TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 658 di Mercoledì 20 luglio 2016

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   PALAZZOTTO, SCOTTO, FAVA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016 c’è stato un tentativo, poi fallito, di golpe in Turchia che ha prodotto 312 morti, tra i quali oltre 100 «militari golpisti» e 208 «martiri», come definiti dal Primo ministro turco Binali Yildrim, tra questi 145 civili, 60 poliziotti e tre soldati. I feriti degli scontri sarebbero 1.491;
   nelle 48 ore successive sono state fermate 7.543 persone (100 agenti di polizia, 6.038 soldati, 755 tra giudici e procuratori e 650 civili); tra questi, secondo quanto riferito dal Primo ministro Binali Yildrim, per 316 è stata confermata la custodia preventiva, mentre non è chiara ancora la sorte degli altri arrestati;
   tra gli arrestati ci sono due giudici della Corte costituzionale, Alparslan Altan ed Ercal Tercan, 48 membri del Consiglio di Stato e 140 membri della Corte suprema di appello. L'ordine di arresto sarebbe scattato per tutti i 2.745 giudici, già sospesi il giorno successivo al golpe;
   tra i militari arrestati spiccano il consigliere militare dello stesso presidente Erdogan, colonnello Ali Yazici, il comandante della Seconda armata, generale Adem Huduti, il comandante della Terza armata, Erdal Ozturk, l'ex comandante della Forza aerea turca, Akin Ozturk, ritenuto il leader dei golpisti, e il comandante della base aerea turca e Nato di Incirlik, generale Bekir Ercan. In tutto sarebbero 103 i generali e gli ammiragli sospesi dopo il tentativo di golpe, ovvero quasi un terzo degli alti ufficiali con questi gradi in Turchia;
   le autorità turche hanno in queste ore anche sospeso 8.777 dipendenti del Ministero dell'interno, tra questi 30 prefetti su 81 totali, 7.899 poliziotti, 614 gendarmi e 47 governatori di altrettanti distretti provinciali;
   nell'ambito delle «purghe» ordinate dal Governo turco sono stati rimossi dal loro incarico circa 1.500 dipendenti del Ministero delle finanze, mentre è stato imposto il divieto di espatrio ai funzionari pubblici. Secondo alcune stime, il provvedimento riguarderebbe quasi il 5 per cento della popolazione turca. Sono state annullate le vacanze annuali per tutti i funzionari pubblici fino a nuovo ordine. I funzionari che sono già in vacanza sono chiamati a fare ritorno in ufficio. Questa misura interesserebbe circa tre milioni di persone;
   nel complesso sono più di 17 mila le persone colpite da mandati d'arresto o licenziamenti a seguito del tentativo di golpe in Turchia;
   tutti questi provvedimenti seguono quanto aveva dichiarato il Presidente della Turchia Erdogan: «faremo pulizia all'interno di tutte le istituzioni dello Stato per liberarle dal virus che ha innescato la rivolta», mentre le massime autorità, compreso il presidente, hanno annunciato di voler reintrodurre la pena di morte all'interno dell'ordinamento dello Stato;
   i numeri dell'ondata repressiva scatenata in Turchia dalle autorità di governo hanno allarmato l'Europa e gli Stati Uniti, che dalla solidarietà espressa al Presidente turco e al Governo sono rapidamente passati alla preoccupazione per il rispetto dei diritti umani, a partire dalla possibilità che venga reintrodotta la pena di morte;
   immediatamente alla fine del golpe si è assistito a disumane scene di vendetta di piazza ed episodi di giustizia arbitraria, mentre da più parti è stato espressa profonda preoccupazione per la deriva autoritaria imposta al Paese dalle massime autorità turche al governo del Paese man mano che venivano mostrate all'opinione pubblica mondiale le foto dei militari arrestati seminudi, legati mani e piedi, ammassati per terra all'interno della scuola di polizia di Ankara;
   da mesi, come documentato dagli atti più volte portati all'attenzione della Camera dei deputati, il Governo turco ha iniziato una guerra contro le opposizioni democratiche e le minoranze presenti nel Paese; ha imposto il coprifuoco in numerose città dell'Anatolia del Sud Est (Kurdistan Bakur), colpendo i suoi stessi civili, provocando migliaia di morti e centinaia di miglia di sfollati; ha fatto arrestare e incriminare giornalisti, giudici ed oppositori di ogni tipo;
   in questi mesi è stata da più parti documentata la responsabilità del Governo turco e delle forze di intelligence turche nell'aver permesso che membri di Daesh e di altri gruppi jihadisti entrassero in Turchia e potessero muoversi liberamente nel Paese, così come sono note le responsabilità della Turchia nell'aver aperto i valichi di frontiera ai terroristi; nell'aver permesso il rifornimento di armi, munizioni e supporto logistico; nell'aver permesso che membri di Daesh fossero portati in Turchia per essere curati;
   la Turchia quindi, alleato e membro della Nato, ha favorito in questi anni il passaggio di migliaia di foreign fighter europei, mentre al tempo stesso conduceva una «guerra sporca» contro le organizzazioni curde in Siria e in Iraq, che sono tra le poche forze che hanno causato una serie di sconfitte a Daesh e che hanno dato vita ad un'esperienza di convivenza pacifica tra curdi, arabi, assiri, caldei, aramaici, turcomanni, armeni e ceceni e altre minoranze;
   la Turchia è un membro del Consiglio d'Europa ed è parte della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. In questo momento è in atto una palese violazione degli obblighi in capo allo Stato turco, per cui andrebbe presentato un ricorso interstatale alla Corte europea dei diritti dell'uomo per ottenere una pronuncia della stessa sulle decisioni arbitrarie e sulle gravi violazioni dei diritti umani in corso –:
   quali iniziative urgenti voglia assumere il Governo affinché sia rispettato lo Stato di diritto in Turchia e sia posta fine alla repressione contro le opposizioni democratiche, la magistratura, la stampa e le minoranze presenti nel Paese e, in particolare, se non ritenga di proporre all'Unione europea la sospensione dell'accordo Unione europea-Turchia e, quindi, ogni trasferimento di denaro concordato.
