia, visto che nelle sue viscere si trovano 17 milioni di metri cubi di rifiuti, in 21 discariche (5 attive, 5 chiuse e ben 11 abusive, secondo quanto dichiarato dal sindaco Mario Fraccaro);
   il comitato «Sos Terra» avrebbe dichiarato: «Questa puzza purtroppo non è un caso isolato. E noi residenti dobbiamo conviverci da anni. Non ne possiamo più»;
   da fonti giornalistiche si apprende che le analisi hanno mostrato, in tutti gli alunni ricoverati, alti valori di carbossiemoglobina nel sangue, una forma di emoglobina tossica per l'organismo. I genitori intervistati dichiarano: «Sono di solito i fumatori a presentare un tasso di questa sostanza superiore alla norma, non i bambini» –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'accaduto;
   quali siano state le procedure di emergenza e le tempistiche effettive con cui siano stati effettuati i necessari interventi anche da parte del Corpo dei vigili del fuoco;
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia disposta, anche in via precauzionale, la chiusura momentanea dell'istituto scolastico al fine di tutelare la salute dei bambini e del personale in loco;
   se non si intenda promuovere un'indagine epidemiologica, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, a tutela della salute dei cittadini interessati, con particolare riferimento ai minori. (3-03056)
(29 maggio 2017)
(ex 4-14723 del 4 novembre 2016)

B) Interrogazione

  FRANCO BORDO e SCOTTO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il giorno 5 dicembre 2016, è stato chiuso, con un provvedimento dell'azienda socio sanitaria territoriale giunto il 4 dicembre 2016 in reparto, il punto nascite di Angera, in provincia di Varese;
   non è prevista alcuna fase transitoria, semplicemente dal 6 dicembre 2016 non possono essere più effettuati ricoveri per parto e i pazienti con necessità di ricovero di rilevanza ostetrica o pediatrica che si presenteranno al pronto soccorso dell'ospedale di Angera verranno trasportati in ambulanza al nosocomio di Gallarate o, in mancanza di posti letto, in strutture con assistenza infermieristica o medica, ma non è detto che uno specialista in ostetricia o in pediatria sia presente per accompagnare il paziente o la paziente durante il trasferimento;
   anche il reparto di pediatria, senza alcuna motivazione che risulti attendibile, se non quella della carenza di medici pediatri, in modo totalmente inatteso, è stato chiuso e anche lì non si effettuano più ricoveri;
   il punto nascite di Angera risulta, insieme al reparto di pediatria, un importante punto di riferimento per tutto il territorio del Lago Maggiore che si trova in territorio lombardo e della provincia di Novara;
   il Ministero della salute si è più volte espresso chiedendo di aggregare i punti nascita che non rispettano gli standard, tra i quali i 500 parti annui necessari a mantenere la struttura funzionante;
   il Ministero della salute pare adduca motivazioni di sicurezza, ma da più parti si è certi che il motivo della chiusura del punto nascite di Angera sia il numero di parti inferiori ai 500, che però raggiungono il numero di 480, in linea con il calo delle nascite in Italia;
   in data 9 dicembre 2016 è stato organizzato un sit in di protesta da associazioni del territorio, madri, sindaci e amministratori della zona, che ha coinvolto più di 500 persone, mentre un gruppo di madri ha occupato i reparti infantili dell'ospedale di Angera per protestare contro la chiusura dei due reparti, ritenuti fondamentali dalle famiglie della zona;
   regione Lombardia ha espresso parere contrario alla chiusura del punto nascite, ritenendolo importante per tutto il territorio, ma ha ricevuto in risposta, dal Ministero della salute, una lettera in cui si rigetta la richiesta di deroga per il punto nascite di Angera;
   il presidente di regione Lombardia, Roberto Maroni, ha accusato il Ministero della salute di imporre la chiusura del reparto di pediatria e del punto nascite;
   è evidente che la popolazione, in modo particolare quella femminile, che fa riferimento a questo presidio ospedaliero non può essere privata di un servizio essenziale ed il punto nascite in questione ha tutte le motivazioni e le caratteristiche per godere di un'ulteriore deroga triennale –:
   quali iniziative di competenza intenda mettere in atto affinché vengano mantenuti attivi ed operanti il punto nascite e la pediatria dell'ospedale di Angera. (3-02657)
(14 dicembre 2016)

C) Interpellanza

  I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), ha modificato il regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, prevedendo al comma 153, lettera a), che «La detenzione di un apparecchio si presume altresì nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica»; e al comma 153, lettera b), chiarisce che «Il canone di abbonamento è, in ogni caso, dovuto una sola volta in relazione agli apparecchi di cui al primo comma detenuti, nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora, dallo stesso soggetto e dai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica, come individuata dall'articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223»;
   sempre al comma 153, lettera c), si prevede poi che: «Per i titolari di utenza di fornitura di energia elettrica di cui all'articolo 1, secondo comma, secondo periodo, il pagamento del canone avviene in dieci rate mensili, addebitate sulle fatture emesse dall'impresa elettrica aventi scadenza del pagamento successiva alla scadenza delle rate»;
   la legge di stabilità per il 2016 è pertanto chiara nello specificare che il canone verrà riscosso in bolletta esclusivamente per chi è titolare di utenza elettrica nel luogo di propria residenza anagrafica;
   il successivo comma 154 demanda ad un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione di «termini e modalità per il riversamento all'erario, e per le conseguenze di eventuali ritardi, anche in forma di interessi moratori, dei canoni incassati dalle aziende di vendita dell'energia elettrica [...]»;
   da ultimo, il comma 156 dispone che per l'attuazione di quanto sopra «l'Anagrafe tributaria, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, l'Acquirente unico spa, il Ministero dell'interno, i comuni, nonché gli altri soggetti pubblici o privati che ne hanno la disponibilità sono autorizzati allo scambio e all'utilizzo di tutte le informazioni utili, e in particolare dei dati relativi alle famiglie anagrafiche, alle utenze per la fornitura di energia elettrica, ai soggetti tenuti al pagamento del canone di abbonamento alla televisione (...) nonché ai soggetti esenti dal pagamento del canone»;
   in ragione di quanto sopra, pertanto, l'Agenzia delle entrate avrebbe dovuto richiedere ed ottenere – da parte delle anagrafi comunali – i dati relativi alla composizione dei nuclei anagrafici, e ciò al fine di imputare correttamente il canone/imposta Rai in bolletta, evitando duplicazioni illegittime di imposizione a soggetti non tenuti al pagamento del canone Rai perché già pagato da altro componente del nucleo familiare anagrafico;
   tuttavia, l'Agenzia delle entrate non ha utilizzato i pubblici registri anagrafici ma ha, a giudizio degli interpellanti, con procedure di dubbia legittimità, stabilito che l'intestatario di utenza elettrica residenziale, il cui canone/imposta Rai era già pagato da altro componente del nucleo familiare, avrebbe dovuto inviare apposita dichiarazione sostitutiva nella quale avrebbe dovuto indicare quale componente del proprio nucleo anagrafico già pagava il canone;
