TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 610 di Mercoledì 20 aprile 2016

 
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PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla IX Commissione (Trasporti):

QUINTARELLI ed altri: «Disposizioni in materia di fornitura dei servizi della rete internet per la tutela della concorrenza e della libertà di accesso degli utenti». (2520)
(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE, IN AMBITO NAZIONALE E SOVRANAZIONALE, PER IL CONTRASTO DI TUTTE LE FORME DI SURROGAZIONE DI MATERNITÀ

   La Camera,
   premesso che:
    la surrogazione della maternità consiste nella cessione a terzi, e per sempre, di un neonato da parte della donna che lo ha partorito; una cessione puntualmente regolata da apposito contratto stipulato fra gestante e committenti in un momento precedente al concepimento del nato;
    il contratto che regola la gestazione e la successiva cessione del bambino non può che essere intrinsecamente vessatorio nei confronti della gestante, considerando che l'obiettivo è quello di far consegnare ai committenti il neonato, imponendo alla donna di portare avanti la gravidanza secondo modalità che i committenti arbitrariamente decidono essere le migliori per il nascituro: oltre a regolare dettagliatamente la vita della gestante per tutto il periodo della gravidanza, vengono quindi imposti esami clinici e comportamenti personali della madre surrogata che includono anche importanti restrizioni della libertà personale e che prevedono sia l'aborto in caso di malformazioni del feto, sia la cosiddetta riduzione fetale in presenza di gravidanze gemellari non richieste;
    il contratto di maternità surrogata, per sua stessa natura, ha contenuto patrimoniale e carattere oneroso, tenuto conto della gravosità del periodo di gravidanza e dell'evento del parto, cui si sottopone la mamma surrogata: il corrispettivo previsto nel contratto in favore della madre surrogata è infatti diretto a retribuire il sacrificio richiesto a quest'ultima;
    tale contratto, nella forma di surroga ad oggi maggiormente diffusa, include anche l'acquisto di gameti femminili da una donna diversa dalla madre surrogata, perché senza legame genetico con il nascituro sia più facile per la gestante considerarlo appartenente ai committenti, e cederlo alla nascita: il nato in questo caso ha due madri biologiche (una genetica e una gestazionale) e di solito la madre legalmente riconosciuta è ancora una terza, il che determina un'inquietante frammentazione della figura materna e associa la maternità surrogata alla compravendita di gameti, con tutti gli aspetti economici, antropologici e sociali connessi, primo fra tutti la «scelta» dei «donatori» su appositi cataloghi di, biobanche in base al fenotipo (colore della pelle, di occhi e capelli, aspetto fisico);
    una donna che cede a terzi, dietro corrispettivo in denaro, il proprio neonato, a prescindere dalla presenza di un contratto di diritto privato vincolante fra le parti, compie un gesto perseguito come reato in gran parte del mondo, pertanto il contratto di surrogazione, nei Paesi in cui è ammesso, rappresenta a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo un'ingiustificata e incomprensibile eccezione;
    sottrarre un neonato alla donna che lo ha tenuto in gestazione e partorito integra in tutto il mondo a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, oltre che un crimine, una condotta di estrema crudeltà, una sorte generalmente destinata alle schiave nelle civiltà arcaiche;
    il legittimo desiderio di avere bambini non è un diritto esigibile;
    il contratto di surrogazione di maternità è evidentemente una nuova forma di mercato di esseri umani, e rientra per i firmatari del presente atto di indirizzo nella «tratta degli esseri umani», così come definita dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, quando indica che «il reclutamento (...) di persone (...) con l'abuso (...) della condizione di vulnerabilità (...) a fini di sfruttamento (che) comprende pratiche simili alla schiavitù e specifica che, in questi casi, il consenso della vittima allo sfruttamento è irrilevante»;
    la surrogazione di maternità viola altresì secondo i firmatari del presente atto di indirizzo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948: all'articolo 1, che recita: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti», visto che per i nati da maternità surrogata, a differenza di tutti gli altri bambini del mondo, si decide fin da prima del concepimento che non cresceranno con la donna che li ha partoriti, cioè la madre, ma con persone che vi hanno stipulato un contratto commerciale e l'hanno indotta ad abbandonarlo alla nascita; all'articolo 4, ove si afferma che «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma», considerando le condizioni vessatorie contrattuali che stabiliscono nei minimi dettagli la vita della gestante e ne definiscono gli obblighi, primo fra tutti la cessione del neonato alla nascita;
    la surrogazione di maternità viola altresì per i firmatari del presente atto di indirizzo la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, che, all'articolo 8, stabilisce che «Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità», e che, all'articolo 32, dispone che «Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico»;
    la surrogazione di maternità costituisce inoltre per i firmatari del presente atto di indirizzo una forma di violenza contro le donne secondo la definizione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (la cosiddetta Convenzione di Istanbul), in cui, con l'espressione «violenza nei confronti delle donne», si intende designare una violazione dei diritti umani comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica;
    la surrogazione di maternità contrasta a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo esplicitamente con convenzioni internazionali e pronunciamenti di istituzioni europee: la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997), che, all'articolo 21 stabilisce che «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»; principio ribadito dall'articolo 3 della Carta europea dei diritti fondamentali (2000) sul diritto all'integrità della persona, in particolare quando prevede che si rispetti «il divieto di fare del corpo umano e sue parti in quanto tali una fonte di lucro»; la risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 che impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;
    il Comitato nazionale per la bioetica, riunito in seduta plenaria, ha approvato il documento «mozione su maternità surrogata a titolo oneroso». Il Comitato nazionale per la bioetica, che si è espresso più volte contro la mercificazione del corpo umano (mozione sulla compravendita di organi a fini di trapianto, 18 giugno 2004; mozione sulla compravendita di ovociti, 13 luglio 2007; parere sul traffico illegale di organi umani tra viventi, 23 maggio 2013), ritiene che la maternità surrogata sia un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione. Il Comitato nazionale per la bioetica ritiene inoltre che l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali che emergono anche dai documenti sopra citati,

impegna il Governo

ad assumere iniziative, a livello nazionale e soprattutto internazionale, in tutte le sedi istituzionali sovranazionali, affinché la surrogazione di maternità, in ogni sua modalità e variante contrattuale, sia riconosciuta come nuova forma di schiavitù e di tratta di esseri umani, e sia quindi reato universalmente perseguibile.
(1-01195)
«Lupi, Buttiglione, Binetti, Calabrò, Bosco, Pagano, Scopelliti».