(3-02400)
(19 luglio 2016)

   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   l'attacco verificatosi a Nizza il 14 luglio 2016 sembra essere l'ennesimo atto di una strategia terroristica dell'islamismo radicale che sta insanguinando l'Europa;
   sebbene tra gli attacchi di Parigi del novembre del 2015 e la tragedia di Nizza ci siano differenze organizzative ed esecutive, in entrambi i casi si è trattato di assassini che vogliono colpire la nostra libertà e si è dimostrato una volta di più che, sia che si tratti di terroristi islamici cresciuti in Europa o di squilibrati naturalizzati, un minimo comune denominatore li lega tutti: il radicalismo religioso che inneggia allo Stato islamico;
   seppure la rivendicazione dell'attentato in Costa Azzurra da parte dell'Isis sia ancora al vaglio degli inquirenti, è innegabile che la sicurezza dei cittadini europei è ormai costantemente in pericolo e che è assolutamente necessario adottare ogni misura opportuna a contrastare gli episodi di violenza e di stampo terroristico;
   in questo quadro l'Italia, parallelamente e attraverso la collaborazione con le altre nazioni europee, deve intensificare al massimo tutte le misure di prevenzione, nonché l'attività dei servizi segreti e delle forze dell'ordine e di sicurezza e, in particolare, adottare ogni iniziativa a supporto e a sostegno di queste categorie di lavoratori, invece di proseguire in quella che appare agli interroganti una sistematica attività di screditamento delle stesse che questo Governo e questa maggioranza stanno portando avanti, come sembra dimostrare anche il provvedimento, attualmente in corso di esame al Senato della Repubblica, per l'introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento;
   con particolare riferimento al tema della prevenzione è necessario individuare misure che possano impedire lo svolgimento sul territorio nazionale di attività illegali o contrarie ai principi costituzionali molto prima che si giunga a veri e propri atti di violenza o di tipo terroristico e, a tal fine, è necessario introdurre regole più stringenti per quanto attiene alle attività svolte nelle moschee, negli altri edifici destinati al culto islamico e nei centri culturali e rispetto alla figura degli imam –:
   quali urgenti iniziative, anche normative, intenda assumere con riferimento alle problematiche esposte in premessa.
(3-02401)
(19 luglio 2016)

   BRUNETTA, OCCHIUTO e BALDELLI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   i tragici fatti di Nizza e la minaccia terroristica sempre più incombente hanno procurato un diffuso allarme sicurezza nella popolazione;
   d'altra parte, l'allarme e il senso di sconforto è diffuso tra le stesse forze dell'ordine chiamate a difendere i connazionali, in particolare a seguito degli orientamenti adottati con il provvedimento in materia di tortura, attualmente in corso di esame al Senato della Repubblica, che di fatto ad avviso degli interroganti mette i servitori dello Stato nella mani di chi è accusato di delinquere, proprio perché basta un atto, un'azione non reiterata – anche senza reato specifico intenzionale – per sottoporre gli operatori della sicurezza a denunce;
   le azioni dell'Islam jihadista e la minaccia terroristica sono indissolubilmente legate al tema dei flussi migratori indiscriminati che interessano l'Italia e l'intera Europa. Ebbene, il tema dell'immigrazione è condizionante e si ricorda che è ancora in sospeso l'avvio della fase 3 della missione Eunavfor Med. La fase 3 è fondamentale, perché permetterebbe di entrare nelle acque territoriali libiche, combattendo in maniera efficace gli scafisti responsabili del traffico illegale di clandestini. Ciò significa che il Governo libico è ancora fermo e che il nostro Paese rischia di continuare a sostenere una missione che è in grado solo di alimentare l'immigrazione clandestina;
   davanti agli ultimi drammatici episodi di cronaca internazionale, dai fatti di Dacca alle vicende in Turchia, in un momento così delicato per il Paese e per l'intera Europa, il Governo ha chiesto coesione: è necessario, però, che questa coesione sia reciproca e che il positivo sentimento di collaborazione sia anche e soprattutto da parte del Governo nei confronti delle opposizioni e del Parlamento e non solo in merito ai temi che interessano la sicurezza nazionale ed europea in senso stretto, ma anche su quelli che, correlati a quest'ultima, influiscono sulla vita quotidiana dei cittadini italiani e sulla coesione sociale (crisi economica, povertà, disoccupazione) –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intende intraprendere per rispondere con fermezza alle azioni che minano la sicurezza del nostro Paese, con particolare riferimento ai fatti riportati in premessa e, più in generale, per contrastare ogni minaccia terroristica, definendo una politica sulla sicurezza realmente sostenibile, duratura e che porti risultati concreti. (3-02402)
(19 luglio 2016)

   GIGLI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   la libertà di circolazione e soggiorno delle persone all'interno dell'Unione europea costituisce la pietra angolare della cittadinanza dell'Unione europea, introdotta dal trattato di Maastricht nel 1992;
   essa ha comportato innanzitutto la graduale abolizione delle frontiere interne in virtù degli accordi di Schengen, inizialmente in un numero limitato di Stati membri. Le disposizioni in materia di libera circolazione delle persone sono attualmente stabilite dalla direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; l'attuazione di tale direttiva continua, però, a incontrare considerevoli ostacoli;
   la principale motivazione dei cittadini dell'Unione europea di avvalersi della libera circolazione è data dal lavoro, seguita dalle ragioni familiari. Di tutti i cittadini dell'Unione europea che nel 2012 soggiornavano in uno Stato membro diverso dal proprio («cittadini mobili dell'Unione»), oltre tre quarti dei quali (78 per cento) erano in età attiva (15-64 anni) rispetto al circa 66 per cento che è la fascia rappresentata fra i cittadini del Paese. Il tasso medio di occupazione dei cittadini mobili dell'Unione europea (67,7 per cento) era superiore a quello di coloro che risiedevano nello Stato membro di cui avevano la cittadinanza (64,6 per cento). Tra i cittadini mobili dell'Unione europea, gli inoccupati (tipicamente studenti, pensionati, persone in cerca di occupazione, familiari inattivi) costituiscono soltanto una percentuale limitata del totale; inoltre, il 64 per cento di essi ha già lavorato in precedenza nel Paese in cui soggiorna e il 79 per cento appartiene a un nucleo familiare in cui almeno una persona è occupata. Tra il 2005 e il 2012 il tasso complessivo di inattività è sceso tra i cittadini mobili all'interno dell'Unione europea;
   nel quadro del mercato unico la libera circolazione dei lavoratori ha effetti positivi sulle varie economie e sui diversi mercati del lavoro e le quattro libertà fondamentali (la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali), indissolubilmente legate tra loro, creano i presupposti di una destinazione più efficiente delle risorse all'interno dell'Unione europea. La libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea stimola la crescita economica, in quanto permette alle persone di viaggiare, studiare e lavorare oltre frontiera e mette a disposizione dei datori di lavoro che intendono assumere personale un bacino più ampio di talenti cui attingere. Dati i notevoli squilibri esistenti tra i diversi mercati del lavoro europei e il calo della popolazione in età attiva nel continente, la mobilità del lavoro contribuisce a colmare il divario tra competenze offerte e posti di lavoro disponibili;
