TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 615 di Giovedì 28 aprile 2016

 
.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   SCOTTO, PALAZZOTTO, PIRAS, DURANTI, FAVA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DANIELE FARINA, FASSINA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 30 ottobre 2015, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 198 del 2015, si sono prorogate le missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, le iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione sino al 31 dicembre 2015;
   ad oggi – a 118 giorni dalla scadenza temporale delle autorizzazioni per le missioni in corso – il Governo non ha provveduto ad emanare alcun decreto di rifinanziamento delle stesse;
   anche il precedente «decreto missioni» (decreto-legge n. 174 del 2015) è stato licenziato dal Consiglio dei ministri il 12 ottobre 2015 e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 30 ottobre 2015, ovvero dopo un mese esatto dalla scadenza di quello precedente, creando la possibilità di un paradosso normativo in caso di mancata approvazione entro i termini. Paradosso normativo che, a detta degli interroganti, si ripresenta come possibilità in particolar modo adesso che si è creata una finestra di vuoto normativo lunga oltre tre mesi;
   i teatri in cui si muovono le Forze armate italiane sono in continua evoluzione, data la forte instabilità di alcuni territori, il cambiamento repentino delle strategie del terrore seguito agli attentati di Bruxelles e le consequenziali azioni messe in campo (o annunciate) da diversi nostri Stati partner oltre che dalle Nazioni Unite stesse, e rischiano di non essere più quanto fotografato con l'ultimo decreto;
   ulteriori nuovi scenari di intervento si sono prefigurati negli ultimi mesi, come nel caso della Libia. Già in data 24 febbraio 2016 – con interrogazione a risposta in Commissione a prima firma Duranti del gruppo parlamentare Sinistra Italiana-Sinistra ecologia libertà – è stato chiesto conto delle intenzioni del Governo circa un possibile intervento diretto nello Stato africano, data anche l'autorizzazione alla base di Sigonella per l'utilizzo di droni armati, le indiscrezioni di stampa per cui sarebbero pronti 5.000 uomini e le richieste arrivate in tal senso dal Segretario della difesa americana, Ashton Carter;
   in particolare, sull'eventuale invio di militari in Libia da parte dell'Italia si susseguono agli annunci le smentite e nel Governo, secondo gli interroganti, la confusione regna sovrana. L'ultimo annuncio riportato da diverse testate giornalistiche in data 26 aprile 2016, all'indomani del vertice del G5 di Hannover, riportando fonti del Governo libico, dava per certo l'invio di 900 unità. Dopo l'ennesima smentita del Governo alcune testate, tra cui il quotidiano la Repubblica, nella stessa giornata davano invece per certo, citando fonti del Ministero della difesa, l'invio di 250 unità tra Esercito e Arma dei carabinieri a difesa delle organizzazioni internazionali a Tripoli (ambasciate Onu e dell'Unione europea e altri uffici internazionali);
   da mesi si assiste ad un insopportabile balletto di cifre sul contingente militare da inviare a Tripoli, così come sulle truppe che si dovrebbe inviare in Iraq e precisamente a difesa della diga di Mosul;
   in aggiunta sarebbero stati inviati quattro elicotteri NH90 dell'Esercito italiano, mentre altri quattro aeromobili AW129 Mangusta saranno invece inviati a breve. Tutti saranno impiegati per missioni di contrasto allo Stato islamico e con compiti Sar e ricognizione a supporto di centinaia di uomini della brigata Friuli;
   l'annuncio dell'invio degli elicotteri (e di un totale di 130 soldati) era arrivato nel febbraio 2016 dal Ministro della difesa Roberta Pinotti: i primi uomini sono quindi arrivati in Iraq nei giorni scorsi senza che ci sia mai stato un passaggio autorizzativo del Parlamento;
   a parere degli interroganti la decretazione di urgenza – diventata negli ultimi anni prassi – per il rifinanziamento delle missioni internazionali è strumento ai limiti della legittimità costituzionale (in particolare in relazione ai requisiti di necessità ed urgenza, vista la natura periodica e quindi prevedibile delle esigenze legate alle missioni stesse) e svilente del controllo effettivo e delle prerogative in capo ai parlamentari in quanto potere legislativo;
   per quanto esposto sopra, quindi, risulta essere ancora più grave il ritardo di cui è oggetto il nuovo «decreto missioni», ritardo che di fatto impedisce trasparenza e discussione parlamentare circa lo stato dell'arte degli interventi italiani all'estero e circa le strategie attuali e future da adottare –:
   se esista e quindi quale sia il «piano per l'intervento militare italiano in Libia» e in particolare, anche alla luce del comprovato invio di nuovi mezzi e uomini in territorio iracheno, se non intenda il Ministro interrogato chiarire le motivazioni che hanno portato a non deliberare ancora in merito al decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali per l'anno 2016. (3-02212)
(27 aprile 2016)

  MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, SPADONI, GRANDE, SCAGLIUSI, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   in merito alla situazione di stallo politico in cui versa da tempo la Libia e alla possibilità che il nostro Paese potesse avere un ruolo principale in caso di intervento sul campo, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, in varie interviste rilasciate negli ultimi mesi, ha più volte ribadito la linea tenuta dal Governo italiano: in Libia «interverremo solo se il Governo libico chiederà a noi e al resto della comunità internazionale un sostegno»;
