TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 699 di Mercoledì 26 ottobre 2016

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A SOSTEGNO DEI CITTADINI COLPITI DALLA CRISI ECONOMICA, ANCHE IN RELAZIONE ALLE RISORSE ATTUALMENTE DESTINATE ALL'ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI EXTRACOMUNITARI

   La Camera,
   premesso che:
    dal 2008 è presente una gravissima crisi economica internazionale che ha colpito in modo particolare anche alcuni Paesi dell'area dell'Unione europea. L'attuale congiuntura economica, superiore, per intensità, durata e diffusione nei mercati globali a quella del 1929, ha investito anche il nostro Paese;
    dal dicembre 2011 i Governi che si sono succeduti hanno inasprito le azioni fiscali contro le imprese e di conseguenza contro i lavoratori, con la scusa dell'imminente default e la necessità e l'urgenza di intervenire al fine di trovare la giusta stabilità nei conti;
    una crisi provocata dalle banche e dalla finanza sta distruggendo l'economia reale e sta mettendo in ginocchio la gente comune, colpita da manovre economiche che aumentano la pressione fiscale diretta ed indiretta e causano l'aumento indiscriminato dei prezzi, anche dei prodotti di prima necessità, con una significativa perdita di potere di acquisto da parte delle famiglie;
    la crisi economica ha avuto origine dal crollo dei mutui sub-prime dell'estate 2007 e il conseguente fallimento a catena di alcune banche di affari (la più importante la Lehman Brothers, quarta banca americana) che senza alcuna regolamentazione e per giunta con la copertura ufficiale delle agenzie private di certificazione attuavano una leva finanziaria di 1 a 30;
    gli esperti hanno individuato da subito tra le cause principali della crisi economica il fallimento di un modello di mercato senza regole nel quale le istituzioni hanno abdicato al loro ruolo di garanti rispetto al potere esercitato dalla finanza e dalla grande industria. Un cancro diffuso in tutti i settori ma che vede il concentrarsi delle sue metastasi proprio in quelle operazioni speculative messe in atto dalle agenzie di intermediazione finanziaria;
    la tanto decantata autoregolamentazione del mercato si è dimostrata totalmente incapace di mantenere il sistema su binari funzionanti;
    il sistema finanziario e monetario, sempre più deregolamentato e sottratto ai controlli, ha minato ogni forma di governance dando così origine ad una serie di bolle finanziarie e fagocitando i settori industriali, commerciali e agricoli produttivi;
    il tessuto imprenditoriale, costituito in Italia per più del 95 per cento da piccole e medie imprese, ha risentito e continua a risentire del fenomeno del credit crunch, un fenomeno che ha portato alla chiusura di molte imprese che non hanno ricevuto dagli istituti di credito il necessario e, in questo periodo, vitale supporto finanziario per il proprio ciclo produttivo;
    i dati forniti dal Governo sulla ripresa economica del nostro Paese sono notoriamente ottimistici e si scontrano con un'evidente realtà di diffuso disagio sociale;
    il nostro è il Paese con l'imposizione fiscale più alta nell'area dell'Unione europea, condizione che spinge molte imprese a delocalizzare verso Paesi vicini come la Svizzera, l'Austria, la Slovenia, la Slovacchia, la Francia e, nell'area extra-Unione europea, la Serbia;
    nella fase di congiuntura economica che ha investito il nostro Paese i Governi che si sono succeduti hanno adottato una politica di contenimento dei costi che ha generato tagli ingenti ai finanziamenti diretti agli enti locali, con conseguente difficoltà da parte delle amministrazioni comunali nella gestione degli interventi diretti ai servizi ai cittadini secondo standard di qualità, efficienza ed efficacia;
    i continui flussi migratori verso il nostro Paese di cittadini stranieri provenienti dai Paesi extracomunitari determinano una serie di problemi in campo assistenziale, nell'area socio-sanitaria e in quella più ampia e complessa dell'integrazione;
    le risorse impiegate dai comuni e dalle loro associazioni per i servizi erogati ai cittadini stranieri rappresentano circa il 3 per cento della spesa sociale complessiva, per un valore di circa 190 milioni di euro. Tra i vari tipi di azioni a sostegno degli immigrati, al primo posto in termini di spesa vi sono gli interventi e i servizi, dove confluisce circa il 40 per cento delle risorse. Gli interventi specifici offerti dai comuni per l'integrazione sociale dei soggetti a rischio coinvolgono ogni anno circa 160 mila utenti. Inoltre, circa il 35 per cento della spesa destinata all'area immigrazione è impiegato dai comuni per la gestione di strutture residenziali, che accolgono circa 12 mila ospiti con una spesa media di circa 3.200 euro l'anno per utente;
    in un anno circa 4 mila soggetti beneficiano del pagamento di rette per il soggiorno in strutture di tipo privato, con una spesa media di circa 3.600 euro l'anno per assistito. A questo tipo di supporto si deve aggiungere la gestione delle aree attrezzate per i nomadi. Le risorse rimanenti sono erogate sotto forma di contributi in denaro (29,2 per cento della spesa per immigrati), principalmente finalizzati alla copertura dei costi per l'alloggio (oltre 24 mila beneficiari) e all'integrazione del reddito (quasi 20 mila beneficiari). Considerata l'esigenza dei comuni di far fronte alle necessità per la messa a punto di servizi specifici diretti a far fronte all'impatto sociale dovuto al crescente fenomeno della presenza di cittadini extracomunitari, basti pensare a titolo d'esempio alla tutela dei minori stranieri non accompagnati, è necessario che si sviluppi un intervento strutturale per la condivisione di responsabilità ed oneri tra amministrazione centrale e autonomie locali. In questa particolare fase di congiuntura economica e di tagli alle risorse degli enti locali, si ha il dovere di strutturare delle forme di sostegno per i comuni nella messa a punto di servizi specifici in una logica di standardizzazione nazionale degli interventi, secondo modelli di collaborazione già sperimentati con successo in alcuni settori delle politiche sociali;
    nell'affrontare il tema legato alle immigrazioni sarebbe corretto operare nel rispetto del tradizionale valore dell'ospitalità che da sempre contraddistingue il popolo italiano e l'Europa. Questo significa che il buon padrone di casa deve essere aperto in modo solidale ad aiutare chi in difficoltà richiede ospitalità, facendo in modo che l'ospite venga trattato al pari dei propri familiari. Questo aspetto della tradizione europea trova i suoi limiti propri nel numero delle persone che si riescono e si possono ospitare. È inutile, improduttivo, disumano ospitare più persone di quelle che si riesce ad accogliere destinandole a vivere nelle difficoltà e nel disagio, minando allo stesso tempo il bene dei componenti della propria famiglia. Questo elementare principio che appartiene alla cultura classica dovrebbe far ben comprendere come sia impossibile non determinare un numero massimo di presenze di extracomunitari nel territorio italiano;
    l'irresponsabile condotta delle politiche messe in atto per gestire l'enorme flusso migratorio verso il nostro Paese rischia di creare un impatto sociale ingestibile, alimentando l'ingiustizia che vivono i cittadini italiani in condizioni estreme di disagio e di emergenza abitativa nel trovarsi a constatare come il Governo abbia soluzioni immediate per far fronte ai problemi di vitto e alloggio degli extracomunitari che sbarcano sulle coste italiane;
    i risultati delle politiche in tema di accoglienza, adottate da questo Governo, denotano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, un vero e proprio fallimento;
    i dati degli arrivi di immigrati nel nostro Paese clandestinamente con le navi (solo via mare 153.842 ingressi nel 2015 e per i primi tre mesi del 2016 già 19.932, con un aumento del 50 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015) e della mancata attivazione degli strumenti di respingimento ed espulsione previsti dall'ordinamento nazionale e da quello comunitario (articoli 10 e 13 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e della direttiva 2008/115/CE) evidenziano come il fenomeno immigratorio abbia assunto ormai la dimensione di una vera e propria invasione programmata del territorio italiano;
    il sistema di accoglienza, a seguito anche delle ultime modifiche apportate con il decreto legislativo n. 142 del 2015, si articola in un sistema complesso che, oltre alla primissima accoglienza nei cosiddetti hotspot, si distingue in «prima accoglienza» assicurata nelle strutture governative di cui all'articolo 9, in «seconda accoglienza» nelle strutture di cui all'articolo 14 e, nei casi di emergenza e di indisponibilità nelle precedenti strutture, in quelle di cui all'articolo 11 (CAS), che dovrebbero essere temporanee ma che di fatto sono diventate le più numerose ed utilizzate, registrando all'11 aprile 2016 139.215 presenze su un totale di 168.750 immigrati accolti nel sistema di accoglienza;
    chiunque arriva nel nostro Paese, indipendentemente dalla nazionalità e dalle modalità di ingresso, può presentare, in qualsiasi momento e senza limiti di tempo o preventivo controllo di ammissibilità, una domanda di protezione internazionale che di fatto blocca qualsiasi procedura di espulsione e il mantenimento gratuito del richiedente fino alla conclusione della procedura d'esame della domanda, che dura in media circa nove mesi;
    alla presentazione della domanda di protezione internazionale il richiedente asilo nelle strutture di accoglienza ha diritto, secondo quanto previsto già dalla circolare del Ministero dell'interno dell'8 gennaio 2014, ad una serie di servizi comprensivi di pulizia dei locali e lavanderia, erogazione dei pasti, prodotti per l'igiene personale, vestiario adeguato alla stagione, una ricarica telefonica di 15 euro all'ingresso, assistenza linguistica e culturale, sostegno socio-psicologico, assistenza sanitaria, «orientamento al territorio» e un pocket money di euro 2,5 al giorno per le spese personali;
    lo Stato corrisponde agli enti gestori delle strutture di accoglienza in media 35 euro al giorno per ogni richiedente ospitato e spesso si registrano situazioni di mancanza di meccanismi di controllo e monopoli da parte di associazioni e cooperative che gestiscono, anche in diverse province e regioni, numerosi centri di accoglienza e in alcuni casi senza partecipare ad alcun bando, ma per assegnazione diretta da parte delle prefetture;
    tale giro di denaro ha creato un vero e proprio business intorno al fenomeno migratorio;
    secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2016, fino ad aprile, di tutte le domande di asilo solo al 3 per cento dei richiedenti è stato riconosciuto lo status di rifugiato;
    pare che il fallimento della procedura di ricollocazione (decisioni n. 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015 e n. 2015/1601 del Consiglio del 22 luglio 2015) – che avrebbe dovuto comportare il trasferimento presso altri Paesi europei in totale di 160.000 richiedenti asilo di nazionalità siriana, irachena ed eritrea, di cui 39.600 dall'Italia – sarebbe da ricondurre anche al fatto che nel nostro Paese giungono, sempre in maggior numero, «richiedenti asilo» ivoriani, senegalesi e gambiani, nazionalità non indicate nel programma di ricollocazione e con i cui Stati l'Italia non ha attivato accordi di identificazione e riammissione;
    dall'avvio del piano di ricollocamento cosiddetto Junker gli Stati membri dell'Unione europea hanno rinviato in Italia, a fronte dei 580 ricollocati in Germania, Romania, Francia, Portogallo, Finlandia e Olanda, ben 1.101 immigrati irregolari, ossia circa il doppio. Nei primi sette mesi del piano pare siano 23.468 gli immigrati clandestini rintracciati nello spazio europeo che, secondo quanto dispone «Dublino III» (regolamento n. 604/2013), devono essere riammessi in Italia e di conseguenza le richieste in tal senso avanzate sono 4.219 dalla Germania, 4.704 dalla Svizzera, 1.921 dalla Francia e 1.669 dall'Austria;
    dunque, sebbene lungo la rotta ovest dei Balcani la situazione sembra risolta grazie alla volontà e alle iniziative dei Paesi posti su tale confine a difesa del proprio territorio a fronte dell'inerzia dell'Unione europea, perdurando però il massiccio arrivo di immigrati, agevolato dal permeabile confine marittimo italiano, sei Paesi dell'Unione europea, ossia Germania, Francia, Austria, Belgio, Svezia e Danimarca, chiederanno alla Commissione europea di prolungare di sei mesi, a partire dalla metà di maggio 2016, i controlli alle loro frontiere;
    secondo i dati forniti da Frontex, dopo la chiusura della rotta cosiddetta balcanica gli arrivi via mare nel nostro Paese a marzo 2016 sono stati 9.600, oltre il doppio rispetto a febbraio, con un incremento anche dall'Egitto;
    secondo i dati dell'ufficio statistico europeo, l'Italia è tra i Paesi maggiormente coinvolti nel problema immigrazione, quello che rimpatria meno immigrati clandestini: nel 2015 in Italia le espulsioni sono state 26.058, ma gli effettivi rimpatri 11.944, a fronte, ad esempio, degli 86.000 della Francia e dei 65.000 della Gran Bretagna;
    i sindaci nel loro ruolo di primi cittadini sentono il peso delle diffuse problematiche sociali che colpiscono direttamente il territorio amministrato, quali la disoccupazione giovanile, le difficoltà economiche dei residenti anziani, l'emergenza abitativa delle famiglie e l'aumento esponenziale di situazioni e condizioni di povertà, e si sentono abbandonati dall'amministrazione centrale nella risoluzione diretta a tali problematiche;
    è doveroso porre la giusta attenzione all'inarrestabile continua richiesta di aiuto da parte degli amministratori locali che cercano di trovare soluzioni all'ingiustizia, che vede, da un lato, il Governo destinare ingenti risorse economiche per la presa in carico dei cittadini extracomunitari e, dall'altro, una diffusa disattenzione per il disagio sociale dei cittadini italiani;
    molti sindaci hanno avviato ufficialmente un processo di democrazia partecipata per farsi supportare con un mandato ufficiale dai cittadini per proporre, con forza, al Governo di stornare almeno in parte le risorse economiche destinate all'accoglienza dei cittadini extracomunitari per destinarle ad aiuti concreti alla comunità cittadina che soffre,