(22 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    con il termine maternità surrogata, o utero in affitto, oppure gestazione per altri, si intende quella pratica basata sulla disponibilità del corpo di una donna, per realizzare un progetto di genitorialità altrui, per cui si intraprende una gravidanza con l'intento di affidare il nascituro a terzi all'atto della nascita;
    molti sono i Paesi nel mondo in cui non vige un divieto generalizzato di tale pratica. A voler riportare la situazione a livello comunitario, da alcuni dati del Parlamento europeo (resi pubblici a maggio 2013) si rivela che in quasi più della metà degli Stati membri dell'Unione europea non vi è un espresso divieto (è il caso del Belgio, della Danimarca, della Grecia, del Regno Unito, dei Paesi Bassi, solo per citarne alcuni), così come in quasi nessuno degli Stati esiste una legge specifica che disciplini il fenomeno;
    se la situazione europea ancora oggi presenta numerose disomogeneità, altrettanto variegata e complessa sembra essere la situazione nel resto del mondo, dove la maternità surrogata è ammessa e praticata in Paesi estremamente diversi per cultura e ricchezza – si pensi alla Thailandia, al Messico, all'India, al Nepal rispetto agli Usa e al Canada – e dove altrettanto diversi sono gli orientamenti giuridici e le leggi in materia;
    in Canada e negli Stati Uniti, per esempio, la materia è regolamentata in modo dettagliato, affrontando la questione soprattutto da un punto di vista commerciale e creando dei distinguo tra «gestazione altruistica» e «gestazione lucrativa»; così, se nel caso canadese è permesso solo il primo tipo, in alcuni degli otto Stati degli Usa in cui tale pratica è ammessa, si può ricorrere ad entrambe le formule (ad esempio, California e Florida);
    la pratica della maternità surrogata non è solo una tecnica riproduttiva, ma tocca molti diritti umani e temi etici;
    secondo il principio dell'indisponibilità del corpo umano, l'acquisto, la vendita o l'affitto dello stesso sono fondamentalmente contrari al rispetto della sua dignità. La mercificazione del bambino e la strumentalizzazione del corpo della donna sono anch'essi contrari alla dignità umana. Tuttavia, alcune donne acconsentono ad impegnarsi in un contratto che aliena la loro salute e la loro dignità, a vantaggio dell'industria e dei mercati della riproduzione, sotto la spinta di molteplici pressioni, spesso di natura esclusivamente economica. E, in particolare in quei Paesi dove vige una regolamentazione molto dettagliata, si è sviluppato un fiorente «mercato della riproduzione» che vanta un fatturato annuo di svariati miliardi di dollari;
    la pratica della maternità surrogata viene realizzata da imprese che si occupano di riproduzione umana, in un sistema fortemente organizzato che comprende cliniche, medici, avvocati e agenzie di intermediazione. Questo sistema ha bisogno di donne come mezzi di produzione in modo che la gravidanza e il parto diventino delle procedure funzionali, dotate di un valore d'uso e di un valore di scambio, e si iscrivano nella cornice della globalizzazione dei mercati che hanno per oggetto il corpo umano;
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 ha affermato il principio della difesa della dignità umana come obiettivo primario da perseguire, oltre che nel perimetro di sovranità dei singoli Stati, anche nello spazio delle relazioni internazionali, con ciò escludendo la legittimità di ogni pratica mercantile di scambio che abbia ad oggetto gli esseri umani;
    la Convenzione sui diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 (ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176) impegna gli Stati ad adottare tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla stessa Convenzione e, in particolare, il diritto dei bambini a non essere privati degli elementi costitutivi della loro identità (articolo 8) e il diritto ad essere protetti contro ogni forma di sfruttamento economico (articolo 32);
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce, all'articolo 3, il «divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro»;
    la Convenzione di Oviedo, sottoscritta il 4 aprile 1997, sui diritti dell'uomo e la biomedicina, all'articolo 21, stabilisce che «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»;
    la risoluzione del Parlamento europeo sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne del 5 aprile 2011 (2010/2209(INI)), impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;
    il 17 dicembre 2015, il Parlamento europeo ha discusso e approvato la risoluzione per la Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia; al paragrafo 115 della risoluzione approvata, il Parlamento europeo «condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani»;
    nella Commissione affari sociali, sanità e sviluppo sostenibile del Consiglio d'Europa si sta discutendo il rapporto «Human rights and ethical issues related to surrogacy», da cui emerge che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa dovrebbe scoraggiare ogni forma di maternità surrogata per profitto;
    nel diritto internazionale ed europeo, non è comunque prevista alcuna disposizione giuridica che vieti in maniera universale la maternità surrogata;
    in Italia, la legge n. 40 del 2004 prevede espressamente il divieto di pratiche riconducibili al cosiddetto utero in affitto. Recita infatti l'articolo 12, comma 6, della citata legge: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    le conseguenze sociali, economiche e giuridiche che derivano dal ricorso di sempre più coppie alla surrogata sono molteplici e di difficile gestione, anche in Italia, dove la pratica è formalmente vietata;
    è necessario attivarsi in tutte le sedi opportune per riconoscere e tutelare in maniera omogenea negli ordinamenti nazionali e internazionali i diritti delle donne e dei bambini oggetto di sfruttamento e di mercificazione e porre fine a questa moderna forma di schiavitù,

impegna il Governo:

   a richiedere, nelle opportune forme e sedi internazionali, il rispetto, da parte dei Paesi firmatari, delle convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino;
   a promuovere la messa al bando universale di tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata, attraverso l'adozione di un'apposita convenzione internazionale, per sancire definitivamente i principi di indisponibilità del corpo umano e della protezione della vita e dell'infanzia.
(1-01187)
«Carfagna, Centemero, Prestigiacomo, Occhiuto, Brunetta, Archi, Biancofiore, Biasotti, Calabria, Castiello, Fabrizio Di Stefano, Garnero Santanchè, Gelmini, Giacomoni, Gullo, Laffranco, Palmieri, Polidori, Romele, Santelli, Elvira Savino, Squeri, Vella».
(7 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'utero in affitto è una pratica per cui una donna si impegna mediante contratto a sottoporsi a fecondazione assistita e a cedere per sempre a terzi il nato appena partorito;
    tali contratti di surrogazione di maternità dettagliano comportamenti personali ed obblighi della madre surrogata per tutto il periodo della gravidanza e sono finalizzati a garantire la salute del nascituro secondo criteri stabiliti dalla coppia (o singola persona) che commissiona la gravidanza, criteri che determinano un controllo strettissimo della vita della gestante e solitamente includono anche l'aborto nel caso di malformazioni del feto o l'aborto selettivo in caso di gravidanza multipla non prevista;
    è evidente che solo donne in condizioni di subalternità sociale, di vulnerabilità e di necessità economica possono consentire a tali pratiche, profondamente irrispettose della dignità della donna e lesive dei diritti del nascituro;
    i nati da surrogazione di maternità hanno sempre – a parte rarissime eccezioni – una madre genetica diversa da quella gestazionale, in modo che la madre che partorisce non possa rivendicare, in caso di ripensamento, il bimbo come proprio, dato che esiste anche una madre biologica; il contratto di surroga prevede solitamente, quindi, anche l'acquisto di ovociti da parte dei committenti;
    i contratti di surroga hanno spesso connotazioni razziste: la scelta della madre genetica avviene a seconda delle caratteristiche desiderate (colore della pelle, degli occhi, qualità estetica, quoziente intellettivo, livello degli studi) e tali caratteristiche determinano il prezzo dei gameti, mentre per le madri surrogate è sufficiente un buono stato di salute, anzi sono spesso scelte tra donne di Paesi terzi, per motivi di convenienza economica e di minori garanzie per le gestanti;
    mentre la madre genetica, mediante analisi del dna, può teoricamente essere sempre rintracciabile da parte del nato, per le madri surrogate questo non può ovviamente avvenire e va ricordato che nella gran parte dei casi dei contratti di surroga non resta alcuna traccia nell'anagrafe dei nati;
    la surrogazione di maternità, per la molteplicità di figure committenti e genitoriali coinvolte a vario titolo, è una nuova forma di tratta di donne e bambini al di fuori di qualsiasi controllo, anche negli Stati dove è regolata da leggi, tanto che non esistono dati attendibili neppure sul numero dei nati con questa procedura e gli studi in proposito sono scarsi;
    le stime parlano comunque di un mercato internazionale fiorente e in continua crescita, intorno a vere e proprie organizzazioni internazionali con team di medici, legali e mediatori di vario tipo, che hanno basi anche nel nostro Paese, in aperta violazione della legge n. 40 del 2004, che, al comma 6 dell'articolo 12, recita: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    il divieto e le sanzioni previste dalla legge vigente non sembrano essere applicate né alle coppie italiane che fanno ricorso all'utero in affitto all'estero (nonostante il reato commesso all'estero sia perseguibile attraverso il ricorso all'articolo 9 del codice penale anche quando la pena prevista sia inferiore ai tre anni), né a chi organizzi e pubblicizzi in Italia la maternità surrogata, predisponendo il ricorso alla pratica fuori dal nostro Paese;
    si assiste all'assidua presenza sui media di coppie che hanno fatto ricorso a una pratica vietata, aggirando o violando la legge italiana, in popolari trasmissioni di approfondimento e di intrattenimento, in cui della procedura di surrogazione di maternità si offre un'immagine nettamente positiva, ignorando tutti gli aspetti contrattuali, commerciali e di sfruttamento finora illustrati;
    in Italia si sta consolidando una prassi per cui i tribunali interpellati consentono alle coppie che hanno fatto ricorso all'utero in affitto all'estero di trascrivere l'atto di nascita dei nati con questa procedura senza incorrere in alcuna sanzione, ma, al contrario, riconoscendo le coppie committenti come genitori legali del nato,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative di propria competenza, in particolare alla luce dell'articolo 9 del codice penale, per far sì che possano essere applicate le sanzioni già previste dalla legge n. 40 del 2004 per la surrogazione di maternità;
   ad adottare iniziative per intervenire sul comma 6 dell'articolo 12 della legge n. 40 del 2004 al fine di evitare interpretazioni ambigue, estendendo in modo esplicito le sanzioni previste a chi realizzi e organizzi la pratica della surrogazione di maternità per se stesso;
   ad assumere iniziative volte a prevedere che, per consentire la trascrizione in Italia dell'atto di nascita dei nati a seguito di surrogazione di maternità all'estero, sia necessario fornire copia originale del contratto di surroga, da depositare all'anagrafe del nato, dal quale si evincano con chiarezza sia l'identità della madre surrogata sia gli estremi degli eventuali fornitori di gameti, in modo che al nato sia sempre garantita la possibilità di conoscere le modalità del proprio concepimento e le proprie origini biologiche, perché non vi siano discriminazioni in merito al diritto alle origini.
