TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 797 di Martedì 16 maggio 2017

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   BARGERO, ROBERTA AGOSTINI, FABBRI, FIORIO, PAOLA BRAGANTINI, LAURICELLA, MANZI, COLANINNO, COMINELLI, BARUFFI, MAURI e BRUNO BOSSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza del 16 agosto 2011, confermata in grado di appello e quindi in Corte di cassazione, il tribunale per i minorenni di Torino ha dichiarato lo stato di adottabilità di una bambina avente all'epoca poco più di un anno, disponendone l'immediata collocazione in famiglia affidataria;
   con sentenza del 22 ottobre 2012 (v.g. 1030/2011), la corte d'appello di Torino, nel respingere l'appello proposto dai genitori naturali, disponeva inoltre l'immediata sospensione degli incontri periodici, in condizioni protette, degli stessi appellanti con la bambina;
   risulta agli interroganti che il procedimento di volontaria giurisdizione ex articoli 333-336 del codice civile – poi sfociato nella dichiarazione dello stato di adottabilità della minore – sia iniziato soltanto 9 giorni dopo la sua nascita, con ricorso del pubblico ministero teso a richiedere in via di urgenza la permanenza della bambina in ospedale sino alla conclusione degli accertamenti sull'idoneità dei genitori alla loro funzione;
   il ricorso del pubblico ministero si basava in particolare – oltre che su informazioni sui genitori acquisite, nell'ambito di altro procedimento, ai fini della valutazione dell'idoneità all'adozione internazionale – su «caratteristiche personali evidenziate pur dopo la nascita della bambina» e dunque in quei pochissimi giorni, «consistenti in distanza emotiva, resistenza ad indagare su di sé, rifiuto degli aiuti proposti; una difficoltà di accudimento riferita dagli operatori ospedalieri»;
   poco più di un mese dopo la nascita, la bambina, una volta uscita dall'ospedale su autorizzazione del tribunale, veniva allontanata dai genitori a seguito di un episodio che aveva dato origine a un procedimento penale per abbandono di minore, conclusosi con la sentenza di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato, non essendosi riscontrati né il dolo né tantomeno la situazione di pericolo per il minore presupposti dalla fattispecie;
   la conferma del provvedimento di allontanamento della minore, collocata presso una famiglia (di parenti) in affidamento e la definitiva dichiarazione del suo stato di adottabilità sono stati motivati, in primo grado e quindi in appello, essenzialmente in base alla ritenuta inidoneità dei genitori a svolgere la loro funzione, non per la sussistenza di particolari disagi o patologie psichiche (non riscontrate in sede di consulenza tecnica d'ufficio), ma per l'incapacità di entrambi i coniugi «di attivare una relazione primaria, capace di promuovere un holding adeguato, l'interazione e la comunicazione con la bimba, minando fin dall'origine le capacità genitoriali», rilevando come la bambina fosse «figlia di un bisogno narcisistico (...) e di un desiderio onnipotente che nel tempo si è andato vieppiù disancorando dai dati di realtà e dal legame col mondo esterno delle emozioni»;
   tali rilievi hanno consentito al tribunale prima e alla corte d'appello poi di superare finanche l'obiezione della difesa, tesa a dimostrare la difficoltà per due persone divenute genitori da così poco tempo, di instaurare un rapporto pienamente ottimale con la bambina in un lasso di tempo – quale quello, di 18 giorni, compreso tra la nascita e il collocamento della bimba presso la famiglia affidataria – indubbiamente breve;
   a prescindere dalla sua correttezza sotto il profilo formale, la decisione dell'allontanamento di una bimba di soli 18 giorni dai propri genitori naturali, in ragione della loro mera inadeguatezza a instaurare con la figlia un'interazione proficua, ma in assenza – parrebbe – di comprovate condotte pregiudizievoli per il suo benessere e comunque prima del decorso di un lasso tempo sufficiente a valutare, in maniera ponderata, l'effettiva capacità della coppia di assolvere alla propria funzione genitoriale, solleva talune perplessità;
   non meno scevro da criticità appare l'avvio di un procedimento di volontaria giurisdizione ex articolo 333 del codice civile a soli 9 giorni dalla nascita di una bambina e sulla base di presupposti – distanza emotiva dei genitori, difficoltà di accudimento della bimba e altro – che non appaiono gravi al punto da giustificare tale scelta;
   per quanto in alcuni casi simile intervento possa essere, proprio perché tempestivo, particolarmente risolutivo e determinante, in ipotesi quali quella in esame, nella quale la maggiore difficoltà dei genitori sembrerebbe risiedere nell'adeguarsi pienamente e concretamente al loro nuovo ruolo, l'intervento di un organo e di una supervisione esterni può invece rischiare di aggravare tale difficoltà;
   il caso in esame, a prescindere dalle peculiarità che lo caratterizzano e dagli aspetti processuali, dimostra l'opportunità di una riflessione in ordine ai presupposti, alle condizioni e alle garanzie da osservarsi per l'attivazione del procedimento di volontaria giurisdizione ex articolo 333 codice civile;
   in tal senso potrebbe essere utile anche la previsione di una più dettagliata articolazione delle modalità da seguire in relazione alle diverse fattispecie che possano verificarsi, tenendo conto peraltro dell'esigenza di assicurare ai genitori, almeno in casi non particolarmente problematici, un lasso di tempo sufficiente ad adeguarsi alla funzione genitoriale –:
   se non si reputi opportuno avviare una riflessione sulla disciplina del procedimento ex articolo 333 del codice civile, tale da renderlo maggiormente conforme alle varie peculiarità che possono caratterizzare quelle condotte «pregiudizievoli ai figli» disciplinate dalla norma;
   se non ritenga opportuno approfondire anche la disciplina di cui all'articolo 403 del codice civile, in particolare al fine di specificare meglio i presupposti e le condizioni per l'intervento dell'autorità pubblica a favore dei minori e la relativa procedura;
   se non ritenga meritevole di ulteriori precisazioni – anche sotto il profilo procedurale e dell'onere motivazionale in sentenza – la disciplina della dichiarazione di adottabilità del minore di cui al capo II della legge n. 184 del 1983. (3-00836)
(20 maggio 2014)

B) Interrogazione

   COVELLO e MAGORNO. — Al Ministro della giustizia e al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   presso l'istituto penitenziario di Rossano in provincia di Cosenza sono detenuti nella sezione speciale del carcere 21 stranieri accusati di terrorismo alcuni dei quali appartengono alla cellula di Al Qaeda e sono considerati soggetti attivi del terrorismo di matrice islamica;
   in occasione dei tragici attentati di Parigi, come riportato dagli organi di stampa, alcuni di questi detenuti avrebbero esultato, appresa la notizia, al grido di «Viva la Francia libera»; grido di gioia misto a sfida, secondo quanto si apprende da fonti interne al carcere, per aver «liberato» la Francia dai cosiddetti «infedeli»;
   misure di controllo sono scattate immediatamente dopo gli attentati di Parigi anche nell'istituto di Rossano, considerato «obiettivo sensibile»;
   oltre alla videosorveglianza, già attiva nel carcere, è stato attivato un pattugliamento esterno con agenti specializzati e armati, che 24 ore su 24 controlla le mura di cinta dell'istituto di pena;
   si è svolta a Cosenza una riunione del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica per fare il punto sulle misure di prevenzione del terrorismo islamico;
   la procura distrettuale antimafia di Catanzaro ha avviato «accertamenti preliminari» su quanto avvenuto nel carcere di Rossano venerdì sera, dopo le prime notizie sugli attentati di Parigi;
   non va creato allarmismo, ma è del tutto evidente che vanno potenziati organici e misure di sicurezza interne ed esterne alla struttura penitenziaria anche per la sicurezza degli stessi operatori di polizia penitenziaria e degli altri lavoratori della struttura –:
   in considerazione di quanto espresso in premessa, quali ulteriori iniziative specifiche intenda adottare il Governo per rafforzare la sicurezza della struttura penitenziaria di Rossano. (3-01859)
(19 novembre 2015)

C) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la Fincantieri s.p.a. è uno dei più importanti complessi cantieristici navali del mondo: azienda pubblica italiana, già di proprietà dell'Iri fin dalla sua fondazione, è oggi controllata al 71,6 per cento da Fintecna s.p.a., finanziaria del Ministero dell'economia e delle finanze;
   il cantiere navale di Monfalcone, la cui attuale denominazione è Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone, è impegnato nella costruzioni di navi da crociera ad elevato tonnellaggio;
   il 15 marzo 2017 il giudice del lavoro di Gorizia, Barbara Gallo, ha ordinato alla Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone il reintegro in servizio di quattro operai, un saldatore e tre carpentieri, che nell'ottobre 2016 erano stati licenziati dopo essere stati trovati a riposare durante una pausa del turno di notte;
   i fatti oggetto della sanzione della Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone non risultano completamente chiari, altri due dipendenti sono stati solamente sospesi e non licenziati e, secondo i sindacati, la sanzione riguarderebbe dei lavoratori con un curriculum fino ad allora cristallino, senza alcun richiamo, che sarebbero rimasti invischiati in un episodio colmo di malintesi sul fronte della gestione interna delle pause dell'orario di lavoro;
   il giudice del lavoro del tribunale di Gorizia ha comunque accertato l’«illegittimità» dei licenziamenti in quanto sproporzionati e ha disposto l'immediata reintegra dei lavoratori a carico della società Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone, condannandola a ricostituire la posizione assicurativa e contributiva dei dipendenti, con adempimento dei relativi oneri, nonché a corrispondere le retribuzioni globali risultanti dalle ultime buste paga emesse a loro favore, dal licenziamento alla reintegra effettiva, oltre al pagamento delle spese legali;
   ad oggi, nonostante il termine di cinque giorni per richiamare in servizio i quattro operai, la Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone ha reintegrato i quattro operai solamente nello stipendio, mentre ha comunicato loro di essere «dispensati» dal presentarsi al cantiere senza alcun limite temporale –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per garantire che avvenga l'immediato e completo reintegro lavorativo dei quattro operai nella Fincantieri - cantiere navale di Monfalcone, azienda con la maggioranza di capitale in mano allo Stato italiano, che in quanto tale deve essere di esempio nel rispetto delle regole e del diritto.
(2-01745)
«Pellegrino, Marcon, Airaudo, Civati».
(3 aprile 2017)

MOZIONI RELATIVE AL FUNZIONAMENTO DEI COSIDDETTI CENTRI HOTSPOT PER I MIGRANTI

   La Camera,
   premesso che:
    il regolamento (UE) n. 604/2013 del 26 giugno 2013, conosciuto come regolamento Dublino III, stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide;
    tra i criteri introdotti dal regolamento (UE) n. 604/2013 vi è quello del primo Paese membro di arrivo che, sebbene non sia tra i primi in ordine gerarchico, riveste certamente un ruolo principale per l'Italia per via della posizione geografica e dell'andamento delle rotte e dei flussi migratori;
    il regolamento (UE) n. 603/2013 istituisce il sistema «Eurodac» che è funzionale alle procedure di identificazione di ogni richiedente protezione internazionale e dei cittadini di Paesi terzi intercettati in relazione all'attraversamento irregolare della frontiera per il confronto delle impronte digitali in applicazione del Regolamento (UE) n. 604/2013;
    a seguito del naufragio del 18 aprile 2015 dove hanno perso la vita nel Canale di Sicilia circa 700 migranti, a maggio 2015 la Commissione europea ha adottato l'Agenda europea sulla migrazione con lo scopo di raggiungere una gestione più efficace e condivisa del fenomeno;
    l'Agenda europea sulla migrazione introduce, tra gli altri, due nuovi strumenti di gestione ovvero la ricollocazione ed il reinsediamento dei richiedenti protezione internazionale;
    a norma della decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 15 settembre 2015 e della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015, in deroga al regolamento (UE) n. 604/2013, vengono introdotte misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia per far fronte alla pressione migratoria presente sui due Paesi;
    le decisioni (UE) 2015/1523 e 2015/1601 prevedono la possibilità di ricollocare, ovvero trasferire verso altri Paesi membri secondo quote prestabilite, richiedenti protezione internazionale che in base ai dati disponibili ottengono nel Paesi dell'Unione un riconoscimento della loro domanda non inferiore al 75 per cento, definiti in clear need of protection, per un numero totale pari a 160.000 richiedenti; in attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione e a norma delle decisioni (UE) 2015/1523 e 2015/1601, il Governo ha presentato un documento di attuazione degli impegni assunti dall'Italia chiamato Road map che introduce i centri cosiddetti hotspot;
    la Road map è pertanto un documento programmatico e non costituisce in alcun modo una fonte normativa, infatti in audizione presso la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» tenuta il 29 luglio 2015, il Ministro dell'interno Alfano già affermava come i centri cosiddetti hotspot risultassero al momento della loro istituzione privi di copertura giuridica;
    in una nota di maggio 2016 lo stesso Ministero dell'interno cercava di rassicurare circa la presenza di base normativa paventando un sistema di accoglienza suddiviso in tre fasi di cui la prima da attuarsi proprio negli hotspot presupponendone la disciplina all'interno del decreto legislativo n. 142 del 2015 e tentando di equipararli a centri di primo soccorso e assistenza, invero già legittimati dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, cosiddetta legge Puglia, che consta di soli due articoli, è legata ad un territorio e ad un momento storico preciso, e pertanto risulta già fortemente lacunosa;
    il capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Morcone, in audizione presso la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» in data 19 luglio 2016 conferma nuovamente l'assenza di una chiara base giuridica che legittimi gli hotspot;
    il richiamato decreto legislativo n. 142 del 2015, entrato in vigore prima dell'attivazione degli hotspot, non distingue il sistema di accoglienza in tre fasi bensì in due, prima e seconda accoglienza, ed in alcun modo menziona centri cosiddetti hotspot come facenti parte del sistema di accoglienza;
    nel mese di giugno 2016 il Ministero dell'interno ha reso pubbliche le «procedure operative standard» (SOP) applicabili agli hotspot, dove vengono illustrate le modalità operative per le attività da svolgere al loro interno;
    nelle SOP viene palesato come l’hotspot debba essere inteso, oltre che come luogo fisico, anche come approccio, tanto da prevedere un team mobile operativo anche al di fuori dei luoghi individuati come hotspot, con un evidente ulteriore aggravio di illegittimità;
    i centri hotspot attualmente operativi risultano essere quelli istituiti nei porti di Taranto, Trapani, Pozzallo e Lampedusa, ma a questi vanno ad aggiungersi il porto di Augusta che, nonostante le rassicurazioni manifestate del Governo rispetto al fatto che non sarebbe divenuto un hotspot, essendo attualmente il primo porto interessato dagli sbarchi di migranti in Italia, svolge nei fatti le funzioni di hotspot, ed ogni altro luogo ritenuto all'occorrenza utile in virtù della possibilità di utilizzare team mobile come dalle richiamate SOP;
    il Governo ha dichiarato apertamente la necessità di provvedere all'istituzione di ulteriori centri da destinarsi ad hotspot; è infatti di giugno 2016 la scadenza di una procedura di gara indetta da Invitalia, centrale di committenza per il Ministero dell'interno, aperta ai sensi dell'articolo 60, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016, per un importo complessivo pari ad euro 1.147.712,04, oltre I.V.A. per l'affidamento della «Fornitura e posa in opera della recinzione modulare all'interno dell'area da destinarsi ad hotspot per migranti presso il »Residence degli Aranci «di Mineo», centro noto per tutte le vicende legate ai fatti di «mafia capitale» e sul quale la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» si è già espressa chiaramente a seguito dell'ultima visita ispettiva di luglio 2016 chiedendone la chiusura;
    i centri hotspot risulterebbero dunque strumentali alle procedure di identificazione, di selezione tra richiedenti protezione internazionale e migranti irregolari comunemente chiamati migranti economici effettuata attraverso la somministrazione di un «foglio notizie», ed al ricollocamento degli aventi diritto;
    non vi è alcuna norma di diritto interno e comunitario che definisca la categoria di migrante economico che risulta pertanto del tutto arbitraria;
    a partire dalla loro istituzione e a seguito delle segnalazioni di organizzazioni non governative ed enti di tutela dei diritti dei migranti, sono state denunciate numerose gravi violazioni di diritto in atto all'interno dei centri hotspot o comunque riconducibili al metodo hotspot;
    la stessa «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» ha potuto appurare, nel corso delle audizioni tenute sul tema e delle visite ispettive effettuate, numerose gravi violazioni in atto tra cui trattenimento al di fuori delle previsioni normative, trattenimento di minori stranieri non accompagnati anche in situazioni di promiscuità con adulti, procedure di identificazione illegittime, grave sovraffollamento, gestione dei centri poco trasparente e gravi carenze nell'erogazione dei servizi;
    la Costituzione italiana non prevede in alcun modo il trattenimento dei migranti per soli fini identificativi ed inoltre la Corte europea dei diritti dell'uomo ha già condannato l'Italia, con la sentenza Khlaifia e altri c. Italia, per il trattenimento illegittimo a Lampedusa nel 2011 di alcuni cittadini tunisini, in seguito raggiunti anche da provvedimento di respingimento del questore;
    la normativa italiana non consente in alcun modo che venga utilizzata la forza, o altra forma di coercizione, nei confronti dei migranti che rifiutino, ponendo una resistenza passiva, di farsi identificare;
    il sindacato UGL polizia di Stato ha ritenuto di esprimersi con la nota del 10 febbraio 2016 n. 88/S.N. per denunciare le criticità rispetto al «vuoto normativo» circa l'uso della forza nelle operazioni di foto-segnalamento e nella rilevazione delle impronte digitali di cittadini stranieri, ed italiani, contestando quanto espresso dalla circolare del Ministero dell'interno n. 400/A//2014/1.308, e circa il rischio di esporre il personale di polizia a conseguenze di rilevanza penale;
    a seguito di un accordo (Memorandum of Understanding) siglato in data 3 agosto 2016 dal Capo della polizia italiana Franco Gabrielli con il Governo del Sudan, in data 24 agosto 2016, 40 cittadini sudanesi fermati dalla polizia presso il comune di Ventimiglia e facenti parte di un gruppo più ampio di 48 cittadini sudanesi, sono stati forzatamente trasferiti presso il centro hotspot di Taranto per essere sottoposti a procedure di identificazione prima di essere espulsi attraverso l'aeroporto individuato per il volo di rimpatrio verso il Sudan;
    non esiste alcuna disposizione di legge che permetta di effettuare quella selezione che pure avviene all'interno degli hotspot ad opera dei funzionari di polizia tra richiedenti protezione internazionale e migranti cosiddetti economici per il tramite del «foglio notizie» sulla base della nazionalità o, peggio, in virtù di accordi di cooperazione bilaterale con Paesi di origine dei migranti, specialmente se si tratta di Paesi che non si conformano alle norme di diritto internazionale e di tutela dei diritti umani riconosciute dall'Italia per il rischio, inter alia, di violazione del principio di non-refoulement;
    nella seduta della Camera dei deputati del 21 ottobre 2016 n. 696 il Sottosegretario di Stato alla difesa, Domenico Rossi, in risposta all'interpellanza n. 2-01486 sull'utilizzo delle risorse economiche a sostegno del sistema di accoglienza migranti ha confermato che sono regolarmente in atto trasferimenti dai valichi di frontiera del nord verso l’hotspot di Taranto sulle direttrici principali di Como-Taranto e Imperia-Taranto per un costo dei soli trasferimenti che al momento ammonta a 770 mila euro, con il duplice scopo di «prevenire turbative dell'ordine e della sicurezza pubblica e di evitare che l'alta concentrazione di migranti potesse dare luogo ad emergenze igienico-sanitarie», configurando di conseguenza un nuovo ruolo, anch'esso non normato, dell’hotspot;
    stando ai dati disponibili aggiornati al 27 ottobre 2016 il numero dei richiedenti ricollocati dall'Italia verso altri Paesi membri risulta essere di sole 1.411 persone con la totale esclusione, tra gli altri, dell'Austria, destinataria di un provvedimento di esenzione da parte della Commissione europea, e di Danimarca, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Irlanda, Polonia, Regno Unito;
    la decisione (UE) 2016/1754 del Consiglio del 29 settembre 2016 che modifica la decisione (UE) 2015/1601 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, prevede la possibilità per gli Stati membri, in base a quanto previsto dall'accordo Unione europea-Turchia del 16 marzo 2016, di ammettere volontariamente sul proprio territorio cittadini siriani in clear need of protection provenienti dalla Turchia, detraendo il numero dei cittadini così eventualmente accolti dal totale previsto in base alla ripartizione per il ricollocamento in favore di Italia e Grecia,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative per dismettere immediatamente i centri hotspot attualmente operativi in quanto estremamente costosi ed inefficaci tanto sul piano economico quanto sul piano della tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti ai migranti e, di conseguenza, a non proseguire oltre nella creazione di nuovi centri cosiddetti hotspot o in generale nel mettere in pratica l'approccio hotspot prima che questo abbia una chiara ed approfondita base giuridica, che vi siano garanzie certe che al loro interno non avvengano violazioni di diritto, che sia realmente effettivo il meccanismo di ricollocazione e che sia avviata una seria, concreta ed equa modifica normativa al regolamento (UE) n. 604/2013, in applicazione delle previsioni dell'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea sul principio di solidarietà tra gli Stati membri.
