TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 725 di Martedì 17 gennaio 2017

 
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INTERROGAZIONI

A)

   MELILLA. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   risale al 28 maggio 2015 la notizia, apparsa su Il Corriere della Sera, della diffida che la Commissione europea avrebbe indirizzato al nostro Paese;
   tale diffida è relativa all'elaborazione casearia;
   è noto che l'Italia col suo prodotto, il made in Italy, detiene l'eccellenza per quello che riguarda la produzione di formaggi e latticini che si basa essenzialmente sull'uso di prodotto latteario fresco. La legislazione nazionale, con la legge n. 138 del 1974, vieta l'uso di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostruito per la produzione dei formaggi. Questo ha fatto sì che la produzione italiana divenisse una delle eccellenze alimentari in Europa, e nel mondo, data l'alta qualità del prodotto certificato ed espressamente riportato in etichetta;
   la scelta assunta dall'Unione europea di obbligare l'Italia agli standard europei, sebbene con una piccola clausola che preserverebbe il marchio dop, rappresenta un chiaro attacco alla produzione italiana migliore, minando così la superiorità del prodotto italiano e, quindi, abbassandone la qualità e la competizione economica all'interno dei mercati europei e alterandone il gusto. Il tutto a sfavore dell'economia nazionale e, invece, a favore delle economie altrui;
   si viene così a ricreare, anche in questo campo, la supremazia economica di alcune nazioni su altre, modificando sapore e qualità della produzione italiana e omologandola agli standard europei;
   a fronte di questa scelta, a parere dell'interrogante, impropria e dannosa, le associazioni nazionali di produttori e consumatori stanno esprimendo il loro disappunto con iniziative e manifestazioni anche di grande levatura (in particolare di Coldiretti, Confagricoltura, Cia). C’è da chiedersi il motivo di questa decisione della Commissione europea, che solleva il dubbio di voler penalizzare una nazione che vanta una produzione alta di qualità di un bene alimentare non dannoso (eccetto le allergie individuali) alla salute pubblica e, oltretutto, non particolarmente dispendioso e abbordabile dalle tasche di molti –:
   come intendano operare i Ministri interroganti, nei confronti dell'Unione europea al fine di:
    a) salvaguardare la produzione casearia italiana e la legislazione in merito alle scelte nazionali di produzione;
    b) difendere l'eccellenza del made in Italy. (3-01605)
(8 luglio 2015)

B)

   CENNI, TERROSI, TENTORI, FIORIO, LUCIANO AGOSTINI e CARRA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   in Italia la legge n. 138 del 1974 vieta la detenzione, la commercializzazione e l'utilizzo del latte in polvere e di latte conservato con qualunque trattamento chimico, o comunque concentrati, per la produzione di latte uth e dei prodotti lattiero-caseari;
   le norme vietano esplicitamente, a differenza di quanto apparso in alcune notizia di stampa, l'uso del latte in polvere nei prodotti caseari a denominazione;
   tale norma è stata riconfermata dal decreto-legge n. 175 del 2011 per il recepimento della direttiva UE 2007/61/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana;
   è in corso una procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti dell'Italia, in quanto la legge n. 138 del 1974, impedendo di fatto la produzione dei formaggi tramite l'utilizzo di latte in polvere, limiterebbe la libera circolazione delle merci in ambito comunitario;
   tale procedura è stata confermata dal Vice Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore Andrea Oliverio che, intervenendo in Commissione agricoltura della Camera dei deputati, il 2 luglio 2015, per rispondere ad interrogazioni a risposta immediata su questa tematica ha dichiarato: «il Governo ha chiesto una proroga del termine fissato al 28 luglio 2016 per rispondere alla richiesta di osservazioni avanzata dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea»; «la competenza su questo caso è stata attribuita congiuntamente al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e a quello dello sviluppo economico», «per quanto di competenza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, come ribadito dallo stesso Ministro Martina, desidero confermare l'assoluta determinazione nella difesa dell'impianto normativo esistente che, ad avviso del Ministero, non comporta alcuna restrizione di mercato cosiddetto “equivalente” all'importazione di latte in polvere, come invece lamentato dalla Commissione europea, atteso che non vi è alcuna norma nell'ordinamento che vieta l'importazione o la circolazione del latte in polvere», «il Ministero ritiene peraltro che le disposizioni nazionali si muovano nell'ambito di una materia non armonizzata, nella quale ciascuno Stato ha la facoltà, nel rispetto del Trattato, di legiferare salvaguardando le proprie specificità e tradizioni»;
   secondo quanto è emerso, inoltre, da organi di informazione la Commissione europea avrebbe già respinto una prima motivazione del Governo italiano rispetto alle norme sull'utilizzo del latte in polvere, ribadendo che le disposizioni nazionali avrebbero l'effetto di impedire l'accesso al mercato interno di tale prodotto;
   l'iniziativa della Commissione europea ha creato allarme, in alcuni produttori, associazioni, consumatori, circa la possibilità che l'uso di latte in polvere possa diminuire la qualità dei formaggi e creare un danno di immagine al made in Italy;
   altre associazioni di categoria, pur difendendo l'attuale disciplina nazionale e le tipicità nazionali, hanno sottolineato che per la produzione dei formaggi italiani di qualità certificata non potrà comunque essere utilizzato il latte in polvere;
   appare infatti evidente che un'eventuale armonizzazione con la normativa europea, e quindi l'eventuale o possibile abrogazione del divieto di utilizzo di latte in polvere, non costituirebbe nessun rischio per le produzioni italiane ad indicazione d'origine dop e igp, per le quali è impiegato oltre il 70 per cento della produzione di latte italiano, che manterrebbero l'obbligo di utilizzare «latte liquido»;
   il Commissario europeo alle politiche agricole Hogan, in occasione di un'audizione svolta martedì 30 giugno 2015 presso il Senato della Repubblica, ha confermato l'esistenza di un'indagine in corso nei confronti del nostro Paese avviata dopo la protesta di un produttore italiano contro la restrizione alla libera circolazione delle merci a base di latte condensato; il Commissario europeo ha inoltre precisato che l'indagine «non riguarda prodotti della filiera lattiero – casearia protetti da dop, igp e neanche la mozzarella»;
   secondo fonti stampa la Commissione europea avrebbe inoltre suggerito all'Italia di utilizzare un sistema di etichettatura per informare i consumatori della presenza di latte in polvere nel prodotto;
   sarebbe quindi auspicabile, in caso di un nuovo stop da parte dell'Unione europea e per coniugare la piena applicazione delle direttive comunitarie sulla liberalizzazione del libero mercato con la necessità di tutelare l'eccellenza della produzione interna salvaguardando aziende e consumatori, valutare l'opportunità di individuare ulteriori strumenti di certificazione. Come, ad esempio, il marchio francese «label rouge», regolato dall'ente nazionale Cnlc (Commission nationale des label set des certifications des produits agricoles et alimentaires) che garantisce la qualità superiore di un prodotto in seguito a specifiche di prodotto controllate ad ogni anello della filiera di produzione, trasformazione e commercializzazione;
   in conseguenza di una fase di deprezzamento del latte che penalizza prevalentemente i produttori, anche di latte di alta qualità, si riterrebbe particolarmente utile ogni iniziativa tesa al massimo rafforzamento della filiera del latte ed a sostegno della giusta valorizzazione delle produzioni casearie di qualità –:
   quali ulteriori iniziative intendano mettere in campo i Ministri interrogati nel confronto aperto con la Commissione europea sulla modifica della legge n. 138 del 1974, al fine di preservare la qualità e la tipicità delle produzioni italiane, e se i Ministri interrogati, anche al fine di contrastare gli effetti causati da una futura necessità di una modifica alla legge n. 138 del 1974 circa la commercializzazione e l'utilizzo del latte in polvere e per la produzione lattiero-casearia, non ritengano opportuno prevedere un rafforzamento degli strumenti di certificazione e tracciabilità lungo tutta la filiera.
(3-02696)
(16 gennaio 2017)
(ex 5-06026 del 9 luglio 2015)