   con provvedimento del 24 marzo 2016 («Definizione delle modalità e dei termini di presentazione della dichiarazione sostitutiva relativa al canone di abbonamento alla televisione per uso privato ai sensi dell'articolo 1, comma 153, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e approvazione del relativo modello») è stata infatti prevista la necessità per il contribuente – al fine di evitare doppie imposizioni illegittime di canone Rai in bolletta elettrica – di inviare una dichiarazione sostitutiva che il canone di abbonamento alla televisione per uso privato non deve essere addebitato in alcuna delle utenze elettriche intestate al dichiarante in quanto il canone è dovuto in relazione all'utenza elettrica intestata ad altro componente della stessa famiglia anagrafica, di cui il dichiarante comunica il codice fiscale;
   tale violazione è stata peraltro segnalata da alcune associazioni dei consumatori come Aduc – Associazione per i diritti degli utenti e consumatori – che in particolare ha sottoposto all'attenzione della magistratura penale per mezzo di un esposto/denuncia per il reato di cui all'articolo 323 del codice penale, secondo il quale commette il reato di abuso d'ufficio il pubblico ufficiale che in violazione di norme di legge intenzionalmente procura ad altri (lo Stato) un ingiusto vantaggio patrimoniale (pagamento di imposte non dovute) e arreca ad altri (i contribuenti) un danno ingiusto, consistente o nel pagamento non dovuto di una imposta o nell'assunzione di responsabilità penale per dichiarazioni attinenti fatti altrui;
   tale prassi, e i relativi provvedimenti dell'Agenzia delle entrate, sembrano agli interpellanti non conformi con la legge di stabilità, e di fatto sovvertire il criterio di imputazione del canone Rai in bolletta che in questo modo non avviene più nei confronti di chi ha una bolletta intestata nell'abitazione di residenza, ma avviene nei confronti di tutti i cittadini italiani e stranieri residenti in Italia che siano intestatari di utenza elettrica residenziale, a prescindere dal luogo di residenza anagrafica e a prescindere dal fatto che altro componente del nucleo familiare già assolva il pagamento dell'imposta, che così coprirebbe anche gli altri componenti dello stesso nucleo familiare;
   il cittadino che si trovi in tale situazione, per evitare un'imposizione illegittima, dovrà allora attivarsi e comunicare con apposita dichiarazione sostitutiva – la cui falsità comporta responsabilità penale anche in caso di erronea compilazione in buona fede – di non essere tenuto al pagamento del canone Rai sull'utenza elettrica residenziale a lui intestata poiché il canone per le tv che detiene è già pagato da altro componente del nucleo familiare;
   tale prassi era stata peraltro criticata dal Garante per la protezione dei dati personali che, nel parere emesso sulla bozza di decreto ministeriale (Registro dei provvedimenti n. 192 del 27 aprile 2016), aveva stigmatizzato una simile decisione: «Suscita perplessità la scelta di individuare i soggetti obbligati al pagamento automaticamente, e in via presuntiva, attraverso i dati relativi alla tipologia di tariffa applicata per l'erogazione di energia D2 (clienti domestici con utenza nel luogo di residenza anagrafica) anche per i contratti stipulati antecedentemente al 2016, senza nemmeno effettuare preventive verifiche con i dati di residenza presenti in anagrafe tributaria. Ciò, in quanto i dati relativi all'indirizzo di fornitura dell'energia elettrica non sono «normalizzati» e, pertanto, non verificabili con quelli relativi alla residenza anagrafica del contribuente presenti anagrafe tributaria»;
   il decreto del Ministro dello sviluppo economico 13 maggio 2016, n. 94, pubblicato in Gazzetta ufficiale del 4 giugno 2016 ed in vigore dal 5 giugno 2016, emanato con un ritardo di oltre tre mesi e mezzo rispetto a quanto imposto dalla legge di stabilità per il 2016, a giudizio degli interpellanti illegittimamente conferma la bontà di tali prassi, così eccedendo la delega ricevuta dalla legge di stabilità;
   la legge di stabilità per il 2016 demandava, infatti, al successivo decreto esclusivamente l'individuazione delle modalità di riversamento da parte delle società elettriche delle somme incassate in favore dell'erario, e non altro;
   il decreto ministeriale n. 94 del 2016 viola per gli interpellanti, altresì, la stessa legge di stabilità, confermando quanto stabilito dall'Agenzia delle entrate, e cioè che il canone Rai verrà addebitato su tutte le utenze elettriche residenziali e non – come invece previsto dalla legge – sull'utenza elettrica intestata al contribuente nel luogo di propria residenza;
   così facendo, il nominato decreto ministeriale e i provvedimenti dell'Agenzia delle entrate in materia violano per gli interpellanti, inoltre, l'articolo 6, comma 4, della legge n. 212 del 2000, cosiddetta «Statuto del contribuente», poiché onerano il cittadino alla comunicazione di dati (la residenza anagrafica e la composizione del nucleo familiare) già in possesso della pubblica amministrazione;
   prevede, difatti, l'articolo 6 – rubricato «Conoscenza degli atti e semplificazione» – al comma 4: «Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell'articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d'uffici di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa»;
   ancora, il nominato decreto ministeriale e i provvedimenti dell'Agenzia delle entrate in materia sembrano violare per gli interpellanti, per gli stessi motivi, la legge sul procedimento amministrative n. 241 del 1990 che – specularmente allo Statuto del contribuente – all'articolo 18 prevede che «i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare»;
   a ciò si aggiunge che le dichiarazioni sostitutive richieste ai cittadini e agli stranieri residenti espongono il dichiarante a responsabilità penale in caso di falsità delle dichiarazioni: la possibilità di aver commesso e commettere in buona fede errori nella compilazione è decisamente elevata tenuto conto che dal mese di marzo fino a fine maggio si sono susseguite diverse indicazioni da parte dell'Agenzia delle entrate, peraltro rese esclusivamente tramite il sito web istituzionale; in questo senso, si riporta quanto evidenziato sul punto dal Garante per la protezione dei dati personali nel proprio parere: «Al fine di assicurare idonee garanzie ai contribuenti in relazione alla correttezza del trattamento dei dati nell'addebito del canone in bolletta, occorre quindi che venga assicurata la maggior consapevolezza possibile dei contribuenti in relazione alla circostanza che i dati acquisiti in sede di stipula del contratto per la scelta della tipologia di tariffa di fornitura dell'energia elettrica sono adesso utilizzati anche ai fini dell'addebito del canone, nonché in ordine alle modalità di aggiornamento/rettifica degli stessi». Tale richiesta del Garante al Ministero dello sviluppo economico è rimasta lettera morta;
   l'Agenzia delle entrate ha pertanto deciso di partire non – come previsto dalla legge di stabilità – dal dato anagrafico messo a disposizione dei comuni, ma dall'intestazione di un'utenza elettrica residenziale: tale dato tuttavia non necessariamente rispecchia l'effettiva residenza dell'intestatario in quell'immobile, poiché per le più varie ragioni (da un mancato aggiornamento incolpevole ad una consapevole omissione nella comunicazione contrattuale con la società elettrica), è possibile che questi sia titolare di utenza elettrica intestata ma abbia residenza anagrafica altrove, con il proprio nucleo familiare che già paga il canone Rai;
