TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 677 di Mercoledì 21 settembre 2016

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE AL RICONOSCIMENTO DEL GENOCIDIO DEL POPOLO YAZIDA

   La Camera,
   premesso che:
    nel 2014, quando Daesh prese il sopravvento nella regione al confine tra Siria ed Iraq, circa 600.000 yazidi vivevano per lo più concentrati nel distretto di Sinjar, all'interno del governatorato di Ninive, nel nord dell'Iraq. Si tratta di un'etnia antichissima, linguisticamente di ceppo curdo e la cui identità è definita dalla professione di una fede preislamica, non contemplata dal Corano tra le religioni del Libro;
    proprio in quanto non appartenente ad una delle grandi religioni monoteiste, la storia di questo popolo pacifico è una storia di violenze e massacri, perpetrati durante l'impero ottomano e fino alle guerre irachene del 2003, quando una campagna di bombardamenti da parte di militanti sunniti uccise centinaia di yazidi;
    il rapporto del 2015 dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato la responsabilità di Daesh per il genocidio del popolo yazida davanti alla Corte penale internazionale; e ciò fin dal momento in cui, con l'invasione della piana di Ninive nell'agosto del 2014, la comunità yazida residente è stata posta di fronte alla scelta se convertirsi o essere sterminata;
    in quella fase drammatica il rapporto documenta come il genocidio ebbe inizio con il massacro di almeno 700 uomini uccisi nel villaggio di Kocho a Sinjar e con la cacciata di 200.000 yazidi dalle loro case. Almeno 40.000 yazidi in fuga rimasero intrappolati sul monte Sinjar con davanti l'unica scelta possibile: la morte per disidratazione e il consegnarsi ai boia di Daesh;
    le Nazioni Unite hanno stimato che nel 2015 5.000 yazidi sono stati massacrati e 7.000 donne e ragazze sono state ridotte in schiavitù. Secondo le informazioni riportate, sarebbero diverse migliaia le vittime delle violenze e oltre 3.500 le donne yazide tuttora prigioniere dell'Is;
    le accuse delle Nazioni Unite, oltre al genocidio, includono crimini di guerra verso i civili, bambini inclusi, e crimini contro l'umanità per cui si invoca il Consiglio di sicurezza e si chiede di ricorrere alla Corte penale internazionale perché persegua i responsabili;
    l'intento genocidiario si è reso evidente, oltre che con i massacri documentati dalle fosse comuni di sole vittime yazide, dalla politica di stupro sistematico e riduzione in schiavitù delle donne e ragazze yazide, deportate in massa nei luoghi controllati da Daesh e consegnate a veri e propri mercati di schiavi, dove le ragazze yazide sono state vendute sulla piazza pubblica come schiave per 150 dollari;
    migliaia di donne sono state in questo modo costrette con la forza a contrarre matrimonio con i guerriglieri dell'Isis, vendute o offerte ai combattenti o simpatizzanti. Molte di queste schiave sessuali sono poco più che bambine, ragazze di età compresa tra i 12 e i 15 anni o anche più giovani, divenute oggetti di attenzione sessuale degli islamisti e di violenze di gruppo; alcune non hanno retto all'umiliazione e hanno preferito suicidarsi;
    i bambini yazidi, anche piccolissimi, sono stati rapiti e rivenduti, in un crescendo di violenze sistematiche testimoniato anche in un rapporto di Amnesty international;
    tutto ciò è stato testimoniato dalla ventunenne yazida irachena Nadia Murad Basee Taha, audita di recente dal Comitato permanente per i diritti umani, istituito presso la Commissione affari esteri della Camera dei deputati, che è stata sottratta alla sua famiglia e violentata ripetutamente dai miliziani di Is; fuggita dopo 3 mesi grazie all'aiuto di una famiglia musulmana ha potuto raccontare anche nella sede delle Nazioni Unite e del Parlamento europeo gli scenari di brutali violenze e richiamare l'intera comunità internazionale su quanto sta accadendo;
    il genocidio è, in conformità alla risoluzione n. 260 del 1948, con la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la «Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio», da intendersi come ciascuno degli atti commessi con «l'intenzione di distruggere in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso»;
    le violenze efferate compiute dall'Is in modo mirato nei confronti della minoranza yazida si configurano come atti riconducibili a tale definizione anche in quanto:
     a) a differenza delle «genti del Libro», ebrei e cristiani, che ha o potuto evitare la morte convertendosi all'Islam o pagando la tassa islamica, jizya, o andando in esilio, gli yazidi non hanno avuto nessuna possibilità di scelta, diversa dalla conversione, per sfuggire al massacro sistematico;
     b) i bambini maschi yazidi, rapiti e sottratti alle loro famiglie, sono stati avviati a programmi di educazione militare e di riconversione ideologica al fine di sradicare per sempre l'identità yazida dalla regione;
     c) le donne e le bambine yazide hanno subìto deportazioni di massa finalizzate alla loro riduzione in schiavitù sessuale, a stupri sistematici, alla perdita di identità fino alla induzione al suicidio;
     d) anche i recenti ritrovamenti di oltre cinquanta fosse comuni in alcune zone dell'Iraq, fino a poco tempo fa controllate dall'Isis, hanno confermato la sistematica eliminazione di tribù della minoranza yazida,

impegna il Governo:

a promuovere, anche in coordinamento con i partner dell'Unione europea, nelle competenti sedi internazionali, ogni iniziativa volta al riconoscimento del genocidio della popolazione yazida e ad assicurare ogni sforzo per la sottoposizione dei responsabili alla giurisdizione della Corte penale internazionale.
(1-01291)
(Nuova formulazione) «Locatelli, Malisani, Nicchi, Buttiglione, Fitzgerald Nissoli, Palese, Matteo Bragantini, Tidei, Cimbro, Chaouki, Furnari, Cristian Iannuzzi, Civati, Lo Monte, Pastorelli, Quintarelli, Marzano, Labriola, Franco Bordo, Kronbichler, Pellegrino, Di Lello, Zampa, Binetti, Piccone, Causin, Nicoletti, Roberta Agostini, Carloni, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Romanini, Gribaudo, Iacono, Patrizia Maestri, Quartapelle Procopio, Schirò».
(25 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    dopo la costituzione dello Stato islamico, la popolazione yazida residente al confine tra l'Iraq e la Siria è divenuta oggetto di persecuzioni, abusi e violenze da parte dei guerriglieri dell'Is;
    migliaia di persone sono state costrette a fuggire dalle zone di origine, nei pressi della città di Mosul, per sottrarsi ai massacri e alle torture perpetrate ai loro danni;
    l'applicazione della legge islamica nei territori conquistati dall'Is ha determinato la costituzione di tribunali che irrogano pene disumane, come la lapidazione e l'amputazione;
    è giunta persino notizia che alcuni adolescenti sarebbero stati condannati a morte, solo per aver guardato una partita di calcio;
    testimonianze riportano che i militanti dell'Is seminano terrore e agiscono con ferocia inaudita contro le minoranze, con pubbliche esecuzioni, stuprando e schiavizzando donne e bambini;
    secondo le informazioni riportate, sarebbero diverse migliaia le vittime delle violenze e oltre 3.500 le donne yazide tuttora prigioniere dell'Is;
    la ventunenne yazida irachena Nadia Murad Basee Taha è stata sottratta alla sua vita quotidiana e violentata ripetutamente dai miliziani di Is; fuggita dopo 3 mesi ha potuto raccontare gli scenari di brutali violenze e la sua testimonianza ha dato conto delle innumerevoli donne violate e costrette con la forza a contrarre matrimonio con i soldati del califfato; ridotte in schiavitù e vendute come merce di scambio, molte di loro non hanno saputo resistere agli abusi ed hanno scelto l'alternativa del suicidio;
    la giovane donna, nel corso di diversi incontri presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Parlamento europeo, l’House of Commons e, più recentemente, presso le due Camere del Parlamento italiano, ha chiesto che la comunità internazionale si adoperi affinché il massacro del popolo yazida, che si sta consumando al confine tra l'Iraq e la Siria, venga riconosciuto come genocidio delle leggi internazionali;
    nel mese di gennaio 2015, il Santo Padre lanciò un appello, affinché si ponesse fine alle persecuzioni e alle sofferenze del popolo yazida e di altre minoranze nel nord dell'Iraq e si ripristinassero giustizia e condizioni per una vita libera e pacifica;
    il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel rapporto consegnato nel marzo 2015, ha denunciato la gravità delle azioni commesse dallo Stato islamico nei confronti degli yazidi dell'Iraq, classificabili come crimini contro l'umanità, ed ha affermato che le autorità islamiche dovranno rispondere di genocidio davanti alla Corte penale internazionale;
    il Segretario di Stato degli Stati Uniti d'America, John Kerry, nel mese di marzo 2016, ha definito come genocidio i crimini commessi dallo Stato islamico;
    il 31 marzo 2016 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che, in modo analogo, classifica come genocidio le esecuzioni sistematiche e le violenze dei guerriglieri dell'Is ai danni delle minoranze religiose in Iraq e in Siria;
    il genocidio è definito, in conformità alla risoluzione n. 260 del 1948, con la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la «Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio», come ciascuno degli atti commessi con «l'intenzione di distruggere in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso»;
    le violenze efferate compiute dall'Is nei confronti della minoranza yazida si configurano come atti riconducibili a tale definizione;
    la violenza sessuale nei conflitti è una violazione dei diritti umani, è contraria al diritto internazionale e compromette la sicurezza e la pace internazionale, accentua le discriminazioni di genere e ostacola il raggiungimento di una pace sostenibile nelle società post conflitto,