C)

   PILI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   la relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2014), ai sensi dell'articolo 13, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, presentata dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei recita: «Senza pretesa alcuna di esaustività, si possono segnalare, sulla scorta della relazione consuntiva 2014, anche i risultati conseguiti in alcuni altri settori strategici per gli interessi dell'Unione e del nostro Paese, a partire dall'agricoltura. Su iniziativa della Presidenza italiana, il Consiglio ha innanzitutto risposto alle “contro-sanzioni” russe in campo agricolo individuando alcune misure volte ad arginare il loro impatto sulle produzioni europee, con particolare riguardo ai settori dell'ortofrutta e lattiero-caseario. Sono stati inoltre portati avanti i lavori sul regolamento per la produzione biologica e l'etichettatura dei prodotti biologici, nonché sull'accesso alla terra e al credito dei giovani»;
   tale richiamo teso alla valorizzazione e alla tutela delle produzioni agricole, con particolare riferimento a quelle lattiero-casearie, costituisce un elemento imprescindibile per lo sviluppo economico di un settore trainante e decisivo per l'economia della regione Sardegna;
   la Commissione europea con una diffida allo Stato italiano chiede all'Italia di abrogare una legge che vieta l'utilizzo di latte in polvere nella produzione di formaggi;
   il 28 maggio la Commissione europea ha inviato una diffida all'Italia invitandola a modificare le disposizioni della legge 11 aprile 1974, n. 138, recante «nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana», che sancisce il divieto di utilizzo e di detenzione di latte in polvere e latte ricostituito al fine della produzione di prodotti caseari;
   secondo tale norma è vietato detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare:
    a) latte fresco destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari al quale sia stato aggiunto latte in polvere o altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
    b) latte liquido destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari ottenuto, anche parzialmente, con latte in polvere o con altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
    c) prodotti caseari preparati con i prodotti di cui alle lettere a) e b) o derivati comunque da latte in polvere;
    d) bevande ottenute con miscelazione dei prodotti di cui alle lettere a) e b) con altre sostanze, in qualsiasi proporzione;
   tale norma prevede sostanzialmente che in Italia i formaggi si possano produrre solo con il latte;
   si tratta una norma di tutela e nel contempo tesa alla valorizzazione dell'unicità del prodotto lattiero-caseario;
   la diffida della Commissione europea è l'ennesima imposizione di un'Europa incapace di affrontare emergenze come l'emigrazione, ma che si rivela pronta ad assecondare le grandi lobby che puntano ad abbassare gli standard qualitativi dei prodotti alimentari solo al fine di elevare i profitti a scapito della qualità;
   a rischio non ci sarebbero le dop, ma tale modifica potrebbe alla fine intaccare anche tale tutela e finirebbe comunque per intaccare e minare la stessa immagine dei formaggi tutelati con forme particolari di riconoscimento –:
   se non ritenga il Governo di dover intervenire al fine di tutelare e valorizzare la tipicità dei prodotti lattiero-caseari prodotti sul territorio italiano, con particolare riferimento a quelle aree, come la Sardegna, che hanno una specificità riconosciuta anche attraverso le dop;
   se non ritengano di dover tutelare tali produzioni attraverso la legge 11 aprile 1974, n. 138, e garantirne la piena applicazione;
   se non intendano porre in essere urgenti azioni, e quali, tese a difendere tale norma in ambito europeo, invitando la Commissione europea a ritirare la diffida in materia. (3-02697)
(16 gennaio 2017)
(ex 5-05935 del 1o luglio 2015)

D)

   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   la situazione lavorativa in cui versano i dirigenti scolastici italiani è sempre più difficile, visto l'enorme carico di lavoro e di responsabilità che incombe quotidianamente su ciascuno di loro nello svolgimento delle proprie funzioni consistenti principalmente nella gestione delle risorse umane, strumentali e finanziarie dell'istituto di cui sono rappresentanti legali;
   l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che assimila le scuole a tutte le pubbliche amministrazioni, senza però fornirle delle stesse adeguate strutture, né equipara la condizione economica dei dirigenti, ha tuttavia incrementato la mole di lavoro dei dirigenti scolastici;
   il dirigente scolastico ha la responsabilità e la gestione delle attività negoziali e delle gare d'appalto con la stazione appaltante operativa a tutti gli effetti, a fronte di una possibilità di delega pressoché nulla o limitata a singoli atti, e la rappresentanza dell'istituto nel giudizio di primo grado per contenziosi in materia civile, cui si aggiunge quella relativa alla sicurezza degli edifici scolastici, per la quale non può delegare competenze ai suoi collaboratori; inoltre, ha la competenza sulla trasparenza consistente in continui aggiornamenti delle comunicazioni sul sito web e la responsabilità sulla gestione previdenziale in qualità di sostituto d'imposta;
   si devono inoltre ricordare le competenze e le responsabilità previste dalla legge n. 107 del 2015, tra le quali si ricorda la «chiamata diretta» e l'attribuzione del bonus sulla valorizzazione del merito dei docenti;
   la maggior parte delle elencate competenze e responsabilità non sussistono per gli altri dirigenti statali di seconda fascia, ai quali lo Stato riconosce una retribuzione pari a circa il doppio rispetto a quella di un dirigente scolastico;
   un dirigente scolastico percepisce oggi per l'incarico di titolarità in una scuola mediamente una retribuzione netta di 2.300-2.500 euro al mese, pari a circa la metà dello stipendio del dirigente amministrativo statale di II fascia, mentre una reggenza, che non è consentito rifiutare, comporta la dirigenza di una seconda scuola a tutti gli effetti a fronte di una retribuzione di 350-450 euro;
   i dirigenti scolastici sono costretti ad assumere la reggenza di altre scuole prive di titolare a causa dell'esaurimento delle graduatorie dell'ultimo concorso per dirigenti scolastici (tenutosi nel 2011-2012) –:
   se il Ministro interrogato intenda prevedere l'adozione del bando per un nuovo concorso e, in caso positivo, se possa fornire una data per il suo svolgimento. (3-02651)
(6 dicembre 2016)