(1-01439)
«Brescia, Lorefice, Colonnese, Grillo, Cecconi, Dadone, Grande».
(28 novembre 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Agenda europea sulla migrazione, presentata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea, per fronteggiare e migliorare la gestione dei migranti, prefigura l'istituzione di un nuovo metodo basato sui punti di crisi (gli hotspot) collocati nei luoghi dello sbarco;
    gli hotspot costituiscono il fulcro della nuova strategia europea sui flussi migratori e sono strutture in cui le forze dell'ordine nazionali, coadiuvate da funzionari delle agenzie europee Frontex, Europei, Eurojust e Easo, sottopongono il migrante alle operazioni di rilevamento foto dattiloscopico e segnaletico e, al contempo, forniscono informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito;
    l'accordo sulla creazione dei punti di crisi è stato raggiunto in occasione del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015 e, a settembre 2015, il Governo italiano ha presentato una roadmap, individuando 6 distinte sedi di hotspot: Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Augusta e Taranto (quattro quelle attive alla data odierna, ossia Lampedusa con 500 posti di capienza, Taranto, Trapani e Pozzallo, con 400 posti);
    in base alla circolare n. 14106 del 6 ottobre 2015 del Ministero dell'interno si è puntualizzato che gli sbarchi dei migranti avvengano in uno dei siti hotspot individuati, affinché possano essere garantite nell'arco di 24/48 ore le operazioni di screening sanitario, pre-identificazione (con accertamento di eventuali vulnerabilità), registrazione e fotosegnalamento e i rilievi dattiloloscopici degli stranieri;
    sempre secondo quanto specificato nella roadmap del settembre 2015, redatta dal Ministero dell'interno in attuazione dell'Agenda, dopo l'identificazione negli hotspot, le persone richiedenti la protezione internazionale vengono trasferite nei vari regional hub presenti sul territorio nazionale; le persone, invece, rientranti nella procedura di ricollocazione devono essere trasferite nei regional hub dedicati; le persone in posizione irregolare, e che non richiedono protezione internazionale devono, infine, essere trasferite nei Centri di identificazione ed espulsione;
    a giugno 2016, il Ministero dell'interno ha, inoltre, emanato le «Procedure operative standard» (SOP – Standard Operating Procedures) applicabili agli hotspot in cui vengono spiegate le modalità operative per le attività da svolgere all'interno dei centri;
    le impronte digitali sono l'unico strumento che le forze dell'ordine hanno per effettuare controlli incrociati sull'identità degli stranieri, perché, a fronte delle notorie carenze dei sistemi anagrafici di molti Paesi di origine degli stranieri, le impronte digitali costituiscono l'unico dato univoco ed individualizzante che, una volta inserito nella banca dati nazionale (casellario centrale di identità) e in quella europea (Eurodac), permette di fissare il dato storico del passaggio di un soggetto in un determinato luogo;
    nello specifico, il regolamento Eurodac distingue i migranti presenti sul territorio europeo in tre categorie: richiedenti asilo (categoria 1), persone fermate in relazione all'attraversamento irregolare di una frontiera esterna dell'Unione europea (categoria 2) e persone fermate perché illegalmente soggiornanti sul territorio di un paese dell'UE (categoria 3);
    Eurodac, istituita nel 2003, è una banca dati dell'Unione europea per le impronte digitali dei richiedenti asilo per agevolare l'applicazione del regolamento di Dublino, che determina lo Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo presentata nell'Unione europea;
    gli hotspot hanno quindi due finalità strettamente connesse: procedere all'immediata identificazione di tutti i migranti che giungono via mare nell'area di Schengen e definirne la posizione giuridica. In passato, invece, si procedeva ai trasferimenti in maniera indifferenziata – addirittura si procedeva ai trasferimenti anche di soggetti non fotosegnalati – rimandando a un momento successivo, nelle sedi di destinazione, il fotosegnalamento e l'ulteriore perfezionamento di un'eventuale manifestazione di volontà di richiedere la protezione internazionale;
    gli hotspot altro non sono, quindi, che centri, per forza di cose chiusi, finalizzati esclusivamente all'identificazione dei migranti. Dopodiché, una volta presentata la domanda di asilo, si passa immediatamente alle altre fasi dell'accoglienza e, quindi, senza alcuna ulteriore possibilità di trattenimento coatto;
    l'Italia è il Paese europeo che assorbe il maggior numero di migranti che giungono via mare; infatti, nel 2013, erano stati circa 43.000, nel 2016, sono stati oltre 181.000 e, nel 2017, si stimano circa 250.000 arrivi. L'utilizzo della via del mare aumenta di pari passo con la chiusura delle frontiere degli altri Stati europei a seguito dell'adozione di un regime di visti e ingressi particolarmente restrittivo verso i Paesi di quelle zone;
    il rischio di questa impressionante ondata migratoria è quello che il nostro Paese si trasformi in un'area della disperazione con ovvie conseguenze: delinquenza e assistenzialismo cronico, senza tuttavia dimenticare quello che costituisce un pericolo di questo esodo e cioè il terrorismo;
    nella Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2015, presentata in Parlamento a marzo 2016, si legge che «La massa di persone in movimento verso lo spazio comunitario, oltre a costituire un'emergenza di carattere umanitario, sanitario e di ordine pubblico, può presentare insidie sul piano della sicurezza»;
    l'Europol, che supporta gli Stati membri nella prevenzione di tutte le forme gravi di criminalità e di terrorismo internazionali, riconosce il ruolo fondamentale di tali centri;
    negli hotspot particolare attenzione viene, oltretutto, assicurata anche all'identificazione di possibili vittime di tratta di esseri umani, inclusi i minori;
    il Ministro dell'interno ha annunciato la realizzazione di ulteriori cinque strutture post sbarco destinate al controllo dei migranti soccorsi, individuando le sedi a: Crotone, Reggio Calabria, Palermo, Messina e Corigliano Calabro,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per fornire un quadro normativo di riferimento per le strutture di hotspot, tenendo conto delle esigenze logistico-operative e in coerenza con gli specifici indirizzi normativi europei;
2) al fine di fronteggiare potenziali situazioni particolarmente critiche ed emergenziali del fenomeno migratorio, a valutare l'opportunità di implementare il numero degli hotspot da dislocare sul territorio nazionale;
3) in coerenza con quanto previsto dalle «Procedure operative standard» (SOP – Standard Operating Procedures), a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative per prevedere che l’hotspot possa essere non solo «fisso», inteso come luogo fisico stabile, ma anche «mobile», cioè costituito da team specializzato che, lavorando in mobilità, garantisca il funzionamento dell’hotspot approach anche nei casi di sbarchi avvenuti in porti distanti dagli specifici centri già operativi.
(1-01603)
«Palese, Altieri, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(18 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    nel maggio 2015, la Commissione europea nella cosiddetta «Agenda europea sulla migrazione», aveva disegnato un nuovo modello di accoglienza per la gestione dei migranti, puntando sulla creazione di hotspot nei luoghi stessi del loro sbarco;
    gli hotspot avrebbero dovuto essere strutture allestite per identificare rapidamente, registrare, foto-segnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti e che dovevano essere create per sostenere i Paesi più esposti ai nuovi arrivi, quindi Italia e Grecia, ma anche Ungheria, per esempio;
    i migranti avrebbero dovuto essere trattenuti negli hotspot, in molti casi allocati in centri già esistenti e attrezzati, fino alla conclusione di tutte le operazioni di identificazione;
    due anni fa non era chiaro come sarebbero state impostate queste strutture: se sarebbero state aree di accoglienza con l'obiettivo di trasferire chi aveva diritto di asilo in altri Paesi, oppure di luoghi di detenzione per gli immigrati irregolari in attesa di un rimpatrio;
    nel settembre 2015 a Bruxelles, i Ministri dell'interno si sono riuniti per definire questa nuova linea straordinaria di accoglienza per una migrazione che vede ogni giorno numeri più elevati di arrivi, soprattutto nelle coste italiane, cominciando con il definire chi avrebbe gestito queste nuove strutture: autorità nazionali e agenti della polizia di frontiera, insieme a tecnici e esperti di agenzie europee come Europol (l'ufficio di polizia europeo), Easo (l'Agenzia europea per il diritto d'asilo), Eurojust (per la cooperazione giudiziaria tra varie autorità nazionali contro la criminalità), Frontex (l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea); il 23 settembre 2016 il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha comunicato al vertice dei capi di Stato e di Governo l'inizio delle operazioni per attivare gli hotspot;
    la collaborazione tra autorità europee e nazionali avrebbe dovuto essere volta più che altro alla distinzione dei migranti che vogliono presentare richiesta d'asilo, dai migranti cosiddetti «economici», cioè che fuggono dalla povertà e non dalla guerra e dalla violenza, ricordando che il coinvolgimento di Europol e Eurojust ha esclusivamente lo scopo di esercitare un controllo sul terrorismo;
    si convenne che la maggior parte di questi nuovi centri hotspot sarebbe stata creata in Italia, dove gli esperti delle agenzie dell'Unione europea Frontex, Easo, Europol e Eurojust erano già operativi, soprattutto in Sicilia per gestire, assieme ai funzionari italiani, le attività di registrazione dei migranti in arrivo sulle coste italiane. Concretamente, tre sarebbero stati creati in Sicilia (Trapani, Pozzallo, Porto Empedocle) e uno sull'isola di Lampedusa. Mentre, dall'inizio del 2016, avrebbero dovuto aprire anche i centri di Taranto e Augusta;
    ogni centro, secondo le ipotesi in circolazione, avrebbe potuto ospitare fino a 1.500 persone. Il Ministro dell'interno italiano pro tempore Angelino Alfano, aveva indicato in due mesi il tempo necessario a far partire il meccanismo, precisando però che, prima dell'avvio del progetto, sarebbero state necessarie garanzie su rimpatri e ricollocazioni;
    a livello internazionale si pensava di creare un hotspot in Grecia, al porto del Pireo, ad Atene, mentre il problema principale era e resta l'Ungheria, che da mesi si oppone alla redistribuzione dei profughi;
    in realtà, sull'isola siciliana, quasi nulla è cambiato nelle procedure usate per registrare i migranti: sono identificati grazie al foto-segnalamento e alla rilevazione delle impronte. Inoltre, sono sottoposti a un controllo sanitario, come succedeva in precedenza, il tutto entro quarantotto ore dall'arrivo. Queste operazioni sono ancora svolte da personale italiano, con la differenza che, ora, sono controllate da funzionari dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (Easo) e dell'Europol presenti sul posto, che però non hanno autorità di intervento;
    l'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) fornisce supporto ai funzionari Easo nel dare le informazioni legali ai migranti in arrivo. Il personale dell'Unhcr è presente a Lampedusa già dal 2006 e, con l'attuazione delle nuove regole, l'agenzia lavora anche negli altri hotspot e nei centri di accoglienza dove i richiedenti asilo saranno ospitati in attesa di ricevere una risposta alla loro domanda. Si tratterà di personale con formazione giuridica, che spiegherà ai migranti il funzionamento del piano di ricollocamento nei Paesi dell'Unione europea, oltre ai loro diritti e ai loro obblighi di richiedenti asilo;
    l'Unhcr ha detto che il programma italiano di ricollocamento è «un primo passo positivo» per risolvere la crisi attuale. Tuttavia, è fondamentale che le informazioni ai migranti siano fornite in modo chiaro, grazie al lavoro di mediatori culturali e a materiale stampato in varie lingue, affinché le nuove misure abbiano successo. Inoltre, è necessario che le condizioni di prima accoglienza siano appropriate in modo da incentivare le persone ad aderire al programma di ricollocamento;
    ma registrare tutti i migranti, di fatto, è molto complicato proprio per i numeri che non accennano a diminuire, anche in queste ultime giornate; le forze dell'ordine italiane non riescono ad avere gli strumenti sufficienti per gestire la situazione, come ha dichiarato il prefetto di Trapani, Leopoldo Falco, secondo cui la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia, rifiuta di farsi identificare perché vuole raggiungere altri Paesi dell'Unione europea e le autorità italiane non possono fare altro che lasciarli andare dopo quarantott'ore dall'arrivo, perché questo prevede la legge. Inoltre non ci sono abbastanza strumenti per la detenzione e la conseguente espulsione di chi rifiuta di farsi registrare. Il processo d'identificazione, per Falco, è molto lungo, «in un'ora si riescono a registrare sei o sette persone», anche per questo gestire la registrazione di centinaia di persone arrivate sul territorio italiano non sarà un processo semplice,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di aumentare il numero del personale impegnato nel servizio di identificazione e riconoscimento dei migranti che sbarcano in Italia, promuovendo anche l'utilizzo di strumenti più moderni degli attuali, con un esplicito riferimento a mezzi di natura telematica;
2) a valutare l'opportunità di avvalersi anche di personale con un profilo culturale più vicino a quello dell'educatore professionale, con esperienze interculturali e non solo di personale con profili più simili a quelli delle forze dell'ordine, per favorire il dialogo e la collaborazione;
3) ad assumere iniziative per innestare negli hotspot modalità di lavoro più flessibili che consentano ai funzionari di spostarsi ne luoghi di sbarco, senza attendere che siano i migranti a spostarsi per recarsi nell’hotspot.
(1-01606)
«Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».