   l'intestatario si trova quindi davanti ad una scelta: da una parte può inviare la dichiarazione sostitutiva per non dover pagare illegittimamente il canone Rai già pagato dal familiare, così esponendosi alla modifica della tariffa elettrica applicata e al ricalcolo degli ultimi 5 anni di consumi con la tariffa non residenziale (dai rapporti AEEGSI, 34/2015/R/EEL, si stima un aumento medio del 50 per cento degli importi per ogni anno); dall'altra si vede costretto ad accettare di pagare una imposta non dovuta di 100,00 euro (importo probabilmente di gran lunga inferiore all'ipotesi di ricalcolo delle tariffe elettriche);
   così facendo, l'Agenzia delle entrate pone secondo gli interpellanti il cittadino nella condizione di pagare un'imposta non dovuta, intromettendosi nella gestione di un rapporto contrattuale di tipo privatistico e favorendo indebitamente o l'erario o le casse dei gestori elettrici, quale indiretta remunerazione ulteriore rispetto a quella già cospicua, prevista dal decreto ministeriale;
   di ciò ha dato conferma la direttrice dell'Agenzia delle entrate, Rossella Orlando, nel corso di un'audizione presso la Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria della Camera dei deputati dell'8 giugno 2016, durante la quale – secondo fonti di stampa – avrebbe dichiarato in merito: «È solo nell'ipotesi che un cittadino abbia più utenze elettriche intestate con la tariffa agevolata per prima casa, il che vorrebbe dire che è scorretto, che o cambia tariffa oppure paga il canone Rai»;
   sempre nel corso della medesima audizione la direttrice dell'Agenzia delle entrate ha infine reso noti i dati ufficiali relativi alle dichiarazioni di esenzioni ricevute dall'Agenzia delle entrate, ovverosia 817.000 dichiarazioni. Si tratta di un numero particolarmente esiguo, come evidenziato dall'Aduc – Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori, poiché non riguarda le sole dichiarazioni di non detenzione di una tv, ma tutte le dichiarazioni pervenute, anche da parte di chi è titolare di utenza elettrica residenziale ma è già coperto dal canone Rai pagato da altro componente del nucleo familiare. L'esiguità delle dichiarazioni pervenute avvalora ancor di più quanto finora evidenziato –:
   quali iniziative intenda il Governo assumere per porre rimedio alle criticità descritte in premessa in ordine ai provvedimenti adottati dall'Agenzia delle entrate e dal Ministero dello sviluppo economico che secondo gli interpellanti risultano di dubbia legittimità;
   se sia intenzione del Governo assumere iniziative normative urgenti al fine di posticipare la riscossione in bolletta elettrica del canone Rai e consentire una corretta e compiuta informazione dei contribuenti.
(2-01404)
«Di Battista, Fico, Liuzzi, Caso, Scagliusi, L'Abbate, Manlio Di Stefano, De Lorenzis, Nesci».
(27 giugno 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE RELATIVE ALL'APPLICAZIONE DELLA COSIDDETTA DIRETTIVA BOLKESTEIN

   La Camera,
   premesso che:
    il 12 dicembre 2006 il Parlamento e il Consiglio europeo hanno approvato la direttiva 2006/123/CE, meglio nota come «direttiva Bolkestein», con lo scopo di facilitare la creazione di un libero mercato dei servizi in ambito europeo;
    l'Italia ha dato attuazione alla citata direttiva mediante il decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2010, che ne ha esteso l'applicazione anche al settore del commercio ambulante su aree pubbliche, secondo un'interpretazione estensiva dell'articolo 12 della direttiva, ai sensi del quale, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i potenziali candidati;
    l'Italia è l'unico Stato membro dell'Unione europea ad aver applicato la «direttiva Bolkestein» al commercio ambulante oltre alla Spagna, la quale ha tuttavia istituito un regime transitorio a tutela delle imprese già presenti della durata di settantacinque anni;
    lo stesso Parlamento europeo, con la risoluzione n.  2010/2109 (INI), ha preso atto della forte preoccupazione espressa dai venditori ambulanti in relazione all'ipotesi che la «direttiva Bolkestein» possa essere applicata negli Stati membri estendendo il concetto di «risorsa naturale» anche al suolo pubblico, producendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche che sarebbero gravemente dannose per l'occupazione, la libertà di scelta dei consumatori e l'esistenza stessa dei tradizionali mercati rionali;
    il recepimento della «direttiva Bolkestein» nel settore dei mercati ambulanti significa inevitabilmente, fra le altre cose, l'apertura del settore a nuove imprese anche straniere e multinazionali e la possibilità che tali nuove imprese siano anche società di capitali, il divieto di rinnovo automatico delle concessioni e l'assegnazione degli spazi pubblici tramite bandi che rechino il divieto di favorire il prestatore uscente, come previsto dagli articoli 11, 16, comma 4, e 70, comma 1, del decreto legislativo n.  59 del 2010;
    in data 5 luglio 2012, due anni dopo il recepimento della direttiva in Italia, la Conferenza unificata ha raggiunto un accordo in attuazione dell'articolo 70, comma 5, del decreto legislativo n.  59 del 2010, che prevede una proroga dell'attuale situazione fino al 7 maggio 2017, seguita da un regime transitorio di licenze della durata compresa tra nove e dodici anni, durante il quale i comuni potranno assegnare gli spazi secondo criteri che tengano conto dell'anzianità di servizio nell'esercizio del mercato su aree pubbliche, per tutelare le imprese che già svolgono la propria attività in tali mercati;
    nel dicembre 2016, tuttavia, un parere emesso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha espresso delle perplessità sulle regole per i bandi, suscettibili di «dissimulare, nella sostanza, una forma di rinnovo automatico della concessione» ha creato nuove incertezze negli operatori economici del settore;
    da ultimo, il decreto-legge 30 dicembre 2016, n.  244, ha disposto la proroga delle concessioni in essere e in scadenza, in varie tappe, entro luglio 2017, fino al 31 dicembre 2018, prevedendo altresì che «le amministrazioni interessate, che non vi abbiano già provveduto, devono avviare le procedure di selezione pubblica, nel rispetto della vigente normativa dello Stato e delle regioni, al fine del rilascio delle nuove concessioni entro la suddetta data. Nelle more degli adempimenti da parte dei comuni sono comunque salvaguardati i diritti degli operatori uscenti»;
    fino all'entrata in vigore del decreto legislativo n.  59 del 2010, la normativa italiana in materia di commercio al dettaglio sulle aree pubbliche riconosceva specifiche forme di tutela alle piccole imprese a conduzione familiare, riservando il settore alle imprese individuali e alle società di persone, evitando in tal modo una oggettiva quanto deprecabile sperequazione, finanziaria, fiscale ed operativa, tra operatori del medesimo settore;
    le misure previste dal decreto legislativo n.  59 del 2010, malgrado il regime transitorio approvato, non tengono conto, invece, delle peculiarità di queste attività, che difficilmente potrebbero competere in un mercato così aperto;