(1-01218)
«Roccella, Piso, Caon, Bueno, Prataviera, Matteo Bragantini, Vaccaro, Distaso, Fucci, Corsaro, Chiarelli, Palese, Laffranco, Palmieri».
(6 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    con l'espressione «procreazione medicalmente assistita» la legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), si riferisce a quel fenomeno comunemente conosciuto con il nome di «fecondazione artificiale», che può essere sinteticamente definito come l'insieme delle tecniche mediche che consentono di dare luogo al concepimento di un essere umano senza la congiunzione fisica di un uomo e di una donna, operando all'interno (fecondazione artificiale intracorporea o in vitro) oppure al di fuori (fecondazione artificiale extracorporea o in vitro o, come si dice più comunemente, in provetta) delle vie genitali della donna e impiegando gameti appartenenti alla stessa coppia che si sottopone alle tecniche (fecondazione omologa) oppure provenienti in tutto o in parte da donatori esterni (fecondazione eterologa);
    secondo l'articolo 12, comma 6, «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    allo stato attuale la maternità surrogata è consentita dalla legge con modalità differenti nei seguenti Paesi: Stati Uniti, Brasile, Canada, Repubblica ceca, Romania, Ucraina, Russia, Sudafrica, Armenia, India, Cambogia, Thailandia, Australia; mentre tra i Paesi membri dell'Unione europea la maternità surrogata a titolo gratuito è consentita con modalità legislative diverse in Danimarca, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio e Grecia;
    tra i Paesi membri del Consiglio d'Europa, la Russia non ha ancora firmato la Convenzione di Istanbul, mentre la Romania e l'Ucraina hanno provveduto solo a firmarla;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) è entrata in vigore in Italia nel giugno 2013;
    ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 3 (capitolo III – prevenzione), della suddetta Convenzione «Tutte le misure adottate ai sensi del presente capitolo devono prendere in considerazione e soddisfare i bisogni specifici delle persone in circostanze di particolare vulnerabilità, e concentrarsi sui diritti umani di tutte le vittime»;
    ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 3 (capitolo IV – sostegno e protezione), le Parti si accertano che le misure adottate in virtù del presente capitolo: siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima; mirino ad accrescere l'autonomia e l'indipendenza economica delle donne vittime di violenze; soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i minori vittime di violenze e siano loro accessibili”;
    secondo l'articolo 47 (Condanne pronunciate sul territorio di un'altra Parte contraente) «Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per prevedere la possibilità di prendere in considerazione, al momento della decisione relativa alla pena, le condanne definitive pronunciate da un'altra Parte contraente in relazione ai reati previsti in base alla presente Convenzione»;
    il Consiglio dell'Unione europea ha approvato il rapporto annuale «Diritti umani e democrazia nel mondo nel 2014», redatto dal Servizio europeo per l'azione esterna. Il rapporto illustra il ruolo dell'Unione europea nel panorama comunitario e internazionale rispetto alla promozione dei diritti umani, sottolineando i risultati raggiunti e gli ostacoli incontrati;
    in primo luogo, il rapporto sottolinea il costante impegno dell'Unione europea nel promuovere, con 37 Paesi terzi e gruppi regionali, dialoghi e consultazioni sul tema dei diritti umani, così come indicato nelle linee guida del giugno 2001 sulla «Promozione dei diritti umani nelle azioni esterne dell'Unione europea». Lo stesso è stato fatto con la maggior parte dei 79 Paesi dall'Africa, Pacifico e Caraibi che sono parte della Convenzione di Cotonou;
    il 17 dicembre 2015, il Parlamento europeo ha discusso e approvato la risoluzione riguardo alla sopra citata relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia;
    nell'ambito della tutela delle donne e delle ragazze, al paragrafo 115 della risoluzione approvata, il Parlamento europeo «condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché i Paesi membri e non del Consiglio d'Europa firmino, ratifichino e rispettino la Convenzione sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e contro la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), in particolare i Governi membri rumeno, ucraino e russo, prendendo in considerazione nello specifico l'articolo 47 della suddetta Convenzione;
   ad intervenire nelle sedi opportune affinché, nell'ambito del più ampio dialogo sul rispetto dei diritti umani e della tutela della donna, sia favorito, con i Paesi membri e non, un confronto riguardo alla pratica della maternità surrogata, come descritta nel citato paragrafo 115 della risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 17 dicembre 2015.
(1-01223)
«Spadoni, Di Vita, Grillo, Colonnese, Lorefice, Mantero, Silvia Giordano, Baroni, D'Incà».
(13 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    a discussione sul tema delle unioni civili e i recenti fatti di cronaca che hanno riguardato note figure politiche hanno riproposto all'attenzione dell'opinione pubblica la pratica aberrante della maternità surrogata;
    la maternità surrogata rappresenta indubbiamente un tema complesso e delicato e con numerose zone d'ombra;
    oggi, infatti, mediante la surrogazione di maternità, risulta concepibile che una donna esterna alla coppia possa portare nel proprio grembo un bimbo che sarà poi, a tutti gli effetti legali, figlio della coppia committente, sulla base di un «contratto» che può essere a titolo gratuito oppure oneroso. Dunque, la madre surrogata si obbliga a provvedere alla gestazione e al parto di un bambino che sarà poi «consegnato» alla coppia committente, rinunciando così a ogni diritto sul nascituro. Quali che siano le ragioni che spingono coppie e singoli a rivolgersi a questa pratica, resta il fatto che alla base vi è una sovrapposizione non condivisibile tra aspirazioni e diritti, che annulla ogni riferimento alla dimensione comunitaria e confina la maternità ad una prospettiva totalmente individualistica;
    nella maternità surrogata si chiede a una donna di portare in grembo un bambino, per poi darlo via appena nato. Le si chiede anche di mutare il suo comportamento e di rischiare di diventare poi sterile; di accettare le eventuali patologie legate allo stato di gravidanza, potenzialmente anche molto pericolose e talora mortali. La donna deve mettere a disposizione il suo metabolismo per il desiderio di genitorialità di altre persone, dalle quali è usata come un contenitore e un'incubatrice;
    in un mondo occidentale in cui, anche per le difficoltà economiche che gravano sulle famiglie, è sempre più difficile fare figli, la madre perde il diritto anche a essere chiamata mamma, costretta a sottoporsi totalmente alle esigenze del mercato, mentre, per chi può permetterselo, la «produzione» dei figli è appaltata in outsourcing, secondo criteri di convenienza industriale;
    la maternità surrogata o «gestazione per altri» o «utero in affitto» istituisce un contratto che stabilisce la proprietà del bambino come oggetto, di cui risulta molto difficile evitare la mercificazione, anche nel caso si dichiari la scelta libera della madre naturale; la natura commerciale del contratto è provata, in particolare, dall'obbligo di distinguere tra la donna che dona l'ovocita e la donna che effettivamente conduce la gravidanza;
    nella maternità surrogata il bambino, oltre ad essere sottratto alla propria madre biologica, viene espropriato del diritto a conoscere le proprie origini;
    è tempo dunque che i Paesi occidentali, dai quali partono i ricchi compratori, si assumano le loro responsabilità ponendo in atto iniziative e leggi per scoraggiare la domanda;
    la pratica della maternità surrogata si sta infatti diffondendo nel mondo, creando una pericolosa deriva verso quello che potremmo definire «diritto al figlio», senza alcun rispetto per i diritti umani e i principi etici fondamentali. L'Europa, in particolare, deve assumere un ruolo guida nella difesa dei diritti umani, anche e soprattutto in virtù dei suoi motivi fondanti;
    la maternità surrogata o «gestazione per altri» o «utero in affitto» risulta essere in contraddizione con i principi delle stesse istituzioni europee, contro lo sfruttamento del corpo umano, il diritto del bambino ad avere una madre, nonché con la Convenzione su diritti umani e biomedicina (Convenzione d'Oviedo) che prevede: «Il corpo umano e le sue parti non devono essere in quanto tali fonte di profitto» (articolo 21), con il diritto a conoscere le proprie origini o con la Convenzione sulle adozioni che stabilisce che le madri abbiano tempo dopo il parto prima del consenso all'adozione;
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, alla quale l'articolo 6 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, ha attribuito lo stesso valore giuridico vincolante dei trattati, è sicuramente il punto di riferimento in questo contesto;