(19 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il capo della polizia, intervenendo il 7 marzo 2017 in audizione presso la commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, ha evidenziato che il fenomeno migratorio non può più essere considerato come transitorio e passeggero, trattandosi invece di un fattore strutturale della nostra fase storica, aperta dalla caduta del muro di Berlino, che ha visto raddoppiare – secondo i dati di una rilevazione Onu del 2015 – le correnti migratorie provenienti dai Paesi meno sviluppati, fino a superare il tetto complessivo degli 80 milioni di persone. È la stessa rilevazione a sottolineare come la popolazione in movimento a livello mondiale possa essere stimata in 240 milioni di persone, circa un terzo delle quali, oltre 76 milioni, ospitato in Europa;
    le crisi e i conflitti di questi ultimi anni hanno amplificato quest'onda lunga, riportando il bacino del Mediterraneo al centro di una rinnovata via di fuga dai Paesi in crisi, aprendo nuove rotte ai flussi dei migranti;
    nel rapporto sul sistema Hotspot italiano, pubblicato nel mese di novembre 2016 da Amnesty International, si ricorda che centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga da conflitti, violazioni dei diritti umani e povertà, negli ultimi tre anni, hanno attraversato il Mediterraneo in cerca di un luogo sicuro o di una vita migliore. In assenza di canali sicuri e legali di accesso all'Europa, hanno viaggiato in maniera irregolare, con un considerevole rischio per le loro vite;
    infatti, nonostante i flussi migratori siano oramai un fenomeno strutturale e che i conflitti, le carestie e la violazione di diritti umani presenti in molti Paesi costituiscano notori fattori di aumento dei flussi, gli Stati dei Paesi più sviluppati, non sono in grado di approntare risposte adeguate, strutturali e attente a garantire la dignità delle persone migranti;
    l'approccio Hotspot, presentato a metà del 2015 dall'Unione europea come la principale risposta dell'Unione all'alto numero di arrivi nei Paesi membri del sud Europa, è la prova di quanto i leader europei incapaci di pianificare nel tempo a disposizione, e tanto meno di concordare, una necessaria riforma del sistema d'asilo in crisi dell'Unione europea, abbiano prodotto sostanzialmente «un rattoppo»;
    il rapporto di Amnesty International sull'approccio Hotspot ha un titolo eloquente ed emblematico: «Come le politiche dell'Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti»;
    la premessa fondamentale di tale approccio era quella di associare maggiori controlli sui rifugiati e migranti all'arrivo, con la distribuzione di una parte dei richiedenti asilo in altri Stati membri per un esame successivo delle loro domande di asilo. Controllo e condivisione delle responsabilità erano allora le parole chiave. Ad oggi, è chiaro che solo il controllo è stato messo effettivamente in atto, e a caro prezzo per i diritti di rifugiati e migranti, mentre molti pochi progressi sono stati fatti in materia di condivisione delle responsabilità; e, anzi, questo principio sta incontrando una crescente resistenza a livello politico;
    l'allestimento dei centri Hotspot e l'attuazione dell'approccio Hotspot sono stati raccomandati dalla Commissione europea a maggio 2015, come punto centrale della sua Agenda sulla migrazione e decisi dal Consiglio Ue a giugno 2015;
    gli Hotspot sono stati progettati per fornire un luogo in cui i rifugiati e i migranti arrivati irregolarmente potessero essere identificati velocemente, principalmente attraverso il rilevamento obbligatorio delle impronte digitali, esaminati per individuare necessità di protezione e in seguito selezionati al fine dell'esame delle richieste di asilo o del rimpatrio nei loro Paesi d'origine;
    una drastica diminuzione degli spostamenti irregolari di rifugiati e migranti verso altri Stati membri dell'Unione Europea, uno degli obiettivi chiave, doveva essere raggiunto tramite l'acquisizione delle impronte digitali, nella prospettiva di assicurare la possibilità di un loro rinvio, secondo il regolamento di Dublino, verso l'Italia o altri Paesi di primo ingresso. Per ridurre il peso che grava su tali ultimi Stati, tuttavia, a settembre 2015, è stato adottato un sistema di ricollocazione d'emergenza, che prevedeva il trasferimento progressivo di circa 160 mila richiedenti asilo (di cui 40 mila dall'Italia) verso altri Paesi dell'Unione europea, per esaminare lì le loro richieste di asilo;
    il Governo italiano ha cominciato ad attuare l'approccio Hotspot nello stesso mese, con la trasformazione in Hotspot del centro di prima accoglienza già esistente a Lampedusa e il dispiegamento di funzionari di diverse agenzie dell'Unione europea. Al momento, i centri Hotspot operativi sono quattro (Lampedusa, Taranto, Trapani e Pozzallo), mentre altri due sarebbero di prossima apertura in Sicilia (Messina e Palermo) e altri dovrebbero seguire entro fine anno;
    mentre la componente di solidarietà del piano Hotspot si è dimostrata ampiamente illusoria, gli elementi repressivi, concepiti per prevenire spostamenti verso altri Paesi europei e aumentare il numero dei rimpatri, sono stati attuati in modo aggressivo, con elevati costi in termini di diritti umani;
    nel rapporto sui centri di identificazione ed espulsione – aggiornato al gennaio 2017 – della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica si legge testualmente che il bilancio dell'approccio Hotspot, analizzando i dati e quanto emerso nel corso delle visite effettuate dalla Commissione, non può che considerarsi deficitario ed evidenziare un sostanziale fallimento del piano europeo: a fronte del raggiungimento di un tasso di identificazioni di oltre il 94 per cento non sono corrisposti risultati positivi in termini di persone ricollocate e persone rimpatriate. Alla fine di dicembre 2016, sono stati ricollocati dall'Italia in altri Stati membri solo 2.350 persone sul totale di 40.000 previste dal piano europeo, a fronte di 181 mila arrivi in Italia;
    l'approccio Hotspot è servito principalmente a riaffermare il sistema di Dublino, aumentando piuttosto che riducendo il peso sulle spalle dei Paesi di primo arrivo nel controllare i confini, proteggere i richiedenti asilo e tenere fuori i migranti irregolari. Mentre il numero degli arrivi in Italia è rimasto stabile, l'imposizione dell'approccio Hotspot ha, infatti, portato a un drastico aumento delle persone che richiedono asilo in Italia, mettendo a dura prova la capacità delle autorità di assistere in modo adeguato i nuovi arrivati;
    la ricerca di Amnesty International offre un quadro preoccupante: la riaffermazione di vecchi principi con modalità più aggressive sta portando a un aumento delle violazioni dei diritti umani – per le quali le autorità italiane hanno una responsabilità diretta, ma i leader dell'Unione europea hanno una responsabilità politica. Con toni più sfumati, le medesime violazioni emergono nel Rapporto della Commissione diritti umani del Senato della Repubblica;
    nel cercare di raggiungere «un tasso di identificazione del 100 per cento», l'approccio Hotspot ha spinto le autorità italiane ai limiti, e oltre, di ciò che è ammissibile secondo il diritto internazionale in materia di diritti umani. L'attuazione di misure coercitive per costringere le persone che non vogliono fornire le loro impronte digitali è diventata man mano la regola, attraverso la detenzione prolungata e anche l'uso della forza fisica. È in questo scenario che rifugiati e migranti che non volevano dare le impronte digitali hanno subito detenzioni arbitrarie e maltrattamenti;
    nonostante non ci siano dubbi che la maggior parte degli agenti di polizia abbia continuato a fare il proprio lavoro in modo impeccabile, testimonianze coerenti raccolte da Amnesty International indicano che alcuni hanno fatto uso eccessivo della forza e hanno fatto ricorso a trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o addirittura alla tortura;
    il Rapporto della Commissione diritti umani del Senato della Repubblica ricorda che in una comunicazione della Commissione europea del 15 dicembre 2015 si chiedeva all'Italia di incrementare gli sforzi, anche a livello legislativo, per assicurare una cornice legale allo svolgimento delle procedure previste per l’Hotspot con particolare riferimento all'uso della forza per il rilevamento delle impronte nei confronti di chi si rifiuta;
    il ricorso all'uso della forza incide evidentemente sulla sfera della libertà personale e non si può prescindere da quanto previsto in questi casi dalle leggi italiane. La legge prevede espressamente le uniche ipotesi in cui le forze di polizia sono autorizzate a procedere in modo coattivo, cioè utile a vincere le resistenze passive del destinatario che non si trovi in stato di arresto o di fermo. L'articolo 349, comma 2-bis, del cod. proc. pen. consente esclusivamente, nei confronti di una persona sottoposta a indagini preliminari, il prelievo coattivo di capelli o saliva, comunque nel «rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione» del Pubblico ministero. Quella relativa al prelievo di capelli e saliva è l'unica forma di identificazione coatta contemplata dal legislatore. La questione è molto delicata, al punto che, già nel 1962, con la sentenza n. 30, la Corte costituzionale evidenziò che «spetta unicamente al legislatore, il quale, avendo di mira, nel rispetto della Costituzione, la tutela della libertà dei singoli e la tutela della sicurezza dei singoli e della collettività, potrà formulare un precetto chiaro e completo che indichi, da una parte, i poteri che, in materia di rilievi segnaletici, gli organi della polizia di sicurezza possano esercitare perché al di fuori dell'applicazione dell'articolo 13 della Costituzione e, dall'altra, i casi ed i modi nei quali i rilievi segnaletici, che importino ispezione personale, ai sensi dello stesso articolo, possano essere compiuti a norma del secondo e del terzo comma del medesimo articolo 13.». Poiché la legge vigente non prevede che le autorità di pubblica sicurezza possano fare ricorso all'uso di altre forme di coazione fisica per costringere una persona a sottoporsi ai rilievi foto-dattiloscopici, tale uso è da considerarsi illegittimo e penalmente rilevante;
    gli agenti di polizia hanno bisogno di istruzioni chiare sull'uso consentito della forza e deve essere assolutamente inequivocabile che l'uso della forza consentito è minimo. La resistenza prolungata deve essere gestita attraverso altre forme di risposta da parte delle forze di polizia, non con un maggiore uso della forza. Il monitoraggio di questa procedura deve essere rafforzato e le accuse di abusi devono essere indagate a fondo;
    la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, del 26 ottobre 2016 (Doc. XXII-bis, n. 8), come pure il rapporto della Commissione sui diritti umani del Senato hanno rilevato il trattenimento prolungato dei migranti nei centri Hotspot, oltre le 72 ore, ai fini identificativi in assenza di previsione normativa nel diritto interno;
    va ricordato che la direttiva 2013/33/UE prevede «il trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione del richiedente asilo come extrema ratio» che può essere disposto o prorogato soltanto se nel caso concreto non sia applicabile più efficacemente nessuna tra le misure meno coercitive alternative al trattenimento indicate nell'articolo 14, comma 1-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998;
    l'istituto del trattenimento è, di fatto, una misura coercitiva che incide sulla libertà personale la cui natura giuridica si sostanzia in una forma di privazione della libertà, sia pure di natura amministrativa. Se il trattenimento è una restrizione della libertà personale, il suo regime è da ricondursi nel perimetro costituzionale dell'articolo 13 della Costituzione, con tutte le sue garanzie: dalla riserva di giurisdizione alla riserva di legge assoluta, da derogarsi solo in casi eccezionali, dalla durata della misura coercitiva alla tempistica per la sua successiva convalida. L'articolo 13, comma 2, della Costituzione prescrive che la restrizione della libertà personale è ammessa solo «per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge». Deve quindi essere un giudice a stabilire la suddetta restrizione, motivando la propria decisione per far in modo che la detenzione non risulti costituzionalmente illegittima;
    secondo l'articolo 13 della Costituzione, non sono ammissibili settori della vicenda restrittiva in concreto impermeabili al sindacato del giudice. La Costituzione non esclude, tuttavia, che in casi di necessità e urgenza possano essere adottati anche dall'autorità di pubblica sicurezza provvedimenti provvisori di limitazione della libertà. Quindi solo l'eccezionalità delle circostanze, unita al requisito della tassatività e della non discrezionalità della decisione, possono giustificare la compressione del diritto alla libertà personale quando non viene disposta da un magistrato con atto motivato;
    nella sentenza n. 105 del 2001, la Corte costituzionale ha riconosciuto che il trattenimento «è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell'articolo 13 della Costituzione», determinando «anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell'uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all'altrui potere e che è indice sicuro dell'attinenza della misura alla sfera della libertà personale»;
    con il decreto-legge n. 13 del 2017, di recente convertito, il Governo ha inteso legittimare i centri Hotspot introducendo l'articolo 10-ter al decreto legislativo n. 286 del 1998, con un mero richiamo al decreto-legge n. 451 del 1995 (cosiddetta «legge Puglia») ed ai centri governativi di prima accoglienza, di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015 (cosiddetto «Hub»);
    esso, tuttavia, non contiene alcuna disciplina giuridica dei centri di primo soccorso ed assistenza (gli Hotspot della terminologia dei documenti della Commissione europea), né dei tempi nei quali il cittadino straniero da identificare può essere limitato nella sua libertà personale;
    né vale a sanare tale illegittimità il fatto che, teoricamente, il cittadino straniero possa sottrarsi all'identificazione, poiché tale comportamento determinerebbe l'integrarsi del «pericolo di fuga», presupposto per l'ordine di trattenimento in un centro di rimpatrio, ma non eliminerebbe l'incostituzionalità del periodo precedente, affidato alle mere modalità organizzative dell'autorità di pubblica sicurezza;
    va ricordato, in proposito, che, anche recentemente, l'Italia è stata condannata dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Khlaifia versus Italia per il trattenimento illegittimo dei cittadini stranieri (violazione articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu), nel centro di accoglienza di Lampedusa e sulle navi divenute centri di detenzione in quanto non vi era alla base un provvedimento di un giudice che legittimasse tale detenzione, rendendo impossibile un ricorso effettivo (violazione dell'articolo 13 della Cedu);
    in tal senso, insoddisfacente è la scelta di non fornire alcuna disciplina dei centri definiti «punti di crisi» (centri Hotspot), per il cui funzionamento si rinvia a testi normativi che non contengono alcuna precisazione circa la natura di questi luoghi e le funzioni che vi si svolgono, in violazione della riserva di legge in materia di stranieri (articolo 10, comma 2 della Costituzione) e della riserva assoluta di legge in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale (articolo 13 della Costituzione);
    anche la normativa introdotta con il decreto-legge n. 13 del 2017 non appare coerente con le sollecitazioni provenienti dalle istituzioni europee e dal Consiglio d'Europa, che, in molte occasioni, hanno invitato l'Italia a disciplinare per legge le fasi di prima accoglienza e di identificazione dei migranti, come avviene in pressoché tutti i Paesi europei;
    muovendosi piuttosto nel senso della ulteriore destrutturazione della disciplina legale dei fenomeni, affidando al potere amministrativo di polizia la gestione di centri che sono, a tutti gli effetti, e per periodi di tempo spesso significativi, dei luoghi di privazione di libertà;
    l'approccio Hotspot ha anche richiesto l'introduzione di uno screening anticipato e rapido dello status di tutte le persone sbarcate nei porti italiani, per separare quelle considerate «richiedenti asilo», da quelle ritenute «migranti irregolari». Un processo di screening (pre-identificazione mediante la consegna di un modulo da compilare il cosiddetto «foglio notizie») non fondato su alcuna legislazione e fatto con troppa fretta – non appena le persone sono appena sbarcate, sono troppo stanche o traumatizzate dal viaggio per poter prendere parte in modo consapevole a questo processo, e prima che abbiano avuto la possibilità di ricevere informazioni adeguate sui loro diritti e sulle conseguenze legali delle loro dichiarazioni – rischia di negare a coloro che fuggono da conflitti e persecuzioni l'accesso alla protezione alla quale hanno diritto;
    la finalità della pre-identificazione rimane vaga: se il «foglio notizie», come viene detto, serve semplicemente a raccogliere le generalità dello straniero a fini operativi per le forze dell'ordine e per l'accoglienza nella struttura, basterebbe raccogliere queste, come tra l'altro avveniva in precedenza al momento dello sbarco, senza chiedere quale sia il motivo dell'arrivo in Italia. Anche se le autorità sostengono che quanto dichiarato nel foglio notizie può essere modificato successivamente per manifestare la volontà di chiedere protezione, appare difficile che si ricorra a tale possibilità non avendo cognizione delle conseguenze delle operazioni cui si viene sottoposti;
    la stessa Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta ha puntualizzato la necessità di superare l'ambigua funzione della pre-identificazione che, da un lato, è semplicemente volta ad acquisire le dichiarazioni del migrante (generalità, età, nazionalità, e altro) e, dall'altro lato, finisce per assumere il decisivo ruolo di discrimine e di selezione – ancorché non definitiva – tra chi accede all'accoglienza e chi sarà destinato all'espulsione;
    sul punto la Commissione ha evidenziato che l'indicazione della motivazione del viaggio già all'atto dello sbarco trovava una sua ragion d'essere nella prassi italiana di inserire il foto segnalamento direttamente nella categoria «richiedente asilo», prassi ritenuta illegittima dalle stesse istituzioni europee;
    l'enfasi posta dalle istituzioni e dai governi europei sul bisogno di aumentare le espulsioni ha portato a due sviluppi critici in Italia. Migliaia di ordini di lasciare il territorio nazionale sono stati consegnati a persone considerate «migranti irregolari», in seguito allo screening a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo viziato menzionato sopra. Queste persone, in pratica, non hanno alcuna possibilità di ottemperare all'ordine, anche se volessero, a causa della mancanza di documenti e di soldi. Di conseguenza, sono rimaste nel Paese ma senza alcuna forma di assistenza, vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi;
    anche la Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d'inchiesta, a firma dell'Onorevole Palazzotto (DOC. XXII-bis n. 8-bis), ha evidenziato con chiarezza che l'approccio Hotspot costituisce un sistema che non rispetta il diritto interno ed internazionale in materia di rispetto dei diritti fondamentali della persona;
    le autorità italiane hanno, inoltre, negoziato nuovi accordi bilaterali, anche con governi responsabili di orribili atrocità, come il Governo sudanese. Sulla base di questi accordi, gruppi di persone considerate «migranti irregolari», ancora una volta in base al processo di screening sopra menzionato e senza un'adeguata valutazione dei rischi che il loro rimpatrio comportava, sono stati rimandati verso Paesi nei quali erano a rischio di maltrattamenti e altre gravi violazioni dei diritti umani;
    il recente decreto-legge n. 13 del 2017, già richiamato, che è intervenuto in materia di immigrazione non ha cambiato rotta, ma ha persistito in una prevalente ottica repressiva del fenomeno, con l'accentuazione degli strumenti di rimpatrio forzoso, attraverso alcune modifiche di dettaglio della disciplina del rimpatrio (come la previsione del trattenimento anche per gli stranieri richiedenti protezione non espulsi ma respinti, o l'allungamento del termine di trattenimento per coloro che hanno già scontato un periodo di detenzione in carcere), ma, soprattutto, con la decisione di dare inizio all'apertura di numerosi nuovi centri di detenzione amministrativa in attesa del rimpatrio (ora chiamati Centri di permanenza per i rimpatri, invece che centri di identificazione ed espulsione;
    da anni, risulta chiaro come un sistema efficiente di rimpatri non possa basarsi solo sull'esecuzione coattiva degli stessi, ma debba, in primo luogo, riformare le norme in materia di ingresso e soggiorno, aprendo canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
    appare quindi necessaria una più ampia e organica revisione delle strategie di governo dei flussi migratori, con la rivisitazione delle norme del testo unico sull'immigrazione che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione ed inserimento controllato dei migranti, prendendo atto del fallimento, sotto il profilo dell'effettività e della sostenibilità economica, di un approccio esclusivamente orientato all'allontanamento forzoso di soggetti le cui precarie condizioni sociali e civili interpellano, peraltro, il tema della garanzia dei diritti fondamentali,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per il superamento culturale e politico della detenzione amministrativa delle persone migranti, garantendo in ogni momento la loro dignità, i diritti fondamentali e il divieto di ricorso all'uso della forza al di fuori di quanto consentito dalla legge;
2) ad assumere iniziative per il superamento dell'approccio e dei centri hotspot, intensificando ogni tentativo in sede europea per individuare forme di prima accoglienza alternative, con regole più rispettose dei diritti dei migranti e prevedendo, in particolare, l'apertura di canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
3) ad assumere iniziative per la revisione delle procedure operative standard (Standard Operating Procedures – Sop) applicabili negli hotspot per assicurare che nessuno illegittimo screening avvenga immediatamente dopo lo sbarco e che tutte le persone in arrivo abbiano accesso a informazioni sufficienti prima dell'esame della loro situazione, eliminando – in particolare – dal cosiddetto «foglio notizie» domande sul motivo dell'arrivo in Italia.
(1-01611)
«Andrea Maestri, Daniele Farina, Costantino, Marcon, Fratoianni, Civati, Palazzotto».