   come ampiamente previsto da tempo, tale richiesta di aiuto è stata ufficialmente avanzata dal Consiglio presidenziale libico guidato da Mohammad Fayez al-Serraj all'Onu, ai Paesi europei e a quelli africani confinanti per proteggere le risorse petrolifere del Paese, atteso che nelle ultime settimane i miliziani del califfato hanno provato più volte a attaccare i depositi e i check point della Petroleum facilities guard, la milizia guidata dal giovane «rivoluzionario» Ibrahim Jadran che da mesi ha assunto la protezione della maggior parte dei pozzi della Cirenaica;
   tuttavia, un altro elemento determinante in Cirenaica è la presenza del generale (ribelle) Khalifa Haftar, a capo di una milizia che ha combattuto gli islamisti a Bengasi, ma che di fatto tiene in ostaggio il Parlamento di Tobruk e gli impedisce di votare a favore del Governo di al-Serraj. Tra l'altro, a quanto si apprende da fonti giornalistiche (il sito online de La Repubblica) nei giorni scorsi il generale ha ricevuto armi dagli Emirati arabi uniti (i quali, insieme a Francia e Egitto, sono suoi grandi alleati), in violazione dell'embargo deciso dall'Onu. Nel porto di Tobruk sarebbero stati scaricati più di 1.000 veicoli da combattimento leggeri assieme a armi e munizioni. È piuttosto noto, a parere degli interroganti, che l'Egitto usa il generale Haftar per allargare la propria influenza in Cirenaica, sperando di acquisire il controllo di parte dei traffici di petrolio nella regione, mentre la Francia ne è coinvolta soprattutto per le forniture militari che il generale Al Sisi ha chiesto al Governo francese;
   il Governo italiano avrebbe già pronti i piani per offrire una prima risposta a tale richiesta: in una prima fase l'Italia potrebbe schierare 250 uomini fra Esercito e Arma dei carabinieri, ovvero il contingente più numeroso di una forza internazionale con le «insegne» Onu (anche se in un primo momento si era parlato di 900 soldati, una disponibilità che è stata poi smentita dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministero della difesa);
   la situazione appare tuttavia alquanto delicata, poiché se è vero che schierare una forza Onu a protezione dei pozzi significa potenzialmente combattere contro il sedicente Stato islamico, significa, però, anche trovarsi a dover fronteggiare uno scontro con le milizie del generale Haftar;
   durante il recente vertice di Hannover non sono state decise misure concrete in ordine alla citata richiesta libica perché si attendono richieste specifiche dal Governo insediatosi a Tripoli, il cui Esecutivo è, fino a questo momento, sostanzialmente fragile, non avendo ricevuto ancora il sostegno formale di quella importante parte del Paese che fa capo al Parlamento di Tobruk, in Cirenaica, soprattutto, come già detto, per l'opposizione del suo uomo forte, il generale Khalifa Haftar; il Primo ministro al-Serraji al momento controlla le uniche istituzioni funzionanti dello Stato: l'azienda petrolifera nazionale, il fondo sovrano della Libia e la banca centrale;
   nell'assenza di una politica estera (e militare) comunitaria, forte rimane il sospetto per gli interroganti che ognuno pensi per sé, atteso che Francia e Gran Bretagna sono già impegnate concretamente in Libia, in una sorta di corsa frenetica tra forze speciali per accaparrarsi per primi, al di fuori di qualsiasi legittimazione internazionale, le risorse petrolifere della Libia, Paese per ora inerme, diviso e quindi una facile preda;
   tra l'altro, in uno scenario di tale tipo, la realistica spartizione finale di pozzi petroliferi e conseguenti sfere di influenza che ne deriverebbero andrebbero ad avviso degli interroganti principalmente a vantaggio di Francia e Gran Bretagna –:
   se non ritenga il Governo che l'invio di militari, in assenza sia di una legittimazione parlamentare del Governo al-Serraji sia di una risoluzione Onu, possa causare una maggiore destabilizzazione dell'area, con conseguente rischio di aumento tanto dei flussi migratori quanto di attentati terroristici contro il nostro contingente e in territorio italiano. (3-02213)
(27 aprile 2016)

  ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   nel 2011 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto un embargo sulle armi alla Libia che è tuttora in vigore;
   un recente report delle Nazioni Unite, sottoposto all'attenzione del Consiglio di sicurezza già nel mese di gennaio 2016, e i cui contenuti sono stati in parte resi noti dalla stampa, ha rivelato come, in violazione dell'embargo internazionale, alcuni Paesi, società e soggetti privati abbiano venduto armi ed equipaggiamenti militari alle parti in conflitto;
   secondo il suddetto report, l'embargo sulle armi sarebbe stato violato nel 2011 da due società private statunitensi, da Emirati arabi uniti, Egitto e Turchia nel 2014 e 2015 e sarebbero coinvolte in traffici di armi verso la Libia anche Giordania e Sudan, una società ucraina e un intermediario italiano;