    si segnala a questo proposito la condanna da parte del Parlamento europeo della pratica della surrogazione senza distinzione tra «altruistica» e «per profitto», e la richiesta, nella risoluzione adottata il 5 aprile 2011, agli Stati membri di riconoscere il grave problema della surrogazione della maternità, quale sfruttamento del corpo e degli organi produttivi, rilevando, allo stesso tempo, come nella surrogazione di maternità si ravvisi chiaramente il pericolo di considerare donne e bambini quali merci sul mercato internazionale della riproduzione sino a produrre l'effetto di incrementare la tratta di tali soggetti, nonché le adozioni illegali transnazionali;
    il 30 novembre 2015, la «Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia» del Parlamento europeo, al comma 114, nella parte sui diritti delle donne e delle ragazze ha condannato «la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani»;
    il 15 marzo 2016 la Commissione questioni sociali e salute del Consiglio d'Europa ha respinto l'adozione di un progetto di risoluzione e di un progetto di raccomandazione su «Diritti umani e questioni etiche relative alla gestazione per altri», in cui si chiedeva di regolare la gestazione per altri, evitando lo sfruttamento a scopo di lucro ma senza incoraggiare gli Stati membri del Consiglio a evitare tale pratica;
    il 2 febbraio 2016 si è costituita presso il Parlamento francese, su iniziativa tra le altre della filosofa Sylvaine Agacinski l'assise mondiale contro la pratica della maternità surrogata, ed è stata firmata la Carta per l'abolizione universale della maternità surrogata che esplicitamente chiede il bando dal mondo intero;
    anche l'Italia, dove la surrogazione di maternità è vietata, è chiamata a fare la sua parte, essendo ipocrita e inaccettabile per i presentatori del presente atto di indirizzo che il divieto di questa pratica sul suolo nazionale possa essere aggirato grazie all'impossibilità di sanzionarlo se la maternità surrogata è eseguita all'estero;
    sta accadendo in questo campo quanto accade già per la vendita di gameti per la fecondazione eterologa – un'altra modalità di commercializzazione del corpo umano e di sfruttamento del corpo delle donne – per la quale il divieto previsto dalla legge italiana è aggirato da alcune regioni con l'acquisto da altri Paesi, nei quali stranamente a differenza dell'Italia le donatrici sembrano abbondare;
    in realtà, nella surrogazione della maternità, come e più che nella «donazione» di gameti, si concretizza una crudele forma di sfruttamento della donna e del suo corpo (e non solo di esso); tali donne risultano vittime, in massima parte inconsapevoli, di un vero e proprio «turismo procreativo» e come tale da condannare e da perseguire al pari secondo i firmatari del presente atto del cosiddetto «turismo sessuale», perpetrato a danno di minori;
    in questo quadro fattuale, così articolato, è evidente come non siano poche le problematiche che sorgono sia dal punto di vista etico, che da quello giuridico. Difatti, sono pochi i Paesi in cui tale pratica risulta legale e molti quelli in cui, al contrario, non è consentita o addirittura non considerata affatto dall'ordinamento giuridico, nel senso che non è regolata da nessuna norma;
    una pratica che la legge n. 40 del 2004 vieta già in Italia, ma per la quale l'entità della pena prevista non consente l'automatica perseguibilità del reato quando questo sia commesso all'estero. Taluni Paesi, infatti, considerano tale pratica illecita, mentre altri, al contrario, ritenendola lecita, la regolamentano mediante apposite leggi;
    in generale, la maggior parte dei sistemi giuridici occidentali è orientata ad evitare gli atti dispositivi del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica, quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o quando rappresentino forme di possibile sfruttamento di condizioni di bisogno;
    per effetto delle pratiche surrogatorie (in particolar modo di quelle eterologhe), la maternità assume caratteri di sempre più marcata «procedimentalizzazione», che ne intaccano la naturale fisionomia «unitaria», a causa del coinvolgimento di figure diverse (la madre genetica, la madre biologica e la «committente»), tutte potenzialmente idonee a rivendicare un titolo di genitura esclusiva sul nato. Il diritto si muove quindi attualmente in un mare periglioso, essendo chiamato con maggior frequenza a stabilire quale, tra i diversi soggetti che pure hanno dato un contributo causale alla realizzazione di quell'articolato «procedimento medico-legale», in cui si risolve la maternità surrogata, debba essere considerato «genitore» agli effetti legali, con tutto quel che ne deriva in termini di assunzione dei diritti e delle connesse responsabilità sul nato. In particolare, ci si chiede se la prevalenza dovrà essere data in via di principio al fattore naturalistico o a quello volontaristico-sociale e, all'interno dello stesso fattore naturalistico, in caso di conflitto tra la madre genetica e quella uterina, quale sia quella a cui l'ordinamento debba accordare preferenza;
    nel nostro Paese, attualmente, la materia non è disciplinata in modo organico, ovvero con una legge apposita; il quadro di riferimento della normativa vigente è costituito unicamente dalla previsione contenuta al comma 6 dell'articolo 12 delle legge 19 febbraio 2004, n. 40, che punisce con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 ad un milione di euro chi organizza o pubblicizza la surrogazione di maternità;
    il divieto di maternità surrogata posto dalla legge italiana, disposto ai sensi del comma 6 dell'articolo 12 delle legge n. 40 del 2004, benché presidiato da una sanzione penale (reclusione da tre mesi a due anni e multa da 600.000 a un milione di euro) – sanzione applicabile, oltre che alle cliniche e al personale sanitario coinvolto nella procedura, anche ai soggetti che vi ricorrono (coppia committente e madre surrogata) – non risolve i problemi sopra accennati (potendo al massimo contribuire a prevenirli in virtù della forza deterrente della norma incriminante), dato che questi sono destinati a ripresentarsi tutte le volte che la maternità surrogata sia eseguita nonostante e contro il divieto legale;
    la disposizione citata si presta, infatti, ad essere facilmente elusa dal momento che essa non prevede che la surrogazione di maternità realizzata da un cittadino italiano possa essere perseguita anche se effettuata all'estero;
    non risultano infatti casi nel nostro territorio in cui il reato sia stato effettivamente commesso e quindi punito. In vari casi, anzi, i tribunali trascrivono gli atti di nascita di bambini nati all'estero la cui origine non è chiara, nel nome dell'interesse del minore a restare inserito nella coppia che ne ha chiesto l'ingresso in Italia, contestando invece altri tipi di reato come la falsa dichiarazione a pubblico ufficiale;
    né risulta che il Ministro della giustizia sia mai intervenuto per rendere perseguibile il reato commesso all'estero in singoli casi, come pure il codice penale gli avrebbe consentito;
    se, dunque, la legge n. 40 del 2004 ha ritenuto di dover vietare la pratica della surrogazione di maternità commessa in Italia, applicando addirittura ad essa una sanzione penale, è necessario prevedere che, in ossequio ai principi dell'universalità e della personalità della legge penale, tale reato sia punito, altresì, nel momento in cui sia commesso sul suolo estero dal cittadino italiano,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per mettere in atto tutti gli strumenti necessari per evitare la legittimazione della pratica della maternità surrogata in sede europea ed internazionale, intervenendo in particolare in sede di Onu, di Parlamento europeo e di Consiglio d'Europa, con particolare riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, alla Convenzione dei diritti del bambino del 1989, con annesso protocollo sulla vendita dei bambini (2000), alla Risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 con la quale viene condannata la pratica della surrogazione, alla Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica della Unione europea in materia, adottata dalla planaria del Parlamento europeo il 30 novembre 2015, valutando anche l'opportunità di promuovere l'adozione, in ambito internazionale, di un protocollo aggiuntivo alla Cedaw (Carta contro lo sfruttamento e la schiavitù delle donne) che condanni la pratica della maternità surrogata;
   ad assumere iniziative normative volte a far sì che i fatti previsti dal comma 6 dell'articolo 12, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, limitatamente alla fattispecie della surrogazione di maternità, siano puniti anche quando commessi all'estero da cittadino italiano;
   a valutare l'opportunità di ricorrere, nel frattempo e per il tramite del Ministro di giustizia, al dispositivo dell'articolo 9 del codice penale, secondo il quale il cittadino che commette in territorio estero un reato per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di durata inferiore ai tre anni (come nel caso della maternità surrogata) può essere punito su richiesta del Ministro della giustizia;
   ad assumere iniziative volte a prevedere – in ogni caso – che la trascrizione in Italia dell'atto di nascita dei bambini nati all'estero attraverso le tecniche di maternità surrogata possa avvenire solo fornendo la copia originale del contratto di surroga, da depositare all'anagrafe del nato, dalla quale si evincano con chiarezza sia l'identità della madre surrogata, sia le generalità di eventuali fornitori di gameti, in moda da garantire al bambino la possibilità di conoscere in ogni momento le proprie origini biologiche.