(20 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    dati di fonte ministeriale relativi agli sbarchi di migranti sulle coste italiane fanno registrare nei primi mesi del 2017 una netta crescita, con un incremento di circa il 30 per cento rispetto all'anno precedente, lasciando presagire la possibilità che, per la prima volta, quest'anno si possa sforare il tetto di 200.000 migranti giunti via mare sul nostro territorio;
    la complessa questione della gestione dei flussi migratori, ed in particolare degli sbarchi, è stata oggetto, negli ultimi anni, di un forte impegno dei Governi in questa legislatura, con l'adozione di misure che garantissero anzitutto l'accoglienza dei migranti, nel rispetto della dignità e dei diritti umani di ciascuno, ma anche efficaci modalità di espletamento delle pratiche di identificazione e gestione delle richieste di protezione internazionale;
    al fine di dare attuazione alle richieste europee, da un lato è stato recentemente convertito in legge il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 recante disposizioni urgenti per l'accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale e che ha previsto, tra le altre cose, anche misure volte ad accelerare le operazioni di identificazione dei cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e a rendere più efficaci le operazioni di rimpatrio; e, dall'altro, è stata riservata una particolare attenzione alle procedure di fotosegnalamento e identificazione dei migranti, attrezzando a tal fine apposite strutture nelle zone di sbarco in cui si stanno registrando crescenti livelli di attività;
    in questo quadro, i cosiddetti hotspot rappresentano nel sistema italiano di accoglienza un segmento molto specifico ma determinante, perché attinente proprio alla fase iniziale del percorso dei migranti sul nostro territorio. In queste strutture i migranti giunti sulle nostre coste dovrebbero trattenersi per il tempo strettamente necessario a ricevere la prima assistenza, ad essere identificati attraverso le procedure di rilievo foto-dattiloscopico e segnaletico, e infine collocati nei diversi canali del sistema di accoglienza sulla base della posizione giuridica risultante da questa prima identificazione;
    una precisazione circa le funzioni dei centri hotspot, preliminare ad una più compiuta disciplina delle modalità operative, è contenuta nel sopracitato decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, che, all'articolo 17, prevede appositi punti di crisi per le esigenze di soccorso e prima assistenza, nei quali saranno effettuate le operazioni di rilievo foto-dattiloscopico e segnaletico, e presso i quali sarà altresì assicurata l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito;
    se messi in condizione di operare efficientemente, gli hotspot dovrebbero dunque assicurare una gestione dell'accoglienza più razionale ed efficiente, consentendo non solo una tempestiva identificazione dei migranti, ma anche il loro rapido ri-allocamento nelle diverse strutture del sistema, sulla base delle previsioni normative;
    come evidenziato in una significativa relazione sul sistema di identificazione e di prima accoglienza nell'ambito dei centri « hotspot», – approvata il 26 ottobre 2016 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate, istituita presso questo ramo del Parlamento – affinché gli hotspot possano effettivamente funzionare, occorre però rendere più efficiente l'intero sistema di accoglienza, e in particolare è indispensabile: che gli accordi europei in materia di relocation funzionino, che i destinatari di un provvedimento di espulsione o respingimento siano effettivamente rimpatriati nel pieno rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti, che il cosiddetto sistema della seconda accoglienza sia in grado di assorbire tempestivamente i nuovi ingressi, anche grazie a una maggiore rapidità delle procedure amministrative e giurisdizionali previste;
    va purtroppo segnalato che, nonostante l'intenso sforzo dispiegato dal Governo italiano, mancano ancora i risultati auspicati a livello europeo: la riforma del regolamento «Dublino III», in favore di un sistema comune europeo di gestione delle domande di asilo, più volte annunciata, è ferma ai tavoli di un negoziato che stenta a partire, mentre i programmi comunitari già adottati, come la relocation dei rifugiati (dei 160 mila previsti è stato ricollocato appena il 3,5 per cento) sono, di fatto, parzialmente falliti per la persistente opposizione dei Paesi del gruppo di Visegrad e di Paesi che progressivamente hanno finito per sospendere l'accordo di libera circolazione di Schengen; la stessa proposta italiana del Migration compact non è ancora stata applicata né sono state stanziate risorse europee atte a far decollare gli accordi con i Paesi africani di maggiore flusso e transito,

impegna il Governo:

1) ad adottare, nelle opportune sedi, ogni iniziativa utile per rilanciare una politica europea condivisa sull'asilo attraverso la revisione del regolamento «Dublino III», e l'adozione di nuovi e più efficaci accordi di relocation per un'equa distribuzione dei richiedenti protezione internazionale fra gli Stati membri;
2) a proseguire negli sforzi intrapresi, da ultimo anche con il sopracitato decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, per rendere effettivi i rimpatri e le espulsioni dei migranti privi di titolo per restare nel nostro Paese, ferma restando la garanzia del pieno rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti;
3) ad adottare ogni iniziativa utile a garantire che gli hotspot siano strutture decorose e ospitali, prevedendo l'adozione di un protocollo uniforme sui requisiti e sulla tipologia dei servizi forniti, tali da assicurare un livello omogeneo nella qualità del soccorso e nella prima accoglienza per tutti, a prescindere dall'eventuale futuro riconoscimento di una protezione internazionale;
4) ad assumere iniziative per rafforzare i servizi di mediazione linguistico-culturale e di informativa legale all'interno degli hotspot, al fine di garantire una effettiva possibilità di accesso al diritto di protezione;
5) ad adottare ogni iniziativa utile a consentire un più rapido trasferimento dei migranti dagli hotspot alle strutture di accoglienza previste, garantendo il rispetto della dignità umana e l'effettivo accesso all'esercizio del diritto di asilo, e al tempo stesso il dovere istituzionale di controllare le frontiere e identificare chi entra nel territorio dello Stato.
(1-01612)
«Carnevali, Alli, Fiano, Gelli, Beni, Giuseppe Guerini, Patriarca, Gadda, Sgambato, Moretto, Burtone, Vico».
(20 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il sistema di accoglienza in Italia è stato recentemente riformato dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 e dovrebbe essere organizzato in una fase di prima accoglienza, assicurata nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11, e in una fase di seconda accoglienza, disposta invece nelle strutture di cui all'articolo 14 (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – Sprar);
    tuttavia, a causa della situazione emergenziale ormai creatasi per effetto dei continui e massicci flussi migratori, favoriti dalle missioni navali internazionali e nazionali succedutesi già dal 2013 sulla rotta del Mediterraneo centrale, tale sistema, si rivelò, da subito, inadeguato rispetto anche agli obblighi derivanti dalla normativa europea di procedere all'immediata identificazione e alla definizione della posizione giuridica degli immigrati che entravano illegalmente nel territorio italiano in numero sempre maggiore, tanto da provocare, allora, un richiamo al Governo da parte degli altri Paesi europei e delle istituzioni europee;
    in particolare, il regolamento n. 603 del 2013, cosiddetto «Eurodac» impone agli Stati membri l'obbligo del tempestivo rilevamento delle impronte digitali dei richiedenti protezione internazionale, al Capo II e dei cittadini di Paesi terzi o apolidi fermati in relazione all'attraversamento irregolare di una frontiera esterna, al Capo III;
    pertanto, poco dopo l'approvazione del decreto legislativo n. 142 del 2015, il Governo decise di procedere ad un'ulteriore modifica del sistema di accoglienza e, oltre ai centri già previsti dalla normativa nazionale, con il documento programmatico, noto come «Roadmap», istituì i cosiddetti hotspot (punti di crisi) per garantire il fotosegnalamento e l'identificazione degli immigrati al fine, soprattutto, di potersi avvalere del ricollocamento dei richiedenti protezione internazionale dall'Italia in altri Stati europei (cosiddetti relocation), secondo quanto previsto dalle decisioni del Consiglio europeo n. 1523 del 14 settembre 2015 e n. 1601 del 22 settembre 2015 a seguito dell'Agenda europea sulla migrazione del 13 maggio 2015;
    ad oggi, secondo i dati forniti dall'Unità Dublino del Ministero dell'interno – Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, risultano ricollocati in altri Stati europei solo 4.438 richiedenti protezione internazionale sui 34.953 previsti in sede comunitaria, e ciò anche in considerazione del fatto che le prime nazionalità dei richiedenti asilo in Italia sono quelle della Nigeria, del Gambia, del Bangladesh e del Senegal che non compaiono tra quelle che, « in clear need of protection» secondo quanto stabilito in sede europea, possono beneficiare del ricollocamento, ossia siriani, iracheni e eritrei;
    attualmente, risultano operativi 4 hotspot, precisamente a Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto, nei quali, al 28 marzo 2017, erano presenti 745 immigrati e pare che siano in fase di realizzazione altri 5 hotspot, benché già quelli attivi, come sopra evidenziato, non abbiano portato ad alcun effetto in tema di ricollocamenti;
    ancora oggi tali centri risultano privi di una specifica disciplina normativa, essendo regolati unicamente dalle procedure operative standard (SOP) redatte dal Ministero dell'interno nelle quali l’hotspot viene individuato quale area, normalmente in prossimità di un luogo di sbarco, ove, nel più breve tempo possibile, vengono effettuati accertamenti medici, attivate le procedure di identificazione e fornite informazioni circa la possibilità di chiedere protezione internazionale per poter poi accedere alle misure di accoglienza previste dalla normativa in vigore;
    nell'ottica di considerare l'attuale fenomeno migratorio come un evento ordinario anziché eccezionale, e dunque da azzerare nel tempo, e per garantire accoglienza a chiunque giunga in Italia, l'attuale sistema, è, altresì, del tutto inadeguato ed incapace ad assicurare una effettiva tutela a chi ne ha davvero diritto secondo le norme internazionali, comunitarie e nazionali;
    difatti, nonostante le misure annunciate dall'attuale Governo e previste dal memorandum siglato il 2 febbraio 2017 con il Governo libico guidato da Fayez al-Sarraj, secondo i dati forniti periodicamente dal Ministero dell'interno, dal 1o gennaio all'11 aprile 2017 il numero degli immigrati giunti illegalmente in Italia dalla rotta del mediterraneo centrale, è stato di 26.989, con un incremento del + 35,41 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016 (19.332) e tale trend è destinato ad aumentare, anche alla luce del record degli sbarchi sulle coste italiane registrato nei giorni scorsi;
    in linea con l'aumento degli ingressi via mare, secondo gli ultimi dati disponibili del ministero dell'interno, il numero degli immigrati richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale e umanitaria presenti nel sistema di accoglienza è passato da 66.066 nel 2014, a 103.792 nel 2015 fino ad arrivare a 175.480 all'11 aprile 2017;
    nella già citata Roadmap del Ministero dell'interno, il documento d'attuazione dell'Agenda pubblicato a fine settembre 2015, contestualmente alla previsione degli hotspot, veniva precisato che «una politica di rimpatrio efficace rappresenta uno degli elementi essenziali del pacchetto di misure presentate dalla Commissione nel quadro dell'Agenda europea sulle migrazioni», che «le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione» per poi essere rimpatriati;
    secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno, l'anno successivo, ossia nel 2016, al 31 dicembre le richieste di asilo erano state 123.600 su 181.000 arrivi registrati solo via mare e, a fronte di circa 60.000 immigrati giunti illegalmente in Italia che non avevano formalizzato alcuna richiesta di asilo, nei soli 4 centri di identificazione ed espulsione funzionanti erano presenti solo 288 irregolari, cifra che è rimasta costante anche quest'anno;
    nel 2016 il numero delle domande accolte, ossia alle quali è stata riconosciuta una delle tre forme di protezione (status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria) è drasticamente diminuito, passando dal 60,9 per cento del 2013 al 40,2 per cento nel 2016;
    anche recentemente, la Commissione europea ha raccomandato agli Stati membri, in particolare all'Italia, di adottare misure immediate al fine di procedere al trattenimento e all'effettivo e rapido rimpatrio degli immigrati irregolari;
    è di tutta evidenza che i centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, rinominati in «centri di permanenza per il rimpatrio» all'articolo 19 del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale, convertito e approvato definitivamente dalla Camera dei deputati il 12 aprile 2017, sono del tutto insufficienti per la capienza effettiva prevista di soli 1.600 posti, avuto riguardo anche agli esiti delle domande di protezione internazionale già sopra richiamati e dei dati degli stranieri rintracciati in posizione irregolare in territorio italiano (8.949 dal 1o gennaio 2017 al 15 marzo 2017);
    la disciplina in materia di ingresso e permanenza dello straniero nello Stato, a qualsiasi titolo, necessita non solo di una disciplina rigorosa ma, altresì, di un costante controllo sul rispetto della normativa e una attenta ponderazione anche per gli effetti a lungo termine delle politiche adottate;
    alla luce dei dati sopra riportati, risulta del tutto evidente che l'attuale sistema, così come strutturato (dagli hotspot alla successiva fase dell'accoglienza diffusa) e disciplinato, comprese le numerose circolari ministeriali in materia che si sono succedute nel tempo, risulta privo di una regolamentazione organica ed opportuna per una corretta gestione dell'attuale fenomeno migratorio, con rilevanti implicazioni sul contesto sociale e sul governo del territorio,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a procedere ad una totale revisione dell'attuale sistema di accoglienza, che ormai risulta non più sostenibile e nel cui ambito si collocano gli hotspot quali centro di primo arrivo, dichiarando lo stato di emergenza al fine di inquadrare correttamente il fenomeno in atto che non deve essere gestito come evento ordinario, ma come evento emergenziale destinato ad azzerarsi;
2) a valutare l'opportunità di attuare tutte le iniziative necessarie a disincentivare le partenze degli immigrati dai Paesi di origine e di transito, mediante una politica rigorosa finalizzata al controllo delle frontiere marittime, terrestri e aree, anche con azioni di respingimento ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n.286 del 1998 e per garantire, sempre in un'ottica dissuasiva e di contrasto all'immigrazione clandestina, il trattenimento e l'effettivo allontanamento e rimpatrio di tutti gli stranieri irregolari presenti in Italia;
3) a farsi promotore, per quanto di competenza, in tutte le opportune sedi europee, affinché vengano creati centri di prima accoglienza nei Paesi del Nord Africa o di partenza e transito in modo tale da provvedere, in quei luoghi, all'identificazione degli immigrati e all'esame delle richieste di asilo.
