TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 738 di Mercoledì 8 febbraio 2017

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A PREVENIRE E CONTRASTARE LA DIFFUSIONE DEL CITOMEGALOVIRUS

   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus o CMV appartiene alla famiglia degli Herpesvirus che comprende i più noti herpes labiale e genitale e il virus della varicella. Chi ha già avuto l'infezione non è immune completamente, quindi può contrarre una reinfezione;
    l'infezione da citomegalovirus si distingue in primaria o ricorrente, che a sua volta è distinta in riattivazione (da ceppo virale già presente nel soggetto) e reinfezione (da ceppo virale diverso da quello che ha già infettato l'organismo);
    le principali vie di contagio sono la saliva, il sangue, le urine e i rapporti sessuali; in casi molto rari il virus si trasmette in modo indiretto, attraverso l'utilizzo di oggetti comuni, come un bicchiere, uno spazzolino da denti o, importante per i bambini, un giocattolo;
    il citomegalovirus è un virus subdolo, che s'insinua nell'organismo spesso in punta di piedi, senza far perseguire in nessun modo la sua presenza. L'infezione generalmente causa solo una leggera febbre o senso di stanchezza, che spesso vengono ignorati o attribuiti ad altre cause, come influenza o stress;
    può provocare una sindrome mononucleosica protratta, con febbricola, stanchezza notevole e dolori muscolari; una caratteristica del citomegalovirus è che non si comporta allo stesso modo con tutti i soggetti;
    nelle persone immunodepresse, con ridotte difese immunitarie come i malati di Aids e di tumore o i trapiantati, il virus può essere all'origine di malattie gravi, quali polmoniti, epatiti o encefaliti;
    la gravidanza è associata a una transitoria immunodepressione, necessaria per evitare il rigetto del feto. Questa condizione favorisce non solo il contagio della gestante da parte del citomegalovirus, se non ha mai contratto l'infezione, ma anche la riattivazione o reinfezione, se il virus si presenta prima della gravidanza;
    se il citomegalovirus colpisce nei primi mesi il feto di una donna incinta che non ha mai avuto l'infezione, questo può subire effetti molto seri, perché l'organismo fetale non ha sviluppato ancora difese immunitarie, di conseguenza è privo di ogni tipo di protezione;
    i rischi per il nascituro sono numerosi e vanno dai problemi neurologici, come il ritardo mentale, i disturbi psicomotori, le sindromi spastiche, la sordità, ai disturbi più o meno seri dell'apparato gastroenterico, fino ai danni alla vista e agli occhi;
    il citomegalovirus è certamente un problema poco conosciuto, sottodiagnosticato, che colpisce un bambino su sette neonati nel nostro Paese. Si stima che l'infezione da citomegalovirus sia talmente diffusa (soprattutto tra portatori inconsapevoli) da interessare tra il 60 per cento e il 90 per cento della popolazione e che in Italia vi siano, ogni anno, 5.000 casi d'infezione congenita di neonati, ossia casi d'infezione in cui una donna incinta infetta trasmette l'infezione al feto;
    su mezzo milione di nati: 2.750 hanno sintomi alla nascita; 800 circa nascono ogni anno con disabilità permanenti di vario tipo e 1 bambino al giorno nasce con disabilità molto gravi: neurologiche, sordità, malformazioni, difetti di sviluppo cerebrale fino a cecità;
    difficile fare diagnosi retrospettive per cui molte disabilità non sono attribuite al citomegalovirus anche perché il virus può dare conseguenze tardive, avendo sintomi aspecifici, complicando ulteriormente l'inquadramento diagnostico. Anche i pediatri hanno, infatti, grande difficoltà a stabilire i danni attribuibili al citomegalovirus;
    i medici di base e anche molti ginecologi non informano le gestanti della necessità di sottoporsi al test e delle eventuali conseguenze per il feto se il virus è contratto in gravidanza. A questo proposito non esiste un reale coordinamento informativo che aiuti alla prevenzione del citomegalovirus;
    con riferimento a questo dannosissimo virus lo Stato italiano non riconosce lo screening obbligatorio gratuito in gravidanza, comportando de facto uno screening spontaneo e disomogeneo nelle varie realtà regionali con la conduzione ovvia di iter procedurali non corretti,

impegna il Governo:

1) a far conoscere questa malattia, attraverso una corretta e capillare informazione che spieghi i suoi effetti e che faccia acquisire comportamenti e forme di prevenzione improntati a un'igiene corretta e che possano evitare o ridurre i danni che la malattia stessa può arrecare se contratta in periodo gestazionale;
2) a promuovere lo studio e la ricerca del citomegalovirus per permettere ai medici che assistono le gestanti di diagnosticarla rapidamente e per sviluppare nuovi e sempre più efficaci strumenti utili ad aiutare una madre che dovesse contrarre questo virus;
3) ad assumere iniziative per ridurre il rischio di trasmissione da citomegalovirus e favorire la prevenzione rendendo gratuito e obbligatorio lo screening per le donne in gravidanza al fine di ridurre anche i costi sociali di una diagnosi tardiva o di un'inadeguata cura, visto che i neonati positivi al citomegalovirus vengono inseriti in un programma di controlli che li accompagna in media 10 anni o fino a quanto non abbiano maturato la negatività al virus;
4) a predisporre un censimento nazionale dei casi affinché in un lasso di tempo congruo si possa sapere con precisione qual è l'incidenza di casi che ricorre in Italia.
(1-01412)
«Vezzali, Valiante, Calabrò, Fitzgerald Nissoli, Faenzi, Parisi, Rabino, D'Agostino, Santerini, Pastorelli, Tinagli, Marzano, Giuseppe Guerini, Minnucci, Zanin, De Menech, Zoggia, Galati, D'Alessandro».
(26 ottobre 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV) è un virus appartenente alla famiglia degli Herpesviridae. Si tratta di un agente infettivo molto comune: nei Paesi sottosviluppati il 90-100 per cento della popolazione ne è contagiata, mentre in quelli occidentali il 60-80 per cento degli adulti presenta anticorpi anti- citomegalovirus nel siero. I sintomi, in età adulta e anche nell'infanzia, sono simili a quelli dell'influenza o della mononucleosi. Il virus è però particolarmente pericoloso se contratto dal feto, con una trasmissione verticale madre-figlio: in questo caso si parla di citomegalovirus congenito;
    la più frequente e pericolosa infezione materno-fetale è causata dal citomegalovirus, che è presente in circa 1 neonato su 100 (toxoplasmosi 1:400; rosolia 1:5000) e responsabile non solo di danni fetali ma anche di abortività e sterilità. Il rischio di trasmissione varia a seconda che si tratti di una prima infezione, cioè se è la prima volta che la madre contrae la malattia, oppure di una reinfezione. Nel primo caso il rischio di trasmissione al bambino è del 30-50 per cento, mentre nel secondo la trasmissione è rara, per quanto non ancora stabilita. Se il citomegalovirus colpisce nei primi mesi il feto di una gravida che non ha mai avuto l'infezione, può avere effetti molto seri, perché l'organismo fetale non ha sviluppato ancora difese immunitarie, di conseguenza è privo di ogni tipo di protezione;
    nei neonati infetti (circa 5000/anno in Italia), almeno il 10 per cento presenta manifestazioni cliniche. Tra queste le più gravi sono neurologiche, quali sindromi convulsive, microcefalia, idrocefalo, calcificazioni e difetti di sviluppo delle circonvoluzioni cerebrali, atrofia cerebrale e cerebellare;
    conseguenza purtroppo frequente di queste encefalopatie sono gravi ritardi psicomotori e sindromi spastiche. Inoltre, in almeno il 20 per cento delle infezioni sintomatiche alla nascita e nel 5 per cento di quelle asintomatiche, si sviluppa una sordità neurosensoriale, che è seguita da mutismo quando è bilaterale. Una percentuale ignota, probabilmente elevata, di sordità, encefalopatie congenite, disturbi mentali e comportamentali, potrebbe essere dovuta ad infezioni da citomegalovirus non diagnosticate alla nascita. Altre manifestazioni cliniche importanti dell'infezione congenita sintomatica sono polmonite ed epatite, talora persistenti ed evolventi in fibrosi, danni oculari (microftalmia, cataratta e corioretinite) e gastroenteropatie;
    l'infezione perinatale si trasmette durante il passaggio del feto nel canale del parto oppure in seguito a contagio del neonato da parte del sangue o del latte materni. Nei neonati prematuri o di basso peso, le trasfusioni di sangue sono un'importante via di trasmissione e di malattia. L'infezione attiva (presenza del virus replicante, evidenziabile con la ricerca del DNA) da citomegalovirus, primaria o non, si verifica nel 3-6 per cento delle gravide: la primaria (0.7-4 per cento) può associarsi ad una sindrome simil-influenzale ed aumento dei linfociti e delle transaminasi,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte a predisporre protocolli per una diagnosi tempestiva che individui la presenza del virus nell'organismo materno, al fine di limitare i rischi di conseguenze per il nascituro, prevedendo che la gestante si sottoponga con regolarità, se non ha mai contratto l'infezione, almeno una volta al mese, al test per rilevare la presenza del citomegalovirus, posto che, quando i danni fetali sono molto gravi, la terapia antivirale potrebbe essere incapace di consentire un buon sviluppo psicomotorio o evitare la sordità, e sarebbe opportuno, quindi, iniziare la terapia anti- citomegalovirus in gravidanza, per avere maggiori possibilità di prevenire o curare precocemente la malattia citomegalica;
2) a sostenere la ricerca e la sperimentazione di nuovi farmaci al fine di debellare l'infezione da citomegalovirus, verificando nel frattempo la possibilità di prescrivere farmaci già in commercio che, secondo studi recenti, possono essere utilizzati anche per bambini affetti da citomegalovirus;
3) a promuovere campagne di sensibilizzazione basate sui due principi cardine per il contenimento della malattia, informazione e igiene, al fine di diffondere una nuova e più completa cultura della prevenzione di una patologia che può colpire ampi strati della popolazione.
(1-01495)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Cristian Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(3 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (Cmv) è un virus appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, conosciuti per la loro distribuzione ubiquitaria, sia nell'uomo che in molti mammiferi. Tutti i ceppi di citomegalovirus sono geneticamente omologhi, ma nessuno è identico, a meno che non sia stato isolato da casi collegati fra loro epidemiologicamente;
    la malattia è strettamente specie-specifica: l'uomo è la sola riserva. Non si conoscono vettori nel ciclo naturale di trasmissione. I Cmv, caratteristici di altre specie, sono ad esse limitati e non diffondono all'uomo. Gli aspetti importanti dell'infezione da Cmv negli umani, sono: la capacità del virus di distruggere le cellule dell'ospite, la capacità di infettare cellule e tessuti diversi e di evadere e interferire con i meccanismi di difesa dell'ospite e la capacità di persistere indefinitamente nelle cellule;
    il Cmv è un agente infettivo molto diffuso a livello globale e in tutti gli strati sociali della popolazione. In generale, si registra una maggiore diffusione nei Paesi in via di sviluppo e nelle aree caratterizzate da scarse condizioni socioeconomiche. Si calcola che la percentuale della popolazione mondiale entrata in contatto con il Cmv si attesti fra il 60 e il 90 per cento. I soggetti di sesso femminile in età fertile presentano una percentuale che va dal 35 al 90 per cento in termini di casi di infezione;
    da ormai circa 50 anni in tutto il mondo si tenta la realizzazione di un vaccino contro questa infezione. Gli studi sulla vaccinazione contro il Cmv iniziarono negli anni 70, ma è solo dal 2000 che, grazie ad un'analisi condotta dall’US Institute of Medicine, che posizionò il Cmv in cima alla lista di priorità per lo sviluppo di vaccini, si ebbe un forte impulso e coinvolgimento delle industrie farmaceutiche;
    una volta contratta l'infezione, il virus rimane generalmente latente, in uno stato «dormiente», all'interno dell'organismo per tutta la vita, senza causare disturbi gravi, mentre alcuni soggetti sviluppano una forma leggera della malattia con febbre, mal di gola, affaticamento e ingrossamento dei linfonodi. L'infezione si trasforma solo di rado in patologia - in genere in presenza di un sistema immunitario gravemente compromesso - potendo causare gravi complicanze, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema nervoso;
    si riconoscono infezioni primarie e infezioni ricorrenti, dovute alla riattivazione di un'infezione latente o a una reinfezione esogena. Si ritiene che la sede della latenza virale sia rappresentata dai monociti, dai linfociti e dai neutrofili circolanti;
    la trasmissione del virus avviene da persona a persona tramite i fluidi del corpo, tra cui sangue, saliva, urina, liquidi seminali, secrezioni vaginali e latte. Il contagio può avvenire per contatto persona-persona, per trasmissione madre-feto durante la gravidanza o madre-figlio durante l'allattamento, per trasfusioni e trapianti di organi infetti. La diffusione «orizzontale» dell'infezione richiede contatti stretti e prolungati con pazienti infetti. Gli oggetti possono avere un loro ruolo nella trasmissione del Cmv: il virus è stato ritrovato sulle superfici di plastica e in generale sui giocattoli, per ore dopo la sua emissione;
    con la diffusione dell'infezione da virus dell'immunodeficienza umana (HIV), il Cmv si è dimostrato uno dei più frequenti agenti opportunisti nei pazienti immunocompromessi. Frequentissime sono, infatti, le infezioni da Cmv in soggetti affetti da Aids (sindrome dell'immunodeficienza acquisita) come in soggetti trapiantati in cui causano compromissione di organi vitali, gravi sofferenze, diminuita qualità di vita e a volte la morte. L'infezione da Cmv in malati di Aids è talmente frequente che, inizialmente, fu ritenuto che il Cmv fosse la causa prima dell'immunodeficienza acquisita e non un semplice agente opportunista;
    da un punto di vista medico, di particolare rilevanza è l'infezione congenita, contratta durante la gravidanza, che avviene per trasmissione verticale madre-feto e che può arrecare al nascituro danni permanenti anche gravi. È stato ipotizzato un maggior rischio di severità della malattia quando la trasmissione avviene nei primi tre mesi di gravidanza. Si distingue un'infezione congenita «primaria», quando viene contratta per la prima volta durante la gravidanza da una donna precedentemente sieronegativa, e «secondaria» quando avviene per riattivazione del virus latente o per reinfezione da un nuovo ceppo in una donna che aveva già contratto l'infezione. Delle donne che acquisiscono il Cmv in gravidanza o che manifestano una riattivazione, solo una minoranza trasmette il virus al feto. Questo evento si verifica, anche nel nostro Paese, intorno all'1 per cento di tutte le gravidanze. Si stima che in Italia vi siano ogni anno 5.000 casi d'infezione congenita;
    statisticamente, il rischio di trasmissione al feto varia fra il 30 e il 40 per cento per la forma primaria e fra lo 0,5 e il 2 per cento per la secondaria, inoltre l'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita risulta asintomatico. Tuttavia, il 10 per cento circa dei casi asintomatici presenta sequele tardive, generalmente con difetti uditivi di severità variabile. I soggetti sintomatici possono evidenziare disturbi temporanei o permanenti. In particolare, tra quelli temporanei si annoverano problemi al fegato, alla milza, ai polmoni, ittero, petecchie, piccole dimensioni alla nascita e convulsioni. I sintomi permanenti possono essere molto gravi e causare diverse forme di invalidità quali sordità, cecità, ritardo mentale, dimensioni piccole della testa, deficit di coordinazione dei movimenti, convulsioni fino alla morte. Va ricordato che in alcuni bambini i sintomi, quali perdita dell'udito e della vista, possono comparire anche mesi o anni dopo la nascita. Circa due neonati ogni 1.000 nati vivi soffrono per una infezione sintomatica congenita severa da Cmv;
    il virus può essere eliminato dall'organismo infetto anche per mesi o anni dopo un'infezione congenita, perinatale o post-natale precoce, attraverso le orine (per 6 o più anni) e la saliva (per 2-4 anni). Anche bambini o adulti dopo un'infezione primaria eliminano virus a lungo; negli adulti sieropositivi può avvenire un'escrezione intermittente di virus;
    attualmente non esiste un vaccino per la prevenzione del Cmv. Il modo migliore per limitare il rischio di contagio è un'attenta igiene personale, soprattutto per le categorie di persone più vulnerabili alla malattia. In generale, la pulizia della casa e soprattutto delle superfici contaminate da fluidi corporei (come saliva, urina, feci, liquidi seminali e sangue) facilita la prevenzione del contagio;
    in Italia non è previsto lo screening del citomegalovirus né prima della gravidanza né nei nove mesi di gestazione e neppure dopo il parto. La mancanza di un programma di screening coordinato ha portato ad avere de facto uno screening spontaneo e disomogeneo nelle varie realtà regionali. In altri Paesi europei, fra cui Svizzera e Germania, sono in essere dei programmi di screening autorizzati pre e durante la gravidanza,

impegna il Governo:

1) a intraprendere e implementare, nell'ambito del piano nazionale della prevenzione, le azioni volte a fronteggiare e alleviare i problemi associati a questa patologia, in particolare:
   a) promuovendo anzitutto una corretta e capillare informazione sul citomegalovirus che spieghi effetti e indichi comportamenti e forme di prevenzione, considerato che con una corretta informazione le future madri possono abbattere significativamente il rischio di contrarre l'infezione da citomegalovirus;
   b) assumendo iniziative per ridurre il rischio di trasmissione da citomegalovirus attraverso una corretta profilassi, basata su basilari norme igieniche in grado di abbattere drasticamente il rischio d'infezione, riducendo i danni che la malattia può arrecare se contratta in periodo gestazionale;
   c) emanando linee guida nazionali in materia di screening per le donne in fase preconcezionale, in gravidanza e post parto;
2) a promuovere ed incentivare lo studio e la ricerca sul citomegalovirus al fine di disporre di strumenti diagnostici sempre più efficaci e di contribuire al coronamento degli sforzi di 50 anni di ricerche a livello mondiale per mettere a punto un efficace vaccino protettivo.
(1-01496)
«Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Marti, Latronico».
(6 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV) è un virus molto comune appartenente alla famiglia degli herpes virus come la varicella, l’herpes labiale o il virus della mononucleosi. Nella grande maggioranza dei casi l'infezione è asintomatica, cioè chi la contrae non ha sintomi. In un 10 per cento dei casi si manifesta in modo simile all'influenza o alla mononucleosi. Negli adulti e nei bambini che contraggono l'infezione, i sintomi sono in genere lievi e generici, per esempio febbre, stanchezza, mal di gola, tanto che spesso non ci si accorge nemmeno della malattia. Chi si è già ammalato non è immune, quindi può nuovamente contrarre la malattia;
    il virus, però, può essere molto pericoloso se contratto in gravidanza, perché in questo caso può superare la placenta e può essere trasmesso al feto, con conseguenze che possono essere anche gravi. Il rischio di trasmissione varia a seconda che si tratti di una prima infezione, cioè se è la prima volta che la madre contrae la malattia, oppure di una re-infezione. Nel primo caso il rischio di trasmissione al bambino corrisponde a 3-4 casi ogni 10 gravidanze, mentre nel secondo caso la trasmissione è molto più rara e si verifica al massimo in 2 casi ogni 100 gravidanze. Per chi ha contratto l'infezione prima della gravidanza il rischio è molto basso e si stima che in Italia circa 8 donne adulte ogni 10 abbiano contratto la malattia prima della gravidanza;
    se la donna contrae per la prima volta il virus durante la gravidanza, c’è il rischio che anche il feto venga contagiato e in questo caso si parla di infezione congenita. Il rischio di trasmissione al feto varia dal 30 al 40 per cento, il che significa che su dieci bambini di madri che contraggono il citomegalovirus durante la gravidanza, 3 o 4 di loro lo contraggono a loro volta. Ma anche se il feto ha contratto il virus, non è detto che manifesti conseguenze a breve o a lungo termine. Di 10 bambini con citomegalovirus congenito solo 2 o 3 di loro avranno conseguenze;
    queste conseguenze però possono essere piuttosto serie. Possono riguardare il sistema nervoso centrale con malformazioni visibili anche in ecografia, oppure possono provocare ritardo mentale, sordità congenita, corio-retinite (una patologia della retina che provoca cecità): tutte condizioni non diagnosticabili in utero e delle quali ci si accorge solo dopo la nascita del bambino, a volte dopo mesi o anni;
    la probabilità che un bambino con citomegalovirus congenito manifesti una di queste disabilità è maggiore se già alla nascita aveva mostrato dei sintomi. Ma l'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita è asintomatico e solo il 10-15 per cento circa di questi bambini mostra sintomi alla nascita, in particolare si tratta di problemi al fegato, alla milza, ai polmoni; oppure ci sono convulsioni, si nota un ritardo di crescita e altro;
    il virus quindi non passa sempre al bambino e, anche quando si trasmette, non è detto che abbia conseguenze. In definitiva, i problemi di salute si possono manifestare in media in 3-6 bambini ogni 100 in cui la madre contragga per la prima volta in gravidanza il citomegalovirus;
    per sapere se la madre ha contratto il citomegalovirus durante la gravidanza e questo si è trasmesso al bambino occorre fare un esame del sangue, che ricerca la presenza di anticorpi specifici (immunoglobuline) contro il virus. In particolare, si cercano due tipi di immunoglobuline: le IgM, che si formano quando c’è un'infezione acuta in corso e segnalano che la malattia è in atto; le IgG, le cosiddette immunoglobuline della «memoria» dell'infezione. Se queste ultime risultano positive, vuol dire che la malattia è stata contratta in passato e quindi l'organismo ha sviluppato i relativi anticorpi;
    per sapere con certezza quando la madre abbia contratto il citomegalovirus si può eseguire il cosiddetto test di avidità (o avidity test) che permette di sapere se l'infezione si è avuta nei tre mesi precedenti la gravidanza oppure ancora prima;
    se appare ancora piuttosto controversa l'opportunità di uno screening di routine a tutti i neonati, si va invece diffondendo in ambito clinico la convinzione che sia molto utile fare uno screening in fase pre-concezionale o entro le primissime settimane di gravidanza, per sapere se si è già avuta la malattia;
    purtroppo, a oggi non esiste una terapia di dimostrata efficacia, né per prevenire la trasmissione materno-fetale né per scongiurare eventuali danni al bambino. E la prevenzione resta la strada più sicura per tutelare le madri durante la gravidanza, soprattutto nelle primissime fasi. Per limitare il rischio di infezione, le precauzioni più importanti sono di natura igienica;
    il citomegalovirus si trasmette tramite la saliva o semplicemente per via aerea, oltre che attraverso i liquidi corporei, come sangue e urine. Per questo il contagio è piuttosto facile, soprattutto se si hanno altri figli o si lavora in un ambiente dove ci sono bambini, bersaglio privilegiato dell'infezione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per facilitare la conoscenza dei rischi dell'infezione da citomegalovirus, in particolare tra medici di base, pediatri e ginecologi, attraverso una corretta e capillare informazione sulla patologia in questione, in modo da non sottovalutare i sintomi che spesso di presentano in forma molto lieve, ma non per questo meno insidiosa per il feto;
2) ad assumere iniziative per rafforzare la diffusione dei principi fondamentali della prevenzione improntati a una igiene corretta, in modo che si possano evitare o ridurre i danni che l'infezione da citomegalovirus può arrecare se contratta in gravidanza;
3) a stimolare lo studio e la ricerca del citomegalovirus per permettere una diagnosi precoce soprattutto nelle donne in gravidanza, e sviluppare strumenti sempre più efficaci per ridurre il rischio di trasmissione del citomegalovirus da madre a figlio;
4) ad assumere iniziative per favorire la prevenzione rendendo gratuito e obbligatorio lo screening per le donne in gravidanza al fine di ridurre i costi sociali di una diagnosi tardiva o di una cura inadeguata;
5) a garantire l'inserimento dei neonati positivi al citomegalovirus in programmi di controllo, che li accompagnino fino a quanto non abbiano maturato la negatività al virus (in media circa 10 anni);
6) ad assumere iniziative per predisporre presso l'Istituto superiore di sanità un registro nazionale dei casi di infezione da citomegalovirus, soprattutto di quelli che hanno contratto il virus durante la gravidanza o di quei bambini che sono risultati positivi al citomegalovirus alla nascita, affinché in un tempo congruo si possa sapere con precisione qual è l'incidenza di casi di infezione da citomegalovirus in Italia.
(1-01497)
«Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».
(6 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (Cmv) è un virus molto comune e generalmente diffuso della famiglia degli Herpesvirus. Una volta contratta l'infezione, il virus rimane latente all'interno dell'organismo per tutta la vita, ma può riattivarsi in caso di indebolimento del sistema immunitario;
    le infezioni da citomegalovirus, mentre nella maggior parte degli individui si presentano asintomatiche o con sintomi aspecifici quali febbre, mal di gola, affaticamento e ingrossamento dei linfonodi, negli individui immunodepressi possono causare gravi complicanze, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema nervoso; l'infezione contratta durante la gravidanza e trasmessa al feto può arrecare al bambino danni permanenti, anche gravi, con un maggior rischio di severità della malattia quando la trasmissione avviene nei primi tre mesi;
    il rischio di trasmissione al feto varia fra il 30 e il 40 per cento nella forma primaria e fra lo 0,5 e il 2 per cento nella forma secondaria. L'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita è asintomatico. Il 10 per cento circa dei neonati asintomatici presenta sequele tardive, generalmente difetti uditivi di severità variabile, con possibili decorsi fluttuanti o progressivi. Il 10-15 per cento circa dei neonati è invece sintomatico, con sintomi che possono essere temporanei o permanenti fino a forme di invalidità permanente come sordità, cecità, ritardo mentale, dimensioni piccole della testa, deficit di coordinazione dei movimenti, convulsioni o con esito letale;
    la rilevazione di anticorpi IgG contro il citomegalovirus su un campione di sangue indica un contatto con il virus, ma non è in grado di determinare né il periodo del contagio né l'eventuale trasmissione del virus al feto. Il test per rilevare gli anticorpi IgM, utilizzato per accertare le infezioni recenti, ha evidenziato spesso dei falsi positivi e non è quindi affidabile senza l'integrazione con altri tipi di test. Un test utilizzato per risalire al periodo dell'infezione è il test di avidità delle IgG;
    per determinare l'eventuale trasmissione del virus al feto sono necessari esami più invasivi, come l'amniocentesi o l'analisi del sangue fetale. Per individuare in un neonato un'infezione congenita da citomegalovirus durante le prime tre settimane di vita si cerca di evidenziare la presenza del virus nelle urine, nella saliva e nel sangue. In caso di citomegalovirus congenita non è stato ancora identificato nessun tipo di marker prognostico del periodo prenatale per determinare se il neonato sarà sintomatico o se svilupperà esiti;
    non si conoscono trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione madre-feto dell'infezione né per ridurre le conseguenze di un'infezione congenita. I farmaci disponibili sono estremamente dannosi per il feto. Alcuni farmaci antivirali possono aiutare a controllare l'infezione negli individui infetti;
    è difficile fare diagnosi retrospettive per cui molte disabilità non sono attribuite al citomegalovirus anche perché il virus può dare conseguenze tardive, avendo sintomi aspecifici, complicando ulteriormente l'inquadramento diagnostico,

impegna il Governo:

1) ad avviare una campagna informativa capillare, anche attraverso i consultori e i medici di medicina generale, per la conoscenza dei rischi di questa infezione e in particolare di quelli connessi alla interazione tra il citomegalovirus, la gravidanza e gli stati di depressione immunitaria anche transitori, sottolineando il ruolo delle comuni regole igieniche personali, in particolare il lavaggio delle mani, e degli ambienti domestici quali misure preventive alla trasmissione;
2) a promuovere lo studio del citomegalovirus, concorrendo alla ricerca per un vaccino specifico;
3) a predisporre un censimento nazionale dei casi per arrivare ad una precisa definizione dell'incidenza di infezioni;
4) a mettere a punto un programma di screening efficace sulle donne in età fertile e in gravidanza al fine di ridurre l'incidenza del citomegalovirus congenito ed i conseguenti costi sociali.
(1-01498)
«Amato, Lenzi, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini, Amoddio».
(6 febbraio 2017)

