TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 630 di Martedì 24 maggio 2016

 
.

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A FAVORIRE L'ACCESSO AGLI STUDI UNIVERSITARI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AD UN'EQUA RIPARTIZIONE DELLE RISORSE SUL TERRITORIO NAZIONALE

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia nel 2014 è stato lo Stato membro dell'Unione europea con la minore percentuale di giovani laureati: con il 23,9 per cento si colloca, purtroppo, all'ultimo posto fra i 28 Stati membri, paragonato al 49,9 per cento della Svezia, al 47,7 per cento del Regno unito, ma anche al 31,3 per cento del Portogallo e al 25 per cento della Romania;
    sono dati inquietanti che fanno riflettere profondamente sullo stato di salute delle nostre università italiane e sulle scelte fatte negli ultimi vent'anni con la consapevolezza della necessità, non più procrastinabile, di analisi più approfondite sull'argomento ma anche di un complessivo ripensamento dell'indirizzo di governo che riguardi l'istruzione superiore che significa produzione culturale del Paese, formazione delle classi dirigenti e, in particolare, di quel capitale umano di qualità che è il fattore produttivo decisivo nell'economia di un Paese, specialmente in un paese così diverso al suo interno come l'Italia;
    l'Europa si è data l'obiettivo, nel 2020, di avere il 40 per cento di giovani laureati. L'obiettivo italiano alla stessa data è pari al 26-27 per cento, che continuerebbe a collocarla all'ultimo posto, rischiando di essere superata anche dalla Turchia. La regione con la percentuale maggiore di laureati, il Lazio (31,6 per cento), si colloca su livelli pari al Portogallo. Quattro regioni italiane, tutte del Mezzogiorno, sono fra le ultime dieci nella graduatoria delle 272 europee; la Sardegna (17,4 per cento) è penultima: la sua percentuale di giovani laureati è superiore solo alla regione ceca dello Severozápad;
    il nostro Paese nel giro di pochi anni, ha vissuto un disinvestimento molto forte nella sua università, in totale controtendenza rispetto a tutti i paesi avanzati che continuano invece ad accrescere la propria formazione superiore. Mentre il finanziamento pubblico delle nostre università italiane si contraeva del 22 per cento, in Germania cresceva del 23 per cento; persino i paesi mediterranei più colpiti dalla crisi hanno ridotto di meno il proprio investimento sull'istruzione superiore;
    i fondi del diritto allo studio universitario sono distribuiti alle regioni secondo criteri che generano gravi sperequazioni a danno delle regioni del Sud;
    per effetto di tale distribuzione il 75 per cento degli studenti che, secondo la Costituzione italiana, avrebbero diritto a beneficiare di borse di studio e non ne beneficiano sono iscritti nelle università del Sud;
    il rapporto della Fondazione Res, recentemente presentato, fotografa la condizione degli atenei italiani, da Nord a Sud, come un costante, inesorabile declino a cominciare dalla caduta delle immatricolazioni: dal 2003-04 si riducono di oltre 66 000 unità, fino a meno di 260 000 nel 2014-15 (-20,4 per cento). Fra tutti i Paesi avanzati solo la Svezia e l'Ungheria sperimentano un decremento più forte. Al contrario, gli immatricolati crescono sensibilmente nella media dei Paesi dell'Ocse e a ritmi particolarmente sostenuti, oltre che negli emergenti, in Germania e Regno unito. Il calo delle immatricolazioni, sempre dal 2003-04, è poi differenziato per territori: è particolarmente intenso nelle isole (-30,2 per cento), nel Sud continentale (-25,5 per cento) e nel Centro (-23,7 per cento, specie nel Lazio); più contenuto al nord (-11 per cento);
    è grave il fenomeno migratorio di diplomati che, in numero di 24 mila, ogni anno abbandonano le regioni del Sud per studiare in università del Centro e del Nord e questo aggrava la già depressa situazione del Meridione;
    la mobilità studentesca è un fenomeno estremamente positivo, perché rappresenta un'esperienza di vita indipendente per i giovani, consente la scelta del corso di studio più adatto e una competizione sana tra atenei, ma è una mobilità a senso unico, da Sud verso Nord. Nel 2014-15 oltre 55 000 studenti si sono immatricolati in una regione diversa da quella di residenza;
