TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 621 di Martedì 10 maggio 2016

 
.

INTERROGAZIONI

A)

   GINEFRA, VICO e PELILLO. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   il 17 novembre 2015 intorno alle 9 un operaio di un'impresa esterna, che opera in un'area assegnata da Ilva alla ditta «Pitrelli» presso lo stabilimento di Taranto, è rimasto coinvolto in un infortunio mortale;
   Cosimo Martucci, questo il suo nome, 48 anni, dipendente della ditta «Pitrelli», era impegnato nel trasporto di tratti di una condotta che, durante le operazioni di movimentazione svolte all'interno dell'area di cantiere assegnata all'impresa esterna – per cause ancora in fase di accertamento – lo avrebbero colpito provocandone il decesso;
   l'Ilva ha aperto un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità e cautelativamente ha sospeso le attività del cantiere in cui operava l'impresa in attesa di chiarimenti su quanto accaduto;
   l'operaio pare sia morto poco dopo l'arrivo dell'ambulanza. Personale dello Spesal (Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) dell'azienda sanitaria locale, da quanto si apprende, starebbe raccogliendo informazioni per stabilire le cause dell'incidente –:
   se sia stato informato di tale luttuoso evento;
   quali iniziative di competenza intenda promuovere affinché sia garantito il diritto alla sicurezza per i lavoratori che prestano il loro servizio alle dipendenze dirette dell'azienda, nonché per quelli che operano al servizio di società esterne.
(3-02241)
(9 maggio 2016)
(ex 5-07029 del 18 novembre 2015)

B)

   BURTONE, PORTA, CUOMO e BATTAGLIA. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   il Governo venezuelano presieduto da Nicolàs Maduro ha decretato che i dipendenti pubblici del Paese sudamericano lavorino solo due giorni alla settimana per risparmiare energia elettrica;
   sono stati altresì programmati anche blackout di quattro ore al giorno nei dieci Stati più popolati e industrializzati dei 24 che formano il Venezuela;
   le interruzioni nella fornitura di luce hanno suscitato forti proteste tra i cittadini scatenando atti di vandalismo e predatori con conseguente repressione da parte delle forze di polizia, aggravando di fatto una già profonda crisi politica, economica e sociale del Venezuela;
   è a rischio l'attività di scuole e ospedali e scarseggiano beni alimentari e medicine;
   la siccità, la peggiore in duecento anni di storia, che sta mettendo in crisi le centrali idroelettriche, costruite negli anni ’60 e ’70, che coprono due terzi del consumo elettrico interno, non basta a giustificare tale precipitare della situazione;
   stanno emergendo criticità e ritardi Sempre del Governo e la crisi del petrolio complica di molto la vita ad un Paese dove l'oro nero rappresenta l'88 per cento delle esportazioni;
   la povertà è tornata a crescere e la spesa sociale si è conseguentemente contratta proprio a causa del prezzo del petrolio;
   la comunità italiana in Venezuela è tra le più numerose, tant’è che negli anni ’80 si contavano circa 400 mila italiani di prima e seconda generazione;
   imprese, attività economiche e commerciali hanno sempre distinto il dinamismo della comunità italiana nel Paese venezuelano e non va dimenticato che due Presidenti della Repubblica venezuelana sono stati di origine italiana;
   negli ultimi anni la presenza degli italiani si è contratta a causa dei processi di nazionalizzazione adottati dal Governo Chavez e molti sono rientrati non senza difficoltà;
   il rischio di tensioni sociali è già oltre il livello di guardia e si ritiene indispensabile un'adeguata attenzione da parte del Governo italiano –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per monitorare costantemente l'evolversi della crisi in Venezuela e per assicurare alla comunità italiana il massimo sostegno in una condizione di oggettiva criticità, soprattutto per quanto riguarda la mancanza di generi di prima necessità, ponendo il tema anche nell'ambito degli organi internazionali. (3-02242)
(9 maggio 2016)
(ex 5-08572 del 4 maggio 2016)

C)

   FREGOLENT. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2014 il settore fitosanitario regionale del Piemonte, in collaborazione con l'Ente di gestione delle aree protette del Ticino e del lago Maggiore, ha predisposto un piano di monitoraggio del Popillia japonica, un pericoloso fitofago, al fine di verificare l'area interessata dall'infestazione;
   sono state rinvenute intere colonie dell'insetto nei comuni del Piemonte e la Lombardia, quali Pombia, Marmo Ticino, Oleggio, Bellinzago, Cameri e Galliate, in provincia di Novara, su diverse essenze vegetali, quali olmo, pioppo, vite, nocciolo, gelso, quercia, soia, pomodoro, iperico, rovo, ortica, luppolo, rosa canina e malva;
   il Popillia japonica, conosciuto come coleottero scarabeide del Giappone, è un insetto esotico originario del Giappone, caratterizzato da una spiccata polifagia;
   i danni che produce alle colture sono costituiti da erosioni a carico delle foglie, dei fiori e dei frutti, mentre le larve si nutrono delle radici, preferibilmente di graminacee, costituendo un ennesimo attacco all'ecosistema;
   il focolaio è in una delle aree agricole più importanti del Paese dove si producono cereali per il consumo umano e per la zootecnia, oltre che vini, fiori e frutta e rappresenta un'altra grave problematica fitosanitaria, paragonabile per importanza alla crisi provocata dalla Xylella fastidiosa in Salento, mettendo a rischio anche la commercializzazione dei prodotti vivaistici per i quali l'Unione europea potrebbe imporre il blocco della commercializzazione delle zone colpite;
   il problema non riguarda quindi solo il Piemonte e la Lombardia, ma assume dimensioni nazionali in considerazione della velocità di propagazione del contagio;
   il piano di contrasto predisposto da Piemonte e Lombardia è quantificabile in alcuni milioni di euro per i prossimi tre anni, per i quali diventa indispensabile reperire rapidamente risorse per sostenere sia i costi diretti per le attività di contenimento della diffusione dell'insetto, che per i rimborsi ai produttori a compensazione dei danni subiti;
   il decreto-legge n. 51 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015, presenta anche «Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale»;
   nello specifico, l'articolo 5 di tale decreto autorizza le aziende agricole, non coperte da polizze assicurative agevolate, a richiedere contributi compensativi a carico del fondo di solidarietà nazionale in agricoltura qualora siano state colpite da infezioni di organismi nocivi ai vegetali negli anni 2013, 2014 e 2015, con priorità a quelle legate alla diffusione del batterio Xylella fastidiosa, del cinipide del castagno e della flavescenza dorata;
   per gli interventi a favore delle imprese danneggiate dalla diffusione del batterio della Xylella fastidiosa la dotazione del fondo di solidarietà viene incrementata di 1 milione di euro per il 2015 e di 10 milioni di euro per il 2016, mentre gli interventi relativi alle altre fitopatologie è stata prevista un'integrazione del medesimo fondo per un importo di 10 milioni per il 2016 –:
   quali iniziative intenda assumere per contrastare con tempestività ed efficacia l'infezione causata dal fitofago Popillia japonica, prima che tale calamità assuma una rilevanza catastrofica in tutte le regioni del nostro Paese;
   se intenda assumere iniziative specifiche e prevedere stanziamenti economici mirati per indennizzare le aziende coinvolte;
   se non ritenga conseguentemente di assumere iniziative per inserire l'infestazione determinata dal Popillia japonica tra le infezioni degli organismi nocivi «prioritari» e previste dall'articolo 5 del decreto-legge n. 51 del 2015 citato in premessa.
(3-02239)
(9 maggio 2016)
(ex 5-07505 del 26 gennaio 2016)

D)

   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA e LUPO. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2016 si svolgerà in seduta straordinaria, l'assemblea generale dell'Associazione italiana allevatori al fine di proporre delle modifiche al regolamento associativo, nonché a diversi articoli dello statuto dell'ente;
   da alcune bozze circolanti della modifica dello statuto, in possesso degli interroganti, emerge, a parere degli stessi, un'evidente tendenza a concentrare sull'Associazione tutta l'organizzazione, la gestione e di conseguenza i finanziamenti per i libri genealogici e i controlli funzionali;
   ai sensi della normativa vigente l'attività di miglioramento, selezione e valorizzazione del bestiame è attribuita, in regime di monopolio, all'Associazione italiana allevatori, alle associazioni di razza o specie ed alle associazioni territoriali (Ara ed Apa) ad essa aderenti;
   nel rispetto degli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, in concorso e con l'intesa delle amministrazioni interessate, stabilisce annualmente l'ammontare della contribuzione;
   i richiamati orientamenti europei definiscono le percentuali massime dei contributi pubblici alle attività di miglioramento genetico nei limiti percentuali del 100 per cento per le attività di libro genealogico e registro anagrafico e del 70 per cento per le attività di controllo funzionale, del 40 per cento per investimenti in centri per la riproduzione animale e del 30 per cento a copertura dei costi di mantenimento dei riproduttori maschi di elevata qualità genetica –:
   se sia a conoscenza delle modifiche statutarie dell'Associazione italiana allevatori in premessa e se, in base al loro contenuto, non ritenga possano causare uno sbilanciamento della distribuzione dei finanziamenti per libri genealogici e i controlli funzionali in favore della stessa associazione, avallando di fatto una gestione ancor più monopolistica di tale importante attività e contravvenendo a quanto previsto dagli orientamenti comunitari. (3-02240)
(9 maggio 2016)
(ex 5-07358 del 14 gennaio 2016)

E)

   LATRONICO. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   gli oliveti della Basilicata sono i più vecchi d'Italia e oggi nella regione sono presenti circa 27 varietà autoctone di olivo. La coltura dell'olivo è diffusa su oltre l'85 per cento del territorio regionale e principalmente in collina e in montagna ed è l'ottava regione italiana tra i maggiori produttori di olio d'oliva. Il comparto olivicolo lucano interessa oltre 31.000 ettari, dei quali circa il 60 per cento in provincia di Matera e il restante 40 per cento in quella di Potenza, per un patrimonio di oltre 5 milioni di piante;
   l'olivo in Lucania era già coltivato nell'antichità come risulta dagli scavi condotti nel metapontino, cuore della Magna Grecia. I reperti archeologici di fattorie, sementi, aratri e altri oggetti testimoniano la grande tradizione agricola dell'area, documentata, tra l'altro, nelle straordinarie tavole di Heraclea e raffigurata su monete e vasellame risalente a epoche pre-cristiane;
   il 10 marzo 2016 il Parlamento europeo in seduta plenaria ha approvato il regolamento che prevede l'importazione nell'Unione europea senza dazi fino al 2017 di 70.000 tonnellate l'anno in più di olio d'oliva tunisino (35.000 per il 2016 e 35.000 per il 2017), in aggiunta alle attuali 56.700 tonnellate previste dall'accordo di associazione già in vigore. L'obiettivo della misura è dare sostegno all'economia tunisina, che a causa della minaccia terroristica ha subito una forte contrazione nel 2015 e per garantire la stabilità del suo sistema democratico;
   ai sensi degli accordi commerciali precedenti, la Tunisia poteva esportare nell'Unione europea fino a 56,7 tonnellate all'anno di olio d'oliva senza pagare dazi. Nel 2014-2015 l'Unione europea ha importato 145.200 tonnellate di olio d'oliva tunisino, in netto aumento rispetto alle 32.000 tonnellate del 2013-2014 e alle 114.400 tonnellate nel 2012-2013;
   secondo le associazioni di categoria l'accordo metterà a rischio un'azienda agricola italiana su tre e andrebbe a favorire ulteriormente il fiorente mercato delle contraffazioni, che costerebbe all'Italia 60 miliardi di euro e 300 mila posti di lavoro. L'Italia, secondo i dati raccolti da Il Corriere della Sera, è il Paese che, con 298 mila tonnellate di olio prodotte nel 2015/2016, 553 mila consumate, 570 mila importate e 300 mila esportate, è in testa ai consumi europei, insieme alla Spagna;
   in base alle ultime ricognizioni dell'Ismea effettuate a gennaio 2016 attraverso la sua rete di rilevazione e i dati delle dichiarazioni dei frantoi, si evince un forte incremento produttivo per l'oliveto Italia che dalle 222 mila tonnellate della scorsa campagna potrebbe arrivare quest'anno a una produzione superiore a 380 mila (+70 per cento);
   è evidente che le conseguenze di questa importazione rischiano di dare il «colpo di grazia» ai produttori meridionali che speravano di conseguire quest'anno quei margini di guadagno che purtroppo non si realizzano da molto tempo. Nel 2014 la produzione di olio di oliva italiano era calata di oltre il 35 per cento (fonte: Ismea), passando dalle 464 mila tonnellate della campagna 2013 a meno delle 300 mila di quella del 2014 e i produttori avevano dovuto subire non solo l'andamento negativo del clima, ma anche gli attacchi di alcune specie patogene come la Xylella fastidiosa che hanno arrecato danni ingenti agli uliveti;
   la misura proposta dalla Commissione europea, per portare solidarietà alla Tunisia, in grave crisi economica, ha sollevato forti preoccupazioni nei produttori del comparto olivicolo italiano. Appare chiaro che il maggior quantitativo di olio di oliva tunisino, che affluirà nel mercato europeo, porterà seri danni alle produzioni di olio di oliva, soprattutto italiane;
   le imprese agricole italiane sono al collasso, perché sostengono costi di produzione molto più elevati rispetto ai Paesi terzi, che utilizzano pesticidi dannosi per la salute e vietati in Italia e producono utilizzando una manodopera pagata al limite dello sfruttamento; entrambi questi fattori generano per gli agricoltori una concorrenza sleale insostenibile;
   a causa dei mancati ricavi o dell'esiguità dei ricavi rispetto alle spese da sostenere, gli agricoltori non sono in grado, da diversi anni ormai, nemmeno di fare fronte al pagamento delle imposte e dei tributi previsti dalle leggi vigenti. Le conseguenze sono state il verificarsi di un indebitamento spaventoso, il moltiplicarsi delle iscrizioni a ruolo dei mancati pagamenti, il proliferare di azioni esecutive nei confronti degli agricoltori, il fallimento di parecchie aziende;
   l'interrogante si rende conto delle ragioni di solidarietà, sia politica che economica, che hanno spinto l'Unione europea ad adottare questa misura, ma non può dimenticare che faranno le spese di questa strategia gli olivicoltori italiani, produttori che già si trovano a dover fare i conti con la crisi del mercato olivicolo e non possono essere in grado di sopportare le eventuali conseguenze negative di questa scelta europea –:
   quali iniziative intenda assumere, nelle opportune sedi europee, al fine di tutelare l'olio extravergine d'oliva, considerato un'eccellenza del made in Italy, ed evitare effetti disastrosi per gli agricoltori e per i consumatori italiani, che potrebbero non essere sufficientemente informati sulla qualità e sulla provenienza dell'olio acquistato quotidianamente;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare affinché l'olio tunisino sia controllato con misure rigide di tracciabilità e commercializzazione che impediscano l'eventualità che sia etichettato come made in Italy;
   quali iniziative intenda assumere, considerate le caratteristiche dell'economia regionale lucana, affinché essa non paghi un prezzo molto elevato in anni di crisi come quelli che si stanno attraversando e si individuino misure alternative che consentano ai produttori locali di riposizionarsi sul mercato. (3-02125)
(18 marzo 2016)

   BENEDETTI. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   su proposta della Commissione europea, il Parlamento e il Consiglio il 17 settembre 2015 hanno adottato una proposta di regolamento volta a sostenere la ripresa economica della Tunisia, interessata da una forte instabilità politica, attraverso l'adozione di una misura commerciale autonoma che autorizza il Paese nordafricano ad esportare senza dazio, dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017, ulteriori 35.000 tonnellate di olio extravergine di oliva in aggiunta alla quota già fissata dall'accordo euromediterraneo di 56.700 tonnellate: una quantità pari a metà della produzione tunisina e poco meno di un terzo di quella italiana;
   nei mesi scorsi la Commissione europea aveva deciso di eliminare la soglia mensile di esportazione del Paese magrebino. Così ha dichiarato Habib Essid: «è grazie a questa misura che la Tunisia quest'anno ha potuto esportare per più di 1,5 miliardi di dinari (circa 700 milioni di euro), alleggerendo così i danni subiti dal settore turistico»;
   l'impatto che avrà l'importazione di questo prodotto sul mercato europeo, in particolare sull'olivicoltura italiana, sarà fortemente negativo ed andrà a peggiorare ancora di più la già critica situazione che attraversa tale comparto, in particolare nel Salento, a causa della epidemia provocata dal batterio Xylella, i cui danni sono ad oggi incalcolabili –:
   quale sia stata la posizione assunta dal Governo nel negoziato che ha portato ad adottare la proposta di regolamento e quale posizione intenda assumere nel corso dell’iter legislativo di approvazione;
   quali iniziative intenda adottare per evitare che l'importazione di olio tunisino nelle modalità descritte in premessa danneggi i produttori di olio di oliva italiani;
   se il Governo non ritenga che, anche a seguito della crisi russo-ucraina e delle conseguenti sanzioni economiche imposte alla Russia, troppo spesso ormai gli interessi economici italiani e, in particolare, del settore agroalimentare, siano sacrificati per giustificare una politica estera europea che si articola esclusivamente su misure di carattere commerciale. (3-02244)
(9 maggio 2016)
(ex 4-10450 del 23 settembre 2015)

   PASTORELLI. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   il 25 gennaio 2016, la Commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo ha approvato la risoluzione per l'avvio di negoziati per un accordo di libero scambio tra l'Unione europea e la Tunisia (INTA/8/03886 2015/2791(RSP), con la quale, tra l'altro, si da parere favorevole alle conclusioni del Consiglio del 20 luglio 2015 e alla successiva proposta della Commissione del 17 settembre che raccomanda di offrire alla Tunisia un contingente tariffario senza dazio, temporaneo e unilaterale di 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione per un periodo di due anni;
   su tale risoluzione, nel mese di marzo 2016 la Commissione plenaria del Parlamento europeo dovrà esprimersi in modo definitivo;
   è certamente condivisibile l'intenzione della Commissione europea di sostenere l'economia tunisina, ma sembra proprio che si voglia, a più riprese, smantellare il made in Italy;
   solo qualche settimana fa, a tal proposito, si è svolto a Bruxelles un incontro tra il Commissario all'agricoltura ed il Ministro interrogato per confrontarsi sul progetto di smantellare il sistema della doc, la denominazione di origine controllata, e delle docg, la denominazione di origine controllata e garantita, che praticamente proteggono moltissimi prodotti italiani e la metà circa dei vini italiani da tutte le imitazioni in giro per il mondo;
   ora la notizia che la Commissione europea propone di mettere a disposizione, dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017, con apertura a decorrere dall'esaurimento del già vigente contingente tariffario senza dazio di 56.700 tonnellate, iscritto nell'accordo di associazione euromediterraneo, un nuovo contingente tariffario senza dazio unilaterale di ulteriori 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione europea in aggiunta alle precedenti;
   la notizia dell'importazione senza dazio di olio tunisino ha logicamente scatenato le reazioni dei produttori italiani che vedono minacciate le vendite, temono un crollo delle quotazioni del prodotto nazionale e sono preoccupati che il prodotto tunisino, una volta giunto nei porti italiani, possa acquisire il via libera per essere commercializzato come made in Italy;
   niente di più facile viste le recenti notizie di cronaca inerenti il maxi sequestro avvenuto in Puglia di 7 mila tonnellate di extravergine nordafricano venduto poi come italiano;
   anche se la proposta di regolamento, al fine di prevenire frodi, contiene una serie di previsioni a cui dovrà attenersi la Tunisia ai fini della commercializzazione, in ordine all'origine del prodotto, ciò, comunque, non garantisce affatto che l'olio tunisino, una volta entrato nell'Unione europea, possa essere falsamente etichettato come olio di origine comunitaria, se non addirittura di origine italiana, e tale decisione si prospetta, dunque, un'ulteriore stangata nei confronti dei produttori agricoli italiani già alle prese con le emergenze causate da batteri e calamità naturali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di intraprendere, intervenendo nelle sedi opportune, affinché in sede di adozioni delle determinazioni di cui in premessa si pongano condizioni rigorose affinché l'olio tunisino, destinato all'importazione senza dazio, sia accompagnato da misure di tracciabilità e di commercializzazione che impediscano la possibilità che sia etichettato come made in Italy al fine di tutelare il settore olivicolo-oleario italiano la cui leadership è riconosciuta a livello internazionale. (3-02245)
(9 maggio 2016)
(ex 4-11977 del 5 febbraio 2016)

   FUCCI, DISTASO, ALTIERI, MARTI, CHIARELLI, CIRACÌ e PALESE. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   il 17 settembre 2015 la Commissione europea ha presentato una proposta volta a consentire l'accesso temporaneo supplementare di olio d'oliva tunisino nel mercato dell'Unione europea per sostenere la ripresa nell'attuale periodo di difficoltà in cui si trova il Paese nordafricano;
   questa decisione, come affermato dagli stessi operatori del settore, è grave per i produttori e per il mercato dell'olio extravergine di oliva di qualità, perché, di fatto, alle 57mila tonnellate già previste da un precedente accordo stipulato con la Tunisia, se ne aggiungeranno altre 35 mila tonnellate;
   questo scenario è a parere degli interroganti motivo di profonda preoccupazione, in quanto gli effetti sull'olivicoltura italiana sarebbero disastrosi dal punto di vista economico, per la concorrenza sul mercato di un prodotto ad un prezzo inferiore e di qualità non eccellente e i consumatori italiani potrebbero non essere sufficientemente informati sulla qualità e sulla provenienza dell'olio acquistato, soprattutto attraverso i grandi marchi;
   i produttori di olio extravergine di oliva vivono già oggi una stagione difficile, specialmente nel territorio straordinariamente fecondo del Salento alle prese ancora con il contagio del batterio Xylella fastidiosa;
   quanto sopra esposto va inoltre letto nel contesto più ampio di una politica europea che non tiene conto dei riflessi che certe iniziative possono avere sul piano economico, come dimostrato pochi mesi fa dalla diffida all'Italia per la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari, un'altra eccellenza del made in Italy agroalimentare –:
   quali eventuali iniziative ritenga di assumere, nell'ambito dell'Unione europea, in merito a quanto esposto in premessa e a tutela di un'eccellenza italiana che rappresenta, al tempo stesso, un importante impulso a livello economico. (3-02247)
(9 maggio 2016)
(ex 4-10482 del 24 settembre 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE FINALIZZATE AL RICONOSCIMENTO DELL'ENDOMETRIOSI COME MALATTIA INVALIDANTE E AL POTENZIAMENTO DELLE PRESTAZIONI SANITARIE E DELLE MISURE DI SOSTEGNO ECONOMICO E SOCIALE PER LE DONNE AFFETTE DA TALE PATOLOGIA

   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia della quale sono affette circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. È una malattia cronica e invalidante, che consiste nella presenza di tessuto endometriale, che normalmente riveste la cavità uterina, in siti ectopici, cioè al di fuori dell'utero dove forma noduli, lesioni, impianti o escrescenze. Esse si localizzano più frequentemente nell'addome interessando ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. Viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
    tale malattia è molto difficile da diagnosticare. Molte donne ricevono una corretta diagnosi mediamente dopo circa dieci anni di visite mediche, pubbliche e private, queste ultime molto costose. A causa dei pochissimi fondi stanziati per la ricerca esistono pochissime équipe specializzate nella diagnosi e nella cura della patologia e spesso operanti nel privato. Esiste, infatti, ancora molta disinformazione in materia, tanto che nella maggior parte dei casi i forti dolori avvertiti dalle donne, soprattutto nei primi giorni del ciclo mestruale, sono ricondotti ad una causa di tipo psicologico;
    sono sempre più numerosi gli studi e le ricerche che evidenziano l'incidenza della diffusione della malattia in quei territori esposti a fattori inquinanti, fra questi alcuni in particolare hanno l'azione di interferenti endocrini (diossine e ipa in particolare); tali sostanze sono correlate allo sviluppo di gravi patologie del sistema endocrino (oltre che a incremento della mortalità oncologica) ed è stato riscontrato l'incremento proprio dell'endometriosi;
    l'endometriosi è sicuramente una malattia invalidante, in quanto costringe le donne che ne sono affette a modificare il proprio stile di vita, rimodulando le proprie abitudini sia nei rapporti sociali che nella vita lavorativa e privata;
    il 22 luglio 2009 il Ministro per le pari opportunità, il presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, il presidente dell'Istituto nazionale per l'assicurazione infortuni sul lavoro, il presidente dell'Istituto affari sociali e il presidente della Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa sul tema dell'endometriosi;
    con tale convenzione le parti si sono impegnate nella promozione di campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnate a costituire un tavolo tecnico presso il Ministero per le pari opportunità per la verifica e la valutazione di strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia» (articolo 1);
    con l'articolo 4 della suddetta convenzione le parti hanno concordato di dare priorità alle seguenti tematiche e aree di intervento:
     a) aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere la patologia;
     b) favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
     c) porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
     d) stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
    tale protocollo d'intesa aveva validità 5 anni a decorrere dalla data di stipula, termine scaduto il 22 luglio 2014;
    sono già state approvate in Italia quattro leggi regionali, la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia, la n. 40 del 2014 della Puglia, la n. 26 del 2014 della Sardegna e la n.1 del 2015 del Molise, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi al fine di migliorare la qualità delle cure, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione. E varie proposte di legge sono state depositate in altre regioni;
    da diversi ambiti della società si sente da tempo l'esigenza di dare una spinta alle istituzioni, a tutti i livelli, per ottenere il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e il relativo inserimento nelle tabelle di cui al decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, «Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», come modificato dal decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296, «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, anche normative, affinché siano aggiornate le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate;
   ad avviare iniziative di sostegno sociale ed economico per le donne affette da endometriosi, finalizzate alla riduzione degli enormi costi che le pazienti si trovano ad affrontare prima e dopo la diagnosi certa della malattia, prevedendo l'esenzione dal ticket sanitario per esami specialistici, quali ecografie pelviche e transvaginali, risonanze magnetiche con contrasto e altro, e prevedendo, altresì, l'esenzione per l'acquisto di farmaci destinati a lenire il dolore e a bloccare i sintomi della patologia, intervenendo anche con azioni volte alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni offerte dal servizio sanitario nazionale;
   ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica affinché si arrivi, per la maggior parte dei casi, ad una diagnosi precoce certa;
   ad assumere iniziative per istituire il fondo nazionale per l'endometriosi e un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ponendo a carico delle regioni l'onere di trasmettere al registro nazionale periodicamente i dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio;
   ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia e a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
   ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
   ad istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale, nel rispetto della trasparenza e dell'assenza di conflitti d'interessi, secondo requisiti e criteri predefiniti;
   a fornire elementi sulle tempistiche esatte relative all'emanazione del decreto di revisione dei livelli essenziali di assistenza, considerato che da circa due anni, e anche in occasione della giornata mondiale dell'endometriosi, il Ministro della salute ha annunciato a mezzo stampa e attraverso i social network l'inserimento dell'endometriosi nei livelli essenziali di assistenza.
(1-00698)
(Nuova formulazione) «Lorefice, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Gagnarli, Rizzo, Corda, Frusone, Spadoni, Di Battista, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Lombardi, Cozzolino, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Colonnese, Di Vita, Baroni, Cecconi, Ruocco, Cancelleri, Tofalo, Basilio, Alberti, Cominardi, Tripiedi, Terzoni, Agostinelli, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spessotto, Toninelli, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(14 gennaio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una delle malattie ginecologiche a più alta prevalenza ed una condizione clinica tra le più studiate negli anni recenti. Si tratta di una patologia infiammatoria estrogeno dipendente che interessa nei Paesi occidentali il 5-10 per cento della popolazione femminile in età riproduttiva;
    il picco di incidenza si colloca in età fertile, soprattutto tra i 25 e i 35 anni, mentre è rara in epoca pre-puberale e post-menopausale, anche se la necessità di riporre un'attenzione crescente all'endometriosi anche durante l'età adolescenziale è un tema ampiamente emergente dalla letteratura internazionale;
    secondo i primi dati dell’American endometriosis association nei due terzi dei soggetti l'esordio della sintomatologia avviene prima dei 20 anni, mentre, nella sua revisione più recente (1998), il registro dell’American endometriosis association riporta che quasi il 40 per cento delle donne con endometriosi riferiva una comparsa dei primi sintomi ad un'età inferiore a 15 anni e oltre il 25 per cento ad un'età compresa tra 15 e 19 anni;
    la caratteristica patologica specifica dell'endometriosi consiste nella presenza di tessuto endometrio-simile (cioè del tessuto che riveste l'interno dell'utero) al di fuori della cavità uterina e principalmente sulle ovaie, sul peritoneo pelvico, vescica o anche intestino;
    le problematiche cliniche più frequenti sono rappresentate da dolore pelvico cronico, dolore durante i rapporti sessuali ed infertilità;
    l'endometriosi non è una malattia mortale, ma la capacità di metastatizzare, la possibilità di recidiva a livello locale e a distanza, l'insorgenza di dolore neuropatico resistente alla terapia medica sono alcune delle tante caratteristiche che l'endometriosi condivide con le neoplasie, come i carcinomi ovarici e, anche se nella maggior parte dei casi l'endometriosi presenta un decorso benigno, ci sono dati crescenti a favore di una correlazione tra endometriosi e cancro ovario;
    l'endometriosi costituisce attualmente un problema di salute pubblica, dal momento che colpisce dal 5 per cento al 10 per cento delle donne in età riproduttiva, una proporzione che aumenta addirittura al 30 per cento nell'ambito di donne subfertili e in Italia sono almeno 3 milioni le donne che soffrono di endometriosi;
    questi dati rappresentano, peraltro, una sottostima della reale prevalenza della malattia nella popolazione generale, dal momento che i sintomi non sono sempre presenti: molte donne scoprono di avere l'endometriosi quando hanno difficoltà ad avere figli e, quando la malattia può essere sospettata in donne con dolore pelvico cronico, il gold standard per la diagnosi di endometriosi è ancora la valutazione laparoscopica, confermata dall'esame istologico;
    la scarsa conoscenza della malattia fa sì che prima della diagnosi passino in media nove anni. Tutto questo costringe le donne ad un vero e proprio calvario fatto di ecografie, visite specialistiche e accertamenti, a volte invasivi e costosi, per scoprire l'origine di quei forti dolori pelvici, soprattutto durante il ciclo mestruale. Una volta diagnosticata la malattia, occorre assumere farmaci per lunghi periodi o sottoporsi a più interventi chirurgici;
    il fenomeno, i cui numeri sono significativi sia a livello nazionale che internazionale, ha indotto già nel 2005 ben 266 membri del Parlamento europeo a firmare la Written declaration on endometriosis, stimando in 39 miliardi di euro l'onere annuale dei congedi di malattia causati da questa patologia all'interno dell'Unione europea;
    nonostante la diffusione di questa malattia, la sua conoscenza risultava essere ancora scarsa, sia da parte della popolazione dell'Unione europea che da parte dei medici;
    il documento invitava pertanto i Governi degli Stati membri e la Commissione europea a lavorare per favorire la ricerca sulle cause, sulla prevenzione e sul trattamento dell'endometriosi, dando anche indicazione per l'istituzione di una giornata nazionale dedicata alla sensibilizzazione su questo tema;
    anche la Commissione igiene e sanità del Senato della Repubblica ha svolto un'indagine conoscitiva sul fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale;
    l'endometriosi è spesso invalidante, creando una condizione cronica che destabilizza profondamente la qualità di vita della paziente, con un impatto negativo sulla vita sociale/personale e con alti costi di assistenza sanitaria, e causando, tra l'altro, frequenti assenze del lavoro o assenteismo scolastico in caso di adolescenti, impedendo lo svolgimento di attività ordinarie;
    l'impatto dell'endometriosi non riguarda solo la sfera fisica, emotiva e relazionale delle donne, ma ha anche significative ripercussioni nella sfera lavorativa, provocando l'arresto delle progressioni di carriera, la perdita o l'abbandono del lavoro;
    in occasione della giornata mondiale dell'endometriosi, il Ministro della salute Beatrice Lorenzin ha annunciato che l'endometriosi sarà nei nuovi livelli essenziali di assistenza e rientrerà, quindi, nell'elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all'esenzione;
    alcune regioni italiane (Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sardegna e Molise) hanno approvato una legge regionale a tutela delle donne affette da endometriosi, che, oltre a prevedere numerosi interventi sul fronte delle terapie, della diagnosi, della formazione e della prevenzione, istituisce il registro e l'osservatorio regionale dell'endometriosi,