impegna il Governo:

1) a sostenere l'iniziativa dei sindaci finalizzata ad un riconoscimento ufficiale delle vittime della crisi economica, mettendo in atto le dovute iniziative per la presa in carico di questa particolare categoria, stornando parte delle risorse necessarie da quelle destinate all'assistenza degli extracomunitari richiedenti protezione umanitaria.
(1-01287)
«Fedriga, Grimoldi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(24 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi finanziaria dei subprime – prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in favore di clienti a forte rischio debitorio – scoppiata alla fine del 2006 negli Stati Uniti ha avuto gravi conseguenze sull'economia mondiale, in particolar modo nei Paesi sviluppati del mondo occidentale, innescando un periodo di crisi economia mondiale denominato «la grande recessione»;
    la crisi inizia a produrre i primi evidenti effetti nei primi mesi del 2007;
    nella prima metà del 2008 le principali economie del globo, ivi comprese quelle dei Paesi europei, subiscono un forte rallentamento con un aumento improvviso dell'inflazione;
    una delle cause principali della crisi economica è il fallimento di un sistema finanziario deregolamentato, terreno fertile per bolle speculative, che dopo un'ondata di euforia finanziaria creano il panico, come nel più classico dei «Minsky moment»;
    l'attuale Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha costantemente sovrastimato gli effetti delle sue politiche, dimostrando anche scarsa competenza nel riconoscere correttamente la situazione macroeconomica in cui si trovava il Paese, a titolo di esempio il documento di economia e finanza 2014 iniziava con una informazione parziale e pericolosamente fuorviante su una presunta chiusura della fase recessiva italiana nel terzo trimestre 2013. In realtà, come indicato dalla relazione di minoranza al documento in questione a prima firma Castelli, ci si trovava di fronte a una recessione a «doppia v» (double-dip recession), ovvero una situazione, in cui a un lungo periodo di recessione, segue una ripresa illusoria che prelude una seconda recessione;
    dal Governo Monti 2011, tutti gli Esecutivi che si sono succeduti, ivi compreso l'attuale, hanno puntato su deleterie politiche di austerity che hanno innescato un inasprimento della pressione fiscale verso aziende e cittadini, distruggendo l'economia reale. Tale politica di contenimento dei costi ha generato ingenti tagli ai finanziamenti diretti agli enti locali, con conseguenti difficoltà per le amministrazioni comunali di mantenere degli standard di qualità accettabile nell'erogazione dei servizi al cittadino, ivi compresi i servizi minimi essenziali;
    come emerge dal rapporto Caritas 2016, il numero degli italiani indigenti è aumentato di molto; infatti, il numero di persone che nel 2012 si rivolgono alla Caritas, rispetto al 2008, è quasi quadruplicato;
    i continui flussi migratori verso il nostro Paese di cittadini stranieri in cerca di un «rifugio» o di una «opportunità» sono aumentati negli ultimi anni, stando al XXV rapporto Caritas, dal 2014 al 2015, gli stranieri residenti in Italia sono aumentati dell'1,9 per cento, passando da 4 milioni e 922 mila a poco più di 5 milioni;
    quella che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano evidente incapacità del Governo nell'inquadrare correttamente la situazione economico-sociale che si è delineata nel mondo, in Europa e nel nostro Paese, una fallimentare condotta nella gestione e risoluzione delle problematiche, le difficoltà legate al progressivo e costante impoverimento dei cittadini italiani che si sono mal combinate con le emergenze connesse all'accoglienza degli stranieri suscitando strumentalizzazioni filo-razziste e filo-populiste vessatorie nei confronti degli immigrati, rischiano di generare una inutile «guerra tra poveri» i cui beneficiari risulteranno essere, da un lato, il Governo, che avrà una scusa pronta per innalzare le imposte o ridurre i servizi erogati sul territorio, siano essi destinati agli stranieri o meno, e, dall'altro, le forze politiche che cavalcheranno l'ondata di razzismo per ottenere qualche «zerovirgola» in più nei sondaggi elettorali;
    l'incapacità della cosiddetta «maggioranza» nel compenetrarsi nella drammatica situazione in cui vive la maggioranza dei cittadini si esplica, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, anche nell'incapacità, dimostrata in questi giorni in questa sede, di dare il buon esempio tramite una riduzione delle indennità che i componenti del Parlamento ricevono mensilmente,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi, anche in sede europea, affinché le ricadute dell'emergenza immigrazione siano rese sostenibili attraverso un'equa e solidale distribuzione delle responsabilità che tale emergenza comporta tra tutti i Paesi aderenti all'Unione europea;
2) al fine di arginare l'impoverimento provocato dalla recessione e dalle politiche di austerity nonché a scongiurare un'iniqua «guerra tra poveri», ad assumere iniziative per introdurre il reddito di cittadinanza con un supporto economico mensile congruo per i soggetti disoccupati, inoccupati, nonché lavoratori precari e percettori di trattamenti minimi di quiescenza, anche valutando di adottare le proposte già presentate dal Gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle.
(1-01401)
«Dadone, Brescia, Lombardi, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Dieni, Nuti, Toninelli, Cariello, Brugnerotto, Caso, Castelli, D'Incà, Sorial, Colonnese, Lorefice».
(24 ottobre 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto dell'Ufficio statistico dell'Unione europea, Eurostat, in occasione della «Giornata mondiale contro la povertà», ha diffuso la notizia che l'Italia e la Grecia sono gli Stati europei dove il rischio povertà è maggiormente aumentato negli ultimi sette anni. Tra il 2008 e il 2015, nel nostro Paese, la percentuale delle persone a rischio povertà è salita dal 25,5 per cento al 28,7 per cento. Stesse conclusioni contenute nel rapporto Caritas 2016 su povertà ed esclusione sociale presentato nella medesima occasione del 17 ottobre 2016;
    i dati sulla povertà in Italia nel 2015, diffusi nel mese di luglio 2016 dall'Istat, riferiscono di 4 milioni e 600 mila individui che vivono in una condizione di povertà assoluta: la forma più grave di indigenza, quella di chi non riesce ad accedere a quel paniere di beni e servizi necessari per una vita dignitosa. Questo dato è il peggiore dal 2005 ad oggi. Le situazioni più difficili sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno, dalle famiglie con due o più figli minori, dalle famiglie di stranieri, dai nuclei il cui capofamiglia è in cerca di un'occupazione o è operaio e dalle nuove generazioni;
    l'ultima indagine sui bilanci delle famiglie, pubblicata dalla Banca d'Italia a dicembre 2015 (con dati riferiti al 2014) riporta di quanto i lunghi anni di crisi stiano incidendo sulla disponibilità economica delle famiglie, condizionandone anche la fiducia e la propensione al consumo. Considerando il dato oggettivo della concentrazione dei lavoratori immigrati nelle fasce poco qualificate, emerge un significativo divario tra stranieri e italiani nelle disponibilità economiche. Il reddito medio annuo è di circa 31 mila euro per una famiglia italiana e 18 mila per una straniera. Oltre a incidere negativamente sui percorsi di integrazione sociale, la povertà delle famiglie straniere determina – e giustifica a chi vuol creare sterili conflitti – una forte concentrazione di esse tra i maggiori beneficiari dei provvedimenti destinati alle famiglie meno abbienti, come il bonus degli 80 euro che riguarda i redditi medio-bassi (8 mila-24 mila euro annui) o il « bonus elettrico» e il « bonus gas» a sostegno delle famiglie in condizione di disagio economico. Pur con un impatto complessivamente basso sulla spesa pubblica, anche questa «concorrenza» delle famiglie straniere su questo tipo di provvedimenti alimenta malumori e «paure» nell'opinione pubblica;
    sono sempre più numerosi i cittadini non comunitari che ogni anno diventano italiani: da meno di 50 mila nel 2011 a quasi 159 mila nel 2015. Anche in base a questo dato, diversi studi hanno già dimostrato come la componente straniera oggi in Italia, costituita soprattutto da persone in età lavorativa, offra un apporto positivo e prezioso alle casse pubbliche. È noto l'apporto più che proporzionale dei lavoratori attivi di origine straniera al sistema previdenziale italiano. Anche per questo motivo, poiché negli ultimi anni sono aumentati i richiedenti la protezione internazionale, si dovrebbe agire per sveltire le procedure e accorciare i tempi di accoglimento o di diniego delle domande, così da mettere tali persone in condizione di accedere a tutte quelle opportunità possibili solo in una condizione regolare, come lavorare o avere un'abitazione;
    l'accoglienza dei profughi è preciso dovere costituzionale e rispetto del diritto internazionale: la Repubblica italiana con il terzo e quarto comma dell'articolo 10 della Costituzione, garantisce a tutti i cittadini stranieri, ai quali siano stati negati i diritti e le libertà democratiche nei loro Paesi, di poter esercitare tali diritti nel territorio dello Stato italiano, grazie al diritto di asilo. Mentre la definizione di status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l'adesione dell'Italia alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951; 