E)

   LOSACCO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   da circa una settimana è allarme a Casamassima, importante e popoloso comune a pochi chilometri da Bari, a seguito del diffondersi di numerosi casi di gastroenterite, con alcuni ricoveri che hanno riguardato, in particolare, dei bambini;
   a seguito delle analisi effettuate sull'acqua potabile, Acquedotto pugliese ha prudentemente sconsigliato di utilizzare l'acqua a scopo potabile;
   le attività di campionamento in rete per riportare la situazione alla normalità evidenziano ancora una debole contaminazione dell'acqua distribuita nell'abitato, causata da una lieve concentrazione batterica non conforme agli standard di legge per le acque potabili;
   tale disagio sarebbe dovuto ad una delle due condotte adduttrici che alimentano l'abitato, prontamente esclusa dal sistema e probabilmente interessata da una lesione;
   l'Acquedotto pugliese ha comunicato che proseguono gli accertamenti per il definitivo riscontro, escludendo la contaminazione da reflui di natura fognaria;
   per limitare i disagi ai cittadini, prosegue il servizio alternativo di rifornimento idrico con autobotti e la protezione civile locale sta provvedendo alla distribuzione di sacche da 5 litri fornite da Acquedotto pugliese alla popolazione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei disagi riportati in premessa che riguardano la comunità di Casamassima e quali iniziative di competenza intendano assumere per verificare la massima sicurezza della salubrità dell'acqua potabile. (3-02258)
(16 maggio 2016)

F)

   CRIVELLARI e NARDUOLO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi l'azienda sanitaria rodigina Ulss 18 ha individuato nel comune di Ceneselli (Rovigo), in Alto Polesine, un nuovo pool di zanzare infette dal virus West Nile;
   il virus – che in genere non provoca sintomi su soggetti giovani e sani – può invece condurre alla morte persone anziane, ammalate o con un sistema immunitario compromesso, nelle quali si può manifestare una patologia neurologica grave;
   la rilevazione del nuovo focolaio riguarda, in particolare, la presenza della zanzara culex. Il veicolo di trasmissione del virus è il sangue infetto ed è perciò è necessario che le donazioni di sangue, organi, cordone ombelicale e tessuti siano controllate;
   dal 2008 in avanti sono stati molteplici i casi di «febbre del Nilo» registrati in Polesine. Nel 2015 un caso ha avuto anche esito letale –:
   se e in che modo si ritenga di monitorare la situazione sanitaria delle aree, come il Polesine, in cui è stata riscontrata la presenza del virus West Nile, avviando e rafforzando le necessarie azioni di controllo e prevenzione nei territori coinvolti.
(3-02431)
(27 luglio 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI, ANCHE ALLA LUCE DI RECENTI CIRCOLARI DEL MINISTERO DELL'INTERNO

   La Camera,
   premesso che:
    in data 12 aprile 2016, il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione ha emanato una circolare diretta, tra gli altri, a tutte le prefetture della Repubblica, ai commissari di Governo per le province autonome di Trento e Bolzano, nonché al presidente della regione autonoma della Valle d'Aosta, protocollata con il numero 3148;
    nella predetta circolare 3148 del 2016 si osserva come il fenomeno immigratorio si preannunci per il 2016 «particolarmente intenso anche rispetto agli anni passati, come peraltro già tratteggiato» in una precedente circolare, la n. 2365 del 18 marzo 2016;
    stando al testo della circolare 3148 del 2016, l'incremento degli afflussi registrato dall'inizio di del 2016 fino al 12 aprile 2016 sarebbe infatti pari all'80 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015, anno nel quale sono sbarcati nei porti del nostro Paese circa 154 mila immigrati irregolari;
    tali dati hanno indotto forte preoccupazione per quanto potrà accadere soprattutto nel corso della stagione estiva ormai alle porte;
    secondo il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno sarebbe quindi necessario predisporre una «diffusa organizzazione che riesca a far fronte all'accoglienza»;
    nella circolare 3148 del 2016 si richiama a questo proposito espressamente la nota circolare 5189 del 25 marzo 2016, laddove questa aveva rappresentato l'urgenza di verificare la situazione di coloro che non hanno più diritto ad essere presenti nelle strutture di accoglienza ed altresì la necessità di irrobustire l'infrastruttura complessiva dedicata alla gestione dei migranti irregolari, peraltro con un raccordo «più stretto» ed «instancabile» con i sindaci, attualmente in effetti assai carente se non addirittura inesistente;
    la circolare 3148 del 2016 raccomanda all'attenzione delle prefetture e delle autorità locali gli immobili segnalati dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e resi disponibili dal Ministero della difesa;
    secondo la circolare 3148 del 2016, nell'immediato occorreva soddisfare un'esigenza aggiuntiva di accoglienza per 8.893 posti, cifra evidentemente assai inferiore al fabbisogno ipotizzato per il 2016 nel suo complesso, giacché un incremento degli arrivi dell'80 per cento proiettato sui dodici mesi significherebbe immaginare che giungano nel nostro Paese nel 2016 non meno di 300 mila persone;
    sussiste, quindi, il timore che in costanza d'emergenza il Governo possa far ricorso alla requisizione degli immobili privati sfitti o alla realizzazione di vere e proprie tendopoli;
    corroborano le preoccupazioni del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione anche l'emersione di una nuova rotta di afflussi, questa volta con la sorgente in Egitto, e le dichiarazioni di alcune autorità libiche, secondo le quali nella ex colonia italiana vi sarebbe almeno mezzo milione di persone pronte a partire;
    la stessa stima di 300 mila persone in arrivo in Italia è stata accettata dal Ministro dell'interno austriaco, Johanna Mikl-Leitner, che ne teme l'arrivo nel proprio Paese;
    a sua volta, sulla questione è intervenuto anche il Ministro degli esteri austriaco, Sebastian Kurz, che, parlando a Bolzano, ha osservato come, dopo la chiusura della rotta balcanica, «anche l'Italia deve mettere fine al lasciar passare i migranti», perché ciò non fa altro che aumentare i problemi;
    tutto questo determina una situazione assai rischiosa per il nostro Paese, che, in assenza di respingimenti verso i Paesi di origine dei migranti non riconosciuti meritevoli di tutela internazionale, potrebbe veramente accumulare un numero straordinario di disperati, come già accade in Grecia,

impegna il Governo:

1) ad intensificare gli sforzi tesi a prevenire l'arrivo nel nostro Paese di un elevato numero di migranti irregolari richiedenti asilo o altra forma di tutela internazionale;

2) a stipulare in tempi rapidi accordi efficaci di riammissione, di cui avvalersi per espellere i migranti risultati non in possesso dei requisiti necessari per la concessione dello status di rifugiato o altra forma di tutela internazionale;

3) a comunicare ufficialmente anche al Parlamento, con cadenza periodica almeno trimestrale, i dati concernenti gli afflussi e le rotte seguite dai migranti irregolari per giungere alle coste del nostro Paese;

4) a non impiantare tendopoli per aspiranti rifugiati sul suolo del nostro Paese;

5) ad assumere iniziative perché non si ricorra per alcun motivo alla requisizione degli immobili privati sfitti.
(1-01231)
«Fedriga, Simonetti, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
(21 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    5.022 persone sono morte in mare nel 2016 provando a raggiungere l'Europa, un triste record che non può non interrogare le coscienze, a cui si aggiungono le sorti di migliaia di persone, principalmente siriani, iracheni, afghani in fuga dai loro Paesi funestati da decenni di guerre e terrorismo, che l'Unione europea ha deciso deliberatamente di tenere lontani dai propri Paesi concludendo l'accordo con la Turchia. Molti altri, come testimoniano le drammatiche immagini che provengono dai Paesi dell'Est Europa in queste settimane, risultano bloccati a migliaia sotto il gelo in quella che un tempo era la «rotta balcanica»;
    sebbene questo accordo abbia pressoché azzerato l'arrivo di persone che approdavano sulle coste greche e dalla Turchia attraverso la rotta balcanica, il 2016 ha fatto registrare il maggior numero di arrivi via mare di sempre con 181.405 persone sbarcate sulle nostre coste, con un incremento del 18 per cento rispetto all'anno precedente. Tuttavia, secondo i dati Unhcr, tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.578 persone, ovvero il 64 per cento in meno rispetto al 2015, anno record in cui si registrarono in Europa circa un milione di arrivi;
    è evidente che per un continente di 500 milioni di abitanti in cui è concentrata buona parte della ricchezza globale, gestire e assorbire una pressione migratoria di queste dimensioni non può rappresentare un problema, a meno che non si mettano in atto politiche che tendono quanto più a limitare il fenomeno anziché governarlo;
    guardando all'evoluzione del fenomeno migratorio, negli ultimi anni è cambiata considerevolmente la natura stessa del fenomeno: oggi la quasi totalità dei migranti che raggiungono l'Unione europea sono potenziali soggetti con diritto ad una protezione internazionale. Data quindi la natura delle cause che determinano il flusso migratorio tutto lascia presupporre che il fenomeno attuale non sia un dato transitorio, ma si debba considerare come strutturale e che quindi ci interesserà almeno per un altro decennio;
    purtroppo, al fenomeno migratorio e alle sue evoluzioni sono state fornite risposte e quindi messi a disposizione strumenti che sono risultati del tutto inadeguati, spesso obsoleti ed improntati ad una visione difensiva ed emergenziale;
    la principale risposta fornita al fenomeno, avvenuta dopo la spinta emotiva della strage avvenuta al largo di Pozzallo il 18 aprile 2015 che causò più di 800 vittime, si è avuto attraverso il cosiddetto «approccio Hotspot», contenuto all'interno della Agenda europea sulle migrazioni, che tra l'altro non è mai stata trasposta in nessun atto normativo e con i meccanismi di « relocation» e « resettlement»;
    gli hotspot violano i diritti umani, comprimono il diritto a richiedere l'asilo politico e in generale il loro meccanismo è finalizzato a negare la protezione internazionale attraverso la loro principale funzione: separare i «migranti economici» dai potenziali richiedenti asilo, fondando quindi un provvedimento di respingimento esclusivamente sulla base del Paese di provenienza;
    l'approccio hotspot sarebbe quindi, una volta completate le procedure di identificazione e separazione dei migranti, finalizzato alla « relocation». E qui non si può che constatare il fallimento della strategia in tutta la sua interezza. I dati disponibili al 30 dicembre 2016 indicano che complessivamente dall'Italia sono stati ricollocati in altri paesi europei 2.654 richiedenti asilo (su un totale di 39.600) e 6.212 dalla Grecia al 6 dicembre (su un totale 66.400). L'obiettivo delle 160 mila persone rilocate che dovrebbe essere raggiunto entro settembre 2017 resta una chimera, prefigurandosi un fallimento epocale di tutta la strategia;
    in ultimo, nei mesi scorsi la Commissione europea ha presentato un serie di proposte per riformare il sistema europeo comune di asilo nelle linee indicate nell'Agenda europea per la migrazione e nella comunicazione del 6 aprile 2016. In particolare, la Commissione ha presentato il 4 maggio 2016 un primo pacchetto di proposte – riforma del regolamento 604/2013 (Dublino III), riforma del regolamento 603/2013 (Eurodac) e riforma del regolamento 439/2010, che istituisce l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), mentre il 13 luglio ha presentato diverse proposte legislative – sostituzione della direttiva sulle procedure di asilo con un regolamento che stabilisca una procedura comune UE per la protezione internazionale, sostituzione della direttiva qualifiche esistente con un nuovo regolamento, infine una riforma della direttiva sulle condizioni di accoglienza;
    attraverso le sopraindicate proposte la Commissione europea tenta di rimediare all'evidente fallimento del «sistema Dublino» mantenendo sostanzialmente invariata la gerarchia dei «criteri di Dublino», introducendo un sistema correttivo per la ripartizione equa delle responsabilità tra Stati, che riproduce esattamente gli elementi fallimentari dei meccanismi temporanei di ricollocazione già in uso e prevedendo a carico dei richiedenti asilo una serie di obblighi (e conseguenti sanzioni in caso di violazione) per limitare gli spostamenti all'interno dell'area degli Stati membri. Praticamente si introducono tutta una serie di nuovi complicati meccanismi burocratici mantenendo in piedi il «sistema Dublino»: inefficace, costoso e che produce irregolarità;
    a parte qualche positiva modifica dei termini procedurali, in generale non si possono ritenere queste proposte idonee a garantire gli obiettivi dichiarati dalla Commissione, ovvero l'individuazione rapida dello Stato membro competente e, pertanto, l'accesso rapido del richiedente alla procedura di asilo, una ripartizione più equa delle responsabilità tra Stati membri, la lotta ad abusi e movimenti secondari, rafforzare le garanzie per i richiedenti asilo e bisognosi di protezione internazionale, godere dello stesso livello di protezione, incentivare l'integrazione, garantire infine standard di accoglienza dignitosi;