(1-01225)
«Dellai, Gigli, Santerini, Fauttilli, Capelli, Piepoli, Sberna, Baradello».
(18 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    in concomitanza con la discussione sul riconoscimento dei matrimoni omosessuali, (presumibilmente anche con finalità strumentali volte a distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dal tema principale, ossia la violazione manifesta del riconoscimento della famiglia quale nucleo fondamentale della società ai sensi dell'articolo 29 della Costituzione), è tornata di estrema attualità la questione della pratica disumana della maternità surrogata;
    il legislatore già nel 2004 con l'approvazione della legge n. 40 aveva fissato il divieto della pratica della maternità surrogata. L'articolo 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 ha sancito che chiunque in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizzata la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro;
    la legge n. 40 che, di fatto, è stata depotenziata a «colpi» di sentenze, anche in relazione al divieto di maternità surrogata non trova piena applicazione. Il divieto e le sanzioni previste dalla legge vigente non sono applicate né alle coppie italiane che fanno ricorso all'utero in affitto all'estero né a chi organizza e pubblicizza in Italia la maternità surrogata, predisponendo il ricorso alla pratica fuori dal nostro Paese;
    fa riflettere ad esempio come personaggi pubblici, noti anche per i loro incarichi di responsabilità politica istituzionale, abbiano reso palese, attraverso i canali mediatici, di aver violato la legge, avallando, così, la tesi di una impunità di fatto;
    appare irragionevole ai firmatari del presente atto di indirizzo come il Parlamento e il Governo, al fine di chiarire l'appartenenza della materia alla sfera tipica della discrezionalità legislativa, non abbiano mai sollevato un conflitto di attribuzione nei confronti di sentenze dove l'autorità giudiziaria ha proceduto all'auto-produzione della disposizione normativa introducendo, di fatto, il riconoscimento della step child adoption anche in casi di ricorso alla maternità surrogata;
    il business della maternità surrogata si è rapidamente esteso ed organizzato. Le aree principali dove opera questa rete sono il Canada, gli Stati Uniti, l'India e l'Ucraina. Negli USA si spendono in media 89 mila euro, in Ucraina 43 mila euro, in India 42 mila euro. In Ucraina può scendere anche a 5-8 mila euro. Alcuni «cataloghi» permettono di scegliere il corredo genetico – colore degli occhi, capelli, e altro – del nascituro. Il punto non è solo la gestational surrogacy, ma anche la cosiddetta third-party reproduction, dove madre e padre legalmente riconosciuti non entrano mai in gioco coi loro corpi e il loro corredo genetico e l'alterità del figlio è integrale. Ogni anno si stima che circa 4.000 coppie italiane si rivolgano a centri ucraini;
    si avverte che sta accadendo qualcosa di poco chiaro, si percepisce che ci sono forze che utilizzano strategie articolate per giungere al proprio obiettivo. L'obbiettivo è quello antico, di scardinare le tradizioni, l'identità culturale, sociale e religiosa del nostro Popolo;
    si tratta di una strategia più volte collaudata che si fonda ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sulla reiterazione della menzogna, sullo sfruttamento di singoli casi che non possono non colpire la sensibilità umana, sul bombardamento mediatico, sulla imposizione di uno standard culturale;
    questo metodo apologetico, già sperimentato tante volte in passato, ha l'obbiettivo di ottenere una crescente adesione alle tesi di un gruppo inizialmente piccolo usando la leva della emotività anziché quella della ragione;
    l'accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell'educazione sfocia, oggi giorno, in un vero e proprio allarme educativo. Sempre più in modo repentino si diffonde un pensiero unico laicista che trova sostegno anche in iniziative legislative, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, irragionevoli; alcune amministrazioni comunali, ad esempio, hanno approvato proposte finalizzate a cancellare dai documenti ufficiali la definizione di padre e madre per sostituirla con espressioni quali genitore 1 e genitore 2, oppure genitore richiedente o altro genitore;
    Chesterton scriveva: «La grande marcia della distruzione culturale proseguirà. Tutto verrà negato. Tutto diventerà un credo. Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro». Con queste parole Chesterton intendeva dire che ciò che fino ad allora era stata un'affermazione di buon senso e di razionalità – per esempio che tutti nasciamo da un uomo e da una donna – in futuro sarebbe diventata una tesi da bigotti, un dogmatismo da condannare e sanzionare. Sosteneva che ci si doveva preparare alla grande battaglia in difesa del buon senso;
    fa riflettere pensare che coloro che sostengono che sia giusto anteporre la libertà di scelta della donna rispetto alla tutela della vita nascente siano gli stessi che da un lato, si impegnano affinché, ad esempio, si preveda anche per legge che i cuccioli di animale non debbano essere separati dalle proprie madri e, dall'altro lato, vogliono che il desiderio alla genitorialità sia riconosciuto senza alcun limite e che si possa realizzare anche attraverso la compravendita dell'utero di donne disperate;
    alla luce delle considerazioni esposte, fa riflettere come in questi giorni il Consiglio d'Europa abbia accolto un ricorso della Cgil per la mancata applicazione della norma sull'interruzione volontaria di gravidanza e stabilito che nel nostro Paese le pazienti continuano a incontrare «notevoli difficoltà» nell'accesso ai servizi, nonostante quanto previsto dalla legge n. 194. La sentenza ha inoltre sancito che l'Italia discrimina medici e personale sanitario che non hanno optato per l'obiezione di coscienza. Questa decisione del Consiglio d'Europa potrebbe mettere a rischio il diritto all'obiezione di coscienza;
    con l'ampliamento – determinato dal trattato di Maastricht – delle competenze e degli obiettivi comunitari anche al di là di quelli strettamente mercantilistici, sono però apparse evidenti e non più trascurabili le interferenze tra la realizzazione del mercato unico e la disciplina dello status delle persone e dei rapporti di famiglia. Così, pur sempre difettando di una diretta competenza comunitaria a regolare, sul piano sostanziale, tale tipo di rapporti, l'azione delle istituzioni ha assunto una crescente incidenza sul diritto di famiglia, fino a condizionare pesantemente la disciplina al riguardo vigente nei singoli Stati membri;
    ad una prima fase, contrassegnata dall'emanazione di atti non vincolanti, specialmente del Parlamento europeo, quali ad esempio le numerose risoluzioni in materia di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali degli individui, tra cui quelle sulla parità dei diritti per gli omosessuali nell'Unione europea, è seguita una seconda fase in cui l'impatto del processo di integrazione europea è andato facendosi sempre più pregnante, sia per la natura degli atti che hanno assunto la forma di strumenti comunitari vincolanti, sia per le finalità perseguite;
    l'incidenza del diritto dell'Unione europea sulla disciplina nazionale si è realizzata anche attraverso la tutela dei diritti fondamentali di cui la Corte del Lussemburgo si è resa principale promotrice;
    oggi, a seguito dell'entrata in vigore della riforma di Lisbona, una codificazione dei diritti fondamentali, per di più con forza giuridica pari a quella dei trattati, esiste anche a livello dell'Unione europea e si identifica, come noto, nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
    in questa Europa, dove prevale esclusivamente la ragione economica, una politica interna occasionale e una politica estera ondivaga, la difesa della sovranità nazionale su temi di tale rilevanza politica deve essere considerata una priorità;
    le decisioni prese in Europa non possono condizionare in alcun modo il diritto alla sovranità nazionale di ogni Stato membro di legiferare in piena autonomia in ambiti etici di tale importanza. Notizie che apparentemente possono essere colte come segnali positivi; si pensi al voto contrario espresso dalla Commissione affari sociali del Consiglio d'Europa sul rapporto «Diritti umani ed i problemi etici legati alla surrogacy», presentato dalla deputata belga Petra de Sutter, ginecologa, favorevole da sempre alla regolamentazione della gpa, vanno considerate sempre, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, nel loro complesso, come vere e proprie ingerenze su tematiche che non devono essere affrontate da questa Europa, incapace, ad oggi, di riconoscere le sue stesse radici;