    i diritti umani, quindi, non sono negoziabili, ma da quando il tema dell'immigrazione è divenuto centrale nel dibattito politico e mediatico, per alcuni partiti, l'impatto della presenza degli stranieri sulle casse pubbliche, e in particolare sul sistema del welfare, è stato lo strumento per aumentare il proprio consenso, alimentando a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo in modo pericoloso e politicamente irresponsabile il conflitto sociale e la contrapposizione tra italiani autoctoni da una parte e italiani extra-Unione europea e migranti dall'altra e facendo leva sulle sofferenze di alcune classi sociali in difficoltà; 
    nel «Rapporto sull'economia dell'accoglienza» del 2015 del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, si legge che «... il costo medio giornaliero per migrante a cui far riferimento è pari a 30 euro oltre Iva. Pertanto i costi della gestione ordinaria dell'accoglienza si attestano nel range di 30-35 euro per gli adulti e di 45 euro per i minori accolti dai Comuni, costi nettamente inferiori a quelli sostenuti durante l'emergenza Nord Africa pari a 46 euro per gli adulti e ai 75 euro per i minori. Quindi in una situazione “ordinaria” come quella attuale, che ha avuto punte di emergenza assoluta quanto a persone sbarcate e accolte, i costi sono stati drasticamente ridotti rispetto all'emergenza del 2011». Si legge, inoltre, che «... il costo per la gestione dell'accoglienza viene in gran parte riversato sul territorio sotto forma di stipendi a operatori, affitti e consumi e, in ogni caso, rappresenta una piccolissima percentuale, quantificabile nello 0,14 per cento, della spesa pubblica nazionale complessiva»;
    le risorse destinate alle politiche finalizzate all'accoglienza e all'inclusione sociale dei cittadini stranieri comprendono gli interventi pubblici destinati a supportare la prima accoglienza dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati e le iniziative finalizzate a favorirne l'inserimento abitativo, scolastico, economico e sociale. Le principali fonti di finanziamento che supportano queste attività sono:
     i fondi gestiti dalla direzione generale dell'immigrazione e delle politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
     il Fondo europeo per l'integrazione dei cittadini di Paesi terzi (FEI) 2007-2013;
     i fondi che finanziano il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR);
     il Fondo europeo per l'asilo (FER) 2008-2013;
     le risorse messe a disposizione dal PON «Sicurezza Sud 2007-2013 per la promozione di progetti di inclusione sociale dei migranti»;
    a questi si aggiungono, per il periodo 2011-2012, gli stanziamenti predisposti per la cosiddetta «Emergenza Nord-Africa», dichiarata il 12 febbraio 2011 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in seguito alla ripresa (dopo circa due anni di sbarramento delle rotte del mare, conseguenza degli accordi italo-libici) degli arrivi di cittadini migranti provenienti dai Paesi coinvolti dalle cosiddette «primavere arabe». Se non venissero stanziati per i profughi, i fondi europei verrebbero a mancare, e verrebbero meno anche cospicue entrate per ampie categorie di imprese italiane;
    il disegno di legge di bilancio per il 2017, annunciato come una manovra «sociale», riserva alle politiche sociali sette miliardi in tre anni, di cui un miliardo e novecento milioni (lo 0,110 per cento del Prodotto interno lordo) già nel 2017 sono impegnati solo per l'intervento sulle pensioni (senza riuscire a impedire che una parte degli interessati rimarrà in condizioni di povertà, mentre altri beneficeranno di trattamenti assistenziali senza averne bisogno), mentre alle famiglie con figli sarà destinato l'importo irrisorio di seicento milioni di euro in tutto (lo 0,042 per cento del Prodotto interno lordo), da suddividere ulteriormente tra vari bonus, come voucher per pagare il nido, escludendo le disoccupate o le inoccupate che hanno smesso di cercare lavoro (quindi in prevalenza donne del Meridione) e che sono quelle che ne avrebbero altrettanto bisogno per essere supportate nella ricerca di un impiego, o risorse aggiuntive per chi ha figli fino a 3 anni, ignorando l'evidenza che più i figli crescono maggiori sono i costi da affrontare. Una sproporzione nella distribuzione delle risorse tra chi ha già smesso di lavorare e chi è in età da lavoro, sui giovani, sulle donne e sui capofamiglia;
    come affermato da Chiara Saraceno, sociologa della famiglia e da 30 anni studiosa della povertà, «Questo governo ha accentuato gli aspetti di frammentazione, individualistici, la separazione in categorie. E non ha realizzato una politica coerente. Esattamente quello che viene rimproverato al sistema di welfare italiano a livello internazionale»;
    eppure una soluzione che potrebbe contribuire a risolvere i conflitti sociali, ridurrebbe l'intensità della povertà e interverrebbe in modo equo e senza alcuna discriminazione sulle malconce economie familiari italiane c’è già e si chiama reddito minimo garantito. Tutti i Paesi dell'Europa, che dal 1992 chiede ai membri di introdurlo, tranne Italia e Grecia, hanno adottato da tempo forme di reddito minimo garantito per consentire ai loro cittadini più deboli di vivere una vita dignitosa: i disoccupati che non trovano un nuovo impiego, ma anche chi non riesce a riemergere dallo stato di bisogno nonostante abbia un lavoro,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per stanziare, nel prossimo disegno di legge di bilancio, ulteriori risorse volte a sostenere l'economia e la ripresa economica di tutti i nuclei familiari residenti nel territorio italiano in difficoltà, senza introdurre elementi di discriminazione;
2) ad assumere iniziative per prevedere forme di sostegno e di aiuto finanziario alle donne con o senza figli, alle donne disoccupate e ai giovani senza occupazione alla ricerca di un primo impiego;
3) a prevedere in tempi brevi, un'iniziativa normativa sul reddito minimo garantito, come richiesto dall'Unione europea, coerente con le forme già adottate dagli altri Paesi membri.
(1-01405)
«Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».
(25 ottobre 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la crescita in Italia è tornata positiva nel 2014, ha accelerato nel 2015 e si sta rafforzando nel 2016: le revisioni al rialzo recentemente operate dall'Istat sui dati annuali del prodotto interno lordo 2014 e 2015 hanno determinato a consuntivo un'evoluzione dell'economia italiana più positiva di quanto rilevato, non solo in termini di prodotto ma ancor più in termini di occupazione (588.000 occupati in più ad agosto 2016 rispetto a febbraio 2014);
    il ritmo della ripresa, tuttavia, è rallentato dalla durezza della doppia e profonda recessione che ha caratterizzato il periodo 2009-2013 e ulteriori ostacoli sono rappresentati dal peggioramento delle prospettive di crescita a livello internazionale, che rispetto alle attese risultano modeste, diseguali e caratterizzate da significativi rischi al ribasso;
    in particolare, l'Eurozona appare esposta al rischio di prolungata bassa crescita più di altre regioni nonostante le politiche monetarie non convenzionali e fortemente espansive messe in atto dalla Banca centrale europea, anche a causa del più avanzato invecchiamento demografico, del ridotto tasso di innovazione, dell'incertezza sulla governance dell'area, di persistenti squilibri macroeconomici, che si associano a tassi di interesse e d'inflazione su livelli storicamente assai contenuti e prossimi allo zero, tutti fattori che stanno rallentando il processo di recupero dei livelli di prodotto nazionale pre-crisi;
    è di tutta evidenza come, una fase negativa di tali dimensioni e durata abbia profondamente inciso su contesto sociale del Paese, aggravando la condizione delle fasce sociali già più deboli e delle aree territoriali economicamente meno dinamiche, che storicamente già scontavano un gap infrastrutturale e del tessuto produttivo;
    il Governo, fin dal suo insediamento, ha caratterizzato la sua azione con una strategia orientata al rilancio degli investimenti, pubblici e privati e, in modo particolare, al sostegno dei consumi interni, attraverso l'aumento del reddito disponibile delle famiglie e la riduzione della pressione fiscale, scesa dal 43,6 del 2013 al 42,1 del 2016 (al netto del bonus degli 80 euro), fattori chiave assieme all'ambizioso programma pluriennale di riforme strutturali, che sta contribuendo a migliorare la competitività del sistema;
    il Governo, in questi anni per far fronte alla crisi e per arginare il rischio povertà che riguarda circa un terzo della popolazione, e che, ad eccezione del 2014, negli ultimi anni ha registrato una costante crescita ha messo in campo una serie di provvedimenti volti al sostegno del reddito e dell'inclusione sociale delle fasce più deboli della popolazione, alla conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia, alla condivisione delle responsabilità genitoriali, al contrasto della povertà estrema in particolare di quella infantile;
    in particolare, la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) ha previsto una serie di interventi per il contrasto alla povertà mediante l'istituzione di un fondo strutturale con una dotazione di 600 milioni di euro per l'anno 2016 e di 1.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017 e l'adozione di uno o più provvedimenti di riordino della normativa in materia di strumenti e trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a beneficiari residenti all'estero, finalizzati all'introduzione di un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta;