    in particolare, l'armonizzazione della lista dei Paesi sicuri sarebbe una negazione del diritto di asilo e rivela in tutta la sua drammaticità l'approccio dell'Europa sul fenomeno delle migrazioni. Introdurre il concetto di «sicurezza» nell'esaminare le richieste di asilo è un grave rischio, poiché nessun Paese può essere considerato «sicuro». Adottando una simile lista, l'Unione europea e i suoi Stati membri istituzionalizzerebbero a livello europeo una pratica attraverso la quale i Paesi membri possono rifiutare di ottemperare pienamente alle proprie responsabilità verso i richiedenti asilo, in violazione ai loro obblighi internazionali;
    finora, 13 dei 28 Stati membri hanno una lista nazionale di «Paesi sicuri», ma le liste sono tutt'altro che omogenee. La proposta della Commissione mira a porre rimedio a queste disparità. I sette Paesi che la proposta considera «sicuri» sono: Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Turchia. La Finlandia, ad esempio, considera «sicuri» Paesi come l'Afghanistan, l'Iraq e la Somalia: in questi Paesi il migrante non rischia discriminazioni, persecuzioni, limitazioni o negazioni dei diritti fondamentali. Ciò è, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, un'assurdità;
    con la Turchia, che si considererebbe «Paese sicuro», si è già stretto un accordo che viola gravemente il diritto europeo e tradisce i fondamenti democratici e ispirati alla tradizionale tutela dei diritti umani nell'Unione europea e in Italia. Quanto sta emergendo dall'applicazione concreta di questo accordo è che in cambio di denaro si esternalizzano le frontiere dell'Unione europea chiudendo gli occhi sul rispetto dei diritti umani, sulla repressione delle libertà fondamentali, nonché sulla forte repressione anti-curda che il Governo turco sta mettendo in piedi negli ultimi mesi, addirittura dimenticando le gravi responsabilità di quest'ultimo nel supporto a Daesh;
    lo stesso approccio è usato dalla Commissione europea per adottare la lista comune di «Paesi terzi sicuri» per consentire che i richiedenti asilo siano rimandati indietro nei paesi per i quali sono transitati prima del loro arrivo nella Unione europea, e dove essi dovrebbero «legalmente» depositare le loro richieste di asilo;
    nei fatti quindi, con le nuove proposte, con la giustificazione di razionalizzare e armonizzare il sistema di asilo europeo, l'Unione europea darebbe legittimità istituzionale a un abuso sul diritto di asilo allo scopo di controllare i flussi migratori;
    il quadro emergente dalle proposte presentate e dagli atti approvati dalle istituzioni europee nell'ultimo anno è desolante. Ricollocazioni, reinsediamenti, liste di Paesi di origine sicuri e Paesi terzi sicuri, rimpatri, hotspot, accordo con la Turchia, respingimenti, rappresentano il palese fallimento del Sistema europeo comune di asilo e manifestano tutta l'incapacità dell'Unione europea a far fronte ad un numero elevato ma certo non insostenibile di arrivi, come si vuole spesso rappresentare in maniera drammatica;
    questo fallimento deriva da molteplici fattori, uno dei quali è certamente rappresentato dall'ostinazione con cui gli Stati membri e le istituzioni dell'Unione europea continuano a voler disciplinare – in maniera sempre più burocratica e complessa, quindi terribilmente macchinosa e costosa – gli spostamenti di persone in un territorio che si vuole al tempo stesso privo di controlli alle frontiere interne;
    occorrerebbe prendere atto del mutamento dei contesti globali e del fatto che molte persone scappano da guerre, carestie, effetti dei cambiamenti climatici, eventi che molto spesso l'occidente e quindi anche l'Unione europea ha spesso creato o quantomeno aggravato anche con la sola inerzia;
    bisognerebbe quindi individuare soluzioni più snelle e realistiche, meno burocratiche, che prevedano, fra le altre cose, che chi ha ottenuto una protezione (europea) in un Paese possa poi liberamente cercare lavoro in un altro, con i giusti «contrappesi» per evitare che ciò si trasformi in un peso insostenibile per quelle aree dell'Unione europea maggiormente prescelte per l'insediamento;
    sul piano nazionale la volontà in ultimo espressa dal Governo di utilizzare gli strumenti di controllo ed allontanamento degli stranieri irregolari per quindi, come si legge nella circolare del Capo della polizia del 30 dicembre 2016, favorire «l'azione di prevenzione e contrasto nell'attuale contesto di crisi a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità e minacce», sarebbe una scelta miope e con effetti controproducenti e dannosi se non si giunga ad una modifica nella normativa che già produce irregolarità negli ingressi e nei soggiorni;
    la priorità di oggi è modificare il Testo unico sull'immigrazione del 1998, riformato in peggio dalla cosiddetta legge Bossi-Fini, e quindi porre mano ai meccanismi di regolarizzazione degli stranieri, valorizzando i legami lavorativi, familiari e sociali già esistenti che quelle persone hanno magari costruito in tanti anni, promuovendo politiche di integrazione finalizzate ad una regolarizzazione permanente a fronte della dimostrazione di chiari indici di integrazione;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, quindi, non può non apparire totalmente irrazionale l'annunciato intento del Governo di potenziare la rete dei Cie in Italia, considerata l'inefficacia del sistema di identificazione ed espulsione, a fronte del sacrificio dei diritti umani che si è sempre consumato nelle strutture governative atte proprio a tale funzione, ovvero di identificazione ed espulsione;
    appare quindi sbagliata la strategia che sembra si voglia intraprendere degli accordi bilaterali di riammissione, così come proporre nuove norme che andrebbero a riformare in senso restrittivo le norme sull'asilo, a partire dall'ipotesi di eliminare il doppio grado di giurisdizione o peggio istituire sezioni specializzate nei tribunali, dove in un contesto culturale ove buona parte della magistratura e dell'avvocatura sono ancora poco consapevoli dell'importanza e della complessità anche giuridica della materia, si tradurrebbe in concreto, al di là delle intenzioni, in una sorta di uffici-ghetto, carenti di sufficienti risorse materiali e professionali;
    andrebbe quindi smantellata l'attuale struttura di accoglienza per richiedenti asilo, organizzata sul carattere dell'emergenza permanente a vantaggio di una efficiente struttura dell'accoglienza organizzata in maniera diffusa, decentrata, libera dai meccanismi di accumulazione del profitto che hanno portato a corruzione e malaffare e condizioni di vita insopportabili per un Paese civile, ma soprattutto a favore di una accoglienza funzionante allo scopo ultimo: l'integrazione delle persone;
    in ultimo per comprendere il fallimento delle attuali politiche che hanno comportato un ingente costo di vite umane nonché di fondi spesi in questi anni, basti pensare che con soli 2,5 milioni di euro il progetto Mediterranean Hope ha portato in Italia, in sicurezza, sottraendoli alle mani dei trafficanti, mille profughi dalle zone confinanti con quelle di conflitto, garantendo loro, inoltre, un'accoglienza dignitosa. Come emblema dell'irrazionalità delle politiche in atto, si pensi che con i soli 6 miliardi di euro promessi alla Turchia per l'implementazione del Joint Action Plan del marzo 2016, si sarebbe potuto fare altrettanto con 2,4 milioni di persone,

impegna il Governo:

1) a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati», attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani;
2) a proporre un «diritto di asilo europeo», capace di superare realmente il «regolamento di Dublino» e a non sostenere la proposta di riforma della Commissione europea, considerato che un migrante dovrebbe avere il diritto di veder riconosciuto l'asilo in qualsiasi Paese, per poi essere libero di circolare all'interno dell'Europa;
3) ad assumere iniziative per concedere con effetto immediato permessi di soggiorno per motivi umanitari che consentano la libera circolazione negli Stati dell'Unione europea e quindi avviare l'iter per la predisposizione di una normativa dell'Unione con la quale disciplinare il riconoscimento reciproco delle decisioni di riconoscimento della protezione internazionale tra gli Stati membri e a promuovere nelle competenti sedi europee, la regolarizzazione di tutti i migranti ancora senza documenti presenti in Europa;
4) a vigilare sul rispetto del divieto di espulsioni collettive previsto dai protocolli addizionali alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, assumendo iniziative volte all'adozione di opportuni atti regolamentari e all'introduzione di procedure di monitoraggio indipendenti;
5) a promuovere il principio di un'accoglienza dignitosa e dunque la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti sparsi in Europa, a cominciare da quelli presenti sul territorio italiano;
6) ad assumere iniziative per scongiurare qualsiasi ipotesi di consolidamento di quello che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano l'illegittimo sistema dei centri di identificazione ed espulsione, veri e propri luoghi di detenzione amministrativa;
7) ad assumere iniziative per implementare rapidamente il programma di ricollocamento, ad oggi dimostratosi un fallimento, affiancandolo alla creazione di adeguate strutture per l'accoglienza e l'assistenza delle persone in arrivo;
8) a promuovere una politica che dica «basta» ai respingimenti verso i Paesi di origine e di transito e garantisca a tutti i migranti l'accesso a una piena e chiara informazione sulla possibilità di chiedere protezione internazionale;
9) a proporre la revisione dell'accordo tra Unione europea e Turchia sulla gestione dei rifugiati, nonché a proporre l'immediata sospensione degli accordi – come i processi di Rabat e di Khartoum – con i Governi che non rispettano i diritti umani e le libertà.
(1-01465)
«Palazzotto, Duranti, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».
(16 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo anno l'ondata migratoria non solo non ha conosciuto soste, ma è addirittura esponenzialmente aumentata. Secondo i dati resi noti ad inizio 2017 da Frontex, l'agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nel 2016 il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta centro mediterranea, che riguarda l'Italia e in misura minore Malta, è cresciuto di circa il venti per cento rispetto all'anno precedente, facendo registrare un totale di 181 mila sbarchi. Tale considerevole incremento riflette una pressione migratoria proveniente dal versante occidentale del continente africano, in particolare da Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio e Gambia. Dal 2010, l'Italia ha visto decuplicare il numero di arrivi dall'Africa occidentale: secondo l'Unhcr, nel 2016 sono arrivate in Italia via mare 181.405 persone, rispetto alle 153.842 del 2015 e alle 170.100 del 2014 (dati del Viminale);
    la gran parte di questi sbarchi avviene in Sicilia (il 70 per cento), ma ci sono arrivi via mare anche in Calabria (il 17 per cento), Puglia (il 7,5 per cento) e Sardegna (il 4 per cento);
    lo stesso report evidenzia come il numero dei migranti individuali sia calato del settantanove per cento nelle isole elleniche dell'Egeo e nella parte continentale della Grecia, in particolare a seguito dell'entrata in vigore, nel marzo 2016, dell'accordo Unione europea-Turchia, che ha portato ad un'intensificazione dei controlli alle frontiere da parte delle autorità turche, all'accelerazione dei rimpatri di migranti dalla Grecia alla Turchia, cui si somma una stretta sui controlli alle frontiere nei Balcani occidentali;
    particolarmente significativo risulta il raddoppio nell'ultimo anno del numero dei minori stranieri non accompagnati sbarcati lungo le coste del nostro Paese, passato da 12.360 nel 2015 a 25.846 nel 2016, cui va aggiunto il numero, anch'esso in costante crescita, dei minori che arrivano attraverso i valichi alpini, in particolare del Friuli Venezia Giulia, come evidenziato dalla struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati istituita presso il dipartimento dell'immigrazione del Viminale;
    contestualmente, come affermato dal direttore di Frontex nel corso di un seminario di clausura del Partito cristiano sociale bavarese (Csu) e riportato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, gli Stati europei espellono solo il 43 per cento dei migranti cui non è stato riconosciuto asilo;
    con il 1o gennaio 2017 è ufficialmente iniziato il semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea da parte di Malta, che non potrà non annoverare fra sue priorità una gestione comune della politica migratoria di fronte a posizioni nettamente divergenti dei partner europei. In questo quadro vanno apprezzate le parole del premier di Malta Joseph Muscat, che ha affermato di condividere la stessa posizione del governo italiano, auspicando che un accordo con la Libia possa essere trasposto a livello europeo;
    va registrato il sostanziale fallimento del piano Junker di ricollocamento dei mila profughi da Grecia e Italia, deciso nel 2015 e boicottato da parte dei Paesi del cosiddetto gruppo Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) e che ha portato a meno di diecimila ricollocati (dati aggiornati ai primi di dicembre 2016);
    forte preoccupazione desta nell'opinione pubblica la presenza di circa 400 detenuti a «rischio radicalizzazione» presenti negli istituti penitenziari italiani, di cui 170 sottoposti a «specifico monitoraggio», ai quali si aggiungono 45 detenuti in Italia per terrorismo internazionale. Va quindi espresso il vivo ringraziamento a tutti gli agenti della Polizia penitenziaria, ai direttori e a tutti gli operatori che svolgono il proprio gravoso lavoro in strutture spesso inadatte e con gravi carenze di organico. Per contrastare l'estremismo islamico serve un incremento del numero di agenti di polizia penitenziaria e maggiori fondi per la formazione e per le dotazioni degli agenti stessi, un incremento e una capillare diffusione di educatori, assistenti sociali, mediatori culturali e di esperti in quell'attività di intelligence nelle carceri, fondamentale per fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista;