impegna il Governo:

   a mettere in campo tutte le iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dall'inserimento di tale patologia nell'elenco di quelle soggette all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria a mezzo dell'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
   ad adottare iniziative finalizzate all'esenzione dalla partecipazione al costo per prestazioni di diagnostica, ambulatoriali e specialistiche correlate all'endometriosi e per l'acquisto di farmaci, promuovendo, altresì, iniziative utili alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni effettuate dal servizio sanitario nazionale;
   a favorire lo sviluppo di reti di servizi e centri di eccellenza che assicurino la presenza di team multidisciplinari in grado di lavorare per preservare la fertilità della donna, migliorare la qualità della sua vita e ridurre i costi socio-economici;
   a promuovere la conoscenza della malattia fra i medici e nella popolazione per agevolare la prevenzione, per ridurre l'intervallo di tempo significativo tra l'insorgenza dei sintomi e la diagnosi e per migliorare la qualità delle cure, sostenendo la ricerca scientifica e le attività delle associazioni e del volontariato dedicate ad aiutare le donne affette da tale malattia;
   a mettere in campo forme di tutela delle lavoratrici affette da endometriosi per garantire il diritto alla salute e salvaguardare il posto di lavoro;
   a sostenere l'istituzione del registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali riferiti all'endometriosi, al fine di favorire lo scambio dei dati e di stabilire strategie condivise di intervento sulla malattia, derivanti dall'analisi dei dati specifici per ambito geografico, di monitorare l'andamento del fenomeno e di rilevare le problematiche ad esso connesse, nonché le eventuali complicanze;
   a creare presso il Ministero della salute una commissione di esperti sull'endometriosi, composta da un numero massimo di dieci membri, alla quale sia attribuito il compito di predisporre le linee guida per la programmazione della ricerca scientifica relativa alla diagnosi e alla cura dell'endometriosi e per l'individuazione di adeguati strumenti di informazione dei pazienti;
   ad assumere iniziative per istituire la Giornata nazionale per la lotta contro l'endometriosi da celebrare il 9 marzo di ogni anno.
(1-01229)
«D'Incecco, Lenzi, Amato, Burtone, Carnevali, Miotto, Patriarca, Sbrollini, Murer, Mariano, Giuditta Pini, Piazzoni, Antezza, Amoddio».
(20 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    solo pochi giorni fa, il 22 aprile 2016 per la precisione, per iniziativa del Ministro della salute, l'onorevole Beatrice Lorenzin, è stata celebrata la «Giornata nazionale dedicata alla salute della donna», come previsto dalla direttiva del 1o giugno 2015 del Presidente del Consiglio dei ministri. In quella occasione è stato pubblicato un manifesto con 10 punti chiave, di cui si possono ricordare almeno i primi tre:
     a) approccio alla salute femminile secondo la medicina di «genere», per il contrasto alle malattie croniche non trasmissibili, e attenzione alla ricerca scientifica mirata specificamente alle esigenze e peculiarità delle donne;
     b) strategie di comunicazione per accrescere la consapevolezza delle donne sulle tematiche di salute, per sé e per la sua famiglia;
     c) tutela e promozione della salute sessuale e riproduttiva, anche attraverso la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse e la tutela della fertilità, favorendo una procreazione responsabile e consapevole e sostenendo la salute materna e neonatale;
    per dare concretezza al manifesto appena pubblicato è necessario parlare di endometriosi, per imparare a riconoscere prima questa patologia esclusivamente femminile, vero e proprio paradigma della medicina di genere, per tutelare la fertilità femminile e per ridurre i rischi della sterilità;
    l'endometriosi è una malattia poco conosciuta ma più frequente di quel che si creda: colpisce il 10-20 per cento delle donne in età riproduttiva e può provocare disturbi invalidanti e infertilità. Non è facile da riconoscere, perché i sintomi possono essere poco specifici e quindi comuni ad altre patologie. Oggi, però, ci sono gli strumenti a disposizione per affrontarla e curarla. Ed è giunto il momento perché il Parlamento faccia qualcosa di più per le donne che ne soffrono, per ridurre le conseguenze che una maternità intensamente desiderata ma non realizzata può avere sul vissuto della donna e dell'intera famiglia;
    con endometriosi si indica la presenza di endometrio, che ricopre la cavità interna dell'utero o al di fuori della cavità uterina in altre zone del corpo femminile, normalmente nella pelvi, dove interessa ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. È una malattia cronica e invalidante, che viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
    l'endometriosi può colpire le donne dal momento dello sviluppo fino alla menopausa, anche se dopo i 40 anni la crescita del tessuto endometriale presente fuori dalla cavità uterina sembra più lenta. A volte può persistere anche dopo la menopausa in presenza di terapie ormonali. La malattia si sviluppa indipendentemente dal fatto di aver avuto gravidanze, ma dopo ogni gravidanza sembra avere una crescita più accelerata. Le cause dell'endometriosi sono ancora ben lungi dall'essere chiarite;
    dal punto di vista epidemiologico il numero di donne con endometriosi è vicino al 10 per cento delle donne in età riproduttiva. Si parla di una patologia che colpisce circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. Le sue cause sono ancora ignote e si parla di fattori genetici, immunitari, infiammatori e vascolari. Ma anche di sostanze inquinanti ambientali, che aumenterebbero la predisposizione all'endometriosi. Di certo si sa che è una malattia i cui numeri stanno crescendo rapidamente;
    i due sintomi più importanti sono il dolore e la sterilità; la donna sperimenta il primo sintomo fin dai primi anni del suo sviluppo e del secondo si rende conto quando desidera avere un figlio. Ma il sintomo del dolore pelvico può apparire aspecifico e quindi rendere difficile una diagnosi differenziale, soprattutto perché può essere causato da disturbi di diversa origine, ginecologici, riproduttivi, gastrointestinali, urinari, muscolo-scheletrici. È spesso un dolore profondo e diffuso, accompagnato da nausea, vomito, ansia e depressione;
    l'endometriosi interferisce in diversi modi sulla fertilità spontanea della donna. La causa che la provoca può essere localizzata nelle ovaie, nelle tube o nel peritoneo circostante. Approssimativamente dal 30 per cento al 40 per cento delle donne con endometriosi è sterile; la malattia è infatti una delle prime tre cause di sterilità femminile. Alcune donne scoprono la loro endometriosi, nel momento in cui si rendono conto di avere difficoltà a restare incinta. Si tratta, infatti, di una malattia difficile da diagnosticare e molte donne ricevono una corretta diagnosi solo dopo molti anni di visite mediche e dopo numerosi accertamenti diagnostici;
    oggi si inizia a pensare che anche nella sindrome mestruale caratteristica delle adolescenti, accompagnata da forti dolori e da disagio generale, ci possa essere una componente di tipo endometriosico, che, se opportunamente riconosciuta e trattata, potrebbe ridurre il rischio sterilità. Si tratta di un problema sociale di grande rilevanza, proprio per le conseguenze che la sterilità ha nella vita di una donna e di una famiglia; per tali motivi la ricerca in materia costituisce un'area di particolare rilevanza scientifico e sociale;
    il trattamento dell'endometriosi può essere effettuato per via chirurgica e/o per via medica. La rimozione dei focolai endometriosici, con contemporanea conservazione e ripristino dell'integrità degli organi colpiti, esige tecniche chirurgiche particolarmente delicate. Gli interventi per sanare le tube e le ovaie, eseguiti con precisione, portano all'eliminazione dell'endometriosi e, inoltre, rendono spesso possibile la comparsa spontanea di una gravidanza. L'endometriosi non può essere definitivamente curata, tuttavia è possibile raggiungere un soddisfacente controllo dei sintomi con il ricorso all'utilizzo della pillola contraccettiva che, prevenendo l'ovulazione, riduce l'ingrossamento dell'endometrio e il dolore associato al ciclo. Un problema da non sottovalutare è il fatto che l'endometriosi ha spesso un decorso cronico e può rinfiammarsi. Ciò significa che, anche dopo un successo iniziale del trattamento, le recidive sono possibili;
    nel luglio del 2009 il Ministro per le pari opportunità, l'Inps, l'Inail, l'Istituto affari sociali e la Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa della durata di 5 anni sul tema dell'endometriosi. Quel protocollo, scaduto nel 2014, impegnava le diverse parti:
     a) a promuovere campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi;
     b) a promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia;
     c) a favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
     d) a porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
     e) a stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
    in mancanza di una normativa nazionale su un tema così delicato, rivestono un certo interesse alcune leggi regionali: la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia e la n. 40 del 2014 della Puglia, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione;
    è necessario valutare la possibilità che l'endometriosi possa costituire una patologia invalidante ai fini dell'inserimento nelle tabelle a cui fa riferimento il decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296, «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione alla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per aggiornare le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dal ticket sanitario per esami diagnostici specialistici e l'esenzione dal ticket per l'acquisto di farmaci necessari alla cura e al controllo dei sintomi;
   ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica che faciliti nella maggior parte dei casi una diagnosi precoce certa;
   ad assumere iniziative per istituire un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia, a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
   ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
   ad assumere iniziative per istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici o privati esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale.
(1-01235) «Binetti, Calabrò, Bosco».
(29 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia cronica in cui tessuto simile a quello endometriale, che fisiologicamente riveste la parete interna dell'utero, viene a trovarsi in sedi anomale, principalmente a livello di ovaie, tube, utero (se tessuto endometriosico si addentra nello spessore della parete muscolare dell'utero si parla più propriamente di adenomiosi), legamenti utero-sacrali, cavo del Douglas, vescica, retto, ureteri, reni, setto retto-vaginale, genitali esterni; può trovarsi anche a livello di ombelico, arti, polmoni e in qualunque organo del corpo; è possibile una localizzazione a livello di cicatrici di interventi chirurgici precedenti;
    il tessuto cosiddetto ectopico (fuori posto) subisce gli stessi influssi ormonali del tessuto eutopico (il tessuto endometriale che correttamente riveste la cavità dell'utero), perciò ciclicamente prolifera, si sfalda e sanguina, mimando la mestruazione. Questo sangue però non ha una naturale via d'uscita e perciò diventa fortemente irritativo causando reazioni infiammatorie, mentre le lesioni, proliferando, producono aderenze che irrigidiscono gli organi su cui si formano ostacolandone la funzionalità;
    nonostante sia stata diagnosticata per la prima volta già nel 1690, la causa dell'endometriosi non è ancora nota. L'endometriosi è una malattia multifattoriale, cioè è determinata da fattori sia genetici sia ambientali. Si nota una certa familiarità. Alcuni studi la correlano alla presenza di sostanze presenti nell'ambiente come conseguenza delle lavorazioni industriali o come residui di prodotti usati in agricoltura tipo pesticidi (esempio: diossina);
    l'eziologia, cioè le cause precise che provocano lo sviluppo dell'endometriosi, rimangono ancora sconosciute. Certamente però si può parlare al plurale. Infatti, si è compreso che si tratta di una malattia multifattoriale, nel determinare la quale intervengono sia fattori di tipo genetico sia fattori di tipo ambientale;
    i fattori genetici che sottostanno all'endometriosi sembrano legati ad una fragilità del sistema immunitario che non funzionerebbe in modo adeguatamente efficace. Si è osservato infatti che le donne che abbiano familiari di primo grado (madre e/o sorelle) affette da endometriosi avrebbero più probabilità di contrarre la malattia; studi effettuati su gemelle omozigoti (che condividono cioè interamente il loro patrimonio genetico) confermerebbero questo dato. In ogni caso, si tratta di fattori predisponenti e non determinanti la malattia in modo necessario;
    si stima ne sia colpito il 10-17 per cento delle donne in età fertile. L'incidenza è spesso sottovalutata e ciò determina un ritardo di diagnosi che si calcola in una media di 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi (secondo dati americani, per la metà delle donne occorre incontrare una media di 5 ginecologi prima di ottenere una diagnosi di endometriosi);
    il periodo di insorgenza va dall'adolescenza alla menopausa; una volta instaurata, la malattia può continuare a manifestarsi anche dopo la menopausa; sono testimoniati anche casi di insorgenza prepubere;
    recenti ricerche hanno evidenziato che le donne sofferenti di endometriosi possono avere un rischio più alto di patologie cardiache rispetto alle altre donne. A dichiararlo sono i medici del Brigham and Women's Hospital di Boston, Usa, che hanno pubblicato uno studio sulla rivista scientifica Circulation. L'endometriosi prevede la crescita di tessuti tipici dell'utero al di fuori dell'utero che può provocare dolore, sanguinamenti, infiammazioni croniche e infertilità. Lo studio, spiegano gli stessi esperti, «potrebbe essere il primo a tracciare un collegamento tra le patologie coronariche e l'endometriosi»;
    i ricercatori hanno studiato i dati relativi ad oltre 116 mila donne con o senza endometriosi, scoprendo che le pazienti avevano «il 35 per cento di probabilità in più di aver bisogno di un intervento chirurgico o di inserire uno stent per liberare delle arterie bloccate; il 52 per cento di probabilità in più di avere un attacco di cuore; e il 91 per cento di sviluppare dolore toracico e angina». Le donne con meno di 40 anni e con endometriosi «avevano una probabilità tre volte più alta di avere un attacco di cuore, dolore toracico o di aver bisogno di uno stent rispetto a donne della stessa età ma senza endometriosi». I ricercatori dichiarano che questa patologia «potrebbe essere in parte responsabile di questo aumento di rischio cardiovascolare», dato che verrebbero a mancare gli effetti protettivi degli ormoni femminili sul cuore. Le donne con endometriosi devono «adottare stili di vita che favoriscano la salute del cuore – concludono gli esperti – fare controlli periodici ed essere consapevoli di quali siano i sintomi, dato che le patologie cardiache sono causa primaria di morte per il sesso femminile»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte all'immediato inserimento dell'endometriosi nell'elenco delle patologie con esenzione per i test diagnostici e per la terapia;
   a predisporre misure di tutela efficaci per le donne affette da tale patologia nel mondo del lavoro;
   ad attivarsi per l'istituzione di un registro nazionale per la valutazione della reale incidenza della patologia, mancando dati certi sia in Italia che in Europa, essendo stati predisposti esclusivamente studi su piccole porzione di popolazione in Paesi del nord Europa;
   ad assumere iniziative per la costituzione di un tavolo tecnico composto da esperti, presso il Ministero della salute, con la finalità di fornire alle donne affette da tale patologia la maggior quantità di informazioni basate su linee guida internazionali e sistematiche revisioni della letteratura medica, anche alla luce delle nuove scoperte, per un approccio rispettoso, non aggressivo ed economicamente sostenibile basato sul valore dell'evidenza medica.
(1-01237)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(2 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia caratterizzata dalla presenza e dall'accrescimento progressivo di isole di mucosa uterina in sede abnorme, cioè nella parete muscolare dell'utero (endometriosi interna), oppure in altri organi (endometriosi esterna, ovaio, tube, vulva, intestino, pleura, polmone);
    le lesioni più caratteristiche sono le cosiddette cisti endometrioidi;
    l'endometriosi è anche nota sotto altri nomi, endometrioma, adenosi benigna e coriblastoma dell'utero;
    trattasi di una malattia di cui sono affette circa tre milioni di donne in Italia, quattordici milioni in Europa ed oltre centocinquanta milioni nel mondo;
    è una malattia cronica ed invalidante e viene classificata dall'Organizzazione mondiale della sanità in quattro stadi (I stadio con gradazione minima, II stadio con gradazione lieve, III stadio con gradazione moderata e IV stadio con gradazione grave) determinati in base all'estensione e localizzazione della lesione;
    essendo malattia fortemente invalidante, costringe le donne a modificare le loro abitudini, lo stile di vita e la vita lavorativa;
    tale malattia presenta notevoli difficoltà diagnostiche anche a causa delle poche équipe specializzate nella diagnosi e nella cura dell'endometriosi, sull'intero territorio nazionale;
    mediamente si arriva ad una corretta e precisa diagnosi dopo non meno di dieci anni con le pazienti costrette a girovagare da un ospedale all'altro, da uno specialista all'altro, spesso costrette ad avvalersi di professionisti e strutture privati;
    il Ministro pro tempore per le pari opportunità, il Presidente della Fondazione italiana endometriosi, il presidente dell'Inps, il presidente dell'Inail, il presidente dell'Istituto affari sociali, hanno stipulato, nel luglio del 2009, un protocollo di intesa con validità quinquennale;
    a causa della disinformazione in materia con il suddetto protocollo di intesa le parti si sono impegnate a promuovere apposite campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnati inoltre a costituire un tavolo tecnico presso il Dipartimento delle pari opportunità per verificare la possibilità di intervento attraverso strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia»;
    in particolare, l'articolo 4 della suddetta convenzione prevede le seguenti iniziative:
     a) aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere detta patologia;
     b) favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
     c) porre particolarmente attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
     d) stimolare un maggior interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
    ad oggi solo due regioni (Puglia e Friuli Venezia Giulia) hanno legiferato sulla materia promuovendo la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi e istituendo un osservatorio ed un registro regionale;
    da diversi anni si attende il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e l'inserimento dell'endometriosi tra le malattie croniche ed invalidanti per avere il diritto all'esenzione dai ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'istituzione, fermo restando il rispetto dei parametri e dei vincoli di finanza pubblica concordati con l'Unione europea, di un fondo nazionale per l'endometriosi e di un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia;
   a concordare con le regioni le modalità di trasmissione periodica al registro nazionale dei dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio e ad attivare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia;
   a valutare l'opportunità, fermo restando il rispetto dei parametri e dei vincoli di finanza pubblica, di assumere iniziative per aggiornare le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni inserendo l'endometriosi tra le malattie invalidanti, nonché per prevedere il diritto all'esenzione da tutti ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria;
   a tutelare le lavoratrici affette da endometriosi, per la salvaguardia del posto di lavoro.
(1-01238)
«Palese, Fucci, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Latronico, Marti».
(2 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia ancora poco conosciuta, cronica e spesso invalidante, che colpisce le donne, e tipica dell'età fertile, ad insorgenza spesso precoce persino in età preadolescenziale. Non si conoscono ancora le cause di questa malattia. Si stanno conducendo ricerche, ci sono orientamenti, ma non è ancora conosciuta la causa scientifica della sua genesi;
    si tratta di una patologia complessa, di difficile approccio diagnostico e terapeutico, e che deve essere affrontata in modo multidisciplinare con il coinvolgimento di più figure specialistiche. Il trattamento deve essere individualizzato, prendendo in considerazione il problema clinico nella sua interezza;
    il principale sintomo dell'endometriosi è il dolore, che in alcuni casi può divenire cronico e invalidante, tanto da non permettere di svolgere le normali attività quotidiane. Spesso la dismenorrea (dolore durante la mestruazione) si associa a dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali) e a dischezia (dolore nell'evacuazione), rendendo la vita di relazione estremamente difficile, con importanti ricadute sociali per la minore produttività sul lavoro e per le frequenti assenze dovute alla malattia. Inoltre l'endometriosi è responsabile di almeno il 30 per cento dei casi di infertilità;
    nella valutazione della gravità della malattia si fa riferimento a varie classificazioni, che prendono in considerazione l'estensione e la profondità delle lesioni, il coinvolgimento ovarico, le aderenze eventualmente presenti, la presenza di lesioni «profonde», l'eventuale ripercussione sulla fertilità;
    secondo stime internazionali, questa patologia colpisce 150 milioni di donne nel mondo, e circa il 10 per cento della popolazione femminile in Europa. In Italia, nel 2004, una rilevazione del Census bureau (un'indagine statunitense) ha evidenziato che sono circa 3 milioni le donne affette da tale malattia;
    l'endometriosi viene considerata una malattia sociale dalla Written Declaration on Endometriosis (WDE), adottata con delibera n. 30/2004 e sottoscritta da 266 membri del Parlamento europeo il 19 aprile 2004. In questo documento è stato evidenziato il grandissimo impatto economico e sociale, con costi diretti e indiretti annui valutati attorno ai 30 miliardi di euro. La conoscenza della malattia è scarsissima, non solo tra le pazienti, ma anche tra i medici, con gravi ritardi nella diagnosi e nella scelta di una terapia appropriata;
    la WDE ha invitato dunque i Governi nazionali degli Stati membri dell'Unione europea ad affrontare i problemi legati a questa patologia, sollecitando, altresì, l'inserimento dell'endometriosi nei programmi di prevenzione per la salute pubblica, nonché l'istituzione di giornate annuali dell'endometriosi, al fine di migliorarne la conoscenza;
    chi soffre di endometriosi può non riuscire, a causa dei sintomi, a svolgere le normali attività quotidiane e a coltivare le proprie relazioni sociali;
    è inoltre una patologia che ha fortissime ripercussioni sulla vita personale e familiare della donna che ne soffre;
    lo studio europeo EAPPG (Endometriosis All Party Parlamentary Group) ha evidenziato come molte donne hanno dovuto adattare la propria vita lavorativa a questa malattia: almeno 5 giorni lavorativi al mese sono persi a causa dei vari sintomi dolorosi; il 14 per cento delle donne affette da endometriosi ha ridotto l'orario di lavoro; il 14 per cento ha abbandonato/perso l'attività lavorativa o richiesto il prepensionamento; il 40 per cento teme di parlare della propria malattia al datore di lavoro per paura delle conseguenze;
    i costi economici sostenuti da chi ne è affetto, e per il servizio sanitario nazionale per accertamenti diagnostici, terapie farmacologiche croniche (alcune non rimborsate dal servizio sanitario nazionale), ricoveri ospedalieri, trattamenti chirurgici, eccetera, sono alti;
    a carico di molte donne affette da questa patologia rimangono gli alti costi dei medicinali – molti non mutuabili – e delle visite mediche private, a cui sono troppo spesso «costrette» per superare le lunghe liste d'attesa;
    dal punto di vista strettamente sanitario, il dolore associato all'endometriosi è spesso sconosciuto, non compreso, non accettato nella sua durezza e, di conseguenza, la donna viene spesso lasciata troppo sola;
    come evidenziato dall'Indagine conoscitiva sul «fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale», svoltasi nella XIV legislatura al Senato, «il 58 per cento delle suddette pazienti ha ritenuto che fossero sintomi normali e la maggior parte non immaginava affatto potesse trattarsi di endometriosi; il 21 per cento dei medici consultati ha affermato che queste pazienti non erano affette da endometriosi: in questi casi è evidente che vi è stato un mancato riconoscimento. Inoltre, il 35 per cento delle pazienti non si è sentita presa seriamente in considerazione dal proprio medico ed il 38 per cento non ha trovato aiuto da parte del medico stesso»;
    il tempo medio per la diagnosi arriva anche a nove, dieci anni, in quanto occorrono circa quattro anni prima che la paziente consulti il medico e altri quattro anni per l'identificazione e la conferma della diagnosi, dopo una media di circa cinque medici consultati. La diagnosi certa arriva, pertanto, tardiva, a seguito di una ricerca diagnostica lunga e dispendiosa, subita dal corpo della donna spesso in modo invasivo;
    a sostegno del percorso diagnostico-assistenziale, è quindi indispensabile puntare sulla formazione e l'aggiornamento dei professionisti che sono a vario titolo coinvolti;
    nulla si sa delle nuove tabelle dell'invalidità civile che erano state predisposte da una commissione ministeriale nel novembre 2011, e che includevano l'endometriosi, e il cui iter si è interrotto per un parere negativo delle regioni a causa della loro inadeguatezza;
    attualmente per i casi più gravi di questa patologia l'invalidità riconosciuta non supera il 30 per cento, e non si possono chiedere i permessi retribuiti riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992. Alcune aziende sanitarie riconoscono – a discrezione del medico – una percentuale di invalidità registrandola come altra patologia,

impegna il Governo:

   a non ritardare ulteriormente l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, prevedendo, come più volte promesso, anche l'aggiornamento delle malattie croniche, ivi compresa l'endometriosi medio/grave;
   ad assumere iniziative per esentare conseguentemente l'endometriosi dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria ai sensi del decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
   ad assumere iniziative per includere l'endometriosi, nei suoi quattro stadi clinici, nelle nuove tabelle dell'invalidità civile da predisporre in accordo con le regioni modificando quelle predisposte dalla commissione ministeriale nel novembre 2011, al fine di aumentare l'invalidità riconosciuta per questa malattia e poter chiedere i permessi retribuiti riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992;
   ad assumere opportune iniziative volte a garantire maggior tutela alle donne lavoratrici affette da detta patologia per la salvaguardia e la garanzia del posto di lavoro;
   ad assumere le iniziative di competenza per istituire il registro nazionale dell'endometriosi e opportuni registri regionali, per la raccolta, l'analisi e la condivisione dei dati clinici e sociali riferiti alla malattia, al fine di favorire e di stabilire strategie di intervento condivise sulla base dell'analisi dei dati specifici per ambito geografico, di verificarne l'efficacia, di monitorare l'andamento e la ricorrenza della malattia, nonché di rilevare le problematiche e le eventuali complicanze connesse;
   a garantire la massima condivisione, nel pieno rispetto della privacy, dei suddetti dati, anche attraverso la loro pubblicazione e la messa in rete sul web, che permetta di conoscere i dati epidemiologici, clinici e sociali;
   a includere l'endometriosi tra gli obiettivi prioritari della ricerca sanitaria, in modo particolare per quanto riguarda la genesi della malattia, la terapia specifica, il trattamento delle recidive, la prevenzione dell'infertilità, anche al fine di porre la donna al centro di un percorso il più veloce possibile per la diagnosi e la successiva cura;
   ad assumere iniziative per avviare efficaci campagne di formazione e informazione per i medici ginecologi, i medici e gli operatori dei presìdi consultoriali, e per i medici di medicina generale;
   ad assumere iniziative per attivare opportune reti di eccellenza pubbliche impegnate nella formazione degli operatori sanitari e nella massima trasmissione del know how clinico-diagnostico e terapeutico;
   ad avviare quanto prima un processo che promuova la realizzazione di centri di riferimento e di eccellenza pubblici, per il primo approccio e quindi le prime diagnosi, per la cura in ambito nazionale della patologia;
   ad assumere iniziative per istituire la giornata nazionale per la lotta contro l'endometriosi, affinché le amministrazioni pubbliche, anche in coordinamento con le associazioni senza fini di lucro e con gli organismi operanti nel settore, possano predisporre iniziative volte a promuovere campagne di sensibilizzazione sulle caratteristiche, sulla sintomatologia e sulle pratiche di prevenzione dell'endometriosi.
(1-01239)
(Nuova formulazione) «Nicchi, Gregori, Costantino, Duranti, Martelli, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Giancarlo Giordano, Melilla».
(2 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia cronica originata dalla presenza del tessuto che fisiologicamente riveste la parete interna dell'utero (endometrio) in altre sedi anomale, quali principalmente: ovaie, tube, utero, legamenti utero-sacrali, cavo del Douglas, vescica, retto, ureteri, reni, setto retto-vaginale, genitali esterni. Eccezionalmente, tale presenza anomala può trovarsi anche a livello di: ombelico, arti, polmoni e in qualunque organo del corpo;
    il tessuto cosiddetto ectopico (cioè «fuori posto») subisce le stesse sollecitazioni ormonali del tessuto eutopico (cioè del tessuto endometriale che normalmente riveste la cavità dell'utero) perciò ciclicamente prolifera, si sfalda e sanguina, mimando la mestruazione e provocando spesso in sede ovarica o comunque atipica lo sviluppo di cisti endometriosiche. Il tessuto di sfaldamento e la componente ematica relativa alle localizzazioni endometriosiche ectopiche non trova la fisiologica via d'uscita utero-vaginale all'esterno e perciò rischia di raggiungere sedi inappropriate, organizzandosi o causando reazioni infiammatorie e producendo aderenze tessutali cicatriziali che alterano la struttura e la dinamica degli organi su cui si formano, ostacolandone la funzionalità;
    si stima che nel mondo l'endometriosi colpisca una donna su dieci in età fertile, senza distinzione di paese o classe sociale e che coinvolga in assoluto almeno 150 milioni di donne (dati ONU), di cui circa 5,5 milioni nel Nord America e circa 14 nell'Unione europea (quasi il 10 per cento). (European Society of Human Reproduction and Embryology; Reproductive Science and the Journal of Endometriosis, 2014);
    nel nostro Paese, l'esatta incidenza e prevalenza dell'endometriosi non sono conosciute. Pertanto, in assenza di dati epidemiologici precisi e aggiornati che consentano di avere la dimensione nazionale del fenomeno, è possibile esclusivamente far riferimento ai dati numerici internazionali, che stimano intorno ai 3 milioni le donne italiane affette da endometriosi;
    l'età di insorgenza dell'endometriosi va dall'adolescenza alla menopausa (una volta instaurata, la malattia può continuare a manifestarsi anche dopo la menopausa e sono testimoniati anche casi di insorgenza prepubere), ma il picco di incidenza si colloca in età fertile, soprattutto tra i 25 e i 35 anni;
    la frequente sottovalutazione di questa patologia provoca spesso un ritardo della sua diagnosi, quantificato mediamente in 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi (secondo dati americani, la metà delle donne debbono essere visitate in media da 5 ginecologi prima di ottenere una diagnosi di endometriosi);
    nel 20-25 per cento dei casi l'endometriosi è asintomatica. Per il restante 75-80 per cento i sintomi prevalenti sono: dolore pelvico cronico, dismenorrea, dispareunia, dolore alla defecazione e alla minzione in corrispondenza del ciclo, dolore nella regione lombare e/o lungo l'arto inferiore, cefalea, proctorragia, ematuria, diarrea e/o stitichezza, gonfiore addominale, affaticamento cronico, febbricola e spotting intermestruali;
    il percorso diagnostico si basa su svariati e numerosi accertamenti: la visita ginecologica (inclusa l'esplorazione rettale), l'ecografia pelvica transvaginale, la Tac, l'urografia, la cistoscopia, la rettocolonscopia e la ricerca di marcatori ematici. Tuttavia, la diagnosi certa si ottiene con l'analisi del tessuto prelevato in fase di intervento chirurgico, in genere effettuato con tecnica laparoscopica;
    l'eziopatogenesi dell'endometriosi non è ancora nota, dal momento che si tratta di una malattia multifattoriale, determinata sia da fattori genetici (soprattutto correlati al sistema immunitario) che ambientali. Le teorie patogenetiche sono comunque le più accreditate, in particolare la cosiddetta mestruazione retrograda (ad ogni ciclo mestruale, una parte del sangue e delle cellule in esso contenute raggiunge, attraverso le tube, la cavità peritoneale dove può proliferare, dando origine alle lesioni endometriosiche). In altre parole, è probabile che un ruolo importante lo giochi proprio il numero medio di cicli mestruali nella vita. Il numero di cicli è aumentato in maniera considerevole nelle donne occidentali e in particolar modo nelle italiane perché, procreano sempre di meno;
    il 30 per cento delle cause di infertilità in Italia è riconducibile all'endometriosi: una situazione che aggrava un dato già allarmante. Nel nostro Paese si registrano ogni anno 150 mila nascite in meno di quelle necessarie per mantenere la curva della previdenza sociale. Pertanto, il continuo aumento di questa complessa patologia, combinato con uno dei più bassi tassi di fecondità del mondo (1,39 figli per donna) e con un'età media al primo parto decisamente elevata (31,4 anni), può trasformarsi in un vero e proprio disastro demografico per il nostro Paese;
    attualmente, non esiste una cura definitiva per l'endometriosi che raramente diventa patologia talmente grave da comportare rischi per la vita della paziente. Le conseguenze più frequenti dell'endometriosi restano infatti il dolore ed eventualmente la sterilità. Per gli spasmi (che possono variare da lievi a estremamente intensi fino a diventare insopportabili), si prescrivono usualmente i FANS, ovvero i più comuni analgesici, ma molto spesso il dolore tende a diventare farmaco-resistente, nel qual caso la paziente deve ricorrere a terapie più impattanti. L'eventuale insorgenza del dolore neuropatico resistente, insieme alla capacità dell'endometriosi di localizzarsi a distanza (cioè di «metastatizzare») e alla possibilità di ripresentarsi dopo il trattamento terapeutico con recidive a livello locale e a distanza di tempo rappresentano alcune delle caratteristiche che l'endometriosi condivide con le neoplasie;
    le terapie per il trattamento dell'endometriosi sono in prima battuta di tipo ormonale. Si ricorse a composti estroprogestinici (pillola anticoncezionale) somministrati per lunghi periodi, ovvero a farmaci a contenuto solo progestinico che inducono uno stato di pseudogravidanza. Per terapie a più breve termine sono in uso analoghi degli ormoni ipotalamici che inducono uno stato di pseudo menopausa. Ciascuno dei suddetti trattamenti farmacologici ha significativi effetti collaterali e si rivela molto faticoso da sopportare e accettare per una giovane donna;
    le terapie chirurgiche sono soprattutto costituite dall'intervento laparoscopico che permette di asportare le formazioni endometriosiche. Questa tecnica è mediamente invasiva e permette, grazie a strumenti a fibre ottiche, di esplorare il quadro addominale e pelvico della paziente. Talvolta, la laparoscopia non è possibile e si opta per una laparotamia, assai più impattante chirurgicamente e psicologicamente;
    nonostante si cerchi di effettuare interventi conservativi degli organi genitali interni, nei casi più gravi si rischia di arrivare all'isterectomia e/o alla annessiectomia, molto spesso difficilmente accettabili per la giovane età delle pazienti. La disseminazione peritoneale delle localizzazioni ectopiche, talora comporta interventi di resezione intestinale o di asportazione di organi interni. Ciò avviene quando l'endometriosi ha già intaccato quegli organi, compromettendo in modo pesante la loro funzionalità e la qualità di vita della donne. Sfortunatamente, la malattia essendo cronica, tende facilmente a ripresentarsi dopo le terapie, rendendo necessari nuovi trattamenti;
    l'endometriosi è spesso invalidante e crea una condizione cronica che destabilizza profondamente la qualità di vita della donna che ne è colpita, con elevati costi sociali ed economici di sistema (il solo costo del ricorso alle cure è quantizzato in circa 500 euro al mese). Questo impatto non riguarda tuttavia solo la sfera fisica, emotiva e relazionale, ma ha anche significative ripercussioni indirette nell'ambito lavorativo, provocando frequenti assenze dal lavoro, l'arresto delle progressioni di carriera, la perdita o l'abbandono dell'impiego, ovvero assenteismo scolastico nel caso di adolescenti;
    alcune regioni italiane (Friuli Venezia Giulia e Puglia) hanno provveduto ad approvare proprie normative che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, hanno portato all'istituzione dell'osservatorio e del registro regionale;
    anche a livello nazionale, appare ormai inderogabile l'istituzione di tali due organismi (un Osservatorio nazionale sulla malattia e un registro nazionale dell'endometriosi) aventi il compito di diffondere la conoscenza di questa patologia, creare un sistema stabile e aggiornato di monitoraggio epidemiologico della stessa, promuoverne la diagnosi precoce, organizzare strategie appropriate di gestione dei costi sanitari e sociali e minimizzare gli sprechi. Soltanto la diagnosi precoce della malattia nelle prime fasi di insorgenza significherebbe infatti ridurre di 25 volte la spesa sanitaria e previdenziale;
    le ricadute sociali ed economiche dell'endometriosi sul servizio sanitario nazionale e la moral suasion delle società scientifiche e delle associazioni di pazienti spiegano l'attenzione che il Parlamento ha sempre dimostrato verso le problematiche connesse a questo tipo di affezione. Solo negli ultimi due anni sono state presentate in merito otto iniziative legislative e tredici atti di sindacato ispettivo. Durante la XIV legislatura, la commissione igiene e sanità del Senato ha svolto un'indagine conoscitiva (il «fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale», documento conclusivo del 24 gennaio 2006 di cui al doc. XVII, n. 24) mirata a fotografare la situazione italiana con l'obiettivo di quantificarne l'impatto economico, di individuare i percorsi di diagnosi e di cura che ruotino intorno alla donna (e non solo alla patologia), fornendo elementi di conoscenza e di orientamento per l'adozione di politiche pubbliche alla luce delle linee guida europee e mondiali;
    l'interesse del Senato ad affrontare un'indagine conoscitiva è in parte conseguente all'iniziativa del Parlamento europeo (delibera, 30/2004), denominata «Written Declaration on Endometriosis» e sottoscritta da 266 parlamentari europei. Tale documento richiamava l'attenzione sull'incidenza di questa affezione in Europa (una donna su dieci), sull'onere annuale dei congedi malattia ad essa connessi (circa 39 miliardi di euro) ed invitava la Commissione europea ad inserire la prevenzione dell'endometriosi nei futuri programmi comunitari per la salute pubblica con lo scopo di favorirne la ricerca delle cause, la prevenzione e il trattamento, nonché di promuovere una maggiore consapevolezza sulla gravità del problema, anche attraverso l'istituzione di giornate annuali dedicate;
    nell'ambito dell'alleanza terapeutica, il ruolo delle associazioni delle pazienti riveste un ruolo centrale. A livello mondiale, il punto di riferimento è l'American Endometriosis Association – EA, un'organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1980 che raccoglie 60 paesi; a livello europeo, il punto di riferimento è l’European Endometriosis Alliance – EEA una coalizione fondata nel 2004 che raccoglie le associazioni nazionali di donne affette da endometriosi di 11 paesi, tra cui l'Italia: Nell'ambito di questi circuiti internazionali, agiscono l'Associazione italiana endometriosi onlus – AIE e l'Associazione progetto endometriosi onlus – APE (www.endoassoc.it e www.apeonlus.it), le cui mission sono: dare sostegno alle donne, costruire networking, sensibilizzare gli stake holder coinvolti e promuovere la ricerca scientifica;
    grazie alla EEA e al Written Declaration on Endometriosis, dal 2005 si celebra ogni anno la «awareness week», la settimana europea della consapevolezza dell'endometriosi (l'11a edizione si è tenuta dal 7 al 13 marzo 2016) che prevede incontri aperti, convegni e feste di sostegno al lavoro volontario delle associazioni. La awareness week coincide con la giornata mondiale della endometriosi che cade ogni anno il 16 marzo, in occasione della quale in 50 città, da San Francisco a Londra, si organizza la Worldwide Endomarch. (www.endomarch.org);
    in concomitanza dell'ultima giornata mondiale della endometriosi, il Ministro della salute Lorenzin ha dichiarato che, a seguito della conclusione dell’iter di aggiornamento dei nuovi lea, l'endometriosi sarebbe rientrata nell'elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all'esenzione e che una specifica attenzione particolare alla patologia sarebbe stata dedicata anche nell'ambito del Piano nazionale per la fertilità,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per inserire l'endometriosi nell'elenco delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria (ambulatoriali e specialistiche, per l'acquisto di farmaci e di diagnostica) a mezzo dell'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 226 del 25 settembre 1999;
   ad assumere iniziative per apportare le necessarie modifiche al decreto del Ministro della salute 12 settembre 2006, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 13 dicembre 2006 per l'introduzione di tariffe differenziate relative alle prestazioni sanitarie per il trattamento e la cura dell'endometriosi, nell'ambito del sistema di classificazione Diagnosis related group(DRG), tenendo conto della tipologia e dell'intervento effettuato;
   ad assumere iniziative per istituire presso l'Istituto superiore di sanità, il registro nazionale dell'endometriosi e i relativi registri regionali, con le seguenti finalità:
    a) permettere la raccolta e lo scambio di dati specifici e aggiornati in materia di endometriosi che, conseguentemente, siano alla base delle strategie condivise di intervento sulla patologia, per ambito geografico;
    b) monitorare l'andamento del fenomeno, rilevare le problematiche ad esso connesse e le eventuali complicanze, allo scopo di conoscerne l'esatta incidenza e prevalenza, anche su base regionale;
    c) sviluppare le necessarie analisi epidemiologiche, cliniche e sociali in grado di migliorare la conoscenza della malattia, gli standard assistenziali e gli aspetti chirurgici, nonché i risvolti psicologici e sociali che essa inevitabilmente comporta;
    d) consentire una migliore razionalizzazione delle risorse umane ed economiche con effetti positivi sulla diagnosi precoce, sul trattamento più adeguato e sulla qualità di vita delle pazienti affette;
   ad adottare iniziative per potenziare la risposta alla patologia, favorendo lo sviluppo e il radicamento di strutture aziendali e regionali di riferimento, correlate tra loro, che contribuiscano alla crescita dell'appropriatezza dei percorsi diagnostici e terapeutici, in particolare abbreviando i tempi di diagnosi;
   a promuovere adeguate campagne di sensibilizzazione del personale sanitario che consentano di migliorare la capacità di rapida individuazione delle pazienti a rischio in modo che vengano indirizzate ai centri regionali di riferimento e – nei casi più complessi – alle strutture hub della rete nazionale di riferimento, che devono garantire una presa in carico raffinata, capace di limitare al minimo le sequele invalidanti per le pazienti, riducendo il rischio di complicanze gravi e di recidive;
   a verificare la possibilità di costruire un'adeguata azione di supporto psicologico per le donne affette dalle forme più gravi di endometriosi che aiuti nella gestione delle possibili complicanze e, in particolare, supporti le pazienti per tutte le problematiche connesse alla riduzione della fertilità;
   ad affiancare le associazioni delle pazienti, valorizzandone la capacità di intermediazione e le attività di supporto alla conoscenza e alla diffusione delle informazioni e sostenendole in tutte le azioni di sostegno psicologico e materiale diretto e indiretto nei confronti delle donne e delle loro famiglie;
   ad istituire presso il Ministero della salute una commissione di esperti nel settore dell'endometriosi, ai cui lavori partecipino anche le associazioni delle pazienti, alla quale sia attribuito il compito di predisporre apposite linee guida per la buona pratica della cura e per l'individuazione di adeguati strumenti di informazione dei pazienti e dei medici, nonché il compito di individuate azioni e iniziative per la prevenzione;
   a presentare ogni anno alle Commissioni parlamentari competenti una relazione di aggiornamento sullo stato delle conoscenze e delle nuove acquisizioni scientifiche in tema di endometriosi, con particolare riferimento al registro nazionale di monitoraggio e alla spesa sanitaria e farmacologica.
(1-01240)
«Vargiu, Monchiero, Vezzali, Capua, Molea, Matarrese, Vecchio, Librandi, Galgano, Dambruoso».
(2 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia cronica uterina che colpisce circa tre milioni di donne italiane: le colpisce nel fisico – si impianta al di fuori dell'utero, viene stimolata dal ciclo mestruale ed è associata a forti dolori invalidanti, causa spesso l'infertilità e può compromettere una normale vita sessuale – e le emargina sul lavoro, determinando spesso spietate espulsioni dal ciclo produttivo;
    in mancanza di registri nazionali, i dati epidemiologici più attendibili sono quelli che sono stati utilizzati dal Senato della Repubblica Italiana per la predisposizione dell'indagine conoscitiva approvata dalla 12a Commissione permanente igiene e sanità nella seduta del 18 gennaio 2006: in quel documento si riportano dati Onu che stimano che le donne colpite da endometriosi in Europa siano 14 milioni, 5,5 milioni nel Nord America e 150 milioni nel mondo;
    l'esatta prevalenza (stima della popolazione di donne sottoposte a management per endometriosi in un dato tempo) e l'incidenza (numero di nuovi casi diagnosticati in un anno) dell'endometriosi non sono conosciute. Pertanto, in assenza di precisi dati numerici nazionali sull'entità del fenomeno, è possibile far riferimento a quelli internazionali, che mostrano una prevalenza della malattia pari a circa il 10 per cento nella popolazione generale femminile in Europa. In Italia, nel 2004, una rilevazione del Census Bureau ha evidenziato una prevalenza di 2.902.873 su una popolazione stimata di 58.057.477;
    sin dal 19 aprile 2004, duecentosessantasei membri del Parlamento europeo (con delibera 30/2004) avevano firmato la Written Declaration on Endometriosis nella quale veniva segnalata la scarsa conoscenza della malattia, sia tra i medici sia nella popolazione. Nel documento, inoltre (che stimava in 39 miliardi di euro l'onere annuale dei congedi in malattia causati da questa patologia all'interno dell'Unione europea) si invitavano i Governi nazionali degli Stati membri e la Commissione europea ad adoperarsi per l'istituzione di giornate annuali sull'endometriosi nell'intento di accrescere l'informazione sulla malattia. La Commissione europea veniva sollecitata, infine, a inserire la prevenzione del endometriosi nei futuri programmi europei per la salute pubblica ed a favorire la ricerca sulle cause, la prevenzione e il trattamento della patologia;
    pur essendo tendenzialmente benigna, l'endometriosi agisce in modo progressivo ed è di difficile individuazione, motivo per il quale si calcola che sia diagnosticata in media nove anni dopo il suo emergere, quando circa il 75-80 per cento delle donne da essa colpite sono ormai soggette ai numerosi sintomi citati: forte dolore, infertilità, stanchezza;
    il fatto che l'endometriosi emerga con tanta lentezza e con sintomi non immediatamente percepibili da parte delle donne colpite fa sì che molte malate non si sottopongono alle visite mediche presso le strutture pubbliche, per le quali – non essendo la malattia (che oltretutto è cronica e quindi necessita di continua assistenza medica senza soluzione di continuità) esentata dal ticket in base al regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 329 del 1999 – risulta necessario partecipare al costo della prestazione effettuata dal Servizio sanitario nazionale;
    alla luce di tale contesto, è necessario non solo accendere i riflettori sulla malattia e sul disagio vissuto dalle donne, per sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni, ma è fondamentale promuovere altresì una vera cultura della prevenzione, anche sostenendo la ricerca con finanziamenti ad hoc. In questo modo, si potrà mettere in atto un'adeguata prevenzione e si potranno individuare nuovi test di diagnostica precoce;
    nel 2009, l'allora Ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna, si fece promotrice di un protocollo d'intesa sottoscritto assieme ad Inps, Inail, Istituto per gli affari sociali e Fondazione italiana endometriosi: il protocollo intendeva mettere in campo una sinergia istituzionale di alto profilo per sostenere tutte le azioni necessarie ad aiutare le donne che soffrono di endometriosi, con pesanti risvolti sulla vita privata, lavorativa e sociale; tra gli obiettivi del protocollo vi erano quelli di implementare il sistema di informazione e prevenzione della malattia, stimolare l'interesse per la ricerca scientifica e porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro;
    la validità del suddetto protocollo (siglato il 22 luglio 2009) è scaduta nel luglio 2014; sul mancato rinnovo dello stesso, pesa anche l'assenza, nella compagine di Governo, di un Ministro per le pari opportunità, particolarmente attento a questo tipo di tematiche;
    nel 2012 il Friuli Venezia Giulia ha adottato una legge specifica che tutela le donne affette da endometriosi (legge regionale n. 18 del 2012); nel 2014, le misure sono state approvate dalla regione Puglia e dalla Sardegna (legge regionale Sardegna n. 26 del 2014, legge regionale Puglia n. 40 del 2014); nel 2015, anche la regione Molise ha stabilito norme specifiche sul tema, con la legge regionale n. 1 del 2015;
    è necessario sostenere la straordinaria rilevanza nazionale della questione, e misure per affrontare l'endometriosi quale patologia invalidante, che tocca da vicino, e con conseguenze importanti, le donne,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta alla tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dall'inserimento della malattia nell'elenco delle patologie per le quali si ha diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria tramite l'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
   ad adottare specifiche iniziative per sostenere le donne affette da endometriosi, anche finalizzate alla riduzione dei costi che le pazienti affrontano, con misure volte all'esenzione dalla partecipazione al costo per prestazioni di diagnostica, ambulatoriali e specialistiche correlate all'endometriosi, nonché per l'acquisto di farmaci;
   a favorire opportune campagne di sensibilizzazione, che puntano a diffondere una presa di coscienza dei problemi che l'endometriosi comporta nella vita delle donne, anche attraverso specifiche campagne di informazione indirizzate alla classe medica e alla popolazione potenzialmente a rischio;
   a promuovere, con ogni iniziativa di competenza, la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, con specifiche iniziative di supporto alla ricerca scientifica, con l'obiettivo di individuare nuovi test diagnostici e cure farmacologiche efficaci, che permettano di ridurre la sofferenza delle pazienti e i costi della malattia, anche coordinando ricerche e statistiche sulla fenomenologia e ricerche epidemiologiche sulle cause dell'endometriosi;
   ad assumere iniziative per favorire un percorso di assistenza alle donne affette da endometriosi, stimolando con opportune azioni una migliore gestione del problema soprattutto nei luoghi di lavoro, a piena garanzia del diritto alla salute delle donne e a tutela del posto di lavoro;
   a monitorare quantitativamente e qualitativamente i casi di endometriosi tramite l'istituzione di un apposito registro nazionale per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali riferiti all'endometriosi.
(1-01243)
«Milanato, Occhiuto, Prestigiacomo, Bergamini, Calabria, Centemero, De Girolamo, Giammanco, Nizzi, Polidori, Polverini, Elvira Savino, Sandra Savino, Russo, Carfagna».
(2 maggio 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER VALORIZZARE I COSIDDETTI LAVORATORI MATURI NEL QUADRO DEL PROLUNGAMENTO DELLA VITA LAVORATIVA