    inoltre, con il decreto interministeriale del 26 maggio 2016 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 18 luglio 2016) il sostegno per l'inclusione attiva, sussidi economico che comprende una componente di servizi alla persona destinato ai nuclei familiari con figli minori o disabili, o donne in stato di gravidanza in situazione di difficoltà e già sperimentato nelle città più grandi del Paese, è stato completamente ridisegnato ed esteso a tutto il territorio nazionale. La misura, attiva dal 2 settembre 2016, è finanziata con 750 milioni di euro per l'anno in corso. Ed ancora, la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) ha previsto il « bonus bebé» pari a 960 euro annuo per ogni figlio nato o adottate dal 1o gennaio 2015 al 31 dicembre 2017 raddoppiato in caso di Isee sotto i 7.000 euro; la concessione di buoni per l'acquisto di beni e servizi a favore dei nuclei familiari con quattro o più figli, la carta famiglia volta all'accesso a beni e servizi a tariffe scontate; ha prorogato per il 2016 i voucher per la fruizione di servizi di baby sitting per la madre lavoratrice, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, ovvero, un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da utilizzare negli undici mesi successivi al congedo obbligatorio, per un massimo di sei mesi; è stato costantemente finanziato il fondo per le non autosufficienze;
    parimenti, sul fronte occupazionale, l'azione del Governo si è caratterizzata attraverso una coraggiosa rivisitazione dei principali istituti lavoristici, affiancando ad una profonda revisione delle tipologie contrattuali, con l'eliminazione delle forme più precarizzanti, alla maggiore equità sociale tramite l'universalizzazione degli strumenti di sostegno al reddito per chi è disoccupato (ampliamento della base dei beneficiari della «Naspi», semplificazione dell'accesso alla «Discoll», assegno di disoccupazione involontaria (ASDI), una volta conclusa la «NASPI», per i soggetti più svantaggiati), al ridisegno delle politiche attive per il lavoro, attraverso l'istituzione dell'Agenzia nazionale, in coordinamento con i servizi per l'impiego operanti sul territorio, e la stipula dei patti di servizio personalizzato, un significativo impegno finanziario finalizzato al rilancio dell'occupazione stabile, attraverso la decontribuzione per le nuove assunzioni;
    il complesso delle misure portate avanti dal Governo per ridurre il divario sociale e per rilanciare l'economia del Paese è stato affrontato, in chiave anticiclica, pur nel rispetto dei vincoli di bilancio e dei parametri di stabilità europei e nonostante si sia dovuta affrontare, spesso senza il dovuto sostegno internazionale, la sfida dei flussi migratori dai teatri di guerra, sempre più virulenti, e dalle aree più arretrate del mondo;
    sotto la spinta determinante dell'Italia, anche memore del proprio passato migratorio, l'Europa ha accettato la dimensione duratura, e chiaramente sovra-nazionale, dei flussi migratori in atto, e la conseguente necessità di trovare una soluzione unitaria che, nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali e della normativa europea, consenta di dare una risposta adeguata all'arrivo sul suolo dei Paesi europei di un numero elevato di richiedenti protezione internazionale;
    tuttavia, nonostante la predisposizione della cosiddetta «Agenda Juncker», l'Europa non è riuscita fino ad oggi a gestire il fenomeno in maniera unitaria e solidale, in coerenza con il principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità fra gli Stati membri (ai sensi dell'articolo 80 del Trattato di Lisbona), sotto la spinta «egoistica» dei Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), lasciando il nostro Paese e la Grecia a dover farsi carico del salvataggio e dell'accoglienza di flussi crescenti di migranti;
    un tale sforzo deve fare i conti con la mancanza di risultati concreti nell'attuazione delle strategie europee in tema di migrazione: la riforma del regolamento «Dublino III», in favore di un sistema europeo di gestione delle domande di asilo, più volte annunciata dall'Esecutivo comunitario, è ferma ai tavoli di un negoziato che stenta a partire; sono falliti i programmi comunitari già adottati, come la relocation dei rifugiati (dei 160 mila previsti dall'impegno del 2015 da trasferire in due anni, è stato ricollocato appena il 3,5 per cento da Italia e Grecia) per la persistente opposizione dei Paesi del gruppo di Visegrad e di Paesi che progressivamente alzano muri e sospendono l'accordo di libera circolazione di Schengen; è ancora non applicata la proposta italiana del Migration compact per la quale non sono state ancora impegnate risorse europee atte a far decollare gli accordi con i Paesi africani di maggiore flusso e transito;
    su tali temi strategici, alcuni primi segnali positivi emergono dal documento conclusivo della prima sessione di lavori del Consiglio europeo del 20-21 ottobre, segnali a cui dovranno corrispondere atti concreti;
    al 24 ottobre di quest'anno, il numero dei migranti sbarcati in Italia si è attestato a 153.450, contro i 139.712 del 2015 e i 152.100 del 2014, a dimostrazione della natura ormai strutturale del fenomeno migratorio negli ultimi anni, ma che in questi ultimi mesi e settimane ha visto una vera e propria impennata che rischia di mettere in difficoltà la macchina dell'accoglienza e che richiede una risposta solidale dell'intera Europa;
    come ricordato anche dal capo dipartimento delle libertà civili del Ministero dell'interno, in occasione della recente audizione al comitato Schengen, l'Unione europea impone un monitoraggio costante e ossessivo dei flussi di immigrazione, ma poi non rispetta i patti, poiché ad oggi solo 1.318 ricollocamenti sono stati fatti, poiché le richieste di disponibilità di posti avanzate dall'Italia non trovano risposta. La Spagna ne ha dati 13, la Germania che ne aveva promessi 500 al mese ne ha accolti 20;
    come evidenziato, sempre nella stessa audizione, non tutti i comuni si sono impegnati nell'accoglienza; infatti solo 2.600 su 8 mila hanno dato la loro disponibilità creando grande disomogeneità, con aggregazioni imponenti e l'esclusione di un numero importante di centri abitati. Anche l'ultimo rapporto Caritas pubblicato in occasione della Giornata internazionale contro la povertà ha evidenziato come «L'obiettivo di una redistribuzione più equa a livello nazionale non appare al momento implementabile, soprattutto in quelle regioni che non intendono in alcun modo accogliere nuovi migranti, pur avendo numeri molto al di sotto di quelli registrati in altre regioni». E l'attuale situazione, anche se migliore rispetto all'anno scorso, «è frutto anche della reticenza ad accogliere da parte di moltissimi comuni (circa il 75 per cento) che oggi sul proprio territorio non hanno nemmeno un centro»;
    dall'ultimo rapporto annuale 2015 del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati Sprar, si evince, infatti, come sia fondamentale il ruolo degli enti locali come protagonisti del sistema pubblico di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Sono 29.761 le persone accolte nello Sprar nel 2015. I progetti hanno messo a disposizione 21.613 posti di accoglienza con una rete di 376 enti locali titolari di progetto (339 comuni, 29 province e 8 unioni di comuni) per circa 800 comuni coinvolti nell'accoglienza. Oltre il 40 per cento delle presenze si è registrato nel Lazio (22,4 per cento del totale nazionale con 2.500 posti su Roma) e in Sicilia (20,1 per cento), seguite da Puglia (9,4 per cento) e Calabria (8,9 per cento). Il numero di minori stranieri non accompagnati accolti nei progetti dello Sprar sono stati 1.640 su una rete attiva di 977 posti. I progetti Sprar hanno erogato complessivamente 259.965 servizi. Tali servizi riguardano principalmente l'assistenza sanitaria (20,7 per cento), la formazione (16,6 per cento), le attività multiculturali (15 per cento), l'alloggio (14,9 per cento), l'istruzione/formazione (10,9 per cento) e l'inserimento scolastico dei minori (9,5 per cento). L'assistenza sanitaria rimane stabilmente la prima prestazione necessaria, ma il 2015 vede un peso più rilevante delle attività volte all'inserimento socio-lavorativo, mentre negli anni precedenti rivestivano maggiore peso i servizi riconducibili alle prime fasi di presa in carico dei beneficiari;
    la netta predominanza di strutture a carattere straordinario, rispetto al sistema ordinario dello Sprar, sta mettendo in difficoltà la tenuta complessiva del sistema e solo una tutela reale dei comuni aderenti allo Sprar con garanzie certe può incentivare le amministrazioni ad aderire;
    tuttavia, a fronte dell'immane sforzo che il nostro Paese affronta per la gestione del fenomeno migratorio, non può essere sottaciuto che la presenza e l'integrazione degli stranieri rappresenta allo stesso tempo anche un forte elemento di dinamicità ed opportunità di crescita economica;
    come dimostrato dal «Rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione», predisposto dalla Fondazione Leone Moressa, con il patrocinio dell'Organizzazione internazionale per la migrazione e il Ministero degli affari esteri e la cooperazione internazionale, l'apporto economico al Paese del lavoro degli stranieri si traduce in quasi 11 miliardi di contributi previdenziali pagati ogni anno, in 7 miliardi di euro di Irpef versata, in oltre 550 mila imprese straniere che producono ogni anno 96 miliardi di valore aggiunto, mentre la spesa destinata agli immigrati è invece pari al 2 per cento della spesa pubblica italiana, ovvero 15 miliardi di euro,