impegna il Governo:

   a promuovere, nelle competenti sedi internazionali, ogni iniziativa volta al formale riconoscimento del genocidio del popolo yazida;
   ad adoperarsi, d'intesa con gli altri Paesi dell'Unione europea, nel quadro degli strumenti a disposizione della comunità internazionale, in seno all'organizzazione delle Nazioni Unite, per far cessare ogni violenza nei confronti del popolo yazida;
   ad assumere iniziative per realizzare corridoi umanitari per favorire l'arrivo di aiuti internazionali a sostegno della popolazione civile colpita dalle violenze;
   a soccorrere, attraverso specifiche iniziative di assistenza umanitaria e sanitaria, le vittime della violenza.
(1-01292)
«Rosato, Quartapelle Procopio, Tidei, Gribaudo, Malisani, Carrozza, Cassano, Censore, Chaouki, Cimbro, Gianni Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Manciulli, Monaco, Nicoletti, Pinna, Porta, Rigoni, Andrea Romano, Sereni, Speranza, Tacconi, Zampa, Vico».
(26 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'ideologia fondamentalista e settaria del sedicente Stato islamico (Daesh), con i suoi atti terroristici, i suoi continui, gravi, sistematici e diffusi attacchi contro i civili, gli abusi dei diritti umani e le violazioni del diritto internazionale umanitario, il ripristino della schiavitù nelle zone da loro governate, le sistematiche persecuzioni contro le altre religioni e etnie, la sua opera di distruzione del patrimonio artistico e il traffico di beni culturali, rappresenta una minaccia globale per la convivenza tra i popoli, per la pace e la sicurezza internazionali;
    Daesh, nelle zone da loro controllate in Siria e in Iraq, ha portato avanti una pulizia etnica e religiosa nei confronti delle minoranze, accanendosi in particolare, ma non solo, con la popolazione yazida, costringendo migliaia di persone a fuggire dalle zone di origine per sottrarsi ai massacri e alle torture perpetrate ai loro danni;
    più di un milione di persone, infatti, si sono spostate in cerca di aiuto verso l'area curda dell'Iraq. Il numero di sfollati interni è cresciuto fino a 2 milioni, considerando anche le persone fuggite in altre aree del Paese. L'Onu calcola che le persone in stato di bisogno siano oggi 5 milioni;
    l'Iraq, come la Siria e il Libano, rappresentava uno dei pochi mosaici di civiltà rimasti nel vicino Oriente. Prima dell'attacco statunitense del 2003, lì viveva più di 1 milione di cristiani: oggi ne sono rimasti 400.000. Migliaia anche le altre minoranze che hanno subito stragi e persecuzioni negli ultimi anni. Sono figli di culture millenarie come gli yazidi, o i siriaci cristiani che parlano ancora l'aramaico, che già da tempo vivevano sotto assedio e protetti dai curdi. Oggi Daesh li sta nuovamente perseguitando;
    il termine «yazidi» (di cui al culto yazida) affonda le sue radici nello Zoroastrismo, nell'Ebraismo e nell'Islam. I seguaci dello yazidismo a oggi si aggirano fra i 200.000 e i 300.000. La maggior parte di loro vive in Iraq, sui monti del Jebel Sinjar (al confine con la Siria) e nel nord-ovest del Paese. Sono sempre stati perseguitati, prima dai wahabiti, che li hanno definiti «apostati,» poi dai sunniti per i quali sono «adoratori del diavolo» e dopo ancora dai turchi ottomani, tuttavia mai si era assistito a uno sterminio come quello perpetrato da Daesh;
    molte testimonianze riportano che i suoi fanatici militanti hanno in tutto questo tempo seminato terrore e hanno agito con ferocia inaudita con pubbliche esecuzioni, stuprando e schiavizzando donne e bambini;
    una di queste testimonianze, la ventunenne yazida irachena Nadia Murad Basee Taha, sottratta alla sua vita quotidiana e violentata ripetutamente dai miliziani di Daesh e fuggita dopo 3 mesi, ha potuto raccontare gli scenari di brutali violenze e la sua testimonianza ha dato conto delle innumerevoli donne violate e costrette con la forza a contrarre matrimonio con i soldati del califfato, ridotte in schiavitù e vendute come merce di scambio; molte di loro non hanno saputo resistere agli abusi e hanno scelto l'alternativa del suicidio;
    tra l'altro, la giovane donna, nel corso di diversi incontri presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Parlamento europeo, l'House of Commons e, più recentemente, anche presso il Parlamento italiano, ha chiesto che la comunità internazionale si adoperi affinché il massacro del popolo yazida, che si sta consumando al confine tra l'Iraq e la Siria, venga riconosciuto come genocidio dalle leggi internazionali;
    la persecuzione in atto dei gruppi religiosi e etnici in quella regione è un fattore che contribuisce alla migrazione di massa e agli sfollamenti interni;
    il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel rapporto consegnato nel marzo 2015, ha denunciato la gravità delle azioni commesse dal sedicente Stato islamico nei confronti degli yazidi dell'Iraq, classificabili come crimini contro l'umanità, e ha affermato che le autorità islamiche dovranno rispondere di genocidio davanti alla Corte penale internazionale;
    il genocidio è definito, in conformità alla risoluzione n. 260 del 1948, con la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la «Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio», come ciascuno degli atti commessi con «l'intenzione di distruggere in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso»; il genocidio, i crimini contro l'umanità e i crimini di guerra, indipendentemente dal momento e dal luogo in cui avvengono, non devono restare impuniti e deve essere garantito un loro adeguato perseguimento mediante l'adozione di misure nazionali e il rafforzamento della cooperazione internazionale, nonché mediante la Corte penale internazionale e la giustizia penale internazionale;
    il 31 marzo 2016 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione 2016/2529(RSP) che, in modo analogo, classifica come genocidio le esecuzioni sistematiche e le violenze dei guerriglieri del califfato ai danni delle minoranze religiose in Iraq e in Siria;
    tuttavia, l'organizzazione Yazda (un'organizzazione no-profit creata dalla comunità a sostegno degli yazidi per divulgare messaggi di sensibilizzazione in tutto il mondo, affinché il genocidio non resti invisibile) ritiene che il riconoscimento da parte dell'Unione europea del genocidio perpetrato dal Daesh è sì positivo ma non è sufficiente, piuttosto un primo passo verso la fine delle sofferenze delle minoranze religiose in Iraq e in Siria;
    secondo i fondatori della Yazda (come si evince da un recente reportage de Il Corriere della Sera proprio su questa comunità), il linguaggio della risoluzione, per quanto riguarda la parte concernente gli yazidi, non rende conto della portata effettiva del loro genocidio. I numeri dei rapiti che vengono riportati sono assai lontani da quelli reali di oltre 5.800 persone prese prigioniere. La risoluzione, a loro dire, non fa menzione in grande dettaglio degli stupri sistematici, delle conversioni forzate, degli sfollati. Yazda chiede anche che la risoluzione venga emendata in modo tale da riflettere il reale livello di sofferenza degli yazidi e affinché il mondo riconosca tale genocidio in questi termini e non sommato a quelli di altre comunità: «Comprendiamo che tutte le minoranze religiose hanno sofferto enormemente sotto l'Isis e che altri genocidi contro altre minoranze possono essere avvenuti, ma la nostra posizione è che ogni caso deve essere affrontato separatamente per rispettare i diritti di tutte le vittime ed essere giusti nel confronti di tutte le minoranze»,

impegna il Governo:

   a promuovere, nelle competenti sedi internazionali, ogni iniziativa volta al formale riconoscimento del genocidio del popolo yazida per restituire loro il diritto alla vita, nel rispetto della propria identità e del proprio credo religioso;
   ad adoperarsi, d'intesa con gli altri Paesi dell'Unione europea, nel quadro degli strumenti a disposizione della comunità internazionale, in seno all'organizzazione delle Nazioni Unite, per far cessare ogni violenza nei confronti del popolo yazida e garantire le necessarie condizioni di sicurezza e un futuro a tutti coloro che sono stati costretti ad abbandonare il loro Paese d'origine;
   a proporre, in forza del fatto che nel 2017 l'Italia farà parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu in qualità di membro non permanente, una risoluzione per il riconoscimento formale del genocidio del popolo yazida e per il perseguimento dei responsabili mediante la Corte penale internazionale e la giustizia penale internazionale;
   ad assumere iniziative per affiancare, alle procedure classiche della Corte penale internazionale sulla riparazione dei crimini di guerra, progetti con le popolazioni residenti nel governatorato di Ninive, di cui fa parte anche la città di Mosul, di giustizia transizionale o riparativa (accertamento della verità storica, riparazione e rielaborazione dei traumi subiti dalle vittime, discussione pubblica sulle cause delle violenze, costruzione di una memoria condivisa tra le parti in conflitto e avvio di percorsi verso la riconciliazione personale e nazionale) sul modello di quanto fatto in Sudafrica;
   a prevedere l'inserimento, già a partire dalle prossime disposizioni a sostegno della cooperazione allo sviluppo e dei processi di ricostruzione, abitualmente inserite nei decreti-legge di rifinanziamento delle missioni internazionali, di specifiche iniziative: per l'assistenza umanitaria e sanitaria a favore delle vittime della violenza; per sostenere la bonifica delle città liberate da Daesh, come precondizione perché le stesse ritornino agibili e abitabili, dagli ordigni e delle mine inesplose rimaste sul campo che continuano a rappresentare una minaccia per la popolazione civile, sia con l'invio di sminatori sia con corsi di formazione allo sminamento di soggetti locali; per favorire l'affermazione di un carattere plurietnico e inclusivo, in modo che tutta la popolazione irachena possa riconoscervisi, come elemento centrale per la ricostruzione delle amministrazioni civili e dei corpi di polizia e dell'esercito.
(1-01348)
«Spadoni, Manlio Di Stefano, Sibilia, Grande, Scagliusi, Del Grosso, Di Battista».
(19 settembre 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    gli yazidi sono una comunità di origini antiche che si caratterizza come vera e propria nazione senza Stato proprio. È una popolazione di lingua curda, originaria delle montagne del Kurdistan, a cavallo tra Iraq e Turchia che professa una religione – lo yazidismo – le cui nozioni fondamentali deriverebbero da antiche religioni precedenti all'ebraismo, assorbendo in seguito elementi dal Cristianesimo e dall'Islam;
    gli yazidi, prima della costituzione del califfato islamico dell'Isis, erano circa 800 mila, dei quali almeno 500 mila vivevano nel nord dell'Iraq, nella zona montuosa vicino a Mosul e lungo la frontiera con la Turchia. Le altre comunità sono sparse in Siria, nella zona di Aleppo, in Armenia, in Georgia, nelle regioni del Caucaso e dell'Iran e più di 40.000 yazidi vivono in Germania e in Russia;
    questa comunità ha costituito dunque da millenni una minoranza numerica coesa in queste regioni del vicino e Medio Oriente, ma non è una minoranza aggiunta, bensì è nazione costitutiva dell'identità di quegli Stati e di quei territori;
    pur essendo considerata religione pagana dalle autorità islamiche, e dunque senza neppure le parziali tutele riservate alle altre «religioni del libro», questa comunità non era mai stata oggetto di volontà sistematica di annientamento come quella progettata e realizzata dal Daesh o Stato islamico;
    questa volontà cui sono seguite azioni conseguenti si configura storicamente, moralmente e giuridicamente come genocidio. Come tale, infatti, è definibile la pulizia etnico-religiosa attraverso massacri sistematici o, in alternativa, riduzione in schiavitù, in particolare delle donne, le quali sono particolare oggetto di crudeltà come documentato da inconfutabili testimonianze;
    si fa presente che questo tipo di persecuzione accomuna oggi tutte le minoranze non islamiche e stanno colpendo, con identica volontà e sistematicità genocidaria, anche la comunità cristiana, ormai quasi estinta in Iraq e su questa medesima strada in Siria, dopo che per millenni una convivenza faticosa e senza la pienezza dei diritti era stata comunque possibile;
    ripercorrendo a grandi linee l’escalation di violenze dello Stato islamico, si ricorda l'offensiva islamista nel nord dell'Iraq, allorché gli yazidi sono stati vittime di abusi e violenze di massa da parte dei miliziani del califfato e in massa sono stati costretti a scappare dalle zone di origine del Sinjar, a pochi chilometri dalla città di Mosul, nel nord dell'Iraq. Migliaia di uomini e ragazzi sono stati massacrati e torturati, bambini anche piccolissimi sono stati rapiti e rivenduti, le loro madri e sorelle sono state sistematicamente stuprate, in un crescendo di violenza efferata testimoniato in un recente rapporto di Amnesty international, con una strategia islamista di pulizia etnica della razza-religione yazida;
    migliaia di ragazze sono state costrette con la forza a contrarre matrimonio con i guerriglieri dell'Isis, vendute o offerte ai combattenti o simpatizzanti. Molte di queste schiave sessuali, poco più che bambine, ragazze di età compresa tra i 12 e i 15 anni o anche più giovani, una volta divenute merce sessuale degli islamisti non hanno retto all'umiliazione e hanno preferito suicidarsi;
    l'irruzione degli uomini dell'Isis a Mosul ha comportato, in poche settimane, un esodo che ha portato più di un milione di yazidi e cristiani a rifugiarsi nella regione irachena del Kurdistan, e nello specifico nella regione di Erbil, Dohuk e Zakho;
    il presidente della commissione di inchiesta sulla Siria delle Nazioni Unite, Paulo Pinheiro, ha definito come un vero e proprio genocidio quello che i miliziani dell'Isis stanno compiendo ai danni degli yazidi in Iraq, ma anche in Siria;
    il 4 febbraio 2016 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sullo sterminio delle minoranze religiose, ribadendo una risoluta condanna del cosiddetto Isis/Daesh e delle gravi violazioni dei diritti umani di cui si è reso responsabile, che equivalgono a crimini contro l'umanità e crimini di guerra ai sensi dello statuto di Roma della Corte penale internazionale, come pure la necessità di adottare misure affinché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riconosca tali violazioni come genocidio;
    tenendo in considerazione tutta una serie di elementi e documentazioni prodotte tra il 2014 ed il 2016, così come testimonianze dirette, dalle affermazioni di Papa Francesco sulla sofferenza di «una violenza inumana» patita da cristiani, yazidi e altre minoranze nella regione, la Camera dei rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti d'America, con l'adesione del Senato, ha approvato il 14 marzo 2016 una risoluzione in cui si afferma che le atrocità perpetrate dal Daesh contro cristiani, yazidi e altre minoranze etniche e religiose in Iraq e Siria costituiscono crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio;
    già il 7 dicembre 2015 la Commissione sulla libertà religiosa internazionale degli Stati Uniti d'America aveva chiesto al Governo federale di designare le comunità cristiane, yazide, sciite, turcomanne e shabak dell'Iraq e della Siria come vittime di genocidio per mano del Daesh. La richiesta è stata accolta e ampliata, a livello della comunità internazionale e delle Nazioni Unite, dalla risoluzione che chiede a tutti i Governi, incluso quello degli Stati Uniti d'America, e alle organizzazioni internazionali di chiamare le atrocità del Daesh con il loro giusto nome: crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio;
    nel marzo 2016 il Congresso degli Stati Uniti d'America ha votato all'unanimità una risoluzione in cui le atrocità dell'Isis nei confronti di yazidi, cristiani e sciitinei perpetrate in Siria e in Iraq sono da considerarsi con il termine «genocidio»;
    anche la Casa dei Comuni britannica, in data 20 aprile 2016, si è espressa con una mozione indirizzata al Governo mettendo in luce la sofferenza che cristiani, yazidi e altre minoranze etniche e religiose in Iraq e Siria stanno subendo e chiedendo al Governo di indirizzarsi immediatamente al Consiglio di sicurezza dell'Onu con lo scopo di conferire l'appropriata giurisdizione in materia alla Corte penale internazionale, così che i perpetratori possano essere portati davanti agli organi di giustizia,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni iniziativa, nelle competenti sedi internazionali, volta al riconoscimento formale del genocidio nei confronti del popolo yazida affinché sia condannato e contrastato con ogni mezzo;
   a denunciare nelle competenti sedi internazionali quegli Stati e quei Governi che finanziano o appoggiano ideologicamente (wahabismo) la discriminazione degli yazidi e anche dei cristiani, impedendo nei loro territori presenze e comunità diverse da quelle islamiche;
   a far valere, d'intesa con gli altri Paesi dell'Unione europea, nel quadro delle Nazioni Unite, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per la tolleranza e la libertà religiosa, in particolare delle minoranze perseguitate, laddove risultino minacciate o compresse per legge o per prassi, sia direttamente dalle autorità di Governo, sia attraverso un tacito assenso;
   a prendere in considerazione – come già deliberato all'unanimità dal Congresso degli Stati Uniti d'America – la definizione di genocidio per tutte le minoranze religiose oggetto di sterminio;
   a promuovere, nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti.
(1-01350)
«Centemero, Carfagna, Brunetta, Crimi».
(20 settembre 2016)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   SCOTTO, AIRAUDO, MARTELLI, PLACIDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   solo negli ultimi giorni si è assistito a tre vittime sul lavoro, in tre diversi infortuni: all'Ilva di Taranto, in un deposito dell'Atac a Roma e in un agriturismo a Trieste;
   a perdere la vita in Puglia è stato un operaio di 25 anni di una ditta appaltatrice, che stava lavorando sul nastro trasportatore quando un contrappeso ha ceduto facendo precipitare un carrello che lo ha schiacciato;
   a Roma a morire è stato un uomo di 53 anni, capo elettricista forse rimasto folgorato mentre era impegnato nella riparazione di un mezzo in un'officina nel deposito Atac di via dei Campi Sportivi, all'Acqua Acetosa;
   una persona è morta invece in un infortunio sul lavoro avvenuto nell'agriturismo «Zollia» a Trieste, in località Samatorza, nella zona del Carso, a ridosso del confine con la Slovenia. La vittima è rimasta schiacciata mentre lavorava con una macchina operatrice;
   mercoledì 14 settembre 2016 nella tarda serata a Piacenza si è appreso attoniti la notizia della morte di Abdesselem El Danaf. Un fatto gravissimo umanamente terribile in quanto El Danaf non è morto per un infortunio sul lavoro, ma per difendere i diritti e la tutela dei lavoratori; in sintesi un morto per il lavoro;
   i dati Inail relativi alle morti sul lavoro sono agghiaccianti; queste sono aumentate nel 2015 del 16 per cento rispetto al 2014, gli infortuni mortali sul lavoro sono stati 1.172, a fronte dei 1.009 del 2014;
   l'Inail ha reso noto che, nel solo primo semestre del 2016, i morti sul lavoro sono stati 417, con al momento un leggero calo che si auspica sia possibile verificare anche a fine 2016: di questi oltre il 93 per cento sono uomini e circa il 7 per cento donne;
   il 66,2 per cento dei morti sul lavoro nel 2015 hanno tra i 45 e i 64 anni, gli ultrasessantacinquenni sono circa il 10 per cento;
   le regioni con la più alta incidenza di morti sul lavoro sono: Emilia-Romagna (13,4 per cento), Veneto (10,6 per cento), Lombardia (10,6 per cento), Lazio (7,9 per cento) e Puglia (7,7 per cento);
   il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dichiarato: «Ogni morte sul lavoro costituisce una ferita per l'Italia e una perdita irreparabile per l'intera società. Non è ammissibile che non vengano adeguatamente assicurate garanzie e cautele per lo svolgimento sicuro del lavoro»;
   la questione delle morti sul lavoro con tutta evidenza ha una connessione con la sicurezza sui luoghi di lavoro e la tutela della salute dei lavoratori, con la capacità di efficaci e periodici controlli dei luoghi di lavoro e sulla qualità dell'offerta di lavoro;
   è di tutta evidenza che l'affermarsi di forme di precariato, quali ad esempio i voucher, porta ad una diminuzione dei controlli sui luoghi di lavoro per una spending review inammissibile in questo contesto;
   le politiche liberiste di ristrutturazione del lavoro hanno delineato una cornice composta da: minori diritti; minori tutele; minore personale e più ore di lavoro per il singolo lavoratore; meno fondi; meno norme di sicurezza; più precarietà: meno garanzie e le morti sul lavoro ne sono il triste risultato;
   il susseguirsi di morti sul lavoro e di infortuni sui luoghi di lavoro dovrebbero portare il Governo ad un ripensamento complessivo delle politiche sul lavoro finora assunte che si sono basate essenzialmente sulla precarietà e sulla riduzione dei diritti dei lavoratori, nonché su politiche previdenziali che tendono a far restare in attività lavoratori fino a settanta anni e con una riduzione costante dei diritti e delle tutele, che sono alla base degli infortuni spesso gravi che accadono sui luoghi di lavoro –:
   se non intenda assumere come priorità la questione del contrasto alle morti e agli infortuni sul lavoro e quali misure o azioni il Governo intenda avviare per contrastare gli infortuni sul lavoro, partendo dall'assoluta necessità di aumentare i controlli sul rispetto dei parametri di sicurezza nei luoghi di lavoro e di sanzionare efficacemente quanti non li rispettano e, in tale ambiti, di quali dati disponga il Governo sui controlli effettuati dagli organi preposti alla sicurezza e prevenzione sul lavoro.
(3-02491)
(20 settembre 2016)

   GALGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, poi confluito nell'articolo 1, commi 842-854 della legge 28 dicembre 2015, n. 4 (legge di stabilità per il 2016), è stata introdotta una procedura per tutelare i possessori di obbligazioni subordinate, che hanno subito una svalutazione dei loro titoli, nell'ambito del percorso attuato dal Governo per la risoluzione della crisi di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, Banca delle Marche spa, Cassa di risparmio della provincia di Chieti spa e Cassa di risparmio di Ferrara spa;
   nella legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, commi 855-861) si prevede l'istituzione di un fondo di solidarietà per l'erogazione di rimborsi in favore dei detentori di obbligazioni subordinate emesse da una delle quattro banche in liquidazione;
   con il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, sono state introdotte agli articoli 8-10 ulteriori misure di tutela in favore di coloro che hanno investito nelle quattro banche sottoposte a procedure di risoluzione, consentendo a tali soggetti la possibilità di scelta se ricorrere all'arbitrato o chiedere il rimborso automatico;
   in particolare, l'articolo 9 del decreto-legge prevede che, a specifiche condizioni e in presenza di determinati presupposti di ordine patrimoniale e reddituale, questi investitori possono chiedere l'erogazione di un indennizzo forfetario, pari all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari detenuti alla data di risoluzione delle banche in liquidazione, al netto degli oneri e delle spese connessi all'operazione di acquisto e della differenza positiva tra il rendimento degli strumenti finanziari subordinati e il rendimento di mercato individuato secondo specifici parametri. Tale indennizzo è a carico del fondo di solidarietà;
   ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, la procedura di rimborso forfettario è riservata agli investitori che:
     a) abbiano acquistato strumenti finanziari subordinati entro il 12 giugno 2014 (data di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea della direttiva «BRRD») e li detenevano al 22 novembre 2015 (data di risoluzione delle banche in liquidazione);
    b) abbiano un rapporto negoziale diretto con una delle quattro banche in liquidazione che li ha emessi;
    c) abbiano patrimonio mobiliare di valore inferiore a 100.000 mila euro alla data del 22 novembre 2015;
    d) abbiano reddito complessivo ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche nell'anno 2014 inferiore a 35 mila euro;
   viene inoltre precisato che la presentazione dell'istanza di indennizzo forfettario preclude la possibilità di esperire la procedura arbitrale (articolo 1, commi da 857 a 860 della legge stabilità per il 2016). Parimenti l'attivazione della procedura arbitrale preclude la possibilità di rimborso automatico e, laddove la predetta procedura sia stata già attivata, la relativa istanza è improcedibile. Inoltre, limitatamente agli strumenti finanziari acquistati oltre il 12 giugno 2014, gli investitori possono accedere alla procedura arbitrale, anche laddove abbiamo fatto istanza per l'erogazione dell'indennizzo forfettario in relazione agli strumenti acquistati in data anteriore al 12 giugno 2014;
   la limitazione dell'accesso agli indennizzi automatici solo agli investitori che hanno acquistato le obbligazioni subordinate nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con la banca in liquidazione che li ha emessi esclude migliaia di risparmiatori a cui intermediari hanno venduto obbligazioni subordinate, anche senza le necessarie informazioni sui rischi e sulla natura dei titoli –:
   se il Governo non ritenga opportuno modificare la normativa in materia di accesso agli indennizzi automatici, evitando che siano esclusi i soggetti che hanno investito in titoli obbligazionari attraverso altri operatori e che siano penalizzati rispetto a coloro che hanno acquistato le medesime obbligazioni direttamente dalla banca emittente in liquidazione e possono invece esigere il rimborso.
(3-02492)
(20 settembre 2016)