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno dell'espulsione dei lavoratori cosiddetti maturi dal ciclo produttivo ha inizio nel nostro Paese attorno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso;
    già negli anni precedenti in vari Paesi industrializzati europei si era diffusa la teoria «young in, old out», che prevedeva una costante discesa dell'età dei lavoratori;
    in Italia, le multinazionali furono le prime ad applicare la teoria sopra ricordata, il cui retroterra va ricercato nel processo di globalizzazione che si andava imponendo e che riteneva necessario un rapido «svecchiamento» degli organici, per far posto a giovani sicuramente più capaci dei «vecchi» di cogliere le implicazioni dei nuovi processi produttivi e tecnologici, ma anche più disposti ad accettare, almeno in linea teoria, le nuove regole del mercato globalizzato;
    sempre in quell'epoca prevaleva l'idea che liberandosi dei lavoratori maturi, costosi, professionalizzati e spesso critici verso le scelte aziendali, si sarebbero agevolati l'introduzione e lo sviluppo di nuove strategie aziendali, con l'evidente messa in secondo piano dei valori dovuti all'esperienza ed alla competenza acquisita con il tempo;
    non si può dire, però, che in Italia questa scelta abbia davvero favorito i giovani, che sono a loro volta diventati vittime di un precariato costante e che tocca tutti gli aspetti della loro vita;
    non si intende, quindi, sostenere una qualche forma di guerra generazionale quando si osserva che il lavoratore maturo è stato fortemente penalizzato dalle scelte politiche e aziendali degli ultimi anni;
    è però evidente che se, giustamente, l'attenzione della politica e dei media si concentra sui preoccupanti dati relativi alla disoccupazione giovanile, non lo stesso avviene per quelli che riguardano i lavoratori over 40 e, soprattutto, over 50;
    le cifre non sono concordi ma si parla di circa 2 milioni di lavoratori maturi (over 40/50/60 anni), che non riescono, o non cercano più, un lavoro dopo averlo perduto;
    si tratta di un numero non trascurabile e che assume particolare gravità a fronte dell'allungamento della vita in un contesto in cui, spesso, molti di questi lavoratori maturi non solo contribuiscono a mantenere la propria famiglia, ma collaborano al sostegno dei genitori anziani;
    la perdita di lavoro e l'impossibilità di trovarne un altro, quindi, non solo rischiano di gettare oltre la soglia di povertà le famiglie dei lavoratori maturi, ma anche di colpire persone anziane che non sono più in grado di provvedere a loro stesse, con un effetto a cascata tragico;
    inoltre, e non si tratta di un dato trascurabile, il lavoro non è solo essenziale fonte di reddito, ma anche di senso di appartenenza alla comunità e di riconoscimento del proprio ruolo sociale;
    lavorare è produrre, è essere attivi, è avere un ruolo nella società. Non riuscire, dopo una vita, a continuare la propria attività, per motivi non dipendenti dalla propria volontà, crea inevitabilmente un senso di vuoto che può anche sfociare in atti tragici;
    inoltre, i lavoratori maturi si sentono spesso «vuoti a perdere», abbandonati ad un silenzioso oblio che fa apparire trascurabile, residuale il loro problema relativo all'occupazione rispetto a quello dei più giovani;
    sono certamente importanti le iniziative come quelle relative alla «Garanzia giovani» o le agevolazioni previste per l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori «precari», di solito giovani, previste dalle nuove leggi;
    manca, invece, una «Garanzia maturi», ma non è possibile trascurare i lavoratori più anziani, che non godono di queste iniziative. Si tratta non solo di un dovere verso persone che lavorano da molti anni, ma anche di una convenienza per tutto il sistema Paese;
    i lavoratori maturi, infatti, sono una risorsa inestimabile per qualità e professionalità e certamente non può essere «sprecato» un capitale tanto prezioso e irripetibile;
    naturalmente, il lavoratore maturo deve essere disponibile ad aggiornarsi continuamente, non pensando di essere arrivato ad un punto dove la formazione non serva più;
    al contrario, il cosiddetto «life-long learning», ossia l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, è essenziale, perché solo aggiornandosi costantemente è possibile assicurare a tutti i lavoratori, ed in particolare a quelli maturi, la possibilità di adattarsi ai cambiamenti di prodotto o dei processi innovativi, rendendolo, quindi, spendibile su un mercato del lavoro in costante mutamento;
    ogni anno vengono stanziati fondi pubblici – decine di milioni di euro finanziati dal Governo e dalle regioni – per «programmi di sostegno alla ricollocazione», che mettono a disposizioni agenzie di ricollocamento che si prendono in carico i disoccupati;
    queste agenzie dovrebbero curare la ricollocazione del lavoratore, in particolare di quello maturo, che abbia perso il lavoro, attraverso la formazione, il rifacimento del curriculum, la motivazione e altro;
    purtroppo, però, manca l'anello finale della catena, non essendovi alcun legame con aziende interessate ai lavoratori coinvolti in questi processi;
    manca, di fatto, un «marketing» territoriale da parte degli uffici per l'impiego nei confronti delle imprese, un collegamento tra pubblico ed imprese, volto a comprendere le esigenze delle imprese stesse e la disponibilità dei lavoratori;
    questi ultimi, con uno slogan sin troppo noto ormai, sono considerati in genere «troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare in pensione». Si tratta di una frase fatta, ma che sottolinea assai bene la gravità della situazione per i lavoratori maturi;
    esperienze recenti evidenziano come sia possibile contrastare il fenomeno della disoccupazione dei lavoratori maturi, anche attraverso iniziative del mondo della cooperazione, finalizzate alla formazione degli stessi lavoratori, ai quali viene anche insegnato a costituirsi a loro volta in cooperative analoghe,

impegna il Governo:

   a diffondere, per quanto di competenza, una cultura del prolungamento della vita lavorativa, non inteso solo come necessità, viste le modifiche alle norme pensionistiche, ma come strumento di valorizzazione di risorse esperte e come riconoscimento sociale della loro utilità personale e professionale;
   ad assumere iniziative per rendere più agevole, per questo scopo, l'uso di strumenti di flessibilità quali il part-time, il job sharing (contratto di lavoro ripartito), l’home working per i lavoratori maturi;
   ad assumere iniziative per contribuire all'attribuzione ai lavoratori over 50 del ruolo di «tutor per l'ingresso di nuova forza lavoro» e per un graduale «passaggio di consegne» tra lavoratori maturi e giovani;
   a monitorare l'uso dei fondi pubblici stanziati per i cosiddetti «programmi di sostegno alla ricollocazione», in modo da favorire un concreto reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori maturi;
   a favorire, seguendo esempi già concretamente realizzati, per quanto di competenza, organizzazioni, anche di natura cooperativa, volte a dare nuove forme di professionalità ai lavoratori maturi che abbiano perso il lavoro;
   a valutare in via transitoria, di assumere iniziative per la definizione di una norma analoga a quella già introdotta da questo Governo relativamente agli sgravi fiscali per le assunzioni, individuando una forma specifica di agevolazione contributiva per i datori di lavoro che assumano lavoratori maturi.
(1-01188)
«Baradello, Sberna, Fauttilli, Gigli, Santerini, Dellai».
(7 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la riforma delle pensioni del 2011 prevede l'innalzamento dell'età pensionabile, con la conseguente necessità di una maggiore permanenza attiva nel mondo del lavoro;
    la vicenda dei cosiddetti salvaguardati evidenza l'assoluta mancanza di strumenti di politica attiva, finalizzati alla riqualificazione e alla rioccupazione dei lavoratori coinvolti in processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale;
    la stessa vicenda denota una difficoltà di comprensione del fenomeno a causa della carenza di dati statistici adeguati;
    l'introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti ha ricadute sulla gestione dei licenziamenti collettivi, con particolare riferimento alla possibilità di non tener conto dei criteri di scelta previsti dalla normativa vigente, vale a dire anzianità anagrafica e di servizio, carichi familiari, rispetto delle percentuali di genere;
    l'Osservatorio sulle politiche occupazionali e del lavoro dell'Inps del novembre del 2015, su dati 2014, gli ultimi disponibili, certifica il forte impatto della disoccupazione nella fascia di età compresa fra i 45 anni ed oltre:
     il numero dei beneficiari dell'Aspi è pari a 385.281 unità, vale a dire il 36,7 per cento;
     il numero dei beneficiari della mini Aspi è di 131.706 unità, pari al 25,6 per cento;
     il numero dei beneficiari dell'indennità di disoccupazione agricola è di 243.770 unità, pari al 46,4 per cento;
    nel complesso, i beneficiari di un'indennità di disoccupazione, nella fascia di età fra 45 anni ed oltre, sono 760.757 su un totale di 2.088.675 (36,4 per cento);
    i beneficiari dell'indennità di mobilità, nel periodo considerato, sono 117.960 su un totale di 218.664 (53,9 per cento);
    sempre lo stesso Osservatorio evidenzia la ridotta propensione delle aziende ad assumere personale rientrante nella cosiddetta categoria dei lavoratori maturi:
    su un totale di 296.810 assunzioni agevolate di disoccupati o beneficiari di cassa integrazione guadagni straordinaria da almeno 24 mesi, quelle che riguardano la fascia di età interessata sono appena il 14,3 per cento, mentre, su un totale di 18.184 assunzioni agevolate di ultracinquantenni e di donne, quelle che interessano la fascia di età considerata sono soltanto il 20,3 per cento;
    la formazione continua nel nostro Paese coinvolge una percentuale di lavoratori molto inferiore rispetto alla media europea; con il 7,1 per cento degli uomini e il 7,8 per cento delle donne l'Italia sopravanza soltanto la Grecia, il Belgio, la Polonia e l'Irlanda;
    il Governo, per favorire la sottoscrizione di contratti di lavoro a tempo indeterminato, ha previsto una decontribuzione nelle leggi di stabilità per gli anni 2015 e 2016, senza alcun riferimento al regolamento (CE) 800/2008 sui lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati;
    il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, ha istituito l'Agenzia nazionale per le politiche attive,

impegna il Governo:

   a rafforzare le politiche di sostegno al reddito dei lavoratori cosiddetti maturi, anche attraverso un percorso di accompagnamento per la fascia più immediatamente vicina al pensionamento;
   ad assumere iniziative per prevedere un esplicito richiamo al regolamento (CE) 800/2008 nelle misure di decontribuzione per favorire l'assunzione di personale a tempo indeterminato;
   a rafforzare le politiche attive attraverso un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza sindacale e datoriale, nonché dei fondi interprofessionali per la formazione continua nella definizione delle linee programmatiche dell'Agenzia nazionale per le politiche attive;
   ad assumere iniziative per destinare una quota del cosiddetto inoptato dello 0,30 per cento della retribuzione ad attività formative rivolte nello specifico ai lavoratori maturi;
   a favorire, sull'esempio del programma «Garanzia giovani», un'attività di profilazione dei lavoratori disoccupati con più di 45 anni, al fine di avere un quadro, anche statistico, più chiaro delle professionalità disponibili.
(1-01236) «Polverini, Occhiuto».
(29 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la disoccupazione in età matura colpisce moltissimi nuclei familiari producendo devastanti effetti personali, in quanto essa sovente interessa persone coniugate con prole (almeno l'80 per cento). Pertanto le conseguenze di disoccupazione, si riflettono negativamente su tutto il nucleo familiare e quindi su almeno il triplo delle persone disoccupate;
    il fenomeno della disoccupazione e della diffusa precarietà dei lavoratori, anche in età matura, affonda le radici nel radicale mutamento delle politiche occupazionali intervenuto in Italia negli ultimi anni; prima con l'approvazione del «pacchetto Treu», poi con la legge n. 30, sono state precostituite le condizioni per lo sviluppo di un mercato del lavoro caratterizzato da precarietà diffusa. È questo uno dei primi fattori di responsabilità che vanno oggi richiamati; la possibilità di «reclutare» lavoratori, diplomati o laureati, di ingaggiarli con forme contrattuali capestro unita all'opportunità di liberarsene in qualsiasi momento, tutti fattori che hanno contribuito tra gli altri, ad acuire le difficoltà di mantenimento e/o inserimento lavorativo per i lavoratori cosiddetti «maturi», i quali spesso provenivano da situazioni più garantite che si è cercato di soppiantare per far spazio alla diffusa precarietà;
    la condizione di precarietà si è dunque estesa in modo non marginale anche ai lavoratori «maturi» che si sono trovati ad accettare essi stessi condizioni di lavoro diverse dal passato o talora si sono visti addirittura espellere dal mondo del lavoro;
    è peraltro sufficiente analizzare la miriade di interventi autorizzati dai vari Governi su richiesta di medie e grandi imprese che invocano un sostegno per le proprie esigenze di ristrutturazione pena il licenziamento di consistenti gruppi di lavoratori. Questa semplice analisi permette di scoprire che nella stragrande maggioranza dei casi molti lavoratori inseriti nelle liste di mobilità, nei provvedimenti di cassa integrazione e, per ovvi motivi, di prepensionamento, appartengono a fasce di età medio-alta con evidenti difficoltà di ricollocamento e con situazioni personali individuali appesantite dalle responsabilità familiari proprie di quella stesse fasce di età;
    allo scenario fin qui descritto manca il tassello della miriade di «riforme» previdenziali che, a partire dalla metà degli anni ’90 sono state varate, tutte nel segno del peggioramento dei requisiti temporali per l'accesso alla pensione nonché del valore finale della rendita delle pensioni stesse. Riforme che proprio nella fase di crescita del fenomeno dell'espulsione dal ciclo produttivo dei lavoratori «over» hanno totalmente e consapevolmente ignorato le conseguenze devastanti per quei lavoratori che, a pochi anni dal traguardo, perdevano il lavoro e contestualmente, si vedevano prorogare nel tempo il requisito anagrafico e/o contributivo per accedere a quella pensione che avrebbe potuto rappresentare l'unica possibile fonte di reddito;
    come altresì sostenuto da più parti, non va altresì trascurato il disagio psicologico provocato dalla disoccupazione in età adulta. Essa crea una ferita all'identità della persona e appunto disagio sociale. La perdita del lavoro, anche se conseguenza di una crisi aziendale e non dovuta a incapacità della persona, provoca un crollo fortissimo di autostima che porta le persone a nascondere anche a lungo la condizione di disoccupato;
    dal punto di vista delle possibilità di ricollocazione nessuno può ignorare il fatto che è sufficiente scorrere gli annunci di lavoro o visitare una agenzia per il lavoro per rendersi conto delle enormi difficoltà di reinserimento nel ciclo produttivo dopo una certa età;
    tuttavia, porre l'accento sulla questione dei lavoratori cosiddetti «over» non significa disconoscere l'esistenza di specificità proprie di questa o quella categoria sociale, ma, richiama la necessità di affrontare il tema dei diritti, della riforma del sistema del welfare, della previdenza, e altro, con una attenzione rivolta a tutto il mondo del lavoro, perché introducendo nuove forme di tutela esclusive per questa o quella categoria l'unico risultato possibile è quello di accentuare discriminazioni che già dilagano nel nostro Paese;
    occorre riproporre obiettivi comuni a tutto il mondo del lavoro subordinato, come a quello oggi da considerarsi, in molti casi, fittiziamente, «autonomo»;
    occorre una decisa inversione di tendenza, una riforma del welfare che punti sull'introduzione di una forma universale di sostegno al reddito, che si ponga in discontinuità con i tradizionali ammortizzatori sociali oramai sempre più inadatti a turare le falle di un sistema che non tutela;
    oggi una grande massa di disoccupati appartiene anche alla fascia dei ceti medi, del lavoro intellettuale impiegatizio, dei professionisti, dei quadri e dei dirigenti. Il rapporto con queste nuove categorie che sono andate ad ingrossare la fascia dell'esclusione sociale richiede la presenza di operatori pubblici con elevata qualifica professionale, azioni sul territorio al fine di intercettare le reali esigenze in un Paese che deve fare i conti con un sistema basato fondamentalmente sulla piccola impresa e, infine, di investimenti mirati allo sviluppo di un forte rapporto di collaborazione con le imprese stesse;
    intorno al blocco decrescente dei lavoratori stabili e garantiti che in Italia sono rappresentati da un nucleo sempre più basso di unità rispetto all'intera forza lavoro, vi è una massa crescente di lavoratori, appunto anche adulti, capaci di produrre ricchezza e tuttavia esclusi dal mondo produttivo. È necessario porre in essere ogni iniziativa utile a favorire la valorizzazione di queste risorse ai fini del loro reinserimento oltre che intervenire in modo incisivo per sostenerne il reddito;
    infine, in un'ottica di medio-lungo periodo, è evidente che ampie schiere di lavoratori oggi attivi, che oggi non contribuiscono al finanziamento del sistema pensionistico perché non occupati, si avvicineranno all'età di pensionamento, peraltro con ampi «vuoti» contributivi. Ciò impone di affrontare il problema anche nell'ottica della salvaguardia dei lavoratori o disoccupati in età matura che potrebbero moltiplicarsi nei prossimi anni adottando misure volta a prevenire l'aggravarsi del fenomeno,

impegna il Governo:

   a incentivare l'occupazione di questa categoria di lavoratori e comunque, in un più ampio quadro di tutela, ad assumere iniziative per introdurre una forma universale di sostegno che ne garantisca il reddito;
   ad assumere iniziative al fine di promuovere l'uso di strumenti quali il part-time, lo «smart working», il «job sharing», l’«home working» e, comunque, a promuovere l'evoluzione di modelli organizzativi del lavoro funzionali al miglioramento delle condizioni sociali, di vita, occupazionali e previdenziali dei lavoratori con conseguente relativo beneficio anche per i lavoratori in età matura;
   a promuovere, anche attraverso misure di favore fiscale e di più agevole accesso al microcredito, iniziative dei lavoratori in età matura volte ad avviare l'impresa o a salvaguardare la sopravvivenza dell'impresa, ove i medesimi siano stati in precedenza occupati;
   a porre in essere ogni iniziativa utile a favorire le realtà organizzative che, in un contesto sociale ed economico in piena difficoltà, pongano come proprio scopo sociale la salvaguardia dei diritti e la tutela del reddito di lavoratori in età matura espulsi dai processi produttivi;
   a porre in essere concrete iniziative – posto che in un'ottica di medio-lungo periodo ampie schiere di lavoratori oggi attivi non contribuiscono al finanziamento del sistema pensionistico, perché non continuativamente occupati – finalizzate ad arginare il moltiplicarsi del numero di persone che potrebbero trovarsi senza lavoro e senza pensione;
   a porre in essere iniziative volte a rinsaldare il patto tra le generazioni attraverso l'adozione di misure che tengano conto degli orizzonti futuri della previdenza nel nostro Paese.
(1-01241)
«Tripiedi, Ciprini, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Chimienti, D'Incà».
(2 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la riforma delle pensioni Monti-Fornero, che ha innalzato repentinamente l'età pensionabile senza alcuna previsione di gradualità, ha creato diverse nuove emergenze sociali, tra le quali quella dei cosiddetti «lavoratori maturi»;
    in tale ambito si ricomprendono i lavoratori troppo giovani per andare in pensione e troppo anziani per trovare facile ricollocazione lavorativa una volta espulsi dal ciclo produttivo, finendo con il diventare soggetti a rischio di esclusione sociale;
    la perdita di occupazione e la difficoltà ovvero impossibilità di trovarne un altro rischiano, appunto, di gettare in condizioni di povertà i lavoratori maturi e le relative famiglie, accrescendo il fenomeno della marginalità sociale;
    l'occupazione, infatti, non rappresenta solo una fonte di reddito, ma conferisce anche uno status ed un ruolo nella società, una partecipazione attiva alla comunità; la sua perdita, specie se d'improvviso e per motivi non imputabili al lavoratore, crea nel medesimo un senso di vuoto ed inutilità che talvolta porta a patologie silenziose ma drammatiche o addirittura a gesti estremi;
    tutte le misure messe in campo negli ultimi Governi a maggioranza di Centro-sinistra, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, hanno acuito il conflitto generazionale: dalla «riforma Fornero» che ha bloccato il ricambio nel mercato del lavoro, impedendone l'ingresso ai giovani e non salvaguardando i disoccupati maturi, al recente jobs act, proiettato quasi esclusivamente verso la riduzione del tasso di disoccupazione giovanile;
    giovani e anziani, invero, sono portatori di capitale umano qualitativamente diverso – approccio innovativo dei primi, esperienza e pratica dei secondi – la cui combinazione per un datore di lavoro non può che essere proficua;
    quali recenti misure di sostegno alla ricollocazione lavorativa degli ultracinquantenni, si ricordano la riduzione del costo dei contributi pari alla metà del dovuto sulle assunzioni con contratto a tempo determinato di lavoratori disoccupati con più di 50 anni e la deroga al requisito anagrafico per il ricorso al contratto di apprendistato: due interventi estemporanei e limitati nel tempo e, come tali, non risolutivi del problema, ma destinati a riproporlo in maniera più accentuata al termine degli sgravi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rimuovere i fattori di ostacolo alla ripresa della domanda interna, come gli elevati livelli di tassazione sui redditi e sui consumi, al fine di garantire maggiore inclusione nel mercato del lavoro del lavoratori maturi;
   a definire celermente programmi di old guarantee e/o old employment, volti ad accrescere l'occupabilità dei lavoratori maturi espulsi dal ciclo produttivo;
   ad assumere iniziative volte a reperire le occorrenti risorse finanziarie per rendere strutturali le misure di decontribuzione in favore dei lavoratori disoccupati ultracinquantenni nonché per introdurre forme flessibili di accesso alla pensione, al fine di garantire loro una copertura reddituale e contenere il rischio di creare una nuova categoria di poveri ed emarginati.
(1-01242)
«Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
(2 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi due decenni, le modifiche della struttura demografica della popolazione e la dinamica di crescita della spesa previdenziale hanno posto in primo piano la problematica del riequilibrio del sistema pensionistico e dell'innalzamento dell'età pensionabile. Infatti, si è assistito in Europa ad una divaricazione crescente tra l'evoluzione demografica, (caratterizzata dall'aumento delle speranze di vita) e la riduzione effettiva del pensionamento. Questa divaricazione ha costituito, anche nel nostro Paese, una delle cause principali alla base dei problemi del sistema pensionistico. Pertanto, anche l'Italia, in materia, ha adottato una legislazione considerata a livello europeo come una buona riforma;
    la grave crisi economica-sociale, che ha interessato il nostro Paese a partire dal 2008, ha colpito pesantemente la base produttiva ed occupazionale delle imprese, imponendo onerose ristrutturazioni aziendali ed aprendo nuovi e più immediati fronti di emergenza sociale;
    interessati a questi cambiamenti sono stati soprattutto i lavoratori anziani, cioè i lavoratori che, affrontando già le maggiori difficoltà di ricollocazione, hanno visto negli ultimi anni allontanarsi l'età della pensione, per effetto delle modifiche alla disciplina del settore;
    ciò ha anche aumentato la spesa per gli ammortizzatori sociali non consentendo, al contempo, la tutela del reddito per i lavoratori anziani;
    occorre altresì evidenziare che, per quanto concerne le politiche di invecchiamento attivo nel nostro Paese a partire dagli anni ’90, il rapporto tra invecchiamento e lavoro ha iniziato a configurarsi come uno specifico e significativo problema, bisognoso di interventi che andassero oltre la rimodulazione dell'età pensionabile;
    i cambiamenti dovuti all'affermarsi del processo di globalizzazione hanno comportato un rapido «svecchiamento» degli organici per fare posto a lavoratori più giovani che meglio si adattano all'evoluzione del mondo del lavoro e che sono più disposti ad accettare le nuove regole del mercato globalizzato;
    la disoccupazione dei lavoratori anziani è un fenomeno preoccupante non solo riconducibile a motivazioni legate al costo del lavoro o alla flessibilità. Uno dei fattori preponderanti di questa situazione deve essere ricercato anche nella diversa organizzazione delle attività produttive, indotta da un crescente livello di automazione che porta a sminuire il valore delle esperienze lavorative;
    secondo il rapporto Osce del maggio 2015, dal 2007 al 2013, la quota di disoccupati di lunga durata è salita nel nostro Paese dal 45 per cento al 60 per cento: fenomeno che ha investito soprattutto i lavoratori anziani;
    lavoratori che, peraltro, costituiscono una parte fondamentale della forza lavoro nelle società moderne, possedendo notevoli capacità e competenze diverse rispetto alle altre generazioni. Senza la loro partecipazione al mondo del lavoro si rischiano carenze in materia di capacità professionali e di know how e il trasferimento delle conoscenze alle nuove generazioni, che risulta essere fondamentale per tutti i settori produttivi;
    occorre, quindi, affrontare la particolare situazione dei lavoratori anziani (ovvero di quelli rimasti privi di occupazione prima della maturazione dei requisiti di accesso al pensionamento) che non dispongono di alcun tipo di tutela sia dal punto di vista previdenziale, che sotto forma di specifico ammortizzatore sociale riservato a questa particolare tipologia di soggetti. In tale caso, potrebbe risultare utile intervenire attraverso gli incentivi alla loro ricollocazione, riqualificazione e formazione professionale permanente;
    il Governo, con la legge di stabilità per il 2016, ha previsto una misura, quella del part-time agevolato, che rappresenta il primo tentativo di dare una risposta a quel fenomeno sociale definito come «invecchiamento attivo». La norma riguarda i lavoratori del settore privato a cui mancano tre anni al pensionamento di vecchiaia: all'azienda ed al lavoratore viene offerta un'opportunità, quella della riduzione del 50 per cento del tempo di lavoro;
    con questa misura il lavoratore avrà un orario dimezzato, un salario pari al 65 per cento di quello precedente e, dopo tre anni, una pensione pari al 100 per cento di quella che avrebbe dovuto percepire;
    lo Stato garantisce i contributi figurativi e l'azienda versa la sua quota di contributi nella busta paga del lavoratore;
    la soluzione del problema richiede comunque equilibrio e razionalità (specie alla luce delle difficoltà economiche con le quali il Paese si sta confrontando); sicché, non è immaginabile affrontare il problema attraverso un generico ed insostenibile pensionamento anticipato per tutti. Si ribadisce che, al contrario, risulta necessario attivare politiche di sostegno anche fiscali, innanzitutto per le imprese che desiderino assumere gli stessi lavoratori «maturi», attraverso la concessione di benefici economici alle imprese ed aiuti finalizzati a promuovere una continua formazione professionale per assicurare una maggiore facilità di ricollocazione nel mondo del lavoro,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per ampliare la sfera dei soggetti interessati al part-time agevolato, estendendolo anche al settore del pubblico impiego;
   ad approntare soluzioni adeguate che tengano conto della necessità di non creare nuovi squilibri del nostro sistema previdenziale, evitando di ricorrere ad insostenibili misure come quella del pensionamento anticipato per tutti ma adottando iniziative per introdurre, ad esempio, misure fiscali a favore dei datori di lavoro dirette ad incentivare l'assunzione dei lavoratori «maturi»;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per attivare misure di sostegno alla promozione del lavoro autonomo per i cosiddetti lavoratori «maturi», attraverso un programma che preveda benefici economici e riduzione degli oneri burocratici per l'avvio di imprese da parte degli stessi, nonché aiuti per promuovere una continua formazione professionale.
(1-01244) «Pizzolante, Bosco».
(2 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    come è noto, gli Stati europei stanno attraversando un periodo di transizione demografica che pone al centro il rapido e progressivo invecchiamento della popolazione e, di conseguenza, la necessità di promuovere iniziative a favore della qualità della vita e del benessere delle persone più mature per garantire un invecchiamento attivo della forza lavoro. In Italia, se nel 2013 si contavano 17 milioni di individui over 50, si prevede che nel 2033 saranno 22,5 milioni;
    da diversi anni, il tema dell'occupazione dei cosiddetti older workers (lavoratori maturi) è all'attenzione delle politiche di programmazione europee e nazionali, ed è sempre più attuale il dibattito in merito ai criteri da utilizzare per poter definire un lavoratore «maturo»;
    le ricerche inerenti la partecipazione al mondo del lavoro specificano come il range più utilizzato sia quello di un'età compresa tra i 50 e 55 anni in quanto si tende a identificare il lavoratore maturo come colui per il quale la percentuale di partecipazione al mercato del lavoro diventa sempre più bassa; un lavoratore destinato a fuoriuscire, nel breve termine, dal mondo del lavoro e sul quale non vengono effettuati investimenti a lungo termine;
    se infatti, per oltre un secolo il sistema di tutele sociali ritagliate sui rischi prevedibili delle singole fasi del corso di vita (gioventù, maturità, vecchiaia) aveva svolto efficacemente il suo ruolo protettivo, nella situazione attuale, caratterizzata da condizioni di minore stabilità e da ingressi più tardivi nell'occupazione regolare, la questione è divenuta quella di trovare nuove combinazioni fra flessibilità e sicurezza che consentano alle imprese di valorizzare le risorse possedute, coniugando le proprie esigenze di sviluppo con le esigenze individuali di protezione e di promozione sociale dei lavoratori che in esse operano;
    la crescita della disoccupazione nelle fasce più adulte della popolazione è un fenomeno che si è diffuso anche a livello nazionale negli ultimi anni, esito di una crisi che, in assenza di processi di riconversione, all'interno dei settori in difficoltà, ha generato l'espulsione dal mercato del lavoro di un'ampia fascia di lavoratori cosiddetti «maturi», i quali trovano oggi grande difficoltà di reinserimento;
    si tratta generalmente di lavoratori che, in possesso di esperienze di lavoro polivalenti, maturate nel contesto di imprese medio-piccole o artigiane, sono arrivati alla soglia dei 50 anni di età senza contratti di lavoro regolarizzati, oppure non sono mai entrati nel mercato del lavoro, oppure di persone la cui domanda di servizio si attiva in rapporto ad eventi di perdita del lavoro connessi a crisi aziendali o di settore che interessano anche fasce di professionalità con responsabilità gestionali o dirigenziali, ed il cui sviluppo è strettamente connesso con le caratteristiche del mercato del lavoro locale, nonché alla capacità di gestione del sistema degli ammortizzatori sociali; lavoratori inattivi per i quali l'ingresso nel mercato del lavoro si è spostato in avanti, e anche la data d'uscita lo ha fatto. Effetti che risultano dilatati dall'innalzamento dell'età pensionabile previsto dagli interventi legislativi degli ultimi anni;
    l'allungamento della vita media ed i continui cambiamenti legislativi inerenti l'età pensionabile hanno reso sempre più centrale il tema dell'invecchiamento della popolazione al lavoro: un aspetto dei tempi moderni da affrontare inevitabilmente; i prossimi decenni saranno caratterizzati dall'invecchiamento della popolazione, che porrà una delle sfide globali più complesse dal punto di vista sociale, economico e culturale;
    i dati Istat dimostrano che dal 2005 al 2015 il tasso di disoccupazione delle persone fra i 55 e i 64 anni (pari a 5,5 per cento a livello nazionale nel 2015) è aumentato in tutte le ripartizioni: nel 2015 ha raggiunto il 7,7 per cento nel Mezzogiorno, il 4,8 per cento al centro e il 4,5 per cento al nord, con un gap di genere sfavorevole agli uomini, che soffrono più delle donne la difficoltà di permanenza o di reinserimento nel mercato del lavoro. Fra gli uomini, il tasso di disoccupazione raggiunge infatti l'8,9 per cento nel Mezzogiorno (5,4 per cento fra le donne), il 5,7 per cento al centro (3,7 per cento fra le donne) e il 4,9 per cento al nord (3,9 per cento fra le donne);
    il tasso di inattività nella classe di età 55-64 anni, seppure in costante calo nell'ultimo decennio, conferma la bassa partecipazione al mercato del lavoro di questa fascia di popolazione, presentando un accentuato gap di genere a sfavore delle donne in tutte ripartizioni geografiche. A livello Italia, nel 2015, il tasso di inattività registrato è del 48,9 per cento, a sintesi del 36,7 per cento degli uomini e del 60,4 per cento delle donne. A livello territoriale, il centro è l'area con i tassi più contenuti, sia per le donne (52,4 per cento) che per gli uomini (31,8 per cento), il nord si attesta su un valore intermedio (il 37,0 per cento per gli uomini e il 57,4 per cento per le donne), mentre il Mezzogiorno è quella con i valori più elevati (il 39,1 per cento per gli uomini e il 69,0 per cento fra le donne) e il divario più esteso;
    un ripensamento complessivo della logica e delle modalità di inclusione delle persone anziane nel mercato del lavoro è necessario per rendere lavoratrici e lavoratori giovani e meno giovani complementari e non antagonisti;
    la valorizzazione del lavoro delle classi di età mature e anziane è il focus di riferimento principale, da sviluppare con attenzione sia al livello delle politiche pubbliche o di sistema, sia a quello delle linee di azione nell'ambito delle organizzazioni private e pubbliche;
    la capacità di non appiattire, ma anzi di valorizzare il contributo delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani, di chi possiede competenze, abilità e culture diverse può consentire, nel contesto attuale, e sempre di più in futuro, all'impresa di fare un reale balzo in avanti. In particolare, di guadagnare un vantaggio competitivo sul mercato, di adattarsi ed anticipare i cambiamenti demografici in atto, di garantire la creazione di un clima di reciproco scambio e di collaborazione che incoraggia le persone a rimanere nell'azienda e a crescere;
    una prima risposta è stata offerta dall'articolo 4, comma 8, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con il quale si è introdotto, a decorrere dal 2013, una specifica tipologia di incentivi all'occupazione consistenti nella riduzione, nella misura del 50 per cento, per 18 mesi, dei contributi di previdenza ed assistenza sociale a carico del datore di lavoro, in caso di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori ultracinquantenni;
    successivamente, il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, in attuazione della legge delega n. 183 del 2014, a previsto il cosiddetto contratto di ricollocazione, prevedendo il diritto del lavoratore ad un'assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore da parte dell'agenzia per il lavoro; è stato inoltre riconosciuto il diritto del lavoratore alla realizzazione, da parte dell'agenzia stessa, di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti ed appropriati, in relazione alle capacità del lavoratore ed alle condizioni del mercato del lavoro nella zona in cui il soggetto sia stato preso in carico;
    in tale prospettiva, un ruolo strategico viene riconosciuto ai servizi per il lavoro, quali strutture deputate alla gestione di azioni ed interventi di politica attiva e passiva orientati a rispondere alle nuove domande sociali connesse al prolungamento della vita lavorativa;
    a tale fine, la riforma delle politiche attive del lavoro portata avanti dal Governo in carica, attraverso la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione, grazie al ruolo dell'Agenzia nazionale per le politiche del lavoro, istituita con il decreto legislativo n. 150 del 14 settembre 2015, dovrà trovare il più sollecito perfezionamento operativo;
    parimenti, un ruolo centrale potrà essere svolto dai fondi di solidarietà, come disciplinati dal decreto legislativo n. 148 del 2015, con la finalità di assicurare a tutti i lavoratori e le lavoratrici una tutela in costanza del rapporto di nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per le cause previste dalla normativa in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e cassa integrazione guadagni straordinaria; nonché, in particolare, di prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all'esodo, a coloro che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni; contribuire al finanziamento di programmi formativi di fondi europei;
    da ultimo, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, comma 284, ha introdotto per il settore privato, una specifica disciplina transitoria, relativa ad una fattispecie di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato per i lavoratori a cui mancano tre anni alla pensione, i quali potranno scegliere di passare al part-time, mantenendo uno stipendio pari a circa il 65 per cento rispetto a quello percepito fino a quel momento e senza nessuna penalizzazione sulle pensioni;
    il fenomeno dell'alta presenza dei lavoratori maturi diverrà un tema centrale di cui le aziende, insieme alle istituzioni e alle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, dovranno occuparsi nel quotidiano. A fronte di una popolazione sempre più ageé, dunque, diviene indispensabile interrogarsi sulle strategie per sfruttare in chiave competitiva tali mutamenti e avviare azioni di valorizzazione della fascia «over», tal fine di garantirsi lavoratori «attivi» fino al momento dell'uscita dal mercato del lavoro;
    un percorso sull'invecchiamento attivo permette all'azienda di valorizzare meglio le sue risorse in termini di capitale umano, ma anche di ripensare le sue politiche di risorse umane, nell'ottica della gestione delle carriere dei lavoratori in azienda lungo tutto l'arco della vita, contribuendo in questo modo ad una migliore pianificazione delle politiche di risorse umane e all'ideazione di diversi percorsi di crescita professionale,