  La Camera,
   premesso che:
    il Citomegalovirus (Cmv) è un virus molto comune e diffuso a livello globale, appartenente alla famiglia degli Herpesvirus e può infettare chiunque. Contratta l'infezione, il virus rimane latente all'interno dell'organismo per tutta la vita, ma può riattivarsi in caso d'indebolimento del sistema immunitario;
    la sua trasmissione avviene da persona a persona tramite i fluidi del corpo, tra cui sangue, saliva, urina, liquidi seminali, secrezioni vaginali e latte o per trasfusioni e trapianti di organi infetti;
    molto spesso, le infezioni da Citomegalovirus sono asintomatiche; infatti, la maggior parte delle persone sane, adulti o bambini che contraggono la malattia, non manifesta sintomi, mentre alcuni soggetti sviluppano una forma leggera della malattia con febbre, mal di gola, affaticamento e ingrossamento dei linfonodi e tale sintomatologia potrebbe indurre i medici a compiere diagnosi errate;
    negli individui con un buon sistema immunitario il virus può essere tenuto sotto controllo; tuttavia, negli individui immunodepressi può causare gravi complicanze, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema nervoso e l'aspetto più importante è rappresentato dalle infezioni congenite;
    il Citomegalovirus, può essere eliminato dall'organismo infetto dopo la prima infezione, ma possono servire mesi o addirittura anni; specialmente i bambini piccoli possono addirittura diffonderlo per 5-6 anni dopo la nascita;
    un'infezione contratta durante la gravidanza e trasmessa da madre-figlio durante l'allattamento può arrecare danni permanenti anche gravi al bambino;
    l'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita è asintomatico, il 10 per cento circa dei neonati asintomatici presenta sequele tardive, generalmente difetti uditivi di severità variabile con possibili decorsi fluttuanti o progressivi;
    il 10-15 per cento circa dei neonati è invece sintomatico, con sintomi che possono essere temporanei o permanenti. Tra quelli temporanei si segnalano in particolare problemi al fegato, alla milza, ai polmoni, ittero, petecchie (cioè chiazze rosse sulla pelle corrispondenti a piccolissime emorragie), piccole dimensioni alla nascita e convulsioni;
    i sintomi permanenti possono essere molto gravi e causare diverse forme d'invalidità permanente come sordità, cecità, ritardo mentale, dimensioni piccole della testa, deficit di coordinazione dei movimenti, convulsioni fino alla morte;
    l'infezione materna viene classificata come primaria quando è acquisita per la prima volta durante la gravidanza in una donna precedentemente sieronegativa, e secondaria quando avviene per riattivazione del virus latente o per reinfezione da un nuovo ceppo in una donna che aveva già contratto l'infezione;
    il rischio di trasmissione al feto non sembra essere correlato al periodo gestazionale durante il quale viene contratta l'infezione. Si ipotizza però un maggior rischio di severità della malattia quando la trasmissione avviene nei primi tre mesi di gravidanza;
    purtroppo a oggi non esiste una terapia di dimostrata efficacia, né per prevenire la trasmissione materno-fetale, né per scongiurare eventuali danni al bambino;
    un esame del sangue della donna in gravidanza indica un eventuale contatto, ma non è in grado di determinare né il periodo del contagio, né l'eventuale trasmissione del virus al feto;
    inoltre, il test per rilevare gli anticorpi IgM – utilizzato per accertare le infezioni recenti – ha evidenziato spesso dei falsi positivi e non è quindi affidabile;
    per determinare l'eventuale trasmissione del virus al feto sono necessari esami più invasivi, come l'amniocentesi o l'analisi del sangue fetale e, in caso di Citomegalovirus congenita, non è stato ancora identificato nessun tipo di marker prognostico del periodo prenatale per determinare se il neonato sarà sintomatico o se svilupperà sequele;
    per contrastare il Citomegalovirus non si conoscono trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione madre-feto dell'infezione, né per ridurre le conseguenze di un'infezione congenita e i farmaci disponibili sono estremamente dannosi per il feto;
    anche l'opportunità di uno screening di routine è ancora molto controversa, sia per il rischio di gravi conseguenze permanenti (percentuale bassa), sia perché, una volta individuata l'infezione, non ci sono al momento terapie efficaci per contrastarla. Per questo molti ginecologi preferiscono non prescrivere il test,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per sensibilizzare i medici ginecologi e le future madri affinché si sottopongano ad uno screening, in fase preconcezionale o al massimo entro le primissime settimane di gravidanza, in modo da accertarsi se è stato contratto in passato il virus;
2) a promuovere una campagna d'informazione sulle norme di prevenzione del virus e sullo screening preconcezionale;
3) a favorire lo studio e la ricerca del vaccino contro il Citomegalovirus;
4) ad assumere iniziative per ampliare e finanziare nuovi metodi di ricerca per una terapia efficace per la prevenzione della trasmissione materno-fetale del Citomegalovirus e per scongiurare eventuali danni al bambino.
(1-01499)
«Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».
(6 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV), appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, è un virus comune da contagiare almeno tre adulti su cinque;
    le infezioni da citomegalovirus sono nella maggior parte degli individui asintomatiche, perché un buon sistema immunitario è in grado di tenerle sotto controllo, ma negli individui immunodepressi possono causare gravi complicanze, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema nervoso;
    la maggior parte degli individui sani, adulti o bambini, che contraggono la malattia non manifesta sintomi e non si accorge dell'infezione, mentre alcuni soggetti sviluppano una forma leggera della malattia con febbre, mal di gola, affaticamento e ingrossamento dei linfonodi; una volta contratta l'infezione, il virus rimane latente all'interno dell'organismo per tutta la vita, ma può riattivarsi in caso di indebolimento del sistema immunitario;
    l'aspetto più importante legato al citomegalovirus, dal punto di vista medico, è rappresentato dalle infezioni congenite;
    un'infezione contratta durante la gravidanza e trasmessa al feto può arrecare al bambino danni permanenti anche gravi;
    la trasmissione avviene da persona a persona tramite i fluidi del corpo, tra cui sangue, saliva, urina, liquidi seminali, secrezioni vaginali e latte;
    il contagio può avvenire per contatto persona-persona, per trasmissione madre-feto durante la gravidanza o madre-figlio durante l'allattamento, per trasfusioni e trapianti di organi infetti;
    se contratto nei primi mesi di gravidanza può essere causa anche di serie disabilità nel neonato;
    tra l'uno ed il quattro per cento delle future mamme viene infettato e un terzo lo trasmetterà al figlio;
    la donna in gravidanza è bersaglio facile per i virus, poiché le difese immunitarie si abbassano per impedire un rigetto fetale;
    se il contagio del feto è precoce possono manifestarsi ritardi mentali, sordità o conio retinite;
    spesso la diagnosi è formulata solo quando l'ecografia ha già evidenziato danni al feto;
    il rischio di trasmissione al feto varia fra il 30 e il 40 per cento nella forma primaria e fra lo 0,5 e il 2 per cento nella forma secondaria;
    l'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita è asintomatico. Il 10 per cento circa dei neonati asintomatici presenta sequele tardive, generalmente difetti uditivi di severità variabile, con possibili decorsi fluttuanti o progressivi. Il 10-15 per cento circa dei neonati è invece sintomatico, con sintomi che possono essere temporanei o permanenti. Tra quelli temporanei si segnalano, in particolare, problemi al fegato, alla milza, ai polmoni, ittero, petecchie, piccole dimensioni alla nascita e convulsioni. I sintomi permanenti possono essere molto gravi e causare diverse forme di invalidità permanente come sordità, cecità, ritardo mentale, dimensioni piccole della testa, deficit di coordinazione dei movimenti, convulsioni fino alla morte. In alcuni bambini i sintomi compaiono mesi o anni dopo la crescita, e in questi casi i più comuni sono la perdita dell'udito e della vista. La comparsa di disabilità permanenti è più probabile nei bambini che mostrano i sintomi già dalla nascita;
    lo screening precoce può essere fatto con un semplice esame del sangue; in Italia lo screening precoce non fa parte di linee guida condivise ed è ancora al centro di dibattito;
    non esiste attualmente un vaccino per la prevenzione del Citomegalovirus; il modo migliore per limitare il rischio di contagio è un'attenta igiene personale; più in generale, la pulizia della casa e soprattutto delle superfici contaminate da fluidi corporei (come saliva, urina, feci, liquidi seminali e sangue) facilita la prevenzione del contagio;
    alla luce delle attuali conoscenze lo screening di routine per citomegalovirus in gravidanza non è raccomandato, per vari motivi, fra cui principalmente: la mancata disponibilità di un trattamento preventivo o curativo efficace; la difficoltà nel definire un segno prognostico affidabile di danno fetale; la mancanza di consenso circa il management delle donne che presentano una sieroconversione in gravidanza; le potenziali conseguenze in termini di ansia indotta, perdite fetali iatrogene e aumentata richiesta di interruzione volontaria di gravidanza;