    il decreto legislativo fa, altresì, venire meno i requisiti di stabilità necessari per programmare investimenti in strutture e personale, nonché per recuperare gli investimenti già realizzati e indispensabili per garantire un'offerta migliore;
    non bisogna dimenticare, inoltre, che questa tipologia di mercati, che conta circa 195 mila imprese e 530 mila addetti a livello nazionale, fa parte del tessuto economico delle città italiane, nonché della loro immagine turistica e tradizionale, ed anche per questo necessita di maggior tutela;
    la regione Puglia, con la mozione n.  106/2016 e la regione Piemonte, con una proposta di legge approvata dalla III Commissione del consiglio regionale in sede legislativa e successivamente trasmessa al Parlamento (Atto Camera 3700), si sono impegnate a prevedere che l'Italia escluda il commercio ambulante dall'ambito di applicazione della «direttiva Bolkestein» per tutelare le piccole imprese del settore;
    la medesima situazione di incertezza normativa che affligge gli operatori del commercio ambulante ha investito anche quelli degli stabilimenti balneari, settore di punta dell'economia turistica nazionale che occupa duecentocinquantamila addetti e trentamila imprese, e la cui liberalizzazione è stata altresì prevista dalla direttiva 2016/123/CE;
    allo stato attuale la durata delle concessioni in essere è stata prorogata fino al 31 dicembre 2020, ma la recente presentazione di un disegno di legge delega da parte del Governo, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, che prevede espressamente l'espletamento di «procedure selettive che assicurino imparzialità, trasparenza e pubblicità e che tengano conto della professionalità acquisita nell'esercizio di concessioni di beni demaniali marittimi, nonché lacuali e fluviali, per finalità turistico-ricreative», ha rimesso in allarme gli addetti al settore, soprattutto a causa della mancanza di una adeguata disciplina transitoria;
    oltre ai settori citati, l'attuazione della «direttiva Bolkestein» sta recando grave nocumento anche alla categoria delle guide turistiche, erroneamente inserita nella direttiva servizi invece che in quella relativa alle professioni, con la conseguenza che in Italia potranno operare anche le guide dell'Unione europea, o meglio, le persone qualificate come guide turistiche ai sensi della legislazione di altro Stato membro dell'Unione, purché operino in prestazione temporanea;
    tale grave situazione nasce dal problema di fondo che in Italia la figura della guida turistica è nettamente separata da quella di accompagnatore, mentre in molti altri Stati membri dell'Unione la figura di guida turistica e quella di accompagnatore coincidono, e i percorsi di abilitazione alla professione sono sensibilmente meno complessi e più brevi;
    le conseguenze di tale superficiale normazione, se non di vero e proprio vuoto legislativo, non potranno che essere estremamente negative sia per le guide che per i turisti, fruitori finali del servizio: abbassamento della qualità, diminuzione del lavoro per le guide abilitate, aumento dell'abusivismo, perché se è vero che le guide di altri Stati dell'Unione europea potrebbero esercitare in Italia solo in regime di prestazione occasionale, i controlli sono talmente scarsi che centinaia di guide straniere esercitano in violazione delle norme, con anche una conseguente diminuzione del gettito fiscale per lo Stato, posto che le guide straniere pagheranno le tasse nello Stato di appartenenza;
    tale confusionario quadro normativo si inserisce in un contesto di difficile congiuntura economica che caratterizza non solo il Paese, ma l'intero sistema produttivo globale, con ripercussioni negative sulle categorie più deboli, dagli agricoltori, ai tassisti, alle guide turistiche, solo per fare alcuni esempi, che si trovano quotidianamente ad affrontare la sfida dei mercati;
    un grave freno alla crescita degli Stati membri è stato rappresentato, poi, dalla politica economica e sociale portata avanti finora dalla stessa Unione europea, che non si è mai dimostrata all'avanguardia sulle politiche attive di sostegno alle eccellenze e peculiarità dei singoli Paesi membri, schiacciati dagli interessi delle realtà più potenti;
    liberalizzare e aumentare la concorrenza non vuol dire eliminare ogni regola e lasciare le città in mano a multinazionali che eludono le tasse grazie alla compiacenza di Stati europei partner che ci fanno concorrenza sleale: si deve liberalizzare e regolamentare, facendo rispettare le regole e tutelando le realtà più deboli;
    negli ultimi trent'anni purtroppo, i Governi europei, e l'Italia in primis, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non hanno saputo trovare soluzioni efficienti, legiferando sotto ricatto dei poteri forti, senza alcuna libertà di scelta dei settori su cui puntare e da proteggere, a danno dei cittadini e delle specificità del nostro Paese;
    serve una nuova politica europea che parta da regole chiare, condivise e semplici, e nella quale tutti gli Stati membri svolgano il proprio ruolo fino in fondo, garantendo tutele soprattutto alle classi deboli: avere, ad esempio, accordi di protezione delle indicazioni geografiche, come la denominazione di origine protetta del parmigiano reggiano, significa poter tutelare fino in fondo il sistema, di qualità che c’è dietro la sua produzione, mentre senza regole vincono la contraffazione, l'omologazione e le grandi dimensioni di chi riesce a essere comunque sovranazionale;
    il ruolo della politica è proprio quello di dettare tali regole e non può essere ridotto a quello di un semplice spettatore ed è compito del legislatore e del Governo salvaguardare i settori strategici dell'economia nazionale, quali nella fattispecie il piccolo commercio e la piccola e media imprenditoria,

impegna il Governo:

1) a convocare appositi tavoli di confronto con gli operatori del commercio su aree pubbliche;
2) ad adottare iniziative volte a rivedere il decreto legislativo n.  59 del 2010, nel senso di escludere il commercio su aree pubbliche dal perimetro di applicazione della direttiva 2006/123/CE;
3) ad assumere le necessarie iniziative dirette, comunque, a modificare l'articolo 70 del decreto legislativo n.  59 del 2010, al fine di prevedere che l'attività di commercio al dettaglio su aree pubbliche sia riservata esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone;
4) ad adottare le iniziative di competenza affinché la categoria delle guide turistiche sia ricondotta nell'ambito della direttiva sulle professioni, salvaguardando la professionalità e le specifiche competenze dei suoi operatori, e al fine di introdurre criteri più stringenti per l'esercizio dell'attività di guida turistica sul territorio nazionale;
5) ad assumere iniziative per prevedere, nell'ambito della direttiva servizi, una deroga in favore delle concessioni demaniali marittime, elementi essenziali di un settore strategico per l'economia nazionale, data la posizione geografica dell'Italia e la rilevanza turistica di buona parte delle coste della penisola e delle maggiori isole;
6) ad adottare le iniziative opportune, per quanto di competenza, volte ad allineare sotto il profilo temporale la pubblicazione dei bandi da parte dei comuni per il rinnovo delle concessioni.
(1-01582)
(Nuova formulazione) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».