    al Nord questo fenomeno riguarda il 17,8 per cento degli immatricolati, che rimangono quasi tutti (5/6) all'interno della circoscrizione. Al Centro è meno rilevante (14,5 per cento degli immatricolati), specie per gli studenti toscani e laziali, ma orientata di più verso l'esterno: metà di chi cambia regione va al nord, un terzo rimane al Centro, un sesto va al Sud;
    al Sud la mobilità è molto maggiore: riguarda il 28,9 per cento degli immatricolati, 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro. È la mobilità dei circa 29 000 immatricolati (in un anno) meridionali il fenomeno più importante, con una mobilità interna al Mezzogiorno assai contenuta e un flusso in uscita dalla circoscrizione a cui non corrisponde un flusso in entrata;
    la mobilità solo in direzione d'uscita è negativa perché genera da una parte una perdita per le aree di origine in termini di capitale umano, dall'altra un trasferimento di reddito a favore delle regioni di entrata per il mantenimento dei figli fuori sede sostenuto dalle famiglie. La scelta del trasferimento è riconducibile a più fattori e, in particolare, a una più elevata capacità attrattiva di singoli atenei centro-settentrionali, nonché alle maggiori prospettive occupazionali nei mercati del lavoro del nord una volta conseguita la laurea;
    Molise (49,5 per cento), Trentino Alto Adige (47,8), Abruzzo (41,3) sono le regioni più piccole che nell'anno accademico 2014-15, hanno mostrato indici di attrattività più elevati spiegabili soprattutto con la qualità della vita urbana (Trento) o con la posizione geografica, come nel caso di Abruzzo e Molise. Le regioni medie e medio-grandi maggiormente attrattive sono tutte localizzate al nord: spiccano in particolare l'Emilia Romagna e la Lombardia. Al contrario risulta estremamente ridotta l'attrattività delle università meridionali, tutte largamente al di sotto della metà della media nazionale, ad eccezione della Basilicata che sfiora il 20 per cento, grazie alla specificità di alcuni indirizzi di studio;
    altro punto di grande criticità è quello dei docenti universitari che fra il 2008 e il 2015 si sono ridotti del 17,2 per cento; il calo è stato notevolmente più intenso di quello registrato in ogni altro comparto del pubblico impiego, ben cinque volte maggiore di quanto avvenuto nella scuola. La diminuzione del personale docente di ruolo è stata dell'11,3 per cento al nord, ma del 18,3 per cento nel Mezzogiorno e del 21,8 per cento nelle università del Centro a causa dei blocchi del ricambio, in presenza dei pensionamenti. Ad esempio nel triennio 2012-14 il turn over (assunzioni in percentuale dei pensionamenti) è stato pari al 27,3 per cento. Il blocco del turn over negli atenei ha comportato un sensibile invecchiamento del personale docente, attualmente i dati disponibili ci dicono che un terzo dei professori ordinari ha più di 65 anni;
    la spesa totale (pubblica e privata) per l'istruzione universitaria, riportata dal rapporto annuale Education at a Glance dell'Ocse (2014) e misurata rispetto al Pil (2011), è in Italia sui livelli più bassi fra tutti i Paesi dell'Ocse: gli unici paesi con livelli comparabili sono Ungheria e Brasile; per tutti gli altri, europei ed extraeuropei, il livello è significativamente superiore. Nel 2011 il totale della spesa (pubblica e privata) era in Italia dell'1 per cento del Pil, contro una media ocse dell'1,6 per cento e dei paesi europei membri dell'Ocse pari all'1,4 per cento: i grandi paesi europei si collocano fra l'1,2 per cento e l'1,5 per cento; la stessa Turchia è all'1,3 per cento; gli scandinavi su livelli superiori, gli Stati uniti sono al 2,7 per cento;
     il fondo di finanziamento ordinario delle università (Ffo), nasce nel 1993, come veicolo di finanziamento «omnibus» all'interno del quale fare ricadere sia gli interventi per il funzionamento sia allocazioni «premiali» ed è stato proprio questo l'errore di fondo, sarebbe stato meglio fin da allora prevedere due diversi canali di finanziamento: uno destinato, appunto, alle spese ordinarie e un altro, con funzione premiale e incentivante. Fino al 2008 la dimensione del fondo cresce, anche se aumentano le quote relative degli atenei del Nord e del Sud, rispetto a quelli del Centro e delle isole. Con i provvedimenti presi a partire dal 2008, con la cosiddetta Riforma Gelmini (legge n. 240 del 2010), l'investimento destinato alle università si riduce drasticamente. Il fondo di finanziamento ordinario diminuisce ai livelli di metà anni novanta. Sul totale delle entrate degli atenei diminuisce sensibilmente il peso delle risorse attribuite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (e in particolare del fondo di finanziamento ordinario), a vantaggio della contribuzione studentesca e di finanziamenti di soggetti terzi, specie privati. Questo cambiamento produce un significativo impatto territoriale, perché colpisce in particolare le università collocate nelle aree meno ricche del Paese;