impegna il Governo:

   a proseguire nell'azione di sperimentazione di iniziative di sostegno di modalità di impiego flessibile dei lavoratori ultracinquantenni, anche prevedendo forme di scambio generazionale delle competenze, senza penalizzazioni sia per i giovani, sia per i lavoratori più anziani;
   a favorire, per quanto di competenza, anche attraverso, specifiche misure di sostegno fiscale o contributivo, l'adozione di formule organizzative delle imprese e di gestione del personale, d'intesa con le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, volte a riconoscere e valorizzare le professionalità dei lavoratori ultracinquantenni;
   a monitorare gli effetti dei diversi strumenti legislativi adottati finora, per il sostegno dell'occupazione dei lavoratori ultracinquantenni, anche al fine di un più efficace coordinamento e di una ridefinizione degli interventi esistenti;
   a procedere con la massima sollecitudine al perfezionamento del processo di costituzione dell'Agenzia nazionale per le politiche attive, delineando specifiche linee di azione rivolte all'orientamento e al sostegno nella ricerca di nuova occupazione per i lavoratori ultracinquantenni, anche attraverso la definizione di appositi percorsi formativi, volti a moltiplicare le occasioni di apprendimento e di riqualificazione in età adulta.
(1-01245)
«Miccoli, Damiano, Gnecchi, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».
(2 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    nel Paese, le recenti riforme del mercato del lavoro e del settore pensionistico hanno prodotto un effetto di segmentazione, di categorizzazione dei lavoratori che ha reso manifesto il rischio, purtroppo divenuto realtà, di un conflitto intergenerazionale;
    come detto, una delle cause di questo esito è rappresentato dal fatto che, in condizioni di stagnazione economica, di bassa produttività, stante la contemporanea ed endemica presenza di un alto debito e deficit pubblico che rende ancor più complessa la situazione socio-economica che l'intero Paese attraversa, la riforma del mercato del lavoro e delle pensioni non sono state considerate come variabili tra loro dipendenti, avendo preferito intraprendere un percorso riformatore autonomo che ha però portato all'emanazione di una disciplina non solo distinta, ma anche separata, facendo in modo che, oggettivamente, il diritto al lavoro e il suo corollario, il diritto alla pensione, siano tra loro attualmente in contrapposizione;
    in tale situazione si assiste al fenomeno di alte percentuali di inoccupati e disoccupati, siano essi giovani o anziani, causate come detto da precedenti dissennate scelte di utilizzo delle risorse pubbliche, ma anche da attuali scelte politiche e giuridiche che hanno frammentato interessi, diritti, patti sociali;
    il fenomeno del mancato inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, secondo dati Istat, è da imputarsi anche al mantenimento nel circuito produttivo di un numero sempre crescente dei lavoratori cosiddetti maturi, fenomeno conseguente anche alla riforma del settore previdenziale;
    nonostante il Governo abbia emanato norme sul mercato di lavoro all'asserito fine di incrementare le assunzioni, tale risultato non è stato conseguito, come da molte previsioni liquidate dal Governo con il fastidio riservato a qualunque critica costruttiva: così il tasso di disoccupazione in genere, riguardante tutti, giovani e anziani, uomini e donne, resta ancora molto alto, pari all'11,4 per cento. Numeri che sottolineano l'urgenza di intervenire ulteriormente, alla luce dell'esperienza fatta;
    utile sarebbe l'emanazione di una nuova normativa relativa sia al settore pensionistico, attraverso una revisione dei requisiti pensionistici, che del mercato del lavoro, con il mantenimento o la proposizione di diversi e più efficaci incentivi al fine di aumentare l'occupazione, il reddito e l'attività d'impresa. Infatti, nonostante siano aumentati i contratti a tempo indeterminato, non è diminuito il precariato, né tanto meno l'occupazione giovanile ha subito un'impennata. Sono inoltre aumentati gli inattivi, pari al 35,5 per cento in base ai dati Istat. La situazione descritta è diversa da quanto si poteva sperare dopo l'entrata in vigore delle nuove norme del lavoro. Appare assente l'auspicata e necessaria spinta al rilancio occupazionale, con ciò accomunando nel medesimo destino giovani e non, inoccupati e disoccupati;
    grave appare anche la condizione dei lavoratori ultraquarantenni e ultracinquantenni, poiché si è giunti ad un punto nel quale la disoccupazione non ha età. Si tratta di cittadini che si trovano in una spiacevole condizione: essere senza pensione, ma anche senza lavoro;
    si è poi in presenza di una generazione che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha definito come la «più istruita di sempre», la quale rischia di essere perduta definitivamente. L'Istat conferma i temuti calcoli dell'Inps secondo cui, per un lavoratore tipo nato tra il 1980 e il 1990, c’è una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni. Un «buco» destinato a pesare sul raggiungimento delle pensioni, che a seconda del prolungamento dell'interruzione può slittare fino a 75 anni. La criticità della situazione è dimostrata dai dati Istat, che evidenziano un'occupazione sempre più a macchia di leopardo;
    le principali criticità derivanti dalla riforma previdenziale del 2011 appaiono connesse, nell'immediato, alle problematiche legate alla possibilità di prosecuzione dell'attività da parte dei lavoratori anziani e alle eventuali ricadute negative sull'equità e la crescita economica e, nel futuro più prossimo, alle rigidità e iniquità introdotte all'interno del sistema contributivo riguardo alla possibilità di accedere alle pensioni anticipate. La riforma non è invece intervenuta per provare a sanare quella che, in prospettiva, appare la principale criticità del sistema previdenziale italiano, ovvero la mancanza di misure che contrastino i rischi di inadeguatezza delle prestazioni per i lavoratori appartenenti allo schema contributivo che dovessero essere caratterizzati da carriere svantaggiate e intermittenti;
    allo stesso modo, analizzando in prospettiva gli effetti della riforma del mercato del lavoro, quelli macroeconomici sono trascurabili nel medio-lungo periodo, mentre quelli occupazionali sono moderatamente negativi nel caso dei provvedimenti di riforma adottati negli ultimi due anni, e in media debolmente positivi, nel caso dell'implementazione della «Garanzia Giovani»;
    appare necessaria una nuova – e assai diversa – stagione di legislazione riformatrice, che abbia un respiro ampio, non limitato al raggiungimento di insufficienti risultati immediati, bensì basata su proposte che abbiano il necessario respiro lungo, con un orizzonte temporale di ampio periodo che riesca ad invertire la rotta attuale, mediante la realizzazione di riforme strutturali in grado di dare un futuro dignitoso a chiunque, mediante un equo e coordinato contemperamento delle esigenze, dei bisogni, dei diritti di tutti i cittadini, senza più segmentare i provvedimenti a favore di determinati soggetti individuati in base al parametro dell'età, avente il grande limite di programmare solo il breve periodo, con ciò evidenziando i vantaggi ricevuti da una sola categoria e il disinteresse verso la contemporanea regressione dei diritti di altre categorie di cittadini conseguente all'attuazione della riforma stessa,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative necessarie a favorire la creazione di laboratori sociali dove i cosiddetti lavoratori maturi possano proseguire la propria attività, anche al fine di trasmettere conoscenze, saperi, abilità ai giovani lavoratori, con particolare riferimento ai cosiddetti «vecchi mestieri», che si sta rischiando di perdere come patrimonio non solo lavorativo ed economico ma anche culturale, per meglio valorizzare le peculiarissime capacità, risorse e competenze trasmesse da moltissime generazioni precedenti, facendo dell'Italia un modello di cui è bene farsi interpreti, innovando nella tradizione;
   ad adottare le opportune iniziative necessarie a favorire una nuova formazione e riqualificazione dei lavoratori ultracinquantenni al fine di aumentare le potenzialità imprenditoriali e lavorative mediante l'opportuno utilizzo di internet, che rappresenta il mezzo mediante il quale offrire a chiunque abbia le necessarie competenze nuove opportunità di lavoro e impresa, e, conseguentemente, a predisporre tutte le azioni necessarie a ridurre il digital divide;
   ad adottare le opportune iniziative necessarie a favorire e incentivare ulteriormente l'utilizzo di diverse tipologie contrattuali come il part-time, l'home working, il job-sharing, con particolare riguardo ai lavoratori in età matura;
   ad adottare le opportune iniziative necessarie a favorire l'attuazione di ulteriori effettive, efficaci ed efficienti politiche di sostegno al reddito universale, con particolare riferimento ai cosiddetti lavoratori maturi;
   ad adottare efficaci e concrete iniziative, entro l'anno corrente, volte a favorire il pensionamento dei lavoratori aventi un'età che li rende prossimi alla pensione.
(1-01246)
«Baldassarre, Artini, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».
(3 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 4 della Costituzione italiana recita espressamente: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»;
    pertanto, tutti i cittadini italiani hanno diritto ad un lavoro, tuttavia, anche attraverso l'adozione di interventi normativi per incentivare l'occupazione di specifiche fasce di disoccupati, si rischia spesso di discriminare altri cittadini e pregiudicarli rispetto alle possibilità di accesso al mercato del lavoro;
    al riguardo, una delle più grandi discriminazioni che si sta attuando è quella nei confronti dei disoccupati cosiddetti «maturi». Si tratta dei cittadini ultraquarantenni che hanno perso il lavoro in età matura e non riescono a ricollocarsi, per la sussistenza di ostacoli di varia natura, che si sono ormai incardinati nel mercato del lavoro;
    le istituzioni, sia nazionali che locali, non hanno mai adottato concrete iniziative a tutela di queste persone, che, non solo non hanno più un'occupazione, ma non possono accedere, né al trattamento previdenziale, né a valide iniziative di natura sociale a loro sostegno;
    si tratta, dunque, di una classe di lavoratori disoccupati, che vive in una situazione di emarginazione, sebbene il loro status di disoccupati è di gran lunga più grave di quello relativo alla classe dei giovani, poiché spesso si tratta di persone che devono sostenere economicamente il proprio nucleo familiare. Il disoccupato maturo ha una situazione anche psicologica oggettivamente peggiore, poiché si trova in una fascia di età in cui sembra un fatto scontato quello di dover produrre reddito per mantenere i propri figli e difficilmente si è sostenuti economicamente dai genitori, anzi, accade che anche questi ultimi possano essere a carico. Inoltre, queste persone, oltre ad aver perso il lavoro, si trovano, di frequente, a dover sostenere rilevanti spese, poiché hanno precedentemente acceso dei mutui, richiesto prestiti, retto costi per gli studi dei figli, a cui non possono più far fronte e che comportano l'accumulo di debiti, con ulteriore ed evidente aggravio della loro situazione;
    gli interventi normativi, favorendo soprattutto l'occupazione giovanile, hanno alimentato un evidente pregiudizio da parte delle imprese nei confronti dei lavoratori maturi, che può essere espresso nel concetto di «young in, old out». Al riguardo, si ricorda che il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, «Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, n. 187, del 13 agosto 2003, all'articolo 3 sancisce: «Il principio di parità di trattamento senza distinzione di età si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato con specifico riferimento alle seguenti aree: accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione (...)». In definitiva, quindi, non è legittimo discriminare in base all'età, eppure sono a dir poco frequenti i limiti in tal senso, nelle procedure selettive e nelle offerte di lavoro. Tale discriminazione, attuata da aziende multinazionali, piccole imprese, agenzie per il lavoro e grandi società di head hunting, sussiste in mancanza di controlli e di un garante che faccia rispettare la normativa in materia;
    a tale scenario, si aggiungono ulteriori interventi che hanno pregiudicato i disoccupati maturi, ossia le riforme previdenziali varate negli ultimi anni e caratterizzate dall'inserimento di criteri peggiorativi, rispetto ai requisiti temporali, per l'accesso alla pensione. In particolare, si è trattato di riforme che, proprio nella fase di crescita del fenomeno dell'espulsione dal ciclo produttivo dei lavoratori cosiddetti «over», hanno del tutto ignorato le conseguenze devastanti per coloro che, a pochi anni dal riconoscimento del diritto alla pensione, hanno perso il lavoro e, contestualmente, si sono visti prorogare, nel tempo, il requisito anagrafico e/o contributivo, per ottenere l'assegno pensionistico che avrebbe rappresentato l'unica possibile fonte di reddito,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative che prevedano specifici e idonei controlli, anche istituendo un'apposita figura che faccia da garante, per escludere ogni iniziativa che comporti discriminazioni in base all'età e pregiudichi l'accesso e la ricollocazione dei cosiddetti lavoratori maturi nel mondo del lavoro;
   a porre in essere ogni intervento che rimuova gli ostacoli che, ad oggi, hanno complicato, se non impedito, la ricollocazione dei lavoratori maturi, contestualmente, promuovendo iniziative che agevolino il loro accesso/ricollocazione nel mondo del lavoro;
   ad assumere iniziative volte a promuovere, presso i centri per l'impiego, percorsi formativi finalizzati al ricollocamento e, in virtù delle loro specificità, dedicati ai lavoratori inoccupati di età superiore a 40 anni, con garanzia di accesso gratuito all'offerta formativa, nonché di accesso gratuito a servizi di orientamento professionale;
   a promuovere specifiche ed immediate iniziative a sostegno di coloro che sono rimasti senza una fonte di reddito, poiché hanno perso il lavoro e, contestualmente, non hanno potuto ottenere il trattamento pensionistico, avendo subito un peggioramento dei requisiti per accedervi;
   a porre in essere ogni idonea iniziativa per consentire la legittima uscita dal mondo del lavoro e, di conseguenza, l'accesso al trattamento pensionistico di quelle categorie che hanno subito evidenti penalizzazioni dalle recenti riforme pensionistiche (a titolo di esempio, i cosiddetti quota 96, quota 41, lavoratori «quindicenni» della «riforma Amato»), in modo da favorire l'ingresso nel mercato del lavoro di inoccupati e disoccupati.
(1-01247)
«Rizzetto, Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».
(3 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    i dati diffusi dall'Istat nel mese di febbraio 2016, testimoniano un tasso di disoccupazione dell'11,7 per cento, in lieve aumento (0,1 per cento). A febbraio il numero dei disoccupati è cresciuto dello 0,3 per cento pari a +7 mila, sintesi di una crescita tra gli uomini e un calo tra le donne;
    diminuisce anche il numero degli occupati. Dopo la crescita di gennaio (+0,3 per cento pari a +73 mila), a febbraio la stima degli occupati diminuisce dello 0,4 per cento (-97 mila persone occupate). La diminuzione di occupati coinvolge uomini e donne e si concentra tra i 25-49enni, mentre, la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,4 per cento (+58.000);
    su base annua il numero di occupati è in crescita dello 0,4 per cento (+96 mila, +238 mila i dipendenti a tempo indeterminato), mentre calano sia i disoccupati (-4,4 per cento, pari a -136 mila), sia gli inattivi (-0,7 per cento, -99 mila);
    si tratta, come ha evidenziato il Ministro Poletti di un mercato del lavoro che continua a registrare oscillazioni congiunturali legate ad una situazione economica che presenta ancora incertezze;
    le oscillazioni non modificano, comunque, la tendenza positiva dell'occupazione nel medio periodo: su base annua, si registrano 136.000 disoccupati in meno e 96.000 occupati in più. Un dato, quest'ultimo, sul quale incide in particolare l'aumento consistente dei lavoratori a tempo indeterminato;
    in questo contesto, si inserisce il problema dei disoccupati maturi, ultraquarantenni che hanno perso il posto di lavoro e per i quali è sempre più difficile trovare una collocazione. Il problema dei lavoratori «over 40» è sempre più sentito in un contesto in cui il mercato è in tensione ed in continua riprogrammazione a favore della ancora più temuta disoccupazione giovanile, cosa che rende il reinserimento degli over 40 sempre più complesso;
    è evidente la necessità, sentita soprattutto in conseguenza dell'abolizione del pensionamento di anzianità e dell'aumento dell'età del pensionamento di vecchiaia, disposti dal decreto-legge n. 201 del 2011, di ricorrere a nuovi strumenti giuridici in grado di rafforzare la domanda di lavoro, rimuovendo gli ostacoli che impediscono o comunque frenano la domanda e l'offerta nella fascia degli over quaranta;
    occorre favorire l'invecchiamento attivo, combinando e conciliando le esigenze peculiari dei lavoratori fuoriusciti dal mercato del lavoro – a causa della perdita del posto di lavoro o perché inattivi e immotivati nella ricerca di uno nuovo — e quelle delle imprese, delle famiglie e delle comunità locali;
    nella passata legislatura diverse sono state le proposte avanzate e discusse, in merito, che nella presente legislatura hanno trovato un parziale seguito attraverso i decreti delegati al cosiddetto «Jobs Act» e con la legge di stabilità 2616; ci si riferisce in particolare alle proposte riguardanti la possibilità di riduzione dell'orario di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale per i lavoratori nel quinquennio precedente al pensionamento, con agevolazione della copertura previdenziale per la parte che rimarrebbe altrimenti scoperta, così come quella riguardante un incentivo all'assunzione di giovani in corrispondenza con la riduzione dell'orario dei lavoratori cosiddetti «anziani», e quella riguardante la possibilità di attivazione di un pensionamento parziale, in corrispondenza con la riduzione dell'orario;
    si tratta di proposte alimentate dalla necessità di venire incontro alla disoccupazione giovanile, in grado di prendere in considerazione contemporaneamente l'emergenza, sempre più allarmante dell'occupazione dei lavoratori maturi;
    da ciò si pone anche quindi la necessità di intervenire nella fase di accesso al lavoro, nella maternità e nella malattia, e altro e non solo attivando dei meccanismi, basati sulle politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e su forme di promozione del cosiddetto «invecchiamento attivo». In tal senso, le politiche e le strategie aziendali dovrebbero mirare a trarre il meglio dalle potenzialità che i lavoratori esprimono in funzione sia della loro età, ma anche della loro condizione personale e familiare;
    dunque, occorrerebbe promuovere una politica (sia pubblica che aziendale) legata al ciclo di vita per garantire, in tutti i casi, politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, di ricambio generazionale, che operino attraverso modelli non più basati sul conflitto generazionale, ma piuttosto sulla valorizzazione delle persone;
    è di tutta evidenza la necessità non solo di introdurre incentivi mirati a sostenere la ricollocazione dei lavoratori maturi espulsi o a rischio di espulsione dal mercato del lavoro, ma soprattutto di promuovere e agevolare l'utilizzo di strumenti e politiche finalizzate a sostenere la diversa capacità di lavoro di questi lavoratori. Dunque valorizzazione della persona, del lavoratore, posto al centro delle attività produttive e occupazionali;
    nel corso degli ultimi anni, tuttavia, sono stati applicati incentivi economici di sostegno alle assunzioni, che si sono rivelati utili, ma da soli non sufficienti a risolvere il problema occupazionale. Infatti, agli incentivi nazionali previsti dalla cosiddetta «legge Fornero» (riduzione del 50 per cento, della quota contributiva a carico del datore di lavoro per l'assunzione di un lavoratore over 50 disoccupato da almeno 12 mesi con contratto a tempo indeterminato, determinato o di somministrazione), si sono aggiunti incentivi regionali anche questi finalizzati alle assunzioni. Incentivi per lo più di tipo esclusivamente economico (in 10 regioni), con azioni integrate (6 regioni) o di natura strettamente formativa (2 regioni);
    in questo contesto, appaiono necessarie politiche occupazionali di sostegno ai lavoratori maturi, in grado di porre l'accento non solo sull'occupabilità, ma anche sulla capacità di lavoro (diversity management), ambito quasi totalmente disatteso dal tipo di incentivi finora attuati;
    è importante conoscere e monitorare la situazione occupazionale dei lavoratori over 40, su cui ad oggi non si hanno dati puntuali, ma solo presunti, a causa di quanti, sconfortati, abbandonano la ricerca di un posto di lavoro. Solo così è possibile favorire il cambiamento culturale tanto atteso, nel mondo imprenditoriale, nelle parti sociali, nonché nei lavoratori stessi, valorizzando l'età come esperienza da utilizzare in tutti i contesti della vita sociale e lavorativa,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni utile iniziativa atta a diffondere una cultura nonché «buone pratiche» finalizzate alla valorizzazione degli ultraquarantenni nei processi di ricerca e selezione di personale, favorendo un approccio pro-attivo tra i principali player del mercato del lavoro (agenzie del lavoro e imprese);
   ad assumere le iniziative di competenza volte a coinvolgere in tale evoluzione le aziende e tutti gli operatori del mercato, con azioni di sensibilizzazione nei luoghi lavoro, anche attraverso tavoli di concertazione ad hoc che rappresentino il mondo del lavoro e dei sindacati;
   a prevedere campagne di comunicazione sui principali media italiani per dare visibilità ad imprese e agenzie del lavoro che ha o sviluppato comportamenti o realizzato esperienze particolarmente interessanti e innovative sul tema dei lavoratori maturi, promuovendo e valorizzando i comportamenti particolarmente virtuosi;
   ad adottare iniziative, anche normative, atte a favorire un'equilibrata combinazione tra gli incentivi economici e le buone pratiche manageriali, oltre che una efficiente rete di outplacement e ricollocazione degli ultraquarantenni, anche con l'ausilio di un monitoraggio continuo dei fondi stanziati in tale ambito.
(1-01251)
«Palladino, Monchiero, Vargiu, Vezzali».
(9 maggio 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE, ANCHE IN AMBITO INTERNAZIONALE, FINALIZZATE AL CONTRASTO DEI FENOMENI DI VIOLENZA CONTRO LE DONNE, ALLA LUCE DELLE AGGRESSIONI OCCORSE A COLONIA E IN ALTRE CITTÀ EUROPEE NELLA NOTTE DEL 31 DICEMBRE 2015