    negli Stati Uniti i Centers for Disease Control and Prevention nazionali raccomandano attenzione all'igiene, soprattutto quando si è a contatto con bambini di età inferiore ai 6 anni;
    con citomegalovirus congenito, anche in assenza di manifestazioni, il bambino resta infettivo per qualche anno e può trasmetterlo ad altri bambini;
    sono disponibili diversi test in grado di rilevare l'infezione da citomegalovirus;
    la rilevazione di anticorpi IgG contro il citomegalovirus su un campione di sangue indica un contatto con il virus, ma non è in grado di determinare né il periodo del contagio, cioè se l'infezione è in atto o risale al passato, molto utile in caso di gravidanza, né l'eventuale trasmissione del virus al feto. Nel caso in cui prima della gravidanza questo test risulti negativo, è importante che la donna presti particolare attenzione alle misure utili a evitare il contagio;
    il test per rilevare gli anticorpi IgM, utilizzato per accertare le infezioni recenti, ha evidenziato spesso dei falsi positivi e non è quindi affidabile senza l'integrazione con altri tipi di test;
    un test utilizzato per risalire al periodo dell'infezione è il test di avidità delle IgG;
    per determinare l'eventuale trasmissione del virus al feto sono necessari esami più invasivi, come l'amniocentesi o l'analisi del sangue fetale. Per individuare in un neonato un'infezione congenita da citomegalovirus durante le prime tre settimane di vita si cerca direttamente la presenza del virus (e non degli anticorpi) nelle urine, nella saliva e nel sangue. In caso di citomegalovirus congenita non è stato ancora identificato nessun tipo di marker prognostico del periodo prenatale per determinare se il neonato sarà sintomatico o se svilupperà sequele;
    non si conoscono trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione madre-feto dell'infezione né per ridurre le conseguenze di un'infezione congenita. I farmaci disponibili sono estremamente dannosi per il feto;
    alcuni farmaci antivirali possono aiutare a controllare l'infezione negli individui immunodepressi,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per prevedere forme di sostegno per la ricerca sul citomegalovirus, nonché per sviluppare sistemi di diagnosi che consentano il rapido riconoscimento del virus;
2) a sviluppare iniziative dirette a informare i cittadini sui sintomi derivanti dal virus e sulle conseguenze della mancata o tardiva cura;
3) ad assumere iniziative per sensibilizzare gli operatori del settore medico-sanitario al fine di promuovere lo screening per le donne in gravidanza;
4) ad assumere iniziative per prevedere forme di sostegno, anche economico, a favore delle famiglie dei bambini positivi al virus;
5) ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché le istituzioni e l'industria del farmaco adottino misure per promuovere l'innovazione e la ricerca e regolamentino la cooperazione e la condivisione di informazioni tra tutti i soggetti interessati.
(1-01500) «Gullo, Crimi, Occhiuto».
(6 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV) appartiene alla famiglia degli Herpes virus, è molto comune ed ha una diffusione molto elevata. Dopo la prima infezione, di norma resta latente all'interno dell'organismo che lo ospita, pronto a reinfettarlo nel caso di riduzione delle difese immunitarie individuali;
    il serbatoio di diffusione del virus è rappresentato essenzialmente dalla specie umana: la trasmissione è interpersonale, e avviene attraverso i fluidi organici, sangue, saliva, urine, liquidi seminali e vaginali, latte. Il contagio può dunque avvenire in modo diretto, ad esempio attraverso i rapporti sessuali, ma anche con un semplice bacio oppure per effetto di carenza di misure elementari di igiene;
    è pertanto indispensabile, specie in gravidanza, nella gestione di un neonato e tra gli immunodepressi, insistere molto sulla necessità di valutare correttamente l'ipotesi di rischio di citomegalovirus attivando conseguentemente ogni necessaria azione di prevenzione: lavarsi spesso le mani, in particolare prima di avere contatti diretti con gli orifizi del neonato; evitare la promiscuità di asciugamani, posate, bicchieri, spazzolini da denti; evitare di frequentare i luoghi troppo affollati e stipati, in particolare nei periodi invernali;
    la cosiddetta «prima infezione», con insediamento del citomegalovirus nell'organismo, passa spesso inosservata sotto il profilo sintomatologico: può talora causare disturbi di tipo influenzale o essere addirittura completamente asintomatica;
    è invece differente l'estrinsecazione del virus negli individui immunodepressi: il citomegalovirus è un vero e proprio spauracchio nei centri trapiantologici o nella popolazione defedata (pazienti oncologici, ammalati di AIDS), potendo causare polmoniti, encefaliti ed epatiti di difficilissima gestione;
    il citomegalovirus può inoltre causare gravi danni nella trasmissione dalla madre infetta al feto, in particolare quando questa trasmissione avviene nel primo trimestre della gravidanza, quando è maggiore il rischio di malformazioni congenite del prodotto del concepimento;
    l'infezione materno-fetale può essere «primaria», quando la donna viene infettata per la prima volta proprio in corso di gravidanza, e «secondaria» quando invece essa discende dalla riattivazione del virus latente oppure da una nuova infezione legata ad un ceppo di virus differente;
    il rischio di trasmissione del citomegalovirus per via verticale materno-fetale, secondo dati dell'Istituto superiore di sanità, è assai elevato (30-40 per cento) nel caso di infezione primaria, lo è assai di meno (0,5-2 per cento) nel caso di infezione secondaria;
    la frequenza di infezione neonatale da citomegalovirus è oggi molto alta (1:100), superiore di quattro volte a quella della toxoplasmosi e di cinquanta volte a quella della rosolia per cui si stima che, ogni anno, in Italia nascano circa 5.000 bambini che hanno contratto l'infezione da citomegalovirus;
    l'85-90 per cento dei neonati che contraggono l'infezione attraverso il circuito materno-fetale è asintomatico ma, in circa il 10 per cento di questi casi apparentemente negativi, il bambino presenta sequele infettive tardive, quasi sempre correlate a danni della funzione uditiva, con andamento ciclico o, talora, francamente progressivo;
    il 10-15 per cento dei neonati infettati presenta invece sintomi alla nascita che spesso sono transitori e regrediscono spontaneamente o dopo terapia. Tra questi, si segnalano sofferenze degli organi splancnici e dei polmoni, ittero e sindrome petecchiale;
    altre volte i danni sono invece permanenti, più frequentemente a carico del sistema uditivo e visivo, con possibili complicazioni neurologiche (convulsioni, ritardo mentale, microcefalia, idrocefalo, atrofia cerebellare, danni cerebrali con sindromi spastiche e disturbi extrapiramidali). I danni possono configurare rilevanti invalidità permanenti, talora ad esordio tardivo, più gravi nei bambini che presentano problemi significativi già alla nascita;
    nonostante la loro relativa frequenza, non sempre i segni della infezione neonatale da citomegalovirus sono immediatamente riconosciuti, sia a causa della loro aspecificità e rilevanza talora modesta, che per effetto della latenza con cui talora si manifestano;
    attualmente non esiste una vaccinazione in grado di prevenire il contagio da citomegalovirus per cui l'unica prevenzione efficace è rappresentata dalla conoscenza del problema e dall'attivazione di misure igieniche cautelari, particolarmente accurate e attente nei soggetti immunodepressi e nelle donne in gravidanza;
    attualmente lo screening sistematico delle donne gravide non è universalmente raccomandato, in quanto la diagnosi di infezione latente o quella di sieroconversione in gravidanza non sempre sono tecnicamente facili da fare e, soprattutto, non comportano l'attivazione di un percorso terapeutico specifico scientificamente validato (anche se esistono studi avanzati sull'impiego della immunoglobuline specifiche e dei farmaci antivirali), non consentono di valutare con certezza l'eventuale danno fetale e corrono invece il rischio di causare vere e proprie sindromi ansiose nelle puerpere, con effetti negativi sulla gestazione, sino al ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza;
    la diagnosi della trasmissione dell'infezione al feto richiede anch'essa esami invasivi (amniocentesi, esame del sangue fetale), può realizzarsi anche tardivamente e addirittura nel corso dell'attraversamento del canale del parto e non introduce a protocolli terapeutici schematizzati;
    è certamente più facile individuare con certezza l'avvenuto contagio nel neonato (ricerca del virus nei liquidi organici) senza che però l'accertamento diagnostico possa essere predittivo di eventuali sintomatologie tardive o esiti permanenti a distanza;
    ogni modifica degli attuali protocolli diagnostici e terapeutici relativi al citomegalovirus, in particolare per quanto attiene alle infezioni in gravidanza, va sottoposta ad attente valutazioni dei rapporti costo/benefici di salute e va validata attraverso la conferma delle best practice internazionali,