   BRUNETTA, LAFFRANCO, OCCHIUTO e ALBERTO GIORGETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la produzione normativa del Governo Renzi in tema bancario si è rivelata particolarmente dinamica, ma a giudizio degli interroganti assolutamente inutile e dannosa, in particolare per gli effetti catastrofici prodotti sui risparmiatori e per la tenuta dell'intero sistema bancario; per non parlare dell'atteggiamento tenuto dall'Esecutivo sulla vicenda del Monte dei paschi di Siena, che negli ultimi giorni ha conosciuto ulteriori sviluppi che hanno portato al cambio di vertice e alla nomina del nuovo amministratore delegato, il dottor Marco Morelli;
   tra l'altro, i criteri che hanno ispirato la nomina dello stesso Morelli risultano ad oggi poco chiari, come evidenziano alcune recenti dichiarazioni del seguente tenore: «c’è una sola domanda che va fatta: il nuovo amministratore delegato di Monte dei paschi di Siena è stato scelto dal Ministro dell'economia e delle finanze, maggiore azionista della banca col 4 per cento, o lo ha scelto Jp Morgan?»;
   il dubbio in merito alla nomina del nuovo amministratore delegato – e agli interessi effettivi che tale investitura nasconde – sorge spontaneo alla luce del prestito ponte concesso a Monte dei paschi di Siena da Jp Morgan e da un consorzio di banche per ripulire i bilanci dalle sofferenze: un prestito garantito prevalentemente dallo Stato con la garanzia pubblica per la cartolarizzazione delle sofferenze bancarie (gacs) e su cui Monte dei paschi di Siena paga commissioni per centinaia di milioni di euro;
   notizie di stampa riportano di come si sia trattato di un cambio di vertice assolutamente repentino, nonché il racconto che lo stesso Fabrizio Viola ha fatto ai consiglieri d'amministrazione di Monte dei paschi di Siena della telefonata ricevuta dal Ministro interrogato, che avrebbe riferito: «Alla luce delle perplessità espresse da alcuni investitori in vista del prossimo aumento di capitale e d'accordo con la Presidenza del Consiglio dei ministri, riteniamo opportuno che lei si faccia da parte»;
   giovedì 8 settembre 2016 il consiglio di amministrazione di Monte dei paschi di Siena avrebbe dovuto riunirsi per un aggiornamento sui lavori del piano di messa in sicurezza dell'istituto. Fin dalla mattinata i consiglieri sono stati preallertati che non sarebbe stato un consiglio di amministrazione ordinario: Viola, amministratore delegato della banca dall'aprile del 2012, si presenterà a sorpresa dimissionario. Di fronte a una ventina di testimoni (consiglieri, collegio sindacale più i dirigenti ammessi al consiglio), Viola avrebbe spiegato le ragioni della sua decisione: la telefonata ricevuta dal Ministro interrogato, l'analoga telefonata ricevuta dal presidente Massimo Tononi, il contesto nel quale sono maturate;
   è evidente come sullo sfondo ci siano le tensioni ripetute con Jp Morgan, la banca d'affari Usa, consulente di Monte dei paschi di Siena dal giugno 2015, che in tutta questa vicenda ha assunto un ruolo sempre più preponderante. «Diciamo che sono entrati in banca senza bussare», avrebbe raccontato uno dei più stretti collaboratori dell'ex amministratore delegato;
   tra l'altro, la scelta del nuovo amministratore delegato, nonostante si sia cercato di offrire un'apparenza di rispetto delle regole di governance di una grande società quotata, e quindi di attivare il comitato nomine e un head hunter per la selezione, è ricaduta proprio su Marco Morelli, sul cui nome c'era già il pieno consenso di Jp Morgan e delle banche d'affari coinvolte nel riassetto di Monte dei paschi di Siena;
   nei giorni scorsi, dopo che il titolo Monte dei paschi di Siena è crollato nuovamente, riducendo la capitalizzazione della banca a soli 586 milioni di euro, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che: «ci sono tutte le condizioni perché l'aumento di capitale di Monte dei paschi di Siena si possa fare e si possa chiudere il più presto possibile»;
   in ogni caso, resta profonda l'incertezza sui tempi e sulle modalità della ricapitalizzazione e sull'ipotesi di una revisione del piano originario; e sorge più di una perplessità in merito ai protagonisti (Jp Morgan e investitori cinesi) e ai numeri dell'aumento di capitale, e alle ricadute che questo avrà sui contribuenti (in relazione all'eventuale garanzia che lo Stato dovrà prestare) e, soprattutto, sugli azionisti e gli obbligazionisti di Monte dei paschi di Siena, ovvero quei risparmiatori a cui si era rivolto lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri il 21 gennaio 2016, quando aveva dichiarato come fosse un «bell'affare» investire nella banca senese, «una banca che ha attraversato vicissitudini pazzesche ma che oggi è risanata, è un bel brand»: peccato che, dal «suggerimento» del Presidente del Consiglio dei ministri, il titolo Monte dei paschi di Siena sia crollato da 75 a 19 centesimi (-75 per cento);
   sarà quindi necessario chiarire se, ai fini della ricapitalizzazione di Monte dei paschi di Siena, si intenderà attivare gli strumenti del bail-in, compreso l'azzeramento degli azionisti e obbligazionisti subordinati, e come l'Esecutivo intenderà tutelare i risparmiatori, a parere degli interroganti incoraggiati a loro volta dalle dichiarazioni dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri –:
   quale sia il ruolo che ha assunto il Ministro interrogato – quale rappresentante del primo socio di Monte dei paschi di Siena – nel cambio al vertice della banca senese, se sia vera la notizia della telefonata rivolta all'ex amministratore delegato Fabrizio Viola riportata in premessa e se ci sia stato e in quali termini un coinvolgimento nella scelta del nuovo board da parte di Jp Morgan.
(3-02493)
(20 settembre 2016)

   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi notizie di stampa riportavano di un probabile taglio di 1,5 miliardi di euro del fondo sanitario nazionale;
   la possibilità che, oltre a non prevedere la conferma dei due miliardi di euro in più nel 2017, ci possa essere un ulteriore taglio preoccupa profondamente per le inevitabili conseguenze derivanti: in primo luogo, la revisione dei livelli essenziali di assistenza e la loro effettiva implementazione, poiché tra le condizioni poste dalle regioni c’è proprio la specifica richiesta di riconferma dei 113 miliardi di euro sul 2017, rispetto ai 111 del 2016, e, in secondo luogo, il mancato rifinanziamento del fondo per i farmaci innovativi che, per il 2017, non ha ancora alcuna voce di finanziamento;
   i presidenti delle regioni «virtuose», quelle regioni con modelli di sanità efficienti e con bilanci in ordine, hanno rappresentato i loro timori, riguardanti – tra l'altro – il rischio che gli ennesimi tagli rendano il sistema non più sostenibile, causando la chiusura di ospedali;
   da anni si discute sulle capacità di risparmio nel settore sanitario, confondendo tra loro il concetto di taglio con quello di spending review: la revisione della spesa è ben altra cosa rispetto ai tagli. Essa consiste nell'applicare i costi standard immediatamente, in tutto il Paese, tagliando dove si spreca, imponendo le best practice a tutte le regioni ed evitando che i tagli lineari siano a detrimento della buona sanità regionale;
   qualora il Governo decidesse di destinare meno risorse di quelle previste nei saldi di finanza pubblica, ciò non può che considerarsi un evidente taglio nel settore della sanità;
   nel mese di febbraio 2016 la Conferenza Stato-regioni ha sottoscritto un'intesa con il Governo che prevede un preciso incremento del fondo, riconfermato e ribadito all'atto della previsione della revisione dei livelli essenziali di assistenza, che hanno un valore complessivo di 1,5 miliardi di euro e che attualmente trovano copertura da parte del Governo per soli 800 milioni di euro. La differenza è coperta dai bilanci regionali. Allo stato dei fatti, dunque, l'incremento del fondo sanitario è già previsto dall'accordo Stato-regioni;
   senza gli illogici tagli imposti dal Governo, la regione Lombardia potrebbe fare molto di più per i propri cittadini e non solo;
   l'eccellenza del proprio sistema ospedaliero è unanimemente riconosciuta e confermata dai dati sull'emigrazione sanitaria regionale che attestano come solo il 3 per cento dei lombardi (la percentuale più bassa d'Italia) scelga di farsi curare fuori dalla sua regione, contro una media nazionale di quasi il 9 per cento, con picchi del 19 per cento di Calabria e Puglia e del 20 per cento del Molise;
   la Lombardia, peraltro, è anche la regione che vanta il maggior credito verso le altre regioni per la mobilità sanitaria dei pazienti: le spetta un rimborso di 534 milioni di euro, centinaia di milioni di euro sottratti ai lombardi;
   il Governo, inoltre, non può ignorare la spesa sanitaria per l'immigrazione: tra il 2003 ed il 2012 i ricoveri ospedalieri ordinari di cittadini extracomunitari sono cresciuti del 52,6 per cento, nella sola Milano il costo dell'assistenza sanitaria per gli irregolari ammonta a circa venti milioni di euro l'anno –:
   se trovino conferma le notizie stampa circa il supplementare taglio alla sanità rispetto ai 113 miliardi di euro per il 2017 già concordati con le regioni, taglio che si ripercuoterebbe ulteriormente in maniera negativa anche e soprattutto sulla revisione dei livelli essenziali di assistenza.
(3-02494)
(20 settembre 2016)

   FORMISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   anche se in leggero calo rispetto agli anni pregressi, gli arretrati degli uffici giudiziari sono ancora troppo elevati;
   oltre seicentomila procedimenti in materia civile sono a rischio di risarcimento ai sensi della «legge Pinto», il che significa, al di là dell'eventualità che i risarcimenti vengano effettivamente richiesti, che lo Stato non è in grado di assicurare una ragionevole durata dei procedimenti, rispettando i tempi che lo Stato stesso si è dato;
   l'eccessiva durata è una palese violazione del dettato costituzionale e del diritto dei cittadini a un giusto processo nei termini sanciti dall'articolo 111 della Costituzione;
   è, inoltre, una violazione dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
   la lunghezza dei processi allontana i cittadini dalle istituzioni e alimenta la sfiducia nello Stato, rendendo meno credibile la battaglia per la legalità e incide in senso sfavorevole sulle decisioni di investimento delle aziende e sullo sviluppo economico;
   le cause del perdurare di questi ritardi sono molteplici, ma, sicuramente, concorrono anche le carenze di magistrati, nonché del personale amministrativo;
   dare ai cittadini e alle imprese una giustizia efficiente è un dovere primario dello Stato e i vincoli di bilancio non possono costituire valida giustificazione al riguardo, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti;
   il Ministero della giustizia ha il dovere di avviare tutte le iniziative per porre rimedio, per quanto in suo potere, alle carenze di organico delle sedi giudiziarie;
   il numero di posti vacanti è per i magistrati ordinari di 1.134 unità su 10.181, con una percentuale di scoperture dell'11,17 per cento;
   molto più pesanti sono le carenze di magistrati onorari (2.939 unità su un organico complessivo di 10.190), con una percentuale di posti da coprire superiore al 28 per cento;
   drammatica è la situazione dei giudici di pace: a fronte di 3.404 unità previste si registra la presenza in servizio di soli 1.361 giudici, con una percentuale di carenze di organico di oltre il 60 per cento;
   mentre per i magistrati ordinari si comprendono i tempi lunghi dei concorsi pubblici, per i magistrati onorari per i quali è stata emanata la nuova disciplina non dovrebbero esserci ostacoli per procedere alle nuove assunzioni –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per avviare le procedure volte a coprire in tempi brevissimi i vuoti di organico esistenti nelle diverse sedi giudiziarie.
(3-02495)
(20 settembre 2016)

   SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   attualmente non viene previsto che gli insegnanti di religione cattolica possano essere individuati come collaboratori del dirigente scolastico;
   si ricorda che fino ad oggi gli insegnanti di religione cattolica hanno svolto questo ruolo;
   si tratterebbe di un'esclusione ingiustificata e che non è prevista da nessuna delle leggi che regolano la situazione degli insegnanti di religione, a partire dalla legge n. 824 del 1930 che, all'articolo 7, disponeva che: «Gli incaricati dell'insegnamento religioso hanno gli stessi diritti e doveri degli altri docenti, fanno parte del corpo insegnante e intervengono ad ogni adunanza collegiale di esso, plenaria o parziale»;
   successivamente la legge 25 marzo 1985, n. 121, nel protocollo addizionale, all'articolo 5 (in relazione all'articolo 9), attuativa degli accordi di revisione del Concordato con la Santa Sede, ha stabilito che: «L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole indicate al n. 2 è impartito (...) da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica, nominati, d'intesa con essa, dall'autorità scolastica»;
   anche le successive norme analoghe (decreto del Presidente della Repubblica n. 751 del 1985, decreto legislativo n. 297 del 1994, decreto del Presidente della Repubblica n. 202 del 1990, decreto del Presidente della Repubblica n. 175 del 2012) affermano con chiarezza che gli insegnanti di religione cattolica fanno parte della componente docente degli organi della scuola e hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri degli altri insegnanti;
   la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 14 settembre 2016 afferma che: «la determinazione dell'organico relativo a questa materia avviene con un criterio diverso e separato»; inoltre, il rapporto di lavoro degli insegnanti di religione, oltre che di ruolo, prevede anche contratti da incaricati annuali;
   appare, quindi, inaccettabile l'esclusione sopra ricordata, anche qualora essa fosse giustificata con l'impossibilità di sostituire i docenti di religione con supplenti che necessitano dell'idoneità, per ragioni di mancanza di fondi;
   sarebbe, infatti, possibile rimediare a questo attingendo al capitolo delle attività alternative all'ora di religione –:
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere il Ministro interrogato per sanare quella che appare all'interrogante una palese discriminazione tra insegnanti, consentendo anche agli insegnanti di religione di svolgere il ruolo di vicari del dirigente.
(3-02496)
(20 settembre 2016)

   BRESCIA, VACCA, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, MARZANA, DI BENEDETTO, D'UVA e VILLAROSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi tre anni scolastici (anni scolastici 2013/2014, 2014/2015, 2015/2016) gli edifici hanno subito, secondo il rapporto redatto da Cittadinanzattiva, 112 crolli;
   le scuole monitorate da Cittadinanzattiva appartengono alle seguenti 10 regioni: Piemonte, Lombardia, Lazio, Marche, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna;
   nel 15 per cento delle scuole sono state riscontrate lesioni strutturali, in gran parte (73 per cento) sulla facciata esterna, nel 27 per cento negli ambienti interni. L'81 per cento dei responsabili del servizio di protezione e prevenzione o dei dirigenti ha chiesto interventi manutentivi all'ente proprietario, ma ben in un caso su quattro non è stato effettuato alcun intervento. Nel 14 per cento è stato effettuato con molto ritardo, nel 52 per cento con qualche ritardo e solo nell'8 per cento dei casi tempestivamente. Una scuola su quattro ha chiesto interventi di tipo strutturale che, quasi in un caso su tre (29 per cento), non sono stati mai effettuati. Solo nel 14 per cento sono intervenuti tempestivamente;
   dal portale istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si può accedere all'applicazione «Scuola in chiaro» che nasce, secondo quanto riportato nelle pagine dell'applicazione stessa, nel 2011 per rispondere all'esigenza di mettere a disposizione della collettività tutte le informazioni disponibili relative alle scuole italiane di ogni ordine e grado, in una forma organica e strutturata;
   l'applicazione «Scuola in chiaro» permette di:
    a) cercare una scuola o un centro di formazione professionale regionale sul territorio nazionale;
   b) conoscere tutte le informazioni disponibili sugli istituti scolastici di ogni ordine e grado e sui centri di formazione professionale ricercati;
   c) mettere a confronto l'offerta formativa delle scuole e dei centri di formazione selezionati;
   d) accedere direttamente ad alcuni servizi legati alla ricerca di scuole, come, per esempio, le «iscrizioni on-line»;
   tra le informazioni disponibili sul portale vi è quella sull'edilizia che può essere consultata nel dettaglio, in cui sono contenute informazioni su ogni singolo edificio e, in particolare, sotto la voce «vincoli» è possibile sapere se l'edificio:
     a) è in area soggetta a vincolo idrogeologico;
    b) è sito in zona a vincolo paesaggistico;
    c) è di vetustà superiore a 50 anni;
    d) è situato in zona sismica;
    e) è stato progettato o successivamente adeguato con la normativa tecnica antisismica;
   nel portale è possibile reperire anche informazioni sull'età dell'immobile, sulla proprietà e sull'uso;
   da una analisi a campione dei dati riguardanti l'adeguamento alla normativa tecnica antisismica degli edifici scolastici presenti, ad esempio, in Abruzzo e presenti su «Scuola in chiaro» è stato riscontrato che circa i tre quarti degli immobili scolastici non risultano adeguati alla normativa tecnica antisismica. La regione Abruzzo insiste su un territorio in gran parte classificato come ad alto e medio rischio sismico (zone 1 e 2);
   secondo quanto riportato nella home page di «Scuola in chiaro», la base informativa che alimenta l'applicazione è costituita da dati già presenti nel sistema informativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (continuamente aggiornati) e dalle informazioni inserite da ciascuna istituzione scolastica attraverso le funzioni presenti sul portale Sidi, il sistema centralizzato che offre alle scuole le funzionalità necessarie allo svolgimento delle operazioni gestionali, amministrative e contabili;
   sui dati di ogni scuola è presente un avviso dal seguente contenuto: «I dati contenuti nella presente sezione contengono tutte le informazioni di carattere tecnico relative agli edifici scolastici attivi censiti, così come comunicati dagli enti locali proprietari degli stessi per il tramite dei nodi regionali dell'Anagrafe. Si precisa che, a seguito di accordo in conferenza unificata di intesa con comuni e province, è stato stabilito di aggiornare al 31 gennaio 2016 la pubblicazione dei dati relativi alle certificazioni degli edifici al fine di consentire l'adeguamento delle informazioni contenute nella sezione agli interventi recentemente autorizzati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Sarà comunque a breve disponibile nella pagina web denominata «Anagrafe del piano di edilizia scolastica» l'informazione aggregata a livello provinciale delle certificazioni degli edifici scolastici. Nota: I dati sono riferiti all'anno scolastico 2014/15»;
   per rispondere concretamente all'esigenza di mettere a disposizione della collettività tutte le informazioni disponibili relative alle scuole italiane di ogni ordine e grado, è indispensabile che i dati contenuti siano sempre aggiornati;
   nonostante l'Anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica sia on line da un anno, le informazioni non risultano aggiornate, né complete. Mancano le certificazioni di agibilità statica, igienico-sanitaria e prevenzione incendi, annunciate per gennaio 2016;
   il recente crollo dell'istituto comprensivo «Romolo Capranica» di Amatrice ha dimostrato l'inaffidabilità delle informazioni fornite dall'ente locale e l'insufficienza e l'inefficacia delle indagini diagnostiche cofinanziate dallo Stato –:
   alla luce della grave situazione degli edifici scolastici descritta in premessa e dei recenti drammatici fatti di cronaca, quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere al fine di implementare gli interventi di adeguamento sismico, nonché il monitoraggio e le indagini diagnostiche, sì da garantire che gli alunni frequentino scuole sicure e a norma.
(3-02497)
(20 settembre 2016)