   le armi sarebbero entrate in Libia per lo più attraverso le rotte commerciali marittime e sarebbero state pagate prevalentemente in petrolio, sebbene fosse stata verificata anche la distrazione di denaro dalla Libyan central bank in favore di gruppi di opposizione armata; in particolare risulterebbero trasferimenti di ingenti somme di denaro (sei milioni di dinari libici, equivalenti a 4,2 milioni di euro) a favore del Benghazi revolutionaries shura council, legato proprio ad Ansar al-Sharia;
   secondo quanto reso noto dalla stampa, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deciderà che azioni intraprendere contro gli Stati membri dell'Onu che hanno violato l'embargo internazionale sulle armi contro la Libia solo dopo aver valutato il nuovo rapporto sulle violazioni;
   il 31 marzo 2016, nell'ambito del forum di esperti libici per la cooperazione allo sviluppo che si è tenuto a Tunisi, l'inviato speciale dell'Onu, Martin Kobler, si è detto favorevole alla revoca dell'embargo, perché «l'esercito libico ha bisogno di questo (armi) nella sua guerra al terrorismo» e «senza sicurezza non ci sarà nessuna stabilità economica»;
   secondo quanto riportato dalla stampa libica, nei giorni precedenti il 24 aprile 2016, una nave saudita è approdata a Tobruk e ha scaricato circa 1.050 veicoli militari che sarebbero stati inviati dagli Emirati arabi uniti; in particolare, si tratterebbe di 600 veicoli leggeri (in gran parte fuoristrada pick-up armabili) e oltre 50 veicoli blindati da trasporto truppe che, in base alle evidenze fotografiche, risultano essere del modello Panthera, realizzato dalle società Minerva special purpose vehicles, con sede a Dubai, e Ares security vehicles di Abu Dhabi; tali veicoli, leggeri e blindati, sarebbero stati successivamente trasferiti al campo di Emdad delle milizie del generale Khalifa Haftar;
   il 26 aprile 2016 le autorità di Malta hanno rifiutato l'attracco alla petroliera battente bandiera indiana Distya Ameya, noleggiata da un'azienda degli Emirati arabi uniti per prelevare greggio dal porto di Marsa al Hariga, a Tobruk; secondo quanto riferito dal sito internet informativo libico «Al Wasat», la nave avrebbe dovuto caricare il petrolio estratto dai giacimenti di Messla e Sarir, nella Libia orientale, per portarlo a Malta e consegnarlo alla compagnia Dsa consultancy fzc, registrata negli Emirati arabi uniti; il transponder della petroliera è spento dal 21 aprile 2016 e l'ultimo segnale è stato inviato a poche miglia nautiche di distanze dal confine tra Egitto e Libia; l'ambasciatore libico presso l'Onu, Ali al Dabbash, ha denunciato il fatto che «il Governo di riconciliazione nazionale subisce la vendita illegale di greggio libico»; parlando all'agenzia di stampa libica «al Tadhamoun», il diplomatico ha spiegato che «il Governo deve affrontare il tentativo della petroliera Distya Ameya battente bandiera indiana e proveniente dagli Emirati arabi uniti di prelevare greggio dal porto di Marsa al Hariga»; il 25 aprile 2016 l'ente petrolifero libico Noc ha definito «illegale» questa vendita e ha riferito il caso al Consiglio di presidenza guidato dal premier Fayez al-Sarraj;
   non si può escludere che il greggio trasportato dalla Distya Ameya, che, secondo fonti di stampa, ammonterebbe a circa 650.000 barili, possa essere stato inviato negli Emirati arabi uniti in cambio di armamenti;
   secondo alcune fonti di stampa, i veicoli militari recentemente giunti a Tobruk sarebbero destinati per un'offensiva anti-Isis su Sirte che dovrebbe essere condotta dalle milizie del generale Haftar; tuttavia tali milizie risultano attualmente impiegate soprattutto in combattimenti a Derna, Bengasi e Adjabiya (a sud di Bengasi); ufficialmente si tratta di operazioni anti-Isis, ma le forze di Haftar risultano combattere anche le milizie che si oppongono all'Isis;
   un esempio chiaro del fatto che la lotta all'Isis viene invocata da parte delle forze di Haftar per coprire operazioni condotte contro altri gruppi che si oppongono al Governo di Tobruk è rappresentato dal teatro di Derna, dove le forze di Haftar continuano a lanciare attacchi aerei e terrestri, sebbene l'Isis abbia abbandonato il centro abitato da tempo e sia stata espulsa anche dalla periferia, tra il 20 e il 21 aprile 2016, dalle forze del Consiglio della shura dei mujaheddin di Derna; a questo proposito, il 25 aprile 2016, il Consiglio della shura dei mujaheddin di Derna, tramite il proprio portavoce, Mohamed al Mansuri, ha accusato le forze di Tobruk, guidate da Haftar, di aver ucciso un numero imprecisato di civili attraverso raid aerei indiscriminati. Mansuri, inoltre, ha accusato le forze di Haftar di aver permesso la fuga dei miliziani dell'Isis dal distretto 400, sobborgo orientale di Derna, affermando che »gli aerei da guerra di Haftar hanno consentito alla colonna di Daesh di fuggire per 800 chilometri attraverso il deserto senza mai sfiorarli; al contrario, hanno attaccato i civili in città«; Ali Hassi, il portavoce di Ibrahim Jadhran, capo della Petroleum facilities guard, avrebbe fatto una simile denuncia il 24 aprile 2016 dalla città di Ajdabiya; a Bengasi le forze di Haftar combattono anche contro quelle del Consiglio dei rivoluzionari di Bengasi e ci sarebbe anche il caso di 150 famiglie intrappolate nella zona della baia di Mreysa dalle forze di Tobruk che i rivoluzionari non riescono a recuperare via nave per gli attacchi aerei di Haftar;