   la libera circolazione delle persone, tuttavia, non riguarda esclusivamente i lavoratori. Mentre si afferma sempre più la nozione di cittadinanza nell'Unione europea, infatti, è opportuno garantire tale libertà alle persone che ancora non lavorano. Malgrado un quadro legislativo in materia di libera circolazione dei lavoratori e di riconoscimento delle qualifiche professionali, accanto ai numerosi programmi europei di scambi, permangono ostacoli che rendono ancora difficile la mobilità effettiva degli studenti, delle persone in fase di formazione, dei giovani volontari, degli insegnanti e dei formatori;
   a questo proposito la citata direttiva 2004/38/CE chiarisce lo status di lavoratori dipendenti e autonomi, studenti e persone che non hanno un lavoro retribuito, specificando, altresì, che i cittadini dell'Unione europea in possesso di carta d'identità o passaporto in corso di validità possono vivere in un altro Paese dell'Unione europea per un periodo superiore a tre mesi a determinate condizioni, in base al loro status nel Paese ospitante. I lavoratori, dipendenti o autonomi, non devono soddisfare condizioni aggiuntive. Gli studenti e coloro che non hanno un lavoro retribuito, come, ad esempio, i pensionati, devono disporre di risorse sufficienti per sé e per la propria famiglia, in maniera tale da non gravare sul sistema di assistenza sociale del Paese ospitante, nonché di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi;
   in Europa i sistemi di istruzione hanno radici profonde e sono molto variegati. L'Unione europea non ha, quindi, una politica di istruzione comune, ma il suo ruolo è invece quello di favorire la mobilità e gli scambi, creando una reale cooperazione fra gli Stati membri attraverso: programmi multinazionali in materia d'istruzione, di formazione e di giovani, programmi di scambio e opportunità di apprendimento all'estero, progetti innovativi di insegnamento e apprendimento, nonché reti di competenze in campo accademico e professionale;
   in Italia le università, che si muovono in autonomia in base alla loro struttura amministrativa, sono promotrici di numerose iniziative e programmi nel campo della mobilità e degli scambi;
   nell'Unione europea vige il principio fondamentale di non discriminazione in base alla cittadinanza tra gli studenti di uno Stato membro e quelli dello stesso Stato che frequentano corsi in un altro Stato membro. Questo principio vale anche per le condizioni d'ammissione ad un istituto d'insegnamento o di formazione, in materia di tasse d'iscrizione o di condizioni per la concessione di una borsa di studio, destinata a coprire l'importo di queste tasse d'iscrizione;
   tutti gli Stati dell'Unione europea prevedono, nella loro legislazione, un'assistenza finanziaria agli studenti universitari e in alcuni Stati membri, se uno studente decide di seguire un corso in un altro Stato membro, la legislazione consente anche il trasferimento della borsa di studio concessa. Questo significa che lo studente può continuare a beneficiare dell'aiuto finanziario concesso dal proprio Paese anche quando frequenta un corso in un altro Stato membro;
   la mobilità degli studenti nel mondo dell'istruzione è uno dei punti forti dell'Unione europea che si impegna a favorire lo «spostamento temporaneo» di giovani, al fine di facilitare l'acquisizione degli strumenti culturali adeguati alle esigenze del contesto europeo e di migliorare la trasparenza ed il riconoscimento dei titoli conseguiti. Cambiare Paese, metodo e cultura apre la mente e forma un carattere universale. Questo potrebbe essere il futuro dell'istruzione e del mondo del lavoro, che cerca giovani versatili, creativi, in grado di comunicare con l'altro a 360 gradi. Sta crescendo, infatti, sempre più la consapevolezza che i processi educativi abbiano un ruolo determinante nella costruzione del cittadino europeo, una persona capace di capire e conciliare la propria storia con quelle diverse dalla propria;
   numerosi sono i programmi dell'Unione europea per la mobilità degli studenti: Erasmus, Erasmus mundus, Lifelong learning (all'interno dei quali si trovano quattro programmi settoriali: Comenius, Erasmus, Leonardo da Vinci, Grundtvig), Azione Jean Monnet, Tempus e altri ancora;
   tutto quanto sopra esposto rischia di essere vanificato nel momento in cui in alcuni Stati membri si verificano casi, riferiti all'interrogante, del negato riconoscimento a studenti europei della validità dei titoli conseguiti nel Paese di origine ai fini dell'ammissione a corsi o facoltà universitarie di un altro Stato membro;
   è il caso di quanto avviene in Portogallo, dove – come riferito all'interrogante – la direcao general do ensino superior del Ministero dell'educazione e della scienza ha negato ad uno studente italiano l'ammissione al corso di biologia marina della facoltà di scienza e tecnologia dell'Università dell'Algarve;
   la direcao general do ensino superior ha sostenuto in proposito che l'esame finale sostenuto al termine del ciclo di studio della scuola secondaria di secondo grado, che nel nostro Paese è titolo di accesso a tutte le facoltà universitarie, ad eccezione di quelle che prevedono un numero limitato di posti (facoltà a numero chiuso) e nelle quali si accede previo superamento di un test di ammissione specifico, non avrebbe la medesima validità dell'omologa prova che deve essere sostenuta e superata dagli studenti portoghesi per frequentare il citato corso di biologia marina;
   tale obiezione avrebbe avuto senso se allo studente italiano fosse stato permesso di partecipare al concorso nazionale di accesso previsto per gli studenti portoghesi, risultando altrimenti impossibile accedere ai corsi universitari di quel Paese;
   la Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all'insegnamento superiore nella regione europea (nota anche come «Convenzione di Lisbona»), approvata l'11 aprile 1997, ratificata dall'Italia con legge 11 luglio 2002, n. 148, nel quadro più ampio del riconoscimento del diritto allo studio e del riconoscimento dei titoli di studio, annovera tra i suoi principali obiettivi quello di consentire ai diplomati della scuola secondaria superiore di accedere alle università e agli altri istituti di istruzione superiore di tutti i Paesi;
   l'autoreferenzialità di molti atenei e docenti, le barriere difensive elevate dalle corporazioni professionali nazionali, nonché il pregiudizio circa la qualità dell'istruzione superiore degli altri Paesi sono atteggiamenti e comportamenti che rischiano di coagularsi in una pericolosa miscela di protezionismo e di infettare il corpo sociale europeo con il virus dell'autarchia –:
   quali tempestive iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare al fine di garantire la mobilità internazionale di studenti e laureati e la libera circolazione dei professionisti, anche con riferimento al caso citato in premessa, attuando altresì quanto previsto dalla citata Convenzione di Lisbona.