    l'analisi di tutti questi dati porta a delle conclusioni chiare, risulta necessario ed urgente ripensare questi meccanismi di finanziamento, basandosi su una distinzione netta fra fondi destinati al funzionamento del sistema universitario e fondi premiali destinati alla ricerca, ripristinando una sufficiente quota di finanziamento per tutti gli atenei, a copertura delle funzioni di didattica e di ricerca di base, e con l'allocazione di risorse aggiuntive, finalizzate alle grandi priorità di ricerca del paese, sulla base di criteri di valutazione della ricerca, abbandonando formule e algoritmi onnicomprensivi che hanno dimostrato negli ultimi anni di non essere adeguati alla complessità della realtà,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per incrementare il fondo del diritto allo studio;
   ad assumere iniziative per modificare i criteri di distribuzione del fondo per il diritto allo studio applicando la regola delle quote capitarie e suddividendo quindi il fondo tra le regioni esclusivamente in base al numero di idonei ai benefici;
   ad assumere iniziative per incrementare sensibilmente il fondo di finanziamento ordinario delle università per avvicinarlo a quello degli altri Paesi europei;
   a promuovere una radicale revisione dei meccanismi di finanziamento per le attività di ricerca;
   ad assumere iniziative per immettere nuovi docenti e ricercatori a copertura dei previsti pensionamenti;
   ad adottare iniziative per applicare una deroga temporanea di almeno 5 anni per le università del Sud, in relazione alle norme restrittive inerenti al rapporto tra numero di docenti e attivazione dei corsi di studio, consentendo di attivare corsi di studio, indipendentemente dal numero dei docenti, per dare risposte alle esigenze ogni anno manifestate dai diplomati.
(1-01192)
(Nuova formulazione) «Pisicchio, Palese».
(9 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 33 e 34 della Costituzione pongono i princìpi fondamentali relativi all'istruzione con riferimento, rispettivamente, all'organizzazione scolastica e universitaria e ai diritti di accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa è chiamata a fornire. Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l'una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l'organizzazione;
    l'articolo 33, dopo aver stabilito, al primo comma, che «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» e, al secondo comma, che la «Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi», prevede, tra gli altri per le università, «il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». «Secondo la Costituzione, l'ordinamento della pubblica istruzione è dunque unitario ma l'unità è assicurata, per il sistema scolastico in genere, da «norme generali» dettate dalla Repubblica; in specie, per il sistema universitario, in quanto costituito da «ordinamenti autonomi», da «limiti stabiliti dalle leggi dello Stato»;
    gli «ordinamenti autonomi» delle università, cui la legge, secondo l'articolo 33 della Costituzione, deve fare da cornice, non possono considerarsi soltanto sotto l'aspetto organizzativo interno, manifestantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regolamentare. Per l'anzidetto rapporto di necessaria reciproca implicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi. La necessità di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia ordinamentale universitaria, vale pertanto sia per l'aspetto organizzativo, sia, a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni;
    in questo modo, all'ultimo comma dell'articolo 33 viene a conferirsi una funzione, per così dire, di cerniera, attribuendosi alla responsabilità del legislatore statale la predisposizione di limiti legislativi all'autonomia universitaria relativi tanto all'organizzazione in senso stretto, quanto al diritto di accedere all'istruzione universitaria, nell'ambito del principio secondo il quale «la scuola è aperta a tutti» (articolo 34, primo comma) e per la garanzia del diritto riconosciuto ai «capaci e meritevoli, anche, se privi di mezzi» «di raggiungere i gradi più alti degli studi» (articolo 34, terzo comma);