   il generale Haftar ha adottato una posizione ambigua verso il Governo di al-Serraj, definendo «golpisti» i metodi con cui il Consiglio di presidenza del Premier si è insediato a Tripoli e sostenendo che «parte della popolazione chiede la formazione di un consiglio militare», ha più volte dichiarato di non voler entrare nelle questioni politiche e di essere disposto a sostenere qualsiasi Governo di unità che otterrà la fiducia del Parlamento di Tobruk, ma ha anche ammonito che «non resterà a guardare se il processo politico porterà il Paese negli abissi»;
   il 1o aprile 2016 sono entrate in vigore le sanzioni dell'Unione europea contro coloro che, in Libia, si oppongono al Governo al-Serraj (divieto di ingresso nell'Unione europea e di congelamento dei beni e fondi che si trovano in Europa); tali sanzioni hanno colpito il Primo ministro di Tripoli Khalifa al-Gweil, il Presidente del General national congress di Tripoli, Nouri Abusahmain, e il Presidente della House of representatives di Tobruk, Aguila Saleh; tuttavia, non è stato interessato dalle sanzioni il generale Khalifa Haftar, nonostante sia pressoché unanimemente indicato come il principale ostacolo alla piena affermazione dell'autorità del Government of national accord su tutta la Libia;
   al momento attuale il Governo di al-Serraj non risulta ancora in grado di controllare il territorio con le forze di cui dispone, come dimostrato dalla richiesta di aiuti internazionali per la protezione degli impianti petroliferi minacciati dall'Isis, e il rafforzamento militare di attori potenzialmente ostili al Government of national accord potrebbero portare a un rapido mutamento nell'equilibrio delle forze in teatro e alimentare una nuova guerra civile su vasta scala –:
   quali iniziative diplomatiche il Governo intenda adottare nei confronti dei Paesi ritenuti responsabili di violazioni dell'embargo sulle armi alla Libia e/o di acquisto illecito di petrolio libico. (3-02214)
(27 aprile 2016)

  CAPARINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il comma 154 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016) prevede che il pagamento del canone di abbonamento alla concessionaria radiotelevisiva avvenga, a partire da luglio 2016, contestualmente al pagamento della fattura elettrica;
   il decreto attuativo per stabilire i termini e le modalità di pagamento è stato inviato al Consiglio di Stato per i dovuti pareri, che lo ha definito lacunoso, poco chiaro e senza tutela della privacy;
   il decreto attuativo, secondo il Consiglio di Stato, è da rifare: manca una puntuale definizione di «apparecchio televisivo», non tutela la privacy degli utenti, non formula con chiarezza le regole, non prevede informazione per gli utenti e non ha il formale via libera del Ministro interrogato;
   con una nota del 20 aprile 2016 il Ministero dello sviluppo economico ha fornito, a seguito del rilievo del Consiglio di Stato, la definizione di apparecchio televisivo: «apparecchio in grado di ricevere, decodificare e visualizzare il segnale digitale terrestre o satellitare, direttamente o tramite decoder o sintonizzatore esterno». Il sintonizzatore è un dispositivo «idoneo ad operare nelle bande di frequenza destinate al servizio televisivo secondo almeno uno degli standard previsti nel sistema italiano per poter ricevere il relativo segnale tv». Quindi, non si paga il canone Rai per i seguenti dispositivi: computer, smartphone, tablet e ogni altro apparecchio privo del sintonizzatore per il digitale terrestre o satellitare;
   il suddetto comma 154 prevede, inoltre, che il decreto attuativo sia emanato dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro interrogato, che invece ha fornito un semplice assenso;
   il Consiglio di Stato, inoltre, contesta il meccanismo attraverso il quale viene addebitato il canone Rai in bolletta, il quale prevede un notevole scambio di dati e informazioni fra diversi enti (Anagrafe tributaria, Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, Acquirente unico, Ministero dell'interno, comuni, società private) e, secondo i magistrati amministrativi, questo «necessariamente implica profili di rispetto e tutela della privacy»;
   i contribuenti che intendono presentare la dichiarazione di non detenzione di una tv, per evitare di trovarsi addebitato in bolletta un canone Rai non dovuto, lo dovranno fare entro il 16 maggio 2016, termine prorogato con provvedimento dell'Agenzia delle entrate, mentre non cambiano i termini per l'invio delle dichiarazioni relative a coloro i quali hanno un'utenza elettrica domestica residenziale intestata ma non devono pagare il canone, perché già «caricato» sulla bolletta di un familiare componente della stessa famiglia anagrafica e viene pagato altrove. Per queste dichiarazioni restano fermi i termini precedenti, cioè 30 aprile 2016 per l'invio cartaceo e 10 maggio 2016 per l'invio telematico;
   in generale, ad avviso degli interroganti, considerati gli altri punti contestati dal Consiglio di Stato, la scarsa informazione agli utenti, il farraginoso meccanismo di comunicazione all'Agenzia delle entrate delle esenzioni e il poco tempo a disposizione per effettuarle e la poca chiarezza su chi deve o non deve comunicare, vi è il sospetto che la scadenza di luglio 2016 o non possa essere rispettata per l'invio delle prime rate del canone Rai in bolletta oppure che vengano inviate richieste di pagamento a coloro i quali invece nulla dovevano;
   questa riforma del canone Rai, a giudizio degli interroganti, è stata fatta male e lo dimostra anche il parere del Consiglio di Stato. A parere degli interroganti il canone Rai deve essere completamente abolito;
