TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 729 di Martedì 24 gennaio 2017

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   FERRARA, PELLEGRINO, FRANCO BORDO e NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute e al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da articoli di stampa si apprende che in alcuni comuni ricadenti nell'area del nolano vi è da circa un mese la pervasiva comparsa, su balconi, terrazze, ringhiere e nelle abitazioni, di una strana sostanza, collosa ed appiccicaticcia, difficile da rimuovere;
   la sostanza in questione sta allarmando la popolazione residente considerato il fatto che l'area si inquadra in quello che è stato definito dalla stampa «Terra dei fuochi»;
   questa misteriosa sostanza si è depositata anche sui raccolti che si stanno immettendo nella catena alimentare: si tratta di ortaggi, patate, limoni, arance, mandarini, pomodori, e altro;
   a parere degli interroganti vi è il timore che quanto narrato in premessa non sortisca l'effetto di immediata reazione da parte delle autorità preposte alla tutela ambientale, della salute delle persone e della catena alimentare;
   a questo strano fenomeno si aggiungono le risultanze documentali e le allarmanti raccomandazioni conseguenti ad una recente indagine ambientale sulle falde acquifere condotta dall'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania e trasmessa, per competenza, all'Asl Napoli 3 Sud. Le risultanze evidenziano che è indispensabile un maggiore controllo del territorio da parte delle istituzioni preposte al fine di evitare che le popolazioni residenti in detta area continuino a subire danni alla propria salute;
   il dipartimento di prevenzione dell'ARPAC ha invitato alcuni comuni della zona della «Terra dei fuochi» ad assumere urgenti provvedimenti sul proprio territorio comunale, quali il divieto assoluto di irrigazione con l'acqua dei pozzi e di commercializzazione dei prodotti agricoli prodotti in quelle aree –:
   quali interventi urgenti i Ministri interrogati, nei limiti di competenza, intendano porre in essere per tutelare il territorio interessato dal rischio, qualora fosse accertata la tossicità della sostanza collosa, di un'ulteriore peggioramento delle matrici ambientali di un'area già gravemente segnata;
   quali azioni di competenza il Governo intenda assumere per il territorio interessato a seguito delle recenti risultanze documentali dell'ARPAC. (3-01006)
(4 settembre 2014)

B) Interpellanza

   Il sottoscritto intende chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, commi da 974 a 978, della legge 28 dicembre 2015, n.  208 (legge di stabilità 2016), ha istituito il «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia»;
   per l'attuazione delle suddette disposizioni, per l'anno 2016, veniva autorizzata la spesa di 500 milioni di euro, le cui modalità di assegnazione sono state definite con specifico bando (il cosiddetto «Bando periferie»), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dello scorso 1o giugno 2016;
   i comuni hanno risposto con grande interesse al bando, tanto che le richieste di interventi da finanziare inviate dalle amministrazioni ammontavano ad oltre 2,1 miliardi di euro;
   nei mesi scorsi il Presidente del Consiglio pro tempore Matteo Renzi aveva quindi annunciato pubblicamente che sarebbero stati finanziati, attraverso un ulteriore stanziamento di risorse previsto nella legge di bilancio 2017, tutti i progetti sulle periferie avanzati dalle singole amministrazioni comunali che avevano partecipato al bando;
   l'articolo 1, comma 141, della legge 11 dicembre 2016, n.  232 (bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), prevede che «al fine di garantire il completo finanziamento dei progetti selezionati nell'ambito del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia (...) con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) sono destinate ulteriori risorse a valere sulle risorse disponibili del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2014-2020.»;
   il 9 gennaio 2017 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la graduatoria dei 120 comuni vincitori del bando periferie: i primi 24 progetti – spiega il decreto di approvazione – sono finanziati con i 500 milioni di euro stanziati dalla legge di stabilità 2016; gli altri 96, per un fabbisogno di 1,6 miliardi di euro, saranno finanziati con risorse successivamente disponibili;
   data la previsione contenuta nella legge di bilancio 2017 sopra richiamata, e le rassicurazioni che lo stesso Presidente del Consiglio pro tempore Renzi aveva offerto, anche pubblicamente, all'Anci e ai comuni interessati, sarebbe stato opportuno provvedere a rendere immediatamente disponibili per tutte le amministrazioni che avevano partecipato al bando le risorse necessarie al finanziamento dei progetti –:
   quali siano i passaggi procedurali necessari allo stanziamento delle risorse previste dall'articolo 1, comma 141, della legge 11 dicembre 2016, n.  232, volte a garantire il completo finanziamento dei progetti selezionati nell'ambito del programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia;
   quali siano realisticamente le tempistiche per l'effettiva disponibilità delle risorse necessarie al completo finanziamento degli ulteriori 96 progetti presenti nella graduatoria del «bando periferie».
(2-01582) «Occhiuto».
(13 gennaio 2017)

C) Interrogazione

   FRANCO BORDO e D'ATTORRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   RFI, Rete ferroviaria italiana del gruppo Ferrovie dello Stato italiane, risulta essere stazione appaltante dei lavori relativi alla realizzazione del collegamento ferroviario Arcisate-Stabio, tratta Induno Olona-Arcisate-Bivio verso il confine di Stato di Gaggiolo;
   Cogefer s.p.a. è stata autorizzata ad eseguire in subappalto i lavori di movimento di materie nel contesto dell'appalto di cui sopra;
   il subappalto è stato affidato in data 20 maggio 2009 con convenzione n.  25/2009 all'A.T.I. composta da I.C.S. Grandi Lavori s.p.a. (mandataria) è CARENA s.p.a. (mandante);
   la I.C.S. non ha onorato le obbligazioni da essa assunte nei confronti della Cogefer s.p.a., in particolare per quanto concerne il pagamento dei corrispettivi dovuti per lavori già eseguiti, la definizione dei rispettivi diritti ed obblighi nelle ipotesi di prosecuzione ovvero di risoluzione del rapporto di appalto secondo le determinazioni della committenza, la consensuale determinazione dell'importo da riconoscere a Cogefer s.p.a. a titolo risarcitorio e compensativo per i maggiori oneri e danni dalla stessa subiti a causa dell'anomalo sviluppo esecutivo e della sospensione dei lavori disposta in attesa dell'approvazione delle varianti necessarie e dell'acquisizione del relativo finanziamento;
   la committente, RFI, nel corso del 2014 ha determinato di risolvere il rapporto di appalto con I.C.S., concordando con essa somme importanti per la risoluzione del suddetto contratto, senza che sia previsto alcun impegno da parte di I.C.S Grandi Lavori s.p.a. di saldare quanto dovuto a Cogefer s.p.a. per il citato subappalto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione;
   se vi siano profili di responsabilità per omessa vigilanza da parte della stazione appaltante di Rete ferroviaria italiana, società sotto il controllo dello Stato;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, affinché si giunga ad una risoluzione della controversia in corso. (3-02595)
(2 novembre 2016)

D) Interrogazione

   CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2016 veniva siglato un accordo fra Anas, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Agenzia del demanio per la valorizzazione delle case cantoniere in funzione del turismo sostenibile;
   lo stesso accordo prevedeva la selezione di 30 case cantoniere pilota per la riconversione in strutture a vocazione turistica, di fornitura di servizi e di valorizzazione dei prodotti artigianali ed enogastronomici dei territori su cui insistono gli immobili;
   come da patto, l'Anas si impegna alla ristrutturazione delle case cantoniere individuate, riservandosi la definizione e la garanzia degli standard dei «servizi base» (ospitalità e ristorazione);
   tra le 30 aree pilota individuate, vi sono l'alta Lombardia, la via Francigena, il tracciato dell'Appia Antica, ed in seguito quella del Cammino di San Francesco e di San Domenico;
   sulla base di criteri per la standardizzazione dei servizi base (ristorazione ed ospitalità) e dei servizi specifici (vendita di prodotti di eccellenza enogastronomica e artigianale del territorio) vengono individuati i giovani come soggetti principali per la gestione delle case cantoniere;
   in Sicilia sono presenti ben 149 case cantoniere su 1244 del totale nazionale, ben il 12 per cento;
   la Sicilia ha una distribuzione delle case cantoniere sia lungo le dorsali marittime che nelle zone interne e diverse sono in importanti snodi in cui sono localizzati grandi attrattori culturali;
   la Sicilia ha una fortissima vocazione turistica e una carenza di strutture ricettive e di servizi al cliente nonché una percentuale di giovani disoccupati al di sopra della media nazionale;
   le aree sperimentali sopra citate hanno avuto una fase di start up fino al 30 giugno 2016 con degli obiettivi da raggiungere:
    definire le case cantoniere oggetto di riqualificazione e business plan progetto pilota;
    definire il modello di rete di servizi diffusa sul territorio;
    individuare una o più tipologie di progetto da realizzare (turismo e cultura, accoglienza, enogastronomia e altro);
    definire e avviare le procedure necessarie per rendere operativi i progetti pilota;
    monitorare i risultati dei progetti pilota, per verificare opportunità e fattibilità dell'estensione degli immobili interessati fino al raggiungimento degli obiettivi prefissati –:
   quali siano stati i risultati raggiunti in questa fase sperimentale;
   se tali risultati possano da subito portare ad un ulteriore allargamento del patto per la valorizzazione delle case cantoniere nel Sud del Paese e in Sicilia. (3-02717)
(23 gennaio 2017)
(ex 5-09903 del 2 novembre 2016)

E) Interrogazione

   DE LORENZIS, SPESSOTTO, LIUZZI, DELL'ORCO, BRESCIA, CATALANO, LOREFICE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Automobile Club d'Italia è un ente pubblico non economico che per proprio statuto si occupa delle tematiche della mobilità, è sottoposto alla vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ed ha un organico di circa 3000 dipendenti pubblici;
   il presidente dell'ACI è Angelo Sticchi Damiani, che risulta essere stato condannato dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio, con sentenza n. 2021/05, recentemente confermata anche in appello, a risarcire l'ente stesso per un danno erariale di 21.986,30 euro per una storia di sponsorizzazioni gonfiate a società private, effettuate «con deprecabile superficialità e approssimazione», per i Campionati automobilistici italiani nel triennio 1998-2000;
   con Sticchi Damiani è stato condannato anche l'attuale vice presidente, Pasqualino De Vita, ed altre cinque persone, tutti componenti del Comitato esecutivo ai tempi dei fatti esaminati e ritenuti «gravemente colpevoli» per un danno totale all'ACI di circa 154 mila euro (il 10 per cento del danno arrecato);
   nonostante la sentenza esecutiva il presidente non ha ancora risarcito l'ACI del danno erariale subito;
   si apprende da organi di stampa che Sticchi Damiani sia stato anche oggetto di procedimenti penali a suo carico e che solo in corte di appello (Bari n. 665 del 4 maggio 2011) sia stato prosciolto dai reati ascritti;
   nonostante tali difetti dei requisiti di eleggibilità, ai sensi dello statuto dell'ente e della direttiva del CONI n. 450 del 20 dicembre 2011, è stato ugualmente nominato presidente dall'assemblea dell'ACI, con successivo parere favorevole, ottenuto con un solo voto di differenza, emesso dalla IX Commissione permanente della Camera il 6 marzo 2012 sull'errato presupposto che la sentenza in appello in tema di danno erariale sarebbe stata favorevole allo Sticchi Damiani –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative dirette, anche alla luce dei fatti e delle sentenze descritti in premessa, per valutare se sussistano i presupposti per rimuovere Angelo Sticchi Damiani e Pasqualino De Vita dalla funzione di presidente e vice presidente dell'ACI e conseguentemente nominare un commissario straordinario che sovrintenda alle attività dell'ente nelle more delle nuove elezioni. (3-02721)
(23 gennaio 2017)
(ex 4-03267 del 22 gennaio 2014)

F) Interrogazione

   MALISANI e RAMPI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   c’è molto di raccapricciante e sconvolgente nella carneficina di uomini, libri e monumenti che la barbarie fondamentalista dell'ISIS ha compiuto e sta compiendo in molti luoghi del Medio oriente, dove la storia degli uomini ha saputo nei secoli costruire luoghi e idee da tutelare affinché continuino a parlare di ciò che è stato e che è bene ricordare e tramandare;
   ci si trova di fronte a un'opera di demolizione culturale con un accanimento folle contro l'identità storica irachena, sedimentata tra opere d'arte, architetture e siti archeologici. Assistiamo alla tragica devastazione di antiche tombe, chiese, moschee, santuari riconducibili all'Islam, ma anche all'Ebraismo e al Cristianesimo come la Chiesa Verde Tikrit, il monumento cristiano tra i più antichi del Medio Oriente;
   i jihadisti che controllano Mosul, nel nord dell'Iraq, hanno distrutto la moschea intitolata al profeta Giona, considerata uno dei più importanti monumenti storici e religiosi della città e luogo di pellegrinaggio di cristiani e musulmani, sia sunniti sia sciiti;
   l'attacco a Nimrud è stato definito «crimine di guerra» dalla Direttrice generale dell'UNESCO, Irina Bokova, che ha fatto appello a tutti i responsabili politici e religiosi della regione per reagire ai gravi attacchi commessi dall'Isis contro il Patrimonio culturale mondiale;
   lo spregio verso la vita umana e lo scempio delle statue antiche compiuto dall'ISIS rappresentano una ferita alla storia dell'umanità intera;
   in fase di approvazione del decreto-legge sulle «misure urgenti per il contrasto del terrorismo nonché sulla proroga delle missioni internazionali» – è stato accolto un ordine del giorno a difesa del patrimonio storico e artistico dell'umanità – sistematicamente distrutto o depredato da parte dell'ISIS – che ha impegnato il Governo a proseguire sulla strada intrapresa, affidando al personale dell'Arma dei carabinieri la responsabilità nei teatri operativi in attività di tutela del patrimonio artistico e culturale, nonché nel contrasto del traffico di opere d'arte finalizzato al finanziamento delle azioni di matrice terroristica internazionale;
   il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha fatto propria l'idea di mettere in campo una forza, sotto la guida delle Nazioni Unite, in grado di intervenire a difesa delle antichità e dei beni patrimonio dell'umanità. La direttrice generale dell'Unesco, Irina Bokova, e il Ministro della cultura tedesco, Monika Grütters, hanno espresso il proprio sostegno alla proposta di Franceschini;
   in questi giorni l'allarme dato dell'Unesco per la città di Palmira – testimonianza unica dell'architettura imperiale d'Oriente – si è rivelato purtroppo fondato: la città è caduta in mano all'ISIS e si sa già che «ci sono state delle distruzioni», ha dichiarato la direttrice generale dell'Unesco Irina Bokova –:
   come i Ministri interrogati intendano procedere al fine di costituire le condizioni per tutelare il grande patrimonio culturale presente in oriente, anche attraverso l'utilizzo dei cosiddetti caschi blu della cultura. (3-02718)
(23 gennaio 2017)
(ex 5-05679 del 3 giugno 2015)