impegna il Governo:

1) a proseguire nel rafforzamento degli strumenti di contrasto della povertà e del disagio sociale, a cominciare dal prossimo disegno di legge di bilancio, favorendo, per quanto di propria competenza, una rapida conclusione dell’iter parlamentare dell'esame del disegno di legge di delega che introduce il reddito minimo come misura nazionale fondata sull'inclusione attiva;
2) a valutare l'opportunità di predisporre interventi di incentivazione, anche finanziaria, nei confronti delle amministrazioni comunali che aderiscono al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati;
3) a valutare la possibilità di sperimentare, d'intesa con le amministrazioni comunali interessate, nuove forme di gestione dei servizi di accoglienza ed assistenza che vedano un maggiore coinvolgimento e la partecipazione più attiva dei migranti stessi;
4) a rafforzare il sistema degli ammortizzatori sociali a favore dei lavoratori coinvolti in crisi aziendali nei settori e nei territori maggiormente colpiti dalla crisi economica;
5) a potenziare, con adeguate risorse, gli interventi a favore delle politiche attive di ricollocamento e a favore dei centri per l'impiego, al fine di renderli sempre più efficaci nell'azione di sostegno ai disoccupati nella ricerca di occupazione.
(1-01406)
«Carnevali, Binetti, Monchiero, Beni, Burtone, Chaouki, Gadda, Gelli, Giuseppe Guerini, Moretto, Patriarca, Gnecchi, Fiano, Cinzia Maria Fontana».
(25 ottobre 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica che dal 2008 affligge gran parte dell'economia mondiale ha colpito in modo particolarmente duro la nostra Nazione che arranca in una lenta e debolissima ripresa;
    i dati sulla disoccupazione, ripuliti degli effetti «dopati» delle politiche una tantum di sostegno all'occupazione varate dal Governo, continuano ad essere drammatici, il prodotto interno lordo è lontano dalle ottimistiche previsioni dell'Esecutivo, mentre le grandi imprese puntano sempre più sulla delocalizzazione per tagliare i costi di produzione, determinando un ulteriore aumentò della disoccupazione;
    l'eccessiva tassazione che grava su famiglie e imprese, infatti, mentre spinge le seconde a produrre all'estero, impoverisce le prime, creando il pericoloso vortice di indebitamento eccessivo e disperazione che sta martoriando le fasce sociali più deboli;
    nel luglio 2016 ha lanciato l'allarme sul numero di italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta, arrivato a quattro milioni e 598 mila persone, evidenziando che il peggioramento registrato nell'ultimo anno è dovuto principalmente all'aumento della condizione di povertà assoluta tra le famiglie con quattro componenti (da 6,7 del 2014 a 9,5 per cento) e soprattutto delle coppie con due figli (da 5,9 a 8,6 per cento), e alla crescente diffusione del fenomeno anche nelle regioni settentrionali;
    su queste famiglie grava anche l'impossibilità di fruire di servizi pubblici essenziali quali gli asili nido e le scuole, la disponibilità di abitazioni a canone sociale, o l'assistenza sanitaria, a causa del fatto che nelle graduatorie sono sistematicamente superati da cittadini stranieri;
    il progressivo indebitamento di famiglie e imprese non è bilanciato da una maggiore disponibilità all'erogazione del credito da parte degli istituti bancari, i quali, anzi, nonostante le immissioni di liquidità a basso costo da parte della Banca centrale europea, applicano criteri sempre più restrittivi nell'accesso a mutui e prestiti;
    è notizia di questi giorni che secondo uno studio realizzato dalla Cgia sui contribuenti italiani fedeli al fisco grava una pressione fiscale «reale» che per l'anno in corso si attesta al 49 per cento, superiore di oltre sei punti a quella ufficiale e «del tutto ingiustificato rispetto alla qualità e alla quantità dei servizi pubblici erogati»;
    gli enti locali si trovano in crescente difficoltà, stretti tra gli onerosi trasferimenti in favore dell'amministrazione centrale dello Stato cui si trovano costretti ad adempiere e il tentativo di mantenere l'erogazione dei servizi pubblici essenziali in favore dei propri cittadini vessati dalla perdurante crisi economica;
    in questo desolante quadro si inserisce la questione relativa all'accoglienza dei migranti, che grava pesantemente proprio sugli enti locali, lasciati soli ad affrontare le conseguenze economiche e sociali di una immigrazione incontrollata;
    in base ai dati riportati nel documento programmatico di bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze la spesa per affrontare l'emergenza immigrati nel 2015 è triplicata rispetto alla media 2011-2013, passando da 1,3 miliardi a 3,3 miliardi di euro, a fronte di contributi europei che si sono fermati a 120 milioni di euro, e per il 2016 si prevede che la spesa complessiva arriverà a circa quattro miliardi;
    di questa spesa la quota più significativa riguarda le strutture di accoglienza, che ne assorbono oltre la meta, con un aumento superiore al dieci per cento negli ultimi due anni, mentre resta stabile la spesa per i soccorsi in mare che si attesta su «appena» un quarto del totale, un miliardo di euro l'anno;
    secondo i dati forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze la spesa pro capite nelle strutture di accoglienza è pari a 32,5 euro al giorno, i costi per i richiedenti asilo e rifugiati ammontano a 35 euro giornalieri, mentre i minori hanno un costo medio di 45 euro al giorno;
    se si moltiplicano queste somme per i numeri della cosiddetta accoglienza, nella quale il solo sistema di protezione per i rifugiati e richiedenti asilo copre più di ventiseimila persone, senza contare tutti gli altri ospitati nelle diverse strutture, e gli oltre diecimila minori non accompagnati, è facile comprendere la qualità e la quantità delle ripercussioni che si abbattono su settori come alloggi o scuole;
    in base ai dati diffusi dall'Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati, nei primi nove mesi di quest'anno sono arrivati irregolarmente in Italia 131.702 nuovi migranti;
    il fallimento del piano di ricollocamento dei migranti, deliberato in sede europea ma che dall'inizio ha dimostrato tutti i suoi limiti con i numerosi Stati che si sono avvalsi della clausola cosiddetta opt out per non doverli accogliere, condanna l'Italia, e in particolar modo le sue articolazioni territoriali, a gestire quotidianamente centinaia di migliaia di persone e il conseguente rilevantissimo impatto economico e sociale;
    una gestione nazionale del fenomeno migratorio che sia responsabile non può prescindere, dalla tutela in primissimo luogo delle proprie comunità locali,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per ridestinare parte delle risorse attualmente destinate alla gestione del fenomeno migratorio in favore degli enti locali;
2) a individuare un limite massimo e inderogabile di spesa complessiva da destinare all'accoglienza dei migranti irregolari che giungono sulle coste italiane;
3) ad assumere iniziative per prevedere la concessione di sgravi fiscali in favore dei soggetti residenti nei comuni che ospitano centri di accoglienza di qualunque natura per migranti;
4) a promuovere le modifiche normative necessarie affinché le cooperative e tutti gli enti gestori incaricati dell'accoglienza e dell'assistenza dei migranti soggiacciano ad un obbligo di dettagliata rendicontazione delle spese;
5) a promuovere la chiusura di tutti i centri di accoglienza che ospitano più di cinquanta persone;
6) ad assumere iniziative per prevedere la concessione di un bonus finanziario in favore dei comuni che promuovono interventi concreti di sostegno alle famiglie e di incentivo alla natalità, di assistenza alle persone con disabilità e agli anziani, e di lotta contro la povertà;
7) ad assumere le iniziative necessarie, per quanto di competenza, affinché l'effettiva residenza in un comune costituisca titolo preferenziale nell'accesso ai servizi pubblici sociali dallo stesso erogati;
8) adottare iniziative in sede europea per un aumento delle risorse stanziate in favore dell'Italia per la gestione del fenomeno migratorio;
9) ad assumere iniziative in ambito europeo per una gestione realmente condivisa dell'emergenza immigrazione al fine di ridurre l'impatto sull'Italia.
(1-01409)
«Rampelli, Cirielli, Maietta, Petrenga, Taglialatela, Giorgia Meloni, La Russa, Nastri, Rizzetto, Totaro».
(25 ottobre 2016)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   FEDRIGA, MOLTENI, GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la prefettura di Verona, con un provvedimento di «pubblica utilità», ha requisito con proprio decreto dal 30 ottobre 2016 al 31 gennaio 2017 l'Hotel Cristallo al fine di alloggiarvi immigrati richiedenti protezione internazionale;
   secondo quanto dichiarato da Antonello Panuccio, sindaco di Castel d'Azzano, il comune interessato, sembra che tale decisione sia stata presa dalla prefettura senza avvisare o consultare il comune e che non sia stata addirittura concordata neanche con la proprietà dell'immobile;
   il sindaco, infatti, sembra ne sia venuto a conoscenza solo con il ricevimento del decreto di requisizione, poiché fino ad allora ne era del tutto all'oscuro;
   non è ancora noto quanti saranno gli immigrati assegnati dalla prefettura alla predetta struttura alberghiera, anche se pare potrebbero essere più di 200;
   non è peraltro ancora nota la nazionalità degli immigrati che verranno ospitati nell'Hotel Cristallo, né e se abbiano presentato domanda di protezione;
   l'Hotel Cristallo consta di 93 camere e si trova alle porte del paese, a poca distanza da Verona e ad appena cinque minuti di macchina dalla Fiera ed infatti, per i giorni di Fieracavalli, la più importante manifestazione del settore in programma dal 10 al 13 novembre 2016, sembra ci fossero state già delle prenotazioni;
   ovviamente tale forzatura della prefettura ha suscitato da subito le legittime e numerose proteste anche della cittadinanza;
   è del tutto incomprensibile, a parere degli interroganti, in base a quali disposizioni normative la prefettura abbia provveduto a requisire l'Hotel Cristallo nel comune di Castel d'Azzano, ovvero le ragioni per le quali non abbia provveduto, ai sensi dell'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo n. 142 del 2015, ad informarne preventivamente il sindaco, al fine di concordare e valutare l'opportunità della scelta con lo stesso e con la cittadinanza;
   è notizia di ieri quella della requisizione di un'altra struttura, l'ostello di Gorino, da parte del prefetto di Ferrara, per destinarla sempre all'accoglienza di profughi –:
   se e quali urgenti provvedimenti di competenza intenda adottare contro la requisizione delle strutture citate in premessa e se tali requisizioni siano state decise in raccordo con il Ministero dell'interno, considerati i pesanti effetti delle stesse sulla proprietà privata. (3-02577)
(25 ottobre 2016)