(1-01613)
«Rondini, Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(20 aprile 2017)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE ALL'ESTENSIONE DEI COSIDDETTI POTERI SPECIALI DEL GOVERNO AL FINE DI SALVAGUARDARE GLI ASSETTI PROPRIETARI DELLE AZIENDE ITALIANE DI RILEVANZA STRATEGICA

   La Camera,
   premesso che:
    il 7 giugno 2014 sono entrati in vigore due regolamenti (il decreto del Presidente della Repubblica n. 85 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 86 del 2014) sui poteri speciali (cosiddetti golden power) attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici, applicativi della riforma operata con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, al fine di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, che era stata oggetto di censure della Commissione europea e di una sentenza di condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea. I due regolamenti riguardavano l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica e il regolamento per l'individuazione delle procedure per l'attivazione dei poteri speciali;
    per «poteri speciali» si intende la facoltà concessa al Governo di dettare specifiche condizioni all'acquisito di partecipazioni, di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all'acquisto di partecipazioni. Tali poteri si applicano, in particolare, nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché di taluni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni; la normativa suddetta si ricollega agli istituti della golden share e action spécifique previsti rispettivamente nell'ordinamento inglese e francese;
    con la nuova normativa i poteri speciali nei comparti difesa e sicurezza nazionale sono applicabili a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica. Con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108, sono state individuate le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale rispetto alle quali l'Esecutivo: potrà imporre specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni; potrà porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni di particolare rilevanza; potrà opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale; potrà dichiarare nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica, nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o adempimento delle condizioni imposte;
    le disposizioni su sicurezza e difesa sono state estese, attraverso regolamenti, agli asset strategici nel settore dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, nei quali l'eventuale opposizione tout court all'acquisizione di partecipazioni si può esercitare solo nei confronti di un'azienda extra Unione europea; una volta individuati tali asset, l'Esecutivo può far valere il proprio veto alle delibere, agli atti e alle operazioni, ovvero imporvi specifiche condizioni. A carico dei soggetti interessati, gli obblighi di notifica sono estesi alle delibere, atti o operazioni aventi ad oggetto il mutamento dell'oggetto sociale, lo scioglimento della società, la modifica di clausole statutarie riguardanti l'introduzione di limiti al diritto di voto o al possesso azionario;
    ulteriori diritti speciali in capo all'azionista pubblico sono stati previsti nella disciplina codicistica delle società, nonché, successivamente, nella legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che ha introdotto nell'ordinamento italiano la cosiddetta «poison pill» (pillola avvelenata) che consente, in caso di offerta pubblica di acquisto ostile riguardante società partecipate dalla mano pubblica, operanti in qualsiasi settore, di deliberare un aumento di capitale, grazie al quale l'azionista pubblico potrebbe accrescere la propria quota di partecipazione, vanificando il tentativo di scalata non concordata; quando la società in cui lo Stato detiene una partecipazione rilevante rientra anche tra le società privatizzate di cui alla legge n. 474 del 1994, la decisione di emettere questa «poison pill» influisce anche sull'efficacia dei tetti azionari, poiché, a partire dal momento in cui lo Statuto autorizza tali strumenti, la norma che prevede i tetti azionari cessa di trovare applicazione;
    da ultimo, l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011 ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato, ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese; in questo ambito sono state definite «di rilevante interesse nazionale» le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi;
    la normativa sulle offerte pubbliche di acquisto (Opa), fissata dal Testo unico della finanza (TUF), di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, ha, quale obiettivo principale, la tutela dell'investimento azionario da parte dei risparmiatori e degli investitori istituzionali italiani ed esteri rispetto alle decisioni degli azionisti di maggioranza; a questo scopo il legislatore ha stabilito che chiunque acquisti azioni oltre una certa soglia sia obbligato a lanciare un'Opa rivolta a tutti gli azionisti e che analogo obbligo si determini anche quando cambi la maggioranza assoluta all'interno di una società o di un accordo, pattizio che controlla una partecipazione già superiore alla soglia; l'attuale soglia unica del 30 per cento è efficace nel caso di società quotate a capitale diffuso in piccolissime quote, mentre non lo è quando, all'interno di una compagine azionaria frazionata, esista una società o un patto comunque dominanti nelle assemblee;
    le direttive dell'Unione europea esigono che sia stabilita una soglia per l'Opa obbligatoria, ma demandano agli Stati membri la sua determinazione; in Europa uno Stato, l'Ungheria, ha due soglie a percentuali fisse, mentre quattro Stati (Spagna, Repubblica ceca, Danimarca ed Estonia) hanno una soglia a percentuale fissa e un'altra a percentuale variabile, legata al controllo di fatto; in Italia, la precedente soglia unica al 30 per cento, infatti, venne a suo tempo individuata nella convinzione che avrebbe favorito il mercato del controllo laddove nessuno avesse avuto interesse a lanciare un'Opa. L'esperienza di questi ultimi 15 anni, invece, ha dimostrato che, molto spesso, il passaggio del controllo senza Opa ha favorito le rendite di posizione e penalizzato le minoranze azionarie, senza procurare vantaggi alle aziende, anzi non di rado gravandole di debiti ingenti legati al processo di acquisizione e non all'investimento operativo; il decreto-legge n. 91 del 2014, cosiddetto «decreto competitività», ha introdotto la doppia soglia Opa al 25 per cento per le società quotate, escluse le piccole e medie imprese che, invece, potranno scegliere di inserire nello statuto una soglia compresa tra il 20 per cento e il 40 per cento;
    per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, comunque definiti, la Commissione europea ha adottato un'apposita comunicazione (97/C 220/06) con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale». Riguardo a taluni settori di intervento, la Commissione europea ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, con esclusione di ragioni di carattere economico e purché conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia;
    inoltre, secondo la Commissione europea, «l'interesse nazionale», invocato come criterio di base per giustificare diversi di questi provvedimenti, «(...) non risulta sufficientemente trasparente e può, quindi, introdurre un elemento di discriminazione nei confronti degli investitori esteri e un'incertezza del diritto». Pertanto, la Commissione europea né nega l'applicabilità se non in connessione e in subordine ai criteri già individuati i quali sottostanno alle ulteriori limitazioni della proporzionalità e della durata nel tempo;
    i singoli Stati mantengono, in assenza di armonizzazione, un certo spazio discrezionale nel definire, nel rispetto dei vincoli posti dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, sia i settori strategici, sia le forme di controllo all'accesso della proprietà delle società operanti in tali settori. Ne deriva una frammentazione del mercato interno. Molti degli Stati membri hanno mostrato, in modo crescente negli ultimi anni, una significativa propensione a prevedere forme di controllo agli investimenti diretti stranieri nei settori strategici, anche se diversi sono i settori considerati strategici e le forme di controllo in concreto previste;
    procedure di infrazione in materia di golden share hanno riguardato la Francia, il Belgio, la Spagna, la Germania il Portogallo e il Regno Unito. Dall'esame della giurisprudenza che ne è derivata, emerge che la Corte di giustizia europea, una volta rispettate le condizioni di massima individuate dalla Commissione europea, mostra prudenza nel sindacare previsioni statutarie restrittive della libertà di accesso del mercato. La misura nazionale è considerata restrittiva solo ove sia imposta in via imperativa da una norma nazionale. Viceversa, ciò non ricorrerebbe ove la normativa nazionale sia autorizzativa/dispositiva e rimetta di conseguenza alla libera scelta del privato l'adozione o meno di una misura che pur sia astrattamente idonea a limitare o restringere le libertà fondamentali;
    secondo la dottrina dalla giurisprudenza della Corte europea si deduce che «nessuna delle disposizioni di diritto societario comune neppure quelle che prevedono la facoltà, il cui esercizio è rimesso all'autonomia negoziale dei soci, di inserire nello statuto delle clausole che alterino il cosiddetto assetto di default modificando i quorum costitutivi e deliberativi oppure limitando i diritti di voto esercitabili in assemblea, oppure ancora creando strumenti in grado di spezzare il rapporto di corrispondenza tra entità del capitale posseduto e poteri amministrativi – può essere qualificata come restrizione della libertà circolazione dei capitali»;
    il nostro Paese è da tempo soggetto ad una serie di acquisizioni da parte di competitor stranieri, sia comunitari che extra comunitari, che, con tutta evidenza, ne stanno riducendo la base produttiva, economica e, da ultimo, finanziaria. Non si disconosce la rilevante importanza, per il nostro Paese, dell'apporto dei capitali esteri, sia come significativo contributo alla crescita economica e all'occupazione, sia come segnale della fiducia degli investitori internazionali. Tuttavia, taluni aspetti di queste cessioni e di queste scalate azionarie mettono comunque in luce una problematica che dovrebbe essere valutata e risolta;
    secondo i dati elaborati a inizio 2017 dai consulenti di Kpmg, multinazionale operante nel settore della consulenza per le imprese e gli Stati, dal 2006 al 2016, la somma investita dagli investitori internazionali in Italia arriva a 200 miliardi di euro dal 2006. Gli stessi esperti considerano questa una cifra sottostimata perché non include l'acquisto di partecipazioni di minoranza o i chip comprati a Piazza Affari. Per Kpmg la cifra reale si spingerebbe sopra i 300 miliardi di euro. Un trend che, negli ultimi anni, ha subito una buona accelerazione con picchi di 27 e 32 miliardi di euro tra il 2014 e il 2015 e 19 puntati nell'anno appena concluso. Le operazioni relative al solo passaggio del controllo del capitale (acquisizioni) sono state 1.340 in dieci anni. Se si includono le quote di minoranza, il numero raddoppia. Nel 2016 gli investitori esteri hanno chiuso 240 operazioni su asset della Penisola, con una crescita del 19,4 per cento;
    in tale ambito, tra la fine del 2015 e il 2016, la Francia ha effettuato operazioni di acquisizione di quote in Italia per 5 miliardi di euro, tra la quota in Telecom Italia e quella appena spuntata in Mediaset. Dal 2006, la Francia ha acquisito quote d'imprese per circa 52 miliardi di euro comprando 185 aziende, 34 lo scorso anno. L'alta finanza italiana è sempre più francese. Unicredit ha da poco venduto, per poco meno di 4 miliardi di euro, la sua Pioneer (un'ottima società di gestione del risparmio con 200 miliardi di soldi italiani investiti sui suoi prodotti) alla francese Amundi. Non esiste, nel credito, un esempio in direzione opposta, cioè acquisizioni da parte di banche italiane in Francia. Basti pensare alle operazioni Bnl-Bnp e Cariparma-Credit Agricole. Ad oggi, le loro operazioni sul suolo italiano stanno generando buoni risultati. Ciò avviene senza grandi sforzi finanziari, visto che Bnp Paribas e Credit Agricole non hanno voluto contribuire al fondo Atlante;
    c’è una sproporzione evidente tra il controvalore delle acquisizioni fatte nell'ultimo decennio da aziende italiane in Francia e i numeri dello shopping francese in Italia. Kpmg calcola che, a fronte dei 52 miliardi di euro spesi dagli investitori francesi in Italia tra il 2006 e il 2016, gli italiani abbiano messo sul piatto appena 7,6 miliardi di euro, se si analizzano i trend dal punto di vista qualitativo, si può notare che le acquisizioni transalpine riguardano principalmente settori strategici come finanza, telecomunicazioni, tecnologia, media e lusso;
    dopo l'acquisizione del 23,9 per cento di Telecom, l'aggressività del gruppo francese Vivendi, società francese attiva nel campo dei media e delle comunicazioni, è venuta di recente allo scoperto nei confronti di Mediaset. Causa scatenante dell'acquisizione del 28,8 per cento di azioni Mediaset da parte di Vivendi, sono state le azioni avviate dal gruppo italiano a seguito della disdetta unilaterale operata dalla multinazionale francese nel luglio 2016 di un accordo su Mediaset premium, sottoscritto ad aprile 2016. Tale scalata appare oggi essersi arenata grazie ad un complesso di fattori favorevoli e concomitanti: la decisa risposta della proprietà Mediaset alle pretese della controparte, le difficoltà finanziarie interne a Vivendi, le prese di posizione del Governo e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Giova rilevare che il gruppo Vivendi, tra Mediaset e Telecom, ha un portafoglio che, agli attuali prezzi di mercato vale 4,49 miliardi di euro, il che ne fa il terzo investitore francese a Piazza Affari dietro Bpce (5,23) e Lactalis (4,94);
    altro asset strategico nazionale che da tempo è oggetto di attenzione è Assicurazioni generali SpA, la cui ventilata acquisizione da parte del colosso assicurativo francese Axa appare avere conseguenze imprevedibili: Generali è uno dei primi proprietari immobiliari italiani, con un patrimonio di circa 24 miliardi di euro e detiene 500 miliardi di asset, di cui ben 70 investiti in titoli di Stato italiani. È una delle poche compagnie finanziarie italiane ad avere caratura internazionale, essendo presente in 60 Paesi, con 470 società e quasi 80.000 dipendenti. Oltre che quarta compagnia di assicurazioni a livello mondiale, Generali è anche il terzo gruppo industriale italiano, ha 113 miliardi di euro di fatturato e controlla le grandi partecipazioni e scheletri industriali, spine dorsali dell'industria italiana. Infine Generali è socio forte di Monte dei Paschi di Siena assieme ad Axa stessa;
    ulteriori preoccupazioni nascono se si osserva il board che attualmente governa Generali e, in particolare, la sua specifica attività nel nostro Paese. In questo contesto il capo azienda di Generali, Donnet, ha smentito le ricorrenti voci di una fusione con Axa, ma i dossier con progetti che vanno in questa direzione ingombrano le scrivania delle società di analisi finanziarie e di advisoring finanziario; è anche circolata l'ipotesi di una vendita della divisione francese di Generali ad Allianz, che (eliminando in premessa le sovrapposizioni di mercato oggi esistenti in Francia tra Axa e Generali, con i relativi profili di trust) avrebbe favorito la strada alla fusione stessa;
     in tale quadro, il direttore generale del gruppo Alberto Minali costituisce una sicura garanzia; ma si deve pur rilevare come, anche in periodi recenti, la fisionomia culturale e della stessa struttura di Generali sia segnata da forti elementi chiaramente riconducibili alla Francia. Correttamente è stato osservato (Sole 24 Ore) che il risparmio degli italiani rappresenta una delle attività che più interessano la Francia;
    l'unico grande attore finanziario del mercato, (da oltre vent'anni di gestione con la migliore gestione della media del sistema ed un'invidiabile solidità patrimoniale) è Banca Intesa Sanpaolo. Ed è chiaro che un avvicinamento tra Intesa e le Generali costituirebbe, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'unica mossa in grado di prevenire l'inevitabile scalata. Tuttavia, Generali ha reagito alla sola notizia dell'interessamento alla fusione di Intesa, acquistando il 3,1 per cento della medesima. A metà febbraio circa, Intesa ha deciso di non proseguire su questa strada;
    differente la filosofia dei gruppi italiani che effettuano acquisizioni in Francia. Qui si tratta, per lo più, di azioni mirate nei settori meno strategici per lo Stato francese, storicamente protezionista nei riguardi delle proprie grandi imprese. Il Governo transalpino ha posto una serie di condizioni da quando si è ufficialmente aperta la trattativa per l'acquisizione di Stx France, controllata dalla coreana STX Offshore & Shipbuilding e dallo Stato stesso, da parte di Fincantieri. Parigi ha una quota del 33 per cento nella ex Chantiers de l'Atlantique. Ha diritto di prelazione sulle azioni ancora in mano ai coreani e, in virtù della legge sulle società strategiche, ha il potere di stroncare sul nascere qualsiasi operazione suscettibile di ledere gli interessi nazionali. Il Governo francese, ad avviso dei presentatori del presente atto, non si blinderà contro Fincantieri, ma ha i mezzi per ottenere un accordo vantaggioso e tutelare know how e occupazione;
    pur nella diversità dei vari contesti, le metodologie di scalata di questi asset sembrano seguire un copione prestabilito: rastrellamento di azioni, intese e acquisizioni strategiche, manovre di borsa, con l'obiettivo di affossare o gonfiare, a seconda delle esigenze, il valore del titolo; se necessario, lancio dell'offerta pubblica di acquisto e, infine, acquisizione. La Borsa non appare più come il luogo dove le imprese si finanziano, ma come il luogo dove si può perdere il controllo della propria impresa, senza che sia possibile intervenire, a causa della preponderante potenza finanziaria della controparte;
    il sistema bancario nazionale, da sempre perno centrale della capitalizzazione delle imprese nazionali, si trova nel cuore di una profonda crisi determinata dalla necessaria ristrutturazione e non è più in grado di capitalizzare le imprese. L'annoso problema dei crediti in sofferenza, eredità della recessione, ha eroso il patrimonio degli istituti. Le banche in questi anni hanno dovuto concentrarsi sempre più sul rafforzamento del loro capitale e in questo modo si è creato un vuoto. Le imprese, pertanto, si ritrovano o sottoquotate o sottocapitalizzate e il loro valore reale è superiore al valore di mercato: questa situazione è stata definita «capitalismo senza capitali»;
    secondo la relazione trasmessa al Parlamento «in materia di esercizio dei poteri speciali», dal Ministro per i rapporti col Parlamento e redatta dal Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali (periodo 3 ottobre 2014 al 30 giugno 2016), il golden power finora si è rivelato un'arma spuntata. Il bilancio appena pubblicato dal Governo mette in luce tutte le fragilità di una normativa che appare inadeguata in una fase storica dominata da un'ondata di investimenti esteri. Nel periodo, sono stati emanati solo 2 decreti con prescrizioni su 30 operazioni notificate, e mai si è arrivati a porre il veto. Circa il 47 per cento delle notifiche ha riguardato operazioni nel settore della difesa e sicurezza nazionale, il 23 per cento le comunicazioni, il 17 per cento l'energia, il 13 per cento i trasporti;
    secondo il Comitato, l'attuale meccanismo «entra in gioco in maniera tardiva e cioè solo a seguito di decisioni già programmate e/o assunte dalle aziende». Il rapporto «ritiene auspicabile perseguire obiettivi atti ad indirizzare ed accompagnare le scelte più importanti della vita di una società». L'obiettivo deve essere «(...) assicurare continuità alla protezione degli assetti strategici nazionali attraverso la tutela nei confronti di manovre acquisitive che sottendono all'obiettivo di sottrarre tecnologie e know how industriale e commerciale essenziale per la competitività del sistema Italia». «(...) Il mondo sta cambiando velocemente e anche gli strumenti di difesa devono aggiornarsi, come del resto stanno facendo competitor come Germania e Regno Unito». «(...) Lo squilibrio in termini di fusioni e acquisizioni (merger and acquisitions) è nei numeri e merita di essere approfondito»;
    il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, predisposto dal Governo pro tempore Monti, disponeva che i provvedimenti attuativi fossero aggiornati ogni tre anni. Quindi si apre proprio nel 2017 una finestra utile per aggiornare la normativa. Componenti del Governo hanno rilasciato alcune dichiarazioni (relative al periodo in cui l'operazione «Mediaset-Vivendi» era all'attenzione della pubblica opinione), per cui il golden power potrebbe essere esteso per campo di applicazione e per modalità di esercizio, ad esempio prevedendo una fase negoziale tra governo e investitore straniero per confrontarsi sui piani. In entrambi i casi, il Governo punterebbe a ottenere garanzie su permanenza in Italia di asset produttivi strategici, competenze e posti di lavoro. Potrebbero essere fissati nuovi obblighi, in modo particolare per operazioni di fonte extra Unione europea o effettuate da imprese di Paesi che non rientrano tra le economie di mercato. Il Governo afferma che si valuta «(...) l'opportunità di introdurre una regolamentazione che incrementi gli obblighi di trasparenza a carico degli acquirenti, esaminando anche le normative vigenti in altri Paesi e nell'Ocse». Si ritiene possibile l'introduzione di una norma ispirata alla disciplina relativa alla Securities and Exchange Commission, l'autorità di Borsa americana, nella quale si impone all'investitore che supera l'acquisto del 5 per cento di fornire alla Consob un'informativa dettagliata sui piani di investimento, quanto meno in situazioni strategiche o di potenziale conflitto di interessi;
    assistere oggi alla cessione, alla svendita o al trasferimento di aziende centrali non solo per il loro portato economico in termini occupazionali e di sviluppo di indotto, ma persino operanti in settori definiti «strategici», come Telecom Italia, o, a suo tempo, Alitalia, mostra come, nell'attuale fase, l'azione dell'Esecutivo risulti ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo insufficiente rispetto alla fase di deindustrializzazione che sta attraversando il nostro Paese e che occorra adottare nuove e straordinarie misure a tutela del tessuto produttivo italiano, del risparmio degli italiani, del know how italiano e di conseguenza a tutela della base occupazionale nazionale. In questo quadro, i rischi connessi alla vicenda Assicurazioni Generali SpA-Axa-Unicredit, rappresenta un ulteriore salto di qualità, in quanto è in gioco il risparmio nazionale e il possesso di innumerevoli asset industriali;
    in conclusione, si valuta assai negativamente e si guarda con allarme la serie di acquisizioni estere elencate nella citata relazione, che, per questa parte, non copre l'anno 2016, ma si limita agli anni 2014-2015. Si riporta testualmente: «Nel 2014-2015 sono state acquistate da soggetti esteri tra l'altro imprese siderurgiche italiane (Acciaierie di Terni dalla Germania e di Piombino dall'Algeria), di telefonia (Telecom Italia dalla Francia e Wind dalla Russia), industriali (Pirelli dalla Cina, Italcementi dalla Germania, Indesit dagli USA), farmaceutiche (Rottapharm dalla Svezia, Sorin dagli USA, Sigma-Tau Pharma Ltd dagli USA e Gentium S.p.a. dall'Irlanda), finanziarie (Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane S.p.a. dagli USA, BSI - Banca della Svizzera Italiana dal Brasile), della moda e del lusso (Krizia dalla Cina, oltre a numerose operazioni negli anni precedenti da Francia e paesi arabi in particolare), alimentari (numerose operazioni di dimensioni minori), oltre agli acquisti di quote percentuali limitate ma significative in volume di investimenti di società industriali, finanziarie e bancarie da parte della State Administration of Foreign Exchange cinese e della People's Bank of China (ENI, ENEL, FCA, Telecom Italia, Prysmian, Mediobanca, Generali, Saipem, Terna, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banca Monte dei Paschi di Siena)»,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative normative per introdurre, con criteri di urgenza, l'estensione dell'esercizio dei poteri speciali (cosiddetto golden power) anche alle società nazionali operanti nel settore finanziario, con particolare riferimento a quelle società che gestiscono rilevanti quote sia del risparmio nazionale, che di asset produttivi;
2) ad adottare iniziative normative per introdurre, con le medesime modalità, modifiche alla normativa vigente sul golden power che diano corso alle proposte del Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali, prevedendo:
   a) l'introduzione del criterio di reciprocità con gli Stati esteri in materia di acquisizione di asset rilevanti;
   b) l'incremento degli obblighi di trasparenza a carico degli acquirenti, esaminando anche le normative vigenti in altri Paesi e nell'Ocse;
   c) l'obbligo delle comunicazioni preventive a carico dell'investitore che superi la quota del 5 per cento in società ritenute strategiche nelle quali siano evidenziati, tramite informativa dettagliata alla Consob, i piani di investimento, i potenziali conflitti di interessi, nonché le azioni volte al mantenimento sul territorio nazionale delle strutture produttive e dei livelli occupazionali, anche al fine di assicurare l'invarianza del gettito fiscale da parte delle società acquisite dall'estero;
3) ad attuare il disposto del comma 7 dell'articolo 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, nella parte in cui prevede l'aggiornamento della normativa per l'individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale «almeno ogni tre anni»;
4) a valutare la possibilità di assumere iniziative normative per estendere l'esercizio dei poteri speciali anche ai settori dell'agroalimentare e delle tecnologie avanzate, nonché ai settori ad alta intensità di lavoro.