impegna il Governo:

1) a potenziare le iniziative finalizzate alla corretta informazione della popolazione sui rischi da infezione da citomegalovirus, con particolare riferimento ai pazienti immunodepressi e alle donne in gravidanza e sulla conseguente necessità di adottare e rafforzare le corrette le corrette misure di prevenzione igienica del caso;
2) a promuovere un potenziamento delle iniziative di formazione specifica del personale sanitario a contatto con i pazienti a maggior rischio di infezione da citomegalovirus, perché cresca la generale attenzione del sistema sanitario nei confronti di tale patologia;
3) ad implementare e diffondere i protocolli per garantire la sorveglianza della corretta attuazione delle misure igienico-sanitarie di prevenzione, per supportare adeguatamente i pazienti nella valutazione del rischio, per garantire la massima vigilanza nella individuazione precoce delle eventuali anomalie di sviluppo ecografico correlabili al sospetto di infezione da citomegalovirus e dei sintomi neonatali, consentendo la diagnosi precoce, il monitoraggio dei casi sintomatici di infezione, l'intercettazione precoce di eventuali patologie tardive e la loro valutazione a distanza;
4) ad incaricare l'Istituto superiore di sanità, con la possibile collaborazione delle società scientifiche, di effettuare una accurata valutazione dei migliori protocolli scientifici internazionali per verificare se esistano evidenze certe che inducano ad introdurre in Italia un sistema di screening sistematico e di diagnosi precoce della eventuale sieroconversione per il citomegalovirus delle donne in gravidanza, da cui conseguano eventuali diagnosi precoci sul feto ed eventuali interventi profilattici o terapeutici in grado di ridurre significativamente il rischio di danni temporanei o permanenti al prodotto del concepimento;
5) ad assumere iniziative per rafforzare il sistema nazionale di monitoraggio delle infezioni da citomegalovirus per avere ogni possibile certezza sulla esatta valutazione dell'incidenza dei danni correlati;
6) a dedicare ogni possibile sforzo ai filoni di ricerca scientifica sul citomegalovirus per garantire il massimo contributo della ricerca italiana nell'individuazione della possibile copertura vaccinica e di ogni nuova opportunità diagnostica e terapeutica che consenta di ridurre il rischio di danno correlato al citomegalovirus per la popolazione a rischio.
(1-01501)
«Vargiu, Monchiero, Matarrese, Dambruoso, Librandi, Menorello, Oliaro, Quintarelli».
(7 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV) è un virus che appartiene alla famiglia dell’herpes labiale e genitale, della varicella, della mononucleosi infettiva. È molto comune e, se contratto, rimane latente all'interno dell'organismo per tutta la vita, con la possibilità di riattivarsi in caso di indebolimento del sistema immunitario;
    se è vero che, nella stragrande maggioranza dei casi, l'infezione da citomegalovirus avviene in assenza di sintomi e il paziente guarisce grazie alle difese immunitarie, detta infezione, soprattutto nelle persone immunodepresse, può portare a gravi complicanze;
    uno dei problemi è che gran parte delle infezioni da citomegalovirus non viene diagnosticata subito perché la persona infetta di solito presenta sintomi di lieve entità – sintomi peraltro simili a quelli di altre patologie – oppure appare perfettamente sano. Il contagio, quindi, può passare inosservato;
    ad oggi, non esiste un vaccino per la prevenzione di questo virus, e il modo migliore per ridurre il rischio di contagio rimane sicuramente la prevenzione, anche attraverso un'attenta igiene personale, soprattutto per le categorie di persone più vulnerabili alla malattia (donne in gravidanza, individui immunodepressi, bambini piccoli o appena nati);
    il contagio può avvenire per contatto persona-persona, per trasfusioni e trapianti di organi infetti, per trasmissione madre-feto, durante la gravidanza o madre-figlio durante l'allattamento;
    peraltro, un'infezione contratta durante la gravidanza e trasmessa al feto (cosiddetto citomegalovirus primario) può comportare per il bambino danni permanenti anche seri. Danni che possono riguardare il sistema nervoso centrale, oppure provocare ritardi mentali, sordità congenita, patologie della retina che portano anche alla cecità, fino a disturbi più o meno seri dell'apparato gastroenterico;
    nel nostro Paese manca un programma di screening gratuito e ben coordinato, né prima della gravidanza, né nei nove mesi di gestazione e neanche dopo la nascita;
    peraltro, uno studio scientifico tutto italiano, pubblicato nell'agosto 2015 su EBioMedicine, ha dimostrato come una donna incinta ben informata sulle norme igieniche da seguire è in grado di evitare l'infezione durante la gravidanza e quindi di non infettare il suo bambino. Mentre infatti nel gruppo di controllo di donne non informate, 9 donne su 100 hanno contratto l'infezione da citomegalovirus, solo 1 su 100 ha contratto l'infezione nel gruppo che aveva ricevuto adeguate informazioni;
    si rammenta che, ogni anno, si osservano circa 13 mila infezioni primarie da citomegalovirus nelle donne in gravidanza; 5 mila sono i bambini che nascono in Italia, con un'infezione congenita, e di questi circa 800 subiscono delle disabilità permanenti;
    riguardo a possibili interventi terapeutici da considerare durante la gravidanza, l'Osservatorio malattie rare, ricorda come diversi studi hanno dimostrato i benefici delle immunoglobuline specifiche per il citomegalovirus (CMV-IVIG) nella prevenzione del CMV congenito. «Otto paesi europei e Israele sottopongono di routine le donne in gravidanza a test per il citomegalovirus e questo ha portato a grandi sviluppi nella gestione del medesimo CMV. Uno studio inoltre suggerisce che lo screening universale sia la soluzione migliore anche da un punto di vista economico». Le CMV-IVIG sono costose, tuttavia, è stato dimostrato che, grazie alla diminuzione delle conseguenze nei neonati, con esse si ha una soluzione conveniente anche da un punto di vista economico;
    uno dei problemi aperti, è che non si conoscono trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione madre-feto dell'infezione, né per ridurre le conseguenze di un'infezione congenita;
    per la donna gravida che acquisisca l'infezione mancano farmaci specifici utilizzabili in epoca prenatale in grado di ridurre il rischio di trasmissione o di curare il feto in utero;
    il costo sanitario e sociale dell'infezione congenita da citomegalovirus è enorme. Si stima che, in Paesi come la Germania e l'Italia, i costi diretti di una infezione congenita da citomegalovirus superino i 60.000-100.000 euro, mentre le conseguenze per le famiglie colpite sono enormi;
    un ruolo fondamentale per la prevenzione e l'informazione, deve essere svolto prioritariamente dai medici di famiglia e dai ginecologi nei confronti delle gestanti,

impegna il Governo:

1) a intraprendere tutte le iniziative più idonee e a stanziare opportune risorse, per favorire la ricerca medica e farmacologica per l'individuazione di uno specifico vaccino contro il citomegalovirus, nonché per lo studio del citomegalovirus anche al fine di consentire una diagnosi precoce, con particolare riferimento alle donne in età fertile;
2) ad assumere iniziative per prevedere lo screening gratuito per le donne in gravidanza e in età fertile al fine di prevenire la trasmissione e contrastare il virus;
3) a predispone efficaci campagne informative e di sensibilizzazione sulla conoscenza del virus e per ridurre i rischi di infezione e di trasmissione del citomegalovirus, con particolare riferimento alle donne in gravidanza e in età fertile, e alle categorie di persone più vulnerabili alla malattia;
4) ad assumere iniziative di competenza per implementare i programmi di formazione dei medici e in particolare dei medici di base e dei ginecologi.
(1-01502)
«Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».
(7 febbraio 2017)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   RONDINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione per le adozioni internazionali, essendo l'unico organismo titolato ad autorizzare in Italia l'ingresso di minori adottati all'estero, svolge un ruolo di primario interesse per le famiglie in attesa di vedere completato il percorso di adozione;
   stando alle notizie pubblicate dagli organi di stampa, le famiglie adottanti, in questi giorni, si sono riunite in associazioni spontanee per manifestare contro il Governo che, ad oggi, non ha provveduto ancora ad assegnare la delega politica per l'esercizio delle funzioni di presidente della commissione;
   secondo indiscrezioni pubblicate dalla stampa, sembrerebbe che la mancata delega sia dovuta anche ad uno scontro politico-istituzionale tra l'ex presidente della commissione, il Ministro pro tempore Boschi, e la vice presidente attuale;
   secondo gli interroganti è intollerabile questo ritardo nell'individuare il soggetto chiamato a svolgere effettivamente il ruolo di presidente della commissione, quando il tema meriterebbe una particolare attenzione finalizzata ad individuare una linea programmatico-politica mirata a ridurre i tempi di attesa e a semplificare e razionalizzare i costi legati alla procedura –:
   per quali ragioni non si sia ancora proceduto a delegare l'esercizio delle funzioni di presidente della Commissione per le adozioni internazionali e quale sia la linea programmatico-politica del Governo in materia di adozioni, al fine di velocizzare i tempi, semplificare le procedure e razionalizzare i costi a carico delle famiglie. (3-02767)
(7 febbraio 2017)

   GIAMMANCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'itinerario arabo normanno di Palermo, Monreale e Cefalù, un percorso che attraversa due civiltà dai grandissimi contenuti artistici, nel 2015 è stato dichiarato dall'Unesco «Patrimonio mondiale dell'Umanità» ed inserito nella World Heritage List;
   nel mese di ottobre 2016 il Presidente della Repubblica ha dato ufficialmente il via alle cerimonie per l'apertura del sito;
   ad oggi, purtroppo, il sito presenta molte criticità. I collegamenti sono scarsi ed inadeguati: una volta arrivati a Palermo, i turisti hanno difficoltà a raggiungere Monreale, visto che c’è solo un autobus che parte ogni ora e mezza;
   va, inoltre, segnalata la grave carenza del parcheggio comunale di Monreale, la mancanza di un ufficio turistico, l'assenza di servizi igienici pubblici a disposizione dei visitatori;
   il sito è poi caratterizzato da evidente degrado ambientale, molto visibile e sotto gli occhi di tutti: dalle strade ai palazzi, ai monumenti trascurati e non illuminati a sufficienza;
   la villa comunale, sito di enorme interesse artistico e culturale, è solo parzialmente fruibile e non è stata ancora messa in sicurezza;
   la piazza di Monreale è solo parzialmente chiusa al traffico –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare ogni iniziativa di competenza per verificare quanto riportato in premessa, anche eventualmente con l'invio di ispettori ministeriali, al fine di esaminare le criticità e far sì che si possano prendere tutte le iniziative del caso, anche coinvolgendo la Regione siciliana, in maniera che Monreale sia all'altezza del ruolo che riveste all'interno del percorso arabo normanno e, quindi, sia valorizzata nel modo adeguato. (3-02768)
(7 febbraio 2017)