   TAGLIALATELA, CIRIELLI, MAIETTA, NASTRI, RIZZETTO, RAMPELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, PETRENGA e TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) è la bad bank utilizzata nel 1997 nell'ambito dell'operazione di salvataggio del Banco di Napoli, alla quale al momento del fallimento di una delle più antiche istituzioni creditizie d'Italia furono trasferite le sofferenze bancarie con lo scopo di recuperare i rispettivi crediti;
   negli anni la Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) ha accumulato riserve di utili per alcune centinaia di milioni di euro, formatesi grazie proprio all'attività di recupero e gestione dei crediti deteriorati, tanto che al 31 dicembre 2014 aveva 484 milioni di euro tra cassa e disponibilità liquide, più altri 238 milioni di euro alla voce crediti;
   con il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante «Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione», è stato disposto il passaggio del pacchetto azionario della Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) al Ministero dell'economia e delle finanze;
   in esito alle recenti deliberazioni adottate dal consiglio di amministrazione e dall'assemblea della Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga), ad oggi la società risulta essere il primo azionista del fondo Atlante 2, il nuovo veicolo ideato per sostenere i salvataggi delle banche italiane e, in particolare, l'imminente intervento in favore del Monte dei Paschi di Siena, di cui sottoscriverà una quota pari a 450 milioni di euro;
   il Banco di Napoli era il più grande istituto bancario del Mezzogiorno ed è evidente che le risorse recuperate dalla Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) originano per la maggior parte proprio da quei territori –:
   se non ritenga di assumere le iniziative di competenza volte a rivedere la decisione di trasferire le risorse della Società per la gestione di attività s.p.a. (Sga) al fondo Atlante 2, destinandole in favore di interventi per lo sviluppo economico e culturale delle regioni meridionali.
(3-02578)
(25 ottobre 2016)

  SANDRA SAVINO, MILANATO, ALBERTO GIORGETTI e RUSSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in alcune regioni del Nord si registra una situazione di emergenza dovuta all'invasione di cimici asiatiche, insetto particolarmente infestante, il cui nome scientifico è halyomorpha halys, proveniente da Cina, Giappone, Taiwan e Corea;
   la cimice asiatica è un insetto polifago, attacca qualsiasi tipo di raccolto tra luglio e settembre e, non avendo antagonisti naturali nel territorio, si moltiplica velocemente deponendo le uova anche due volte l'anno; inoltre, da adulto è in grado di volare per lunghe distanze alla ricerca del cibo e sverna come adulto in edifici o in cassette e anfratti riparati;
   a questi fattori si aggiunge la temperatura di questo autunno, particolarmente caldo, che favorisce la loro diffusione e sopravvivenza; questi insetti non resistono ad una temperatura inferiore ai 10 gradi;
   con l'abbassarsi della temperatura si avvicina alle case alla ricerca del caldo, determinando grandi disagi alla popolazione che è costretta a tenere porte e finestre chiuse per evitare di ritrovarsi i muri delle case ricoperti di milioni di esemplari di queste cimici;
   le cimici, come già successo con le cosiddette zanzare tigri, sono giunte in Italia seguendo le rotte commerciali, in imballaggi di cartone o contenitori di legno, o attraverso i trasporti passeggeri;
   questi insetti costituiscono un grave pericolo per la tenuta del tessuto agricolo locale, sia per la frutticoltura che per l'orticoltura, ma non rappresenterebbe direttamente un pericolo per la salute degli esseri umani e degli animali;
   le prime segnalazioni delle cimici asiatiche sono state raccolte qualche anno fa, nel 2012, in Emilia-Romagna, ma in questi giorni il fenomeno ha raggiunto dimensioni estremamente preoccupanti, soprattutto nelle campagne di Friuli Venezia Giulia e Veneto;
   la cimice asiatica rappresenta soltanto l'ultimo in ordine temporale dei parassiti inediti arrivati in Italia: dalla popillia japonica alla drosophila suzukii, dal dryocosmus kuriphilus alla xylella sono solo alcuni esempi di nuove specie che hanno provocato danni all'agricoltura nazionale per cifre molto ingenti –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di arginare la situazione di emergenza determinata dall'invasione della cimice asiatica, per tutelare i cittadini e salvaguardare l'economia del settore ortofrutticolo delle zone interessate ed evitare che anche in questo caso ci si trovi ad affrontare situazioni estreme, come già successo nel caso di altri parassiti infestanti giunti da oltre confine. (3-02579)
(25 ottobre 2016)