   al momento l'unica comunicazione ufficiale è quella dell'Agenzia delle entrate –:
   in previsione delle tante «cartelle pazze» che potranno arrivare agli utenti, se il Governo intenda informare puntualmente i cittadini della necessità, qualora intestatari di contratto elettrico, di segnalare, entro il termine del 16 maggio 2016, il non possesso di un apparecchio televisivo, nonché informare gli esenti dal canone, anch'essi intestatari del contratto elettrico, delle modalità di presentazione della dichiarazione per non vedersi imputare costi impropri. (3-02215)
(27 aprile 2016)

  SBERNA e GIGLI. – Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la conferenza nazionale sulla famiglia è un grande momento istituzionale di partecipazione, confronto ed elaborazione sui temi della famiglia che prevede il coinvolgimento delle diverse realtà politiche, sociali, produttive e culturali del Paese. Un'occasione preziosa d'incontro tra saperi e poteri, tra conoscenze professionali e responsabilità politico-istituzionali;
   la prima conferenza nazionale sulla famiglia, prevista dalla legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007) come appuntamento importante per definire le linee guida per l'elaborazione del primo piano nazionale per la famiglia, fu promossa dall'allora Ministro delle politiche per la famiglia nell'ambito delle iniziative tese al rilancio delle politiche familiari e fu realizzata a Firenze nel maggio 2007. Il piano nazionale di politiche familiari, previsto dall'articolo 1, comma 1251, della legge finanziaria per il 2007, è stato poi approvato per la prima volta il 7 giugno 2012;
   la seconda conferenza nazionale sulla famiglia fu svolta a Milano nel 2010 e la terza avrebbe dovuto tenersi nel 2012, ma i Governi si sono succeduti senza che ne fosse più fissata una;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi aveva garantito – come pubblicato da agenzie di stampa – che prima della scadenza del semestre italiano di presidenza dell'Unione europea sarebbe stata convocata, ma ad oggi nulla è avvenuto; eppure gli obiettivi della conferenza sono tuttora assolutamente prioritari: non si tratta infatti di promuovere eventi celebrativi vuoti e formali, ma di indicare vere e proprie proposte, verificate in termini di sostenibilità, che concorrano alla costruzione di un modello di welfare più europeo e più moderno in grado di realizzare una piena cittadinanza sociale della famiglia;
   infatti proprio nei Paesi europei ove più forti e strutturate sono le politiche di sostegno più forte è la libertà delle famiglie di diventare, di essere e di rimanere famiglia;
   i tre soggetti coinvolti delle politiche familiari – pubblica amministrazione, privato sociale e imprese – devono integrare la loro azione, non solo a livello di gestione, ma anche di progettazione;
   sono infatti necessarie politiche di appoggio, di accompagnamento e di sostegno che riconoscano la famiglia come bene comune e ne valorizzino il ruolo attivo e propulsivo sul versante educativo, sociale ed economico –:
   se il Ministro interrogato non intenda porre in essere iniziative di competenza volte a definire la prossima data della conferenza nazionale sulla famiglia. (3-02216)
(27 aprile 2016)

  OLIVERIO, SANI, FIORIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, CAPOZZOLO, CARRA, COVA, CUOMO, DAL MORO, FALCONE, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi le regioni hanno chiesto al Governo un intervento urgente ed incisivo per superare la gravità della situazione che si è creata a causa del ritardo accumulato da Agea nel procedere ai pagamenti della domanda unica e dello sviluppo rurale della politica agricola comune 2015 e al rilascio dei titoli definitivi per la politica agricola comune 2016;
   tutte le regioni stanno subendo pesanti conseguenze per i mancati pagamenti delle domande presentate e per gli agricoltori italiani la situazione economica e finanziaria è diventata ancora più difficile;
   a distanza di mesi, nonostante l'Unione europea abbia consentito di erogare il 70 per cento dei contributi comunitari, a titolo di anticipo entro il 30 novembre 2015, oltre un quarto delle imprese aventi diritto, in particolare le imprese professionali più grandi, non ha ricevuto alcun pagamento;
   inoltre, Agea non ha ancora risolto diversi problemi connessi all'assegnazione dei titoli necessari per la presentazione delle domande per la politica agricola comune 2016 in scadenza il 16 maggio 2016 in relazione alla qualifica di agricoltore attivo, di riserva nazionale, di pascoli, di guadagno insperato, di capping; di fatto c’è il rischio concreto che questo stallo procedurale impedisca la presentazione delle nuove richieste;
   problemi analoghi si sono registrati per i piani assicurativi individuali, tanto da mettere a rischio la copertura assicurativa di molte colture;
   il rilevante impegno del Governo e del Parlamento nei confronti del settore primario rischia di essere vanificato dall'inefficienza dimostrata da Agea nell'attuare le misure di sostegno per l'agricoltura; le stesse valutazioni valgono per gli organismi pagatori regionali;
   i ritardi nei pagamenti e nella gestione delle pratiche si traducono in ritardi competitivi con le imprese degli altri Paesi europei, dove le pubbliche amministrazioni sono in grado di gestire la presentazione delle domande senza ritardi e di erogare nei termini i contributi previsti dai regolamenti comunitari;