(7 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2006/123/CE, nota come «direttiva Bolkestein», in materia di servizi nel mercato interno, è stata recepita dall'Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n.  59, che provvede a regolare anche i settori del commercio su aree pubbliche e del demanio marittimo;
    la direttiva Bolkestein ha irrigidito il sistema autorizzatorio prevedendo che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali, i comuni applichino una procedura di selezione tra i potenziali candidati;
    l'articolo 16, del decreto legislativo n.  59 del 2010, sul commercio ambulante in aree pubbliche, oltre ad introdurre un limite al numero delle concessioni di posteggio utilizzabili nella stessa area, stabilisce, al comma 4, il divieto di rinnovo automatico dei titoli scaduti, creando non poche difficoltà per il settore, che impiega circa 500.000 addetti a livello nazionale;
    il citato articolo, equiparando la nozione di «risorse naturali» con quella di «posteggi in aree di mercato» ha avuto l'effetto di generare una forte concorrenza nel settore, questa non sostenibile per gli operatori del commercio ambulante. Infatti, esso fa rientrare il suolo pubblico, concesso per l'esercizio dell'attività di commercio ambulante, nella nozione di «risorse naturali», assoggettandolo quindi alla procedura di selezione pubblica;
    alle suddette criticità si aggiungono quelle relative all'applicazione dell'articolo 70 del citato decreto legislativo, il quale riconosce l'accesso al settore anche alle società di capitali, rischiando di mettere fuori dal mercato le piccole aziende a conduzione familiare, che fino ad oggi hanno operato nel settore rendendolo fortemente competitivo;
    il parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2006/123/CE, approvato dalle Commissioni II e X della Camera dei deputati, in data 11 marzo 2010, invitava il Governo, anche su proposta del gruppo della Lega Nord, a «escludere espressamente l'equiparazione dei posteggi in aree di mercato alle risorse naturali» al fine di «evitare interpretazioni estensive della nozione di »risorse naturali«», sia per ragioni di coerenza con la normativa comunitaria sia per non penalizzare il settore del commercio ambulante e su aree pubbliche;
    il medesimo parere invitava altresì il Governo a «escludere la possibilità di esercizio del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche da parte di società di capitali»;
    il 5 luglio 2012, ai sensi del comma 5, dell'articolo 70 del citato decreto legislativo n.  59 del 2010, è stata adottata un'intesa in sede di Conferenza unificata per la definizione della durata e del rinnovo delle autorizzazioni; in tale intesa, in particolare, viene stabilita la durata delle autorizzazioni da 9 a 12 anni, e soltanto in prima applicazione, viene data priorità al criterio della «professionalità acquisita». Essa, tuttavia, non supera del tutto le criticità di settore, continuando di fatto a far ricadere espressamente la fattispecie del commercio su aree pubbliche nell'ambito di applicazione dell'articolo 16, del citato decreto legislativo n.  59 del 2010;
    la suddetta intesa al fine di evitare eventuali disparità di trattamento tra i soggetti le cui concessioni di aree pubbliche sono scadute prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2010, n.  59 (recante attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) e che hanno, quindi, usufruito del rinnovo automatico ed i soggetti titolari di concessioni scadute successivamente a tale data, che non hanno usufruito di tale possibilità, stabilisce l'applicazione, in fase di prima attuazione delle seguenti disposizioni transitorie:
     a) le concessioni scadute e rinnovate (o rilasciate) dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n.  59 del 2010 (8 maggio 2010) sono prorogate di diritto per sette anni da tale data, quindi fino al 7 maggio 2017 compreso;
     b) le concessioni che scadono dopo l'entrata in vigore dell'Accordo della Conferenza unificata (16 luglio 2015) e nei due anni successivi, sono prorogate di diritto fino al 15 luglio 2017 compreso;
     c) le concessioni scadute prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n.  59 del 2010 e che sono state rinnovate automaticamente mantengono efficacia fino alla naturale scadenza prevista al momento di rilascio o di rinnovo;
    il decreto-legge 30 dicembre 2016, n.  244, recante proroga e definizioni di termini, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n.  19, all'articolo 6, comma 8, ha da ultimo prorogato il termine delle concessioni per il commercio su aree pubbliche al 31 dicembre 2018, ed ha stabilito l'obbligo per i comuni di avviare, qualora non abbiano già provveduto, le procedure di selezione pubblica per il rilascio delle nuove concessioni, entro il 31 dicembre 2018, nel rispetto della normativa vigente;
    il suddetto decreto non risolve tuttavia l'annosa questione legata all'opportunità di escludere la categoria dall'applicazione della direttiva comunitaria relativa ai servizi nel mercato interno, ed anzi rischia di generare profonda incertezza in merito all'espletamento delle gare già avviate dai comuni, che a giudizio dei proponenti, dovrebbero ritenersi nulle;
    con l'entrata in vigore della direttiva 2006/123/CE, anche la disciplina delle concessioni demaniali marittime è stata oggetto di una lunga contrattazione tra le istituzioni europee e quelle italiane circa l'assoggettabilità della stessa alla procedura della gara pubblica;
    nei confronti dell'Italia, che ha ritenuto di estromettere il settore demaniale marittimo dalla disciplina della gara pubblica, sono state aperte due procedure di infrazione comunitaria, sanate dal legislatore italiano dapprima, con l'abrogazione dell'articolo 37 del Codice della Navigazione nella parte inerente il «diritto di insistenza», ossia il diritto di preferenza accordato al cessionario uscente, e successivamente, con l'eliminazione del rinnovo automatico delle concessioni, previsto dall'articolo 1, comma 2 del decreto-legge n.  400 del 1993;
    in questo arco temporale, le imprese balneari hanno potuto usufruire di un periodo di proroga della concessione, da ultimo rinnovato con il decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, che ha rinviato al 31 dicembre 2020, la scadenza delle concessioni in essere al 31 dicembre 2015. In conseguenza di tale disposizione sono state sollevate questioni interpretative da parte dei giudici italiani che hanno portato alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 14 luglio 2016 (C-458/14), con la quale la Corte medesima ha affermato che il diritto comunitario non consente la possibilità di prorogare in modo automatico e in assenza di qualsiasi procedura di selezione pubblica dei potenziali candidati, le concessioni relative all'esercizio di attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri;
    con l'articolo 24, commi 3-septies e 3-octies, del decreto-legge 24 giugno 2016, n.  113, per evitare la nascita di eventuali contenziosi nelle more dell'adozione di una nuova disciplina di riordino del settore, il legislatore italiano ha riconosciuto la validità dei rapporti concessori già instaurati e pendenti in base alla proroga concessa al 31 dicembre 2020;
    in molti sostengono la necessità di escludere le concessioni demaniali dall'ambito di applicazione della stessa direttiva 2006/123 /CE, rilevando che le autorizzazioni sono concesse in riferimento ai «beni» demaniali e non ai «servizi», e perciò riguardano il conferimento in uso di una superficie e non l'autorizzazione a svolgere un servizio; questo orientamento ha trovato conferme nelle recenti posizioni assunte da altri Paesi europei; la Spagna, ad esempio, con la legge sulla protezione del litorale e di modifica della legge costiera, ha elevato il termine massimo di durata delle concessioni da settanta a settantacinque anni, per quelle scadute o in scadenza nel 2018; il Portogallo, nel 2007, ha emanato una disciplina che accorda al concessionario uscente il diritto di prelazione in caso di riassegnazione della concessione,

impegna il Governo:

1) a chiarire, con apposita iniziativa normativa, che i posteggi utilizzati per l'esercizio del commercio ambulante su aree pubbliche non rientrano nella nozione di «risorse naturali» e che le relative concessioni non sono soggette all'applicazione del comma 4 dell'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n.  59;
2) ad assumere le necessarie iniziative normative per la modifica dell'articolo 70 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n.  59, riservando l'attività del commercio al dettaglio su aree pubbliche esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone;
3) a promuovere tavoli di confronto con le associazioni di categoria delle imprese del commercio su aree pubbliche affinché siano al meglio risolte le problematiche da questi denunciate, anche al fine di mettere ordine nella normativa di settore per quanto concerne i criteri per il rilascio ed il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio dell'attività;
4) ad adottare opportune iniziative normative al fine di chiarire che sono nulle le procedure di gara avviate dalle amministrazioni comunali prima del 31 dicembre 2018, esonerando quindi le stesse dall'obbligo di avviare le procedure di selezione pubblica entro la medesima data;
5) ad attivarsi presso le istituzioni comunitarie per fare in modo che le concessioni demaniali marittime siano estromesse dall'applicazione della direttiva 2006/123/CE, anche alla luce del fatto che le stesse si riferiscono a «beni» e non a «servizi».