    occorre ripensare l'operazione Eunavfor Med, a cui partecipano in vario modo 25 nazioni europee, concepita con lo scopo di individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai contrabbandieri e dai trafficanti di esseri umani. A tali compiti sono stati affiancati gli incarichi di addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica e il contributo alle operazioni di embargo alle armi in accordo alla Risoluzione dalle Nazioni Unite nr. 2292 del 14 giugno 2016. Sin dall'inizio, inoltre, le navi impegnate nell'operazione hanno contribuito alla salvaguardia della vita umana in mare. La flotta europea si è – di fatto – limitata a raccogliere in mare immigrati clandestini e a sbarcarli nei porti italiani affidando alla giustizia gli scafisti (o presunti tali) catturati;
    il passaggio alla cosiddetta «fase tre» dell'operazione Eunavfor Med diviene quindi esiziale: la neutralizzazione delle imbarcazioni e delle strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra sulle coste libiche è fondamentale per scoraggiare ulteriori attività criminali. È ben conosciuto il traffico, purtroppo lecito, di gommoni che attraverso la Turchia e Malta giungono in Libia e che non è possibile bloccare prima dell'arrivo nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Ma per colpire i gommoni sulla costa e nelle acque territoriali libiche l'operazione Eunavfor Med deve essere autorizzata dall'Onu o dal governo libico;
    l'addestramento della Marina Libica, richiesta dal Governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sviluppata sotto l'egida dell'Unione europea si inquadra nelle attività di Maritime Capacity Building and Training e Maritime Security, ed è un importante tassello nella stabilizzazione dell'intera area, ma rischia di essere del tutto inutile se la comunità internazionale e le fazioni che si contendono il potere in Libia non troveranno un accordo stabile e duraturo;
    il modello fin qui seguito nella gestione dei flussi migratori va ripensato, mettendo in atto un intervento a tutto campo, basato su quelle esperienze che nel mondo hanno dato risultati positivi e centrato su alcuni punti fissi:
     1) missioni di respingimento: «fermare le navi per fermare le morti (come attuato in Australia dal premier conservatore Tony Abbott “Operation Sovereign Borders”), accogliendo solo chi scappa veramente da una guerra»;
     2) chiusura moschee e luoghi di culto irregolari e senza controlli; apertura solo di luoghi di culto autorizzati e controllati;
     3) sistematico controllo del territorio rispetto al fenomeno dei centri di aggregazione clandestini;
     4) scelta anno per anno delle quantità e tipologie di immigrati effettivamente integrabili nel mercato del lavoro italiano (come fanno altri Paesi, a partire da Canada e Australia);
     5) accettare immigrazione selezionata e contingentata, compatibile con la possibilità di inserimento sociale, lavorativo ed abitativo;
     6) nessun automatismo per la cittadinanza: come negli Stati Uniti essa è solo l'ultimo passo di un lungo percorso,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto misure di contrasto all'illegalità e alla migrazione irregolare nel medio e lungo termine, con regole certe che vedano l'avvio di un nuovo sistema basato su quei modelli che nel mondo hanno dato prova di efficacia, come quello canadese e quello australiano;
2) ad intensificare la stipula dei necessari accordi internazionali con i Paesi di partenza degli Migrati (Libia, Nigeria, Eritrea e altri) al fine facilitare e velocizzare i rimpatri dei migranti non in possesso dei requisiti necessari per usufruire delle forme di protezione internazionale e a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d'origine;
3) a verificare la possibilità di stipulare accordi con Paesi di provenienza dei migranti per allestire in loco centri di accoglienza dove lo straniero che tenti di entrare in Italia via mare, se intercettato, potrà soggiornare fino alla definizione delle pratiche per l'eventuale ingresso legale nel nostro Paese;
4) a intensificare gli sforzi diplomatici con i partner europei, con il Governo libico e con le Nazioni Unite, anche avvalendosi della posizione di membro non permanente nel Consiglio di sicurezza, al fine di portare alla cosiddetta «fase tre» l'operazione Eunavfor Med;
5) a dotare le forze dell'ordine e gli apparati di sicurezza di mezzi e risorse necessarie al fine di meglio condurre quell'attività di intelligence volta a prevenire infiltrazioni terroristiche e a fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista;
6) ad agire in sede comunitaria per la stipula di accordi economici fra l'Unione europea e i Paesi di origine e transito dei migranti, incrementando le politiche di cooperazione.
(1-01466)
«Altieri, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(16 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la circolare diffusa dal Ministero dell'interno il 30 dicembre 2016, relativa alle attività di rimpatrio degli stranieri irregolari e al programma di riapertura dei centri di identificazione ed espulsione, e la volontà del Governo di stipulare nuovi accordi bilaterali di riammissione e di riformare in senso restrittivo le norme sul diritto di asilo, rappresentano una visione miope, strumentale e rozza, finalizzata soltanto a stemperare gli umori di una parte dell'opinione pubblica scossa dagli ultimi attentati in Europa, ma manca totalmente di una visione costruttiva e di una gestione intelligente, efficace e lungimirante di un fenomeno – quello migratorio – che non può più essere considerato emergenza, diventato ormai strutturale ed elemento imprescindibile della scena culturale, sociale ed economica;
    è fondamentale, invece, intervenire affrontando in modo responsabile quei correttivi urgenti ad un sistema di accoglienza fallimentare (per una gestione spesso corrotta e in mano al malaffare, per gli elevati costi e la limitata efficacia, per le condizioni degradanti delle persone accolte o trattenute, per il numero limitato degli effettivi rimpatri), evidenziato anche da tutti gli studi indipendenti, oltre che dalla Corte dei Conti e dalle relazioni delle Commissioni parlamentari d'inchiesta che si sono alternate negli ultimi anni, che aveva anche convinto i Governi precedenti a cercare di diminuire il numero dei centri di identificazione ed espulsione potenziando il modello di accoglienza virtuoso dello Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati);