    la conclusione cui così si perviene attraverso la specifica interpretazione degli articoli 33 e 34 della Costituzione è, del resto, confermata e avvalorata dai «principi generali informatori dell'ordinamento democratico, secondo i quali ogni specie di limite imposto ai diritti dei cittadini abbisogna del consenso dell'organo che trae da costoro la propria diretta investitura» e dall'esigenza che «la valutazione relativa alla convenienza dell'imposizione di uno o di altro limite sia effettuata avendo presente il quadro complessivo degli interventi statali nell'economia inserendolo armonicamente in esso, e pertanto debba competere al Parlamento, quale organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello Stato» (si confronti la sentenza n. 383 del 1998 della Corte costituzionale);
    non può negarsi che il diritto costituzionale allo studio, come ricostruito dalla riportata giurisprudenza costituzionale, imponendo scelte pubbliche d'insieme, inerenti alla determinazione delle risorse necessarie per il funzionamento delle istituzioni universitarie, per la garanzia del diritto alla formazione culturale (sancita dall'articolo 2 della Costituzione) e alle scelte professionali di ciascuno (articolo 4) risulti, soprattutto negli ultimi anni, drammaticamente compromesso;
    il sistema di finanziamento pubblico del diritto allo studio universitario avviene attraverso tre voci ovvero:
     a) il fondo integrativo statale;
     b) il gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio;
     c) le risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del fondo integrativo statale;
    negli ultimi anni il diritto allo studio universitario è stato umiliato a causa del sempre più frequente fenomeno dello studente idoneo a percepire la borsa di studio ma non beneficiario a causa delle insufficienti risorse stanziate dallo Stato;
    nonostante le nuove regole sul diritto allo studio, conseguenti alla «riforma Gelmini» dell'università, abbia causato un numero di studenti idonei a percepire la borsa di studio inferiore rispetto al passato, le regioni non riescono, comunque, ad assegnare le borse a tutti i richiedenti che ne hanno diritto;
    l'Italia si colloca negli ultimi posti in Europa per investimenti sul diritto allo studio, tant’è che in diversi Stati dell'Unione europea l'iscrizione all'università è gratuita e la borsa di studio garantisce tutti gli studenti privi di mezzi;
    in Italia, a beneficiare di borse di studio è circa il 7 per cento degli studenti, per una spesa complessiva pubblica 258 milioni di euro, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi di euro), il 30 per cento della Germania (2 miliardi di euro) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni di euro);
    in particolare, l'importo della tassa per il diritto allo studio è stabilito dalle regioni e dalle province autonome e può essere articolato in 3 fasce. La misura minima della fascia più bassa della tassa è fissata in 120 euro e si applica a coloro che presentano una condizione economica non superiore al livello minimo dell'indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai livelli essenziali delle prestazioni (lep) del diritto allo studio. I restanti valori della tassa minima sono fissati in 140 euro e 160 euro per coloro che presentano un indicatore di situazione economica equivalente rispettivamente superiore al livello minimo e al doppio del livello minimo previsto dai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai livelli essenziali delle prestazioni del diritto allo studio. Il livello massimo della tassa per il diritto allo studio è fissato in 200 euro;
    l'attuale normativa prevede che l'impegno delle regioni in termini economici maggiori rispetto a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, sia valutato attraverso l'assegnazione di specifici incentivi nel riparto del fondo integrativo statale di cui al comma 1, lettera a), dello stesso decreto legislativo, e del fondo per il finanziamento ordinario alle università statali che hanno sede nel rispettivo contesto territoriale;