   GIGLI e SBERNA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   rispondendo a precedenti atti di sindacato ispettivo, il Ministro interrogato segnalava l'esistenza del registro dei donatori di gameti e la completa tracciabilità delle donazioni, garantendo interventi in caso di sospetti;
   un'inchiesta, pubblicata da Corriere.it il 28 dicembre 2016, solleva ora pesanti sospetti sull'importazione di gameti per la fecondazione eterologa delle regioni italiane;
   il giornale segnala la moltiplicazione di ovobanche in Spagna e pubblicità contenenti messaggi espliciti: «Diventa donatrice di ovociti. La tua generosità sarà ricompensata»;
   a Marbella opera Ovobank, prima banca di ovociti in Europa e principale punto di riferimento degli ospedali italiani. Alla data dell'inchiesta, Ovobank vantava 40 contratti attivi e 20 in attesa di sottoscrizione. Nelle richieste dall'Italia vengono specificate le caratteristiche delle richiedenti, utili a selezionare la donatrice più compatibile dal punto di vista immunologico e fisico. Secondo i responsabili, Ovobank riceverebbe 100-150 richieste dall'Italia al mese;
   il lavoro più difficile è trovare le mujeres donantes che, secondo la coordinatrice di Ovobank, «vengono sottoposte a visita psicologica, ginecologica e analisi del sangue. Quando va a segno l'abbinamento (...) la donatrice si sottopone a un trattamento ormonale di 10-15 giorni, con punture nella pancia (...). La giovane viene contemporaneamente una decina di volte alla clinica per i controlli ecografici». Infine, arriva il momento del prelievo vero e proprio, con anestesia e intervento chirurgico laparoscopico;
   per questa procedura, impegnativa e pericolosa, non si trovano donne disponibili in Italia. In Spagna se ne trovano molte, per la modica cifra di mille euro, che sarebbero elargiti non come compenso, vietato, ma come rimborso spese per i disagi;
   mentre la sanità italiana fatica a sostenere l'essenziale e l'Italia retrocede nelle classifiche, l'eterologa è entrata nei livelli essenziali di assistenza e le regioni pagano a Ovobank 4.000 euro a gamete, da moltiplicare per sei per ogni ricevente, per un totale di 24.000 euro a ricevente per i soli ovociti;
   nell'articolo si chiarisce che sarebbero 1.300 le donatrici collegate a Ovobank, nei cui laboratori verrebbero prelevati circa 8.000 gameti all'anno, dei quali il 60 per cento diretto in Italia. Sembrerebbe che ogni donatrice si sottoponga a 6 prelievi all'anno, non per guadagnare 6.000 euro, ma per «spirito di solidarietà», virtù molto diffusa in Spagna e irreperibile in Italia –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa di competenza volta ad assicurare controlli adeguati, anche in ambito europeo, per impedire forme di sfruttamento del corpo femminile.
(3-02769)
(7 febbraio 2017)

   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI, PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Augusta è presente un presidio ospedaliero denominato «Emanuele Muscatello» che serve anche i cittadini di città limitrofe, quali Melilli, Priolo Gargallo e Sortino;
   gli interventi del governo regionale per la rimodulazione degli ospedali siciliani sono stati molteplici e hanno portato gravi ripercussioni su quello di Augusta, nonostante sul territorio siano presenti impianti a rischio incidente rilevante (facenti parte di un importantissimo polo petrolchimico), l'arsenale della Marina militare, una casa circondariale e un porto di rilevanza europea;
   con il piano sanitario regionale 1277 del 2010, infatti, l'ospedale è stato incorporato a quello di Lentini, con la soppressione di reparti essenziali, a fronte della promessa di apertura dei nuovi reparti di oncologia e neurologia, a tutt'oggi praticamente non operativi;
   in un territorio pesantemente colpito dall'inquinamento del polo petrolchimico e un tasso di mortalità derivata da tumore superiore alla media regionale, la creazione di un polo oncologico di eccellenza è considerato dalla popolazione un atto dovuto e la sua mancata realizzazione ad avviso degli interroganti un affronto inaccettabile;
   dal 2010 ad oggi sono state molte le manifestazioni cittadine a difesa del diritto alla salute e sia diversi comitati spontanei che il tribunale dei diritti del malato hanno chiesto la scorporazione dell'ospedale Muscatello da quello di Lentini, il ripristino dei vecchi reparti e la piena operatività di quelli nuovi;
   il 5 ottobre 2015 il consiglio comunale di Augusta ha votato all'unanimità una mozione di indirizzo (deliberazione n. 38 del 2015) con cui si è impegnata l'amministrazione comunale a chiedere, tra i diversi impegni: l'attuazione del polo oncologico con assegnazione dell'unità operativa; il potenziamento del reparto di endoscopia digestiva con l'assegnazione di nuovo personale; lo sblocco dei fondi previsti dall'articolo 20 della legge n. 67 del 1988 (edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico) destinati all'azienda sanitaria provinciale di Siracusa in cui rientra la quota parte per l'ospedale di Augusta, finalizzato agli interventi manutentivi e tecnologici;
   appare quanto mai urgente l'ipotesi di attingere ai fondi previsti dal citato articolo 20 della legge n. 67 del 1988 per un miglioramento complessivo della struttura e dei servizi –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e, in caso positivo, quali iniziative intenda assumere per verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, acquisendo ogni utile elemento sulle cause che impediscono la piena operatività dell'ospedale Muscatello di Augusta e il ripristino dei reparti soppressi, rendendo noti a quanto ammontino i fondi di cui in premessa, se siano mai stati utilizzati e, in caso affermativo, per quali finalità. (3-02770)
(7 febbraio 2017)

   MONCHIERO e VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come ogni anno, in corrispondenza dell'inevitabile picco di influenza, le cronache ci rappresentano lo scenario di pronto soccorso sovraffollati, ove gli utenti vengono assistiti in condizioni di gravissimo disagio;
   ha destato particolare sensazione il caso di Nola, con le immagini di pazienti assistiti su materassi adagiati per terra, in una sorta di anticamera infernale prima di ricevere le cure più appropriate;
   a questo caso estremo la risposta delle autorità è andata in due direzioni opposte: da un lato, l'immediata sospensione dei medici responsabili della struttura, decisa dalla regione, dall'altro, il riconoscimento delle virtù e dell'abnegazione del personale sanitario, da molti definito «eroico». Risposte entrambe eccessive e che eludono la sostanza del problema, ben più diffuso di quanto comunemente non si ritenga;
   è, infatti, di pochi giorni fa la notizia, riportata dalla stampa locale, che nella città di Alba, in Piemonte, una persona molto nota per il suo passato di sindaco e di presidente della locale associazione commercianti abbia trascorso, in pronto soccorso, un paio di giorni in barella, prima dell'indispensabile ricovero;
   aldilà dell'attendibilità dei dettagli delle notizie riportate, è di assoluta evidenza che le soluzioni sino ad oggi tentate, per superare l'annoso problema dell'intasamento delle strutture destinate all'emergenza-urgenza, non hanno dato i risultati sperati e che il numero degli accessi in pronto soccorso corrisponda, da tempo, a circa il 40 per cento della popolazione;
   è pertanto indispensabile approfondire la conoscenza del fenomeno e acquisire, accanto al numero di accessi e alla loro classificazione al triage, anche dati certi circa la durata dello stazionamento in pronto soccorso prima del ricovero vero e proprio –:
   se esistano dati attendibili, inerenti alla durata media e a quella massima della permanenza in pronto soccorso, per tutte le strutture d'Italia e, qualora il dato non fosse disponibile, quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per acquisirlo in tempi brevi. (3-02771)
(7 febbraio 2017)

   ZOLEZZI, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, NESCI, COLONNESE, DI VITA, DALL'OSSO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   altri atti di sindacato ispettivo segnalavano la situazione della struttura complessa di oncologia dell'azienda socio-sanitaria territoriale «Carlo Poma» di Mantova e richiedevano, fra l'altro, un'ispezione, avvenuta nel settembre 2016, e di cui si attendono gli esiti;
   la procura di Mantova ha avviato un'indagine sulla base di un esposto delle dottoresse Pisanelli e Adami e il primario della struttura complessa Cantore è stato iscritto nel registro degli indagati;
   da notizie di stampa emerge che l'utilizzo di farmaci oncologici codificati da linee guida internazionali (come pemetrexed, lenalidomide, capecitabina e altri) sia stato ridotto in maniera drastica nel primo periodo di conduzione del reparto da parte del dottor Cantore, per poi risalire dopo le segnalazioni delle due dottoresse alla direzione aziendale;
   il dottor Cantore già nel reparto di precedente conduzione, l'oncologia di Massa Carrara, ha stimolato l'utilizzo di una pratica, definita «terapia locoregionale», di somministrazione di farmaci oncologici, che appaiono agli interroganti di vecchia generazione, per via vascolare locale relativamente all'organo bersaglio (fegato, mammella e altri);
   sulla piattaforma delle buone pratiche aziendali (Talete) sono state pubblicate le linee guida, seguite dalla citata struttura complessa, per quanto riguarda il trattamento del cancro del pancreas. La bibliografia appare agli interroganti autoreferenziale e non aggiornata: studi osservazionali non controllati, revisioni limitate, studi di fase 1 e uno di fase 3 non in cieco e che parrebbero in contrasto con la metodologia internazionale Consort. Nessuna delle voci riportate compare nelle linee guida Asco (American society of clinical oncology);
   nella comunità medica internazionale per linee guida si intendono raccomandazioni la cui «forza» si basa su una gerarchia di prove scientifiche (Rct, trials randomizzati e controllati e relative metanalisi);
   sia nel caso del cancro del pancreas localmente avanzato che metastatico, il Journal of clinical oncology dell'agosto 2016 non fa alcun riferimento a terapia locoregionali in arteria. Tale procedura presenta caratteri economici particolari, un importante guadagno per la struttura che la pratica (per il rimborso delle procedure invasive e di radiologia interventistica) e una scarsa spesa sui farmaci da somministrare –:
   se non ritenga utile promuovere, anche avvalendosi dell'Istituto superiore di sanità, studi sulla somministrazione di farmaci oncologici per via locoregionale, in modo tale da promuovere una valutazione autorevole di tali procedure mediche in corso presso l'azienda socio-sanitaria territoriale «Carlo Poma» di Mantova e chiarire dal punto di vista strettamente sanitario tutte le questioni relative alla citata struttura complessa, con possibili risvolti positivi anche a livello nazionale.
(3-02772)
(7 febbraio 2017)