(3-02403)
(19 luglio 2016)

   GALGANO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   secondo il comma 6 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 («buona scuola»): «Le istituzioni scolastiche effettuano le proprie scelte in merito agli insegnamenti e alle attività curricolari, extracurricolari, educative e organizzative e individuano il proprio fabbisogno di attrezzature e di infrastrutture materiali, nonché di posti dell'organico dell'autonomia di cui al comma 64»;
   ai commi 56 e 56 dell'articolo 1 la suddetta legge fa esplicito riferimento al «piano nazionale per la scuola digitale», evidenziando come «al fine di sviluppare e di migliorare le competenze digitali degli studenti e di rendere la tecnologia digitale uno strumento didattico di costruzione delle competenze in generale, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca adotta il piano nazionale per la scuola digitale, in sinergia con la programmazione europea e regionale e con il progetto strategico nazionale per la banda ultralarga»; e ancora «a decorrere dall'anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, le istituzioni scolastiche promuovono, all'interno dei piani triennali dell'offerta formativa e in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, azioni coerenti con le finalità, i principi e gli strumenti previsti nel piano nazionale per la scuola digitale di cui al comma 56»;
   la legge sulla «buona scuola», inoltre, al comma 58 dell'articolo 1 specifica gli obiettivi del piano nazionale per la scuola digitale «a) realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, anche attraverso la collaborazione con università, associazioni, organismi del terzo settore e imprese, nel rispetto dell'obiettivo di cui al comma 7, lettera h); b) potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni scolastiche; d) formazione dei docenti per l'innovazione didattica e sviluppo della cultura digitale per l'insegnamento, l'apprendimento e la formazione delle competenze lavorative, cognitive e sociali degli studenti»;
   infine, il comma 59 dell'articolo 1 è dedicato ai docenti per il coordinamento delle attività del piano nazionale scuola digitale, stabilendo che «le istituzioni scolastiche possono individuare, nell'ambito dell'organico dell'autonomia, docenti cui affidare il coordinamento delle attività di cui al comma 57. Ai docenti può essere affiancato un insegnante tecnico-pratico»;
   dunque, secondo le finalità del Governo e del Parlamento l'informatica e l'informatizzazione sono due dei pilastri fondamentali per la formazione degli studenti. Tanto che nella nota divulgativa relativa alla legge n. 107 del 2015 si evidenzia che «il nostro è il secolo dell'alfabetizzazione digitale: la scuola ha il dovere di stimolare i ragazzi a capire il digitale oltre la superficie. A non limitarsi ad essere “consumatori del digitale”. A non accontentarsi di utilizzare un sito web, una app, un videogioco ma a progettarne uno. Perché programmare non serve solo agli informatici, serve a tutti e serve al nostro Paese per tornare a crescere, aiutando i nostri giovani a trovare lavoro e a crearlo per sé e per gli altri»;
   è lo stesso Governo ad indicare il punto di arrivo delle previsioni della legge sulla «buona scuola» specificando che «si dovrà promuovere l'informatica per ogni indirizzo scolastico. Fin dal prossimo anno vogliamo attivare un programma per digital maker, sostenuto dal Ministero e anche da accordi con la società civile, le imprese, l'editoria digitale innovativa. Concretamente ogni studente avrà l'opportunità di vivere un'esperienza di creatività e di acquisire consapevolezza digitale»;
   tuttavia, se si vanno a guardare i numeri dei posti di potenziamento relativi all'anno scolastico 2016/2017, si scopre che, ad oggi, per l'informatica ne sono stati previsti 6 in tutta Italia contro i 147 di matematica e fisica e i 501 di diritto;
   eppure in Italia ci sono circa 8 mila docenti abilitati all'insegnamento dell'informatica nelle scuole secondarie e che, anche a fronte di una consistente richiesta di potenziamento della materia presentata dagli istituti delle rispettive regioni, si troveranno a dover essere trasferiti altrove perché hanno ricevuto una proposta di assunzione soprattutto nel Nord Italia con la «fase b» del piano straordinario di assunzioni della legge sulla «buona scuola»;
   nel caso specifico dell'Umbria, ad esempio, si tratta di docenti abilitati all'insegnamento di matematica, fisica e informatica della provincia di Perugia, che sono stati assunti fuori regione con la cosiddetta «fase b» del piano straordinario di assunzioni della legge sulla «buona scuola» e che da almeno 6 anni (alcuni addirittura 12) lavorano come supplenti nelle scuole superiori della provincia di Perugia, principalmente insegnando matematica e fisica;
   docenti che hanno scelto di lavorare nella scuola, che hanno investito in questo lavoro molti anni della loro vita, sebbene fossero precari, con passione e con dedizione, insegnando materie che hanno studiato e approfondito e nella cui didattica si sono specializzati;
   grazie all'abilitazione in informatica a settembre 2015 è stata fatta loro una proposta di assunzione per insegnare questa disciplina nelle regioni del Nord Italia, dove mancano docenti di informatica. Proposta che hanno dovuto accettare pena il «depennamento» da tutte le graduatorie nelle quali erano inseriti, lasciando così scoperti i posti nelle scuole in Umbria;
   i colleghi, che si trovavano nelle stesse graduatorie di matematica e fisica ma non sono abilitati in informatica, sono rientrati nella fase successiva del piano di assunzioni (fase c), ottenendo una cattedra nell'organico di potenziamento in provincia di Perugia in matematica o in fisica;
   di fatto, dunque, questi docenti si sono visti penalizzati per aver voluto prendere un'abilitazione in più rispetto agli altri docenti, ovvero quella in informatica, e si sono visti scavalcati non solo dai colleghi delle graduatorie ad esaurimento con meno punti, ma anche dai docenti che saranno assunti con il nuovo concorso. Anche se la legge sulla «buona scuola» considera l'informatica come una delle materie chiave per la formazione degli studenti, nel perugino le numerose richieste di potenziamento per la materia avanzate dalle scuole non verranno soddisfatte nonostante – questo il paradosso – ci siano docenti che potrebbero farlo e che, invece, si troveranno ad essere trasferiti nel Nord Italia;