    i criteri per il riparto del fondo integrativo per la concessione di prestiti d'onore e di borse di studio sono stabiliti dall'articolo 16 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001;
    analogo discorso, circa i limiti che il legislatore statale deve porre all'autonomia degli atenei al fine di garantire la piena attuazione della Costituzione, deve riferirsi alla determinazione delle tasse d'iscrizione all'università. Attualmente anche la contribuzione richiesta agli studenti rappresenta, infatti, un ostacolo alla formazione;
    il decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997 regolamenta la disciplina in materia di tasse di iscrizione all'università a carico degli studenti. Tale regolamento prevede che ogni università abbia piena autonomia nella determinazione dell'entità e delle regole della tassazione studentesca rispettando criteri di equità, solidarietà e progressività, tenendo in considerazione la condizione economica dello studente;
    oltre ai contributi universitari, ogni studente è tenuto a versare all'università anche la tassa di iscrizione, fissata inizialmente in trecentomila lire ed aggiornata annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. L'importo della tassa di iscrizione è identica per tutti gli atenei italiani;
    la contribuzione totale versata dallo studente universitario è la risultante della somma tra la tassa di iscrizione definita annualmente dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e i contributi universitari decisi autonomamente da ogni singola università;
    come contrappeso all'autonomia delle università, per evitare che queste possano stabilire importi contributivi troppo alti, il regolamento stabilisce che la somma delle contribuzioni versate da ogni singolo studente ogni anno alla propria università non possa eccedere il 20 per cento del finanziamento ordinario dello Stato all'ateneo;
    il citato regolamento stabilisce alcuni principi, seguendo criteri più specifici, che prevedono anche la garanzia dell'accesso ai capaci e ai meritevoli privi di mezzi e la riduzione del tasso di abbandono degli studi;
    tale disciplina in materia di contributi universitari è rimasta inalterata fino alle modifiche apportate dalla normativa sulla spending review (decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), che ha disposto (con l'articolo 7, comma 42) l'introduzione dei commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies dell'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997;
    le modifiche apportate dal citato decreto-legge n. 95 del 2012 entrano nel merito dei limiti della contribuzione studentesca modificando i criteri per individuare la tassazione massima a carico dello studente. In sostanza, viene modificato il calcolo del limite del 20 per cento dell'ammontare della contribuzione studentesca totale (la somma di tutte le tasse pagate dagli studenti in un singolo ateneo) rispetto al finanziamento ordinario assegnato dallo Stato alla singola università;
    con le novelle introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012, ai fini del calcolo della contribuzione studentesca totale, è stata scorporata la contribuzione degli studenti fuori corso. Come conseguenza non sono più considerate, ai fini del calcolo della contribuzione totale versata dagli studenti alle università, le somme pagate dagli studenti fuori corso che, in media, rappresentano il 40 per cento degli iscritti;
    tale novità comporta, di fatto, un aumento del limite massimo di contribuzione sia per gli studenti in corso che per quelli fuori corso; inoltre, è eliminato qualsiasi limite alla determinazione dell'importo della contribuzione studentesca per gli studenti fuori corso;
    il citato decreto-legge n. 95 del 2012 prevede, inoltre, entro tre anni dalla entrata in vigore, un aumento significativo della tassazione per tutti gli studenti;
    il fondo per il finanziamento ordinario delle università (ffo) è relativo alla quota a carico del bilancio statale delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università, comprese le spese per il personale docente, ricercatore e non docente, per l'ordinaria manutenzione delle strutture universitarie e per la ricerca scientifica e della spesa per le attività sportive universitarie;