   BUENO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208), all'articolo 1, commi da 621 a 623, ha previsto alcuni interventi mirati ad incrementare la tariffa dei diritti consolari e ha disposto alcune autorizzazioni di spesa per le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari;
   da tempo si sente l'esigenza, manifestata da più parti, di modificare i criteri di gestione finanziaria degli uffici italiani all'estero, prevedendo la possibilità che la riscossione dei diritti consolari possa confluire direttamente in fondi di gestione presso le singole sedi diplomatico-consolari in modo da poter essere reinvestite nelle stesse. Pertanto, in molte occasioni, si è cercato, con specifiche proposte emendative, di creare un fondo speciale presso le rappresentanze diplomatiche e consolari al quale destinare le risorse derivanti dai diritti consolari riscossi, purtroppo senza esito positivo;
   tali fondi potrebbero finanziare direttamente molte delle attività degli istituti diplomatico-consolari, dal personale, gravato dalla mole di lavoro arretrato, agli immobili che necessitano di manutenzione, alle attività di assistenza alle comunità di italiani ivi residenti;
   il comma 622 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016 ha parzialmente recepito l'obiettivo degli emendamenti presentati negli ultimi anni dall'interrogante, destinando due milioni di euro per l'anno 2016 alle rappresentanze diplomatiche ed agli uffici consolari per specifiche tipologie d'intervento;
   in particolare, il comma 622 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016 ha disposto che i due milioni di euro dovessero essere stanziati per la manutenzione degli immobili, per le attività di istituto, su iniziativa della rappresentanza diplomatica o dell'ufficio consolare interessati, e per l'assistenza alle comunità di italiani residenti nella circoscrizione consolare di riferimento;
   vista l'importanza di questo stanziamento che rappresenta un primo passo nella direzione da tempo auspicata, si spera che venga confermato da ulteriori interventi normativi –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire dettagli sull'attuazione del comma 622 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016, chiarendo quali siano stati i criteri di ripartizione e, di conseguenza, i destinatari dei fondi stanziati per il 2016 tra le varie rappresentanze diplomatiche.
(3-02580)
(25 ottobre 2016)

   PALAZZOTTO, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 18 ottobre 2016 è stata approvata dal comitato esecutivo dell'Unesco, con l'astensione dell'Italia, una risoluzione incentrata sulle restrizioni imposte dallo Stato di Israele sulla Spianata delle moschee e sulla città vecchia di Gerusalemme;
   le restrizioni imposte al libero accesso alla moschea – formalmente gestita dalla Giordania, ma di fatto gestita da Israele – e nella città vecchia di Gerusalemme rappresentano il simbolo dei soprusi che il popolo palestinese subisce dalle autorità israeliane;
   le ulteriori restrizioni decise da Israele a ottobre del 2015, così come i danneggiamenti provocati ai siti dichiarati patrimonio dell'umanità dall'Unesco e il moltiplicarsi degli insediamenti illegali dei coloni in Cisgiordania e Gerusalemme Est, non fanno altro che aumentare la tensione e sono alla base della nuova ondata di violenze esplose in Israele e nei Territori occupati palestinesi nell'ultimo periodo;
   in data 20 ottobre 2016, mentre si trovava a Bruxelles per il Consiglio europeo, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, rilasciava una intervista a Rtl in cui dichiarava in merito: «È una vicenda allucinante, ho chiesto al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale di vederci subito al mio ritorno a Roma. È incomprensibile, inaccettabile e sbagliato. Ho chiesto espressamente ieri ai nostri di smetterla con queste posizioni. Non si può continuare con queste mozioni finalizzate ad attaccare Israele e se c’è da rompere su questo l'unità europea, che si rompa pure»;
   ad opinione degli interroganti ad essere «allucinanti, incomprensibili e inaccettabili» sono le parole del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale critica la risoluzione dell'Unesco e minaccia finanche l'unità europea, ma non trova mai le parole per criticare le continue violazioni dei diritti umani da parte del Governo di Israele nei confronti del popolo palestinese;
   le parole del Presidente del Consiglio dei ministri sembrerebbero contraddire la posizione storicamente espressa dal nostro Paese in tutti i consessi internazionali, quindi non è chiaro se il nostro Paese sia ancora equidistante tra le parti;
   mentre si moltiplicano gli insediamenti illegali di Israele è quanto mai necessario riconoscere formalmente lo Stato di Palestina, anche alla luce della mozione n. 1-00745 approvata il 27 febbraio 2015 alla Camera dei deputati –:
   se non intenda il Ministro interrogato chiarire la posizione italiana in merito alla questione palestinese e al conflitto arabo-israeliano, specificando come intenda dare attuazione alle mozioni approvate in Parlamento il 27 febbraio 2015, che impegnano il Governo a promuovere il riconoscimento dello Stato di Palestina come impulso alla ripresa dei negoziati di pace.
(3-02581)
(25 ottobre 2016)

   PARISI, SOTTANELLI e RABINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2016 l'Unesco ha inserito nell'elenco degli atti da discutere una risoluzione, presentata da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan e sostenuta dall'Autorità palestinese, finalizzata a «tutelare il patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est»;
   la presentazione dell'atto ha da subito sollevato vivaci polemiche nel contesto internazionale poiché nei fatti nega il legame simbolico tra l'ebraismo e il Monte del Tempio e il Muro del Pianto, individuando un legame pressoché esclusivo tra il patrimonio culturale di Gerusalemme Est e l'Islam, tanto da indicare i luoghi santi della Città Vecchia con la sola denominazione araba;
   il 13 ottobre 2016, dopo uno slittamento di alcuni mesi dovuto alle tensioni in Medio Oriente e Turchia, il consiglio esecutivo dell'Unesco ha approvato la risoluzione con il voto favorevole di 26 Paesi a fronte di sei voti contrari e ventisei astensioni. Tra i 26 rappresentanti che hanno espresso voto favorevole risulta esserci un solo Paese europeo, la Russia. Usa, Gran Bretagna, Germania, Estonia, Lituania e Paesi Bassi hanno respinto l'atto, mentre tra i componenti del consiglio esecutivo astenutisi c’è anche la rappresentante italiana Vincenza Lomonaco;
   il 18 ottobre 2016, senza necessità di una seconda votazione, la risoluzione è stata definitivamente adottata dall'Unesco. A seguito della decisione il capo del consiglio esecutivo Michael Worbs, rappresentante della Germania, e la direttrice generale dell'agenzia Irina Bokova hanno manifestato perplessità e per i tempi della discussione e per i contenuti dell'atto;
   anche in passato l'Unesco ha approvato risoluzioni che nella sostanza disconoscevano il legame tra Gerusalemme e l'ebraismo, causando tensioni e fratture all'interno del consesso e nelle relazioni internazionali;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi ha preso le distanze dalla decisione assunta dal consiglio esecutivo dell'Unesco –:
   cosa intenda fare il Governo presso l'Unesco perché sia riconsiderata la decisione assunta. (3-02582)
(25 ottobre 2016)