   La Camera,
   premesso che:
    la notte del 31 dicembre 2015 a Colonia ed in alcune altre città europee, tra le quali Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düssedorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo si sono verificati episodi ripugnanti e intollerabili di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne. Centinaia di giovani uomini immigrati, per lo più arabi e nordafricani, hanno circondato centinaia di donne molestandole pesantemente, alcune violentandole, altre derubandole di quello che avevano;
    dalle ricostruzioni ufficiali, il tratto comune a tutte le aggressioni è il fatto di essere state perpetrate da gruppi organizzati di stranieri provenienti da Paesi extraeuropei, tra i quali non di rado figuravano anche sedicenti profughi, che hanno operato con modalità assai simili a quelle osservate nel 2011-2012 a Piazza Tahir. La polizia tedesca sta operando arresti anche dentro i centri di prima accoglienza destinati ai rifugiati;
    un'operazione di molestie così vasta, continuata e determinata, non può essere vista solo come un gesto contro le donne, ma si configura come un atto di scontro, umiliazione e dominio esercitato nei confronti delle donne sì, ma mirato ad inviare un segnale di disprezzo e di sfida ai Paesi che hanno accolto quegli uomini e quindi l'Europa tutta;
    non si può continuare a minimizzare, come hanno cercato di fare molti intellettuali o esponenti politici, essendo evidente, per i presentatori del presente atto di indirizzo, il fatto che chi proviene da quei Paesi si porta dietro un'idea della donna priva di libertà, ritenuta inferiore e da mortificare nella mente e nel corpo;
    quanto è accaduto è infatti di enorme gravità sociale, dal momento che il rapporto tra i generi è quotidiano e intimidazioni del genere, come quella vista nella notte del 31 dicembre 2015, mirano chiaramente a minare alcune libertà costitutive dell'Occidente;
    non si può più sottacere la natura del rapporto dell'Islam con le donne, che ben conosciamo e che è stato al centro di grandi riflessioni ed anche battaglie a favore delle donne di quei Paesi. Un rapporto intriso di violenza metamorfizzato in una agenda culturale e politica di dominio, usata come arma, come espressione di potere in una vastissima area sociale la cui linea di rottura passa dentro lo stesso mondo musulmano;
    sono ancora sotto i nostri occhi gli stupri e le violenze verificatesi in Iraq e Siria durante la conquista da parte dell'Isis, i rapimenti di Boko Haram, la schiavitù sessuale imposta alle donne cristiane e yazide, il trattamento subito da centinaia di donne egiziane al Cairo, durante la «primavera araba» per punirle della loro partecipazione attiva alla politica. Tutti esempi, secondo i presentatori del presente atto di indirizzo, del modo di rapportarsi dell'Islam con le donne, che non si ferma alle frontiere, essendo un tratto essenziale della politicizzazione in senso radicale di quella religione;
    è irrinunciabile e urgente la difesa della libertà femminile da ogni forma di molestia, abuso e violenza sessuale;
    basi indispensabili di qualsiasi processo di integrazione sono: il rispetto nei confronti del Paese ospitante, della sua cultura e delle sue tradizioni da parte di chi lo raggiunge e, soprattutto, lo sforzo di rispettarne le leggi, gli usi e i costumi;
    inaccettabili risultano i tentativi di giustificare le violenze sulle donne come quello fatto dall'Imam della stessa città di Colonia, Sami Abu-Yusuf, secondo cui le aggressioni sarebbero state determinate dal fatto che le vittime si fossero profumate o comunque vestite in modo provocante;
    si rimarca la circostanza, straordinaria per Paesi liberi, che la stampa degli Stati coinvolti abbia celato volontariamente per giorni i fatti, per ragioni che rimangono tuttora oggetto di congetture, ma tra le quali potrebbe esserci anche l'intenzione di non creare problemi alle politiche di accoglienza abbracciate dai rispettivi Governi di riferimento;
    i fatti occorsi a Colonia e nelle altre città coinvolte pongono seri interrogativi sulla gestione dell'immigrazione, sull'accoglienza e l'integrazione, sul rapporto dell'Islam con le donne, cui occorre rispondere per comprendere esattamente quali rischi concreti stia portando l'immigrazione nei nostri Paesi. Domande a cui nessuno può sottrarsi alla luce di quanto accaduto in Germania, Svizzera, Finlandia la notte del 31 dicembre 2015 ma anche di fronte al disagio e alle minacce alla nostra incolumità fisica che si avvertono ogni giorno per le strade, sui bus o nelle metropolitane, in centro, come nella periferie delle città italiane;
    si rileva come le dimensioni assunte dal fenomeno migratorio siano ormai incompatibili con le misure messe in campo ed impongano un ripensamento, che riduca ampiezza e velocità dei flussi, prevedendo espulsioni più facili, controlli più serrati, campi di raccolta nei Paesi sorgenti o situati lungo i percorsi di approccio all'Europa;
    la forte prevalenza degli uomini in giovane età, tra coloro che sono giunti in Europa in tempi più recenti, ad avviso dei firmatari del presente atto è di per sé un fattore di rischio aggiuntivo per le donne del nostro continente;
    l'ideologia di chi ritiene che il multiculturalismo possa diventare una forma facile e innocua di convivenza secondo i firmatari del presente atto ha fallito, così come quella di chi pensa che l'uguaglianza si possa raggiungere cancellando le differenze, le proprie radici culturali, i propri valori; fallimentari sono state soprattutto le politiche «aperturiste» dell'accoglienza a tutti i costi, guidate dalla convinzione che tutto potesse risolversi con un progressivo assorbimento delle centinaia di migliaia di immigrati giunti nel nostro continente negli ultimi anni;
    i diritti delle donne sono un terreno particolarmente sensibile di scontro, avendo la questione femminile subito un processo di radicalizzazione nel mondo musulmano, che è parte fondamentale della più generale affermazione dell'Islam politico fondamentalista, in cui la donna è ridotta, nel migliore dei casi, a «complemento dell'uomo», anziché esser vista come una persona eguale in dignità e diritti;
    si rileva la circostanza che, a Colonia, la reazione delle forze dell'ordine sia stata debole e tardiva, anche perché parte dei locali effettivi era dispiegata sulle frontiere della Germania per controllare l'afflusso dei migranti extracomunitari e mancavano quindi agenti da schierare nelle strade cittadine,

impegna il Governo:

   ad intensificare la collaborazione con le autorità di pubblica sicurezza dei Paesi colpiti dalle violenze collettive contro le donne la notte di San Silvestro, allo scopo di acquisire elementi utili alla prevenzione di atti simili sul suolo nazionale;
   ad assicurare un'elevata priorità alla lotta contro gli eventuali sodalizi criminali, anche temporanei, allestiti da immigrati per delinquere contro le donne;
   ad assumere iniziative per privilegiare, nelle procedure per l'accesso al nostro Paese, le famiglie, le donne, i bambini e gli anziani, come già accade in alcuni Stati occidentali, in primo luogo il Canada, prevedendo invece per gli uomini giovani percorsi più lunghi;
   a rafforzare i presidi di polizia ovunque la sicurezza delle donne paia più a rischio, incrementando le assunzioni nelle forze dell'ordine qualora con gli organici disponibili non si riesca a fronteggiare anche questa emergenza;
   a non tollerare, nell'ambito delle proprie competenze, alcuna forma di apologia o giustificazione delle violenze compiute sulle donne dalle gang dei migranti extracomunitari, assumendo iniziative, anche a carattere di urgenza, per adeguare la normativa penale;
   ad assicurare una tempestiva informazione dell'opinione pubblica italiana qualora, malgrado tutto, si verificassero anche in Italia episodi assimilabili a quelli occorsi a Colonia, sfruttando a questo scopo, se necessario, ogni canale di comunicazione disponibile.
(1-01111)
«Saltamartini, Molteni, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Rondini, Simonetti».
(25 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati ISTAT nel 2015 il 35 per cento delle donne nel mondo ha subito una violenza. La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne;
    la stessa Dichiarazione adottata dall'Assemblea generale dell'Onu parla di violenza contro le donne come di «uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in a posizione subordinata rispetto agli uomini»;
    sempre secondo l'Istat, in Italia sono quasi 7 milioni le donne che hanno subito nel corso della propria vita una forma di violenza fisica o sessuale: abusi troppe volte non denunciati per evitare pregiudizi o perché consumati in ambiente domestico;
    una ricerca di Enveff (l'Enquête nationale les violences envers les femmes en France) ha dimostrato che nei 12 mesi successivi alla violenza aumenta per le donne del 26 per cento il rischio di suicidio;
    l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) afferma che una percentuale variabile (tra il 44 e il 59 per cento) di donne vittime di violenza sviluppa disturbi depressivi o manifesta dipendenza da alcolici e disturbi alimentari;
    a una vittima di violenza sessuale viene diagnosticato nei primi giorni dal trauma un «Disturbo Acuto da Stress» (ASD) che si manifesta, nella maggior parte dei casi, come un pensiero fisso; nei sei mesi successivi diventa «Disturbo Post Traumatico da Stress» (PTSD) nei quali riaffiorano brutti ricordi e questo disagio può trasformarsi, quando i sintomi persistono, in «Disturbo da Disadattamento»: condizioni queste che vanno trattate farmacologicamente e necessitano, non di rado, di sostegno psicologico e psichiatrico;
    in Italia ci sono i centri antiviolenza per le donne riuniti nel coordinamento D.i.RE., che hanno redatto delle linee comuni di intervento sulla presa in carico di vittime: un lavoro ancora inadeguato rispetto alla realtà, anche perché sono ancora pochi i centri specializzati per la cura di questi tra (mentre sono presenti e attive sul territorio associazioni che forniscono assistenza telefonica, medica, psicologica e legale alle donne abusate);
    il fenomeno della violenza sulle donne, come ogni altra forma di violenza, va analizzato nel contesto nel quale si manifesta; ha risvolti psicologici se muove da un disagio, può avvenire dopo assunzione di sostanze stupefacenti o alcolici, può scaturire dall'esaltazione di gruppo. Non di rado risponde a un bisogno fisico dell'aggressore o nasce dalla consapevolezza acquisita da un vissuto maschilista, da un convincimento religioso, che identifica la donna in una proprietà, o peggio, la considera un oggetto;
    in ogni caso, una donna che subisce violenza è minata nella sua libertà: per questo nessun caso può essere giustificato, anzi va denunciato e perseguito con ogni mezzo;
    ci sono realtà, soprattutto nei Paesi di religione musulmana, dove le donne non hanno il diritto di studiare, non possono guidare un'auto, vengono date in sposa dalle famiglie anche in giovanissima età, vengono scambiate o ripudiate contro la loro volontà: in questi contesti, le donne (che pure lavorano quanto se non addirittura di più e più duramente degli uomini) sono considerate prive di libertà, sono ritenute inferiori e spesso mortificate fisicamente e psicologicamente;
    di fronte a questa percezione del genere femminile, alla necessità di governare il fenomeno migratorio (che sta assumendo dimensioni bibliche), nonché all'urgenza di accreditare la convivenza civile come modello di comportamento che garantisca il reciproco rispetto di culture, usi e costumi diversi, se si vuole realizzare l'integrazione, si impone a riflessione su quanto è accaduto nei mesi scorsi in Europa;
    diverse città sono state interessate da intollerabili violenze di gruppo ad opera di immigrati extracomunitari e nordafricani che hanno compiuto abusi, maltrattamenti e rapine: questi fatti inducono a ragionare su quale sia effettivamente il rapporto fra l'islam e le donne;
    nello specifico, la notte del 31 dicembre 2015, a Colonia ed in alcune altre città europee, tra le quali Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düsseldorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo si sono verificati episodi ripugnanti di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne: centinaia di giovani uomini immigrati hanno circondato centinaia di donne molestandole pesantemente, alcune violentandole, altre derubandole di quello che avevano;
    questi accadimenti, per l'alto numero delle vittime coinvolte, fanno pensare più a una sfida verso l'occidente che non a gesto di dispregio verso le stesse;
    per questo, occorre capire fino a che punto siamo pronti alle sfide e come dobbiamo affrontare fenomeni come globalizzazione e multiculturalismo che presentano modelli di società diversi e attribuiscono a uomini e donne funzioni differenti e nessuna parità di dignità e di diritti;
    la tolleranza cui si deve far necessariamente ricorso per gestire situazioni difficili, affinché ogni piccola divergenza non degeneri in scontro, non deve essere scambiata per debolezza, non deve autorizzare chi cerca un approdo e una opportunità per sé e per la propria famiglia, a pensare che qui è tutto consentito o dovuto; non possiamo neppure ritenere che tutto ciò che è nuovo o da integrare costituisca una minaccia;
    considerato che il fenomeno della violenza sulle donne è e problema anche italiano e che va combattuto soprattutto a livello culturale, non dobbiamo permettere che gli episodi di cronaca possano essere utilizzati in modo strumentale per considerare gli immigrati tutti colpevoli o ridurli a un problema;
    da anni, visto che siamo un continente in difetto di crescita, i demografi ritengono questi flussi una opportunità da valorizzare per contrastare l'invecchiamento della popolazione;
    uno dei principi sui quasi si basa l'Unione europea è quello di considerare i 500 milioni di cittadini «uniti nelle diversità»; differenze costruttive da cui partire per un collettivo arricchimento culturale e sociale, ma anche come forma di apertura verso tutto ciò che è altro rispetto a quanto già coinvolto nel processo di integrazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative che impediscano il verificarsi (come già accaduto in altri Paesi europei) di episodi diffusi di violenze collettive contro le donne attraverso un potenziamento dello scambio di informazioni con le autorità di pubblica sicurezza di altri Paesi europei;
   ad assumere iniziative per realizzare controlli accurati, al fine di impedire l'accesso in Italia a quei soggetti segnalati o coinvolti in episodi di violenza contro le donne denunciati in Europa;
   ad assumere le iniziative di competenza necessarie per aiutare le donne vittime di violenza a superare il trauma, assicurando loro la tutela legale gratuita, nonché per garantire la certezza della pena per i colpevoli di abusi;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per aumentare la dotazione del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità;
   a rafforzare i presidi di polizia ovunque la sicurezza delle donne paia più a rischio, incrementando le assunzioni nelle forze dell'ordine qualora con gli organici disponibili non si riesca a fronteggiare anche questa emergenza;
   ad assumere iniziative volte a contrastare il diffondersi di messaggi subliminali e pubblicitari, che propongano stereotipi superati, allo scopo di affermare la supremazia degli uomini sulle donne.
(1-01250)
«Vezzali, Monchiero, D'Agostino, Galgano, Librandi, Matarrese, Molea, Vargiu, Rabino».
(9 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    «Contrastare la violenza sulle donne è un compito essenziale di ogni società che si proponga la piena tutela dei diritti fondamentali della persona». Lo ha affermato il Capo dello Stato Sergio Mattarella in occasione della giornata contro la violenza alle donne, auspicando un'azione di «educazione dei giovani al rifiuto della violenza nei rapporti affettivi», ha aggiunto però: «Resta ancora molta strada da fare»;
    per far fronte a un fenomeno sociale e culturale di così vasta portata, come è quello della violenza sulle donne nelle sue molteplici manifestazioni, sono necessarie risorse culturali prima ancora che economiche e finanziarie, dal momento che il fenomeno della violenza sulle donne ha una sua specifica connotazione a seconda dei Paesi e della loro cultura, della loro organizzazione familiare, lavorativa e sociale. Fatti recenti hanno mostrato e confermato come la violenza sulle donne costituisca anche un nodo concettuale di particolare interesse, in cui si intrecciano atteggiamenti che vanno oltre le specifiche culture nazionali. Tra le donne che subiscono violenza e gli attori della violenza stessa ci può essere una radicale diversità di provenienza oltre che di cultura e di stili di vita. Per questo servono informazioni complete e continuamente aggiornate, sul piano quantitativo e qualitativo, capaci di far emergere le costanti e mutevoli aggressioni che le donne subiscono;
    in questa legislatura, il 5 giugno 2013 tra i primi atti compiuti da questo Parlamento, si ricorda che la Camera ha approvato all'unanimità una mozione contro la violenza sulle donne con un atto parlamentare finalizzato a sensibilizzare il Parlamento sugli episodi di violenza sulle donne la cui frequenza stava assumendo connotati preoccupanti anche nel nostro Paese. La mozione, nelle intenzioni di tutti, doveva rappresentare il punto di partenza per nuove iniziative politiche, necessarie per arginare il fenomeno e per consentire azioni di sostegno, formazione e protezione. Le diverse mozioni raccoglievano un dato inquietante per quanto riguarda specificatamente il femminicidio in quegli anni; nel rapporto pubblicato dall'Eures si registrava in Italia un aumento delle uccisioni di donne del 14 per cento dalle 157 nel 2012 alle 179 del 2013;
    la mozione di allora si uniformava alle direttive impartite in un campo così delicato dall'Unione europea, dalle Nazioni Unite e da vari consessi internazionali. Si voleva monitorare nel modo più efficace possibile il fenomeno, sostenendo le vittime dal punto di vista sociale ed economico, proteggendole e garantendo loro condizioni di sicurezza che andassero oltre l'intervento delle forze dell'ordine. L'obiettivo era quello di creare i presupposti giuridici per contrastare e reprimere con determinazione questo tipo di reato. Tra i principali impegni proposti al Governo e dallo stesso accettati si sottolineava la necessità di considerare la violenza contro le donne come un'azione contro i diritti umani; si insisteva sulla necessità di sostenere l'inserimento professionale delle donne e la loro autonomia economica, in modo che potessero interrompere prontamente i rapporti caratterizzati da aggressività e da violenza anche a livello domestico. Si chiedeva di ratificare la Convenzione del Consiglio d'Europa (Istanbul 2011) sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica. Si chiedevano maggiori risorse per il raggiungimento di questo obiettivo in modo da rafforzare le reti di contrasto al fenomeno, potenziando capacità di ascolto e di pronto intervento. Ma l'accento era soprattutto sulla urgente necessità di promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, coinvolgendo in particolare gli operatori sanitari, sociali, del diritto e dell'informazione, perché imparassero a gestire i primi contatti con la vittima e aiutarla. Si voleva in definitiva aiutare le donne a superare la paura e a divenire consapevoli che è possibile sconfiggere la violenza e sopravvivere alla violenza stessa;
    risale al 1993 La «Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne» che all'articolo 1, descrive la violenza contro le donne come: «Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata». Ma la violenza alle donne è diventato tema e dibattito pubblico solo da pochi anni e oggettivamente sia in Italia che in Europa mancano politiche serie di contrasto alla violenza alle donne, così come mancano ricerche con respiro internazionale e progetti di sensibilizzazione e di formazione che coinvolgano a pieno titolo l'opinione pubblica. Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza contro le donne è presente, sia pure in modi diversi nei Paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a tutti i ceti economici. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E il rischio maggiore più che i mariti e i padri sono soprattutto quei conviventi, che abusano di figlie non loro o di compagne occasionali. Ma tra gli abusanti ci sono anche i cosiddetti amici: vicini di casa, conoscenti e colleghi di lavoro o di studio;
    accanto alla violenza domestica che colpisce in modo speciale l'opinione pubblica per la sacralità del luogo in cui si consuma, bisogna ricordare che le donne sono esposte nei luoghi pubblici e sul posto di lavoro a molestie ed abusi sessuali, a stupri e a ricatti sessuali. In molti Paesi le ragazze giovani sono vittime di matrimoni coatti, matrimoni cosiddetti riparatori e sono costrette alla schiavitù sessuale, mentre altre vengono indotte alla prostituzione forzata e/o sono vittime di tratta. Se ne è a lungo parlato nell'ambito del World report on violence and health; l'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha segnalato tra le altre forme di violenza le mutilazioni genitali femminili o altri tipi di mutilazioni, come in un recente passato lo stupro di guerra ed etnico. Sono ancora forme di violenza subite dalle donne quelle forme di femminicidio che in alcun Paesi, come in India e in Cina, si concretizzano nell'aborto selettivo, per cui le donne vengono indotte a partorire solo figli maschi, perché più e meglio accettati socialmente. Anche se il disastro demografico che questa politica ha causato sta obbligando il Governo di questi Paesi a fare rapidamente marcia indietro. Esistono infine violenze relative alla riproduzione, come l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata, e più recentemente perfino la gravidanza forzata;
    Irina Bokova, direttrice Generale dell'UNESCO, il 25 novembre 2015 in occasione della giornata contro la violenza alle donne ha affermato che «La violenza contro le donne è una violazione dei diritti e delle libertà fondamentali delle donne ed è inaccettabile in qualsiasi delle sue molteplici forme. L'UNESCO s'impegna a proteggere e promuovere i diritti e le libertà delle donne. Per farlo, è necessario garantire la piena ed equa partecipazione delle donne allo sviluppo e ai processi di costruzione della pace, a tutti i livelli». Le donne e le ragazze che vivono in Paesi colpiti da conflitti armati, sono particolarmente a rischio di violenze sessuali, specie durante l'approvvigionamento d'acqua, secondo il rapporto presentato dall'ONG Earthscan per il progetto ONU del Millennio. Il timore di violenze sessuali provoca conseguenze anche nelle iscrizioni scolastiche, dovute al fatto che le famiglie temono per le proprie figlie;
    in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, promossa dall'ONU a New York, tutti i partecipanti hanno evidenziato il ruolo fondamentale della società civile nell'impegno a creare spazi sicuri in cui possano vivere serenamente le ragazze, stabilire una cultura del rispetto delle donne e porre fine alla violenza perpetrata nei confronti di donne e ragazze. Michelle Bachelet, vice segretario generale e direttore esecutivo di UN Women, l'agenzia che l'ONU ha istituito di recente, ha affermato che, sebbene ci siano stati notevoli progressi nelle politiche nazionali volte a ridurre la violenza sulle donne, molto rimane ancora da fare. Più di cento Paesi sono privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica e più del 70 per cento delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della loro vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini. La violenza, ha aggiunto la Bachelet, influendo negativamente sui risultati scolastici delle donne, sulle loro capacità di successo lavorativo e sulla loro vita pubblica, allontana progressivamente le società dal conseguimento dell'obiettivo dell'uguaglianza tra gli uomini e le donne. In quella occasione il segretario generale delle Nazioni Unite si è impegnato a cercare un finanziamento di cento milioni di dollari l'anno, da destinare al fondo fiduciario per porre fine alla violenza contro le donne;
    per questo anche le Nazioni Unite hanno più che mai bisogno di collaborazione con il settore privato che potrebbe offrire sia canali di finanziamento sia conoscenza in settori chiave. Accanto al semplice finanziamento, i partner aziendali potrebbero apportare la propria competenza per l'elaborazione di strategie, oltre un grado di sostenibilità per la tolleranza al rischio finanziario. In Africa, ad esempio, ci sono importanti progetti a carattere plurisettoriale per l'emancipazione femminile e la creazione di spazi sicuri per queste ultime, compresa la formazione di avvocati, assistenti legali e operatori del settore sanitario necessari per rispondere alle esigenze delle ragazze che affrontano la violenza. Nel mondo occorrono cambiamenti culturali forti per smettere di guardare alle donne come cittadine di seconda classe: bisogna creare una autentica cultura del rispetto;
    la riflessione sulla violenza alle donne ha acquisito una ulteriore dimensione dopo i recenti fatti di Colonia nella notte di capodanno, a cavallo tra il 2015 e il 2016, allorché un gruppo di giovani immigrati ha circondato alcune donne e ne ha fatto oggetto di avance, che in alcuni casi hanno dato origine a veri e propri fatti di violenza. Nel complesso si è trattato di un tipo di intervento analogo a quello osservato nel 2011-2012 a Piazza Tahir e questo fatto non va certamente sottovalutato. La dimensione di gruppo, la diversa provenienza geografica degli «attaccanti», in un momento in cui la tensione è alta in tutti Paesi, soprattutto rispetto alla complessa convivenza con gli immigrati, hanno dato all'episodio una rilevanza mediatica enorme. E hanno obbligato non solo le autorità, ma tutta l'opinione pubblica a livello internazionale, ad interrogarsi su questa relazione percepita come tendenzialmente destabilizzante tra donne occidentali e maschi provenienti da Paesi in cui l'immagine della donna può essere davvero diversa;
    è opportuno rilevare che solo quando il caso di Colonia è divenuto di rilievo internazionale la polizia tedesca ha avviato una serie di indagini procedendo ad alcuni arresti, con deprecabile ritardo; ciò è bastato agli xenofobi, animati da un desiderio di vendetta sommaria, per aggredire i richiedenti asilo o semplicemente, coloro che avevano un aspetto o abiti islamici. Secondo la polizia tedesca alla base della seconda aggressione c'era stato un tam tam, sui social network per scendere in strada a Colonia e prendersela con persone «visibilmente non-tedesche»;
    non c’è dubbio che entrambe le forme di aggressione confermano come in Germania ci sia la crescita di un sentimento di ostilità verso gli immigrati e un sondaggio condotto dall'istituto Forsa ha confermato questa tendenza: il 37 per cento ha risposto che considerava negativamente la presenza degli immigrati soprattutto dopo i fatti di Colonia, mentre il 57 per cento che ha dichiarato di temere che l'aumento dei profughi possa segnare una crescita della criminalità in Germania. D'altra parte è difficile non porsi degli interrogativi seri: le denunce alla polizia di Colonia per violenze subite durante la notte di Capodanno in Germania sono salite a 516, il cui 40 per cento ha a che fare con molestie a sfondo sessuale. Ad Amburgo i casi sono stati 133, e in misura minore a Düsseldorf, Francoforte, Berlino; mentre 500 uomini che hanno forzato l'ingresso di una discoteca di Bielefeld, in Westfalia, dove molte donne hanno poi subito attacchi e molestie;
    la stessa Angela Merkel davanti alle molestie sessuali denunciate da tantissime donne a Colonia nella notte di San Silvestro ha affermato che si tratta di «atti ripugnanti e criminali assolutamente inaccettabili per la Germania. L'accaduto è insopportabile per me anche sul piano personale», non ha escluso la via delle espulsioni rapide, operando successivamente in questo senso;
    da allora sono emersi numerosi casi precedenti e sono stati segnalati anche parecchi ulteriori casi di violenza in Europa, dalla Svezia alla Slovenia, dalla Francia all'Olanda, Italia compresa, in cui la violenza alle donne è stata perpetrata da cittadini di origine mussulmana. Sono evidenti l'atteggiamento di disprezzo nei confronti della donna e una sorta di azione di rivalsa per quella che ritengono una profonda umiliazione per la loro identità di maschi, frustrati dalla disoccupazione, dalla perdita di prestigio familiare, dalla mancanza di ruolo politico, e altro. In Italia si conoscono azioni di violenza commesse contro le proprie figlie o contro le proprie mogli, colpevoli di una sorta di contaminazione con la cultura occidentale che le vorrebbe più libere ed emancipate. A volta basta anche una semplice assimilazione di stili di abbigliamento o di comportamento più occidentalizzati con i propri coetanei per scatenare l'ira familiare;
    il fatto più preoccupante è che chi proviene da quei Paesi porta con sé un'idea della donna culturalmente diversa da quella occidentale, in cui comunque si riaffermano tutte le libertà costitutive dell'Occidente. Occorre non solo approfondire e rendere esplicita quale sia la natura del rapporto con le donne dell'Islam, caratterizzato spesso da una politica di dominio, che non si ferma davanti a forme di violenza strutturata come è accaduto con gli stupri e le violenze verificatesi in Iraq e Siria durante la conquista da parte dell'Isis, con i rapimenti di Boko Haram, e con la schiavitù sessuale e con i fatti gravissimi per cui centinaia di donne egiziane al Cairo sono state punite per la loro partecipazione attiva alla politica durante la cosiddetta primavera araba. Nel processo di accoglienza che riguarda i tanti rifugiati di cultura mussulmana deve esserci una chiara consapevolezza di come per noi sia irrinunciabile e urgente la difesa della libertà femminile da ogni forma di molestia, abuso e violenza sessuale;
    il processo di integrazione dei nuovi arrivati in Europa parte dal rispetto nei confronti del Paese ospitante, della sua cultura e delle sue tradizioni con un oggettivo impegno a rispettarne le leggi, gli usi e i costumi. Non c’è dubbio che aver ricevuto una formazione dalle chiare radici giudeo-cristiane consente loro una più rapida assimilazione della identità occidentale, con la piena valorizzazione del concetto di libertà personale e di pari dignità uomo-donna; mentre una formazione di marca islamica implica un itinerario più complesso per poter conservare la fedeltà a certi aspetti della propria tradizione, sottoponendone altri a quel processo di aggiornamento e di modernizzazione richiesto dalla evoluzione dei tempi e ben rappresentato nella Dichiarazione dei diritti universali dell'uomo e della donna;
    questa parte politica evidenzia che dai documenti, dai rapporti e dalle procedure relative alle attività di contrasto delle polizie europee nei riguardi delle violenze contro le donne poste in essere da stranieri, in particolare musulmani, e persino da prese di posizione di esponenti della sinistra italiana e di femministe, emergono: una sorta di sottovalutazione del fenomeno, distorte applicazioni di teorie giustificazioniste, la tendenza a «nascondere» l'entità del fenomeno per non apparire «islamofobi» o per non turbare i già complessi processi di integrazione;
    tali sconcertanti metodologie comportamentali dell'autorità di polizia, amministrative e politiche ha finito invece per portare acqua al mulino della destra estrema anti-immigrazione ed anti Unione europea (che difatti sta dilagando in tutti i Paesi dell'Unione europea), consentendole di affermare, purtroppo sulla base di numerosi elementi di evidenza pubblica;
    l'Unione europea e i Governi a guida di sinistra o centro sinistra in Europa «preferiscono» lavorare più per l'integrazione dei musulmani, che per tutelare la libertà delle donne europee;
    il processo di integrazione con l'Islam in realtà nasconde, anche per il crescente peso demografico dei musulmani, un progressivo piegarsi, sino all'assoggettamento, della cultura di libertà occidentale, dove la libertà delle donne sarà progressivamente ridotta, nel livello e negli spazi di agibilità (come peraltro già avvenuto al blindatissimo Carnevale di Colonia), e poi perduta;
    è fondamentale dimostrare che non è così, anche per evitare possibili derive autoritarie e xenofobe, nonché i rischi di un ritorno ad un triste passato. È fondamentale porre in essere le decisioni politiche, di legge e di contrasto, necessarie a tutelare le donne e la loro libertà, che è un valore assoluto, dalla violenza e dai tentativi di oppressione. È fondamentale dare veste legale all'assunto che chi non riconosce la parità e la libertà delle donne non può essere integrato,

impegna il Governo:

   in linea con gli impegni formulati nella mozione contro la violenza alle donne approvata nel giugno 2013, ad adoperarsi per fare dell'Italia un punto di riferimento per quanto attiene alle piena applicazione delle pari opportunità in tutti gli ambienti sociali e professionali;
   a rafforzare e dare veste legale ai contenuti della Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione emanata dal Ministro dell'interno Amato 2006 assumendo iniziative per:
    a) attivare programmi di formazione-informazione nei confronti delle persone che giungono nel nostro Paese, uomini e donne, e che hanno alle spalle culture e consuetudini diverse dalle nostre, soprattutto in tema di diritti civili e in particolare di diritti delle donne;
    b) garantire alle donne immigrate spazi e tempi adeguati per una formazione umana e professionale che consenta loro di inserirsi positivamente nel contesto sociale in modo da raggiungere una propria autonomia anche sul piano economico;
    c) assicurare alle donne immigrate luoghi concreti a cui poter accedere per conoscere i loro diritti, per comprendere meglio le loro responsabilità e per denunciare i torti di cui sono vittime;
    d) introdurre la sottoscrizione da parte di coloro che vengono da Paesi extraeuropei, di una carta dei diritti e dei doveri quale atto necessario per avviare il processo di integrazione, di riconoscimento della condizione di profugo, di richiesta di cittadinanza, di stabilimento nel Paese;
    e) prendere gli opportuni contatti con i rappresentati delle comunità straniere in Italia, al fine di ottenere la sottoscrizione della Carta;
   a valutare la possibilità di promuovere in sede comunitaria l'emanazione di norme che consentano l'allontanamento immediato dall'Unione degli stranieri che commettono violenza contro le donne o la perdita della qualifica di profugo o del titolo di soggiorno;
   ad assicurare un'elevata priorità alla lotta contro tutte le forme di violenza e di discriminazione nei riguardi delle donne: dallo sfruttamento della prostituzione, alla tratta delle donne, dai matrimoni con le spose bambine alle mutilazioni genitali;
   ad assumere iniziative per privilegiare, nelle procedure per l'accesso al nostro Paese, come già accade in alcuni Stati occidentali, le famiglie, le donne, i bambini e gli anziani che sfuggono non solo alle guerre, ma anche alla persecuzione religiosa;
   a rafforzare tutte le misure, compresi i presidi di polizia, che garantiscano alle donne la loro sicurezza, con particolare attenzione ad alcuni luoghi e ad alcune fasce orarie;
   ad assicurare una tempestiva informazione all'opinione pubblica italiana sulle condizioni e sui modi in cui si può favorire una sana integrazione, rispettosa dei diritti di tutti, aperta all'accoglienza e al confronto.
(1-01254)
«Binetti, Bosco, Buttiglione, Calabrò».
(9 maggio 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER PREVENIRE E CONTRASTARE IL FENOMENO DEL BULLISMO