(1-01549)
(Nuova formulazione) «Allasia, Saltamartini, Gianluca Pini, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Rondini, Simonetti».
(20 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n.  59, il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva 2006/123/CE (cosiddetta direttiva Bolkestein) relativa ai servizi nel mercato interno, approvata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell'Unione europea al fine di facilitare la creazione di un libero mercato di servizi in ambito europeo;
    secondo quanto stabilito dalla direttiva Bolkestein all'articolo 12, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali;
    il decreto legislativo n.  59 del 2010, in attuazione di quanto stabilito dalla direttiva Bolkestein, ha disposto all'articolo 16 l'obbligo di prevedere procedure selettive, la limitazione della durata delle autorizzazioni, il divieto di rinnovare automaticamente le concessioni e di accordare vantaggi al prestatore uscente;
    il citato provvedimento ha esteso l'applicazione della direttiva Bolkestein anche al settore del commercio ambulante su aree pubbliche, che costituiscono una «risorsa naturale» limitata, in particolare rinviando, all'articolo 70, comma 5, ad una intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-Autonomie locali l'individuazione dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere;
    il decreto legislativo n.  59 del 2010, all'articolo 70, comma 1, ha inoltre esteso la possibilità di esercitare il commercio ambulante su area pubblica anche a società di capitali regolarmente costituite o a cooperative, oltre che a persone fisiche e a società di persone;
    l'accordo sancito in data 5 luglio 2012 in sede di Conferenza Unificata ha stabilito una proroga dell'attuale situazione fino al 7 maggio 2017, seguita da un regime transitorio di licenze, della durata compresa fra i 9 e i 12 anni, durante il quale i comuni potranno assegnare gli spazi secondo criteri che tengano conto dell'anzianità di servizio nell'esercizio del mercato su aree pubbliche, per tutelare le imprese che già svolgono la loro attività in tali mercati;
    il decreto-legge 30 dicembre 2016, n.  244, (cosiddetto «decreto milleproroghe»), ha da ultimo prorogato il termine delle concessioni per commercio su aree pubbliche in essere alla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge e con scadenza anteriore al 31 dicembre 2018, fino a tale data, al fine di allineare le scadenze delle concessioni e garantire omogeneità di gestione nelle procedure di assegnazione sull'intero territorio nazionale;
    il recepimento della direttiva Bolkestein, introducendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche, ostacola la programmazione degli investimenti o il recupero di quelli già realizzati, danneggiando soprattutto i piccoli operatori del settore, già in difficoltà nel fronteggiare la maggior forza finanziaria delle società di capitali, in grado di detenere – anche indirettamente – un maggior numero di autorizzazioni;
    il decreto legislativo n.  59 del 2010 comporta, infatti, l'apertura del settore del commercio ambulante su area pubblica, che impiega circa 500.000 addetti a livello nazionale e che è tradizionalmente svolto da microimprese spesso a conduzione familiare, a nuove imprese straniere e multinazionali – comprese società di capitali;
    le disposizioni introdotte dal decreto legislativo n.  59 del 2010 non sembrano tenere pienamente conto delle peculiarità e della eterogeneità del settore, che affianca attività di commercio svolte su posteggio fisso ad attività svolte in forma itinerante e con turnazioni, e che coinvolge non solo i centri storici e i tradizionali mercati rionali, ma anche aree periferiche meno qualificabili come limitate;
    considerato altresì che: già in altre occasioni, alcune associazioni di categoria hanno chiesto la disapplicazione della direttiva Bolkestein al commercio ambulante;
    la Commissione X della Camera, nel novembre 2015, ha approvato una risoluzione che impegnava il Governo a promuovere l'attivazione di un tavolo di lavoro con la partecipazione di tutti i livelli istituzionali ed amministrativi interessati, nonché delle associazioni di categoria delle imprese del commercio su aree pubbliche maggiormente rappresentative e a valutare l'opportunità di una rinnovata fase di approfondimento e discussione del quadro giuridico europeo in materia di posteggi su aree pubbliche;
    il 3 novembre del 2016 si è tenuto il primo incontro di questo tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico per approfondire la tematica sulla base delle motivazioni esposte dalle rappresentanze di categoria,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative volte ad una revisione del decreto legislativo n.  59 del 2010, escludendo il commercio su aree pubbliche dall'applicazione della direttiva 2006/123/CE, ovvero stabilendone l'applicazione secondo modalità atte a contenere le ripercussioni negative sul tessuto economico e sociale, anche mediante l'individuazione – per quanto di competenza – di criteri per la concessione delle autorizzazioni che tengano conto delle diverse caratteristiche e dimensioni degli operatori, segnatamente a tutela di chi è intestatario delle licenze e lavora direttamente o con dipendenti nei mercati, e dei luoghi in cui si svolge il commercio ambulante.
(1-01542)
«Donati, Becattini, Ermini, Paris, Impegno, Paola Bragantini, Barbanti, Dallai, Manfredi, Minnucci, Moscatt, Palladino».