    su oltre 180 mila cittadini stranieri sbarcati in Italia nel 2016, circa 23 mila sono stati gestiti attraverso la rete Sprar con progetti di formazione e di inserimento lavorativo. Ma sul futuro di quei migranti pende il verdetto delle loro richieste di asilo, che sei volte su dieci è negativo. Le commissioni territoriali e i tribunali chiamati a valutare le domande di protezione seguono infatti altri criteri, senza prendere in considerazione il percorso svolto dal richiedente asilo e la sua situazione lavorativa. Le cooperative e le associazioni dei progetti Sprar di Torino che gestiscono i richiedenti asilo e le aziende che ospitano i tirocinanti hanno creato la rete «SenzaAsilo», chiedendo al Governo l'introduzione di forme di regolarizzazione su base individuale degli stranieri che prendano in considerazione anche la loro situazione lavorativa. Perché trasformare i migranti lavoratori in irregolari non conviene a nessuno e in un'epoca di guerre, tensioni internazionali, crisi economiche, drammatici eventi climatici, crisi umanitarie di diversa origine e intensità è sempre più evidente l'artificialità e l'opinabilità della summa divisio – tutta politica e giuridica – tra richiedenti protezione internazionale e migranti economici;
    di questo è convinta anche Confindustria che, partendo dalla considerazione che una maggiore integrazione produce maggiori benefici, nel suo rapporto presentato a giugno 2016, sottolinea che l'impatto del lavoro degli immigrati sulla finanza pubblica italiana è positivo e riequilibra il sistema del welfare minacciato dall'invecchiamento demografico;
    è fondamentale che i flussi di migranti siano riconosciuti come una componente strutturale, da gestire attraverso la partecipazione attiva ai programmi di reinsediamento, l'apertura di canali umanitari e un'effettiva riapertura di canali di ingresso e soggiorno legale per lavoro (oggi sostanzialmente chiusi), così da prosciugare il fenomeno dell'irregolarità che foraggia il traffico e lo sfruttamento di esseri umani;
    ora più che mai appare improrogabile una riforma, ad un tempo rigorosa e radicale, del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni) che è inefficace, iniquo, in più aspetti contrastante con la Costituzione e con le norme internazionali e dell'Unione europea;
    il 23 dicembre 2016 l'Istat ha pubblicato un rapporto, secondo il quale le richieste totali di asilo politico presentate dai migranti nel 2015 nei Paesi dell'Unione europea sono più che raddoppiate rispetto al 2014, superando largamente il milione (1.257.030). Un migrante su 3 ha scelto di restare in Germania, che è infatti il Paese nel quale è stato presentato il maggior numero di domande (441.800, il 35 per cento del totale dell'intera Unione europea), seguita dall'Ungheria (174.435), la Svezia (156.110) e l'Austria (85.505). L'Italia è al quinto posto con 83.245 richieste (il 7 per cento del totale dei Paesi Europei);
    l'Agenda europea sull'immigrazione, entrata in vigore nel settembre del 2015, oltre ad aver cambiato in maniera radicale il sistema di accoglienza dei migranti nei Paesi di arrivo, come l'Italia e la Grecia, che da Paesi di transito si sono trasformati in Paesi di destinazione, ha provocato un cortocircuito sulla loro ricollocazione, perché ha stabilito di fatto che i migranti possano accedere al ricollocamento in base alla loro nazionalità. Hanno diritto ad essere ricollocati i siriani e gli eritrei, quelli cioè a cui è riconosciuta una protezione nel 75 per cento dei Paesi europei, mentre tutti gli altri rientrano nella categoria dei migranti economici, anche coloro che scappano dalle guerre, o fuggono da governi dittatoriali come quello gambiano e quello etiope. Per loro è possibile richiedere l'asilo in Italia, ma senza troppe speranze: nei primi sei mesi del 2016 le domande d'asilo sono aumentate del 60 per cento, con un responso negativo del 60 per cento dei casi, che sono diventati irregolari. Il sistema di accoglienza italiano quindi, invece di integrare, ha di fatto prodotto un numero altissimo di persone irregolari;
    in chiave fortemente critica non si può che denunciare la volontà – manifestata apertis verbis dai Ministri Minniti e Orlando – di eliminare il grado di appello nei procedimenti giurisdizionali di impugnazione dei dinieghi dello status di rifugiato, creando quella che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano un'odiosa e incostituzionale apartheid giuridica riservata ai diritti fondamentali (quello alla protezione e quello alla difesa) dei richiedenti asilo;
    anche gli hotspot, imposti all'Italia sempre dall'Agenda europea, per le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo, hanno creato un sistema arbitrario e lesivo dei diritti fondamentali delle persone sbarcate sulle coste italiane. L'approccio hotspot è privo di una cornice giuridica, dato che nessun atto normativo, né italiano né europeo, disciplina quanto avviene all'interno dei centri, che in molti casi anzi contrasta in modo palese con quanto previsto dalla legge non solo in materia di protezione internazionale, ma anche di violazione della libertà personale;
    i centri hotspot, cronicamente sovraffollati e fonte di episodi di violenza e intimidazione testimoniate, respingimenti viziati nella forma, non sono in grado di offrire condizioni di permanenza dignitosa nemmeno ai minori che viaggiano soli, e non possono più essere considerati un sistema sufficiente e idoneo ad accogliere i migranti che sbarcheranno nel prossimo futuro. Il sistema di prima e seconda accoglienza a livello nazionale si rivela drammaticamente insufficiente. L'Italia e l'Europa devono drasticamente trasformare il loro approccio alla gestione dei flussi migratori, mettendo i diritti delle persone al centro,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per definire una normativa nazionale organica sul diritto d'asilo che dia attuazione all'articolo 10 della Costituzione e che consenta ingressi legali e sicuri a chi fugge da guerre, persecuzioni, eventi climatici avversi, catastrofi naturali, carestie, epidemie;
2) ad assumere iniziative per introdurre un sistema di accoglienza diffuso e sostenibile, che favorisca l'integrazione e la gestione corretta e trasparente di risorse e strutture, facendo del modello Sprar la regola e il ricorso a sistemi emergenziali l'eccezione;
3) intensificare ogni tentativo in sede europea per individuare forme di prima accoglienza alternative agli hotspot, con regole più rispettose dei diritti dei migranti;
4) ad assumere iniziative per la definitiva chiusura dei centri di identificazione ed espulsione e una riforma strutturale della materia dei rimpatri;
5) ad attivarsi in sede europea affinché venga potenziato e riconosciuto l'istituto del ricongiungimento familiare al fine di favorire un'immigrazione regolata e ordinata nel rispetto del diritto all'unità familiare e dei diritti dei minori;
6) ad assumere iniziative normative per l'abolizione del cosiddetto reato di clandestinità previsto dall'articolo 10-bis del testo unico sull'immigrazione, ritenuto dalla stessa magistratura un ostacolo al perseguimento dei reati legati al fenomeno migratorio come la tratta, lo sfruttamento lavorativo e la riduzione in schiavitù.
(1-01467)
«Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».
(16 gennaio 2017)