   nel caso dell'Umbria, infatti, per informatica sono stati messi a concorso solo 3 posti proprio a seguito dell'assunzione di questi insegnanti fuori regione;
   una condizione che accomuna circa 8 mila docenti in tutto il Paese e che, tra l'altro, potrebbe essere sanata in parte se venissero accolte le richieste delle scuole riguardo l'organico di potenziamento, come previsto dalla legge della «buona scuola» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per far fronte alle richieste di potenziamento per l'insegnamento dell'informatica presentate dalle singole scuole e quali misure intenda mettere in campo per garantire la puntuale applicazione delle previsioni della legge sulla «buona scuola» in relazione in particolare al piano nazionale per la scuola digitale, facendo in modo che l'insegnamento dell'informatica venga garantito in tutte le scuole. (3-02404)
(19 luglio 2016)

   MANNINO, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. – Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. – Per sapere – premesso che:
   la Regione siciliana è oggetto della procedura di infrazione n. 2015/2165 aperta dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia giacché non ha rispettato il termine dei sei anni, previsto dall'articolo 30, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE, per l'aggiornamento del piano dei rifiuti;
   in Sicilia la fine dei poteri speciali ossia derogatori messi in campo attraverso le ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri è coincisa con l'emanazione da parte del presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, di ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Sebbene lo strumento sia cambiato, nei fatti la sostanza resta quasi identica, giacché si continua ad andare in deroga a diverse norme regionali, leggi nazionali e soprattutto direttive europee;
   in data 7 agosto 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri ha formulato due diffide nei confronti della Regione siciliana. Con la prima, il Presidente del Consiglio dei ministri ha diffidato la Regione siciliana a provvedere, entro 60 giorni, all'approvazione definitiva del piano regionale di gestione dei rifiuti; con la seconda, invece, ha diffidato la Regione siciliana a riperimetrare gli ambiti territoriali ottimali entro 30 giorni, a costituire gli organi amministrativi entro 150 giorni e ad adeguare la legislazione regionale in materia di gestione dei rifiuti entro 60 giorni;
   il 29 dicembre 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ulteriormente chiesto alla Regione siciliana le iniziative assunte per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti, con l'invito a fornire ogni elemento utile al fine di valutare le conseguenti azioni dovute per il ripristino della regolare gestione del ciclo dei rifiuti;
   nel mese di febbraio 2016 sono state emesse dal presidente della Regione siciliana, ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, n. 30 ordinanze a partire dalla n. 8 del 27 settembre 2013;
   a fine marzo 2016, la Regione siciliana, nella persona del dottor Armenio, ha inviato al Presidente del Consiglio dei ministri la richiesta di stato d'emergenza, giacché i provvedimenti di emergenza, ai sensi del comma 1 dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, non sono più reiterabili poiché sono stati superati i termini previsti dalla legge;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rispondendo alla richiesta della Regione siciliana, non concede un nuovo commissariamento ma accorda – ai sensi del comma 4 dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 – l'emanazione da parte del presidente Crocetta di una nuova ordinanza contigibile ed urgente. Tale autorizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare viene comunicata alla Regione siciliana il 31 maggio 2016, attraverso una lettera dal titolo: «Situazione emergenziale nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella Regione siciliana – Prescrizioni per la concessione dell'intesa ex articolo 191, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152». Alla luce di tale accordo raggiunto, il presidente Crocetta firma, in data 7 giugno 2016, una nuova ordinanza, la 5/rif;
   a distanza di più di un mese dall'ordinanza del punto precedente, il cronoprogramma concordato tra la Regione siciliana e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato in larga parte disatteso, così come evidenziato in una lettera datata 11 luglio 2016, sottoscritta anche dalla prima firmataria della presente interrogazione ed inviata al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti;
   dopo l'ordinanza 5/rif, il presidente Crocetta ha firmato anche: la 6/rif del 30 giugno 2016; la 7/rif del 14 luglio 2016; la 8/rif del 15 luglio del 2016; ed una non meglio specificata, in punta di diritto, disposizione attuativa n. 26 dell'11 luglio 2016, denominata piano straordinario di emergenza per il conferimento dei rifiuti urbani e azioni immediate per l'avvio della raccolta differenziata nel territorio regionale;
   la situazione attuale, fatta di continue emergenze, dimostra, ad avviso degli interroganti, come l'operato del presidente Crocetta sia in larga parte insufficiente;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 febbraio 2016, all'articolo 2, comma c), prevede che spetta al Ministro interrogato la promozione, tra le altre cose, di iniziative nell'ambito dei rapporti tra Stato e sistema delle autonomie e l'esercizio coordinato e coerente dei poteri e di rimedi previsti in caso di inerzia o di inadempienza, anche ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo del Governo di cui all'articolo 120 della Costituzione e degli articoli 137 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 –:
   quali iniziative intenda intraprendere – ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 febbraio 2016, soprattutto per quanto riguarda l'articolo 2, comma c) – affinché vengano superate le inerzie e le inadempienze della Regione siciliana di cui in premessa. (3-02405)
(19 luglio 2016)

   BORGHESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri n. 100 del 15 gennaio 2016 ha deliberato l'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti delle regioni Toscana, Calabria, Liguria, Marche, Puglia, Lombardia e Umbria, disponendo la modifica del loro calendario venatorio con la chiusura della caccia al 20 gennaio 2016 per le specie tordo bottaccio, beccaccia e cesena;