   GAROFALO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il crollo della scuola di Amatrice, a seguito del sisma che ha colpito l'Italia centrale la notte del 24 agosto 2016, ha inevitabilmente rappresentato un allarme circa lo stato della sicurezza degli edifici scolastici in tutto il Paese;
   in particolare, dal sito Meridionews.it del 13 settembre 2016, si è appreso della seduta congiunta svoltasi presso il comune di Messina della terza e settima commissione (rispettivamente pubblica istruzione e manutenzione immobili servizi pubblici), convocata al fine di fare il punto sullo stato di sicurezza e manutenzione dei plessi scolastici della città;
   il dirigente della manutenzione stabili comunali di Messina ha evidenziato, in una apposita relazione, le carenze dell'intero patrimonio scolastico: su circa 112 plessi, quasi tutti necessitano di interventi di messa in sicurezza, consistenti in adeguamenti alle norme igienico-sanitarie, alle norme Cei (Comitato elettrotecnico italiano) degli impianti elettrici e termici, alle norme relative alla sicurezza anti-incendio, oltre, infine, alla verifica della vulnerabilità sismica delle strutture;
   sempre dalla relazione del dirigente alla manutenzione stabili comunali della città di Messina si apprende che, per quanto riguarda le verifiche sismiche, sarà possibile stabilire se le scuole siano a norma soltanto dopo l'effettuazione di indagini strutturali, per le quali è in corso di ultimazione un appalto;
   altro elemento sconfortante che emerge dalla relazione del dirigente alla manutenzione stabili comunali di Messina è che ad oggi sono state effettuate verifiche sismiche soltanto su cinque istituti scolastici della città: da queste verifiche si apprende che tutti e cinque i plessi scolastici necessitano di interventi di miglioramento sismico;
   anche i due istituti dove gli adeguamenti sismici sono stati effettuati – il Manzoni e il Salvo D'Acquisto – non risultano comunque esenti da rischi, in quanto l'adeguamento sismico non ha riguardato gli interventi considerati necessari a seguito delle verifiche effettuate sui solai;
   questo significa che, in un territorio a rischio sismico 1 (sismicità alta) nella classificazione effettuata dalla Protezione civile e dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, al momento nessun fabbricato adibito a scuola può essere considerato assolutamente sicuro;
   d'altro canto, complicazioni burocratiche impediscono l'utilizzo di fondi già stanziati da numerosi atti, fra i quali, ad esempio, la delibera Cipe 32/2010;
   la messa in sicurezza degli edifici scolastici non è certamente una questione che riguarda solo il comune di Messina: per fronteggiare una situazione di questa portata e pericolosità occorre indubbiamente reperire maggiori risorse da utilizzare per l'effettuazione non solo dei lavori di ordinaria manutenzione, ma anche e soprattutto degli interventi che rendano gli istituti scolastici (ma anche quelli adibiti ad altri servizi pubblici) maggiormente resistenti ai terremoti;
   un piano nazionale, che prevedesse interventi di questa natura, non solo garantirebbe una maggiore sicurezza per quanti frequentano istituti scolastici ed altri edifici pubblici, ma avrebbe anche un impatto positivo per quanto concerne la salvaguardia del patrimonio immobiliare e, più in generale, sul piano dello sviluppo economico –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere al fine di mettere in sicurezza gli edifici scolastici e pubblici di Messina ed in generale del Paese, anche sbloccando risorse finanziarie «incagliate», al fine di salvaguardare l'incolumità dei cittadini e di avviare in Italia una cultura della sicurezza e prevenzione anti-sismica che ad oggi è sempre mancata.
(3-02498)
(20 settembre 2016)

   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'inizio del nuovo anno scolastico sta diventando ad avviso degli interroganti sempre più evidente il fallimento della tanto sbandierata riforma della cosiddetta buona scuola, che avrebbe dovuto risolvere in un colpo solo tutti i mali del sistema scolastico italiano;
   le assunzioni e i percorsi di stabilizzazione non sono riusciti a risolvere né la questione della continuità didattica per i bambini né quella relativa alla meritata stabilità da parte degli insegnanti, molti dei quali sono stati costretti a trasferirsi a centinaia di chilometri dalle proprie città di origine e dalla proprie famiglie, mentre molti altri rimangono ancora in balia del precariato e degli incarichi di supplenza;
   inoltre, con riferimento alle assunzioni ci si muove ancora nella completa incertezza dovuta alla mancata pubblicazione dei dati sugli organici, sul numero di studenti e soprattutto sui pensionamenti, in province, come ad esempio Roma, nelle quali la situazione è complicata anche dai tanti errori sulla mobilità del personale di ruolo e dai cronici sotto-organici negli uffici;
   allo stato sembra evidente che il completamento del piano assunzioni, e quindi la copertura dei tutte le cattedre, non è avvenuto nei tempi necessari per l'anno scolastico appena avviato e da un'inchiesta effettuata da un noto quotidiano le supplenze risultano essere in calo di appena tredicimila unità su centodiciottomila;
   il potenziamento degli istituti, uno dei punti qualificati dal Governo come più importanti della riforma perché avrebbe dovuto mettere le scuole in condizioni di produrre progetti e attività deliberate dai collegi dei docenti attraverso il piano dell'offerta formativa triennale, si sta rivelando, invece, come un mero contenitore nei quali gli uffici scolastici regionali piazzano gli insegnanti in sovrannumero, senza considerare affatto le classi di concorso richieste dalle singole scuole;
   egualmente fallimentare appare essere il bilancio delle operazioni «scuole belle» e «scuole sicure» con migliaia di edifici scolastici sporchi e fatiscenti e oltre diciottomila scuole site nelle zone a maggiore rischio sismico da mettere in sicurezza –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere con riferimento alle questioni esposte in premessa, al fine di restituire finalmente dignità al sistema scolastico italiano, agli studenti e agli insegnanti.
(3-02499)
(20 settembre 2016)

   TULLO, CARLONI, ANZALDI, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, MARCO DI STEFANO, FERRO, GANDOLFI, GRIBAUDO, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, META, MINNUCCI, MOGNATO, MURA, PAGANI, SIMONI, ERMINI, BASSO, CAROCCI, GIACOBBE, VAZIO, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 31 agosto 2016 la compagnia di container Hanjin shipping ha presentato istanza di fallimento nella Corea del Sud e negli Stati Uniti innescando una crisi nella filiera del sistema mondiale del trasporto marittimo di merci, con enormi ripercussioni anche sul sistema logistico nazionale;
   il trasporto delle merci è una delle principali attività dell'economia globale e il mare è la principale via di trasporto per il commercio, con percentuali di traffico merci tra l'80 e il 90 per cento;
   la Hanjin shipping è la prima compagnia di trasporto di container della Corea del Sud ed è la settima a livello mondiale, con una flotta di 141 navi portacontainer;
   secondo le stime circolate in questi giorni sui mezzi d'informazione economica, la bancarotta ha bloccato 65 navi portacontainer cariche di merci, per 14 miliardi di dollari;
   gli osservatori del settore addebitano la crisi soprattutto alla finanza speculativa connessa al fenomeno del gigantismo navale;
   la bancarotta della compagnia coreana rischia di produrre una situazione devastante per il settore dello shipping del nostro Paese, innescando un pericoloso effetto domino per l'economia italiana. La categoria più colpita è quella degli agenti marittimi, ma l'intero mondo della logistica sta registrando perdite enormi dal punto di vista economico, oltre che occupazionale, a partire dai quasi 100 occupati nella sede di Genova;
   infatti al momento ci sarebbero più di 5000 container contenenti merci destinate ai porti italiani, per la maggior parte prodotti finiti e componentistica in importazione, per un valore complessivo quantificabile fra i 300 e i 350 milioni di dollari bloccati sulle banchine dei porti o nelle stive delle navi che sono rilasciati solo dietro il pagamento di ingiustificate cauzioni richieste da alcuni operatori terminalisti; in alcuni casi, le navi evitano di entrare nei porti per il timore fondato di essere poste subito sotto sequestro;
   il danno per gli operatori della filiera della logistica sta diventando sempre più rilevante e la situazione ingestibile a causa dell'assenza di comunicazioni affidabili rese urgenti dalla dimensione internazionale della crisi –:
   se il Governo non intenda acquisire tutte le informazioni necessarie a capire l'effettiva condizione finanziaria e operativa della società Hanjin shipping allo scopo di predisporre i necessari interventi per ridurre gli effetti della crisi di tale società sul comparto portuale e logistico, salvaguardando i livelli occupazionali.
(3-02500)
(20 settembre 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI RIFORMA DELLA LEGGE ELETTORALE