   La Camera,
   premesso che:
    la cronaca recente è contraddistinta da ripetuti episodi di bullismo nel nostro Paese, che spesso connotano le relazioni tra ragazzi più e meno giovani. Casi in cui, nelle scuole o in ambienti frequentati da giovani, si verificano vessazioni e violenze (fisiche, verbali e psicologiche) ai danni dei più deboli o semplicemente di «categorie» percepite come «diverse», sono all'ordine del giorno;
    l'ultimo rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla salute e il benessere dei ragazzini di 11, 13 e 15 anni certifica che il 2 per cento delle ragazze e il 3 per cento dei ragazzi riferisce di aver subito atti di bullismo nella sua vita;
    molto più diffuso il fenomeno del cyber-bullismo. Secondo una ricerca del Censis e della polizia postale in metà delle scuole italiane prese in esame sono avvenuti atti di bullismo attraverso la rete, nonché tentativi di adescamento da parte degli adulti, vessazioni, minacce, invio di foto o video a contenuto sessuale;
    sia l'Organizzazione mondiale della sanità che il Censis certificano l'impotenza dei genitori, incapaci di difendere i loro figli dalle minacce e dai rischi reali e della rete;
    anche in Italia si registrano costantemente gravi episodi di bullismo, come testimoniano le cronache degli ultimi mesi. Qualche esempio:
     a) a Torino un quindicenne del Canavese ha vissuto un incubo lungo 3 mesi, finendo in depressione. Perseguitato da un gruppo di bulletti, il ragazzo era costretto a pagarli di volta in volta e, se non lo avesse fatto, sarebbe stato sistematicamente picchiato, 500 euro a settimana la richiesta folle, denaro che il ragazzino doveva sfilare ai genitori. «Se non puoi pagare la rata dovrai spacciare hashish per noi», 2 settimane fa; dopo 3 mesi, il ragazzo si è rivolto ai genitori e con loro ai carabinieri, che hanno arrestato due studenti minorenni, tutti della scuola superiore di Caluso;
     b) in Brianza, in un tremendo video, visibile su tutti i social dal febbraio 2016, si vede una banda di ragazzini, molto probabilmente di origine straniera, nel comune di Mezzago (Monza e Brianza), mentre pesta con violenza inaudita un coetaneo. Nessuno degli altri adolescenti interviene. Ci prova un residente di mezza età, ma viene, a sua volta, insultato e minacciato;
     c) a Lecce, in un paesino (Galatone) del Salento, l'11 febbraio 2016, un dodicenne è stato costretto dai suoi compagni a stendersi sui binari ferroviari e ad essere colpito da piombini di gomma sparati da un fucile ad aria compressa;
     d) a Pordenone nel mese di gennaio 2016 una ragazzina di 12 anni si è gettata dal balcone per colpa degli scherzi dei compagni di classe, lasciando una lettera: «Adesso sarete contenti». Il gesto è il risultato di mesi di bullismo perpetrato nei suoi confronti dai suoi compagni di classe;
    a questi episodi si devono aggiungere i dati allarmanti sui fenomeni crescenti legati a condotte vessatorie nei confronti di giovani, come il cyber-bullismo ed altri usi impropri di strumenti di comunicazione;
    si tratta di una situazione che rende evidente l'inadeguatezza degli attuali strumenti di monitoraggio e di contrasto ad un fenomeno devastante che produce danni irreversibili nei confronti delle giovani vittime,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa volta a prevenire, ridurre e reprimere con fermezza episodi di bullismo anche attraverso azioni tese a:
    a) sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema del bullismo;
    b) realizzare progetti formativi, in collaborazione con enti ed associazioni, che facilitino la prevenzione di atti di bullismo e l'individuazione dei colpevoli;
    c) introdurre, nel sistema nazionale educativo di istruzione, attività didattiche volte alla prevenzione e alla conoscenza del fenomeno del bullismo, anche nelle sue manifestazioni più recenti;
    d) promuovere attività di aggiornamento e formazione dei docenti e l'attivazione presso le scuole di punti di ascolto deputati ad intercettare ed offrire assistenza personale a studenti vittime di episodi di violenza e bullismo, attraverso misure di prevenzione, consulenza e tutela;
    e) introdurre un sistema sanzionatorio nei confronti di quanti, istituzionalmente deputati alla vigilanza e tutela dei minori, omettano di denunciare o comunque consentano fenomeni di bullismo;
    f) introdurre percorsi rieducativi obbligatori nei confronti di quanti si rendano responsabili di atti di bullismo.
(1-01205)
«De Girolamo, Occhiuto, Gullo, Palmieri».
(31 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    con il termine «Bullismo» si definiscono quei comportamenti offensivi e/o aggressivi che un singolo individuo o più persone mettono in atto, ripetutamente nel corso del tempo, ai danni di una o più persone con lo scopo di esercitare un potere o un dominio sulla vittima;
    il bullo è a persona che usa violenza psicologica o fisica, ma anche se a livello comportamentale esprime una forza, mostra, in realtà, tutta la debolezza di soggetto che cerca di attirare l'attenzione su di sé perché vive un disagio o lo subisce, magari in famiglia;
    essere vittima di bullismo crea problemi nei soggetti più deboli, che si sentono inadeguati, esclusi dal gruppo e perfino in colpa;
    da qualche anno, la diffusione dei supporti informatici ha fatto riscontrare anche casi di cyber-bullismo o bullismo elettronico;
    il bullismo è, in sintesi, comportamento che nuoce alla società, rappresenta una minaccia per il suo naturale sviluppo, alimenta l'aggressività e la criminalità, comportamenti, questi, che un Paese civile e, soprattutto moderno non può e non deve tollerare;
    il bullismo non può essere circoscritto a nessuna categoria né sociale, né anagrafica;
   esso è una prevacazione spesso legata all'affermazione di una superiorità dovuta all'età, alla forza fisica o al sesso e può nascondere disagio conseguente a una discriminazione religiosa o a diversità etnica o di genere;
    alcune indagini condotte nelle scuole superiori italiane hanno evidenziato che un ragazzo su due subisce episodi di violenza verbale, psicologica e fisica e terzo è vittima ricorrente di abusi; le prepotenze sono perlopiù verbali e psicologiche rispetto a quelle fisiche; il 42 per cento dei ragazzi ammette di essere stato preso in giro, il 30 per cento ha subito offese, circa il 24 per cento è stato vittima di calunnie, l'11 per cento dichiara di essere stato minacciato;
   la risposta migliore al bullismo è la cultura del rispetto; ricerche sul fenomeno, infatti, hanno dimostrato che se la scuola riesce a far sentire integrato e rispettato ogni studente, i fenomeni di prevaricazione violenta e della sottomissione alla violenza diminuiscono in modo evidente;
    in questi anni lo sport si è rivelato un interessante mezzo di contrasto al fenomeno del bullismo e della violenza in generale, con i suoi valori positivi, tanto che più volte si sono schierati per combattere questo fenomeno, Coni, Figc e campioni di diverse discipline;
    come lo sport, la scuola è un luogo di competizione dove si impara anche a perdere, perché la sconfitta non è un fallimento, ma è sempre e comunque un momento per crescere, per migliorare ripensando se stessi;
    il bullismo è un problema serio e diffuso che coinvolge scuola, famiglia, organizzazioni giovanili e contesto sociale; un atto di bullismo non va confuso con un banale «scherzo fra ragazzi», ma va punito perché è un atto di inciviltà ma, soprattutto, non va taciuto perché il silenzio non aiuta né vittima, né persecutore, entrambi, comunque, bisognosi di aiuto;
    sono molti i siti internet, i numeri attivi, le iniziative di comuni che puntano a combattere il fenomeno del bullismo e sono altrettante le segnalazioni di disservizi da parte di famiglie che chiedono informazioni e aiuto senza riuscire a contattare personale qualificato; anche la polizia di Stato e i Carabinieri hanno sui loro siti internet pagine dedicate al bullismo con descrizioni, consigli e numeri a cui rivolgersi;
    un grande ruolo possono assumere i media nel contrasto al bullismo se solo si provasse a fare una maggiore e più corretta informazione sul problema, se si promuovesse l'utilizzo di un linguaggio appropriato e rispettoso di gerarchie, ruoli, regole, se si attivassero controlli per evitare il turpiloquio che spesso ricorre in alcuni programmi televisivi e che è diseducativo, se si contrastasse l'esasperata violenza che caratterizza alcuni giochi elettronici che dovrebbe essere denunciata e vietata soprattutto in alcune fasce di età;
    alcuni episodi recenti ai quali ha dato risalto la cronaca portano a pensare che il bullismo è più diffuso di quanto non si sia immaginato finora e necessita di azioni di repressione che nascano da sinergie fra famiglie, scuola, istituzioni, media, affinché si possa evitare di annoverare anche questo disagio fra le malattie sociali da affrontare,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni iniziativa di competenza volta a contrastare il fenomeno del bullismo, a favorire una crescita equilibrata di bambini e adolescenti e ad ostacolare ogni forma di prevaricazione che deve essere punita e stigmatizzata;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative rivolte alle famiglie e alle scuole per contrastare, in particolare, il fenomeno del cyber-bullismo, considerato che le stesse da sole non riescono a fronteggiare i rischi che presenta il web in materia e che rendono vulnerabili i ragazzi che vi accedono;
   ad attivare percorsi per formare adeguatamente gli insegnanti, affinché possano cogliere tempestivamente i disagi delle vittime e bloccare tutte le forme di bullismo, e a promuovere campagne di informazione sui rischi derivanti da un uso poco consapevole di internet e dai giochi elettronici cruenti, che possono contribuire a determinare violenze gratuite verso i soggetti deboli.
(1-01252) «Vezzali, Monchiero».
(9 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del bullismo – ovvero quei comportamenti e quegli atti offensivi o aggressivi che una o più persone mettono in atto ai danni di una o più persone per umiliarle, marginalizzarle, o ridicolizzarle – è in continua evoluzione; tanto più che, attraverso le nuove tecnologie che permettono agli aggressori di insinuarsi continuamente nella vita altrui e con pervasività sempre maggiore, si sono moltiplicati i mezzi mediante i quali vengono perpetrate prepotenze o soprusi. Il termine «bullismo» è stato utilizzato per la prima volta in una norma di rango legislativo nel 2012: in particolare nell'articolo 50 del decreto-legge n. 5/2012 convertito dalla legge n. 35 del 2012, laddove si parla di integrazione degli alunni diversamente abili, di prevenzione dell'abbandono e di contrasto dell'insuccesso scolastico e formativo, specie per le aree di massima corrispondenza tra povertà e dispersione scolastica. Il nostro ordinamento però non prevede allo stato attuale disposizioni specifiche per prevenire e contrastare lo specifico fenomeno del bullismo, specie nella sua forma informatica. Pertanto si pone come improcrastinabile un intervento normativo finalizzato a delineare una cornice normativa ben definita per la tutela e la salvaguardia dei minori;
    negli ultimi anni infatti è cresciuta in modo costante l'attenzione dei media e della società nei confronti del fenomeno del bullismo a scuola. In Italia, lo studio di questa tematica risale agli anni ’90, quando un gruppo di ricercatori dell'università di Firenze ha effettuato un'indagine nazionale sul fenomeno del bullismo a scuola rilevando una situazione di una certa gravità;
    il ripetersi di atti di bullismo, sulla base di quell'indagine, risultò maggiore rispetto ad altri Paesi europei. Il fenomeno si presentava con alcune caratteristiche peculiari, soprattutto come aggressività verbale: era diffuso tra i più piccoli e tendeva a decrescere man mano che si proseguiva nelle classi superiori;
    a rendere ancora più allarmante il fenomeno è che gli atti sono compiuti, nella maggior parte dei casi negli ambienti di prossimità in cui vivono i ragazzi e gli stessi bambini: la scuola, gli ambienti sportivi e i luoghi in cui abitualmente i bambini giocano. Perché si possa parlare di bullismo è necessario che gli atti di prepotenza, le molestie o le aggressioni siano intenzionali, messi in atto dal bullo (o dai bulli) per provocare un danno alla vittima; le azioni dei bulli debbono durare nel tempo, per settimane, mesi o anni e ci deve essere una evidente asimmetria nella relazione, cioè uno squilibrio di potere tra chi compie l'azione e chi la subisce, per ragioni di età, di forza, di genere e per la popolarità che il bullo ha nel gruppo di suoi coetanei; ciò che conta è che la vittima non è in grado di difendersi, è isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo perché teme vendette. Per questo nella prevenzione occorre coinvolgere i minorenni, le loro famiglie, le scuole e le diverse realtà educative (sportive, parrocchiali, associazioni);
    il bullismo informatico negli ultimi anni ha avuto una crescita esponenziale tra i ragazzi in quanto messo facilmente in atto attraverso mezzi elettronici di cui la maggior parte dei minori dispone fin da un'età molto precoce, ossia telefoni cellulari, blog, social network e posta elettronica. Come nel bullismo tradizionale, il prevaricatore prende di mira chi è ritenuto «diverso», che diviene vittima per un qualsiasi tipo di discriminazione che va dall'aspetto fisico, al modo in cui si presenta, per esempio con un abbigliamento non convenzionale, e altro;
    oggi come oggi si va allargando la percezione della responsabilità che coinvolge non solo chi commette il fatto, ma anche la rete dei fiancheggiatori e perfino quella dei semplici spettatori che assistono senza intervenire positivamente a porre un freno e se possibile uno stop alla violenza che si sta perpetrando;
    una ricerca di Save the Children, svolta in collaborazione con l'Ipsos, ha messo in evidenza proprio che 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo verso coetanei, percepiti «diversi» per aspetto fisico (67 per cento), per orientamento sessuale (56 per cento) o perché stranieri (43 per cento). Sebbene i dati forniti siano basati su racconti ricevuti e pareri personali degli intervistati, il 33 per cento degli adolescenti ritiene che sia diffuso, fra gli amici, fornire il proprio numero di cellulare a un soggetto conosciuto su internet, o avere con questo un incontro di persona (28 per cento). Il 22 per cento dei ragazzi intervistati ritiene frequente l'invio di immagini o video di conoscenti nudi o seminudi, ovvero l'attivazione della webcam, per mostrarsi seminudi o nudi al fine di ricevere regali, il 19 per cento, con conseguenze tristemente note. Le conseguenze che, spesso, configurano veri e propri atti persecutori, sono l'immediato isolamento della vittima con conseguenti danni psicologici che nei casi più gravi spingono a gesti estremi, come il suicidio;
    sono stati infatti soprattutto alcuni gravi episodi di cronaca, in particolare alcuni suicidi avvenuti nell'ambito studentesco, a far emergere questo fenomeno. Recentemente, il bullismo si è manifestato e continua a manifestarsi anche attraverso l'uso della rete internet; spesso i molestatori, soprattutto se giovanissimi, non hanno piena coscienza delle conseguenze dei loro atti persecutori e di quanto ciò possa nuocere al coetaneo, in troppi casi irreparabilmente;
   sulla definizione e le forme del fenomeno nel nostro Paese è necessario sottolineare come la Fondazione Censis, su incarico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha svolto nel 2008 la «Prima indagine nazionale sul bullismo». Ricerche più recenti sono state condotte da singoli studiosi e sono state presentate nel 2010, nel 2012 e, per gli Stati Uniti, nel 2014; secondo il Censis, il 22,3 per cento delle famiglie denuncia frequenti atti di bullismo nelle classi frequentate dai figli; il 27,6 per cento episodi isolati, mentre il 50,1 per cento non rileva il problema. Nella maggioranza dei casi i genitori segnalano offese ripetute ai danni del proprio figlio;
    recentemente, sul fronte del contrasto alla lotta al bullismo ed al cyber-bullismo, il Governo, rispondendo all'interrogazione n. 5-02483 presentata dalle prime firmatarie del presente atto, ha ricordato che sono stati messi a disposizione delle istituzioni scolastiche, delle famiglie e delle vittime del fenomeno una serie di strumenti, ad iniziare dalla direttiva n. 16 del 5 febbraio 2007;
    tra le iniziative già intraprese per contrastare il bullismo è necessario ricordare: l'istituzione di un numero verde riservato a genitori e studenti per la segnalazione dei casi, richieste di informazioni e consigli; una nuova versione aggiornata del sito internet «smontailbullo.it», che si occupa di inquadrare il fenomeno da un punto di vista psico-sociologico e culturale fornendo suggerimenti per fronteggiarlo e infine gli osservatori regionali permanenti sul bullismo, attivi presso gli uffici scolastici regionali;
    rispetto al tema del cyber-bullismo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha promosso e sostenuto azioni volte al contrasto di tale fenomeno nel Piano nazionale denominato «Più scuola meno mafia» realizzando, a partire dal 2010, una serie di iniziative e progetti volti a contrastare tale fenomeno attraverso il sostegno psicologico alle vittime e l'informazione e la formazione degli studenti e delle famiglie sull'uso ed abuso della rete informatica;
    recentemente, il suddetto Ministero ha promosso il progetto «Safer Internet-Generazioni Connesse» per un uso consapevole di internet e dei new media. Il Ministero, inoltre, ha realizzato il già citato portale «smontailbullo.it» e il portale «Urp Social» tematico, nel quale vengono offerte alle scuole opportunità di approfondimento e di orientamento rispetto a questo fenomeno sociale, sempre più diffuso;
    nell'ottica del processo di innovazione della didattica educativa e della formazione, lo stesso Ministero ha realizzato due social network rivolti ai ragazzi under 13 e 14, che possono così comunicare e socializzare le proprie esperienze ed emozioni nel quadro delle regole sulla sicurezza informatica e delle norme sulla privacy;
    è altresì necessario sottolineare come presso la commissione giustizia della Camera dei deputati si stanno discutendo progetti di legge d'iniziativa parlamentare diretti a: a) definire gli atti di bullismo e di bullismo informatico; b) prevedere specifiche sanzioni penali (reclusione da sei mesi a quattro anni) per coloro che compiono atti di bullismo; c) disciplinare il risarcimento dei danni causati alle strutture scolastiche; d) regolare le attività del dirigente scolastico che venga a conoscenza delle attività di bullismo;
    l'Unione europea ha sviluppato strumenti di contrasto al fenomeno del cyber-bullismo con particolare riguardo alle politiche di protezione dei minori in attuazione dell'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali. Va ricordato anche il Programma per i diritti dei minori del febbraio 2011, che include, tra le sue azioni, il sostegno agli Stati membri e alle altre parti interessate al potenziamento della prevenzione, della responsabilizzazione e della partecipazione dei minori al fine del contrasto del cyber-bullismo. Questa azione si realizza con il programma Safer Internet e mediante la cooperazione con l'industria attraverso iniziative di autoregolamentazione;
    un obiettivo on line sicuro per i minori rientra tra gli obiettivi dell'Agenda digitale per l'Europa. Si segnala in particolare la comunicazione del maggio 2012 «Strategia europea per un'internet migliore per i ragazzi» che prevede, tra l'altro, raccomandazioni agli Stati membri ed agli operatori del settore volte ad instaurare meccanismi affidabili di segnalazione dei contenuti e dei contatti dannosi per i ragazzi. In tale quadro, deve ricordarsi l'autoregolamentazione europea nell'ambito della CEO Coalition che prevede, tra l'altro, meccanismi di segnalazione degli abusi, strumenti di classificazione dei contenuti e misure per la rimozione degli stessi;
    è, quindi, fondamentale contrastare ed intensificare ulteriormente la lotta contro il fenomeno del bullismo e del bullismo informatico attraverso misure dirette a prevenire e reprimere tale fenomeno che sta drammaticamente sviluppandosi nel nostro Paese,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, oltre a quelle già attivate, volte a contrastare il fenomeno del bullismo e soprattutto del cyber-bullismo mediante l'adozione di campagne informative dirette a rendere consapevole e, quindi, a sensibilizzare l'opinione pubblica ed in particolare le famiglie circa la gravità di tale fenomeno;
   ad avviare corsi di formazione dei docenti nelle scuole sul tema del bullismo al fine di prevenire tale fenomeno e comunque di intervenire tempestivamente per porvi un limite; favorire, per quanto di competenza, un rapido iter dei progetti di legge sul contrasto al bullismo e al cyber-bullismo;
   ad assumere iniziative per informare, sensibilizzare e responsabilizzare i minori in merito alle forme di violenza e di prevaricazione di cui possono essere oggetto in modo da aiutarli a parlarne in famiglia o a scuola, per ridurre i rischi e le conseguenze di tali comportamenti;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre nelle scuole la figura dello psicologo, o per lo meno di uno sportello psicologico, che sia di sostegno ai docenti, alle famiglie ed ai minori nella soluzione dei loro problemi e delle loro difficoltà in modo da prevenire eventuali fenomeni di bullismo, anche attraverso interventi efficaci e tempestivi;
   ad adottare iniziative dirette a sensibilizzare i minori circa i rischi ed i rilevanti pericoli della rete internet al fine di un corretto utilizzo degli strumenti informatici.
(1-01255) «Binetti, Calabrò, Bosco».
(9 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    a partire dagli anni ‘70, nell'ambito delle scienze psico-sociali sono stati studiati comportamenti aggressivi intenzionali, spesso ripetuti nel corso del tempo, ad opera di uno o più pari, contro un individuo o un gruppo. Tali comportamenti realizzati da bambini o da adolescenti sono raggruppati sotto il termine di «bullismo» e includono atteggiamenti antisociali come colpire, dare calci e pugni, prendere in giro o insultare, ma anche atti intimidatori indiretti, come il pettegolezzo, l'isolamento sociale e la distruzione, il furto o la perdita di oggetti delle vittime;
    la lotta bullismo è al centro dell'attività di tante istituzioni anche a livello internazionale. L'Unesco in un manuale per insegnanti del 2009, scrive che «chi è vittima di bullismo è più probabile che, rispetto ai compagni, sia depresso, si senta solo o ansioso e abbia una bassa stima di sé. I bulli di solito, mettono in atto comportamenti aggressivi per gestire situazioni in cui si sentono ansiosi, frustrati, umiliati o derisi dagli altri». Il bullismo può portare, in alcuni casi, anche a scelte estreme;
    la vittimizzazione, fisica o psicologica, può essere dovuta all'ignoranza, alla paura, all'odio o ai pregiudizi e può essere rafforzata dalle norme culturali, dalla pressione dei pari e in alcuni casi dal desiderio di vendetta nei confronti di una specifica persona. Le vittime possono essere persone incapaci di difendersi o considerate differenti a causa della loro provenienza etnica o culturale, del colore della pelle, della disabilità o perché non mostrano quelle caratteristiche che la cultura attribuisce in modo stereotipato alla mascolinità o alla femminilità, colpendo persone omosessuali, trans o ritenute tali pur non essendolo;
    il bullismo è visto come una modalità di relazione che si svolge tra due persone, una nel ruolo del bullo e l'altra in quello della vittima, anche se molte ricerche mostrano come il bullismo spesso coinvolga non tanto singoli individui quanto gruppi interi di ragazzi o studenti, ma in realtà affonda le sue radici nel contesto sociale dei bambini e degli adolescenti e nelle aspettative sociali che spingono questi giovani a conformarsi a certi atteggiamenti attesi e condivisi;
    un altro fattore importante menzionato da molte ricerche è l'importanza del ruolo di chi assiste agli atti di bullismo, anche se solo alcuni hanno osservato a fondo questa dinamica. Ad esempio, alcune ricerche hanno messo in evidenza che nei contesti scolastici gli studenti che si dichiaravano spettatori di fenomeni di bullismo, erano di volta in volta assistenti che aiutavano attivamente i bulli; sostenitori che li incoraggiavano; esterni che si chiamavano fuori e osservavano a distanza; difensori che intervenivano per proteggere le vittime;
    il bullismo è un processo sociale complesso essendo un comportamento aggressivo riconosciuto come diverso da ogni altra forma di violenza. La frequenza e la gravità di questo comportamento può variare a seconda delle situazioni ed è stato evidenziato dalle ricerche che studenti che mostrano lo stesso livello di aggressività tendono a coalizzarsi tra di loro, con conseguente aumento dell'intensità del loro comportamento nel corso del tempo, anche grazie al rinforzo ricevuto dai pari;
    i risultati delle ricerche condotte in Italia e all'estero dimostrano che il bullismo è parte integrante della quotidianità della maggioranza degli studenti presi in considerazione, i quali possono essere bulli o vittime, ma è stata osservata in percentuali non indifferenti anche la condizione di chi ricopre entrambi i ruoli a seconda delle circostanze;
    la diffusione di computer, internet, cellulari e altri strumenti di comunicazione elettronica ha portato con sé anche la diffusione del cyberbullismo e la tecnologia è diventata la nuova alleata di quei bulli che utilizzano telefono, e-mail, messaggi, siti web, bacheche elettroniche e newsgroup come strumenti per aggredire le loro vittime;
    secondo la recente ricerca Istat «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» (diffusa a dicembre 2015 su dati relativi al 2014) più del 50 per cento degli intervistati 11-17enni ha dichiarato di essere rimasto vittima, nei 12 mesi precedenti l'intervista, di un qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento. Una percentuale significativa, pari al 19,8 per cento, dichiara di aver subìto azioni tipiche di bullismo una o più volte al mese. Per quasi la metà di questi (9,1 per cento), si tratta di una ripetizione degli atti decisamente asfissiante, una o più volte a settimana. Speso due diversi tipi di prepotenze riguardano una stessa persona: circa il 72 per cento di quanti hanno lamentato azioni diffamatore e/o di esclusione sono stati vittima anche di offese e/o minacce. Le ragazze presentano una percentuale di vittimizzazione superiore rispetto ai ragazzi;
    tra le molteplici azioni attraverso cui il bullismo si manifesta, la ricerca ha rilevato che quella più comune è l'uso di espressioni offensive: il 12,1 per cento delle vittime dichiara di essere stato ripetutamente offeso con soprannomi offensivi, parolacce o insulti; il 6,3 per cento lamenta offese legate all'aspetto fisico e/o al modo di parlare. Più contenuta la quota di quanti dichiarano di aver subìto azioni diffamatorie (5,1 per cento) e di esclusione dovuta alle proprie opinioni (4,7 per cento). Non mancano le violenze fisiche: il 3,8 per cento degli 11-17enni è stato colpito con spintoni, botte, calci e pugni da parte di altri ragazzi/adolescenti;
    secondo una indagine condotta nel 2016 da Sos Il Telefono Azzurro e DoxaKids, in Italia un adolescente su cinque subisce episodi di bullismo, da parte dei suoi coetanei, in quasi l'80 per cento dei casi a scuola, mentre il 10 per cento lo subisce online e sui social network;
    varie ricerche hanno osservato il legame esistente tra bullismo e disturbi alimentari, che colpisce non solo la vittima, ma anche il bullo. Uno studio dell'università della North Carolina, condotto su 1420 bambini e pubblicato sull’International Journal of Eating Disorders a novembre 2015, ha rilevato che i bulli hanno un rischio doppio di comportamenti bulimici, come l'abbuffarsi o sottoporsi a purghe rispetto agli altri bambini non vittime di bullismo. I ricercatori nella loro indagine hanno analizzato le interviste raccolte nel database del Great Smoky Mountains Study, con oltre 20 anni di informazioni su partecipanti seguiti dai 9 ai 16 anni. In questo modo hanno visto che le vittime di abusi da parte di coetanei hanno un rischio doppio di disturbi alimentari, in particolare di anoressia (11,2 per cento rispetto al 5,6 per cento dei coetanei non bullizzati) e bulimia (27,9 per cento contro il 17,6 per cento) rispetto a chi non ha subito episodi di bullismo. Valori che crescono nei bambini che sono stati sia bulli che vittime (22,8 per cento di anoressia contro il 5,6 per cento degli altri, 4,8 per cento di abbuffate contro l'1 per cento), e ancora di più nei bulli, dove il 30,8 per cento mostra sintomi di bulimia contro il 17,6 per cento dei bambini non coinvolti nel bullismo;