(1-01525)
(Nuova formulazione) «Lupi, Tancredi, Garofalo, Vignali, Bosco, Misuraca, Sammarco, Scopelliti».
(1o marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, ha introdotto norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
    in particolare, l'articolo 1 del citato decreto-legge ha stabilito che, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, fossero individuate le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, ivi incluse le attività strategiche chiave, in relazione alle quali potessero essere esercitati i poteri speciali (cosiddetti golden power) «in caso di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale»;
    con decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, è stato emanato il regolamento per l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, mentre con il regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, sono state individuate delle procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, in attuazione del citato decreto-legge n. 21 del 2012;
    con tali «poteri speciali» il Governo può definire specifiche condizioni all'acquisito di partecipazioni, porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e opporsi all'acquisto di partecipazioni. Il provvedimento aveva l'obiettivo di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, che era già stata oggetto di censure sollevate dalla Commissione europea e di una pronuncia di condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione Europea;
    con la comunicazione 97/C220/06 relativa ad alcuni aspetti giuridici attinenti agli investimenti intracomunitari, fin dal 1997, la Commissione europea ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve essere attuato senza discriminazioni ed è consentito se si basa su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale». Fu sulla base di tali indirizzi che la Commissione europea avviò procedure di infrazione nei confronti delle disposizioni contenute del decreto-legge n. 332 del 1994. Procedure di infrazione analoghe vennero sollevate anche riguardo alle normative di Portogallo, Regno Unito, Francia, Belgio, Spagna e Germania;
    la nuova normativa ha fissato puntualmente i requisiti per l'esercizio dei poteri speciali nei comparti della sicurezza e della difesa, individuandoli nella sussistenza di minacce di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. Il Governo, può imporre specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni in imprese strategiche nel settore della difesa e della sicurezza; può porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni straordinarie o di particolare rilevanza, ivi incluse le modifiche di clausole statutarie eventualmente adottate in materia di limiti al diritto di voto o al possesso azionario; può opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Tali norme si applicano a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica. Sono, inoltre, stati fissati gli aspetti procedurali dell'esercizio dei poteri speciali e le conseguenze derivanti dagli stessi o dalla loro violazione. Sono nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o inadempimento delle condizioni imposte;
    con il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108, che ha contestualmente abrogato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 253 del 2012, come modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 129 del 2013, è stato adottato il regolamento per l'individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, riunendo in un unico regolamento le norme che individuano le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, comprese le attività strategiche chiave, di competenza sia del Ministero dell'interno, sia del Ministero della difesa;
    in modo analogo al comparto sicurezza e difesa, attraverso specifici regolamenti sono stati individuati gli asset strategici nel settore dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, sui quali il Governo può esercitare i poteri speciali. In tali casi, il golden power consiste nella possibilità di far valere il veto dell'esecutivo alle delibere, agli atti e alle operazioni concernenti asset strategici, in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, ovvero imporvi specifiche condizioni; di porre condizioni all'efficacia dell'acquisto di partecipazioni da parte di soggetti esterni all'Unione europea in società che detengono attivi «strategici», anche, in casi eccezionali, opponendosi all'acquisto stesso;
    altri interventi normativi hanno perseguito scopi analoghi di tutela delle società operanti in settori giudicati strategici per l'economia nazionale: la legge 23 dicembre 2005, n. 266, ha introdotto la cosiddetta « poison pill» che consente all'azionista pubblico, in caso di OPA ostile riguardante una società partecipata, di deliberare un aumento di capitale, grazie al quale poter accrescere la propria quota di partecipazione vanificando il tentativo di scalata non concordata; il decreto-legge n. 34 del 2011, il cui articolo 7 ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese. In particolare, sono state definite «di rilevante interesse nazionale» le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi. Infine, relativamente alle offerte pubbliche di acquisto, va ricordato che il decreto-legge n. 91 del 2014 ha introdotto una doppia soglia Opa al 25 per cento per le società quotate, escluse le piccole e medie imprese che potranno inserire nello statuto una soglia compresa tra il 20 per cento e il 40 per cento;
    la ratio delle norme introdotte è la tutela delle imprese operanti in settori considerati strategici, indipendentemente da una partecipazione azionaria dello Stato mettendo a disposizione degli Esecutivi strumenti proporzionati al rischio concreto e consentendo il ricorso, in via eccezionale, al veto preventivo sulle acquisizioni. Ne consegue una riduzione del potere discrezionale del Governo pur allargandone la sfera d'influenza, facendo salvi i principi della concorrenza e della contendibilità delle imprese;
    fino ad oggi il golden power è stato utilizzato dai Governi solo per poche operazioni minori: secondo la relazione trasmessa al Parlamento «in materia di esercizio dei poteri speciali», dal 3 ottobre 2014 al 30 giugno 2016 sono stati emanati solo 2 decreti con prescrizioni su 30 operazioni notificate e mai e stato posto il veto. Circa il 47 per cento delle notifiche ha riguardato operazioni nel settore della «difesa e sicurezza nazionale», il 23 per cento le comunicazioni, il 17 per cento l'energia, il 13 per cento i trasporti;
    il Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali presso la Presidenza del Consiglio, nella sua relazione sottolinea come il meccanismo del golden power «entra in gioco in maniera tardiva e cioè solo a seguito di decisioni già programmate e/o assunte dalle aziende (...) Detto ciò, si ritiene auspicabile perseguire obiettivi atti ad indirizzare ed accompagnare le scelte più importanti della vita di una società»;
    lo stesso rapporto fornisce indicazioni per il futuro, sottolineando come l'obiettivo debba essere quello di «assicurare continuità alla protezione degli assetti strategici nazionali attraverso la tutela nei confronti di manovre acquisitive che sottendono all'obiettivo di sottrarre tecnologie e know how industriale e commerciale essenziale per la competitività del sistema Italia»;
    la relazione, citando un'indagine di Kpmg, evidenzia lo squilibrio in termini di merger and acquistion e ricorda che nel 2015 sono avvenuti acquisti di imprese italiane dall'estero per 32,1 miliardi (raggiungendo il record del 2008) contro acquisizioni di imprese estere da parte di soggetti italiani per appena 10 miliardi;
    è evidente che una netta distinzione va posta, in base alla natura degli investitori esteri nel nostro Paese, distinguendo quelli realmente produttivi da quelli che realmente mettono a rischio l’«interesse nazionale». L'apporto di capitali esteri, contribuisce infatti alla crescita economica e all'occupazione del nostro Paese, soprattutto in un periodo che vede l'Italia non riuscire ad agganciare in modo deciso i segnali di ripresa che caratterizzano i partner europei;
    l'adozione di strumenti di tutela effettivi, se da un lato deve fornire una risposta all'eventualità di un uso politico «ostile» degli investimenti esteri nel nostro Paese, dall'altro non deve impedire l'ingresso di investitori di lungo termine, anche stranieri, nell'azionariato d'imprese operanti nei settori regolati, né la partecipazione diretta a progetti infrastrutturali decisivi per l'Italia;
    a livello di Unione europea, tra il 2007 e il 2015, nonostante l'attivismo cinese, si è registrato un calo del 42 per cento negli investimenti esteri diretti in entrata ed è evidente che, in attesa di un rilancio della politica industriale europea e dei singoli Stati, l'introduzione non attentamente ponderata di ulteriori barriere rischia di aggravare una perdita di competitività interna, ferma restando la necessità di un attento monitoraggio degli investimenti esteri, nell'ottica di una parità di trattamento da richiedere da parte di tutti, compresi i Paesi comunitari, che, da un lato, sono impegnati nella costruzione di una politica industriale continentale forte e coesa e dall'altro, gestiscono interessi nazionali spesso confliggenti i partner;
    la necessità di aggiornare gli strumenti di difesa delle imprese strategiche, adeguandoli alle mutate situazioni internazionali, è ormai sentita anche in Paesi, nostri partner e competitor, come Germania e Regno Unito;
    in questi ultimi anni numerosi sono stati i casi di acquisizioni «ostili» di imprese italiane ad opera di investitori stranieri e tutte riconducibili ad un modus operandi simile: acquisto massiccio di azioni, manovre di borsa e attività volte ad alterare il valore del titolo, lancio di un'offerta pubblica di acquisto e acquisizione finale;
    una modifica della normativa sul golden power deve tenere bene in considerazione i confini tra interesse nazionale e deriva interventista, coerente con la politica industriale che si intende perseguire, anche in considerazione del fatto che si disciplinano, da un lato, materie inerenti le libertà individuali quali la libertà d'impresa, i principi costituzionali e dell'Unione europea, il diritto alla concorrenza, la libertà di iniziativa economica, il diritto di proprietà, dall'altro, le esigenze prioritarie di interesse pubblico, in particolare quelle della difesa, della sicurezza nazionale e delle attività strategiche;
    grande attenzione va, quindi, posta anche sulle misure idonee ad attrarre investimenti diretti esteri su progetti di lungo periodo, ancora più necessari e più difficili da finanziare, offrendo garanzie per gli investimenti infrastrutturali, il project financing e creando un quadro giuridico certo e favorevole agli investimenti, italiani o stranieri che siano;
    un quadro normativo chiaro che riduca la discrezionalità dell'Esecutivo e che, contestualmente, definisca chiaramente doveri e diritti delle parti è, sicuramente, più attrattivo per gli investitori internazionali intenzionati ad investire a lungo termine nel nostro Paese;
    il comma 7 dell'articolo 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, già stabilisce che i decreti di individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale siano aggiornati almeno ogni tre anni,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte ad una revisione delle norme relative al cosiddetto golden powerche, tenendo conto della necessità di contemperare, da un lato, la libertà d'impresa, il diritto alla concorrenza, la libertà di iniziativa economica e il diritto di proprietà e, dall'altro, le esigenze prioritarie di interesse nazionale, introducano nuovi e/o ulteriori obblighi in tema di trasparenza e di comunicazioni a carico degli acquirenti, anche al fine di ottenere garanzie sulla permanenza in Italia di asset produttivi strategici, competenze e posti di lavoro, considerando le esperienze maturate in altri Paesi e nell'Ocse;
2) a farsi promotore a livello di Unione europea dell'introduzione del criterio di reciprocità con gli Stati esteri in materia di acquisizione di asset rilevanti;
3) a procedere, così come previsto dalla normativa vigente, all'aggiornamento dei regolamenti per l'individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale.
(1-01545)
«Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(20 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il 7 giugno 2014 sono entrati in vigore il decreto del Presidente della Repubblica n. 85 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 86 del 2014 inerenti ai cosiddetti poteri speciali – golden power – attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici;
    i citati provvedimenti riguardano l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica e il regolamento per l'individuazione delle procedure per l'attivazione dei poteri speciali;
    con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108, sono state individuate le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, rispetto alle quali l'Esecutivo potrà imporre specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni; potrà porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni di particolare rilevanza; potrà opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale; potrà dichiarare nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica, nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o adempimento delle condizioni imposte;
    le direttive dell'Unione europea esigono che sia stabilita una soglia per l'Opa obbligatoria, ma demandano agli Stati membri la sua determinazione;
    per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, comunque definiti, la Commissione europea ha adottato una apposita comunicazione (97/C 220/06) con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale»;
    la suddetta comunicazione individua nell'articolo 223 del Trattato istitutivo della Comunità europea (oggi Trattato dell'Unione europea) le disposizioni che autorizzano gli Stati membri ad adottare misure che ritengono necessarie a tutela degli interessi considerati necessari, cioè quelli relativi al comparto sicurezza e difesa;
    il nostro Paese è da tempo soggetto ad una serie di acquisizioni da parte di competitorstranieri, comunitari e extra-comunitari, nonché a una serie di svendita di «asset strategici»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, sia in sede nazionale che in sede comunitaria, al fine di estendere l'esercizio dei poteri di « golden power», con la previsione della partecipazione dello Stato nazionale nell'azionariato oggetto dell'acquisizione al fine di mantenerne il controllo ad altri ambiti di interesse nazionali, tra cui i trasporti, le telecomunicazioni, la gestione delle risorse pubbliche, la sicurezza ed il benessere dei cittadini;
2) ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, al fine di prevedere la stabile organizzazione sul territorio italiano come condizione necessaria per le società che, a seguito di operazioni finanziarie, intendano assumere una quota pari ad almeno il 5 per cento in strumenti finanziari, partecipativi e con diritti amministrativi nelle suddette società a rilevanza nazionale;
3) ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, per far sì che i criteri di nomina degli amministratori all'interno delle società a rilevanza nazionale siano ispirati a principi coerenti con tale carattere, salvaguardando in particolare l'indipendenza degli amministratori da ingerenze particolari e politiche, ivi comprese quelle derivanti dall'elezione nelle istituzioni nazionali e sovranazionali negli ultimi 5 anni, nonché le caratteristiche di onorabilità e rispettabilità, anche tenendo conto dei procedimenti giudiziario in corso e di qualsivoglia conflitto di interesse.
(1-01546)
«Sorial, Vallascas, Pesco, Cecconi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Cancelleri, Crippa, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Alberti, Fico, Pisano, Ruocco, Sibilia, Villarosa».