(15 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la commissione bilancio del Senato ha deliberato la modifica della disposizione dell'articolo 6, comma 8, del decreto-legge n.  244 del 2016, il cui disegno di legge di conversione era all'esame, che proroga al 31 dicembre 2018 il termine delle concessioni per commercio su aree pubbliche. La proroga ora riguarda le concessioni in essere alla data di entrata in vigore della disposizione in esame, al fine di allineare le scadenze delle concessioni medesime, garantendo omogeneità di gestione delle procedure di assegnazione; essa prevede anche che, nelle more degli adempimenti da parte dei comuni, siano comunque salvaguardati i diritti degli operatori uscenti. Resta definito che le amministrazioni interessate, che non vi abbiano già provveduto, devono pertanto avviare le procedure di selezione pubblica, nel rispetto della vigente normativa dello Stato e delle regioni, al fine del rilascio delle nuove concessioni entro la suddetta data; con la disposizione suddetta il Governo, finalmente, ha preso atto delle difficoltà applicative della Direttiva Bolkestein.  Tant’è vero che lo stesso ex premier Renzi ha dichiarato: «A un passo dall'applicazione pratica delle nuove regole in materia, emergono forti criticità. Il Governo ha deciso di prendersi carico di queste criticità, ritenendo doveroso quantomeno un momento di approfondimento e riflessione»;
    lo stesso presidente dell'Anci De Caro ha dichiarato: «I Comuni stanno lavorando per non arrivare sprovvisti alla scadenza di luglio 2017, ma è evidente la necessità di un prolungamento adeguato dei tempi, in ragione dell'elevato numero di concessioni da assegnare tramite gara e della conseguente mole di verifiche e incombenze in carico agli uffici comunali ancora prima dell'indizione delle gare stesse»;
    inoltre, si fa presente che la regione Piemonte ha approvato all'unanimità una proposta di legge al Parlamento, per escludere il commercio ambulante dagli effetti della direttiva Bolkestein, così come la regione Puglia ha approvato una mozione del gruppo consiliare M5S sulla medesima linea e le amministrazioni comunali di Roma e Torino hanno deliberato di sospendere la pubblicazione dei bandi per i singoli posteggi;
    sul punto, infine, è intervenuta anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha dato parere contrario e contestato i criteri e le procedure stabiliti dell'intesa Stato-regioni con i quali i comuni stavano provvedendo alla pubblicazione dei bandi per l'assegnazione delle concessioni nei mercati; si ricorda che il decreto legislativo 26 marzo 2010, n.  59, ha recepito la direttiva Bolkestein e si configura come una legge-quadro, che dispone norme di portata generale, nonché principi operativi, riconoscendo ai singoli Stati membri le modalità, nonché i tempi di applicazione degli stessi; in particolare, le disposizioni in questione, con l'obiettivo di salvaguardare l'impatto del commercio ambulante sulle aree pubbliche, introducono significativi limiti all'eccesso e all'operatività nel settore, basato sul principio della disponibilità di suolo pubblico destinata dagli strumenti urbanistici all'esercizio dell'attività stessa;
    l'articolo 16 del decreto legislativo n.  59 del 2010 irrigidisce il sistema autorizzatorio, in particolare, al comma 4, non viene riconosciuta la dinamica di proroga automatica ai titoli autorizzatori scaduti, creando delle oggettive difficoltà operative agli oltre 160.000 operatori ambulanti e microimprese operanti nel settore l'articolo suindicato; esso però interviene su una disciplina già ampiamente regolamentata, introducendo un ulteriore limite al numero delle concessioni di posteggio utilizzabili sullo stesso mercato o fiera;
    in particolare, emergerebbero criticità conseguenti all'equiparazione tra la nozione di «risorse naturali», citata dal suindicato articolo, e «posteggi in aree di mercato», tali da compromettere le possibilità e l'operatività degli operatori del commercio ambulante. Infatti, il decreto legislativo interpreta il suolo pubblico concesso per l'esercizio dell'attività di commercio su aree pubbliche, come rientrante nella nozione di «risorse naturali»;
    alle suindicate criticità, si aggiungono ulteriori relative al portato dell'articolo 70, comma 1, del medesimo decreto legislativo, in materia di riconoscimento di titoli autorizzatori alle società di capitali operanti nel settore del commercio ambulante;
    fino all'entrata in vigore del decreto legislativo n.  59 del 2010, la normativa italiana in materia riconosceva specifiche forme di tutela alle piccole imprese a conduzione familiare, riservando il settore del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, alle imprese individuali e alle società di persone, evitando in tal modo una oggettiva quanto deprecabile sperequazione – finanziaria, fiscale ed operativa – tra operatori del medesimo settore;
    le disposizioni in materia di regolamentazione del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche introdotte dalla direttiva suindicata, creano un’impasse normativa rispetto a quanto già sancito dalla normativa nazionale e regionale in materia segnatamente sul versante della tutela delle piccole imprese, della chiarezza delle procedure operative e autorizzative e del rapporto con gli enti locali,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative in sede di Unione europea al fine di modificare la «direttiva Bolkestein» in modo tale da escludere gli operatori ambulanti e le microimprese operanti nel settore che rappresentano il tessuto tradizionale socio-economico dell'Italia;
2) ad assumere le necessarie iniziative dirette a modificare l'articolo 70 del decreto legislativo n.  59 del 2010 al fine di prevedere che l'attività di commercio al dettaglio su aree pubbliche sia riservata esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone.
(1-01565)
«Della Valle, Caso, Vallascas, Fantinati, Cancelleri, Crippa, Da Villa, D'Uva».
(29 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 26 marzo 2010, n.  59, ha dato attuazione alla direttiva 2006/123/CE, cosiddetta direttiva Bolkestein, approvata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento europeo, e dal Consiglio dell'Unione europea al fine di facilitare la creazione di un libero mercato dei servizi in ambito europeo;
    tra le categorie commerciali, per le quali è prevista l'applicazione della direttiva in Italia, rientra quella del commercio al dettaglio su aree pubbliche, per il quale sono introdotti l'obbligo di applicazione da parte delle autorità competenti di una procedura di selezione tra i candidati potenziali, la durata limitata delle autorizzazioni, il divieto del rinnovo automatico delle concessioni e il divieto di accordare vantaggi al prestatore uscente;
    l'attuale situazione, per il settore e per le amministrazioni interessate da mercati, appare ad avviso dei proponenti del presente atto di indirizzo ampiamente confusa, in quanto le norme di attuazione della direttiva non hanno ancora trovato piena applicazione. In sede di Conferenza unificata era stata stabilita una proroga delle concessioni al 7 maggio 2017, successivamente ridefinita con il decreto-legge 30 dicembre 2016, n.  244, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n.  19, che prevede il termine delle concessioni in essere al 31 dicembre 2018, invitando poi le amministrazioni ad avviare le procedure di selezione pubblica;
    la direttiva Bolkestein, recepita nell'ordinamento italiano con il citato decreto legislativo n.  59 del 2010, introducendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche ed estendendo l'esercizio del commercio su area pubblica anche a società di capitali regolarmente costituite o a cooperative, oltre che a persone fisiche e a società di persone, di fatto, ostacola la programmazione degli investimenti o il recupero di quelli già realizzati, danneggiando, soprattutto, i piccoli operatori del settore, già in difficoltà nel fronteggiare la maggior forza finanziaria delle predette società, in grado di detenere, anche indirettamente, un maggior numero di autorizzazioni;
    inoltre, le disposizioni della direttiva non tengono pienamente conto delle peculiarità e della eterogeneità del settore, costituito da attività di commercio, svolte su posteggio fisso ed attività svolte in forma itinerante e con turnazioni, svolte, non solo nei centri storici e nei tradizionali mercati rionali, ma anche nelle aree periferiche,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per modificare il decreto legislativo n.  59 del 2010, che ha recepito la direttiva 2006/123/CE, escludendo il commercio su aree pubbliche dall'applicazione della stessa, ovvero a delimitarne l'applicazione mediante l'individuazione di criteri per la concessione delle autorizzazioni, che tengano conto delle diverse caratteristiche e dimensioni degli operatori, al fine di contenere le ripercussioni negative sul tessuto economico e sociale, e a tutela dei luoghi in cui si svolge il commercio ambulante e degli operatori intestatari delle licenze e che lavorano direttamente o con personale dipendente nei mercati;
2) ad assumere iniziative per prevedere una proroga al 31 dicembre 2020 delle concessioni in essere, al fine di omogeneizzare la situazione su tutto il territorio nazionale.
(1-01610)
«Laffranco, Brunetta, Occhiuto, Bergamini, Alberto Giorgetti».