   l'attività venatoria è disciplinata in Italia dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, che ha fondamentalmente recepito la direttiva 79/409/CEE (ora direttiva 2009/14/CE), concernente la conservazione degli uccelli selvatici. La suddetta legge n. 157 del 1992 demanda alle regioni la gestione e la disciplina dell'attività venatoria;
   nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot, il Governo italiano ha ricevuto dalla Commissione europea una richiesta di informazioni (caso EU Pilot 6955/14/ENVI) in merito a dubbi di violazione della direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici. In particolare, per mezzo di svariate denunce, la Commissione europea è stata informata del fatto che le attività venatorie in varie regioni italiane potrebbero non essere compatibili con la legislazione europea applicabile. In particolare, alcune specie di uccelli sono cacciate in Italia in fase di migrazione prenuziale;
   in ragione di ciò, la Commissione europea chiede che le autorità italiane chiariscano, in particolare che i calendari venatori di alcune regioni italiane siano coerenti con la direttiva 2009/147/CE. In particolare, chiede di chiarire la discrasia tra l'articolo 18 della legge n. 157 del 1992, che prevede per queste specie un periodo di caccia fino al 31 gennaio, e quanto invece riportato sul documento Key concepts che per le suddette specie prevede che la migrazione di ritorno alle zone di nidificazione inizia in Italia nella seconda decade di gennaio;
   gli articoli 2.7.3 e 2.7.10 della guida europea alla disciplina della caccia nell'ambito della direttiva 79/409/CE esplicitamente prevedono che le regioni degli Stati membri possano discostarsi dal dato Key concepts nazionale, quando in possesso di dati scientifici che dimostrino una differenza nei tempi di migrazione delle specie cacciabili;
   la giustizia amministrativa italiana in più occasioni ha giudicato corrette le scelte delle regioni italiane che, utilizzando dati scientifici più completi ed aggiornati, si sono discostate motivatamente e giustificatamente dai dati Key concepts nazionali, come previsto dalla guida alla disciplina della caccia dell'Unione europea, prevedendo la chiusura della caccia al tordo bottaccio, alla cesena e in alcuni casi alla beccaccia al 31 gennaio nel rispetto della legge n. 157 del 1992;
   lo stesso ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con propria nota protocollo n. 1347/GAB del 23 gennaio 2015, ha inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri una relazione di risposta alla Commissione ambiente dell'Unione europea riguardante la procedura EU PILOT 6955/ENVI/14, dove riconosce che il documento Key concepts, che riporta «le date di dipendenza e di avvio della migrazione prenuziale nei diversi Paesi, presenta delle «incongruenze» difficili da spiegare nel confronto fra Paesi confinanti. Situazione questa che si ritiene debba essere adeguatamente tenuta in considerazione in questo contesto e, comunque, risolta per evitare disparità di trattamento fra cittadini europei»; si tratta, infatti, delle stesse popolazioni di specie migratrici (beccaccia, tordo bottaccio e cesena) che si diffondono uniformemente in Spagna, Francia mediterranea e Italia per lo svernamento e che da qui nella seconda decade di febbraio partono per fare ritorno ai luoghi di nidificazione (inizio della migrazione prenuziale);
   l'evidente difforme applicazione della direttiva 2009/147/CE fra Spagna, Grecia, Francia e Italia determina disparità di trattamento fra cittadini europei, giacché la chiusura anticipata della caccia in Italia al 20 gennaio rispetto alla consentita chiusura della caccia al 20 febbraio in Spagna e in Francia non ha nessun fondamento scientifico;
   gli interroganti non ritengono esistenti i presupposti previsti dalla legge 5 giugno 2003, n. 131, per procedere all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle regioni, in quanto è stato accertato il pieno rispetto della normativa statale (legge n. 157 del 1992) da parte delle regioni in fase di predisposizione e approvazione dei calendari venatori e, quindi, la coerenza con le normative comunitarie;
   sembra che la Commissione europea non si sia ancora pronunciata in merito ai chiarimenti prodotti dagli uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in risposta alle domande sul caso EU Pilot 6955/14/ENVI e non abbia, quindi, accertato e contestato violazioni formali;
   durante il recente esame parlamentare della legge europea 2015-2016 è stato accolto un ordine del giorno, con il quale si impegna il Governo a promuovere in sede di Unione europea un processo di revisione dei Key concept –:
   quali siano i motivi che hanno portato il Ministro interrogato a proporre l'esercizio del potere sostitutivo al Consiglio dei ministri del 15 gennaio 2016, nonché quali iniziative intenda intraprendere, anche alla luce dell'approvazione del suddetto ordine del giorno, per aggiornare i dati Key concepts italiani, indicando quale inizio della migrazione prenuziale delle tre specie migratrici in questione la seconda decade di febbraio, così da allinearli a quelli francesi e spagnoli che la Commissione europea, anche di recente, ha confermato di ritenere corretti. (3-02406)
(19 luglio 2016)

   OTTOBRE. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   l'intesa raggiunta in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 16 dicembre 2010, relativa alle «linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», ha stabilito la permanenza dei punti nascita con un numero di parti all'anno pari o superiore a 500;
   tale requisito ha tolto, così, almeno il 30 per cento dei punti nascita presenti sul territorio nazionale, secondo i dati del 2013 forniti dalla banca dati Sdo del Ministero della salute, senza tenere in considerazione la particolare situazione orografica delle regioni alpine, dove i punti nascita sono raggiungibili con notevole difficoltà, soprattutto nel periodo invernale, che, come noto, in quelle zone è notevolmente prolungato, e dove c’è anche il problema della mancanza di bacino di utenza che, con tali scelte politiche, si contribuisce solo che ad alimentarlo;