(20 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori ritenuti strategici e di interesse nazionale, con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, è stata disciplinata la materia concernente i poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
    in attuazione del predetto decreto-legge con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 febbraio 2014, n. 35, in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 86, con riguardo ai poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, sono stati definiti gli ambiti soggettivi ed oggettivi, la tipologia, le condizioni e le procedure per l'esercizio dei poteri speciali nei due diversi settori;
    la specifica individuazione degli attivi di rilevanza strategica, avvenuta con il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108, per il settore della difesa e sicurezza nazionale e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, per i settori energetici, dei trasporti e delle comunicazioni, ha consentito di completare il quadro organizzativo regolamentare del settore;
    i citati regolamenti hanno altresì previsto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri per lo svolgimento delle attività propedeutiche all'esercizio dei poteri speciali, finalità conseguita con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 agosto 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 ottobre 2014, che ha fissato le modalità procedimentali per lo svolgimento delle corrispondenti attività;
    l'afflusso di capitali stranieri rappresenta un fattore moltiplicatore per la competitività delle imprese nei mercati internazionali. Con la diffusa incertezza sull'andamento della domanda interna, la capacità di attrarre investimenti esteri si è confermata come un'importante leva di crescita, soprattutto per l'Italia che presenta ampie opportunità di investimento;
    tuttavia, negli ultimi anni a causa del perdurare della crisi economica, le difficoltà di crescita riscontrate nell'area dell'eurozona, la voragine sociale legata all'aumento della disoccupazione nei Paesi dell'Unione europea, la posizione del sistema industriale del Paese si è indebolita, lasciando spazio ad una serie sempre crescente che, lungi dal rappresentare occasioni di rafforzamento del sistema produttivo ed occupazionale, hanno sostanzialmente depauperato il contesto economico dell'Italia;
    inoltre, se si considera anche il fatto che la crisi in corso è anche e soprattutto una crisi della finanza pubblica sono spesso i soggetti statali, il Ministero dell'economia e delle finanze in primis, ad aver avviato una nuova fase di privatizzazioni, purtroppo che sembra ancora non conclusa, che ha messo e mette a repentaglio il patrimonio di lavoro e conoscenza acquisito nel corso degli anni dalle società indirettamente o direttamente controllate dallo Stato, sollevando altresì criticità in materia di tutela di ambiti strategici, come le telecomunicazioni, il risparmio di natura bancaria o finanziaria, il trattamento dei dati personali;
    un caso tipico di questo atteggiamento – oltre a quelli riguardanti Poste italiane o il gruppo delle Ferrovie dello Stato – riguarda l'Enel. A gennaio 2017, a seguito della fusione tra Enel green Power ed Enel, per la prima volta la quota di controllo dello Stato italiano nella società energetica è scesa sotto la quota del 25 per cento, rendendo di fatto l'azienda contendibile a soggetti nazionali o sovranazionali;
    tornando all'esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, esso dunque, sembra essere – come del resto ricorda anche la recente relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali – un'arma spuntata sotto un duplice motivo. Il primo motivo riguarda strettamente gli effetti della globalizzazione e l'incapacità dell'Unione europea di agire come attore internazionale. Energia, difesa e reti. Per questi settori più o meno in quasi tutti i Paesi dell'Unione europea esistono golden powers attribuiti allo Stato, con cui un Governo può porre condizioni all'acquisto di partecipazioni strategiche in imprese considerate strategiche. Ma di fronte allo shopping da parte di Paesi al di fuori dell'Unione europea, in particolare quando non sono economie di mercato o non hanno medesimi standard di protezione in tema di diritto del lavoro o diritti sociali, l'Unione europea dovrebbe fare fronte comune;
    in questo senso, appare opportuna la necessità che, anche attraverso forme di cooperazione rafforzata, Italia, Germania e Francia, ma anche gli altri Paesi europei interessati, si facciano portatori di una proposta alla Commissione europea per introdurre il concetto di golden power comunitario a tutela delle tecnologie, delle capacità industriali e occupazionali dell'area dell'Unione europea. Il caso della competizione senza regole della Cina nel campo della siderurgia, oppure del comportamento antielusivo in campo fiscale degli over the top statunitensi come google o apple, impongono l'adozione di una strategia in tal senso, si attiverebbe così anche ad una definitiva armonizzazione delle varie legislazioni nazionali nell'ambito dell'esercizio dei poteri speciali, che tante disparità ha creato in questi anni;
    il secondo versante di criticità riguarda proprio il mercato unico. Infatti, all'interno del mercato unico si assiste oggi ad una reviviscenza di singoli nazionalismi economici che, da un lato, coincidono con scorribande finanziarie opache e aggressive (vedi le mire francesi sul risparmio italiano e sul mondo delle telecomunicazioni), dall'altro sfociano in un protezionismo senza precedenti (vedi il caso dell'acquisizione dei cantieri navali Stx da parte di Fincantieri);
    tale comportamento contrasta con lo spirito e la pratica dell'integrazione economica europea, in una fase politica dell'Unione europea dove al contrario vi sarebbe bisogno di maggiore coesione e trasparenza. In questo senso, sul tema degli asset strategici, appare sempre più utile un intervento che sappia colmare le asimmetrie informative che si sono aperte con la parte del recepimento da parte dei vari Paesi della direttiva europea sull'Opa. Asimmetrie che si notano con la Francia, tanto per citare il più intraprendente investitore nel made in Italy, che ha adottato un criterio di reciprocità che riguarda la condizione di imprese in certi settori strategici;
    il considerando n. 12 della direttiva 2013/50/Ue, in materia di obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti quotati e di prospetto per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, consente agli Stati membri di definire obblighi più rigorosi di quelli stabiliti dalla direttiva 2004/109/CE, riguardo al contenuto, alla procedura e ai tempi di notifica delle partecipazioni rilevanti nel capitale di società quotate, nonché consente di richiedere informazioni aggiuntive, incluse, in particolare, le intenzioni degli azionisti;
    non si può non rilevare, tuttavia, come in alcuni casi la cessione o il trasferimento di aziende strategiche del nostro Paese avvenga per indirizzo dello stesso Governo, intento a perseguire in questa fase una politica di privatizzazioni dalla dubbia efficacia, ci si chiede infatti se investire nelle privatizzazioni convenga davvero. Se si prendono le ultime cinque operazioni di privatizzazione a mezzo di collocamento di titoli in Borsa e si confrontano il prezzo di collocamento con quello di Borsa al 24 febbraio 2017, si vede che il bottino è tutt'altro che esaltante. L'operazione più controversa è l'offerta pubblica iniziale di Fincantieri, voluta dall'amministratore delegato Giuseppe Bono e avallata dal Ministero dell'economia e delle finanze: la vendita di circa il 25 per cento della società è stata fatta nel giugno 2014 a 0,78 euro per azione. I titoli, rimasti quasi sempre sotto il prezzo di collocamento, adesso valgono 0,594, cioè il 23,8 per cento in meno. Nel febbraio 2015 il Ministero dell'economia e delle finanze ha venduto la quinta tranche Enel, il 5,74 per cento a un gruppo di banche a 4 euro per azione, il prezzo oggi è lo stesso. Nell'ottobre 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze ha venduto Poste a 6,75 euro per azione. Il titolo della società oggi vale 5,94 euro, -12 per cento rispetto al collocamento. Infine, le azioni Enav, collocate a luglio 2016 a 3,3 euro, dopo un balzo del 10,6 per cento al debutto i guadagni sono ora a 3,324 euro;
    con riferimento al debito pubblico, la dismissione di un'ulteriore quota di partecipazione dello Stato al capitale di Poste italiane è suscettibile di determinare effetti negativi dovuti al venir meno del versamento dei dividendi distribuiti al Ministero dell'economia e delle finanze da Poste italiane spa. Sono altresì prefigurabili effetti, di carattere eventuale e indiretto e di entità non predeterminabile, dovuti alle variazioni di gettito fiscale per la tassazione, da un lato, dei maggiori dividendi distribuiti a soggetti esterni alla pubblica amministrazione, dall'altro, dei minori interessi sul debito erogati. Come emerso nelle dichiarazioni congiunte delle organizzazioni sindacali i rapporti sempre più intrecciati tra Poste italiane e Cassa depositi e prestiti potrebbero far emergere un conflitto di interessi. È infatti noto che Poste italiane colloca per conto di Cassa depositi e prestiti i cosiddetti buoni postali fruttiferi e libretti di risparmio postale a fronte di commissioni periodicamente contrattate. Le consistenze di Cassa depositi e prestiti per quasi l'80 per cento derivano proprio dalla raccolta di risparmio postale. Dunque si verificherà che Cassa depositi e prestiti, maggiore azionista di Poste, sarà contemporaneamente controparte contrattuale nella definizione del rapporto economico tra emittente e collocatore. Altrettanto allarmanti appaiano poi eventuali effetti della privatizzazione di Poste sul servizio universale. I rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati dal contratto di programma. Il nuovo contratto di programma 2015-2019 tra il Ministero dello sviluppo economico e la società Poste italiane per la fornitura del servizio postale universale e stato firmato il 15 dicembre 2015, come previsto dalla legge di stabilità per il 2015. Il contratto è entrato in vigore il 1o gennaio 2016 e ha ottenuto l'approvazione della Commissione europea. Il contributo per l'onere del servizio postale universale è pari a 262,4 milioni di euro all'anno e viene erogato entro il 31 dicembre di ciascun anno di vigenza del contratto, con cadenza mensile. Il servizio universale rappresenta un presidio essenziale per la vita economica e sociale di tutti i territori del nostro Paese. L'ingresso di una nuova compagine azionaria rischia di mettere a repentaglio la capillarità della rete postale italiana e i servizi offerti alla cittadinanza. Inoltre, sono oltre 30 milioni i soggetti (piccole e medie imprese, enti locali, cittadini, pensionati e lavoratori) che hanno un rapporto costante con il Gruppo Poste italiane, una tale massa di dati sensibili rischia di essere gestita da un soggetto totalmente privato, assunto che nell'era della comunicazione e dell'economia digitale costituisce valore il possesso e la gestione di dati individuali, senza effettive garanzie in termini di tutela della privacy e dei dati industriali ed economici sensibili;
    secondo quanto si apprende da fonti stampa, il Ministero dell'economia e delle finanze sta studiando un nuovo assetto della Cassa depositi e prestiti, diventata nel corso degli anni una sorta di banca d'affari pubblica con una dote da 250 miliardi di euro, il risparmio postale degli italiani. Siamo ancora nella fase istruttoria. Ma si ragiona sulla cessione di una quota del 15 per cento simile a quella già oggi posseduta dalle fondazioni bancarie. L'operazione lascerebbe il controllo di Cassa depositi e prestiti nelle mani del Ministero dell'economia e delle finanze, che scenderebbe al 65 per cento. E porterebbe nelle casse dello Stato, per essere destinati all'abbattimento del debito pubblico, circa 5 miliardi di euro. Anche in questo caso si tratterebbe di un'operazione destinata solo ad indebolire il profilo industriale del nostro Paese. L'istituto di via Goito è un tassello fondamentale per sostenere la dimensione socio-economica, come gli investimenti sul social-housing, sul disagio abitativo o la ricerca universitaria;
    il 10 aprile 2017 scadono i termini di presentazione del documento di economia e finanze ed il Governo è al lavoro proprio in questi giorni per cercare di capire quali siano gli interventi improrogabili e dove invece si può cercare di tagliare qualcosa alla spesa nazionale. Preme, infatti, la richiesta di Bruxelles di ridurre la spesa pubblica, che negli ultimi anni, in particolare durante il Governo Renzi, ha subito una crescita di ben 25 miliardi di euro, accentuando il debito pubblico. Secondo le prime indiscrezioni, pubblicate nel corso della scorsa settimana dal quotidiano economico Il Sole 24 ore, al momento a Palazzo Chigi i riflettori sono puntati su 4 punti fondamentali. I punti più discussi sono incentrati sulla riduzione del cuneo fiscale, sulla revisione della spesa e sull'intervento sulle aliquote Iva in aumento,

impegna il Governo:

1) sul versante europeo:
   a) a promuovere un'iniziativa congiunta, anche attraverso forme di cooperazione rafforzata, per introdurre una legislazione comunitaria completa sull'esercizio dei poteri speciali da parte delle istituzioni europee a tutela delle tecnologie, delle capacità industriali e occupazionali dell'Unione europea, con particolare riferimento ai mercati internazionali e alla competizione operata dai Paesi caratterizzati da economie non di mercato e conseguentemente ad istituire una cabina di regia a livello europeo sulle industrie strategiche, anche a tutela di inappropriate forme di delocalizzazione del lavoro;
   b) a valutare l'assunzione di iniziative a livello di legislazione europea volte a diminuire le asimmetrie informative tra i vari Stati membri derivanti dal recepimento della direttiva europea sull'offerta pubblica d'acquisto;
2) sul versante nazionale:
   a) ad assumere iniziative normative volte a dare corso alle proposte del Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali, come evidenziate nell'ultima relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali, rafforzando in particolare le direttrici di indirizzo e l'integrazione dei meccanismi decisionali;
   b) al fine di migliorare il grado di trasparenza del mercato e incrementare il grado di conoscenza e di informazione degli stakeholder, onde favorire l'assunzione di decisioni consapevoli, a valutare l'adozione di iniziative volte all'estensione del contenuto degli obblighi di comunicazione su chi acquisisce una partecipazione particolarmente importante in una società quotata operante in settori di interesse strategico, imponendo allo stesso di chiarire le finalità perseguite con l'acquisizione, anche con particolare riferimento a tutti quei soggetti che operano nel settore del risparmio di natura bancaria e finanziaria;
   c) nelle more della presentazione del documento di economia e finanza, ad assumere impegni chiari circa la necessità di non procedere ad ulteriori dismissioni di quote di partecipazione di società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato senza il pieno coinvolgimento del Parlamento sulla missione delle società stesse, a cominciare dalla Cassa depositi e prestiti, anche al fine di salvaguardare tali soggetti strategici in un'ottica di competizione internazionale.
(1-01548)
«Franco Bordo, Ricciatti, Epifani, Folino, Ferrara, Bersani, Laforgia, Roberta Agostini, Albini, Bossa, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Fava, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Leva, Martelli, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Sannicandro, Scotto, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».
(20 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni, complice anche la crisi, l'Italia ha ceduto parti importanti del suo patrimonio industriale in favore di investitori esteri, perdendo via via asset che sono sempre stati considerati strategici per la crescita economica del Paese. Le note vicende di dismissioni che hanno interessato due aziende storiche come Alitalia e Telecom Italia si sono sommate a numerose altre privatizzazioni o vendite a società estere di imprese italiane del comporto siderurgico (Acciaierie di Terni), telefonico (Telecom Italia e Wind), industriale (Pirelli e Indesit), nonché dei settori farmaceutico, finanziario e della moda, dove molte note aziende, o parti consistenti di esse, quali Loro Piana, Fiorucci e Valentino sono state vendute a investitori esteri (dalla Francia fino al Giappone);
    l'intensa ondata di privatizzazioni e vendite delle eccellenze italiane a multinazionali estere sono state tra le maggiori cause del preoccupante fenomeno di deindustrializzazione che sta interessando il nostro Paese, a cui, inevitabilmente, si accompagnano la perdita dell'indotto, con la conseguente crescita della disoccupazione, dovuta anche allo spostamento all'estero dell'impianto di produzione, perdita del know-how e delle tipicità delle produzioni locali;
    anche per l'Italia, al pari di Portogallo, Spagna, Germania, Belgio, Regno Unito e Francia (i cui ordinamenti, prevedono, rispettivamente, gli istituti della « golden share» e « action spécifique»), si è aperta una procedura di infrazione (2009/2255 in merito alla disposizioni del decreto-legge n. 332 del 1994), ma, a differenza degli altri membri, questa non ha sufficientemente protetto i propri assetti strategici del comparto privato e pubblico dalle oltre mille operazioni di acquisizione per il controllo di capitale di aziende italiane, verificatesi negli ultimi dieci anni, da parte di investitori esteri;
    il potere di intervento statale si sostanzia principalmente in una serie di poteri speciali (o Golden Power), fra cui la facoltà di dettare specifiche condizioni all'acquisito di partecipazioni, di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all'acquisto di partecipazioni;
    a tal riguardo, la Commissione, nel 1997, con la comunicazione relativa ad alcuni aspetti giuridici attinenti agli investimenti intracomunitari (97/c 220/06), ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve rispettare il principio di proporzionalità, ossia attribuire allo Stato solo i poteri strettamente necessari al conseguimento degli obiettivi, e deve comunque essere attuato senza discriminazioni e che lo stesso è ammesso se si fonda su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale»; la stessa ha poi ammesso la possibilità, per specifici settori di intervento, di un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, purché sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia;
    per quanto concerne il settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o con riguardo ai movimenti di capitali, la Commissione ammette la liceità del Golden Power qualora questo non costituisca un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali;
    il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, sanando la suddetta procedura di infrazione, ha riallineato la normativa italiana ai principi e alle regole del diritto dell'Unione europea, emanando una nuova disciplina in materia di poteri di intervento dello Stato su operazioni straordinarie riguardanti imprese pubbliche e private attive nei settori strategici della difesa e della sicurezza nazionale e nei settori delle comunicazioni, energia e trasporti, anche mediante il rinvio ad atti di normazione secondaria. Per quanto concerne questi ultimi comparti, nel 2014, sono stati emanati due regolamenti sui poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni: il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, 85 contenente il «Regolamento per l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica» e il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 86 contenente il «Regolamento per l'individuazione delle procedure per l'attivazione dei poteri speciali». Entrambi i regolamenti sono entrati in vigore il 7 giugno 2014;
    per quanto riguarda, invece, il settore della difesa e della sicurezza, la materia è stata attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 marzo 2014, n. 35, che ha individuato le procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale; con il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108 è stato adottato il regolamento per l'individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale. Si è provveduto, in seguito, a riunire in un unico regolamento le norme che individuano le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, ivi incluse le attività strategiche chiave, di competenza sia del Ministero dell'interno, sia del Ministero della difesa, procedendo contestualmente all'abrogazione dei precedenti decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 253 del 2012 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 129 del 2013, di modifica, con cui erano state individuate le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale al fine dell'esercizio dei poteri speciali e gli atti/operazioni infragruppo esclusi dall'ambito operativo della nuova disciplina;
    inoltre, con la legge finanziaria 2006, si è introdotta nell'ordinamento la disciplina della poison pill che permette di deliberare un aumento di capitale di società partecipate, in caso di offerta pubblica di acquisto ostile, al fine di accrescere la quota di partecipazione dell'azionista pubblico; sullo stesso filone interviene il decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, che, all'articolo 7, autorizza Cassa depositi e prestiti ad «assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, e che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività»;
    la normativa sulle offerte pubbliche di acquisto (Opa) contenuta nel Tuf (testo unico sulla finanza), di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 e successive modificazioni, ha come obiettivo principale la tutela dell'investimento azionario da parte dei risparmiatori e degli investitori istituzionali italiani rispetto alle decisioni degli azionisti di maggioranza; in tal senso, si prevede che chiunque acquisti azioni oltre una certa soglia, oppure nel caso di mutamenti di maggioranza assoluta all'interno di una società che controlla una partecipazione già superiore alla soglia, sia obbligato a lanciare un'Opa a tutti gli azionisti;
    in passato, la soglia unica era fissata al 30 per cento ma questa era efficace solo nel caso di società quotate a capitale diffuso in piccolissime quote, perché, in caso contrario, non era sufficiente di fronte ad una compagine azionaria frazionata in cui i soci maggioritari avessero stretto patti al fine di diventare dominanti in sede di voto;
    con il decreto-legge n. 91 del 24 giugno 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 116 dell'11 agosto 2014 (il cosiddetto «decreto competitività»), il legislatore ha apportato importanti modifiche alla disciplina delle società quotate, con l'obiettivo precipuo di favorire e semplificare l'accesso al mercato dei capitali di rischio da parte delle società (ivi incluse le piccole e medie imprese), nonché di dotare le società quotande e quotate di una serie di ulteriori strumenti finalizzati a incentivare gli investimenti azionari di lungo periodo e, conseguentemente, a colmare il deficit strutturale che attualmente caratterizza la dimensione complessiva del mercato mobiliare italiano, e di quello azionario in particolare, rispetto alle principali economie europee;
    in particolare, ha introdotto all'articolo 106 del testo unico sulla finanza un regime agevolato ai fini della disciplina dell'offerta pubblica di acquisto obbligatoria applicabile, su base opzionale, alle piccole e medie imprese e, precisamente la facoltà per ciascun piccola e media impresa di stabilire, con apposita previsione dello statuto sociale, la soglia Opa più adeguata alle proprie caratteristiche nell'ambito di un intervallo prestabilito compreso tra il 25 per cento e il 40 per cento, nonché quella, per ciascuna piccola e media impresa, di sospendere, con apposita previsione dello statuto sociale (cosiddetto opt-out statutario), l'applicazione delle disposizioni in materia di offerta pubblica di acquisto da consolidamento durante i primi cinque anni successivi alla quotazione;
    da notizie di stampa si apprende che, presso il Ministro dello sviluppo economico, sia stata elaborata una bozza della cosiddetta norma «anti-scorrerie» sulle scalate finanziarie, ispirata dal codice di commercio francese a dalla normativa statunitense, in cui si prevede che, al raggiungimento del 10 per cento di partecipazioni di una società quotata in una società che opera in un settore strategico, scatti l'obbligo di fornire informazioni sul piano di intervento da parte dell'acquirente; se dovesse entrare in vigore, non basterà più dare comunicazione alla Consob del superamento del 3 per cento di partecipazione, ma al raggiungimento del 10 per cento, del 20 per cento e del 25 per cento, sarà anche necessario trasmettere alla società e alla Consob un prospetto di progetto dettagliato sugli obiettivi che si intendono perseguire nei sei mesi successivi in cui si riportino: le modalità di finanziamento, i soggetti interessati nell'operazione, la strategia finalizzata al semplice acquisto ovvero al controllo, le intenzioni per eventuali accordi e patti parasociali, nonché quelle relative all'eventuale integrazione o revoca degli organi amministrativi o di controllo della società;
    le misure prese fin qui dimostrano ancora degli aspetti molto deboli rispetto al nuovo sistema economico globalizzato: solo tra il 2014 e il primo semestre 2016, su 30 operazioni notificate, sono stati emanati soltanto due decreti di consenso alle operazioni, con prescrizioni e, nello stesso lasso di tempo, il Governo non ha mai esercitato il suo potere di veto, come riportato nella relazione concernente l'attività svolta sulla base dei poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, aggiornata al 30 giugno 2016;
    lo stesso comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri sottolinea come il golden power sia uno strumento utile ma non efficace e sufficiente ad evitare le cosiddette «scalate» finalizzate a sottrarre know-how tecnologico e commerciale al nostro Paese, che invece risulta essenziale per la crescita e la competitività dell'economia italiana,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, nelle competenti sedi europee e internazionali al fine di favorire l'introduzione del criterio di reciprocità con gli Stati esteri in materia di acquisizione di assetti rilevanti per l'economia del nostro Paese, anche in settori differenti da quello della sicurezza e della difesa, nonché in quelli dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
2) ad assumere iniziative normative per prevedere un obbligo di comunicazione preventiva da parte del potenziale acquirente di partecipazioni in società ritenute strategiche, al fine di ottenere specifiche garanzie, pena l'esercizio del diritto di veto, circa il mantenimento in Italia dell'assetto produttivo, nonché delle competenze e dei livelli occupazionali;
3) ad informare tempestivamente le Camere di ogni operazione suscettibile di importanti acquisizioni del controllo, da parte di investitori esteri, di imprese ritenute strategiche per il settore economico in cui operano.