   FIANO, QUARTAPELLE PROCOPIO, CARROZZA, CASSANO, CENSORE, CHAOUKI, CIMBRO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA, MANCIULLI, MONACO, NICOLETTI, PINNA, PORTA, RIGONI, ANDREA ROMANO, SERENI, SPERANZA, TACCONI, TIDEI, ZAMPA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 18 ottobre 2016 il consiglio esecutivo dell'Unesco ha approvato a maggioranza il rinnovo di una risoluzione che mira «alla salvaguardia del patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est»;
   tale documento fa anche riferimento ai luoghi sacri sulla collina della Città Vecchia di Gerusalemme senza alcun cenno ai loro legami con la religione ebraica, utilizzando esclusivamente i loro nomi islamici. Ad esempio, il «Muro del Pianto» o «Muro Occidentale», venerato dagli ebrei, è stato descritto con il nome arabo del piazzale circostante, «Al-Buraq», e solo successivamente con l'appellativo «Western Wall». Anche il riferimento al «Monte del Tempio» ebraico è effettuato solo con il termine arabo «Haram Al Sharif»;
   la risoluzione, sostenuta dall'Autorità palestinese e presentata da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan, è stata approvata con 24 voti favorevoli, 6 contrari e 26 astenuti, tra cui l'Italia, in continuità con i precedenti pronunciamenti;
   su tale orientamento si sono pronunciati il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato, evidenziando la necessità di segnare una netta discontinuità di giudizio con quanto espresso nella risoluzione Unesco, in linea con le radici del contesto storico e coerentemente con la storica amicizia con lo Stato di Israele;
   la complessa e delicata ricerca di una pace possibile, secondo la nota formula di «due popoli, due Stati», non può certo prescindere dal riconoscimento della specificità dello Stato di Israele, l'unica democrazia dell'area, e della sua millenaria tradizione e cultura –:
   quale sia stata la linea politica finora seguita dall'Italia e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di favorire un confronto, anche in sede Unesco, rispettoso di tutti i popoli, le culture e le tradizioni religiose che vedono in Gerusalemme le loro radici, i loro luoghi di culto e di identità e della verità storica, utile alla futura approvazione di una nuova risoluzione fedele a questi principi. (3-02583)
(25 ottobre 2016)

   SPADONI, FRUSONE, MANLIO DI STEFANO, RIZZO, DI BATTISTA, BASILIO, SCAGLIUSI, CORDA, GRANDE, PAOLO BERNINI, SIBILIA, TOFALO e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta della trasmissione de Le Iene, andata in onda il 23 ottobre 2016, sulla provenienza delle armi impiegate dall'Arabia Saudita per bombardare lo Yemen, smentisce palesemente le dichiarazioni del Ministro della difesa, Roberta Pinotti, secondo cui le bombe non sarebbero italiane e che transiterebbero solamente su richiesta della Germania;
   tuttavia, sempre da quanto si apprende nel corso della citata trasmissione, in risposta a un'interrogazione parlamentare al Bundestag, il Governo federale tedesco ha affermato di non aver avanzato al Governo italiano alcuna richiesta di autorizzazione al transito verso l'Arabia Saudita di bombe prodotte dalla Rwm Italia;
   le immagini trasmesse evidenziano senza alcun dubbio che i numeri di matricola e codice delle bombe inesplose sono di provenienza italiana (peraltro anche inspiegabilmente identici); inoltre, si evince chiaramente che i caccia sauditi transitano come voli di stato inglesi, nonostante sia presente anche la sigla dell'aviazione militare di Ryad;
   ad oggi non sono stati ancora forniti i dati necessari per sapere quante e quali armi usate dall'Arabia Saudita nei suoi feroci bombardamenti sullo Yemen (che hanno causato oltre 10.000 morti, 30.000 feriti e oltre tre milioni di sfollati interni) siano state prodotte nei due stabilimenti Rwm di Domus Novas e Vicenza;
   il Parlamento europeo ha adottato il 25 febbraio 2016 una risoluzione sullo Yemen, che richiama la necessità di porre fine alla guerra in corso nel pieno rispetto della legge internazionale umanitaria, e un emendamento (votato da 359 voti favorevoli e 212 contrari), che esorta gli Stati dell'Unione europea a sospendere immediatamente tutti i trasferimenti di armi o altre forme di sostegno militare all'Arabia Saudita;
   molte organizzazioni umanitarie e alcune agenzie dell'Onu hanno accusato l'Arabia Saudita di crimini di guerra perpetrati anche con bombe italiane;
   il titolare dell'autorizzazione all'esportazione degli armamenti, in base a quanto previsto dalla legge n. 185 del 1990, è il Ministro interrogato e, a parere degli interroganti, proprio nello spirito del dettato di questa legge, l'Italia non dovrebbe consentire il transito e l'esportazione di armamenti verso l'Arabia Saudita, adeguandosi, in tal modo, anche alla citata risoluzione del Parlamento europeo –:
   se il Governo abbia o meno autorizzato il transito e l'esportazione di armamenti dall'Italia verso l'Arabia Saudita, Paese in evidente stato di conflitto armato.
(3-02584)
(25 ottobre 2016)

   MONCHIERO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'annosa ed irrisolta vicenda dell'autostrada A33, Asti-Cuneo, emblematica delle difficoltà che il Paese incontra nella realizzazione di interventi strutturali, è tornata recentemente alla ribalta della pubblica opinione a seguito di alcune proposte elaborate da Confindustria di Cuneo;
   pensata decenni fa, intrapresa su iniziativa dell'Anas, successivamente affidata ad una società concessionaria compartecipata, con quota di minoranza, dal medesimo ente, l'opera è rimasta incompiuta per la mancata realizzazione di due lotti centrali, 2.5 e 2.6, ed è concretamente inutilizzabile;
   con le conferenze dei servizi, svoltesi il 14 marzo e il 19 aprile 2012, venne concordata tra enti locali, concessionario ed Anas una sostanziale modifica al lotto 2.5, che riduceva sensibilmente il costo dell'opera, ma da allora nessun atto concreto è stato compiuto;
   la mancata realizzazione dell'opera è stata oggetto di reiterati atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante e dell'onorevole Rabino, a cui hanno fatto seguito, da parte dei Ministri interrogati e dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri, ampie rassicurazioni circa la volontà di dare soluzione al complesso problema;
   il protrarsi della sostanziale situazione di stallo ha indotto la sezione cuneese di Confindustria a proporre una revisione del progetto che, eliminando la galleria sotto la collina di Verduno, comporterebbe una sensibile riduzione del costo complessivo dell'opera;
   risulta che tale ipotesi sia stata illustrata dai vertici dell'associazione degli industriali cuneesi direttamente allo stesso Ministro interrogato, alimentando così la speranza di una rapida conclusione dei lavori, ma che non sia stata tradotta in atti conseguenti, non solo, ma che da parte ministeriale sia giunta la controproposta di realizzare il tunnel con una sola canna, ipotesi che a molti pare contraddittoria con la definizione stessa di autostrada;
   onde evitare che queste diverse ipotesi, aldilà delle intenzioni dei proponenti, vengano a rappresentare un ulteriore elemento di confusione, si ritiene indispensabile che l'accordo raggiunto nella citata conferenza dei servizi svoltasi nel 2012 costituisca la base della revisione del contratto a suo tempo stipulato con il concessionario;
   poiché su questo terreno non risulta che negli ultimi mesi siano stati compiuti atti risolutivi, si continua a ritenere ineludibile o la revisione consensuale del contratto o la rescissione del medesimo –:
   quali siano gli orientamenti sulle varie ipotesi di revisione progettuale e quali atti siano stati compiuti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla società concessionaria per giungere al superamento dell'attuale situazione di stallo che si protrae da tempo immemorabile.
(3-02585)
(25 ottobre 2016)

   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 21 settembre 2016 è stato presentato a Milano, dal Presidente del Consiglio dei ministri, il Piano nazionale Industria 4.0;
   all'interno di questo contenitore, con il disegno di legge di bilancio, si strutturerà quella che può diventare – per il nostro Paese – una grande occasione di rilancio dell'economia produttiva, ma anche di modernizzazione delle politiche pubbliche;
   infatti, non si tratta solo di un segnale che va nella direzione della ripresa di una politica industriale, per troppi anni assente dall'orizzonte dei Governi che si sono succeduti. Questi, interamente assorbiti da obiettivi pressanti di contenimento del deficit e di rifinanziamento del debito e incoraggiati in questa direzione dagli indirizzi provenienti da Bruxelles, hanno potuto – e in parte voluto – prestare ben poca attenzione all'economia reale. Oggi il Piano nazionale Industria 4.0 può rappresentare il momento della svolta;
   tuttavia c’è un secondo aspetto, non meno importante: questo piano – superando correttamente l'ottica dei percorsi «settoriali» – può rappresentare il primo esempio di una nuova generazione di interventi pubblici che nascono da una visione d'insieme dell'economia italiana produttiva e colloca l'intervento pubblico sul segmento decisivo dei fattori abilitanti;
   è dunque molto importante, ai fini del successo del Piano nazionale di Industria 4.0, forse decisivo ai fini del pieno conseguimento dei risultati attesi, che la logica settoriale – cacciata dalla porta – non si insinui nuovamente rientrando dalla finestra: il piano non può riguardare solo la manifattura, e neanche la sola industria, ma deve considerare a tutti gli effetti (a partire dalla definizione di dettaglio degli interventi del disegno di legge di bilancio) un settore fondamentale per l'economia produttiva del Paese come quello delle costruzioni, che vale il 10 per cento del prodotto interno lordo, che ha la più fitta rete di interdipendenze settoriali e che è interessato da processi importantissimi di ristrutturazione e di innovazione;
   desta pertanto preoccupazione il fatto che nella presentazione del piano sia stata delineata anche la sua struttura di governance e che di essa non faccia parte il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intrapreso o intenda intraprendere per rimarcare, con azioni concrete, non tanto la propria presenza, quanto quella dell'intero settore delle costruzioni – che ha sempre avuto nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il principale referente governativo – in quello che auspicabilmente diventerà il centro pulsante della nuova politica industriale del Paese.
(3-02586)
(25 ottobre 2016)