G) Interrogazione

   GITTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da un comunicato stampa del Ministero dell'economia e delle finanze del 17 marzo 2015 si apprende dell'intenzione di Italia, Francia e Germania di entrare a far parte come membri fondatori della Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB); la AIIB è una nuova banca d'investimento fondata a Pechino nel 2014, che lavorerà con le banche multilaterali di sviluppo e di investimento esistenti, con l'intenzione di assumere un ruolo di rilievo nel finanziamento dell'ampio fabbisogno infrastrutturale dell'Asia, puntando ad attrarre investimenti in settori come trasporti, energia e telecomunicazioni, promuovendo così lo sviluppo economico e sociale nella regione;
   dal comunicato si apprende inoltre che «Francia, Germania e Italia, operando in stretto raccordo con i partner europei e internazionali, intendono lavorare con i membri fondatori della AIIB per costruire un'istituzione che segua i migliori principi e le migliori pratiche in materia di governo societario e di politiche di salvaguardia, di sostenibilità del debito e di appalti», con l'obiettivo di contribuire nel lungo periodo alla crescita mondiale;
   la AIIB costituisce un progetto fortemente voluto dalla Cina e viene considerata da molti osservatori, come rilevato dal New York Times e dal Financial Times, una «concorrente» di Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Asian Development Bank, strutture dove gli Stati Uniti ricoprono un ruolo di primo piano nel capitale e nelle scelte strategiche; da tempo la Cina chiede una riforma della governance di queste istituzioni per dare maggior peso ai Paesi emergenti, ma i progetti risultano in stallo al Congresso americano;
   la divisione delle sfere d'influenza delle istituzioni nate a Bretton Woods prevede che a capo del Fondo monetario internazionale vi sia un europeo e alla testa della Banca mondiale un americano, mentre nell’Asian Development Bank, la cui sede è a Manila, è forte l'influenza del Giappone; il Governo cinese ha tentato, finora invano, di modificare questi equilibri: è inoltre da tempo impegnato nella creazione della Banca dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che tuttavia ha subìto diversi slittamenti, mentre nel campo della sicurezza ha fondato l'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, di cui fanno parte anche Russia e Repubbliche dell'Asia centrale;
   nel 2013 è quindi nata l'idea dell'AIIB, formalmente fondata il 24 ottobre 2014: ha sede a Pechino e sarà inizialmente capitalizzata con 50 miliardi dollari, in gran parte versati dalla Cina, che ha in programma di aumentare il capitale sociale autorizzato fino a 100 miliardi. Oltre alla Cina, i firmatari iniziali sono Mongolia, Uzbekistan, Kazakhstan, Sri Lanka, Pakistan, Nepal, Bangladesh, Oman, Kuwait, Qatar, India e tutti i membri dell'Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN), con l'eccezione di Indonesia, Australia e Corea del Sud; i vertici governativi di Australia e Corea del Sud non escludono però l'ingresso, contrariamente al Giappone, che insieme agli Usa risulta invece il Paese con maggior peso nell’Asian Development Bank;
   il 13 marzo 2015 anche la Gran Bretagna ha annunciato la sua adesione, provocando una reazione di irritazione da parte degli Stati Uniti, che vedono nell'istituzione una minaccia al loro predominio negli organismi finanziari multilaterali; il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz si è detto soddisfatto per la partecipazione di quattro Paesi europei all'AIIB, ma ha sottolineato che la banca dovrà conformarsi agli standard internazionali per l'erogazione degli investimenti per quel che riguarda governance, sostenibilità ambientale e protezione sociale. Secondo l'agenzia di stampa di Stato cinese Xinhua, anche Svizzera e Lussemburgo stanno valutando l'ingresso nell'AIIB: il termine ultimo per entrare a far parte dei fondatori è il 31 marzo 2015, ma i contenuti dell'accordo tra le parti devono essere ancora finalizzati –:
   se siano disponibili maggiori informazioni in merito all'ingresso dell'Italia nell’Asian Infrastructure Investment Bank, in particolare riguardo alle risorse nazionali che verranno impiegate come quota di partecipazione al capitale, alla destinazione geografica e alla tipologia degli investimenti in programma e agli standard che verranno imposti per la loro erogazione;
   se la partecipazione dell'Italia e degli altri Paesi europei all’Asian Infrastructure Investment Bank possa essere considerata, nell'ambito di un progetto più articolato e in corso di definizione, una politica volta a un riequilibrio del sistema economico internazionale che tenga conto del peso economico dei Paesi nella distribuzione delle influenze negli organismi finanziari multilaterali. (3-02719)
(23 gennaio 2017)
(ex 5-05118 del 24 marzo 2015)

H) Interrogazione

   RICCIATTI, MELILLA, QUARANTA, DURANTI, NICCHI, PIRAS, SCOTTO, FRATOIANNI, COSTANTINO, GIANCARLO GIORDANO e FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i recenti eventi che hanno riguardato l'Italia hanno portato i Governi che si sono succeduti dall'estate del 2011 ad oggi ad intervenire sulla spesa pubblica, tanto è vero che molti dei provvedimenti sin oggi emanati hanno avuto come obiettivo quello di contenere la spesa e il debito pubblico;
   la ricerca degli sprechi ha portato al centro del dibattito economico l'efficienza, l'utilità e soprattutto il finanziamento di alcuni enti che fanno parte della pubblica amministrazione, tra i quali rientrano anche le camere di commercio, attualmente oggetto di un complesso processo di riforma rispetto al quale, come ben noto, sono state espresse molteplici criticità sia in sede parlamentare che extraparlamentare;
   con la legge di stabilità 2015 e, segnatamente, l'articolo 1, commi da 391 a 394, della legge n.  190 del 23 dicembre 2014, le camere di commercio sono state inserite nel sistema della tesoreria unica, con conseguente diminuzione secca di interessi attivi sulle giacenze bancarie che, per quanto risulta agli interroganti, ha comportato nel caso della camera di commercio del comune di Macerata una perdita secca di circa 170.000 euro di interessi attivi. In sostanza, si è passati, infatti, dal tasso di interesse che per scaglioni arrivava fino al 3 per cento lordo, ad un tasso di interesse stabilito dal Ministero dell'economia e delle finanze sulle giacenze di tesoreria unica che ad oggi corrisponde allo 0,001 per cento lordo in virtù del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 9 giugno 2016;
   appare incomprensibile come questo meccanismo produca perdita di proventi su disponibilità liquide del sistema camerale su cui lo Stato non opera, peraltro, alcun trasferimento –:
   se il Ministro interrogato sia conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno adottare, già nell'ambito della prossima manovra di bilancio 2017, ogni iniziativa normativa utile finalizzata all'esclusione del sistema camerale dall'applicazione delle disposizioni in materia di tesoreria unica dettate previste dalla legge di stabilità 2015, consentendo così alle camere di commercio di investire in conti correnti realmente fruttiferi le proprie disponibilità, così come avveniva prima del 2015. (3-02554)
(14 ottobre 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE AL FENOMENO DELLA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI

   La Camera,
   premesso che:
    i dati diffusi dal rapporto « Review on Antimicrobial Resistance», pubblicato nel 2016, riportano che, entro il 2050, le infezioni resistenti agli antibiotici potrebbero essere la prima causa di morte al mondo, con un tributo annuo di oltre 10 milioni di vite, più del numero dei decessi attuali per cancro;
    il 26 maggio 2016 gli scienziati del dipartimento alla difesa Usa hanno individuato un super-batterio resistente a qualsiasi tipo di antibiotici, si tratta di una specie di «escherichia coli» riscontrata nelle urine di una donna di 48 anni della Pennsylvania;
    il dettaglio più allarmante, spiega il rapporto pubblicato sulla rivista della Società americana di microbiologia, « Antimicrobial Agents and Chemotherapy», è che l'agente patogeno in questione, è resistente persino all'antibiotico «colistin». La colistina, infatti, è considerata l'ultima spiaggia degli antibiotici e se un batterio riesce a sopravvivere anche a questa è impossibile fermarlo. Potrebbe essere, scrivono i media americani, «la fine della strada» per gli antibiotici;
    uno scenario che potrebbe essere evitato; infatti, il 21 settembre 2016, i Paesi membri dell'Onu si sono riuniti per fare il punto e proporre soluzioni sulla lotta all'antibiotico-resistenza, quella che è stata definita «la più grande sfida della medicina contemporanea»;
    i rappresentanti dell'Assemblea generale dell'Onu hanno firmato il documento che impegna i 193 Paesi membri a mettere in atto politiche e iniziative per contrastare l'antibioticoresistenza;
    oggi si stimano circa 700 mila morti l'anno a causa dell'antibiotico-resistenza, una stima approssimata per difetto, in quanto non si dispone di un sistema di monitoraggio globale;
    l'Istituto superiore di sanità nel rapporto 09/32 mette in evidenza, «come dimostrano le tendenze registrate da numerosi studi effettuati al riguardo, come l'utilizzo terapeutico degli antibiotici riscontra un continuo declino in termini di efficacia. Purtroppo, tale declino non è compensato, come invece avveniva in passato, dalla disponibilità di nuovi antibiotici efficaci ed è, almeno in larga misura, associato al loro abuso/cattivo utilizzo. L'uso improprio degli antibiotici ha fatto sì che oggi la loro efficacia non sia più un bene garantito, come a lungo siamo stati abituati a pensare, e che quelli oggi disponibili debbano essere maggiormente difesi, alla stregua di »risorse non rinnovabili«. Gli effetti di queste tendenze sono molto evidenti in Italia, che è uno dei Paesi europei con il più alto consumo di antibiotici (24,5 DDD/1000 abitanti/die) insieme ad altri Paesi dell'Europa meridionale (Grecia in testa, con »g30 DDD/1000 abitanti/die). Conseguentemente, l'Italia condivide con questi Paesi un alto livello di antibiotico-resistenza nei principali agenti batterici di infezioni gravi (stafilococco, escherichia coli, pseudomonas spp., pneumococco) e verso le principali classi di antibiotici (penicilline, cefalosporine, macrolidi e fluorochinoloni). La comunità scientifica internazionale è dunque ampiamente concorde nel sostenere la necessità di contrastare il fenomeno tramite un’ inversione di tendenza che porti ad un corretto utilizzo (mirato, razionale e parsimonioso) degli antibiotici attualmente a disposizione, tenendo presente come la resistenza possa essere ridotta a vantaggio della sensibilità ma che, in ogni caso, questo avverrà con minore rapidità rispetto all'avanzare dell'antibiotico-resistenza»;
    il comunicato stampa dell'Agenzia nazionale del farmaco diramato il 10 maggio 2016 rende noto che «la comunità scientifica internazionale e le istituzioni preposte alla tutela della salute hanno lanciato l'allarme sullo sviluppo di resistenze antimicrobiche da molto tempo, a fronte di una percezione pubblica del fenomeno, a livello globale, ancora piuttosto limitata»;
    si tratta di un’«era post-antibiotica», uno scenario apocalittico, quello in cui le infezioni sfuggono alle armi della medicina moderna per divenire intrattabili, riportando il mondo, dal punto di vista sanitario, al periodo precedente alla seconda guerra mondiale. Oggi si tratta di una concreta minaccia per la salute pubblica mondiale come più volte ricordato dall'Organizzazione mondiale della sanità, dalle istituzioni europee e da quelle italiane. Uno stato di cose determinatosi rapidamente e contemporaneamente in tutto il mondo a causa, principalmente, dell'utilizzo eccessivo e inappropriato di antibiotici, sia per uso umano che per quello veterinario;
    il sistema di sorveglianza europeo ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) stima che in Italia il consumo di antibiotici sistemici, nonostante presenti un lieve calo rispetto al passato, sia superiore alla media europea, sia in ambito ospedaliero che territoriale;
    circa l'80-90 per cento dell'utilizzo degli antibiotici avviene a seguito della prescrizione dei medici di medicina generale, pertanto la medicina generale rappresenta il punto focale per il monitoraggio del consumo di questa classe di farmaci, nonché il punto su cui è importante agire per migliorarne l'appropriatezza prescrittiva. Difatti, l'impiego improprio di antibiotici, oltre ad esporre i soggetti ad inutili rischi derivanti dai loro effetti collaterali, pone grandi problematiche cliniche connesse al possibile sviluppo di resistenze;
    le condizioni cliniche per le quali si osserva un impiego di antibiotici più frequentemente inappropriato, nella popolazione adulta, sono le infezioni acute delle vie respiratorie (IAR) e le infezioni acute non complicate delle basse vie urinarie (IVU). La metà della popolazione è colpita annualmente da almeno un episodio di infezioni acute delle vie respiratorie; di conseguenza, le infezioni acute delle vie respiratorie rappresentano circa il 75 per cento degli interventi medici nella stagione invernale. Inoltre, esse sono una delle principali cause di morbilità e di mortalità nel mondo. È stimato che oltre l'80 per cento delle infezioni acute delle vie respiratorie abbia un eziologia virale, pertanto gli antibiotici non sono solitamente indicati per il loro trattamento; ne consegue la possibilità di individuare macro indicatori di un uso scorretto degli antibiotici nella popolazione adulta in carico alla medicina generale;
    uno dei problemi più annosi è certamente costituito dal «gradiente Nord-Sud», che vede le regioni del Meridione consumare un numero significativamente superiore di dosi, senza alcuna giustificazione dal punto di vista epidemiologico. La variabilità regionale vede realtà di eccellenza, come la Liguria (16,2 dosi giornaliere ogni mille abitanti) e la provincia autonoma di Bolzano (14,4 dosi giornaliere ogni mille abitanti), e contesti che fanno più fatica a ridurre i consumi come la Campania (32,7 2 dosi giornaliere ogni mille abitanti), la Puglia (30,3 2 dosi giornaliere ogni mille abitanti) e la Calabria (28, 2 dosi giornaliere ogni mille abitanti);
    proprio a livello europeo si valutano con interesse esperienze di Paesi che fanno registrare un consumo inferiore di antibiotici. I Paesi Bassi sono la realtà europea maggiormente virtuosa, con un differente sistema di confezionamento dei farmaci, che consente di preparare dosi unitarie e pacchetti personalizzati. Lo studio Antimicrobial Resistance and causes of Non-prudent use of Antibiotics in human medicine in European Union (Arna), finanziato dall'Unione europea e condotto da un team di ricerca olandese, ha concluso infatti che una delle principali cause del fenomeno dell'automedicazione con antibiotici sono i cosiddetti left-overs, ovvero quelle dosi che superano il numero di quelle prescritte dal medico curante e che rimangono nella disponibilità dei pazienti;
    lo studio ha effettuato una survey in sette Paesi europei, tra cui l'Italia, e nel dettaglio, su 9.313 pazienti italiani intervistati, il 9 per cento ha affermato di utilizzare gli antibiotici senza ricorrere ad una prescrizione medica e, di questi, l'87 per cento utilizza le rimanenze di confezioni di antibiotico disponibile tra famiglia e parenti. Alla luce di quanto emerso anche nel nostro Paese si sta discutendo, nelle sedi deputate, sull'istituzione di un limite alla prescrizione degli antibiotici nell'ambito della terapia individuale;
    nel libro «Principi di politica degli antibiotici», di Smjla Kalenic e Michael Borg è illustrato come «gli antibiotici influenzano la normale flora umana che può diventare resistente e poi agire come riserva di geni di resistenza. Ciò pone un particolare problema nel trattamento dell'infezione di un paziente potendo potenzialmente influenzare i microrganismi di una certa popolazione. Pertanto, quando possibile, devono essere utilizzati antibiotici con ridotto spettro d'azione. Gli antibiotici sono pure diffusamente utilizzati in medicina veterinaria (per infezioni o come fattori di crescita) e in agricoltura, creando altre riserve di microbi resisterti agli antibiotici che possono infettare l'uomo. L'uso eccessivo degli antimicrobici è direttamente responsabile dello sviluppo della resistenza; di conseguenza devono essere favoriti i migliori modelli di prescrizione»;
    la prescrizione impropria in ospedale è stata descritta come «troppi pazienti che ricevono antibiotici a largo spettro non necessari, per via di somministrazione errata, dose sbagliata e per troppo tempo». Il laboratorio di microbiologia svolge un ruolo fondamentale per la gestione corretta degli antibiotici nelle strutture sanitarie. L'applicazione routinaria dei test di sensibilità (antibiogrammi) è di aiuto nell'identificare i livelli di sensibilità e resistenza a singoli antibiotici e nella scelta della terapia appropriata da parte dei medici. I laboratori di microbiologia devono saggiare gli antibiotici raccomandati. Refertare solo quelli di prima scelta se l'isolato è sensibile; se è resistente, aggiungere l'antibiotico d; seconda scelta. Ciò rende meno probabile la prescrizione dell'antibiotico di seconda scelta (solitamente a spettro più ampio, più tossico, più costoso). Informazioni aggiuntive dal laboratorio di microbiologia che possono offrire una guida generale per la scelta dell'antibiotico e ridurre l'uso improprio;
    il rischio di resistenza antimicrobica non deriva solo dall'abuso di antibiotici in ambito ospedaliero o domestico, ma anche dalla trasmissione di batteri resistenti agli antimicrobici attraverso la catena alimentare e dalla trasmissione di tale resistenza dai batteri animali ai batteri umani;
    il fenomeno dell'antibiotico-resistenza si è sviluppato anche a seguito dell'abuso di antimicrobici negli allevamenti, in particolare negli allevamenti intensivi, dove l'elevata densità della popolazione animale nelle stalle aumenta il rischio dell'insorgenza e della diffusione delle infezioni;
    per mitigare il rischio di resistenza antimicrobica in modo efficace, tenuto conto della co-resistenza e della resistenza incrociata, l'uso prudente degli antimicrobici deve determinare una riduzione generale dell'uso di tali sostanze attraverso azioni dirette a prevenire l'insorgenza delle infezioni, migliorando lo stato di salute e benessere degli animali, proibendo programmi sanitari nei quali gli animali siano trattati sistematicamente con antimicrobici a titolo profilattico;
    l'uso degli antibiotici in veterinaria dovrebbe essere limitato al trattamento delle patologie e non esteso alla prevenzione o alla profilassi di gruppo/allevamento;
    il Ministero della salute nella relazione finale dell'anno 2015 nell'ambito del «Piano nazionale residui» ha presentato un focus sugli antibiotici da cui emerge: «l'uso eccessivo o non appropriato di antibiotici, unitamente a scarsa igiene e/o carenze nelle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni, ha causato negli anni il fenomeno dell'antimicrobicoresistenza, in quanto si sono create condizioni favorevoli allo sviluppo, diffusione e persistenza di microrganismi resistenti agli antimicrobici sia negli esseri umani che negli animali, trasformando il fenomeno di naturale adattamento biologico dei microrganismi in una seria minaccia per la salute pubblica a livello mondiale. L'Unione europea, nell'ottica della One Health è attiva da più di 15 anni nel contrasto a tale minaccia con una serie di Piani e di azioni che spaziano da attività di prevenzione delle infezioni microbiche e della loro diffusione, al controllo sull'utilizzo appropriato e prudente dei farmaci sia in medicina umana ed animale, allo sviluppo di nuovi antibiotici e al miglioramento della comunicazione, educazione e formazione per operatori e pazienti»;
    nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea C 299 sono state infatti pubblicate le Linee guida sull'uso prudente degli antimicrobici in medicina veterinaria, che, rappresenta uno dei principali settori strategici dell'Unione europea nel quadro del contrasto alla resistenza antimicrobica;
    le linee guida si prefiggono l'obiettivo di fornire una guida pratica agli Stati membri in materia di sviluppo e attuazione di strategie per favorire l'uso prudente di antimicrobici in medicina veterinaria, attraverso piani d'azione che mirino a migliorare lo stato di salute e benessere degli animali;
    alcune misure indicate nel documento che contribuirebbero alla prevenzione delle malattie e alla riduzione della necessità di utilizzo di antimicrobici sono volte a: favorire un miglioramento delle condizioni igieniche e di biosicurezza di tutta la filiera zootecnica, evitare situazioni di stress per gli animali allevati che possono indebolire i sistemi immunitari degli animali e renderli più sensibili alle infezioni, come ad esempio il sovraffollamento nelle aziende zootecniche, favorire misure preventive efficaci dirette a migliorare la salute animale e gli standard di benessere e monitorare i patogeni e la loro sensibilità a livello di allevamento, con l'obiettivo finale di garantire che l'uso di antimicrobici avvenga su singoli gruppi;
    il 2 marzo 2016 è stata approvata all'unanimità una risoluzione dalla IX Commissioni (Agricoltura e produzione agroalimentare), XII Commissione (Igiene e sanità) del Senato della Repubblica, sulla riduzione dell'impiego di antibiotici nell'allevamento animale;
    una riduzione drastica dell'uso di antibiotici non è una sfida impossibile, infatti l'Olanda ha ridotto negli ultimi 5 anni del 70 per cento il consumo degli antibiotici ad uso veterinario ed è ultima nella classifica europea per il consumo giornaliero di antibiotici, vantando uno dei più bassi livelli di antibiotico-resistenza al mondo;
    l'Olanda mantiene alta l'attenzione sull'uso consapevole di antibiotici, attraverso l'adozione di linea guida evidence based, formazione del personale sanitario e campagne istituzionali rivolte ai cittadini. La sua prossima sfida è di ridurre del 50 per cento sia le prescrizioni inappropriate, sia le infezioni prevenibili nei prossimi cinque anni. L'Olanda ha il pregio di essere intervenuta non solo nel settore sanitario ma anche in quello veterinario, consapevole che questi due ambiti sanitari sono strettamente correlati. Dal 2007 al 2016 ha ridotto di quasi il 70 per cento l'uso di antibiotici negli allevamenti di pollame, bestiame e maiali, riuscendo a frenare la pericolosa crescita registrata a partire dagli anni Novanta;
    in Olanda, davanti alla constatazione che dal 1990 al 2007 l'uso di antibiotici negli allevamenti era raddoppiato, il servizio medico veterinario nazionale ha lanciato una partnership pubblica-privata tra aziende alimentari, veterinari e Governo. Nel giro di due anni, ha raccolto i dati sull'uso di antibiotici in 40 mila allevamenti. Individuati quali erano gli allevatori che facevano maggiore uso di antibiotici e i veterinari che ne prescrivevano di più, si è iniziato a lavorare per accrescere la consapevolezza della resistenza globale agli antibiotici. In contemporanea, il Governo ha imposto la riduzione del 20 per cento nel 2011, del 50 per cento nel 2013 e del 70 per cento nel 2015 dell'uso di antibiotici nel settore veterinario, sfida che è stata vinta dimostrando che le abitudini possono cambiare;
    la resistenza antibiotica è una minaccia seria alla salute globale e pertanto non deve essere sottovalutata; la prevenzione e il controllo delle infezioni dovranno essere una priorità nel nostro Paese, occorre quindi che tutte le istituzioni cooperino per modificare i comportamenti di tutti gli attori coinvolti: allevatori, consumatori, medici e pazienti,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché gli ospedali siano dotati di servizi di microbiologia permanente, al fine di identificare i livelli di sensibilità e resistenza a singoli antibiotici e coadiuvare i medici prescrittori nella scelta delle terapie più appropriate;
2) ad adottare iniziative efficaci che mirino alla riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero, promuovendo l'applicazione di test di sensibilità agli antibiotici (antibiogrammi) necessari per garantire l'appropriatezza prescrittiva;
3) a promuovere, per quanto di competenza, un differente sistema di confezionamento dei farmaci, prevedendo l'introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati, al fine di evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini;
4) ad assumere iniziative per promuovere programmi di formazione professionale specifica degli operatori sanitari, migliori prassi, anche con riguardo alle terapie corrette, migliori modelli prescrittivi, misure per prevenire e ridurre la trasmissione di patogeni, il controllo delle infezioni e misure igieniche;
5) ad assumere iniziative, attraverso campagne istituzionali di informazione e di educazione sanitaria sull'uso prudente di antimicrobici, volte ad incoraggiare tutti i cittadini ad agire in modo proattivo per ridurre la minaccia alla resistenza antibiotica;
6) ad adottare le necessarie iniziative per prevenire lo sviluppo e la trasmissione delle malattie all'interno degli allevamenti e per incentivare sistemi di allevamento estensivo e allevamenti con metodi biologici, che garantiscano maggior rispetto del comportamento e del benessere animale, nonché una minore incidenza delle infezioni;
7) ad assumere iniziative per attuare programmi di controllo e monitoraggi delle aziende zootecniche, al fine di rafforzare l'attività di vigilanza sulle condizioni di vita e di salute degli animali e di contrasto di eventuali abusi nell'utilizzo di antimicrobici;
8) ad assumere iniziative per creare un sistema nazionale volto ad incrementare i controlli sulla distribuzione, prescrizione ed uso di medicinali veterinari, nonché a promuovere l'obbligo della ricetta elettronica per i farmaci veterinari, al fine di evitare l'abuso degli antibiotici negli allevamenti;
9) ad assumere iniziative, anche normative, per vietare l'applicazione di sconti di marketing basati sul meccanismo prezzo/volume in relazione all'acquisto di antibiotici ad uso veterinario;
10) ad individuare, anche attraverso l'Istituto superiore di sanità, protocolli di sorveglianza epidemiologica dei nosocomi, e a verificare che gli stessi siano attuati, in modo costante, al fine di identificare eventuali ceppi multi-resistenti e strategie mirate di intervento.
(1-01463)
«Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Di Vita, Nesci, Grillo, Colonnese, Gagnarli, Busto, Benedetti, Gallinella, L'Abbate, Parentela».
(10 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la resistenza agli antibiotici è un fenomeno naturale causato dalle mutazioni genetiche a cui vanno incontro i batteri. Tuttavia, un uso eccessivo e improprio degli antibiotici accelera la comparsa e la diffusione dei batteri resistenti agli antibiotici. I batteri sensibili muoiono quando entrano in contatto con gli antibiotici, mentre i batteri resistenti sopravvivono e continuano a moltiplicarsi. I batteri resistenti possono trasmettersi e causare infezioni anche in altre persone che non hanno fatto uso di antibiotici;
    l'emergenza di microorganismi resistenti agli antibiotici è un problema che ha assunto ormai rilevanza mondiale, pur non coinvolgendo in eguale misura tutte le specie batteriche e le classi di agenti antimicrobici. Tale fenomeno viene evidenziato in maniera prevalente nell'ambiente ospedaliero sulla base della letteratura che indica nell'ampio e spesso improprio uso di antimicrobici che si attua nei nosocomi per motivi terapeutici e profilattici, la causa primaria di questo evento. Purtroppo, per le già citate capacità che hanno i batteri di scambiarsi informazione genetica anche i patogeni comunitari diventano sempre più partecipi dei diversi meccanismi di resistenza. Si è assistito, infatti, in tempi più recenti all'insorgenza di specie refrattarie non solo ad un singolo gruppo di farmaci, ma caratterizzate da meccanismi multipli di resistenza a più classi di antibiotici;
    la resistenza agli antibiotici può contribuire al fallimento terapeutico e se largamente diffusa rappresenta un grosso problema durante la terapia, L'incidenza di resistenza in ciascun patogeno inoltre è dipendente dalla pressione selettiva esercitata dalla quantità di farmaco impiegata (medicina, veterinaria, industria) in un determinato ambiente. I microorganismi hanno la possibilità di modificare il proprio patrimonio genetico sia attraverso mutazioni spontanee sia attraverso lo scambio genetico. Quest'ultimo aspetto è molto importante, poiché mediante i transposoni che catturano geni e i plasmidi che possono veicolarli, i batteri hanno virtualmente a disposizione l'intero corredo cromosomico di tutte le specie esistenti, sono infatti gli unici viventi che possono avere uno scambio di materiale genetico tra specie diverse;
    la minaccia della diffusione delle antibiotico-resistenze è infatti più che mai reale e per combatterla bisogna prima di tutto conoscerla. E questo perché si ignora una (buona) parte dell'origine, ovvero il corretto utilizzo degli antibiotici. A svelarlo è l'indagine dell'Organizzazione mondiale della sanità, presentata in concomitanza con la presentazione del report sul consumo degli antibiotici in Europa;
    il cattivo utilizzo degli antibiotici (sia negli esseri umani che negli animali) può portare a conseguenze drammatiche: solo in Europa, infatti, si stima che ogni anno le morti per infezioni resistenti agli antibiotici siano 25 mila l'anno e diversi tipi di infezioni, dalle polmoniti, alla turbercolosi alla gonorrea, stanno diventando sempre più difficili da trattare;
    le cause del diffondersi del fenomeno sono diverse: prescrizioni eccessive, scarsa aderenza ai trattamenti, utilizzo improprio ed eccessivo negli allevamenti, in particolar modo nei Paesi extra Unione europea come Cina e Brasile, scarso controllo delle infezioni nelle strutture sanitarie, mancanza di igiene e mancanza di nuovi antibiotici. Diversi sono anche i modi con cui i batteri resistenti agli antibiotici una volta sviluppatisi possono diffondersi: dal contatto uomo-uomo, a quello uomo-animali al consumo di cibo e acqua che li contengano;
    i dati provenienti dai sistemi di sorveglianza indicano che la resistenza antimicrobica costituisce un problema sanitario crescente in Europa sia negli ospedali che in comunità. La resistenza di Escherichia coli ai principali antibiotici sta aumentando in quasi tutti i Paesi europei; escherichia coli è uno dei principali batteri responsabili di infezioni; causa infezioni delle vie urinarie ed anche infezioni più gravi;
    per rispondere a questo problema di sanità pubblica, nel 2001 il Consiglio dell'Unione europea ha inviato ai vari Paesi una raccomandazione invitandoli ad adottare iniziative atte ad assicurare un uso prudente di antibiotici (raccomandazione del Consiglio, del 15 novembre 2001, sull'uso prudente degli agenti antimicrobici in medicina umana (2002/77/CE)). Alcuni anni fa alcuni Paesi hanno avviato programmi nazionali comprendenti campagne di sensibilizzazione dei cittadini, registrando una diminuzione sia del consumo di antibiotici sia della resistenza;
    la resistenza varia da Paese a Paese a causa di numerosi fattori: uso degli antibiotici, patologie di base, qualità dell'assistenza ospedaliera, percentuale di immunizzazione, fattori sociali ed altro. La percentuale delle infezioni resistenti riferibili ad un unico fattore non è sempre accertabile. I dati del sistema europeo di sorveglianza sulla resistenza antimicrobica mostrano un gradiente nord-sud, dove ai Paesi scandinavi e ai Paesi Bassi corrispondono le percentuali più basse e al sud Europa le percentuali più alte. Si è visto che i Paesi con percentuali di resistenza più basse sono quelli che usano meno antibiotici, e viceversa;
    gli antibiotici impiegati per trattare e prevenire le infezioni batteriche negli animali nei Paesi in via di sviluppo appartengono alle stessi classi degli antibiotici usati per l'uomo: macrolidi, tetracicline, chinoloni, betalattamici, aminoglicosidi. Pertanto, è possibile che gli animali acquisiscano batteri che sono resistenti ad antibiotici impiegati anche contro le infezioni umane. Fortunatamente gli antibiotici utilizzati negli allevamenti italiani sono di classi diverse, non vengono utilizzati per la agevolare la crescita ma solo per la cura in caso di malattie, non sono direttamente interferibili con le infezioni umane e le norme impongono, in caso di utilizzo per cure specifiche, un periodo di sospensione tale da impedire che le carni e altri alimenti di origine animale prodotte in Italia poste in consumo non contengano tracce di antibiotici;
    tuttavia, l'enorme interscambio commerciale di carni in import con molti paesi extra Unione europea – molti dei quali non garantiscono queste attenzioni al consumatore – apre la strada al rischio che alcuni batteri resistenti associati agli alimenti, come Campylobacter e Salmonella, possono essere trasmessi dall'animale all'uomo attraverso il cibo;
    la causa principale della resistenza agli antibiotici nell'uomo rimane comunque l'uso degli antibiotici in medicina umana,

impegna il Governo:

1) a predisporre tutti gli strumenti normativi al fine di dare piena applicazione al documento strategico globale e linee guida, predisposti dall'Organizzazione mondiale della sanità, al fine di istituire dei sistemi di monitoraggio della resistenza agli antibiotici e intraprendere azioni efficaci;
2) ad assumere iniziative per predisporre nuove linee-guida, per i medici, al fine di prescrivere antibiotici sull'evidenza, solo ove necessario, soprattutto ricorrendo a farmaci specifici contro l'infezione e non «ad ampio spettro»;
3) a predisporre campagne di informazione al fine di spiegare al paziente come alleviare i sintomi di raffreddore e influenza senza ricorrere agli antibiotici, oltre all'importanza di una corretta assunzione degli antibiotici prescritti dal medico;
4) a prevedere, al fine di incentivare la riduzione progressiva dell'utilizzo di antibiotici negli allevamenti, nella prima iniziativa normativa utile, un'ulteriore detrazione, in aggiunta a quelle già previste sull'imposta lorda sul reddito delle società (IRES), sulla quota di produzione certificata che non utilizza antibiotici (produzione antibiotic free) o, in alternativa, un credito di imposta specifico pari al valore degli investimenti infrastrutturali e strumentali svolti per produzione di alimenti di origine animale senza alcun ricorso all'utilizzo di antibiotici;
5) ad assumere iniziative per prevedere il divieto all'importazione di alimenti di origine animale da quei Paesi extra Unione europea nei quali gli allevamenti ricorrono massicciamente ed impropriamente all'utilizzo di antibiotici, soprattutto se delle stesse classi usate per le terapie sull'uomo, ed in generale di carni o altri alimenti che contengano tracce di antibiotici.
(1-01475)
«Rondini, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Simonetti».
(20 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la resistenza agli antibiotici è un processo naturale di selezione causato dalle mutazioni genetiche a cui vanno incontro i batteri, ma è anche il risultato di alcuni comportamenti: l'uso eccessivo e improprio degli antibiotici permette alle popolazioni resistenti di proliferare e prendere il sopravvento. Compaiono quindi in questo modo i superbatteri resistenti agli antibiotici disponibili;
    secondo il rapporto della commissione indipendente britannica, guidata dall'economista Jim O’ Neill, dal titolo «Review on Antimicrobial Resistance», a causa della crescente resistenza dei batteri agli antibiotici, per il 2050 si prevedono oltre 10 milioni di morti all'anno (attualmente sono 700mila), una persona ogni tre secondi, per infezione da microrganismi, un numero di decessi superiore a quello causato dal cancro;
    in Europa, si verificano annualmente 4 milioni di infezioni da germi antibiotico-resistenti che causano oltre 37.000 decessi e determinano un consistente assorbimento di risorse pari a circa 1,5 miliardi di Euro l'anno;
    a destare maggiore preoccupazione sono soprattutto la resistenza del Campylobacter verso la ciprofloxacina e quella delle Salmonelle nei confronti di diverse molecole e dell'Escherichia coli negli allevamenti degli Stati dell'Unione europea. In un report il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) hanno sottolineato che il fenomeno della resistenza antimicrobica rappresenta un grave rischio per la salute umana e animale;
    negli ultimi 10 anni il consumo (anche per l'uso massiccio che se ne fa negli allevamenti) è cresciuto in media nei Paesi Ocse del 4 per cento, arrivando fino alla media di 20,5 dosi ogni 1.000 abitanti. Il Paese che ne consuma di più è la Turchia (41 dosi ogni 1.000 abitanti), seguita dalla Grecia (34), Corea (31,7), Francia (29), Belgio (28,4) e Italia (27,8). Lo stato che ne consuma di meno è invece il Cile (9,4 dosi) e i Paesi Bassi (10,6). In Italia negli ultimi 10 anni l'uso degli antibiotici è cresciuto del 6 per cento;
    stando al rapporto annuale del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, redatto con i dati del sistema di sorveglianza Esac-Net dell'Unione europea, l'Italia è ai primi posti in Europa per consumo di antibiotici e, con il loro uso, anche la resistenza aumenta;
    l'Italia, stando ai dati Ocse aggiornato al 2014, è il terzo Paese con la più alta percentuale di antibiotico resistenza (33-34 per cento nel 2014, raddoppiata dal 2005 quando era al 16-17 per cento). Dopo l'Italia Grecia e Turchia;
    nel nostro Paese le infezioni correlate all'assistenza intra-ospedaliera colpiscono ogni anno circa 284.000 pazienti (dal 7 per cento al 10 per cento dei pazienti ricoverati) causando circa 4.500-7.000 decessi. Le più comuni infezioni sono polmonite (24 per cento) e infezioni del tratto urinario (21 per cento);
    negli Stati Uniti è stato individuato nelle urine di una donna della Pennsylvania un super-batterio, una specie di «escherichia coli», resistente a qualsiasi tipo di antibiotici. A lanciare l'allarme gli scienziati del dipartimento alla difesa Usa;
    l'agente patogeno – si legge nel rapporto pubblicato sulla rivista della Società americana di microbiologia «Antimicrobial Agents and Chemotherapy» – è resistente persino all'antibiotico colistin, farmaco che spesso viene usato come ultima risorsa;
    questo particolare agente patogeno è stato definito dagli esperti «il batterio degli incubi», che in alcuni casi può arrivare ad uccidere il 50 per cento delle persone che ne vengono contagiate;
    la minaccia per la salute è diventata reale e, infatti, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, lo scorso settembre, si è occupata del problema. I 193 Stati membri hanno firmato un documento congiunto sulle linee guida mondiali per la lotta alla resistenza antimicrobica, definita «la più grande minaccia alla medicina moderna»;
    nel corso dell'ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite, il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Margaret Chan, ha detto che l'antibiotico-resistenza per la salute globale è paragonabile a un «lento tsunami»;
    l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), sul sito web, evidenzia che alcuni dati mostrano quanto siano gravi le ripercussioni dell'antibiotico-resistenza: un'epidemia di tifo multiresistente si sta diffondendo in diverse regioni dell'Africa, in 105 Paesi si registrano forme di tubercolosi resistenti ai farmaci, mentre sono circa 200.000 i neonati che ogni anno muoiono a causa dei cosiddetti super-batteri;
    tra le cause dell'aumento delle resistenze batteriche ha avuto un ruolo determinante l'uso improprio dei vecchi antibiotici. In Italia, per esempio, nonostante le numerose campagne di comunicazione del Ministero, vengono prescritti troppi antibiotici: oltre il 50 per cento dei pazienti ricoverati in ospedale viene sottoposto a questo tipo di terapia. L'eccessivo uso, spesso non corretto, di questi farmaci ha portato a un incremento rilevante delle resistenze batteriche;
    una recente indagine di Eurobarometro sull'uso degli antibiotici – pubblicata dalla Commissione europea nel giugno 2016 e condotta su 28mila europei, tra cui 1000 italiani – «boccia» le abitudini degli italiani. Lo studio mostra che gli italiani sanno poco dell'efficacia e degli effetti degli antibiotici e, quindi, li usano in modo inappropriato. In termini di consumo, l'Italia si colloca tra i primi cinque a livello europeo con il 43 per cento. La media europea è del 34 per cento e l'Italia è molto distante dai primi della classe: i Paesi del nord come Svezia (con il 18 per cento), Olanda (20 per cento), e Germania (entrambi al 23 per cento);
    centrale, in tal senso, è il ruolo dell'informazione. In Italia, però, solo il 15 per cento dei cittadini ha ricevuto una qualche indicazione, quasi sempre da un medico, sul fatto di non usare antibiotici quando non sono necessari. La media europea è, invece, del 33 per cento;
    l'utilizzo dei vaccini ridurrebbe la necessità di utilizzare antibiotici e contribuirebbe a combattere l'aumento delle infezioni da batteri resistenti ai farmaci. I vaccini possono combattere la resistenza ai farmaci perché riducono i casi di infezione e la necessità di ricorrere ad antibiotici;
    il nostro Paese è il terzo maggiore utilizzatore di antibiotici negli animali da allevamento in Europa (dopo Spagna e Cipro), con un consumo più alto di quello effettuato da altri Paesi di simili dimensioni (il triplo della Francia e cinque volte il Regno Unito);
    l'uso eccessivo di antibiotici negli allevamenti intensivi è una delle principali cause della sempre maggiore resistenza degli organismi patogeni agli antibiotici;
    in Italia il 71 per cento degli antibiotici venduti è destinato agli animali e il 94 per cento di questi trattamenti è di massa. Questo determina una situazione di rischio elevato per la nascita di super batteri che dagli allevamenti possono raggiungere le persone e farle ammalare, contribuendo a far salire il numero di morti per antibiotico resistenza;
    l'Unione europea con una direttiva nel 2006 ha proibito l'utilizzo di antibiotici come «promotori della crescita». Nel 2011 l'Ema ha pubblicato un piano in 12 punti contro la resistenza agli antibiotici. Svezia, Danimarca, Germania e Francia già da diversi anni hanno imposto delle misure per monitorare il problema finalizzato a frenare l'utilizzo degli antibiotici negli allevamenti per contrastare le resistenze nella medicina umana e animale;
    il 2 marzo 2016 è stata approvata una risoluzione dalla IX Commissione (Agricoltura e produzione agroalimentare) e dalla XII Commissione (Igiene e sanità) riunite del Senato della Repubblica, sulla riduzione dell'impiego di antibiotici nell'allevamento animale,

impegna il Governo:

1) a promuovere iniziative destinate ad incentivare l'uso responsabile degli antibiotici in commercio, limitandone l'utilizzo;
2) ad adottare iniziative per favorire un cambiamento culturale nella popolazione e nella comunità medica che determini un impiego appropriato degli antibiotici in modo da ridurne l'abuso e prolungarne il più possibile la vita;
3) a promuovere incentivi finanziari per lo sviluppo di nuovi test diagnostici che possano evitare la somministrazione inutile di antibiotici e dotare gli ospedali di servizi di microbiologia permanente;
4) a sostenere la formazione del personale sanitario e a rilanciare la ricerca e lo sviluppo di nuovi antimicrobici;
5) ad intensificare le modalità di promozione delle vaccinazioni;
6) a mettere in campo iniziative di monitoraggio per garantire il benessere degli animali allevati e per ridurre l'utilizzo di antimicrobici, tutelando la salute umana;
7) ad accelerare le procedure per la redazione del piano nazionale contro l'antibiotico resistenza e per l'obbligatorietà della ricetta elettronica del farmaco veterinario per effettuare controlli e monitoraggi sul consumo di antibiotici.
(1-01476)
«D'Incecco, Lenzi, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Capone, Carnevali, Casati, Patriarca, Murer, Sbrollini».
(20 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di maggio 2016 alcuni scienziati americani sono riusciti ad individuare un super batterio, resistente a qualsiasi terapia antibiotica: si tratta di una specie di «escherichia coli», trovata nelle urine di una donna di 48 anni residente in Pennsylvania;
    diversi report diffusi dall'Organizzazione mondiale della sanità contengono dati che evidenziano una continua e progressiva presenza di infezioni resistenti a qualsiasi terapia antibiotica persino al «colistin»;
    fra trent'anni circa le infezioni resistenti a terapia antibiotica potrebbero essere la prima causa di morte nel mondo;
    gli scienziati in diverse riunioni scientifiche hanno evidenziato che l'antibiotico-resistenza è «la più grande sfida della medicina contemporanea»;
    oggi circa un milione di persone muoiono a causa dell'antibiotico-resistenza;
    l'uso inappropriato della terapia antibiotica, soprattutto nel nostro Paese, ha contribuito ad accelerare ed aggravare la cosiddetta «resistenza agli antibiotici»;
    negli ultimi anni si è riscontrata una netta diminuzione di scoperte e produzione di antibiotici innovativi, contribuendo in questa maniera all'aggravamento della situazione;
    in Italia si riscontra un altissimo consumo di antibiotici, il più delle volte inappropriato, a causa di una cultura di prescrizione terapeutica superficiale e che spesso avviene per via telefonica;
    nel nostro Paese si riscontra un progressivo aumento di infezioni gravi da escherichia coli, pneumococco, stafilococco, pseudomonas con conseguente resistenza agli antibiotici (cefalosporine, fluorochinoloni, macrolidi, penicilline);
    un numero rilevante di infezioni resistenti avviene in ambiente ospedaliero, soprattutto nei reparti di rianimazione;
    la comunità scientifica è da anni impegnata nel sostenere la necessità di una forte ed urgente inversione di tendenza nell'utilizzo degli antibiotici, indirizzando verso un corretto ed appropriato indirizzo per l'utilizzo degli stessi;
    tra circa trent'anni in mancanza di innovazioni decisive il mondo potrebbe trovarsi rispetto alle infezioni nell'era antecedente la scoperta della «penicillina»;
    in Italia la stragrande quantità di antibiotici viene prescritta dai medici di medicina generale, e pertanto risulta indispensabile effettuare un continuo e serio monitoraggio del consumo di questi farmaci;
    il fenomeno dell'abnorme consumo di antibiotici nel nostro Paese è causato anche dall'automedicazione, che spesso avviene con quelle dosi che superano il numero di quelle prescritte dal medico e che rimangono nella disponibilità dei pazienti;
    si è accertato che il rischio di resistenza antibatterica non è provocato solo dall'uso improprio di antibiotici in ambito ospedaliero o domestico, ma anche dalla trasmissione di batteri resistenti agli antimicrobici attraverso la catena alimentare e dalla trasmissione della resistenza dai batteri animali ai batteri umani;
    un maggior controllo e corretto uso di antimicrobici negli allevamenti con elevata densità della popolazione animale sarebbe auspicabile e necessario per ridurre il rischio dell'insorgenza e della diffusione di infezioni;
    è necessario intervenire con linee di indirizzo per aumentare decisamente l'appropriatezza del corretto utilizzo degli antibiotici sia nel campo umano e sia nel campo animale, poiché questi due ambiti sono direttamente correlati,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni utile iniziativa per la riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero e domestico;
2) a valutare l'opportunità dell'adozione di strumenti normativi per dare piena attuazione al documento strategico globale ed alle linee guida, predisposti dall'Organizzazione mondiale della sanità, per la riduzione dell'uso degli antibiotici;
3) a valutare l'opportunità di istituire dei sistemi di monitoraggio per verificare la resistenza agli antibiotici ed intraprendere azioni efficaci;
4) a valutare l'opportunità di rafforzare l'attuale sistema di farmacovigilanza;
5) a predisporre una campagna di informazione istituzionale per spiegare ai cittadini ed utenti del Servizio sanitario nazionale l'importanza e la necessità di un corretto uso di antibiotici;
6) ad assumere iniziative per la predisposizione di nuove linee guida e/o protocolli clinici per i medici riguardanti l'appropriatezza ed il corretto uso degli antibiotici;
7) a promuovere, per quanto di competenza, un confezionamento di farmaci tale da prevedere l'introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati, al fine di evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini;
8) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per incentivare la riduzione di utilizzo di antibiotici negli allevamenti di animali;
9) ad assumere iniziative per implementare gli attuali controlli e monitoraggi delle aziende zootecniche;
10) a rafforzare l'attività di vigilanza negli allevamenti per verificare le condizioni di vita e di salute degli animali.
(1-01477)
«Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(23 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    è da molto tempo che report nazionali e internazionali indicano come i farmaci antibiotici siano tra i primi in cima alla lista dei farmaci che vengono prescritti in modo inappropriato e che, in conseguenza del loro abuso, si siano creati ceppi di batteri resistenti al trattamento, portando così infezioni comuni, curate per decenni con efficacia, a essere nuovamente pericolose per i soggetti che hanno appunto sviluppato la resistenza. I batteri antibiotico-resistenti possono quindi diffondersi con facilità in determinati contesti sociali quali la famiglia, la scuola o i luoghi di lavoro, con un nuovo ceppo di malattie infettive che non solo sono più difficili da curare, ma anche più costose per la sanità pubblica;
    gli antibiotici sono farmaci essenziali per tutelare la salute umana e animale, ma il loro uso eccessivo o improprio, sta quindi contribuendo alla comparsa di batteri resistenti al trattamento con questi farmaci. E questo è ancora più pericoloso se l'eccessivo uso di questi farmaci avviene già nei bambini. Da adulti, avranno infatti maggiori difficoltà a trovare un farmaco efficace per controllare le diverse forme di infezioni, e questo in quanto hanno probabilmente già sviluppato varie resistenze;
    questo fenomeno è ormai diventato un problema di sanità pubblica, e mette seriamente in pericolo il controllo delle malattie in tutto il mondo. È diventato una priorità sanitaria a livello mondiale, sia per le importanti implicazioni cliniche (aumento della morbilità, letalità, possibilità di sviluppare complicanze, epidemie, e altro), ma anche per l'impatto economico delle infezioni da batteri antibiotico-resistenti, dovuto al maggior costo richiesto per l'impiego di farmaci e di procedure più costose, per l'allungamento delle degenze in ospedale, e altro;
    sono quattro milioni le infezioni da antibiotico-resistenza registrate ogni anno in Europa. Circa 37 mila i decessi stimati, con un assorbimento di risorse che ammonta a circa 1,5 miliardi di euro all'anno;
    nel novembre 2016, l'OCSE ha pubblicato un nuovo report sul consumo degli antibiotici, con i dati aggiornati al 2014. Negli ultimi 10 anni il consumo (anche per l'uso massiccio che se ne fa negli allevamenti) è cresciuto in media nei Paesi Ocse del 4 per cento, arrivando fino alla media di 20,5 dosi ogni 1.000 abitanti. In Italia però la media è ben più alta: 27,8 dosi ogni 1.000 abitanti, e una crescita del suo uso negli ultimi 10 anni del 6 per cento. L'Italia è sesta al mondo per i consumi;
    chiaramente l'eccessivo uso degli antibiotici incide anche sui livelli di resistenza agli stessi. Una resistenza che è cresciuta in media del 5 per cento. Un fenomeno internazionale, se è vero che tra il 2005 e il 2014 la prevalenza di antibiotico-resistenza è aumentata in 23 Paesi su 26 mappati. In questa graduatoria l'Italia è il terzo Paese con la più alta percentuale di antibiotico-resistenza. Peggio di noi solo la Grecia e la Turchia;
    l'antibiotico resistenza pone anche un onere significativo sui sistemi sanitari e bilanci nazionali. Dati internazionali indicano come le strutture ospedaliere spendono, mediamente, tra i 10 mila e i 40 mila dollari per il trattamento di un paziente infettato da batteri resistenti;
    peraltro, dai dati pubblicati nel giugno 2016 del sondaggio commissionato dalla Commissione europea a «Eurobarometer», nell'ambito delle iniziative intraprese dalle istituzioni europee per contrastare il preoccupante fenomeno della resistenza agli antimicrobici, emerge come, seppur in presenza di una diminuzione di circa il 6 per cento nel consumo di antibiotici a livello europeo, vi sia ancora troppo scarsa conoscenza e consapevolezza nella popolazione circa gli effetti derivanti dall'uso degli antimicrobici (antibiotici in particolare), soprattutto se inappropriato. Il 57 per cento degli europei non sa che gli antibiotici sono inefficaci contro i virus. I risultati del sondaggio confermano l'esistenza di un legame diretto tre una migliore informazione e minori consumi di antibiotici;
    il rapporto scientifico britannico « Review on Antimicrobial Resistance» ha confermato la necessità ineludibile di un uso più consapevole degli antibiotici, evitando quegli eccessi e abusi che favoriscono la proliferazione dei «superbatteri», nonché la necessità di una vasta campagna di sensibilizzazione del pubblico. I dati indicano come da metà del 2014, sono morte più di un milione di persone a causa di infezione correlate alla resistenza agli antibiotici. Nel 2050 si potrebbe arrivare a 10 milioni di vittime all'anno, più delle morti per tumore;
    dal 14 al 20 novembre si è svolta la settimana mondiale sull'uso consapevole degli antibiotici. La World Antibiotic Awareness Week, organizzata da Oms, Fao e Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie), si è principalmente rivolta alla popolazione, agli operatori sanitari, e a coloro che lavorano nel settore veterinario e agricolo, per sensibilizzare sui pericoli rappresentati dalla resistenza agli antibiotici, nonché sull'uso prudente degli antibiotici stessi;
    nel nostro Paese l'Istituto superiore di sanità, nel 1999 ha istituito il progetto pilota di sorveglianza dell'antibiotico-resistenza Ar-Iss. Dal 2001 il progetto Ar-Iss si è evoluto in un vero e proprio sistema di sorveglianza sentinella, coinvolgendo numerosi laboratori su tutto il territorio. Accanto a questa iniziativa nazionale, vi sono alcune regioni (Emilia-Romagna, Lombardia) che hanno istituito sistemi di sorveglianza regionali sul fenomeno dell'antibiotico-resistenza;
    in Emilia-Romagna per esempio, si sta assistendo ad una tendenza positiva che vede una riduzione nei consumi di antibiotici, in linea con le raccomandazioni regionali e le campagne informative avviate dal servizio sanitario regionale per promuovere un uso responsabile di questi farmaci;
    alla preoccupante diffusione della resistenza antimicrobica, contribuisce sensibilmente la catena alimentare e il larghissimo uso degli antibiotici che viene fatto soprattutto negli allevamenti intensivi, al fine di prevenire il propagarsi di patologie tra gli animali;
    se l'impiego degli antibiotici per favorire la crescita negli animali è proibito nell'Unione europea dal 2006, è invece perfettamente legale e molto diffuso il suo utilizzo negli allevamenti per evitare l'insorgenza e trasmissione di infezioni;
    è evidente che sotto questo aspetto la qualità e la sicurezza alimentare, con quello che ciò comporta in termini di maggiore trasparenza, controlli, sorveglianza su alimenti, mangimi, e ambienti di vita degli animali, sono fattori decisivi nella lotta alla resistenza agli antibiotici;
    in questo ambito è necessario sostenere le ricerche per individuare nuove tecniche e la scoperta di marcatori biologici che consentano la rilevazione dell'uso illecito di antibiotici o di ormoni della crescita. Sotto questo aspetto, per esempio, si segnala uno studio dell'Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, che ha scoperto un marcatore in grado di identificare la presenza di una specifica proteina nel plasma delle mucche in seguito ad una somministrazione illecita di antibiotico;
    la realtà degli allevamenti intensivi, è quella di animali destinati al consumo alimentare umano costretti a trascorrere la loro breve vita in spazi che riducono al minimo i loro movimenti. Questo tipo di detenzione dà luogo inevitabilmente a patologie fisiche, che vengono contrastate dagli allevatori/produttori con un alto uso di farmaci, anche antibiotici, per mantenerli in vita, con l'effetto di uno sviluppo di microrganismi resistenti e il conseguente intensificarsi dei trattamenti antibiotici;
    come riporta l'associazione animalista LAV, nel suo Dossier «Rischio sanitario degli allevamenti intensivi», la gran parte dei prodotti di origine animale reperibili nei circuiti della grande distribuzione proviene da allevamenti intensivi, ovvero allevamenti caratterizzati dalla elevata concentrazione di animali in ambienti confinati e controllati. Qui si realizzano le condizioni ideali per lo sviluppo e la propagazione di malattie note e non note. Le condizioni di vita degli animali negli allevamenti industriali sono responsabili del loro debole stato di salute, per ovviare al quale è necessario ricorrere spesso a farmaci, in particolare ad antibiotici. Senza tali preparati, non sarebbe possibile far funzionare alcun allevamento intensivo. L'uso sistematico di antibiotici ha conseguenze rilevanti: i farmaci rimangono spesso nei tessuti degli animali e arrivano al piatto dei consumatori;
    il suddetto dossier della Lav, ricorda inoltre come per produrre 1 chilogrammo di carne sono impiegati mediamente 100 mg di antibiotico. Ciò significa, per l'italiano medio e consumatore di circa 87 chilogrammi di carne ogni anno (senza considerare i consumi di prodotti ittici), ingerire involontariamente quasi 9 gr di antibiotici, equivalenti alla somministrazione di circa 4 terapie antibiotiche ogni anno,