(1-01550)
«Allasia, Busin, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(21 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    parallelamente all'avvio del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche, a partire dal 1994 un complesso quadro normativo di riferimento ha previsto una serie di disposizioni che conferivano al Governo un potere discrezionale capace di contenere o impedire, nelle operazioni di acquisto di partecipazioni azionarie, la contendibilità delle imprese coinvolte;
    la prima delle suddette previsioni, contenuta nel decreto-legge n. 332 del 1994, stabiliva l'attribuzione allo Stato di alcune partecipazioni azionarie munite di poteri speciali (cosiddette golden shares) che consentissero l'esercizio di prerogative in grado di influenzare le decisioni del management: dall'opposizione all'acquisizione di partecipazioni rilevanti, al veto su alcune delibere societarie, al diritto di nomina di membri degli organi amministrativi. Alcune norme successive avevano poi ampliato il concetto della golden share prevedendo che tali prerogative, a prescindere dal possesso azionario da parte dello Stato, potessero essere inserite direttamente negli statuti delle società operanti in alcuni settori strategici (ovvero di quelle che svolgono, per usare le espressioni del legislatore, «attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale» nonché quelle che detengono «le reti e gli impianti, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per il settore dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni»);
    il quadro normativo era completato da quanto previsto dall'articolo 2449 del codice civile laddove dispone che lo statuto di una società per azioni può conferire allo Stato o agli enti pubblici, che possiedono partecipazioni, la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti del consiglio di sorveglianza, in numero proporzionale alla partecipazione al capitale sociale, un potere concesso a prescindere dalla quota azionaria posseduta, quindi anche di minoranza. Lo stesso articolo riconosce ai nominati gli stessi diritti e gli stessi obblighi dei membri nominati dall'assemblea e possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati. Ai sensi dell'articolo 2346 del codice civile alle società, ricorrenti al mercato azionario, è prevista la possibilità di riservare allo Stato o agli enti partecipanti azioni fornite di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, ma non del voto nell'assemblea generale degli azionisti;
    un tale impianto risultò ben presto incompatibile con una serie di principi comunitari (quali quelli della libera circolazione dei capitali, del diritto di stabilimento, della libera prestazione dei servizi), in quanto considerato una forma di dissuasione all'investimento da parte di operatori degli altri Stati membri nelle imprese condizionate dalla golden share, circostanza sanzionata dalla Corte di giustizia europea che nel 2002 chiese al nostro Paese l'adozione di regole che consentissero una valutazione ex ante delle possibili limitazioni all'attività ed alle operazioni riguardanti le imprese operanti nei settori interessati;
    per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, la Commissione europea è ricorsa ad un'apposita comunicazione, nella quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato: «senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su criteri obiettivi, stabili e resi pubblici e se è giustificato da motivi imperiosi di interesse generale». Ciò significa che le autorità europee non si oppongono in via pregiudiziale alla discesa in campo dello Stato tramite strumenti di diretta proprietà. Resta possibile, ad esempio, utilizzare la Cassa depositi e prestiti e i suoi fondi per interventi nell'economia, anche attraverso la partecipazione al capitale d'impresa. L'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011, seguendo la medesima logica di salvaguardia delle società d'interesse nazionale, ha infatti autorizzato Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, sia in termini di strategicità del settore di operatività e di fatturato, sia di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese;
    oltre alla suddetta disciplina della golden share, altri interventi normativi hanno perseguito – con diverse modalità – scopi analoghi di tutela delle società operanti in settori giudicati strategici per l'economia nazionale. In particolare, ulteriori diritti speciali in capo all'azionista pubblico sono stati previsti nella legge finanziaria per il 2006, che ha introdotto nell'ordinamento italiano la cosiddetta poison pill (pillola avvelenata) che consente, in caso di necessità, di impedire i tentativi di scalata, le cosiddette Opa ostili, impedendo al soggetto interessato a rilevare la società di raggiungere la quota di maggioranza. Per completezza occorre, infine, menzionare un ulteriore strumento a disposizione del Governo: quello dell'azione di moral suasion e di indirizzo;
    riguardo agli specifici settori di intervento, la Commissione europea ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico. Nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o con riguardo ai movimenti di capitali, le deroghe ammesse non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali. In ogni caso, secondo quanto indicato dalla Commissione, la definizione dei poteri speciali deve rispettare il principio di proporzionalità, vale a dire deve attribuire allo Stato solo i poteri strettamente necessari per il conseguimento dell'obiettivo perseguito;
    successivamente, con il dichiarato intento di razionalizzare e circoscrivere gli ambiti ed i criteri di esercizio dei suddetti poteri statali, nonché di risolvere il contenzioso comunitario derivato dal precedente regime, è stato emanato il decreto-legge n. 21 del 2012, che ha ridotto la discrezionalità del Governo pur allargandone la sfera d'influenza, passando dal sistema di conferimento allo Stato dei golden shares (azioni d'oro) a quello di alcuni golden powers (poteri d'oro) di carattere generale, esercitabili in caso di operazioni straordinarie di imprese (tutte e non soltanto quelle partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici) operanti in determinati settori strategici individuati per decreto ed aggiornati con cadenza triennale, attraverso tre diverse modalità: condizioni prescrittive all'acquisto di partecipazioni, veto all'adozione di delibere da parte degli organi societari e opposizione all'acquisto di partecipazioni. Quindi, la principale differenza con la normativa precedente si rinviene nell'ambito operativo che consente l'esercizio dei poteri speciali rispetto a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica;
    secondo molti si tratterebbe di un approccio innovativo che aspira a diventare benchmark all'interno dell'Unione e che dovrebbe tutelare le imprese operanti in settori considerati strategici indipendentemente da una partecipazione azionaria dello Stato, offrendo, al contempo, al Governo strumenti proporzionati al rischio concreto, che gli assicurano di adoperarsi nell'attività ordinaria delle società e gli riconoscono, solo in via d'eccezione, esercizio del veto preventivo sulle acquisizioni;
    pertanto, il merito del decreto-legge n. 21 del 2012 è quello di aver determinato uno spostamento della disciplina e del potere dello Stato da un piano privatistico, quello dei rapporti societari, in cui venivano inseriti elementi pubblicistici di controllo, ad un piano meramente pubblicistico-regolatorio, sul quale il potere di opposizione possa essere esercitato non soltanto in relazione all'operazione di acquisto della partecipazione rilevante ovvero alla conclusione del patto parasociale, ma anche ogniqualvolta insorga l'esigenza di tutelare i sopra citati e sopravvenuti motivi imperiosi di interesse pubblico. Grazie ad esso l'intervento dello Stato in economia si è rafforzato, avendolo messo nelle condizioni di gestire informazioni, decisioni e potere per le questioni di rilevanza strategica per il futuro del Paese, mettendo in azione un'ampia gamma di strumenti e restando dentro le regole di democrazia, trasparenza e assenza di conflitto d'interessi;
    allo stato attuale sono definite «di rilevante interesse nazionale» le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi. L'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 21 del 2012 ha stabilito che i regolamenti, ai quali è affidata l'individuazione delle attività di rilevanza strategica e delle attività strategiche chiave, vengono aggiornati almeno ogni tre anni, pertanto nel 2017 si è aperta una finestra utile per il loro aggiornamento;
    nel corso di un'audizione tenutasi il 31 gennaio 2017 presso la Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera, il Ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda ha dichiarato che insieme al Vicecancelliere tedesco Gabriel stanno lavorando ad una bozza di proposta da sottoporre alla Commissione europea per rafforzare i poteri di golden power connessi agli acquisti di aziende strategiche da parte di Paesi che non siano economie di mercato, un progetto per il quale stanno anche cercando la convergenza del Governo francese. Secondo il Ministro è assolutamente necessario e non più rinviabile (tanto più se connesso con le aziende acquisite ci sia un rischio di trasferimento di tecnologia) codificare altri settori sensibili, che, pur non rientranti tra quelli già tutelati, come difesa, energia e reti, detengano della tecnologia;
    dopo il caso Vivendi-Mediaset il Governo, avendo dato un giudizio fortemente negativo delle modalità, giudicate opache, con cui questa operazione è stata portata avanti, sta valutando l'opportunità di introdurre una regolamentazione che incrementi gli obblighi di trasparenza a carico degli acquirenti, esaminando anche le normative vigenti in altri Paesi e nell'Ocse, attraverso un'estensione del golden power per campo di applicazione e per modalità di esercizio, prevedendo una fase negoziale con l'investitore straniero che punti da ottenere garanzie su permanenza in Italia di asset produttivi strategici, competenze e posti di lavoro;
    alcuni recenti fatti, quali il tentativo di scalata di Vivendi o la paventata acquisizione di Assicurazioni generali spa da parte della francese Axa, dimostrano come la valenza strategica, ai fini della crescita del sistema Paese, dell'attrazione degli investimenti esteri debba essere perseguita e realizzata in un quadro che garantisca la tutela degli interessi e degli asset strategici economici nazionali: non solo, dunque, la difesa nazionalistica della proprietà delle imprese, ma la permanenza sul suolo nazionale di asset produttivi, competenze e posti di lavoro;
    in un contesto fortemente globalizzato risulta con evidenza che aziende italiane di importanti settori dell'economia esercitano un forte appeal su quei gruppi economici stranieri che operano con obiettivi di acquisizione e controllo. Del resto anche la vicenda dell'acquisizione di Parmalat da parte della francese Lactalis o quelle, nel settore bancario, di Bnl-Bnp o Cariparma-Credit agricole confermano quell'aggressività del capitalismo francese venuta di recente allo scoperto con i casi di Telecom e Mediaset;
    l'acquisizione di quote di controllo di società da parte di azionisti esteri è un fenomeno naturale in un'economia aperta e può permettere l'afflusso di importanti capitali necessari allo sviluppo ed alla preservazione della società in questione, come pure può sostenere la crescita economica più in generale. Inoltre la storica difficoltà di compagini azionarie italiane a fornire ingenti capitali per gli investimenti o ad acquisire quote importanti di grandi aziende pubbliche in corso di dismissione o di apertura al capitale privato rende indispensabile il ricorso ad investitori esteri. Tuttavia negli ultimi anni il processo è diventato in una certa misura sbilanciato dal punto di vista quantitativo, con un aumento delle acquisizioni di imprese italiane dall'estero e un forte calo dell'acquisizione di imprese straniere da parte di azionisti italiani, in un contesto di arretramento dell'industria italiana, che dal 2007 ad oggi ha assistito ad un ridimensionamento della produzione industriale di circa il 25 per cento;
    dall'ultima indagine Mediobanca-Unioncamere emerge che nel periodo 2004-2013 la quota di medie imprese del campione sotto controllo estero è cresciuta dal 28,5 per cento al 36,2 per cento e per quelle manifatturiere dal 14,3 per cento al 26,7 per cento. Nei tre anni successivi, dal 2014 al 2016, il fenomeno ha toccato ulteriormente molte medie e grandi imprese italiane, senza una capacità di acquisizione comparabile di aziende estere da parte di investitori italiani;
    secondo il rapporto Kpmg mergers and acquisitions per il 2015 sono avvenuti acquisti di imprese italiane dall'estero per 32,1 miliardi di dollari (raggiungendo il record stabilito nel 2008 per queste operazioni e in forte aumento rispetto ai 26,6 miliardi del 2014 e i 13,2 del 2013), contro acquisizioni di imprese estere da parte di soggetti italiani per appena 10 miliardi di euro. Nel 2015 società statunitensi hanno acquisito imprese italiane per 10 miliardi di euro, quelle cinesi per 9,1 miliardi e quelle francesi per 4,2 miliardi. Nel periodo 2005-2009, secondo i dati Kpmg, invece vi era un sostanziale equilibrio tra acquisti di soggetti esteri in Italia e di soggetti italiani all'estero;
    tra l'altro, nel solo biennio 2014-2015 sono state acquistate da soggetti esteri importanti imprese italiane operanti nel campo della siderurgia (Acciaierie di Terni dalla Germania e di Piombino dall'Algeria), della telefonia (Telecom Italia dalla Francia e Wind dalla Russia), dell'industria (Pirelli dalla Cina, Italcementi dalla Germania, Indesit dagli USA), della farmaceutica (Rottapharm dalla Svezia, Sorin dagli Usa, Sigma-Tau Pharma ltd dagli Usa e Gentium S.p.a. dall'Irlanda), del credito (Istituto centrale delle banche popolari italiane s.p.a. dagli Usa, Bsi - Banca della Svizzera italiana dal Brasile), della moda e del lusso (Krizia dalla Cina, oltre a numerose operazioni negli anni precedenti da Francia e Paesi arabi in particolare), dell'alimentazione (numerose operazioni di dimensioni minori), che si aggiungono a quote percentuali limitate ma significative in volume di investimenti di società industriali, finanziarie e bancarie da parte della State administration of foreign exchange cinese e della People's Bank of China (Eni, Enel, Fca, Telecom Italia, Prysmian, Mediobanca, Generali, Saipem, Terna, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banca Monte dei Paschi di Siena);
    utile per graduare l'incisività del golden power e degli altri strumenti interdittivi è la lettura dei dati contenuti nella «Relazione in materia di esercizio dei poteri speciali», presentata dal Ministro per i rapporti con il Parlamento ed aggiornata al 30 giugno 2016, dalla quale emerge che nel periodo che va dal 2013 al 20 giugno 2016, a fronte di 30 operazioni notificate, il Governo ha emanato solo due decreti con prescrizioni (che consistono in adempimenti prescrittivi soggetti a monitoraggio) e non è arrivato mai a porre il veto. Nel medesimo periodo circa il 47 per cento delle notifiche ha riguardato operazioni nel settore della difesa e sicurezza nazionale, il 23 per cento quello delle comunicazioni, il 17 per cento quello dell'energia, il 13 per cento quello dei trasporti. Ciò evidenzia che i poteri esercitabili dal Governo sono più ampi nel settore della difesa, mentre per settori, quali telecomunicazioni, energia e trasporti, l'eventuale opposizione tout court all'acquisizione di partecipazioni si possa esercitare solo nei confronti di aziende extra Unione europea. Di più, secondo la stessa Relazione il golden power entra in gioco in maniera tardiva, cioè solo a seguito di decisioni già programmate e/o assunte dalle aziende;
    con altra relazione presentata dal Governo al Parlamento, quella relativa ai servizi di sicurezza, e riferita al 2016, è stata evidenziata la debolezza attuale del sistema creditizio che sta lasciando spazio a capitali stranieri che vogliono acquisire quote rilevanti del risparmio italiano. «La congiunturale fase di contrazione creditizia», dicono i servizi di sicurezza, ha accentuato il complesso di criticità «ponendo le imprese nazionali dinanzi ad un'accresciuta sovraesposizione rispetto a manovre acquisitive estere dettate, più che da strategie di investimento, da finalità di depotenziamento competitivo, come pure agli inserimenti tossici di matrice criminale volti a condizionare la fisiologica concorrenza in ragione di prevalenti interessi al reinvestimento di capitali di provenienza illecita. Particolarmente sensibili in questa finestra temporale, per il ruolo connettivo di sostegno della crescita economica, la integrità e la solidità del sistema bancario, bersaglio, in qualche caso, di operazioni acquisitive da parte di campioni stranieri in grado di drenare all'estero quote significative del nostro risparmio». In tale contesto, la relazione riporta che i servizi d'informazione hanno intensificato il lavoro di monitoraggio a tutela degli asset nazionali rientranti nell'ambito della disciplina del golden power, orientando l'attività di intelligence verso «condotte estere potenzialmente lesive del corretto sviluppo della concorrenza internazionale e dell'allocazione efficiente delle risorse, nonché verso politiche economiche aggressive nell'attrazione di capitali stranieri»;
    le considerazioni della citata relazione sui servizi di sicurezza suggerirebbero di allargare, attraverso il previsto aggiornamento triennale dei regolamenti di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 21 del 2012, i settori di operatività del golden power estendendolo a quello del credito e finanziario;
    ulteriori valutazioni, che investono anche la dimensione europea dell'esercizio dei poteri speciali, dovranno essere svolte con riferimento all'impatto delle operazioni golden power (con particolare riferimento a quelle che riguardano investimenti esteri extra UE) nel quadro delle politiche dell'Unione a favore del mercato interno e nei settori economici strategici;
    la valutazione di un'operazione sottoposta alla procedura dei poteri speciali, se svolta unicamente da una prospettiva nazionale, rischia, da un lato, di non tenere conto delle conseguenze sul mercato interno europeo dei beni e servizi, dall'altro di non prendere in considerazione, nei settori considerati, analoghe e contestuali operazioni in altri Stati membri con impatti sugli equilibri interni all'Unione, e perfino sull'Unione stessa in quanto attore sui mercati globali. Queste criticità riguardano in generale il sistema industriale e infrastrutturale dell'Unione e le prospettive di sviluppo competitivo della sua economia. Tale valutazione, inoltre, acquisisce maggiore valenza in considerazione della mancanza, nei Trattati dell'Unione europea di una politica comune in tema di industria;
    inoltre gli stessi Trattati non consentono, ad esempio, un presidio stabile e mirato delle operazioni nei settori di rilevanza strategica ed un monitoraggio del loro impatto sulla competitività complessiva dell'Unione. Sarebbe, pertanto, opportuno individuare un punto di equilibrio tra l'interesse dello Stato membro a conservare la propria autonomia – ad esempio, in tema di privatizzazioni ed attrazione di investimenti esteri – e la necessità di assicurare il monitoraggio di operazioni che possono influire sugli assetti infrastrutturali, produttivi e tecnologici dell'Unione, ricorrendo a modalità di consultazione e condivisione a livello europeo, che potrebbero contribuire a contemperare queste diverse esigenze,

impegna il Governo:

1) ad assicurare protezione degli assetti strategici nazionali attraverso la tutela nei confronti di manovre acquisitive che possono mettere a rischio il controllo effettivo di tecnologie e know how industriale e commerciale essenziale per la competitività del sistema Italia;
2) ad adottare iniziative finalizzate ad introdurre una regolamentazione volta a rafforzare nelle operazioni di acquisizione la tutela degli asset strategici nazionali, attraverso la previsione di obblighi di trasparenza a carico degli acquirenti, in grado di garantire la permanenza sul territorio di insediamenti produttivi, competenze e posti di lavoro, sul modello di quanto già previsto in altri Paesi dell'Unione europea;
3) ad adottare le necessarie iniziative normative per modificare la disciplina del cosiddetto golden power, al fine di prevedere che l'eventuale opposizione tout court all'acquisizione di partecipazioni in attività di rilevanza strategica si possa esercitare anche nei confronti di imprese dell'Unione europea;
4) a provvedere entro il 2017 al previsto aggiornamento triennale di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 21 del 2012, allargando il perimetro di operatività del cosiddetto golden power alle attività dei settori creditizio e finanziario.
(1-01555)
«Marcon, Fassina, Paglia».
(22 marzo 2017)