   PETRENGA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Caserta, nella località di Casagiove, operava sino a due anni fa un ospedale militare;
   l'immobile, appartenente al demanio militare, che ospitava la struttura ospedaliera dismessa versa in uno stato di grave abbandono e appare quanto mai necessario trovare una nuova destinazione d'uso agli edifici;
   per il territorio sarebbe di primaria importanza mantenere la vocazione sanitaria della struttura, destinandola a centro di eccellenza nei settori della chirurgia oncologica e dell'oculistica e a centro riabilitativo per pazienti in coma, specialità che mancano –:
   se non ritenga di adottare ogni iniziativa di competenza volta al mantenimento della vocazione sanitaria della struttura di cui in premessa, affinché essa possa ospitare reparti medici specialistici carenti nel territorio casertano. (3-02773)
(7 febbraio 2017)

   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Stretto di Messina s.p.a., in liquidazione, è soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Anas s.p.a., che a partire dal 1o ottobre 2007 controlla la società con una partecipazione al capitale sociale dell'81,848 per cento;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 aprile 2013, è stata deliberata la liquidazione della società Stretto di Messina s.p.a., ai sensi dell'articolo 34-decies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;
   con il medesimo decreto è stato nominato un commissario liquidatore, con l'incarico di definire, entro un anno, ogni adempimento connesso alle procedure previste dalla legge fallimentare;
   tali adempimenti, a quanto consta all'interrogante, non sembrano attualmente essersi conclusi, né tantomeno si ha conoscenza dello stato dell'arte delle operazioni definite dal medesimo commissario liquidatore, connesse ai criteri di liquidazione e alla definitiva fase di estinzione della società;
   dalla delibera 28 dicembre 2016, n. 17, della Corte dei conti si evince che l'onere annuo per il mantenimento in vita della società Stretto di Messina s.p.a. è rimasto sopra i due milioni di euro fino al 2015;
   per la Corte dei conti, tuttavia, i costi di gestione della società risultano «ancora rilevanti» e, pertanto, sarebbe opportuno «accelerare la chiusura della stessa»;
   la società continua a pagare stipendi agli organi sociali, fattore richiamato dai giudici contabili, che esprimono la «necessità di ridimensionare i costi della società inclusi quelli degli organi sociali»;
   la società ha anche aperto un contenzioso con le amministrazioni, chiedendo rilevanti somme a titolo di indennizzo, per un ammontare di circa 300 milioni di euro;
   il contenzioso va a sommarsi a quello aperto dai privati per la mancata realizzazione dell'opera, elemento che a parere della magistratura contabile «risulta contrario ai principi di proporzionalità, razionalità e buon andamento dell'agire amministrativo»;
   i giudici contabili ritengono poi «opportuno che gli azionisti della Stretto di Messina s.p.a. compiano una specifica valutazione circa i vantaggi conseguibili dal contenzioso attivo, a fronte di costi certi per la permanenza in vita della stessa società» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, per risolvere una condizione di evidente criticità, quale è quella descritta in premessa. (3-02774)
(7 febbraio 2017)

   FOLINO, FRANCO BORDO, SCOTTO, AIRAUDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come emerge dalla stampa nazionale, a seguito dell'accordo del 2 febbraio 2017, tra Assoutenti e Trenitalia, i vertici dell'azienda hanno riconosciuto ufficialmente la necessità di ottimizzare il modello di calcolo delle tariffe. Si legge, infatti, in un comunicato di Trenitalia: «L'azienda condivide il disagio e le recriminazioni dei comitati pendolari che lamentavano il fatto che con l'algoritmo applicato gli abbonamenti sovraregionali arrivano a costare fino al 33 per cento in più di quanto dovrebbero essere tariffati»;
   per amore di verità, più che di un semplice disagio si dovrebbe parlare di una vera e propria truffa, visto che migliaia di pendolari, per ben 10 anni, avrebbero pagato abbonamenti di fatto gonfiati;
   in particolare, secondo Assoutenti, nella formazione delle tariffe degli abbonamenti ferroviari sovraregionali vi sarebbe qualcosa che non funziona e, segnatamente, un singolare algoritmo che, anziché rendere le tariffe allineate, le disallinea, con il risultato di innescare un meccanismo di distorsione tariffaria per cui gli abbonamenti arrivano a costare fino al 33 per cento in più;
   il problema nasce nel maggio 2015, quando, di fronte agli ennesimi aumenti paventati, i vari comitati dei pendolari scoprono che la tariffa sovraregionale è maggiore della somma delle singole tariffe regionali per le tratte coinvolte;
   subito è scattato il rimpallo delle responsabilità: per Trenitalia la determinazione delle tariffe nel trasporto regionale è di competenza esclusiva delle regioni e delle province autonome e l'algoritmo cui fanno riferimento i media è quello definito e approvato in sede di Commissione trasporti della Conferenza delle regioni e delle province autonome nel luglio del 2007;
   per quanto risulta agli interroganti sarebbe pronta a partire una class action di migliaia di pendolari per chiedere il totale rimborso di quanto ingiustamente pagato dagli abbonati (oltre 70.000) dal 2007 ad oggi e, come si evince dalla stampa nazionale, vi sarebbe, peraltro, il rischio che a pagare possano essere gli enti locali che, oltre ai tagli subiti per effetto delle manovre economiche di questi ultimi anni, dovrebbero caricarsi degli esborsi necessari a mantenere gli impegni sottoscritti nei contratti di servizio stipulati con Trenitalia, che, a sua volta, non intende veder scalfiti gli importi concordati e garantiti a livello pluriennale –:
   quali iniziative urgenti di competenza si intendano assumere affinché sia fatta luce sulla vicenda di cui in premessa, con particolare riferimento al pieno accertamento delle cause e affinché si provveda all'immediato risarcimento della platea di pendolari su cui ha impattato l'errore di calcolo. (3-02775)
(7 febbraio 2017)

   CARLONI, TULLO, ANZALDI, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, MARCO DI STEFANO, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, META, MINNUCCI, MOGNATO, MURA, PAGANI, SIMONI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA, BINI e TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2017 Trenitalia ha comunicato l'aumento del costo degli abbonamenti per le linee ferroviarie ad alta velocità che, da Nord a Sud del Paese, si aggira attorno al 35 per cento;
   sulla tratta Torino-Milano, ad esempio, lunga 153 chilometri e che conta circa 1.600 abbonati, l'abbonamento mensile passa da 340 a 459 euro; la Roma-Napoli, invece, lunga 213 chilometri e che conta circa 2.000 abbonati, rincara da 356 euro a 481 euro;
   questi sono solo due esempi dell'insostenibilità del costo degli abbonamenti, che hanno scatenato le proteste degli utenti, rappresentati dal Comitato nazionale pendolari alta velocità e Federconsumatori;
   a seguito di numerosi solleciti del Parlamento, del Governo e delle regioni, il 25 gennaio 2017 l'amministratore delegato di Trenitalia ha sospeso, a partire dal mese di marzo 2017, il rincaro degli abbonamenti, paventando però un reintegro di essi dal mese di giugno 2017;
   la questione abbonamenti è annosa ed incrocia temi come i servizi a mercato ed il servizio universale, la legislazione nazionale ed europea, nonché chiama in causa l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e l'Autorità di regolazione dei trasporti, quest'ultima a parere degli interroganti ondivaga circa il da farsi e poco incisiva nella tutela dei passeggeri;
   inoltre, la questione di fruibilità delle linee ad alta velocità, costruite con soldi pubblici, ma destinate quasi esclusivamente per servizi a mercato, stride con i cambiamenti che i treni rapidi hanno introdotto nella società italiana, di cui il pendolarismo è il più evidente fenomeno;
   tale fenomeno è tutt'altro che marginale, come Trenitalia ha provato a far passare: infatti, si stima che i pendolari sulle tratte ad alta velocità siano circa 10.000. Anche qui, sarebbe utile maggiore chiarezza sui numeri reali da parte dell'azienda –:
   quali siano le azioni di tutela che si intendano intraprendere a favore di una categoria di persone economicamente e socialmente molto penalizzate dal suddetto rincaro, fermo restando il poco tempo a disposizione per intervenire - così come indicato dall'amministratore delegato di Trenitalia - e, al contempo, se non si ritenga che le possibili soluzioni possano coinvolgere anche l'altro operatore in concessione sulle linee ad alta velocità, la Nuovo trasporto viaggiatori, che, unilateralmente, non eroga più il servizio in abbonamento. (3-02776)
(7 febbraio 2017)