impegna il Governo:

1) ad adottare, entro giugno 2017, in linea con le raccomandazioni del Consiglio dell'Unione europea del mese di giugno 2016, un piano d'azione nazionale contro la resistenza agli antimicrobici, in conformità con gli obiettivi del piano d'azione mondiale dell'Organizzazione mondiale della sanità, e ad assumere iniziative per implementare a tal fine le azioni di coordinamento tra le diverse nazioni;
2) ad attivarsi, per quanto di competenza, affinché in tutte le regioni si istituiscano sistemi di sorveglianza sul fenomeno dell'antibiotico resistenza;
3) ad avviare, in coordinamento con le regioni, efficaci campagne informative e di sensibilizzazione dei cittadini, degli allevatori e dei professionisti coinvolti, volte a promuovere un uso corretto e responsabile dei farmaci antibiotici;
4) a prevedere l'implementazione dei programmi di formazione dei veterinari e dei medici, con particolare riguardo ai medici di medicina generale, riguardo al miglioramento dell'appropriatezza prescrittiva di farmaci antibiotici e all'individuazione delle terapie più corrette e idonee;
5) ad assumere iniziative per stanziare adeguate risorse finanziarie per strutture di ricerca e concorsi volti allo studio di nuove molecole ad attività antibatterica, al fine di contrastare il fenomeno delle resistenze batteriche agli antibiotici, nonché per individuare nuove valide alternative terapeutiche a detti medicinali;
6) a considerare la sicurezza alimentare uno dei fattori decisivi nella lotta alla resistenza agli antibiotici, mettendo in atto tutte le iniziative utili al fine di incrementare e regolamentare maggiormente la trasparenza, i controlli e la sorveglianza su alimenti e mangimi;
7) ad assumere tutte le iniziative utili, anche attraverso lo stanziamento di risorse, al fine di favorire la ricerca biotecnologica volta all'individuazione di nuove tecniche e di marcatori biologici che consentano di rilevare la somministrazione di antibiotici o ormoni della crescita negli animali destinati al consumo umano, anche per limitare l'abuso o l'uso illecito dei medesimi;
8) in quanto fattore decisivo nella lotta alla resistenza agli antibiotici, ad attivarsi in sede di Unione europea e in ambito nazionale, anche con opportune iniziative normative, al fine di incentivare il modello estensivo di allevamento e disincentivare il modello intensivo, e comunque per rivedere gli standard minimi e le caratteristiche degli allevamenti ai fini della loro autorizzazione all'esercizio, con particolare riguardo a quelli intensivi, per garantire maggior benessere e più adeguati ambienti di vita degli animali.
(1-01478)
«Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».
(23 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    in data 21 gennaio 2016, nella seduta n. 552, la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1-01055, di cui era prima firmataria la deputata Ilaria Capua, relativa ai rischi correlati alle resistenze microbiche e alle infezioni nosocomiali;
    i firmatari di tale mozione ricordavano in quel documento come tali, specifiche problematiche sanitarie, fossero da tempo all'attenzione dell'Unione europea che le aveva incluse nell'allegato 1 della decisione n. 2000/96/CE del 22 dicembre 1999, relativa alle malattie trasmissibili da inserire progressivamente nella rete comunitaria, conseguentemente alla decisione n. 2119/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    nella citata mozione veniva sottolineata l'alta incidenza della mortalità nelle infezioni nosocomiali (25-30 per cento) e la conseguente necessità di predisporre un sistema di prevenzione e di segnalazione che ne circoscrivesse quanto più possibile l'incidenza;
    sempre nel contesto della mozione, veniva segnalato l'effetto moltiplicativo del rischio rappresentato dalla comparsa di nuove resistenze agli antibiotici (selezionate e particolarmente diffuse proprio in ambiente ospedaliero) che, in prospettiva, potrebbero ridurre la potenziale efficacia di tale strumento terapeutico sino ad introdurre lo spettro di una tragica recrudescenza della mortalità delle malattie sostenute da agenti batterici;
    tale considerazione ha da tempo indotto i Paesi più evoluti sotto il profilo sanitario a sollecitare un'attenta rivalutazione culturale dell'utilizzo terapeutico dei farmaci antimicrobici, rafforzando le raccomandazioni in merito alla loro diffusione, ad evitare che l'uso incongruo e l'abuso possano favorire i noti fenomeni di farmacoresistenza;
    secondo i dati diffusi dall'ESAC (European Surveillance of Antimicrobical Consumption), operativo nell'Ecdc di Stoccolma, appare purtroppo in tal senso documentato che i Paesi europei che presentano l'utilizzo ambulatoriale pro capite più elevato di antibiotici sono proprio quelle in cui salgono in modo inquietante le percentuali dei microorganismi resistenti alle terapie;
    sempre secondo i dati diffusi dall'ECDC, nel triennio 2010-2013, l'Italia è stato uno dei Paesi europei che ha registrato la maggior crescita della resistenza alla Klebsiella Pneumoniae, batterio gran negativo, produttore di carbapenemasi, uno dei più temibili agenti killer delle infezioni nosocomiali;
    nella consapevolezza del rischio conseguente alle infezioni (e alle conseguenti resistenze) da batteri produttori di carbapenemasi, il Ministero della salute, in data 13 febbraio 2013, ha pubblicato la circolare n. 4968, contenenti prescrizioni finalizzate alla prevenzione del rischio;
    le disposizioni contenute nella citata circolare 4968/2013 hanno a lungo trovato scarsa applicazione nella realtà sanitaria italiana, come veniva sottolineato dai firmatari della «mozione Capua» che, all'atto dell'approvazione di tale documento parlamentare, ottenevano l'impegno del Governo pro tempore ad esercitare azioni di educazione sanitaria, di prevenzione diretta ed indiretta, di monitoraggio e di controllo, di sorveglianza attiva integrata umana e animale che elevassero il complessivo livello di sicurezza del sistema sanitario nei confronti della crescita della farmacoresistenza batterica e, in particolare, nei confronti dei batteri produttori di carbapenemasi;
    nel maggio del 2016, il rapporto sulle resistenze antimicrobiche (AMR) del Department of Health del Regno Unito sottolinea il rischio che, entro il 2050, le infezioni batteriche antibiotico resistenti possano ritornare ad essere la prima causa di mortalità al mondo;
    il 21 settembre del 2016, i 193 Paesi membri dell'ONU, riuniti nell'Assemblea Generale dell'ONU, hanno sottoscritto un documento di intenti che impegna ad affrontare in modo unitario e deciso tale fenomeno, con una risposta «mondiale, coordinata»;
    nel settembre del 2016, in un articolo giornalistico sull’Huffington Post i tre direttori generali di FAO, OMS e OMS animale hanno pubblicato un proprio appello congiunto per l'immediato intervento a livello mondiale sulla prevenzione dei rischi connessi alla diffusione della resistenza microbica;
    per quanto attiene al nostro Paese, il persistente uso incongruo degli antibiotici è certificato dallo stesso Istituto superiore di sanità che, nel proprio rapporto 09/32 del 2009, ritornava sui consumi italiani troppo alti (in crescita da 20 a 28 DDD/1000 abitanti/die, tra il 2000 e il 2008), che espongono a rischi sempre più elevati di infezioni nosocomiali e di farmacoresistenza;
    la riduzione dell'utilizzo incongruo degli antibiotici in Italia, in ambiente ambulatoriale, passa sicuramente attraverso un'azione culturale, che coinvolga i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, ma anche i pazienti e le loro famiglie, per evitare un approccio terapeutico che salti i farmaci di prima scelta in tutte le circostanze in cui essi sarebbero da soli risolutivi per debellare patologie infiammatorie, non sostenute da agenti batterici e microbici, senza ricorrere all'uso degli antibiotici;
    per quanto invece attiene all'utilizzo degli antibiotici nel trattamento delle infezioni ospedaliere, altrettanto utile sembrerebbe un approccio antibiotico quanto più mirato possibile, che eviti l'uso indiscriminato dei farmaci «ad ampio spettro» o «di seconda istanza», che sarebbe meglio non utilizzare in assenza di specifiche indicazioni su base microbiologica;
    è indispensabile la sottolineatura sulla necessità di azioni integrate sul corretto utilizzo degli antibiotici in ambito umano, veterinario e persino fitosanitario (non in tutti i Paesi è vietato l'uso degli antibiotici sulle piante) per una prevenzione globale del rischio;
    è del tutto evidente che il successo delle azioni di crescita culturale della popolazione e degli operatori, di prevenzione, di sorveglianza, di monitoraggio globale deve adeguatamente essere supportato dalla consapevolezza che ogni ulteriore perdita di tempo e sottovalutazione del problema rischierebbe di comportare danni incalcolabili alla salute degli italiani e alla stessa sostenibilità economica del nostro sistema di Welfare sanitario,

impegna il Governo:

1) ad accelerare le azioni attuative degli indirizzi contenuti nella mozione n. 1-01055 e nelle mozioni abbinate di analogo oggetto approvate dalla Camera dei deputati nella seduta n. 552, in data 21 gennaio 2016;
2) a porre particolare attenzione sulle azioni relative alla penetrazione culturale nell'intera popolazione del messaggio sul rischio correlato all'uso inadeguato di tali farmaci, per ridurre ogni tipo di pressione psicologica sui prescrittori che favorisca i comportamenti terapeutici inappropriati;
3) a porre particolare attenzione ai sistemi di misurazione dei consumi di farmaci antimicrobici, all'individuazione delle cause che inducono difformità di consumi nelle varie realtà italiane, alle azioni di benchmark nei confronti delle realtà nazionali ed europee più virtuose e alle attività di monitoraggio del rischio e di potenziamento della copertura dell'attività dei presidi di diagnosi microbiologica;
4) a potenziare le strutture di risk management nelle realtà sanitarie ospedaliere e aziendali, al fine di prevenire il circolo vizioso rappresentato dall'incremento delle infezioni nosocomiali resistenti;
5) a sostenere le attività di ricerca, con particolare attenzione a quelle di dimensione olistica, che propongono percorsi di studio integrati nelle diverse dimensioni della vita umana, animale e vegetale.
(1-01479)
«Vargiu, Monchiero, Molea, Matarrese, Oliaro, Galgano, Menorello, Dambruoso, Librandi, Catalano, Quintarelli, Catania».
(23 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Organizzazione mondiale della sanità – OMS –, rivolgendosi a tutti i Paesi membri, ha recentemente lanciato un appello per un corretto uso degli antibiotici con uno slogan molto suggestivo: tutti contro il «superbug», ossia tutti uniti contro i batteri resistenti agli antibiotici;
    il periodo più fecondo per la scoperta degli antibiotici è stato intorno alla metà del secolo scorso, quando numerose molecole nuove entrarono sul mercato. Ma la stragrande maggioranza degli antibiotici oggi a disposizione è stata sviluppata prima del 1968 e l'ultima classe di antibiotici scoperta risale agli anni Ottanta. L'ultimo prodotto commercializzato in Europa, nel 2012, è un antibiotico contro le polmoniti ospedaliere e le infezioni cutanee dovute ai temuti stafilococchi resistenti alla meticillina (MRSA);
    ci sono attualmente alcune molecole in via di sperimentazione, tra cui quella contro la Pseudomonas aeruginosa, responsabile di gravi polmoniti acquisite in ospedale; ma non c’è ancora niente per contrastare la resistenza batterica agli antibiotici carbapanemi, considerati il prodotto più avanzato, top level, per diversi tipi di infezione;
    infezioni comuni come la polmonite, curate senza difficoltà con l'avvento della penicillina, in molte situazioni non rispondono più. L'alta percentuale di resistenza agli antibiotici che sono considerati la seconda o la terza scelta per la maggior parte delle infezioni significa che per trattare le forme gravi è necessario fare ricorso a farmaci che costituiscono di fatto l'ultima opportunità terapeutica. Se si diffondesse la resistenza anche a questi, non rimarrebbe alternativa;
    l'aumento dell'antibiotico resistenza costituisce ormai un problema sanitario globale, tutti i Governi lo considerano una delle maggiori sfide per la salute pubblica e sta raggiungendo livelli pericolosamente alti in ogni parte del mondo. Margaret Chan, direttore generale dell'OMS, lanciando la nuova campagna dell'OMS, «Antibiotici: maneggiare con cura», ha recentemente affermato che «la resistenza agli antibiotici sta compromettendo la nostra capacità di trattare le malattie infettive e minando il progresso della medicina. I dati mostrano la necessità urgente di migliorare la comprensione e la conoscenza intorno al fenomeno dell'antibiotico resistenza». Si tratta di una delle più grandi sfide in termini di salute del ventunesimo secolo che richiederà un cambiamento globale del comportamento degli individui e della società;
    l'antibiotico resistenza si verifica quanto i batteri mutano e diventano resistenti ai farmaci utilizzati per il trattamento delle infezioni da essi provocate: l'utilizzo eccessivo e improprio di antibiotici aumenta lo sviluppo di questi batteri. Tra le cause che contribuiscono alla crescita del fenomeno, una delle più importanti è proprio la scarsa conoscenza del problema, oltre a un insieme di pregiudizi e di luoghi comuni che lo accompagnano;
    uno dei principali fattori che contribuiscono alla resistenza è la pratica di trattare gli animali da allevamento con basse dosi di antibiotici per favorire la crescita ed evitare le malattie negli ambienti sovraffollati degli allevamenti intensivi. Questa pratica è vietata in Europa dal 2006, ma ancora oggi negli Stati Uniti l'80 per cento circa degli antibiotici viene impiegato con gli animali;
    l'OMS, mentre rafforza la sua lotta contro la resistenza agli antibiotici, ha promosso una ricerca in dodici Paesi membri, da cui si evince come ci sia ancora grande confusione intorno a questo fenomeno, che rappresenta una seria minaccia per la salute pubblica;
    particolarmente diffuse sono la convinzione di chi crede che gli antibiotici possano essere usati per curare raffreddore e influenza, nonostante sia risaputo che non hanno alcun impatto sui virus, oppure la falsa idea che sia giusto interrompere l'assunzione di antibiotici quando ci si sente meglio, senza completare il trattamento prescritto dal medico;
    per affrontare questo problema in costante crescita, durante l'Assemblea mondiale della sanità nel maggio 2015 è stato approvato un piano d'azione globale: uno dei cinque obiettivi è proprio quello di migliorare la comprensione e la consapevolezza del fenomeno della antibiotico-resistenza attraverso una comunicazione e una formazione più efficace;
    la minaccia della resistenza dei batteri agli antibiotici è stata a lungo sottovalutata. Ma si tratta di un fenomeno sempre più diffuso, particolarmente preoccupante, perché in un contesto globalizzato come l'attuale, anche la resistenza agli antibiotici, diventa un fenomeno globale, che potrebbe aggravarsi fino a un punto di non ritorno;
    alcuni tra i maggiori esperti mondiali su questo tema hanno affidato a Nature un appello sulla necessità di istituire un organismo internazionale sul modello di quello che si occupa dei cambiamenti climatici, per tenere sotto controllo la situazione e trovare soluzioni;
    i problemi maggiori nascono negli ospedali, dove si concentrano le infezioni con il maggior livello di antibiotico-resistenza: nei reparti di terapia intensiva e di neonatologia. I pazienti oncologici e quelli che hanno subito un trapianto sono i più vulnerabili, come le persone cui vengono somministrati antibiotici per prevenire infezioni dopo un intervento operatorio. Una grande percentuale delle infezioni ospedaliere sono causate da batteri altamente resistenti come lo Staphylococcus aureus meticillino-resistente (Mrsa). Dunque, l'uso inappropriato degli antibiotici offre condizioni favorevoli per l'emergere, il diffondersi e il persistere di microrganismi resistenti;
    a volte si tratta di batteri che vivono normalmente nel nostro organismo senza causare problemi, ma quando le difese immunitarie si abbassano al di sotto di una certa soglia, allora possono emergere delle vere e proprie auto-infezioni;
    secondo il rapporto dell'ECDC in Europa 1 paziente su 20 pazienti ospedalizzati contrae un'infezione, il che vuol dire 4,1 milioni di infezioni correlate all'assistenza (ICA), con 37 mila decessi e un costo di oltre sei miliardi di euro l'anno, che grava sui sistemi sanitari nazionali. In Italia viene colpito il 6 per cento dei pazienti: ogni anno tra i 600 e i 700 mila casi;
    le infezioni causate da microrganismi resistenti non rispondono ai trattamenti tradizionali, procurando malattie prolungate e maggiore rischio di morte. Ogni anno circa 440 mila nuovi casi di tubercolosi multiresistente (Mdr-Tb) sono causa di 150 mila decessi. Si sta registrando un forte aumento della resistenza alla prima generazione di medicine antimalariche (come la clorochina e la sulfadoxina-pirimetamina);
    l'Italia è uno dei Paesi europei che usa più antibiotici. I sistemi di sorveglianza confermano che anche il fenomeno della antibiotico-resistenza in Italia è tra i più elevati tra i Paesi europei, in stretta relazione con il consumo. Secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità, quasi la metà degli italiani che nel 2012 hanno assunto un antibiotico lo ha fatto senza prescrizione del medico, in un processo di automedicazione pericoloso e superficiale;
    in Italia l'antibiotico-resistenza è raddoppiata negli ultimi 10 anni, secondo il report (con dati del 2014) da poco pubblicato dall'Ocse, l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo che ha sede a Parigi e che studia gli aspetti economici per i Paesi membri, tutti con economia di mercato e sistema democratico. Facendo i conti un trattamento per curare una forma batterio-resistente può arrivare a costare in ospedale tra 10 e i 40 mila dollari, con forti effetti collaterali, contro pochi dollari dei normali antibiotici;
    fin dal 2009 il Ministero della salute ha approntato un piano per la rilevazione e il controllo delle infezioni nosocomiali e delle infezioni correlate all'assistenza (ICA); la rilevazione comprende non solo le infezioni all'interno dei nosocomi ma anche nell'ambito di un percorso allargato ad altre strutture sanitarie come le case di riposo per anziani e altro;
    il fenomeno delle ICA in Italia costituisce la sesta causa di richiesta di risarcimento e la quarta causa per dimensione rimborsi. Una crisi sanitaria che richiede attenzione, conoscenza e acquisizione di dati, soluzioni tecnologiche innovative e grande adesione ai programmi di prevenzione e controllo. Ma per l'attuazione di un piano nazionale la vera criticità è rappresentata dalla mancanza di coordinamento con le regioni, in linea con i programmi internazionali che esistono in molti altri Paesi europei. Al momento hanno aderito al piano solo due terzi delle regioni e si è molto lontani dall'avere un quadro completo;
    la preoccupazione globale riguarda il rischio di un passaggio all'era post-antibiotica dove anche per piccole infezioni e ferite si possa morire a causa di una sempre minore efficacia degli antimicrobici esistenti. Polmonite, tubercolosi, infezioni del sangue e gonorrea finora curabili con trattamenti poco costosi e con relativamente pochi effetti secondari, sono sempre più difficili da trattare a causa di ceppi che ormai non rispondono alle cure esistenti. Lo afferma il Rapporto globale sulla resistenza antimicrobica (AMR), pubblicato dalla Organizzazione mondiale della sanità,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di adottare strumenti normativi efficaci per dare piena attuazione al documento strategico globale ed alle linee guida, predisposti dall'Organizzazione mondiale della sanità, per la riduzione dell'uso degli antibiotici;
2) a promuovere iniziative destinate ad incentivare l'uso responsabile degli antibiotici in commercio attraverso una efficace campagna di informazione sulla importanza e sulla necessità di un corretto uso degli antibiotici;
3) ad intensificare la campagna di promozione delle vaccinazioni, così come previsto anche nella recente legge di bilancio 2017;
4) a valutare attraverso una pluralità di iniziative come si possa ridurre il consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero, rafforzando il sistema di farmacovigilanza;
5) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per incentivare la riduzione dell'uso degli antibiotici negli allevamenti di animali, implementando i controlli e il monitoraggio nelle aziende zootecniche;
6) ad incentivare la ricerca per lo sviluppo di nuovi antibiotici;
7) a promuovere, per quanto di competenza, un confezionamento di farmaci tale da prevedere l'introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati, per evitare inutili sprechi da parte dei cittadini.
(1-01480)
«Binetti, Buttiglione, De Mita, Cera, Pisicchio».
(23 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    l'emergenza di microorganismi resistenti agli antibiotici, oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo, sta diventando, specialmente negli ultimi anni, un fenomeno di rilevanza mondiale considerato che, solo in Europa, ogni anno i batteri «resistenti» sarebbero responsabili di 25 mila morti per infezioni resistenti agli antibiotici e, secondo alcune stime, nel 2050 potrebbero provocare 317 mila morti in America e 390 mila in Europa;
    il fenomeno dei batteri resistenti agli antibiotici potrà creare nel lungo termine una serie di problemi gravi per la salute umana poiché molte infezioni resistenti agli antibiotici stanno già adesso diventando difficili da trattare con successo;
    il problema non è determinato solo dall'uso di antibiotici direttamente sull'uomo ma anche in ambito veterinario, infatti, quanto all'impiego nell'animale, quando la resistenza agli antimicrobici si sviluppa in batteri zoonotici, cioè presenti nell'animale, ma trasmissibili all'uomo per contatto o attraverso gli alimenti che dall'animale hanno origine, può compromettere l'efficacia del trattamento di malattie infettive anche nell'uomo;
    ad oggi, la contemporanea resistenza (co-resistenza) agli antimicrobici di importanza critica è relativamente poco frequente, e ciò significa che nella maggior parte dei casi esistono le possibilità di cura per le infezioni gravi; il fatto, comunque, che la resistenza agli antimicrobici sia rilevata comunemente desta allarme. Infatti, quando i batteri diventano clinicamente resistenti a più antimicrobici (multiresistenza), il trattamento delle infezioni da loro provocate risulta molto più complesso, se non impossibile, e comunque oneroso;
    l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), l'Agenzia europea per i medicinali (Ema) e lo Scientific Commitee on Emerging and Newly Identified Health Risks (Scenihr), come pure l'Organizzazione mondiale della sanità (Who, in particolare la task force intergovernativa sulla resistenza antimicrobica), hanno rilevato come l'uso eccessivo e improprio degli antibiotici tanto nella popolazione umana, quanto negli animali, acceleri la selezione e la diffusione di batteri e di microrganismi resistenti alla loro azione;
    il Consiglio dell'Unione europea ha pubblicato a giugno 2016 il documento «Council conclusions on the next steps under a One Health approach to combat antimicrobial resistance» nel quale, richiamando e accogliendo le già presenti direttive europee e internazionali sull'antibiotico-resistenza, esprime preoccupazione per gli oltre 700 mila decessi annui che, secondo l'Ocse, la resistenza agli antibiotici potrebbe causare a livello globale;
    il documento sopra citato sottolinea che per progredire nel contrasto alla resistenza agli antibiotici, il nuovo piano d'azione dell'Unione europea dovrebbe contenere obiettivi misurabili (dal punto di vista quantitativo o qualitativo), parametri comparativi e misure efficaci per raggiungere questi obiettivi;
    il Consiglio evidenzia, altresì, che «il successo della lotta alla resistenza agli antimicrobici si basa per gran parte sull'impegno e la volontà dei governi di agire per assicurare l'attuazione delle iniziative dell'approccio “one health”, coinvolgendo tutti i settori interessati e sulla volontà degli Stati membri dell'Unione europea di cooperare a livello europeo e a livello internazionale». Il documento, di carattere politico e strategico, pur non avendo alcun valore vincolante, rappresenta l'attuale posizione della Commissione europea su questo argomento, posizione che rafforza l'indirizzo della visione dell'approccio One Health e la necessità di un piano nazionale di contrasto all'antibiotico-resistenza per tutti i Paesi, la collaborazione tra Paesi e lo sviluppo di azioni di coordinamento tra le diverse nazioni;
    l'Organizzazione mondiale della sanità, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao), l'Organizzazione mondiale della sanità animale, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) hanno più volte cercato di sensibilizzare i governi, anche promuovendo la Giornata mondiale e quella europea degli antibiotici, organizzata per sensibilizzare sulla minaccia rappresentata dalla resistenza agli antibiotici, nonché sull'uso prudente degli antibiotici stessi;
    l'Organizzazione mondiale della sanità ed il G8 si stanno interessando al fenomeno e, da ultimo, il Governo degli Stati Uniti d'America ha istituito una task force, al fine di tentare di arginare tale fenomeno;
    l'Organizzazione mondiale della sanità ha più volte ribadito la necessità di una rete sinergica che coordini a livello globale il monitoraggio delle antibiotico-resistenze e la condivisione dei dati;
    solo 129 dei 194 Paesi membri dell'Organizzazione mondiale della sanità hanno fornito dati nazionali sulla crescente minaccia della resistenza antimicrobica (AMR) e, tra questi, solo 42 hanno rintracciato i dati relativi a tutte le 9 coppie «batteri-antibiotici» che le agenzie nazionali hanno indicato come le principali minacce per la salute pubblica, tra questi: Staphylococcus aureus e meticillina, Escherichia Coli e le cefalosporine, Klebsiella pneumoniae e i carbapenemi;
    a novembre 2016, The Lancet Infectious Diseases ha pubblicato i risultati della caratterizzazione di 1.397 isolati di enterobatteri resistenti ai carbapenemi (carbapenem-resistant Enterobacteriaceae, Cre) raccolti in 455 ospedali europei, dislocati in 36 Paesi europei. Lo studio è stato realizzato all'interno del progetto EuSCAPE (European Survey on CarbapenamaseProducing Enterobacteriaceae) e fotografa per la prima volta la resistenza ai carbapenemi di Klebsiella pneumoniae ed Escherichia coli in Europa. Dall'indagine emerge che, in media, 1,3 pazienti ogni 10 mila ricoveri ospedalieri ha un'infezione da Klebsiella pneumoniae o Escherichia coli resistenti ai carbapenemi (le incidenze maggiori sono state riscontrate nei Paesi europei meridionali o orientali);
    i risultati appena riportati sottolineano la necessità di sviluppare un sistema di sorveglianza delle resistenze ai carbapenemi nei sistemi sanitari europei come strumento per informare i programmi di controllo e la valutazione del rischio;
    a seguito della distribuzione globale del gene mcr-1, gene localizzato su plasmide che codifica per la resistenza all'antibiotico colistina, l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) ha pubblicato un Rapid Risk Assessment che fa il punto sulle azioni necessarie per ridurne la diffusione. Tra queste: il miglioramento dei metodi per testare la resistenza alla colistina e per identificare la presenza del gene, il miglioramento delle attività di sorveglianza dell'antibiotico-resistenza, scelte di gestione clinica appropriata, e interventi mirati a prevenire la trasmissione in ambito nosocomiale e comunitario;
    la resistenza antimicrobica rappresenta oggi una minaccia reale per la salute pubblica, preoccupazione che emerge come duro avvertimento dal rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità che, nel tracciare la prima mappa globale sulla resistenza antimicrobica, evidenzia un vasto e rapido sviluppo delle resistenze agli antibiotici e ad altri agenti antimicrobici in ogni regione del mondo;
    vi sono alte percentuali di resistenza agli antibiotici in batteri piuttosto comuni (responsabili di infezioni del tratto urinario, polmonite, infezioni del sangue, e altro). Ad esempio lo Staphylococcus aureus è un batterio Gram-positivo (naturalmente presente nella flora della pelle) che può causare una varietà di infezioni, in particolare infezioni dei tessuti molli, della pelle, delle ossa e sangue, ed è anche la causa più comune di infezioni post-operatorie;
    in Nigeria, ad esempio, alcuni studi suggeriscono che circa l'88 per cento di infezioni da Staphylococcus aureus non possono essere trattate con meticillina, una volta considerata una potente arma contro questo tipo di batterio. Questo problema sembra essere particolarmente sentito, secondo i dati pubblicati dal Rapporto dell'Oms, nei Paesi delle cosiddette economie emergenti: i Paesi del «BRIC»: Brasile, Russia, India e Cina;
    in Italia la resistenza alla meticillina supera il 38 per cento; si tratta di un'emergenza non trascurabile, anche alla luce del fatto che le persone affette da MRSA (methicillin-resistant Staphylococcus aureus) hanno il 64 per cento di probabilità di morte in più rispetto alle persone che non hanno sviluppato un'infezione resistente ai farmaci;
    secondo Timothy Walsh, medico microbiologo dell'Università di Cardiff, nel Regno Unito, che ha partecipato come consulente alla stesura del rapporto sopra citato, la tendenza più preoccupante è la diffusione della resistenza ai carbapenemi poiché fino al 95 per cento degli adulti, tra India e Pakistan, hanno sviluppato batteri resistenti agli antibiotici β-lattamici – tra cui i carbapenemi, considerati antibiotici di «ultima generazione». In confronto, solo il 10 per cento degli adulti residenti nella zona del Queens di New York ha sviluppato questo tipo di resistenza e dunque emerge chiaramente come la diffusione dell'antibiotico-resistenza è «maggiore di quanto avremmo potuto immaginare»;
    in Italia la percentuale di resistenza ai carbapenemi riportata nel report del World Health Organization (WHO) è pari a circa il 25 per cento inferiore solo a quella della Grecia, tra i Paesi dell'Europa occidentale;
    tali criticità sono aggravate dal fatto che, al momento, non ci sono nuovi farmaci antimicrobici in fase di sviluppo; dagli anni ’90 ad oggi non si registrano trial che hanno portato alla scoperta di nuovi medicinali antimicrobici;
    nuove tipologie di antibiotici sono oggi assolutamente necessarie, ed è compito delle istituzioni promuovere la ricerca in questo senso, anche se, come rileva giustamente Sumanth Gandra, epidemiologo del CDDEP (Center for Disease Dynamics, Economics & Policy), è quasi inevitabile che, anche se arriveranno sul mercato i nuovi farmaci, anche questi finiranno per perdere la loro efficacia, se non si interviene, in prima battuta, sui comportamenti di utilizzo e di prescrizione;
    è necessario uno sforzo comune da parte di tutti gli Stati membri per contrastare lo sviluppo delle resistenze antimicrobiche, per implementare e coordinare le azioni messe in campo a livello globale, compresa la necessità di una più ampia condivisione dei dati sul monitoraggio della crescente minaccia della resistenza antimicrobica (AMR);
    gli strumenti chiave per affrontare l'antibiotico-resistenza, come i sistemi di base per monitorare e controllare le resistenze, sono inefficaci o spesso inesistenti in alcuni Paesi;
    è importante che – oltre alla prevenzione e al controllo delle infezioni, alla vaccinazione per ridurre la necessità di antibiotici – si riduca l'uso inappropriato di antibiotici come raccomandato in questi ultimi anni da parte anche dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa);
    nei Paesi sviluppati, tra le diverse cause che hanno portato ad una crescita così rapida delle resistenze, un fattore importante è costituito dalle prescrizioni inappropriate e dall'abuso nei consumi da parte della popolazione;
    l'Organizzazione mondiale della sanità ha ribadito più volte l'importanza di una corretta formazione agli operatori sanitari e dell'informazione alla popolazione generale per orientare correttamente le abitudini di utilizzo degli antibiotici;
    secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, i Governi debbono lavorare affinché i cittadini utilizzino gli antibiotici solo se prescritti da un medico, effettuino la terapia completa senza interromperla come spesso succede ed evitino la somministrazione di più antibiotici in periodi ravvicinati; affinché gli operatori sanitari migliorino la prevenzione ed il controllo delle infezioni, migliorino l'appropriatezza prescrittiva e prescrivano antibiotici solo quando è veramente necessario; altresì affinché le istituzioni e l'industria del farmaco adottino misure per promuovere l'innovazione e la ricerca e regolamentino la cooperazione e la condivisione di informazioni tra tutti i soggetti interessati;
    in un parere congiunto del 2009 l'Autorità europea per la sicurezza, alimentare (EFSA), il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l'Agenzia europea per i medicinali (EMA) e il Comitato scientifico sui rischi sanitari emergenti e recentemente identificati (SCENIHR), hanno concluso che la resistenza agli antimicrobici è in aumento in tutto il mondo e hanno sottolineato il rischio specifico per la salute umana posto dalla resistenza batterica agli antibiotici usati nella cura,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte a finanziare con maggiori risorse le strutture pubbliche di ricerca, finalizzate allo studio di nuove molecole ad attività antibatterica o di associazioni di molecole già note, o di strategie terapeutiche innovative mirate al superamento dell'antibiotico-resistenza dei ceppi batterici causa di infezioni;
2) a prevedere forme di sostegno per la ricerca in questo settore;
3) a potenziare, nel campo della sicurezza alimentare, con il sostegno dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), azioni volte a proteggere il consumatore dai rischi derivanti dall'utilizzo degli antibiotici nella filiera alimentare, attuando le migliori misure di controllo per ridurre i rischi di insorgenza della resistenza agli antimicrobici nella stessa catena alimentare;
4) a promuovere le buone pratiche per il controllo delle infezioni ospedaliere al fine di migliorare le condizioni igieniche in tutti gli ambiti e a sottolineare presso il pubblico l'importanza delle misure di igiene personale, per evitare il diffondersi delle infezioni;
5) a promuovere la ricerca nel settore dei test rapidi che permettano di individuare la natura e l'origine delle infezioni, così da impiegare gli antibiotici solo quando effettivamente necessari e nel modo più mirato possibile;
6) a promuovere iniziative, anche attraverso il contributo dei medici e degli operatori sanitari, volte a responsabilizzare il cittadino sull'uso degli antibiotici e sui danni derivanti da un loro abuso;
7) a promuovere iniziative, per quanto di competenza, affinché gli operatori sanitari migliorino la prevenzione ed il controllo delle infezioni, migliorino l'appropriatezza prescrittiva e prescrivano antibiotici solo quando è veramente necessario;
8) ad adoperarsi affinché le istituzioni e l'industria del farmaco adottino misure per promuovere l'innovazione e la ricerca e regolamentino la cooperazione e la condivisione di informazioni tra tutti i soggetti interessati.
(1-01483) «Gullo, Crimi, Occhiuto».
(23 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il ricorso all'impiego degli antibiotici ha rivoluzionato l'approccio al trattamento e alla prevenzione delle malattie infettive e delle infezioni ritenute nei decenni passati incurabili;
    tuttavia, ormai da anni dalla comunità scientifica internazionale e nazionale arrivano allarmanti segnali sul propagarsi delle resistenze agli antibiotici; ciò comporta evidenti e oggettive implicazioni cliniche (aumento della morbilità, letalità, durata della malattia, sviluppo di complicanze, possibilità del propagarsi delle epidemie), tralasciando, anche se non è di poco conto, gli effetti di natura finanziaria derivanti dalle infezioni da batteri antibiotico-resistenti;
    è noto, che tenuto conto della complessità della tematica, anche l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Unione europea hanno adottato specifiche iniziative, per limitare, mediante un uso appropriato degli antibiotici, il diffondersi della resistenza antimicrobica;
    l'Unione europea, infatti, ha previsto l'antibiotico-resistenza tra le priorità da affrontare, già dal 1999, con la risoluzione «Una strategia contro la minaccia microbica», mentre nel 2001 ha deliberato le raccomandazioni per una strategia comune contro l'antibiotico-resistenza e l'uso prudente degli antibiotici in medicina umana;
    nel 2011 la Commissione europea ha approvato il piano di azione contro le minacce crescenti di resistenza antimicrobica, per giungere al 2016, allorquando il Consiglio dell'Unione europea ha pubblicato un documento con cui, richiamando e accogliendo le esistenti direttive europee e internazionali sull'antibiotico resistenza, evidenzia che «il successo della lotta alla resistenza agli antimicrobici si basa per gran parte sull'impegno e la volontà dei Governi di agire per assicurare l'attuazione delle iniziative, coinvolgendo tutti i settori interessati, e sulla volontà degli Stati membri dell'U.E. di cooperare a livello europeo e internazionale»;
    tra le iniziative europee di sanità pubblica, promossa e sostenuta dal Centro europeo per il controllo delle malattie, vi è la giornata europea degli antibiotici, che si svolge ogni anno il 18 novembre e ha come obiettivo la sensibilizzazione sulla minaccia rappresentata dalla resistenza agli antibiotici, nonché sull'uso prudente degli antibiotici stessi;
    in Europa si verificano annualmente 4 milioni di infezioni da germi antibiotico-resistenti che causano oltre 37.000 decessi e determinano un consistente assorbimento di risorse pari a circa 1,5 miliardi di euro anno;
    lo scenario che si pone all'attenzione del mondo scientifico, medico e sociale, induce a ritenere non più procrastinabile l'avvio di ogni utile e appropriata iniziativa finalizzata a ridurre l'uso inappropriato di antibiotici, puntando anche su «massicce» campagne di informazione della popolazione e adeguata formazione degli operatori sanitari, tenuto contro peraltro, che i risultati provenienti dal progetto ESVAC (European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption), vedono l'Italia tra i Paesi con i più alti volumi di vendita di antimicrobici, inoltre, nel nostro Paese le infezioni collegate all'assistenza intra-ospedaliera colpiscono circa 284.000 pazienti;
    negli Stati Uniti è stato individuato nelle urine di una donna un super-batterio specie di «escherichia coli» resistente a qualsiasi tipo di antibiotici;
    stante lo scenario in esame, appare importante che le regioni possano organizzarsi per poter contare su strutture ospedaliere, siano esse aziende sanitarie o aziende ospedaliere, che fattivamente osservino la sorveglianza e il controllo delle infezioni sanitarie producendo un report annuale che documenti l'uso degli antibiotici, proprio al fine di controllare il fenomeno dell'antibiotico resistenza;
    va detto che la tematica della cosiddetta «antibiotico resistenza» all'esame dell'Assemblea, assume un ruolo fondamentale anche con riguardo alla distribuzione e all'impiego degli antibiotici negli allevamenti degli animali; in questo specifico contesto, assume rilevanza ogni attività di controllo ufficiale in materia di distribuzione e impiego dei medicinali veterinari, per poter garantire lo stato di salute e benessere degli animali, e garantire nel contempo che gli alimenti derivanti dagli animali trattati non contengano residui chimici superiori ai limiti previsti dalla normativa nazionale e comunitaria;
    rimanendo nel tema dei medicinali ad uso animale, risulta quanto mai necessario – come ulteriore prospettiva futura – poter contare su un sistema di digitalizzazione della movimentazione dei medicinali, in sintesi bisogna puntare sulla «tracciabilità del farmaco veterinario» mediante la ricetta elettronica,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, avvalendosi anche dell'AIFA, per garantire sul territorio nazionale una capillare attività di informazione dei cittadini e di formazione del personale sanitario, al fine di migliorare l'appropriatezza prescrittiva, l'efficacia, l'efficienza e la sicurezza delle cure, promuovendo l'uso responsabile degli antibiotici e limitandone l'utilizzo;
2) ad adottare in tempi rapidi il piano nazionale per la prevenzione e il controllo della resistenza antimicrobica;
3) ad assumere tempestive iniziative – nell'ambito della generale politica della prevenzione sanitaria – anche mediante lo strumento dell'accordo Stato-regioni – affinché sia previsto che le regioni possano organizzarsi seguendo piani e programmi specifici per:
    a) garantire report periodici che documentino l'uso degli antibiotici, con finalità di controllo dell'antibiotico resistenza;
    b) monitorare il consumo di antibiotici in ambito ospedaliero e territoriale;
    c) promuovere la consapevolezza da parte della comunità nell'uso degli antibiotici;
    d) definire un programma di sorveglianza e controllo delle infezioni correlate all'assistenza;