    negli ultimi anni il fondo per il finanziamento ordinario è sensibilmente diminuito; per questa ragione, le università che si sono trovate a superare il limite del 20 per cento sono numerose, ben due delle università statali su tre nell'anno accademico 2011/2012;
    alcune università (Insubria, Milano statale, Milano Bicocca, Napoli Partenope, Urbino, Venezia Ca’ Foscari, Venezia Iuav) hanno superato anche il 30 per cento e una (Bergamo) addirittura il 40 per cento;
    di fatto le modifiche apportate dal decreto-legge n. 95 del 2012 al decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306, scaricano sugli studenti i tagli apportati al fondo per il finanziamento ordinario nel corso degli anni dai vari Governi alla guida del nostro Paese;
    gli atenei che, fino al 2013, non hanno rispettato il tetto massimo degli introiti derivanti da tasse e contribuzione studentesche previste dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306, sono stati avvantaggiati dal reclutamento e dalle quote premiali, nonostante fossero in difetto fino all'entrata in vigore delle disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012;
    dal 2007 alcune associazioni studentesche universitarie hanno avviato una serie di ricorsi amministrativi contro quegli atenei che superavano il limite del 20 per cento stabilito dall'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306;
    dopo l'accoglimento, nel marzo del 2011, del primo ricorso sulla contribuzione studentesca presentato nel 2007 (registro generale 599) al tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo contro l'Università di Chieti Pescara, si sono moltiplicati i ricorsi in vari atenei italiani;
    di fatto, le disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012 hanno rappresentato una sanatoria per le università che fino al 2012 non rispettavano quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306;
    si ritiene necessario, in considerazione di quanto esposto, prevedere l'esonero dal pagamento (della contribuzione studentesca per gli studenti meno abbienti introducendo una no tax area per indicatori della situazione economica equivalente al di sotto dei 20 mila euro. Secondo i dati forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'ammontare del fondo di finanziamento ordinario 2017 si attesta intorno ai 7.003 milioni di euro, mentre il gettito complessivo della contribuzione studentesca intorno ai 1.497 milioni di euro;
    al fine di non ridurre le già esigue risorse destinate al sistema universitario, risulta doveroso rimborsare alle università il mancato gettito derivante dall'introduzione della no tax area attraverso un incremento dedicato del fondo di finanziamento ordinario,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative volte a modificare la disciplina attualmente vigente sulla contribuzione studentesca alle università statali stabilendo un'area di reddito entro cui lo studente sia esente dal pagamento della contribuzione (fascia no-tax) per tutti gli studenti con Isee al di sotto dei 20.000 euro;
   a dare pronta attuazione a quanto previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, attivando l'osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario e, in particolare, creando un sistema informativo, correlato a quelli delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, per l'attuazione del diritto allo studio, anche attraverso una banca dati dei beneficiari delle borse di studio;
   ad assumere iniziative normative, a garanzia dell'effettività del diritto allo studio sancito dalla Costituzione, volte ad incrementare le risorse destinate al diritto allo studio universitario con l'obiettivo di far sì che gli strumenti e i servizi per il conseguimento del pieno successo formativo nei corsi di istruzione superiore siano a disposizione di una platea di studenti che sia almeno corrispondente ad un quarto degli iscritti, in modo da allinearsi agli standard della Germania e della Francia;
   al fine di implementare l'utilizzo delle nuove tecnologie nonché di agevolare lo studio universitario a distanza, ad assumere iniziative per incrementare le risorse destinate alla didattica universitaria digitale;
   al fine di garantire il diritto alla prosecuzione degli studi e alla soddisfazione professionale di ciascuno, ad assumere iniziative per rimodulare l'attuale sistema di accesso per i corsi di laurea a numero programmato.
(1-01268)
«Vacca, D'Uva, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, D'Incà».