   in Austria, Germania e Svizzera, invece, sono state fatte scelte diverse, più flessibili e più ragionevoli per le esigenze dei cittadini, nonostante tali Paesi debbano rispettare le medesime linee di indirizzo internazionali, con la «pronta disponibilità sostitutiva» di ginecologi, anestesisti e pediatri che garantiscono una rapidità di intervento di 10 minuti;
   tutto ciò ha comportato che le regioni che non hanno il problema della presenza di zone montane o disagiate sono già riuscite a riorganizzare il percorso nascita, con la chiusura di 60 strutture tra il 2010 e il 2013, mentre le regioni dell'arco alpino e quelle che presentano difficili condizioni territoriali, quali la distanza e l'orografia, nonché difficoltà a garantire il servizio di trasporto assistito materno e il servizio di trasporto d'emergenza neonatale ancora non riescono a riorganizzarsi;
   il Sottosegretario per la salute delegato, nella risposta all'interrogazione a risposta immediata in Commissione dell'interrogante e dell'onorevole Borghese, in data 2 luglio 2015, affermava: «(...) L'accordo ha previsto la persistenza di punti nascita in deroga al volume minimo di 500 parti all'anno esclusivamente in caso di situazioni orografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti dall'accordo per le unità operative ostetriche e neonatologico/pediatriche di I livello»; continuando poi: «il Ministero della salute verifica che l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza avvenga nel rispetto delle condizioni di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse e accerta la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal servizio sanitario nazionale; nonché che le strategie di riorganizzazione dei punti nascita siano coerenti con le politiche convenute nell'accordo ed opera sulla sicurezza del percorso nascita una costante azione di affiancamento alle regioni, attestata, tra l'altro, dal rinnovo, con decreto ministeriale del 19 dicembre 2014, del Comitato percorso nascita nazionale, che supporta le regioni e le province autonome nell'attuazione delle migliori soluzioni per la qualità e la sicurezza del percorso nascita.» Concludendo con: «La questione riguardante l'eventuale aggiornamento dei requisiti e degli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza, che i punti nascita con volumi inferiori a 500 parti all'anno devono possedere, è stata più volte affrontata e dibattuta nell'ambito del continuo confronto tra il Ministero della salute e le regioni sulla sicurezza del percorso nascita. Tuttavia, emerge con ogni evidenza tecnico-scientifica che le modalità organizzative, seppur flessibili ed idonee, in particolare per strutture di zone disagiate con meno di 500 parti all'anno devono garantire gli standard qualitativi, di efficienza ed appropriatezza stabiliti dall'accordo, che permettano il parto in condizioni di sicurezza»;
   la chiusura del punto nascita di Arco, a seguito della decisione della commissione ministeriale, lascia l'intera comunità perplessa, in quanto punto di riferimento di tutto l'Alto Garda, della Val di Ledro ma anche di comuni confinanti del bresciano e del veronese, da Malcesine a Limone, da Magasa a Tremosine;
   dal documento finale del Comitato percorso nascita nazionale sembrerebbe che non siano stati minimamente presi in considerazione tutti i dati della Val di Ledro, una realtà di 5.400 residenti stabili che nelle stagioni turistiche aumentano esponenzialmente;
   sembrerebbe che il punto nascita dell'ospedale di Arco non abbia superato l'esame del Comitato nazionale punti nascita, in quanto, dalle motivazioni espresse, appare come siano stati fattori determinanti le condizioni orografiche ritenute meno disagevoli rispetto a quelle dei bacini di riferimento di Cavalese e Cles e il tasso di fidelizzazione delle pazienti (64 per cento) anche in questo caso inferiore agli altri due; fattori questi che a parere dell'interrogante risultano essere poco precisi nella valutazione reale del territorio: infatti, le strade sono comunque molto tortuose e trafficate e i due elicotteri di Trentino emergenza sono spesso impegnati, tutto ciò a indubbio discapito della sicurezza delle partorienti; il tasso di fidelizzazione delle pazienti, inoltre, risulterebbe dai dati in possesso del sottoscritto, al 70 per cento, pertanto ricadente nei requisiti previsti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei canoni di valutazione, applicati dal Comitato percorso nascita nazionale, per la scelta della chiusura del punto nascita di Arco, se tali valutazioni corrispondano ai dati reali della zona a cui il punto nascita fa riferimento e se in base a ciò possa chiarire se il parere espresso dal Comitato percorso nascita nazionale debba ritenersi vincolante per la provincia di Trento. (3-02407)
(19 luglio 2016)

   BINETTI, CALABRÒ e PAGANO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   dal 6 luglio 2016 l'Italia non è più sotto accusa di fronte al Consiglio d'Europa per la spinosa questione dell'obiezione di coscienza all'aborto, sollevata nel 2013 dalla Cgil;
   il 6 luglio 2016, infatti, il Comitato dei ministri, organo di governo politico del Consiglio d'Europa, che conta 47 membri, tra cui Svizzera, Russia e Ucraina, ha pubblicato una risoluzione positiva sul contenzioso tra il Governo italiano e la Cgil, promuovendo l'Italia per la sua gestione della materia, dopo averla censurata in un primo momento per decisione del Comitato europeo per i diritti sociali;
   l'11 aprile 2016, infatti, il Comitato europeo per i diritti sociali aveva accolto, sia pure parzialmente, il ricorso presentato dalla Cgil, che aveva rilevato la violazione di una serie di articoli della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, tra cui la carenza di prestazione nei servizi d'interruzione di gravidanza;
   secondo la Cgil le donne che desideravano ricorrere ai servizi di aborto continuavano a incontrare reali difficoltà, con rischi considerevoli per la loro salute e per il loro benessere; la Cgil aveva, inoltre, contestato la discriminazione su base geografica del trattamento offerto nelle diverse regioni, con servizi migliori in alcune regioni rispetto ad altre;
   la Cgil aveva, inoltre, denunciato anche il fatto che medici non obiettori sarebbero stati trattati peggio di quelli obiettori in quanto a carichi di lavoro, ripartizione delle mansioni e possibilità di carriera e aveva parlato di vere o presunte pressioni di cui sarebbero stati oggetto i medici non obiettori per cambiare il loro orientamento;