   La Camera,
   premesso che:
    la ratio della dichiarazione d'incostituzionalità della legge n. 270 del 2005 (il cosiddetto «Porcellum») era stata individuata, dalla Corte costituzionale, nella «eccessiva divaricazione tra la composizione dell'organo della rappresentanza politica (...) e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto»;
    la legge 6 maggio 2015, n. 52, recante «Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati», il cosiddetto «Italicum», di certo non rappresenta un intervento normativo volto a risolvere le criticità già insite nel «Porcellum», poi riconosciute incostituzionali dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 2014;
    i vizi sollevati nella sentenza citata erano essenzialmente due: il primo consisteva nella lesione dell'uguaglianza del voto e nella violazione del voto diretto - in contrasto con gli articoli 1, 3, 48 e 67 della Costituzione - date dall'enorme premio di maggioranza assegnato, pur in assenza di una soglia minima di suffragi, alla lista che avesse raggiunto la maggioranza relativa; il secondo profilo di illegittimità del cosiddetto «Porcellum» consisteva nella mancata previsione di meccanismi idonei a consentire ai cittadini di incidere sull'elezione dei rappresentanti;
    quanto al primo aspetto, il vizio è secondo i firmatari del presente atto di indirizzo macroscopicamente presente nell’«Italicum», soprattutto in relazione al caso in cui nessuna lista ottenga almeno il 40 per cento dei voti al primo turno: in questo caso per l'ottenimento del premio di maggioranza, la legge n. 52 del 2015 prevede un ballottaggio fra le prime due liste, e a quella che ottiene più voti è attribuita la maggioranza dei seggi, con evidente indebolimento della legittimazione democratica del vincitore, peraltro, poiché l'elettore non esercita, di fatto, un diritto di voto pieno, così come sancito dall'articolo 48 della Costituzione, ma una semplice opzione vincolata alle due liste più votate al primo turno;
    l'eccesso di «sproporzionalità» tra voti e seggi, censurato in riferimento al «Porcellum», ben può ripetersi con riguardo all’«Italicum»;
    anche in relazione al secondo aspetto la proposta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ricalca i vizi del cosiddetto «Porcellum»: seppur essendo ammesse le preferenze, si prevedono tuttavia capilista «bloccati», ove il voto di preferenza è relegato ad un ruolo subordinato rispetto ai capilista, riguardando esclusivamente la lista che conseguirà il premio. Se a tali aspetti si aggiungono, poi, gli effetti casuali che l'attribuzione del premio di maggioranza su scala nazionale produrrebbe nei singoli collegi, ne consegue un'evidente distorsione della rappresentanza ben lontana dalla ricostituzione del rapporto elettore/eletto, come anche con riferimento agli effetti delle candidature plurime dei capilista;
    in pieno contrasto con la citata sentenza, dunque, molte norme del «Porcellum» sono state sostanzialmente riprodotte nella legge n. 52 del 2015, con ciò avallando il vulnus ai principi della rappresentanza democratica e, in primis, all'esercizio della sovranità popolare, come garantita dalla Costituzione;
    primo in Italia, il tribunale di Messina, con ordinanza del 17 febbraio 2016 – stante la presentazione di ricorsi proposti dinanzi a ben 19 tribunali del Paese – ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate nel giudizio e, in particolare, attinenti al vulnus ai principi della rappresentanza democratica, nonché della rappresentanza territoriale; alla mancanza di soglia minima per accedere al ballottaggio; all'impossibilità di scegliere direttamente e liberamente i deputati; all'irragionevolezza delle soglie di accesso al Senato della Repubblica, residuate nella legge n. 270 del 2005, nonché dell'applicazione della nuova disciplina elettorale per la Camera dei deputati a Costituzione vigente per il Senato della Repubblica, non ancora trasformato in Camera non elettiva, come vorrebbe la riforma costituzionale;
    sono stati dunque trasmessi gli atti alla Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi – ancor prima che la legge elettorale «Italicum» venga applicata, al fine di non vanificare i diritti elettorali dei cittadini – sulla legittimità costituzionale della stessa;
    in particolare, con decreto del Presidente della Corte costituzionale, è stata fissata per il 4 ottobre 2016 l'udienza pubblica per la discussione del ricorso sulle questioni di legittimità costituzionale inerenti all’«Italicum»;
    è di tutta evidenza che il Parlamento, ben prima del pronunciamento della Corte costituzionale, può ancora intervenire sulla riforma approvata, eliminando quei palesi vizi di incostituzionalità che rendono la legge n. 52 del 2015 una vera e propria «controriforma» elettorale, destinata, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, a provocare una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale,

impegna sé stessa ed i propri organi

ciascuno per le proprie competenze, ad esaminare e deliberare in tempi rapidissimi in merito a una riforma della legge 6 maggio 2015, n. 52, al fine di eliminare dalla nuova disciplina elettorale tutti gli evidenti profili di incostituzionalità illustrati in premessa, che con ogni probabilità ad avviso dei firmatari del presente atto porteranno ad una nuova pronuncia di illegittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale.
(1-01314)
«Scotto, Quaranta, Costantino, D'Attorre, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».
(28 giugno 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la legge elettorale è un elemento essenziale dei sistemi democratici perché incide profondamente sul loro funzionamento e ne determina molte caratteristiche e la scelta del modello di legge elettorale deve essere consapevolmente diretta alla costruzione del modello di democrazia che si vuole realizzare;
    appare essenziale sciogliere definitivamente il nodo del rapporto tra l'esigenza di garantire governabilità e quella di avere un Parlamento realmente rappresentativo, nel quale gli eletti siano selezionati da parte dei cittadini, che questi ultimi abbiano la possibilità di condizionare gli eletti durante il mandato parlamentare e di indirizzare le scelte politiche fondamentali attraverso il Parlamento;
    la governabilità non è inconciliabile con tali obiettivi, ma è anzi dimostrato che, se realizzati, essi producono normalmente un effetto di stabilizzazione dei Governi e di consolidamento delle decisioni politiche assunte;
    ricostruire un Parlamento rappresentativo e responsivo nei confronti degli elettori è il presupposto essenziale non solo della democrazia, ma anche della governabilità, poiché non si può governare un Paese complesso senza che vi sia un Parlamento realmente rappresentativo della popolazione;
    solo un Parlamento realmente rappresentativo e in contatto con i cittadini può assumere decisioni condivise e sorrette dal consenso della maggioranza del Paese, oltre che dalla maggioranza in Parlamento;
    un Parlamento democratico suscita dibattito dentro la società, la quale partecipa attivamente all'adozione delle leggi, con tutte le sue articolazioni sociali, economiche e culturali;
    il coinvolgimento collettivo nella fase dell'assunzione delle leggi fa sì che, quando queste siano approvate, siano anche destinate a durare nel tempo;
    la buona governabilità, per conciliarsi con la democrazia, deve dunque procedere dal basso, attraverso un processo di progressiva aggregazione delle idee che si trasforma nella decisione finale della legge;
    la governabilità che si ottiene con il meccanismo del premio di maggioranza sacrifica gli elettori ed è imposta dall'alto, essendo dunque, innanzitutto, antidemocratica;
    attraverso il premio, le elezioni parlamentari sono completamente sradicate dal loro rapporto con gli elettori e le comunità territoriali e si trasformano, invece, in un grande plebiscito mediatico per il Governo e per il leader, cui consegue ancillarmente la composizione del Parlamento;
    nei sistemi con premio di maggioranza è infatti quest'ultimo che determina l'esito reale delle elezioni, perché chi vince il premio ottiene la maggioranza e dunque governa, realizzando così, di fatto, una sorta di elezione diretta dell'Esecutivo, cui consegue per di più meccanicamente la composizione del Parlamento, realizzando una forma di governo antidemocratica;
    il meccanismo del premio, subordinando sostanzialmente l'elezione del Parlamento a quella del Governo, produce un risultato antidemocratico e autoritario;
    la governabilità ottenuta col premio è una governabilità totalmente artificiale e quindi, paradossalmente, «instabile» e precaria, perché si fonda sull'illusione che investendo del potere una sola persona tutti i problemi siano sol per questo risolti;
    mentre la governabilità costruita dal basso produce decisioni stabili, la governabilità imposta dall'alto produce decisioni immediate ma precarie, poiché le leggi sono il frutto di decisioni solitarie di Governi appoggiati da un Parlamento privo di forza di rappresentanza reale;
    il premio è anche un meccanismo deresponsabilizzante per l'elettore, che può di fatto decidere solo per il capo, senza poter evidentemente intrattenere alcun rapporto reale con l'unico soggetto davvero elettivo, il parlamentare, e termina perciò il suo ruolo nel giorno dell'elezione;
    la legge n. 52 del 2015 di riforma della disciplina per l'elezione della Camera dei deputati approvata dal Parlamento intende promuovere la governabilità proprio attraverso il ripristino di un sistema elettorale con premio di maggioranza (non diversamente dall'impostazione della precedente «legge Calderoli»);
    è l'impostazione di fondo della legge n. 52 del 2015 che la rende, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, fondamentalmente antidemocratica e incompatibile con la Costituzione e dunque essa non è emendabile ma deve essere integralmente sostituita;
    la legge elettorale per il Parlamento italiano deve essere anzitutto rappresentativa dei cittadini e dunque si deve preferire una formula proporzionale senza alcun premio di maggioranza;
    la legge elettorale per il Parlamento deve avvicinare gli eletti agli elettori e, dunque, deve articolarsi in circoscrizioni medio-piccole entro le quali debbono concludersi tutti i calcoli elettorali, senza manipolazioni nazionali;
    un sistema elettorale con formula proporzionale da applicarsi in circoscrizioni medio-piccole, oltre a garantire rappresentatività e vicinanza agli elettori, favorisce l'aggregazione fra le forze politiche piccole e medio-piccole, spingendole a mettere insieme le loro idee, se conciliabili, dentro forze politiche più grandi ma coese e favorisce l'omogeneità interna dei partiti e dei movimenti, disincentivando frantumazioni e scissioni;
    un sistema elettorale con formula proporzionale da applicarsi in circoscrizioni medio-piccole, rispettando i voti che gli elettori esprimono sulla base delle liste locali, a livello nazionale evita di disperdere i seggi tra forze politiche troppo piccole e premia naturalmente le forze politiche maggiori, così favorendo l'emersione di una maggioranza parlamentare effettivamente voluta dai cittadini, a differenza di quella prodotta dagli artifici giuridici del premio nazionale previsto dal cosiddetto «Porcellum» e dal cosiddetto «Italicum»;
    un sistema elettorale come quello descritto, favorendo l'emersione di una maggioranza parlamentare effettivamente voluta dai cittadini, garantisce una governabilità prodotta dalle scelte politiche dei cittadini e non artificialmente costruita con espedienti giuridici;
    un sistema elettorale organizzato sulla base di circoscrizioni medio-piccole, nelle quali applicare una formula proporzionale corretta con la garanzia per gli elettori di esprimere concretamente le proprie preferenze nella scelta dei propri rappresentanti, garantisce l'elezione di un Parlamento rappresentativo e favorisce la governabilità del Paese,

impegna se stessa e i propri organi a deliberare

in tempi rapidi in ordine ad una nuova legge elettorale con formula proporzionale in circoscrizioni medio-piccole e modalità di espressione della preferenza da parte degli elettori.
(1-01349)
«Dieni, Cecconi, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Nuti, Toninelli».
(20 settembre 2016)