    la pratica disumana della maternità surrogata o utero in affitto che rappresenta la mercificazione dei bambini e lo sfruttamento del corpo delle donne deve essere condannata come un crimine nei confronti dell'umanità;
    in questa occasione bisogna, con coerenza, ricordare che qualsiasi intervento legislativo volto a garantire il rispetto della donne nell'esercizio dei loro diritti, al fine di raggiungere una piena pari opportunità, non è nulla se si contrappone, nei fatti, ad un totale disinteresse delle istituzioni dinnanzi a casi di recrudescenza di una violenza sistematica nei confronti delle donne, umiliate e sfruttate attraverso pratiche orribili come il ricorso alla maternità surrogata;
    è necessario quindi che si promuova a livello internazionale una moratoria per bandire questo crimine,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, in tutte le sedi competenti, di una moratoria internazionale della pratica, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo disumana, della maternità surrogata;
   ad assumere tutte le iniziative di competenza per far sì che possano essere applicate le sanzioni previste dalla legge n. 40 del 2004 per la surrogazione di maternità;
   a promuovere una maggiore consapevolezza sul tema e ad adottare ogni iniziativa di competenza, in sede europea, affinché si possa diffondere una cultura di tutela dei diritti del nascituro e del minore che sarebbero lesi dal ricorso a pratiche di maternità surrogata.
(1-01226)
«Rondini, Saltamartini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Simonetti».
(18 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    «la gestazione per altri (gpa) o maternità surrogata è la pratica attraverso la quale una donna decide di portare avanti una gravidanza per conto di altre persone (single o coppie etero e omosessuali»;
    nel mondo, la regolamentazione delle donatrici di gameti e della gestazione per altri, variano da Paese a Paese, spaziando dal divieto assoluto ai modelli basati sul vincolo del dono o a quelli basati sui rimborsi minimi, fino alla completa assenza di limiti giuridici;
    in Italia, la maternità surrogata è illegale; la legge n. 40 del 2004 prevede espressamente il divieto di pratiche riconducibili al cosiddetto utero in affitto. Recita infatti l'articolo 12, comma 6, della citata legge: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    il divieto e le sanzioni previste dalla legge vigente, sono sistematicamente disattesi. Infatti, le coppie che fanno ricorso all'utero in affitto all'estero (nonostante il reato commesso all'estero sia perseguibile attraverso il ricorso all'articolo 9 del codice penale anche quando la pena prevista sia inferiore ai tre anni), e chi organizza e pubblicizza in Italia la maternità surrogata, fuori dal nostro Paese, non subiscono alcuna restrizione o condanna;
    i tribunali interpellati consentono, invece, alle coppie che hanno fatto ricorso all'utero in affitto all'estero di trascrivere l'atto di nascita dei neonati, riconoscendo le coppie committenti come genitori legali;
    oggi, medicina riproduttiva e medicina rigenerativa hanno aperto nuovi mercati globali, direttamente legati alle potenzialità generative e riproduttive dei corpi. Cresce, infatti, a livello mondiale, la domanda di ovociti, uteri, sperma, placenta, sangue del cordone ombelicale, cellule staminali, embrioni da utilizzare anche nell'industria farmaceutica e nel campo della ricerca. Prolificano cliniche specializzate in fecondazione assistita e maternità sostitutiva e si stanno diffondendo agenzie intermediarie capaci di reperire nel mercato questi materiali in vivo;
    solo per citare alcuni esempi, il prezzo medio di ovociti negli Stati Uniti si aggira intorno ai 10.000 dollari, mentre le madri surrogate sono pagate dai 20.000 a 150.000 dollari circa. I genitori committenti, quasi sempre devono sostenere costi molto elevati per l'aggiunta di procedure cliniche e spese legali;
    in India il contratto più diffuso comprende il pagamento di uno stipendio a intervalli regolari per la donna che si impegna a portare a termine una gravidanza per una coppia committente. Il compenso è fino a 7 volte maggiore del loro reddito annuale medio, per questo le donne acconsentono alla trasformazione del loro utero in una risorsa, capace di proporre rendita;
    la maternità surrogata o di sostituzione (altrimenti detta surrogazione di maternità, in inglese surrogate mother o surrogacy), rispetto alle ordinarie procedure di fecondazione artificiale (omologa o eterologa) richiede la collaborazione di una donna estranea alla coppia (che può essere la stessa donatrice dell'ovulo impiegato per la fecondazione o una donna diversa) che mette a disposizione il proprio utero per condurre la gravidanza e si impegna a consegnare il bambino, una volta nato, alla coppia «committente» (ossia alla coppia che ha manifestato la volontà di assumersi la responsabilità genitoriale nei confronti del nato);
    a seconda che la madre surrogata si limiti ad accogliere in grembo un embrione che le è geneticamente estraneo o contribuisca alla procreazione dello stesso, fornendo ai «committenti» i propri gameti, si distingue tra «surrogazione per sola gestazione» (si parla in tal caso anche di «donazione», se a titolo gratuito, o di «locazione» o «affitto» d'utero, se è pattuito un corrispettivo) e «surrogazione per concepimento e gestazione»;
    la surrogazione per sola gestazione può essere, «omologa» (in questo caso la madre sostituita accoglie un embrione formato dai gameti forniti dai genitori naturali) o «eterologa» (quando l'embrione da impiantare nell'utero della surrogata è il frutto dell'incontro tra il gamete di un membro della coppia richiedente e quello di un terzo donatore di seme o di una ovo donatrice); nella surrogazione «eterologa» i gameti da cui deriva l'embrione impiantato nel grembo della madre sostituta possono essere forniti da terze persone, estranee tanto alla coppia committente quanto alla stessa madre surrogata;
    la surrogazione di maternità porta con sé i limiti di un contratto che potrebbe imporre l'interruzione di gravidanza in caso di malformazioni del feto o la soppressione di uno o più feti nel caso la gravidanza si presenti come gemellare o multipla;
    il contratto di maternità surrogata di solito prevede un compenso che risarcisca per l'impegno assunto e sostenga economicamente fino al parto la mamma surrogata;
    la pratica della maternità surrogata non di rado porta il nascituro ad avere due madri biologiche (una genetica e una gestazionale) ma può accadere che la madre legalmente riconosciuta sia una terza donna, fatto questo che ha implicazioni antropologiche e sociali;
    il legittimo desiderio di avere bambini non è un diritto esigibile;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, ritiene lesiva dei diritti «il reclutamento (...) di persone (...) con l'abuso (...) della condizione di vulnerabilità (...) a fini di sfruttamento (che) comprende pratiche simili alla schiavitù e specifica che, in questi casi, il consenso della vittima allo sfruttamento è irrilevante»;
    la surrogazione di maternità è a giudizio dei firmatari del presente atto di sindacato ispettivo in contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 che, all'articolo 1, recita: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti», perché i nati da maternità surrogata, a differenza di tutti gli altri bambini del mondo, non cresceranno con la donna che li ha partoriti, cioè la madre, ma con persone che vi hanno stipulato un contratto e l'hanno costretta ad abbandonarlo alla nascita;
    la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, all'articolo 8, stabilisce che «Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità», e all'articolo 32, dispone che «Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico»;