    i risultati di 11 studi pubblicati dal 1989 al 2003 dimostrano che gli alunni con disabilità, sia visibili che invisibili, sono vittime di bullismo più frequentemente dei coetanei non disabili, e i ragazzi disabili sono oggetto di prepotenze più spesso rispetto alle ragazze disabili (Carter e Spencer, 2006). La ricerca, peraltro limitata, sulla relazione tra bullismo e necessità educative speciali si è inserita maggiormente nell'ambito delle disabilità visibili, mentre poche ricerche sono state effettuate sull'associazione tra bullismo e disabilità invisibili, tra i quali i disturbi dell'apprendimento. Ma i pochi studi effettuati sono concordi nell'affermare che avere una disabilità, come un disturbo dell'apprendimento, rende gli studenti maggiormente a rischio di subire forme di bullismo;
    a tal proposito, va segnalato che, nonostante l'Italia abbia ratificato e dato esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità fin dal 2009, ad essa non è stata data piena e completa attuazione e ciò produce effetti negativi anche sulle persone con disabilità vittime di bullismo. Dell'inadeguatezza della legislazione italiana, si dà dato atto nel primo rapporto dettagliato sulle misure prese per rendere efficaci gli obblighi assunti dall'Italia in virtù della Convenzione e sui progressi conseguiti al riguardo, che l'Italia ha presentato all'ONU a novembre 2012. Ad oggi, la principale fonte normativa italiana che si occupa di persone con disabilità (legge 5 febbraio 1992, n. 104) rimane centrata sulla nozione di persona handicappata, superata anche dal punto di vista linguistico, che come scritto nel rapporto: «pone l'accento sulle limitazioni delle facoltà (minorazioni) e lo svantaggio sociale che ne deriva (handicap), dunque sugli elementi che condizionano in negativo la vita della persona con disabilità. Nella legge manca, quindi, un riferimento all'ambiente in cui la “persona con disabilità” vive ed interagisce, in rapporto al quale le “menomazioni” devono essere valutate. L'automatismo secondo cui l'handicap è conseguenza della minorazione è un aspetto potenzialmente critico e superato dalle visioni più recenti della condizione di disabilità»;
    anche se dalle ricerche a livello internazionale emerge che tra gli atti di bullismo gli insulti razzisti sono più diffusi, in ambito scolastico è stato osservato che gli studenti riferiscono di sentirsi feriti piuttosto da offese che chiamano in causa la loro «sessualità» che da insulti legati alla loro razza o etnia, alle credenze religiose o al diverso bagaglio culturale;
    la maggiore sensibilità mostrata dai giovani verso gli insulti con una connotazione sessuale dipende dal fatto che questi epiteti costituiscono un attacco diretto all'identità dell'individuo, invece che al suo background razziale, culturale o religioso. Ricerche condotte in scuole inglesi, ma la realtà non è differente in Italia, hanno mostrato che epiteti a sfondo sessuale, in particolare quelli che mettono in dubbio la virilità, continuano a essere frequenti nei contesti scolastici e sono scambiati soprattutto tra i maschi;
    sul piano socio-politico, numerosi studi qualitativi e quantitativi condotti sempre in diversi Paesi hanno messo in evidenza che il ruolo della scuola continua ad essere quello di un «fattore di mascolinizzazione», cioè un veicolo di promozione di una serie di valori e ideali (maschili) che devono prevalere sugli altri e tutto ciò che non è maschile ed eterosessuale è automaticamente considerato come debole;
    esiste ancora un problema di poca considerazione della popolazione studentesca femminile. Questo non indica, come spiegano ad esempio alcuni autori inglesi (Mac e Ghaill), una scelta intenzionale del corpo docente, ma un problema endemico di un sistema educativo mirato a promuovere una visione tradizionalista dei ruoli di genere. Tali atteggiamenti e convinzioni di stampo conservatore sono rafforzati non solo tra generi, ma anche all'interno dello stesso genere. I ragazzi che non corrispondono agli stereotipi, ad esempio, si espongono al rischio di essere aggrediti dai coetanei in quanto non soddisfano le aspettative legate al loro ruolo di genere;
    il tema della decostruzione critica dei modelli sociali dominanti tuttora alla base delle relazioni tra i sessi è centrale nella lotta al bullismo. Esso di recente è entrato anche nella Convenzione di Istanbul, ratificata da parte dell'Italia, che ha riaperto nelle sedi istituzionali il dibattito sul fenomeno della violenza sulle donne. Come prevede esplicitamente il III capitolo della Convenzione i Paesi aderenti devono adottare politiche di prevenzione tra le quali un ruolo fondamentale è affidato ad interventi che accompagnino i percorsi scolastici delle ragazze e dei ragazzi, per promuovere cambiamenti nei modelli di comportamento socio-culturali per sradicare i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull'idea dell'inferiorità della donna o su ruoli stereotipati per donne e uomini. In particolare, si invitano «le Parti [ad intraprendere] le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi». L'invito è a promuovere tali azioni anche nelle strutture di istruzione non formale, nonché nei centri sportivi, culturali e di svago e nei mass media;
    programmare e sostenere interventi strutturali, soprattutto a scuola, che contrastino e prevengano il bullismo è fondamentale, ma nessun intervento può raggiungere l'obiettivo se ci si limita al momento repressivo, ignorando la conoscenza dei fenomeni sottostanti e i documenti internazionali che chiedono un impegno nella direzione di decostruire stereotipi e pregiudizi;
    tra gli interventi che – soprattutto nella scuola – occorre mettere in campo per contrastare il bullismo, deve esserci quello dell'ascolto da parte degli insegnanti. Su questo è necessario investire per offrire al personale docente gli strumenti e l'aggiornamento necessario a sviluppare o rafforzare le capacità di ascolto dei bisogni degli studenti e delle studentesse;
    la recente indagine ISTAT, già citata, contiene dati che non possono essere ignorati relativamente ai diversi contesti socio-educativi in cui i ragazzi si muovono. L'ambito familiare di appartenenza, il rapporto con il gruppo dei pari e il percorso scolastico intrapreso rappresentano elementi rilevanti del vivere quotidiano che incidono sui comportamenti e il modo di relazionarsi dei giovanissimi;
    guardando al tipo e al livello di formazione scolastica, è possibile distinguere particolari ambiti dove le azioni di bullismo sono più ricorrenti. Le quote di vittime sono più alte tra i ragazzi 11-13enni che frequentano la scuola secondaria di primo grado. Quelle che in passato si chiamavano «scuole medie» si presentano come l'anello debole del sistema dell'istruzione;
    la percentuale di vittimizzazione varia a seconda delle caratteristiche delle famiglie in cui vivono gli 11-17enni. Il 12,2 per cento di quanti vivono in famiglie poco numerose (meno di quattro persone) dichiara di aver ricevuto prepotenze, con cadenza più che settimanale, mentre nelle famiglie in cui sono presenti più fratelli/sorelle risulta relativamente meno consistente la percentuale di ragazzi/adolescenti rimasti vittima di azioni di bullismo;
    il 23,6 per cento degli 11-17enni che si vedono raramente con gli amici è rimasto vittima di prepotenze una o più volte al mese, contro il 18 per cento riscontrato tra chi incontra gli amici quotidianamente,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per avviare la modifica e l'integrazione dei piani di studio delle scuole e dei programmi degli insegnamenti del primo e del secondo ciclo, in coerenza con gli obiettivi generali del processo formativo di ciascun ciclo e nel rispetto dell'autonomia scolastica, al fine di garantire — come richiesto dall'articolo 14 della Convenzione di Istanbul – l'inclusione di materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi;
   ad assumere iniziative per finanziare, mediante lo stanziamento di adeguate risorse, un piano di formazione per insegnanti di ogni ordine e grado, ma in particolare nella scuola secondaria di primo grado, per lo sviluppo di capacità di ascolto degli studenti, mediante l'adozione di tecniche di « empowerment» delle relazioni, della valorizzazione degli studenti, della pedagogia e della didattica;
   a contrastare il bullismo nei confronti delle persone con disabilità dando piena e completa attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, partendo dall'assunzione di iniziative per eliminazione dell'espressione «persona handicappata» dovunque ricorra leggi e regolamenti e finanziando interventi nelle scuole per diffondere tra i giovani i principi e i contenuti del nuovo «paradigma» introdotto dalla Convenzione;
   a partecipare, nella persona della Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, all'incontro internazionale dei ministri dell'istruzione organizzato a Parigi dall'UNESCO il 17 maggio 2016 dal titolo « Education Sector Responses to Violence based on Sexual Orientation and Gender Identity/Expression» e a riferirne gli esiti al Parlamento con l'indicazione puntuale delle misure e degli interventi ai quali il Governo intende dare seguito.
(1-01256)
«Costantino, Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, D'Attore, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».
(9 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi tempi si nota un incremento generale di atti violenti e intimidatori, denominati dal termine inglese « bulling», atti di bullismo, nelle scuole di tutto il Paese, che sono sfociati anche in tentati omicidi, suicidi e problemi psicologici semi irreversibili da parte di chi li subisce. Un fenomeno che non può essere considerato come semplice bolla mediatica. Pari al 49,9 per cento del totale, difatti, risulta la quota di famiglie che segnala il verificarsi di prepotenze di diverso tipo (verbale, fisico, psicologico) all'interno delle classi frequentate dai propri figli, con una diffusione che risulta elevata in tutti gli ordini di scuola, e particolarmente nella scuola secondaria inferiore dove raggiunge il 59,0 per cento delle classi. La frequenza delle segnalazioni è invece la stessa nelle quatto aree geografiche maggiori (si va da un massimo del 50,8 per cento al Nord ovest, ad un minimo del 48,3 per cento al Nord est) e nei diversi centri abitati, con una leggera flessione nelle aree urbane di dimensione mediogrande (nella città che hanno tra i 100 ed i 250.000 abitanti le famiglie che segnalano sono il 43,7 per cento del totale);
    questo fenomeno, inoltre, non può essere più slegato da quello denominato cyberbullismo o bullismo informatico;
    il progresso tecnologico degli ultimi anni in relazione al fenomeno del mercantilismo radicale ha imposto nella società del consumo un utilizzo fuorviante delle nuove tecnologie, senza, in nessun modo e allo stesso tempo, essere accompagnato da un progresso culturale mirato a far maturare un giusto e responsabile utilizzo delle stesse;
    il mondo virtuale ha trovato sempre più spazio in un contesto dove gli uomini sono sempre più soli e difficilmente riescono a sviluppare relazioni interpersonali;
    la pericolosità del bullismo è data soprattutto dalla pervasività e dalla sua forza trainante in quanto fa leva su alcuni aspetti che caratterizzano sia l'età adolescenziale sia la nostra epoca: un generalizzato disagio epocale causato dalla perdita di solidi punti di riferimento, la debolezza etica del tessuto sociale, un futuro poco promettente. Questa minaccia pesa sulla scuola mettendo a rischio l'ambiente educativo, ma pesa anche sull'intera società che ne è corresponsabile e che, quindi, ha il dovere di sostenerla in questo difficile impegno;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, le cause di ciò che è accaduto devono essere individuate al fine di comprendere meglio il fenomeno: una sistematica rinuncia ai riferimenti valoriali nell'istituzione scuola, una continua aggressione verso l'istituito della famiglia, la diffusione ideologica di una visione della vita volta a rinnegare le radici culturali e tradizionali del nostro popolo, la continua propaganda del pensiero relativista che ha creato nelle giovani generazioni uno stato di confusione permanente dove diventa dote personale la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male;
    il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario;
    il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo va contrastato con energia e con provvedimenti mirati e specifici, volti a sviluppare una giusta modalità di intervento partendo in primo luogo dalla conoscenza del problema e dalla formazione degli educatori;
    la famiglia e la scuola sono certamente i primi ambiti dove i bambini e i giovani possono conoscere il valore e il senso della partecipazione e il rispetto degli altri;
    è doveroso ribadire che al fine di realizzare un sistema che funzioni è necessario che vi sia la tutela dei diritti dei minori ma anche la tutela delle famiglie in cui i minori sono inseriti;
    la frantumazione dell'istituto familiare, in una comunità sempre meno capace di farsi carico della crescita sana dei bambini, è il primo fattore che pone i giovani adolescenti in una condizione di precario equilibrio ed estrema fragilità, rendendoli soggetti a rischio;
    la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale, di salute, il livello di istruzione raggiunto. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    una società incapace di garantire i diritti dei minori è una società destinata ad implodere. Come insegna Aristotele, una buona politica non afferma principi, ma propone risposte fattibili a problemi concreti;
    è importante promuovere ed incoraggiare la partecipazione dei giovani e valorizzare l'informazione a studenti e famiglie quali strumenti indispensabili allo sviluppo della cittadinanza attiva di tutti e di ciascuno attraverso progetti volti all'elaborazione condivisa del regolamento d'istituto, all'organizzazione delle assemblee di classe e d'istituto, alla partecipazione alla consulta degli studenti e all'educazione al volontariato;
    è necessario riconoscere il ruolo fondamentale della componente studentesca nella vita della scuola e della comunità;
    lo sport rappresenta un fenomeno sociale che ha svolto, ed ancora oggi svolge, un ruolo fondamentale per la formazione individuale e la promozione del benessere fisico e mentale del singolo, con effetti positivi sulle capacità di apprendimento. Lo sport è una delle attività che da sempre ha contribuito a promuovere uno stile di vita positivo, consentendo ai giovani di esprimere le loro inclinazioni e la loro personalità, di sviluppare un'attitudine alla cura del corpo, di promuovere uno spirito partecipativo ed incline alla sana competizione destinato ad agevolare la vita ed il lavoro in gruppo. I valori di onestà e solidarietà impliciti nell'attività sportiva offrono, infatti, uno stimolo fondamentale per prevenire le tendenze disgreganti comuni nella società contemporanea, particolarmente evidenti nel fenomeno del bullismo, favorendo il consolidamento di uno spirito di comunione e fraternità sempre più indispensabile per l'integrazione sociale e culturale e contrastando le devianze della discriminazione e dell'intolleranza;
    tali rilievi trovano specifici riscontri anche a livello internazionale e comunitario, come confermato dalla Dichiarazione sullo sport, adottata dalla Conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell'Unione europea ad Amsterdam, nel 1997, ove si sottolinea la rilevanza sociale dello sport, evidenziando il ruolo che esso assume nel forgiare l'identità e nel ravvicinare le persone. L'Unione europea ha da tempo mostrato una particolare attenzione al tema della funzione educativa e sociale dello sport, con particolare riguardo alle scuole, occupandosi di rendere l'attività sportiva accessibile a tutti, nel rispetto delle aspirazioni e delle capacità di ciascuno e nella diversità delle pratiche agonistiche o amatoriali, organizzate o individuali. È quanto viene previsto dalla relazione sul ruolo dello sport nell'educazione, presentata dalla Commissione per la cultura e l'istruzione al Parlamento europeo il 30 ottobre 2007. Nella relazione, in particolare, si incoraggiano gli Stati membri ad ammodernare e migliorare le loro politiche in materia di educazione fisica, anche attraverso un ampliamento dell'orario scolastico, assicurando un equilibrio tra le attività fisiche ed intellettuali nelle scuole, investendo nelle strutture sportive di qualità, prendendo misure adeguate per rendere accessibili a tutti gli studenti i centri sportivi e i corsi di sport nelle scuole e prestando particolare attenzione ai bisogni degli studenti disabili. Tale impegno deve coinvolgere un'ampia gamma di attività sportive, affinché ogni studente possa avere una vera e propria opportunità di partecipare a varie discipline. Rispetto agli obiettivi indicati come prioritari dall'Unione europea, il nostro Paese vanta una tradizione di primario rilievo nel settore dell'attività sportiva agonistica studentesca, che tuttavia, nell'ultimo decennio, ha subito una radicale interruzione. Il riferimento è agli originari Giochi della gioventù, istituiti 3 settembre 1968 dall'allora Presidente del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) Giulio Onesti, con lo scopo di arginare il diffuso disagio sociale giovanile, creando un momento di interazione all'interno delle scuole attraverso la disciplina sportiva. Uno dei meriti fondamentali ed indiscutibili dei Giochi della Gioventù è stato quello di aver introdotto nell'ambito della scuola una forte sensibilizzazione nei confronti dell'attività sportiva, intesa come mezzo insostituibile nella formazione dei giovani, fin dalla scuola primaria,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa volta a prevenire, ridurre e reprimere con fermezza episodi di bullismo e cyberbullismo, che contempli azioni mirate per ogni ordine e grado di scuola;
   ad attuare una capillare campagna informativa sul fenomeno del bullismo e cyberbullismo e sulla «dipendenza dai social network», mettendo in evidenza i pericoli ad essi connessi;
   a promuovere attività di aggiornamento e formazione dei docenti e di tutto il personale scolastico tecnico-ausiliario nell'azione di educazione alla cittadinanza, di prevenzione del disagio e di contrasto a fenomeni di bullismo e di violenza fisica e psicologica;
   ad attivare una rilevazione ed un monitoraggio permanente del fenomeno e delle attività promosse dalle istituzioni scolastiche, sia singolarmente che in raccordo con altre strutture territoriali, e a relazionare annualmente al Parlamento;
   a sostenere il ruolo fondamentale della componente studentesca nella vita della scuola e della comunità;
   a promuovere, d'intesa con le forze dell'ordine e le associazioni a tutela dell'infanzia, protocolli di modelli comportamentali;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema sanzionatorio nei confronti di quanti, istituzionalmente deputati alla presa in carico dei minori, omettano di denunciare fenomeni di bullismo o comunque assumano comportamenti conniventi;
   a migliorare e ampliare le politiche in materia di educazione fisica, assicurando un equilibrio tra le attività fisiche ed intellettuali nelle scuole, investendo nelle strutture sportive di qualità, prendendo misure adeguate per rendere accessibili a tutti gli studenti i centri sportivi e i corsi di sport nelle scuole e prestando particolare attenzione ai bisogni degli studenti disabili.
(1-01257)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(9 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il bullismo non è un fenomeno recente, ma esiste da generazioni e in varie forme e consiste nell'esporre ripetutamente e continuamente, ad azioni negative da parte di una o più persone consistente nell'infliggere intenzionalmente danni o sofferenze ad un'altra, attraverso contatto fisico, parole o in altri modi (Olweus, 1993). Questo include bullismo fisico (esempio spingere, colpire, calciare), bullismo psicologico (esempio diffondere pettegolezzi falsi), bullismo verbale (esempio ingiurie e molestie verbali), bullismo cibernetico, bullismo razziale e bullismo sessuale;
    sebbene nella maggior parte dei casi il bullismo avvenga durante gli anni scolastici, implica reali conseguenze a lungo termine, sia per la vittima che per chi compie l'atto di bullismo procurando una ferita permanente sia emotiva che psicologica che fisica sia sulle vittime che sui bulli a volte per il resto delle loro vite;
    sono stati attuati vari e importanti progetti riguardo il bullismo a livello europeo e l'unica iniziativa che ha coinvolto 17 partner provenienti da 12 stati membri dell'Unione europea con un'importante esperienza nel campo è il progetto EAN che fornisce un approccio unificato europeo e, finanziato dal Programma DAPHNE III della Commissione europea, si pone come obiettivo la creazione di strumenti di intervento e una politica comune europea contro il bullismo;
    in Italia, la direttiva ministeriale n. 16/2007 sulle linee guida generali e le misure a livello nazionale per la prevenzione e la lotta contro il bullismo («Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo») ha introdotto la Campagna nazionale contro il bullismo (2007) includendo tra i suoi obiettivi: a) registrare e studiare la violenza scolastica e il bullismo, b) sviluppare strategie generali a livello nazionale per la prevenzione e la lotta contro il bullismo, c) fornire informazioni utili per la prevenzione alla lotta al bullismo, d) coordinare e facilitare gli interventi mirati a livello locale;
    ogni regione ha il suo osservatorio, composto da personale accademico, membri scolastici, autorità locali e società civile (ad esempio associazioni per la promozione sociale, genitori) e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca finanzia e supervisiona la campagna ed è, in cooperazione con i consigli scolastici regionali, responsabile della sua attuazione;
    in generale, la campagna comprende diverse misure e azioni, che includono un numero verde e un indirizzo email per poter dare informazioni e consigli per ricevere resoconti sui casi di bullismo; inoltre il sito web www.smontailbullo.it fornisce strumenti e suggerimenti per gestire il bullismo, nonché un'estesa bibliografia e filmografia sull'argomento al quale si aggiungono gli osservatori regionali permanenti sul bullismo inseriti nel sistema dei Consigli regionali scolastici;
    esistono altri progetti regionali, nazionali e europei e iniziative per la prevenzione e la lotta al bullismo (ad esempio, la conferenza nazionale «Irretiti-impigliati nella rete» sul cyberbullismo; il progetto nazionale « Safer internet-connected generations»; il progetto europeo TabbyThreat Assessment of Bullying Behavior) le cui attività sono supervisionate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dagli osservatori regionali e finanziate dal dipartimento nazionale dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dai consigli scolastici regionali e dalle comunità scolastiche e dagli esperti sparsi sul territorio nazionale;
    alcuni dei resoconti regionali sul bullismo sono stati pubblicati dagli osservatori regionali permanenti, sulla base di dati statistici e di altri resoconti sull'evoluzione del fenomeno non riscontrando analisi ufficiali sui problemi e su eventuali ostacoli; i programmi hanno avuto come esito la soddisfazione dei partecipanti oltre che l'efficacia del metodo, la competenza del trainer, la conoscenza acquisita, il cambiamento di comportamento nei confronti dei trainer/insegnanti e bambini/studenti, e la prontezza ad affrontare possibili episodi di bullismo. Inoltre, diversi sforzi di divulgazione sono stati fatti, come la circolare ministeriale mandata a tutti i consigli regionali scolastici, al Ministro dell'interno, alle autorità locali e regionali; il sito web; manifesti, volantini e libretti; realizzazione di specifici programmi tv e video con il supporto di Rai Educational (sezione del canale televisivo pubblico nazionale dedicato alla scuola e all'istruzione); la campagna nazionale contro il bullismo a prima politica generale e sistematica sulla prevenzione e la lotta contro il bullismo e la violenza tra gli studenti in Italia;
    le misure adottate vengono coordinate a livello nazionale con una mappatura e una coordinazione dei progetti regionali e delle iniziative effettuata attraverso gli Osservatori regionali permanenti, mentre i servizi forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le scuole, gli insegnanti, gli studenti e le famiglie sono tutte attivamente coinvolti in uno sforzo di cooperazione concertato. La campagna ha ricevuto molta pubblicità sul sito web e grazie al coinvolgimento dei media e, a livello di ricerca, sono stati raccolti tre studi nazionali sull'Italia: il primo (Arcigay, 2010) è stato il primo caso di indagine sul bullismo omofobico in Italia, effettuato su un campione di scuole divise per tipologia e territorio mentre sono stati eseguiti altri due tipi di ricerca, una qualitativa, che ha investigato le forme del bullismo omofobico vissuto dalle vittime, EAN Strategy Position ricavandone una serie di episodi, e una quantitativa, che ha identificato la diffusione dell'omofobia nelle scuole italiane usando un questionario. La ricerca qualitativa ha messo in luce la severità e la specificità agli episodi di aggressione omofobica. Nella stragrande maggioranza dei casi riportati gli incidenti subiscono un calo quando inseriti in una continua serie di attacchi. La ricerca quantitativa mostra che la maggior parte degli studenti sono esposti ad atti di bullismo omofobico verbale;
    un altro studio (Ipsos e Save the Children, 013) si è concentrato sul cyberbullismo, un report originale, basato sui risultati di 810 colloqui (CAWI Computer Assisted Web Interviewing) effettuati su adolescenti e pre-adolescenti (12-17 anni) che è stato distribuito in base a varianti socio demografiche;
    nella delicata età tra i 12 e i 17 anni, ragazzi e ragazze sono particolarmente sensibili alle pressioni esterne, che comprendono la centralità dell'apparenza fisica proposta dai media e la volontà dei genitori nello spingerli sin da subito verso un'identità di genere. Nella schiacciante maggioranza dei casi, i giovani esprimono «solidarietà» verso le persone perseguitate e negano ogni possibile responsabilità dell'individuo perseguitato per la condizione in cui si trova (88 per cento, l'individuo non lo merita). I social network sono il modo preferito di attaccare da parte dei cyber bulli (61 per cento), i quali in genere perseguitano la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie (59 per cento) o creando gruppi «contro di lui/lei» (57 per cento) Il terzo studio (Università degli Studi di Sassari, 2012) ha esaminato la giustizia rafforzativa come strumento per l'inclusione sociale e il modello per occuparsi del bullismo;
    i membri dello staff che hanno partecipato alla ricerca hanno riferito che gli incidenti di bullismo posso principalmente verificarsi quando, in un gruppo di studenti, qualcuno è percepito come più debole (fisicamente, verbalmente e psicologicamente) agli atti di bullismo sono intenzionali e ripetuti o anche nel caso in cui i dispetti, le battute, gli insulti o gli attacchi siano particolarmente pesanti. In più, in linea con i problemi che gli studenti esprimono secondo i loro insegnanti, gli obiettivi degli interventi sono stati principalmente la promozione del rispetto per le regole, la coesistenza democratica e l'ascolto. Infine, per quanto riguarda la valutazione sull'efficacia delle azioni proposte, i soggetti coinvolti nella ricerca hanno dichiarato di non sentirsi in grado di gestire efficacemente il fenomeno utilizzando i mezzi ordinari e hanno quindi proposto come soluzione utile il miglioramento della cooperazione non solo tra le parti interne delle scuole ma anche con altri soggetti, in una logica di collaborazione fra diversi enti;
    è stata fortemente enfatizzata la necessità di condurre una formazione sull'argomento, specialmente in relazione alla promozione di misure per prevenire e combattere bullismo, ponendo particolare attenzione nell'approfondire le tecniche di risoluzione estendendo tale formazione non solo allo staff di insegnamento ma anche alle famiglie, finora considerate marginali tra i beneficiari delle azioni intraprese,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative finalizzate a contrastare efficacemente il fenomeno del bullismo promuovendo:
    a) l'accrescimento della conoscenza del problema e la partecipazione dei bambini creando una rete europea anti bullismo;
    b) l'assistenza alle organizzazioni non governative e alle altre organizzazioni attive in questo campo;
    c) lo sviluppo e la realizzazione delle azioni di sensibilizzazione mirate;
    d) la diffusione dei risultati ottenuti;
    e) l'identificazione e lo sviluppo azioni che contribuiscano ad un trattamento positivo delle persone a rischio di violenza;
    f) l'impostazione e il sostegno di reti multidisciplinari;
    g) ideazione dei materiali educativi e di sensibilizzazione, integrando e adattando quelli già disponibili;
    h) lo studio di fenomeni legati alla violenza e al suo impatto;
    i) programmi di sostegno per le vittime e per chi compie violenza, con l'introduzione di percorsi di rieducazione nei confronti di questi ultimi, anche mediante attività didattiche volte alla prevenzione e alla conoscenza del fenomeno del bullismo;
    j) percorsi di aggiornamento e di formazione dei docenti presso le scuole.
(1-01258)
«Bechis, Artini, Baldassarre, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».
(9 maggio 2016)