4) ad avviare ogni iniziativa volta a potenziare i controlli nell'ambito degli allevamenti degli animali, utilizzando, quale strumento necessario per garantire la tracciabilità dei medicinali utilizzati, la ricetta elettronica.
(1-01484) «Calabrò, Bosco».
(23 gennaio 2017)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE IN RELAZIONE AI QUESITI REFERENDARI IN MATERIA DI JOBS ACT

   La Camera,
   premesso che:
    in data 11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale si è pronunciata sull'ammissibilità delle richieste relative ai tre referendum popolari abrogativi in materia di lavoro e Jobs Act promossi dalla Cgil e sui quali sono state raccolte oltre 3 milioni di firme ove, in particolare, si chiedeva la riviviscenza delle disposizioni contenute nell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e quindi la reintroduzione normativa dello stesso, l'abrogazione delle disposizioni che hanno istituito i voucher e, infine, la reintroduzione normativa delle disposizioni in materia di responsabilità solidale di appaltatore e appaltante in caso di violazioni nei confronti del lavoratore;
    in particolare, la Corte costituzionale ha dichiarato: ammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti» (n. 170 Reg. Referendum); ammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)» (n. 171 Reg. Referendum); inammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi» (n. 169 Reg. Referendum);
    alla luce della pronuncia di ammissibilità da parte della Consulta delle due richieste di referendum in materia di appalti e voucher, il Governo dovrà fissare una data per il voto, tra il 15 aprile e il 15 giugno, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 34, secondo e terzo comma, della legge n. 352 del 1970 ove si prevede che, in caso di anticipato scioglimento di una o di entrambe le Camere «il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all'atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse». Si precisa, poi, che i «termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365o giorno successivo alla data della elezione»;
    indipendentemente dall'esito della pronuncia di ammissibilità della Corte costituzionale, i quesiti sui quali la Cgil ha raccolto oltre tre milioni di firme affrontano tutti problematiche di cruciale importanza riguardando, come si è detto:
     a) la materia degli appalti e prevedendo che in caso di violazioni nei confronti del lavoratore rispondano in solido sia la stazione appaltante sia l'impresa appaltatrice, al fine di ripristinare le garanzie per i contributi dei lavoratori delle aziende che subappaltano i lavori. Il quesito, in particolare, recita: «Volete voi l'abrogazione dell'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”, comma 2, limitatamente alle parole “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori”.»;
     b) la reintroduzione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori attraverso l'abrogazione delle norme che hanno liberalizzato i licenziamenti economici. Il secondo quesito, ritenuto inammissibile dalla Corte, in particolare recitava: «Volete voi l'abrogazione del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, nella sua interezza e dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, comma 1, limitatamente alle parole “previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile”; comma 4, limitatamente alle parole: “per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,” e alle parole “, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto”; comma 5 nella sua interezza; comma 6, limitatamente alla parola “quinto”, e alle parole “, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi”, e alle parole “, quinto o settimo”; comma 7, limitatamente alle parole “che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”, e alle parole “; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo”; comma 8, limitatamente alle parole “in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento”, alle parole “quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di”, e alle parole “anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”»;
     c) l'abrogazione delle disposizioni relative ai voucher, ossia il cosiddetto lavoro accessorio, che può essere definito l'evoluzione della stabilizzazione del precariato nel nostro Paese. Il terzo quesito, in particolare, recita: «Volete voi l'abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”»;
    secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale, proprio in relazione a tali quesiti referendari, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti avrebbe recentemente dichiarato anche in riferimento alla coincidenza del referendum con la possibilità di elezioni anticipate che: «se si vota prima del referendum il problema non si pone», esplicitando in maniera chiara e inequivocabile non solo la difesa strenua del Jobs Act e del lavoro accessorio, ma anche il timore del Governo per l'indizione di un referendum che, per la seconda volta e nell'arco di pochissimi mesi, potrebbe sancire l'ennesima dimostrazione del profondo dissenso popolare nei confronti delle politiche economiche e sociali varate dal Governo Renzi, nella considerazione che il cuore dell'impianto strategico delle riforme del lavoro introdotte in questi ultimi anni hanno provocato, di fatto, una profonda destrutturazione degli elementi valoriali che sono alla base dei diritti dei lavoratori, legittimando la diffusione incontenibile di forme di precariato del tutto inaccettabili;
    la questione del diritto del lavoro e delle politiche del lavoro nel nostro Paese è una cosa talmente seria da dover essere affrontata urgentemente insieme, con il coinvolgimento di tutte le forze politiche e sociali in campo, perché fino a questo momento la recrudescenza del populismo ed effetti mediatici vari hanno provocato solo scollamento con il blocco sociale, senza portare ad alcun risultato socialmente apprezzabile come emerso inequivocabilmente dopo l'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016;
    bisogna recuperare al più presto quel progetto di unità ed unitarietà in cui si sostanzia il significato basilare dell'articolo 1 della Carta Costituzionale dove si legge: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», perché in termini legislativi non si può continuare a ragionare come se quell'unità e certi equilibri siano stati realmente raggiunti;
    si evidenzia, infine, che il 29 settembre 2016 la Cgil ha consegnato al Parlamento di 1 milione e 150.000 firme a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare sulla Carta dei diritti universali del lavoro: una riscrittura del diritto del lavoro in nome di un principio di uguaglianza che travalichi le varie, forme e tipologie nelle quali esso si è diversificato e frammentato negli anni. La Carta dei diritti universali del lavoro è un testo composto da 97 articoli che propone un nuovo statuto delle lavoratrici e dei lavoratori, che estenda diritti a chi non ne ha e li riscriva per tutti alla luce dei grandi cambiamenti di questi anni, rovesciando l'idea che sia l'impresa, il soggetto più forte, a determinare le condizioni di chi lavora, il soggetto più debole,

impegna il Governo:

1) ad adottare le opportune iniziative normative volte a dare seguito alle richieste contenute nei quesiti referendari promossi dalla Cgil, in relazione ai quali sono state raccolte oltre 3 milioni di firme;
2) ad assumere le iniziative di competenza al fine di fissare immediatamente la data per il voto referendario entro i termini previsti dalla legge.
(1-01451)
(Nuova formulazione) «Airaudo, Martelli, Placido, Scotto, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».
(19 dicembre 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'11 gennaio 2017 la Consulta si è espressa sull'ammissibilità dei tre quesiti referendari in materia di lavoro e jobs act promossi dalla Cgil, dichiarando ammissibili i due relativi all'abolizione dei voucher ed alla abrogazione delle norme che limitano la responsabilità solidale delle imprese in caso di appalti ed inammissibile il quesito che intendeva abrogare il contratto a tutele crescenti introdotto, appunto, con la riforma del jobs act;
    l'inammissibilità del quesito relativo all'abrogazione della «nuova» tipologia contrattuale era più che mai prevedibile, posto che il medesimo intendeva non solo ritornare alla versione «originaria» dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970) – dunque prima delle modifiche intervenute con la «riforma Fornero» del lavoro (legge n. 92 del 2012) e con il Jobs Act (legge n. 183 del 2014; decreto legislativo n. 23 del 2015), che ne hanno limitato l'applicazione sotto il profilo del reintegro del lavoratore licenziato ingiustamente, prediligendo la natura risarcitoria, ma addirittura ampliarne la portata, estendendone l'applicazione anche alle imprese sopra i 5 dipendenti, invece che sopra i 15;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo non serve un referendum per sancire il fallimento della riforma del lavoro nota come «jobs act»; sono sufficienti i dati Istat – e dello stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali – sul calo dei contratti a tempo indeterminato tra il 2015 ed il 2016 (nel secondo trimestre del 2016 le nuove attivazioni sono state 392.043, il 29,4 per cento in meno rispetto al 2015, pari a –163.099), per comprendere che diminuito lo sgravio contributivo per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, si sarebbe ridotta la propensione ad assumere da parte delle imprese;
    da sempre si ritiene – e si denuncia – che per creare occupazione e rilanciare l'economia ed i consumi bisognava intervenire non già sulle tipologie contrattuali, bensì in maniera strutturale sul cuneo fiscale e sulla elevata tassazione delle imprese, introducendo una flate rate per standardizzare il costo del lavoro alla media europea per render più competitivo il mercato del lavoro, nonché una tax rate omnicomprensiva per una massima semplificazione del costo del lavoro sia in termini burocratici che fiscali, il tutto nell'ottica di accrescere l'occupabilità;
    parimenti non si ritiene risolutivo sostenere i costi di una consultazione referendaria per sanare le falle prodotte sempre dalla riforma del jobs act sui voucher, che ha generato un loro abuso ed ha causato un loro utilizzo per finalità molto differenti da quelle che il legislatore si era proposto;
    lo strumento del voucher – si ricorda – era stato introdotto nel nostro ordinamento con la «riforma Biagi» (decreto legislativo n. 276 del 2003) allo scopo di facilitare dal punto di vista amministrativo il ricorso a manodopera occasionale e, al contempo, regolarizzare le prestazioni temporanee e accessorie, fino ad allora puro fenomeno di lavoro sommerso;
    invero, il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, uno dei tanti decreti attuativi della riforma « jobs act» per l'appunto, abrogando gli articoli da 70 a 73 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e sostituendone integralmente la disciplina, ha di fatto ampliato il campo di applicazione dei voucher, distorcendone la finalità iniziale e così consentendo il ricorso a prestazioni di lavoro in tutti i settori produttivi; fattore, questo, che ha contribuito ovviamente all'impennata del ricorso all'uso dei voucher registrata nell'ultimo biennio (nel 2015 c’è stato un aumento rispetto al 2014 del 57,7 per cento e del 51,2 per cento nel biennio 2014-2016);
    lo stesso Inps, nell'aggiornamento del 1o semestre 2016 sul lavoro accessorio nell'evidenziare che «dalla sperimentazione per le vendemmie del 2008, il sistema dei buoni lavoro è andato progressivamente ampliandosi sotto diversi profili» rileva che «La tipologia di attività per la quale è stato complessivamente acquistato il maggior numero di voucher è il Commercio (16,8 per cento). La consistenza della voce “altre attività” (36,7 per cento; include “altri settori produttivi”, “attività specifiche d'impresa”, “maneggi e scuderie”, “consegna porta a porta”, altre attività residuali o non codificate) è il riflesso della storia del lavoro accessorio, all'origine destinato ad ambiti oggettivi di impiego circoscritti (quindi codificabili), negli anni progressivamente ampliati, fino alla riforma contenuta nella legge n. 92 del 2012 che permette di fatto l'utilizzo di lavoro accessorio per qualsiasi tipologia di attività»;
    i dati dimostrano che, a fronte di un utilizzo di voucher pari al 19,7 per cento nei settori per i quali lo strumento era stato originariamente pensato (agricoltura: 4,3 per cento; giardinaggio: 5,8 per cento; lavori domestici: 3,3 per cento; manifestazioni sportive: 6,3 per cento), è stato utilizzato per l'80,3 per cento nei settori aggiunti dalla riforma del 2012 e poi da quella del 2015 (commercio: 16,8 per cento; turismo: 13,9 per cento; servizi: 12,9 per cento; altri settori: 36,7 per cento);
    è quindi doveroso intervenire subito in Parlamento con gli opportuni correttivi alla disciplina dei voucher per riportarli al loro spirito iniziale, al fine di limitare l'ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell'istituto del lavoro accessorio, ripristinando così l'impianto normativo originario del decreto legislativo n. 276 del 2003, il tutto ovviamente prima della data referendaria per evitare, oltre al costo delle operazioni elettorali, anche l'eventualità che un esito positivo dello stesso riporterebbe al sommerso tutto il lavoro accessorio ed occasionale,

impegna il Governo:

1) ad adottare le opportune iniziative normative correttive della legislazione vigente in materia di politiche del lavoro, anche di natura fiscale, al fine di fronteggiare le criticità che sono alla base dei quesiti referendari di cui in premessa e di creare nuova occupazione stabile e di qualità;
2) a valutare, anche al fine di evitare di scaricare sulle generazioni future i costi di un rilancio dell'occupazione basato esclusivamente sulla contribuzione figurativa, di assumere iniziative per l'applicazione di uno sgravio fiscale – in luogo della decontribuzione – sulle neo assunzioni a tempo indeterminato, solo relativamente alla tassazione del reddito di lavoro dipendente, ma in maniera proporzionale e crescente nei primi dieci anni di lavoro;
3) a favorire, per quanto di competenza, un rapido iter della proposta di legge n. 4206, recante modifiche alla disciplina del lavoro accessorio, il cui esame è già stato avviato in Commissione Lavoro.
(1-01481)
«Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
(23 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    in data 11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale, pronunciandosi sull'ammissibilità di tre quesiti referendari promossi dalla Cgil, ha dichiarato l'inammissibilità del quesito relativo alla reintroduzione della cosiddetta «reintegra» in caso licenziamento senza giusta causa e alla sua estensione a tutte le imprese sopra i cinque addetti;
    tale referendum, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe dovuto, non solo ripristinare l'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 («statuto dei lavoratori») nella sua disciplina vincolistica anteriore alle modifiche introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 («legge Fornero»), grazie anche all'abrogazione totale della legge 10 dicembre 2014 n. 183 del (« jobs act»), ma addirittura, tramite l'uso della tecnica abrogativa referendaria, estendere la sua applicabilità alle imprese con oltre 5 lavoratori;
    la Corte Costituzionale in questi decenni ha potuto dare vita ad una consolidata giurisprudenza per valutare l'ammissibilità dei quesiti referendari, in particolare, la Corte ha posto tre requisiti come indispensabili per l'ammissibilità dei quesiti: la loro chiarezza, univocità e omogeneità. In attesa della lettura delle motivazioni addotte dalla Consulta, si può ritenere che i supremi giudici abbiano potuto eccepire che il quesito ponendo tre distinte domande all'elettore, non soddisfacesse la consolidata giurisprudenza (sentenze 16/1978, quesiti sul codice penale e sul codice penale militare di pace; 27/1981 e 28/1987, caccia; 12/2014, revisione circoscrizioni giudiziarie e n. 6/2015 trattamenti pensionistici). Inoltre la Corte potrebbe aver censurato l'uso della cosiddetta «tecnica di ritaglio», attraverso la quale si mira a creare nuove disposizioni, trasformando quindi il referendum, che per legge è solo abrogativo, in un surrettizio referendum propositivo (sentenze 36/1997, quesito su tetti pubblicitari della Rai; 50/2000, durata massima della custodia cautelare; 43/2003, procedure semplificate e incentivi per l'incenerimento dei rifiuti e 45/2003, sicurezza alimentare);
    un'eventuale vittoria del «Si» sul quesito dichiarato inammissibile avrebbe prodotto una pericolosa ingessatura per l'operatività delle piccole imprese, vera spina dorsale della economia italiana, e un pericoloso disallineamento del diritto del lavoro italiano rispetto ai migliori standard dei Paesi dell'OECD, rendendo il nostro Paese sempre meno attrattivo per imprenditori e investitori indebolendo, di riflesso, i lavoratori italiani;
    la Corte costituzionale, invece, ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum denominato «Abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio», cioè l'abrogazione delle disposizioni relative ai cosiddetti voucher che, in questi anni, hanno consentito al datore di lavoro, per prestazioni occasionali di breve o brevissima durata (agricoltura, lavoro domestico, lezioni private, turismo, commercio), di evitare di compiere tutti i complicati adempimenti burocratici previsti per la costituzione di un rapporto di lavoro determinando, allo stesso tempo, una emersione del lavoro nero e assicurando maggiore trasparenza e una migliore tutela del lavoratore stesso;
    i voucher, diffusi da molti anni nel Nord Europa, sono stati introdotti formalmente in Italia nel 2003 dalla legge del 14 febbraio 2003, n. 30 («legge Biagi»), anche se sono stati realmente utilizzabili solo dal 2008 per lavori occasionali per i quali mai si sarebbe stipulato un contratto (assistenza malati e portatori di handicap, lezioni private, giardinaggio e pulizia, manutenzione edifici, lavori stagionali agricoli); uno strumento che consente di mettere in regola, senza complessi adempimenti burocratici, molte attività di carattere occasionale che in passato non avevano alcuna regolamentazione ed esponevano pertanto sia l'utilizzatore che il prestatore a notevoli rischi anche di ordine penale, in caso di incidenti o contenziosi;
    la loro efficacia e validità, nel corso degli anni, ha comportato una diffusione esponenziale del loro impiego, essendosi passati dai circa 24 mila lavoratori «accessori» del 2014, al milione e trecentomila di percettori di voucher del 2015;
   la stessa Cgil, nonostante sia tra i promotori del referendum per la loro abolizione, ne ha ampiamente usufruito. Infatti, nel 2016, come segnalato dal presidente dell'Inps, il sindacato ha fatto uso di voucher per un valore complessivo di 750 mila euro e non solo per i pensionati. Analogamente, anche un altro sindacato, la Cisl, ne ha utilizzati per un valore pari ad 1 milione e mezzo di euro;
    l'utilizzo di voucher è altrettanto diffuso nella pubblica amministrazione, dove, dovrebbe prevalere il contratto a tempo indeterminato e, a norma di Costituzione, previo superamento di pubblico concorso:
     a) il comune di Napoli, attualmente amministrato dal centro sinistra, pur aderendo ufficialmente, con specifica delibera di giunta, alla raccolta di firme della Cgil per il referendum abrogativo, ha «coerentemente», attraverso specifico avviso pubblico, avviata una selezione di lavoratori disoccupati disposti ad effettuare presso l'ente prestazione di lavoro di accessorio retribuiti mediante voucher. Come ha affermato l'assessore al lavoro partenopeo: «non condividiamo lo strumento, tuttavia, abbiamo deciso di non privare i nostri cittadini dall'opportunità di godere di un contributo economico»;
     b) il comune di Torino, amministrato pro tempore da esponenti del Movimento 5 Stelle, a livello nazionale contrarissimi da sempre all'utilizzo dello strumento, utilizzerà i voucher per pagare alcuni giovani mediatori culturali;
    nonostante la validità dello strumento « voucher», nel corso degli anni il suo utilizzo è stato esteso a sempre più settori e lavoratori, compresi non saltuari, determinando, in alcuni casi un abuso nell'utilizzo dello stesso per finalità molto differenti da quelle originariamente previste. Ovviamente, pensare di cancellarli del tutto come chiesto dai promotori del quesito referendario, oltre a non risolvere il problema del lavoro nero, farebbe rimanere il nostro Paese con la più alta quota di sommerso in Europa e determinerebbe un ulteriore irrigidimento del mercato del lavoro, visto anche l'aumentare, nel corso degli ultimi anni, delle restrizioni legislative nell'ambito delle forme di lavoro coordinate e continuative;
    uno studio dell'Inps del 2015 evidenzia i precettori di voucher siano circa il 10 per cento pensionati, mentre il 55 per cento si divide tra chi ha un altro lavoro e i percettori di ammortizzatori sociali. Da questi dati emerge che circa i due terzi dei percettori utilizzano i voucher effettivamente per attività accessorie e per tipologie di mansioni in cui prima il nero era considerato imperante;
    resta fuori discussione la necessità di intervenire una serie di controlli incisivi per impedire abusi e per evitare che lo strumento sia utilizzato per coprire lavoro nero e va riconosciuto come l'entrata in vigore della tracciabilità costituisca una misura che opera in questa direzione;
    tuttavia, nonostante l'importanza rivestita dalla discussione sulla flessibilità dei contratti di lavoro, tema prioritario in una concreta discussione sul mondo del lavoro, resta il problema dell'elevato peso del cuneo fiscale che incide negativamente sul rilancio occupazionale nel nostro Paese. La mano del fisco sui salari è sempre più pesante visto che secondo lo studio « Taxing Wages» dell'Ocse, il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti – cioè il prelievo complessivo sulla retribuzione lorda – nel 2015 è aumentato di 0,76 punti percentuali al 49 per cento. L'Italia si colloca così al quarto posto tra i 34 Paesi dell'Ocse per peso del fisco sul salario del lavoratore medio «single» senza figli, affiancando l'Ungheria, superando la Francia (48,5 per cento) e allontanandosi sempre di più dalla media dell'Ocse (35,9 per cento);
    la realtà, visti questi numeri, è che ad impoverire realmente i lavoratori, anzi a determinarne i licenziamenti e a impedire la creazione di nuovi posti di lavoro, sia lo Stato a causa di un livello intollerabile di tassazione che rende insostenibile, se non addirittura fuori mercato, qualsiasi produzione industriale in Italia (a meno di non ricevere aiuti diretti o indiretti dallo Stato stesso). Unica strada per tornare ad essere competitivi determinando un sensibile aumento dei livelli occupazionali, è intervenire subito per ridurre significativamente il cuneo fiscale,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto, per quanto di competenza, iniziative adeguate volte ad accertare e sanzionare eventuali abusi nell'utilizzo dei cosiddetti voucher, anche attraverso una più adeguata ispettiva e di controllo, soprattutto in quei casi in cui il loro utilizzo sembra volto a trasformare illegittimamente lavoro regolare in lavoro accessorio, ma preservando comunque uno strumento che in questi anni ha comunque dato buone prove;
2) a centrare sforzi e risorse per ridurre il peso del cuneo fiscale attraverso politiche volte ad allineare il peso del fisco sul lavoro alle medie dell'Ocse.
(1-01482)
«Capezzone, Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(23 gennaio 2017)