    la pratica della maternità surrogata contrasta per i firmatari del presente atto con la cosiddetta Convenzione di Istanbul, in cui, con l'espressione «violenza nei confronti delle donne», si intende designare una violazione dei diritti umani comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica; e con la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997), che, all'articolo 21 stabilisce che «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»; principio ribadito dall'articolo 3 della Carta europea dei diritti fondamentali (2000) sul diritto all'integrità della persona, in particolare quando prevede che si rispetti «il divieto di fare del corpo umano e sue parti in quanto tali una fonte di lucro»;
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce, all'articolo 3 il «divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro»;
    la risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;
    il Parlamento europeo nella risoluzione sulla Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 «condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani»;
    anche il Consiglio d'Europa che sta discutendo il rapporto «Human rights and ethical issues related to surrogacy», dovrebbe pronunciarsi, a quanto consta ai firmatari del presente atto, scoraggiando ogni forma di maternità surrogata per profitto;
    il Comitato nazionale per la bioetica, ha approvato la «mozione su maternità surrogata a titolo oneroso» ritenendo che la maternità surrogata sia un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione e si è espresso contro la mercificazione del corpo umano con le mozioni sulla compravendita di organi a fini di trapianto, del 18 giugno 2004; sulla compravendita di ovociti, del 13 luglio 2007; ha espresso un parere sul traffico illegale di organi umani tra viventi, il 23 maggio 2013; e ritiene che l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali;
    nel diritto internazionale ed europeo, non è comunque prevista alcuna disposizione giuridica che vieti in maniera universale la maternità surrogata,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, a livello nazionale e internazionale, affinché la surrogazione di maternità sia considerata reato universalmente perseguibile;
   ad attivarsi in tutte le sedi opportune per riconoscere e tutelare in maniera omogenea negli ordinamenti nazionali e internazionali i diritti delle donne e dei bambini oggetto di sfruttamento e di mercificazione nei casi di ricorso a pratiche di maternità surrogata.
(1-01227) «Vezzali, Monchiero».
(18 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si è assistito ad una diffusione del cosiddetto turismo procreativo, vale a dire di quel fenomeno per cui coppie italiane che non possono avere figli si avvalgono della tecnica della surrogazione di maternità in un Paese estero in cui la stessa è consentita;
    questa pratica è, infatti, illegale nel nostro e nella maggior parte dei Paesi europei, con eccezione di Regno Unito, Grecia, Paesi Bassi, Romania, Russia e Ucraina;
    la surrogazione di maternità può assumere due forme distinte: nella prima si tratta specificamente di una surrogazione di concepimento e gestazione, ossia la situazione in cui l'aspirante madre demanda ad un'altra donna sia la produzione di ovociti, sia la gestazione, non fornendo alcun apporto biologico;
    nella seconda si dà corso, invece, a una surrogazione di gestazione, comunemente detta «affitto di utero» o «surrogazione di utero», nella quale l'aspirante madre produce l'ovocita il quale, una volta fecondato dallo spermatozoo dell'aspirante padre, viene impiantato nell'utero di un'altra donna che fungerà esclusivamente da gestante;
    la diffusione del turismo procreativo discende dal divieto di surrogazione di maternità previsto nel nostro ordinamento dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita», che all'articolo 12 stabilisce che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    il ricorso a pratiche di surrogazione di maternità effettuato all'estero, tuttavia, non è in Italia penalmente sanzionabile per effetto di tale norma;
    di conseguenza, sotto il profilo della responsabilità penale afferente alla surrogazione di utero effettuata all'estero la giurisprudenza ha utilizzato approcci diversi, concentrandosi prevalentemente, almeno in una prima fase, sull'analisi della configurabilità del reato di alterazione di stato, di cui al secondo comma dell'articolo 567 del codice penale, che punisce con la reclusione da cinque a quindici anni «chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità»;
    in dottrina si è ampiamente discusso se l'indicazione della madre biologica nel certificato di nascita rilasciato nel Paese estero sia circostanza idonea ad integrare la fattispecie di cui al citato articolo, posto che nel certificato di nascita rilasciato dall'autorità straniera appare il nome della madre biologica, anziché quello della donna che ha partorito, e la parte maggioritaria ha ritenuto applicabile tale fattispecie di reato alla surrogazione di utero;
    in via generale, la dottrina italiana maggioritaria si è, infatti, mostrata restia ad accettare un'attribuzione della qualifica di madre alla donna non gestante, adottando come parametro fondante il concetto giuridico di madre l'esperienza della maternità e non il mero dato biologico, come anche sembra discendere dal citato articolo 269 c.c.;
    si è quindi ritenuto che per integrare il concetto giuridico di madre non sia sufficiente il mero dato biologico, ma sia necessario non solo considerare lo strettissimo legame che intercorre durante la gravidanza, ma anche che l'apporto biologico sia accompagnato dalla decisione responsabile di giungere alla generazione di una nuova vita;
    la giurisprudenza, sinora, si è pronunciata in rare occasione sul tema generale della surrogazione di maternità e, solo recentemente, si è trovata a far fronte alle conseguenze giuridiche del cosiddetto turismo procreativo;
    con riferimento all'applicabilità del reato di cui al citato articolo 567 del codice penale, una interpretazione diversa è stata fornita nell'aprile dal 2014 con una sentenza del tribunale di Milano, nella quale si è affermato che la trascrizione del certificato di nascita estero non avrebbe effetto costitutivo dello status filiationis, ma solamente un mero effetto di pubblicità del registro di stato civile dell'atto formatosi all'estero, negando, di conseguenza, la configurabilità del delitto di alterazione di stato nella mera richiesta di trascrizione del certificato di nascita estero;
    di contro, la sentenza del tribunale di Milano ha, invece, riconosciuto i due coniugi indagati colpevoli del reato di cui all'articolo 495 del codice penale, «Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri», il quale punisce con la reclusione da uno a sei anni «chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità, lo stato o le altre qualità della propria o dell'altrui persona» a causa della falsa dichiarazione resa dal marito in ordine alla qualifica di madre biologica della moglie;
    in base alla sentenza, la falsa dichiarazione che si effettua nei casi di surrogazione di maternità sarebbe diretta a sottrarre al patrimonio conoscitivo dell'ufficiale d'anagrafe un elemento potenzialmente valutabile ai fini del rifiuto della trascrizione, ai sensi dell'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, in forza del quale gli atti formati all'estero non possono essere trascritti se sono contrari all'ordine pubblico;
    il giudice di Milano nella sentenza ha, inoltre, rilevato come seppure sia vero che il desiderio di genitorialità è pregevole e che la famiglia, intesa in senso lato, sia oggetto di specifica tutela costituzionale, tanto non vale «allorché tale desiderio sia soddisfatto ad ogni costo, anche a probabile discapito del nascituro»;
    la legislazione nazionale sul tema della filiazione, dalla Costituzione in poi, e quella sulle adozioni, dedicano grandissima attenzione a che il desiderio di genitorialità non urti contro i diritti del minore e non travalichi il dato materiale, cioè, per dirla con il giudice di Milano, «le condizioni per mezzo delle quali due soggetti possono naturalmente generare»;
    la maternità surrogata sta diventando un vero e proprio business, basato sullo sfruttamento del corpo delle donne e realizzato in spregio dei diritti più elementari dei bambini che sono trasformati in merci sul mercato internazionale della riproduzione;
    in India il business della maternità surrogata vale oltre due miliardi di dollari l'anno: le «volontarie» sono reclutate nelle zone più povere e producono più di millecinquecento bambini all'anno; la maggior parte della domanda viene dall'estero, spinta dai prezzi bassi: tra i venticinquemila e i trentamila dollari, rispetto ai cinquantamila dollari del trattamento in Usa;