(13 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    le norme in materia di diritto allo studio universitario trovano il loro fondamento nella Costituzione che all'articolo 3, comma 2, affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese e, all'articolo 34, prevede, tra l'altro, che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso;
    la Costituzione stabilisce, all'articolo 117, comma 2, lettera m), che è competenza dello Stato stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
    alle regioni spetta in via esclusiva la potestà legislativa in materia di diritto allo studio;
    la legge delega n. 240 del 2010, cosiddetta riforma Gelmini, in attuazione delle norme costituzionali è intervenuta in materia prevedendo la revisione della normativa in materia di diritto allo studio e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere erogate dalle università italiane;
    tra gli obiettivi principali perseguiti dalla legge n. 240 del 2010 ci sono stati quelli di rafforzare le opportunità di accesso all'istruzione superiore per gli studenti provenienti da situazioni socioeconomiche sfavorite e di promuovere il merito tra gli studenti;
    in attuazione della delega è stato approvato il decreto legislativo n. 68 del 2012, che prevede la partecipazione di soggetti diversi, ciascuno nell'ambito delle proprie competenza, ad un sistema integrato di strumenti e servizi al fine di garantire il diritto allo studio;
    il finanziamento per il diritto allo studio universitario riesce a coprire appena il 73 per cento circa delle richieste e questa percentuale registra una tendenza a diminuire: dal 74,25 per cento del 2013/14 si è passati al 73,89 per cento del 2014/15;
    questi dati rappresentano la situazione a livello nazionale, ma la percentuale di copertura delle richieste non risulta omogenea tra le varie regioni e la distribuzione del fondo per il diritto allo studio evidenzia forti sperequazioni al livello regionale;
    il meccanismo di ripartizione dei fondi statali alle regioni è basata sulla loro ricchezza per cui quelle che riescono ad assegnare un maggior numero di borse di studio perché più ricche ottengono paradossalmente maggiori fondi dallo Stato; tale distribuzione attiva un circolo vizioso per cui alle regioni del Sud vanno meno risorse rispetto a quelle del Nord;
    un alto grado di istruzione rappresenta un aspetto fondamentale per il progresso sia economico sia sociale di un Paese, tanto più in un'economia globalizzata e basata sulla conoscenza, nella quale è necessario disporre di una forza lavoro qualificata per poter competere in termini di produttività, qualità e innovazione; livelli bassi di istruzione terziaria, infatti, agiscono da ostacolo per la competitività e possono compromettere la capacità del nostro Paese di generare «crescita intelligente»;
    ampliare l'accesso all'istruzione superiore aumentando la partecipazione ai corsi di istruzione terziaria in particolare del membri dei gruppi svantaggiati, appare una scelta necessaria anche in considerazione degli obiettivi che l'Unione europea ha indicato ai propri stati membri. La strategia Europa 2020 è stata adottata per innovare Lisbona 2001, per rispondere alle nuove priorità che la crisi economica ha posto e che hanno portato l'Unione europea a riconoscere l'urgenza di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. La Strategia Europa 2020 si è posta cinque obiettivi, tra questi investire in istruzione, innovazione e ricerca, per sviluppare una economia basata sulla conoscenza e sulla innovazione, indicando tra i traguardi prioritari da raggiungere entro il 2020 quello di portare almeno al 40 per cento la percentuale di popolazione in possesso di un diploma universitario o di una qualifica simile in età 30-34 anni;
    conoscenza, ricerca, sviluppo appaiono quindi quali tasselli fondamentali di un quadro strutturale generale volto a rispondere alle carenze strutturali che l'economia europea ha mostrato ma per poter raggiungere questi risultati l'Europa richiede ai Paesi membri di adottare a livello nazionale provvedimenti che si adattino alla specifica situazione locale; attraverso la crescita del livello generale di istruzione;
    la quota di popolazione con un'istruzione terziaria nella Unione europea dei 28 è in costante aumento ma tra i territori in cui si registra un andamento di segno inverso ci sono quattro regioni che si trovano nell'Italia meridionale: Basilicata, Campania, Sardegna e Sicilia;
    secondo il rapporto Education at a glance 2015 in Italia solo il 34 per cento dei giovani, a fronte di una media Ocse del 50 per cento, consegue un diploma d'istruzione terziaria,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a garantire pari opportunità di accesso all'alta formazione universitaria, all'alta formazione artistica e musicale, agli istituti tecnici superiori, attraverso una effettiva implementazione del diritto allo studio, che valorizzi i talenti delle studentesse e degli studenti in linea con gli obiettivi della Strategia UE 2020 e i livelli europei ed internazionali;

   ad assumere le iniziative necessarie a portare l'investimento della quota di prodotto interno lordo nel comparto universitario al livello degli altri Paesi dell'Ocse, dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa, potenziando le sinergie tra atenei, istituti per l'alta formazione ed istituti tecnici superiori, e tessuto produttivo, anche attraverso l'attuazione di un sistema duale sul modello europeo.
(1-01283) «Centemero, Occhiuto».
(23 maggio 2016)