   in altri termini la Cgil accusava il Governo italiano di non assicurare misure sufficienti a garantire l'aborto come previsto dalla legge n. 194 del 1978 a fronte dell'alto numero di ginecologi obiettori, attestati ormai stabilmente attorno al 70 per cento sul totale e l'11 aprile 2016 i rilievi presentati dalla Cgil erano stati accolti dalla commissione competente del Consiglio d'Europa;
   la notizia era stata divulgata con enorme risalto mediatico dai media nazionali che avevano contestualmente affermato che si trattava di una «vittoria» del «diritto di abortire» sulle istanze opportunistiche di chi decideva di fare obiezione per sottrarsi a turni pesanti e ad altre non meglio precisate forme di discriminazione;
   la commissione competente del Consiglio d'Europa aveva poi concesso al Governo italiano la possibilità di presentare le proprie controdeduzioni in una seduta pubblica, che si è svolta il 24 maggio 2016, nel corso della quale era stato possibile chiarire una serie di aspetti che non erano stati esaminati con la dovuta attenzione nel corso della prima valutazione, anche perché la commissione disponeva di una documentazione non sufficientemente aggiornata;
   il 6 luglio 2016 il Comitato dei ministri ha pubblicato una risoluzione nella quale si tiene conto delle informazioni comunicate dalla delegazione italiana e si prende nota delle informazioni fornite in seguito alla decisione del Comitato europeo dei diritti sociali che accoglie con favore gli sviluppi positivi intervenuti e nel documento si sottolinea che il Comitato dei ministri attende con interesse il rapporto che sarà sottoposto dall'Italia al Comitato europeo dei diritti sociali nel 2017;
   il Comitato dei ministri, organismo politico di livello superiore rispetto al Comitato per i diritti sociali, ha quindi accolto gli argomenti forniti dal Ministero della salute ritenendoli più persuasivi del reclamo presentato dalla Cgil; il nostro Paese esce quindi dalla posizione scomoda di «accusato» –:
   quali misure intenda assumere il Governo per un attento monitoraggio della legge n. 194 del 1978, in modo che venga sempre e comunque garantito il diritto all'obiezione di coscienza del personale sanitario, a cominciare dalle ostetriche e dagli stessi ginecologi. (3-02408)
(19 luglio 2016)

   LENZI, SERENI, AMATO, ARGENTIN, BENI, PAOLA BOLDRINI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, MARIANO, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PIAZZONI, PICCIONE, GIUDITTA PINI, SBROLLINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il nuovo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che sostituisce integralmente il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza», è stato predisposto in attuazione della legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, commi 553 e 554, legge 28 dicembre 2015, n. 208), che ha stanziato 800 milioni di euro annui per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza;
   la definizione dei livelli essenziali d'assistenza è, dunque, ferma al 2001, dopo che nel 2008 il decreto che avrebbe dovuto ridefinire i livelli essenziali di assistenza non entrò mai in vigore, in seguito ai rilievi su profili attinenti all'equilibrio economico mossi dalla Corte dei conti;
   la revoca del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2008 ha comportato anche il mancato aggiornamento del nomenclatore tariffario degli ausili e delle protesi, aggravando così ulteriormente una situazione già di per sé difficile, visto che, di fatto, ha escluso dal rimborso tutte le nuove applicazioni tecnologiche che sicuramente rendono più agevole compiere i normali gesti quotidiani alle persone disabili. L'elenco in vigore risale al 1999, identico peraltro a quello originario del 1992: non è mai stato modificato, benché fosse previsto un aggiornamento ogni tre anni;
   i nuovi livelli essenziali di assistenza devono recepire tra le varie novità anche la legge 18 agosto 2015, n. 134, in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico, dove si prevede, all'articolo 3, l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con l'inserimento «delle prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l'impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche disponibili»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, se è pur vero che non è strutturato per patologie, prevede, all'allegato n. 8, «pacchetti» di interventi per molte singole disabilità, anche intellettive, come, ad esempio, la sindrome di Down, dimenticando completamente l'autismo, nonostante la citata legge n. 134 del 15 esigesse l'emanazione di livelli essenziali di assistenza specifici per l'autismo entro sei mesi dall'entrata in vigore, termine scaduto alla fine del mese di gennaio 2016;
   il nuovo schema di revisione dei livelli essenziali di assistenza, invece, nomina l'autismo includendolo nel capitolo delle psicosi, ciò che contrasta a giudizio degli interroganti con tutta la letteratura scientifica degli ultimi trent'anni, provocando inoltre l'uscita dalla diagnosi di autismo al compimento dei 18 anni. Nell'elenco delle prestazioni del «pacchetto» per le psicosi in genere manca, ad esempio, l'intervento cognitivo comportamentale raccomandato dalla linea guida n. 21 dell'Istituto superiore di sanità («Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti»), manca la gran parte degli interventi specifici previsti dalle linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore dei disturbi pervasivi dello sviluppo, con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico, approvate a suo tempo dalla Conferenza unificata Stato-regioni e manca anche la scala Vineland, che viene richiesta dall'Inps per determinare la necessità dell'indennità di accompagnamento piuttosto che quella di frequenza –:
   se il Ministro interrogato, alla luce delle ragioni sopra evidenziate, non ritenga necessario promuovere le necessarie modifiche affinché nel nuovo decreto di revisione dei livelli essenziali di assistenza vi sia un'indicazione specifica dei trattamenti terapeutico-riabilitativi, assistenziali, che sia i minori che gli adulti sofferenti di disturbi dello spettro autistico hanno diritto di ricevere. (3-02409)
(19 luglio 2016)