   la pesante situazione che si è venuta a creare su tutto il territorio nazionale rende urgente l'adozione di iniziative, anche organizzative, da parte del Governo in attesa del necessario riordino dell'Agea contenuto anche nel cosiddetto collegato agricolo attualmente in discussione al Senato della Repubblica –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere per la risoluzione delle problematiche aperte con Agea sui pagamenti della domanda unica e dello sviluppo rurale della politica agricola comune 2015, per l'attribuzione dei titoli definitivi per la politica agricola comune 2016 e per la necessaria riorganizzazione di tutto il settore. (3-02217)
(27 aprile 2016)

  CATANOSO, RUSSO, FABRIZIO DI STEFANO e RICCARDO GALLO. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il comparto agrumicolo è di rilevante importanza sia da un punto di vista economico che sociale, interessando circa 80.000 aziende e 130.000 ettari di superfici investite. Fornisce prodotti di qualità e dall'elevato valore nutrizionale, molto spesso espressione tipica dei territori, garantisce reddito ed occupazione nelle regioni meridionali;
   il settore sta attraversando un particolare momento congiunturale, con un preoccupante trend di contrazione della domanda interna e conseguente riduzione delle quotazioni, e richiede urgenti azioni orientate alla salvaguardia e alla valorizzazione delle produzioni. La staticità verso il rinnovamento varietale di molti distretti produttivi spesso non permette di intercettare le richieste di mercato con prodotti innovativi e/o con un più ampio calendario di maturazione, favorendo, al tempo stesso, il surplus sul mercato di alcuni prodotti (si veda, ad esempio, le clementine comuni);
   gli interroganti ritengono che il consolidamento del settore possa concretizzarsi adottando opportune misure per la protezione delle rese e del patrimonio vegetale, chiedendo con forza l'armonizzazione reale nell'uso degli agrofarmaci, investendo nella ricerca applicata strettamente legata alle esigenze delle imprese, stimolando l'aggregazione nelle organizzazioni di produttori ed anche la partecipazione in filiali commerciali per favorire l'integrazione tra più organizzazioni di produttori, sviluppando la promozione e l'accesso ai nuovi mercati delle nostre produzioni, nonché l'adozione di strumenti operativi di dialogo e azione come l'organizzazione interprofessionale;
   l'agrumicoltura è da tempo minacciata dalla «tristezza» causata dal citrus tristeza virus, responsabile di un'ampia epidemia che coinvolge anche produzioni territoriali pregiate e che porta alla morte delle piante. Focolai sono attualmente presenti in più zone produttive di spicco. La principale via di introduzione in nuove aree è attraverso il materiale di propagazione infetto;
   a giudizio degli interroganti risulta necessaria l'adozione di materiale vivaistico certificato per contrastarne la diffusione, per cui occorre: promuovere il ricorso a materiale virus-esente e supportare i vivaisti nel loro ottenimento ed è opportuno aumentare i livelli di monitoraggio da parte dei servizi fitosanitari regionali;
   uno strumento per fronteggiare tale avversità è l'espianto e il reimpianto con portainnesti tolleranti al citrus tristeza virus, tanto più urgente da mettere in atto dal momento che la gran parte degli impianti è su portainnesto suscettibile al citrus tristeza virus;
   prioritario è, inoltre, mettere in campo azioni di larga scala e misure ad hoc per favorire nuovi investimenti volti alla riconversione produttiva (non attraverso la tecnica del reinnesto; da valutare, invece, l'infittimento ma solo nelle zone dove l'eradicazione non è più possibile), con misure specifiche e fondi facilmente accessibili per gli agricoltori;
   nuove emergenze fitosanitarie stanno allarmando i produttori nazionali: citrus black spot e greening. Come segnalato anche dall'Efsa, l'Unione europea è chiaramente esposta al rischio che la macchia nera degli agrumi si diffonda e infesti i frutteti. Nonostante l'elevatissimo numero di intercettazioni di agrumi infestati provenienti dal Sudafrica, non sono state adottate adeguate misure a livello europeo. La recente vicenda della xylella fastidiosa dovrebbe, invece, favorire l'adozione di altre azioni da parte delle autorità preposte;
   mentre il territorio italiano è aperto all'ingresso di merci da Paesi terzi, molti Paesi elevano barriere non tariffarie, sanitarie e fitosanitarie, per impedire alle merci italiane di raggiungere i loro mercati (tra tutti i limiti alle movimentazioni nel florovivaismo per il rischio xylella);
   occorre, quindi, operare su più fronti: rafforzare il «principio di precauzione» e il «principio di reciprocità»; prevedere il blocco delle merci nel momento in cui il rischio di contaminazione risulta elevato e il numero delle intercettazioni diventa preoccupante; nel caso degli accordi euro-mediterranei prevedere un'accurata valutazione dei loro effetti e del possibile impatto di ulteriori concessioni;
   un dato di fatto è il forte stato di crisi di mercato che sta attraversando il comparto in questa campagna. I prezzi medi rilevati da Ismea sono in forte flessione da dicembre 2015 e la decisa contrazione delle quotazioni non si arresta neppure nel mese di gennaio 2016. Anche il confronto di gennaio 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015, presenta contrazioni preoccupanti;