(20 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, ha dato attuazione alla direttiva 2006/123/CE, cosiddetta direttiva Bolkestein, approvata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento europeo, e dal Consiglio dell'Unione europea, al fine di facilitare la creazione di un libero mercato dei servizi in ambito europeo;
    l'entrata in vigore della direttiva sui servizi n. 2006/123/CE istituisce un quadro giuridico generale per un'ampia varietà di servizi nel mercato interno, con l'obiettivo di assicurare la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri, e si applica ai requisiti che influenzano l'accesso all'attività di servizi o il suo esercizio;
    la direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, integrato dal decreto legislativo n. 147 del 2012. L'articolo 12 della direttiva prevede che qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. In tali casi l'autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami;
    gli Stati membri possono, però, tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto comunitario;
    tra le categorie commerciali, per le quali è prevista l'applicazione della direttiva in Italia, rientra quella delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative la cui disciplina risulta essere molto complessa, a causa dei numerosi interventi normativi che si sono succeduti negli anni, interventi, oltretutto, che si sono intrecciati, con la normativa e con le procedure di contenzioso aperte in sede europea, che hanno riguardato essenzialmente i profili della durata e del rinnovo automatico delle concessioni, oltre la liceità della clausola di preferenza per il concessionario uscente: il cosiddetto diritto di insistenza;
    nelle ultime due legislature, si è intervenuti sulla disciplina legislativa di tali concessioni, da ultimo con la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015 (articolo 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012);
    nel nostro Paese, il settore dell'attività turistico-balneare conta oltre 30.000 imprese, soprattutto medio e piccole, con circa 300.000 persone occupate lungo tutto l'arco della penisola, ai quali vanno aggiunti gli occupati dell'indotto, ovvero degli esercizi pubblici e commerciali che vivono a stretto contatto con gli stabilimenti balneari. In sostanza, si tratta di imprese di tipo familiare, che hanno effettuato notevoli investimenti economici al fine di migliorare i servizi offerti ed elevando, in tal modo, gli standard qualitativi dell'accoglienza turistica a livelli di eccellenza, dando vita ad una realtà di fondamentale importanza per la creazione di ricchezza e di sviluppo turistico che si coniuga con un totale rispetto per l'ambiente ed il territorio;
    risulta evidente che in un quadro legislativo confuso le imprese del settore, da tempo, chiedano certezze normative e tutela dei lavoratori e degli investimenti;
    la Conferenza delle regioni e delle province autonome, in data 25 marzo 2015, ha approvato un documento sulla revisione e sul riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime (12/22/CR09/C5), documento che riconosce la necessità di adeguare il quadro normativo italiano in materia di demanio marittimo ai principi comunitari in materia di trasparenza, non discriminazione, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi in modo da riformare l'intera materia per contemperare, al tempo stesso, anche le legittime esigenze delle varie categorie economiche che operano sul demanio marittimo;
    il documento, inoltre, contiene una serie di richieste, tra le quali: chiarezza con la Commissione europea sulla possibilità di un regime transitorio delle attuali concessioni demaniali marittime, così come già accaduto in altri Paesi europei dove le concessioni demaniali marittime sono state prolungate di 75, 50 o 30 anni, a seconda della tipologia (Spagna), oppure sono state mantenute forme di preferenza in favore del concessionario uscente (Portogallo);
    entrando nello specifico, in Spagna e Portogallo, sono stati approvati provvedimenti che non tengono conto della direttiva 2006/123/CE; in Spagna, infatti, le attività degli stabilimenti balneari (denominati chiringuitos) hanno goduto di una lunga proroga delle concessioni e, nonostante ciò, la Spagna non ha subito, a differenza del nostro Paese, alcuna procedura d'infrazione. Con l'articolo 2, comma 3, della ley de Costas n. 2 del 29 maggio 2013, la Spagna ha modificato la legge n. 22 del 1988, prevedendo una proroga delle concessioni demaniali in essere di un massimo di 75 anni per quelle scadute o in scadenza nel 2018, prevedendo, inoltre, la possibilità di trasmissione delle stesse, oltre che per mortis causa, anche tra i viventi, il tutto con il tacito assenso dell'Unione europea. Il Portogallo, invece, nel 2007 ha emanato una disciplina che accorda al concessionario uscente il diritto di prelazione in caso di riassegnazione della concessione;
    l'Unione, in questi anni, non ha mai inteso riconoscere la specificità del caso italiano mantenendo l'intenzione di applicare la direttiva servizi agli stabilimenti balneari italiani;
    la medesima situazione di incertezza patita dai titolari degli stabilimenti balneari riguarda anche gli operatori del commercio ambulante, tenuto conto che il recepimento della direttiva «Bolkestein», nell'ambito dei mercati ambulanti, introduce non solo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche, ma comporta anche l'apertura del settore a nuove imprese straniere e multinazionali, comprese le società di capitali, il divieto di rinnovo automatico delle concessioni e l'assegnazione degli spazi pubblici tramite bandi con lo specifico divieto di favorire il prestatore uscente, in base a quanto previsto dagli articoli 11, 16, comma 4, e 70, comma 1, del decreto legislativo n. 59 del 2010;
    in tal modo, oltre 200.000 piccole imprese italiane, soprattutto a conduzione familiare, attive nel settore dei venditori ambulanti nei mercati rionali, verrebbero messe a forte rischio perché obbligate a competere con le grandi società di capitali, le società di cooperative e le multinazionali dotate di un ovvio e fortissimo vantaggio competitivo, fiscale e organizzativo;
    tale situazione costituirebbe, inoltre, un forte rischio anche per l'esistenza stessa dei tradizionali mercati rionali che costituiscono parte dell'offerta e dell'immagine turistico-culturale di moltissime città italiane e che impiegano circa 500.000 addetti a livello nazionale,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte ad una revisione del decreto legislativo n. 59 del 2010 in modo che le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative siano del tutto escluse dall'applicazione della «direttiva Bolkestein» o, in alternativa, vengano prorogate quelle in essere per almeno trent'anni a partire dal 2020, in considerazione degli ingenti investimenti sostenuti dagli attuali concessionari e, dall'altro lato, vengano affidate le nuove concessioni attraverso procedure ad evidenza pubblica, confermando, in sostanza, la possibilità di attivare un «doppio binario» che distingua le concessioni attualmente in vigore da quelle nuove, con una proroga di congrua durata per le prime, volta a tutelare gli investimenti sostenuti, e procedure di evidenza pubblica, di immediata applicazione, per le seconde;
2) ad attuare ogni iniziativa utile, nel rispetto dei princìpi di concorrenza e libertà di stabilimento, al fine di garantire l'esercizio, lo sviluppo, la valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti del settore turistico-balneare-ricreativo, anche al fine di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali;
3) ad assumere iniziative per riconoscere al concessionario attuale le competenze e la professionalità acquisite nell'esercizio dell'attività turistico-ricreativa;
4) a valutare, con la Commissione europea, le motivazioni del differente trattamento riservato al nostro Paese con riferimento alle concessioni demaniali marittime, soprattutto in rapporto a quanto verificatosi in altri Paesi europei nei quali le concessioni demaniali marittime sono state prolungate di 75, 50 e 30 anni, a seconda della tipologia, oppure sono state mantenute forme di preferenza in favore del concessionario uscente senza che ciò abbia comportato l'apertura di alcuna procedura di infrazione per mancato rispetto della direttiva sui servizi;
5) con riferimento al settore del commercio su aree pubbliche, ad adottare iniziative volte ad assicurare il rigoroso rispetto della proroga dei termini di attuazione della direttiva e ad attivare un tavolo di confronto con le parti interessate finalizzato a definire condizioni di applicazione della norma che, pur nel rispetto delle direttive europee, garantisca alle aziende già operanti la continuità e la necessaria agibilità economica ed occupazionale, non senza aver verificato, in ogni caso, la possibilità di escludere del tutto la categoria del commercio ambulante dall'applicazione della direttiva sui servizi.
(1-01640)
«Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(29 maggio 2017)