   tale riduzione sembra protrarsi anche nelle settimane successive, complice il clima molto temperato, che, da una parte, ha concentrato l'offerta di agrumi, provocando un accavallamento produttivo, e, dall'altro, ha frenato i consumi interni che comunque sono apparsi molto lenti durante tutta la campagna;
   questa situazione richiederebbe di attivare tutte le procedure per sancire lo stato di crisi del settore;
   la congiuntura è negativa essenzialmente per un lieve aumento della produzione accompagnato da un calo della domanda interna. Fenomeni estemporanei, come il blocco delle importazioni imposto da parte degli Usa al Marocco e da parte della Russia alla Turchia, rischiano di far dirottare prodotto verso il mercato europeo, aggravando la situazione;
   in questa situazione si possono ipotizzare, a giudizio degli interroganti, misure di limitazione della crisi che puntano: alla promozione del consumo di agrumi, non favorito quest'anno dal particolare andamento climatico; a rafforzare le misure di controllo alle frontiere e sui mercati per verificare il rispetto degli standard di qualità e l'indicazione di origine sul prodotto; a verificare se ricorrono le condizioni per applicare le clausole di salvaguardia previste dagli accordi internazionali nel caso di perturbazione dei mercati da eccesso di importazioni; a valutare misure di intervento straordinario, come per esempio il rifinanziamento dei fondi straordinari per l'embargo russo, ora ampiamente giustificabile anche per il recente blocco delle esportazioni in Russia della Turchia, per coprire interventi di ritiro straordinario di prodotto dal mercato delle organizzazioni dei produttori;
   in via generale occorre valutare la differenza di condizioni di competitività in cui operano gli imprenditori del nostro Paese rispetto alle realtà dei Paesi terzi concorrenti che in genere possono contare su minori costi di produzione (pubblica amministrazione, manodopera, costi impliciti legati al rispetto di standard ambientali ed altro). Tale gap strutturale di competitività necessita, oltre che di politiche strategiche sui fattori e sull'orientamento al mercato, anche, a giudizio degli interroganti, di misure immediate di intervento a sostegno dei produttori, ad esempio in forma di automatismi fiscali che favoriscano la liquidità delle imprese;
   l'Unione europea, nella logica dell'armonizzazione, sancisce l'utilizzo di un prodotto, ma nello stesso tempo demanda allo Stato membro le autorizzazioni sulle singole colture. L'Italia adotta criteri molto restrittivi, impedendo agli agricoltori italiani l'utilizzo di taluni prodotti, ma le regole dell'Unione europea consentono l'importazione di ortofrutta da Paesi dove il loro utilizzo è consentito;
   tale modus operandi penalizza due volte le imprese: da una parte riduce la competitività in termini di costi di produzione, tempi e risultati, e, dall'altra, in fase di commercializzazione, non consente di differenziare adeguatamente il prodotto italiano dal prodotto estero;
   considerato che l'autorizzazione agli usi eccezionali dei principi attivi è una facoltà di ciascun Paese, la strada più opportuna da percorrere appare quella tracciata dalla normativa e che prevede schematicamente le seguenti fasi: valutazione dei principi attivi che consentono ai produttori di essere competitivi con le loro produzioni alla pari degli altri operatori comunitari e verifica in merito alle autorizzazioni nei Paesi dell'Unione europea;
   sarebbe in ogni caso necessario non consentire la commercializzazione degli agrumi provenienti da Paesi che permettono l'utilizzo di prodotti fitosanitari non autorizzati in Italia, perlomeno fino alla piena armonizzazione dei principi tra i Paesi dell'Unione europea, al fine di evitare forme di concorrenza sleale tra i produttori;
   l'aggregazione del prodotto risulta ormai un processo imprescindibile per poter competere a livello nazionale ed internazionale. L'imprenditore agricolo deve necessariamente rafforzare il suo potere contrattuale all'interno della filiera per poter avere un confronto «tra pari» con i buyer italiani ed esteri ed il rafforzamento passa attraverso l'aggregazione;
   programmare la produzione, garantire la standardizzazione del prodotto, offrire servizi aggiuntivi, ampliare i calendari di commercializzazione e la gamma di prodotti offerti. Tutto ciò si concretizza nelle organizzazioni di produttori. Lo strumento dei piani operativi ha nel tempo consentito agli imprenditori di avvicinarsi con maggiore interesse alle organizzazioni di produttori, ma occorre sempre – in questo come in altri comparti – prevedere regole chiare e strategie che assicurino l'effettivo controllo di tali strumenti da parte dei produttori e che possano prevenire la formazione di «situazioni opportunistiche» mirate solo all'ottenimento degli aiuti dell'Unione europea;
   per creare valore e reddito a vantaggio dei produttori associati è opportuno sia aumentare il livello di concentrazione nelle organizzazioni di produttori, sia favorire processi di fusione ed integrazione per l'aumento delle dimensioni economiche e per lo sviluppo di strategie commerciali più efficaci;
   per questo aumenta l'importanza strategica di politiche europee e nazionali che puntino sempre più a favorire processi di aggregazione ed integrazione delle realtà esistenti per ottenere una maggiore competitività ed efficace valorizzazione dei prodotti. A tal fine prioritari sono gli interventi volti al miglioramento del regolamento (Ue) 543/2011 e l'intesa con e tra le regioni, che dovranno rispondere alle esigenze e ad un grado di giusta flessibilità richiesta delle imprese e non di mera semplificazione della gestione amministrativa degli aiuti dell'Unione europea;
   sono strategiche per il comparto tutte le misure volte ad acquisire nuovi mercati, supportando le imprese nell'assicurazione del credito, a favorire le negoziazioni bilaterali od europee per superare in tempi rapidi le barriere doganali tariffarie e non tariffarie che oggi limitano ingiustamente le esportazioni italiane, ad accrescere l'informazione e la promozione anche sui mercati esteri per differenziare il prodotto made in Italy;
   contestualmente occorre lavorare sul rafforzamento delle organizzazioni interprofessionali, a cui il regolamento (UE) 1308/2013 riconosce funzioni chiave per lo sviluppo del settore: analizzare il mercato, sviluppare iniziative volte a rafforzare la competitività economica e l'innovazione, orientare la produzione, svolgere attività di promozione e ricerca. Considerato che l'organizzazione interprofessionale ortofrutta Italia è la sede di confronto storica più completa e rappresentativa attualmente presente nel panorama ortofrutticolo, si ritiene prioritario operare per rafforzarne il suo ruolo;
   pertanto, a giudizio degli interroganti, occorrerebbe applicare quanto prima i contenuti del decreto-legge n. 51 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015, in particolare per quanto attiene l'estensione erga omnes delle decisioni e degli accordi presi, rafforzando il ruolo dei comitati di prodotto e prevedere «contributi» pubblici o privati per finanziare programmi comuni di promozione istituzionale (sui mercati italiani ed esteri) e di ricerca applicata nel comparto;
   in Italia la ricerca non è rispondente alle esigenze delle imprese agricole, specialmente in ambito di innovazione varietale. Ne consegue una riduzione di competitività per le imprese italiane che devono approvvigionarsi di nuovo materiale riproduttivo all'estero a costo di royalty elevate, scommettendo sull'adattabilità delle nuove varietà alle condizioni pedo-climatiche del proprio territorio, rischiando altresì la trasmissione di fitopatie;
   l'introduzione di nuove varietà più rispondenti alle esigenze del mercato significa sia sviluppo di nuove competenze per le imprese italiane in linea con gli altri imprenditori europei e sia vantaggi legati al posizionamento sul mercato con incremento delle vendite, raggiungimento di nuovi mercati, maggiore appetibilità nei confronti della grande distribuzione organizzata legata all'offerta di un paniere di prodotti più ampio, ampliamento del calendario di commercializzazione;
   a giudizio degli interroganti è prioritario intervenire per favorire la ricerca a tutti i livelli, promuovendo una maggiore adesione tra le necessità delle imprese e il mondo della ricerca, pubblica e privata. Fondamentale è il rapporto tra sistema delle imprese ed enti di ricerca, per programmi di ricerca pubblico-privata;
   alle problematiche appena descritte del comparto dell'agrumicoltura, bisogna aggiungere anche quella relativa ai ritardi nei pagamenti della domanda unica e dello sviluppo rurale e nella definizione dei titoli. Ciò sta procurando conseguenze molto serie e insostenibili per tutti gli agricoltori italiani e la situazione di stallo è destinata a diventare ancora più drammatica per gli imprenditori agricoli –:
   quali iniziative e/o provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (3-02218)
(27 aprile 2016)

  BOSCO. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la produzione agricola del nostro Paese, soprattutto quella del Mezzogiorno, sta affrontando una grave crisi economica dovuta in gran parte al dumping e alle frodi alimentari: fattori che hanno determinato il crollo dei prezzi dei raccolti e che non assicurano agli agricoltori di coprire le spese di produzione;
   durante il vertice del G7 a Niigata il Ministro interrogato ha presentato le azioni italiane per favorire il rilancio di questo settore di importanza strategica per l'economia italiana. In particolare, il Ministro interrogato ha presentato le azioni italiane intraprese, come quelle relative al sostegno al credito per le imprese agricole ed alle iniziative per favorire il ricambio generazionale in agricoltura;
   sul piano generale è comunque necessario adottare misure che possano migliorare sia la gestione delle crisi dell'imprenditoria agricola, sia di tutelare il reddito degli agricoltori, nonché regolare in termini più adeguati i mercati. Sotto questo profilo è opportuno che il Ministro interrogato adotti, oltre a quelle già approvate, misure normative dirette alla riduzione della pressione fiscale, alla semplificazione delle procedure burocratico-amministrative e a fornire incentivi alle imprese;
   inoltre, appare necessario attivare, oltre ai numerosi e precisi controlli in campo agroalimentare già adottati per verificare tutta la filiera di produzione, misure dirette a garantire la tutela del consumatore, agendo sul fronte fondamentale dell'etichettatura e della tracciabilità dei prodotti al fine di valorizzare le eccellenze dei prodotti italiani –:
   quali iniziative intenda adottare, oltre a quelle già intraprese, per tutelare il reddito degli agricoltori del nostro Paese, in particolare di quelli delle regioni del Mezzogiorno. (3-02219)
(27 aprile 2016)