    le «volontarie» che entrano nel circuito legale delle cliniche per la maternità surrogata guadagnano tra gli ottomila e i novemila dollari a gestazione, una cifra che in India corrisponde a dieci anni di lavoro di un operaio non specializzato, mentre quelle che ne rimangono al di fuori sono reclutate da veri e propri « scout», attivi nelle zone più povere, sono pagate molto meno – tra tre e cinquemila dollari – e sono costrette a firmare dei contratti che non prevedono alcun supporto medico post-parto;
    anche negli Stati Uniti il business della maternità surrogata aumenta a ritmo esponenziale, con un numero di nascite di oltre duemila bambini ogni anno, ma i costi complessivi sono molto più elevati e si assestano tra centotrentamila e duecentomila dollari;
    le madri surrogate non hanno alcun diritto sui bambini che pure portano in grembo, e tantomeno sono tutelati in alcun modo quelli dei neonati, costretti a separarsi dalla madre biologica subito dopo il parto, evento assolutamente traumatico;
    il 17 dicembre 2015, nel corso dell'assemblea plenaria del Parlamento europeo, è stato approvato il «Rapporto annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo riguardo il 2014 e le politiche dell'Unione europea in materia»;
    nel Rapporto è stato recepito un emendamento con il quale si afferma che il Parlamento europeo «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani» a disposizione dell'Unione europea nel dialogo con i Paesi terzi;
    il 18 marzo 2016, il Comitato nazionale per la bioetica, organo di consulenza al Governo, al Parlamento e alle altre istituzioni, ha approvato una mozione con la quale definisce la maternità surrogata come «un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione», ritenendo che «l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i princìpi bioetici fondamentali»;
    la legge sulla procreazione medicalmente assistita ha lasciato un vuoto normativo, nulla prevedendo in ordine alla liceità o meno della surrogazione di utero, e più in generale di maternità, attuata all'estero da cittadini italiani;
    appare doveroso affermare dei princìpi chiari e ideare strumenti legali in ambito nazionale e internazionale allo scopo di prevenire l'abuso di diritti umani come lo sfruttamento delle donne e il traffico di essere umani, con messi alla pratica della maternità surrogata e realizzare, al contrario, la protezione dei diritti e il benessere dei bambini,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative normative volte a far sì che il reato di surrogazione di maternità, di cui alla legge n. 40 del 2004, sia in ogni caso punibile anche se commesso all'estero da cittadini italiani;
   a sostenere ogni iniziativa in ambito europeo e internazionale volta a prevenire e contrastare il ricorso a pratiche di surrogazione di maternità, e a riaffermare in ogni sede la tutela e il rispetto per i diritti delle donne e dei bambini;
   nel rispetto dell'autonomia scolastica, a favorire la realizzazione nelle scuole superiori di iniziative di informazione e comunicazione sulla maternità e paternità come scelta consapevole e responsabile, anche attraverso il coinvolgimento degli alunni e delle famiglie.
(1-01228)
«Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».
(19 aprile 2016)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   PIRAS, DURANTI, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da diversi organi di stampa – fra cui la Repubblica e Il Corriere della Sera – una denuncia sarebbe stata inviata ai più alti livelli istituzionali, tra cui la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministro della difesa circa l'operato dell'ammiraglio De Giorgi in qualità di Capo stato maggiore della Marina;
   nello specifico il documento – presumibilmente inviato da un ex collega dell'ammiraglio, come trapela alla stampa – sarebbe molto dettagliato e correlato di numerosi atti ufficiali oltre che da documentazione in originale;
   in particolare sono due gli episodi da menzionare, a detta degli interroganti, per definire la condotta illecita dell'ammiraglio:
    a) nel giugno del 2013, durante una visita a una fregata di Fincantieri a Muggiano (La Spezia) per cui, in quei giorni, si stavano completando le fasi di allestimento della nave, il Capo di stato maggiore ordinò ai dirigenti del cantiere di apportare diverse modifiche, non «gradendo» la ripartizione delle aree destinate al quadrato ufficiali e all'eventuale ammiraglio presente a bordo. In seguito – si apprende sempre dalla ricostruzione fatta – De Giorgi «ufficializzò questa sua volontà specificando di avviare i lavori richiesti anche in assenza dei preventivi e dei necessari atti amministrativi». Successivamente a questo episodio, l'ammiraglio Ernesto Nencioni cercò di allestire una pratica amministrativa che giustificasse l'operato del Capo di stato maggiore. Proprio nell'ambito di quella pratica, il 25 luglio 2013 Fincantieri avrebbe presentato un «punto di situazione» chiedendo il pagamento di 12 milioni 986 mila euro per la modifica dei quadrati e di 30 milioni per le modifiche dei camerini. Da sottolineare che, nell'ambito di tali operazioni, l'ammiraglio Nencioni espresse diverse volte perplessità – ponendo elementi di difficoltà – per quanto richiesto dal superiore. Tali difficoltà furono superate con missiva del Capo di stato maggiore della Marina con cui si chiedeva di procedere con le modifiche;
    b) il secondo caso riguarda invece uno dei contratti varati con il cosiddetto «programma navale» (già oggetto di atti di sindacato ispettivo da parte di appartenenti al gruppo parlamentare della Camera dei deputati di Sinistra Italiana-Sel), cioè lo stanziamento straordinario di oltre 5 miliardi per l'ammodernamento della flotta navale. Tale questione ha innanzitutto interessato l'indagine di Potenza, per cui secondo l'accusa dei pubblici ministeri lucani l'ammiraglio De Giorgi avrebbe chiesto l'intervento di Gianluca Gemelli – allora compagno del Ministro dello sviluppo economico Guidi – per far sì che dal Ministero venissero sbloccati i fondi necessari. In cambio di ciò avrebbe fatto nominare al vertice del porto di Augusta una figura gradita al Gemelli stesso. Inoltre, tra le navi finanziate con la suddetta legge, ve ne sarebbe una con particolari caratteristiche combat: un mezzo lungo 32 metri capace di raggiungere, a pieno carico, i 70 nodi. Fra i compiti di questa imbarcazione vi sarebbe quello di trasportare squadre di incursori del «Comsubin» alla massima velocità: è previsto infatti che tra uomini e anni, lo scafo arrivi a un carico di 36 tonnellate. Il tutto con materiali stealth invisibili ai radar. Il contratto risulta essere stato affidato da De Giorgi alla società Aeronautical service (azienda con sede a Fiumicino) senza nessuna gara e con una spesa di 30 milioni di euro. Tutti gli atti sull'acquisto del superscafo risultano secretati e non sono mai state diffuse informazioni sul disegno del mezzo. Inoltre, a quanto si apprende, diverse voci si sarebbero levate nel dubitare circa le competenze della stessa Aeronautical service, che non sembra aver mai realizzato progetti simili a questo;
   nelle autorizzazioni alle spese militari, avrebbe avuto a lungo un ruolo chiave l'ex capo ufficio bilancio della difesa – ed amico stretto di Gianluca Gemelli – Valter Pastena, che risulta indagato alla procura di Potenza. Fra gli elementi a suo carico vi sarebbe un'intercettazione in cui lo stesso discute con De Giorgi circa nomine e appalti, dichiarandosi disponibile a manovre parlamentari utili a agevolare appunto il flusso di finanziamenti, partendo anche da una ferma e alternativa opposizione alla riforma della difesa del Ministro interrogato;
   ad avviso degli interroganti, le indiscrezioni trapelate dalla inchiesta della procura di Potenza sulle spese «pazze» dei vertici della Marina – con particolare riferimento al Capo di stato maggiore – se provate costituirebbero caso gravissimo e profondamente lesivo sia dell'immagine della Marina stessa che delle istituzioni repubblicane;
   sempre a giudizio degli interroganti, già il reiterato sospetto di condizioni di privilegio e spreco – in anni in cui si procede sulla linea della spending review in ogni ramo della pubblica amministrazione e degli apparati dello Stato – da parte di chi per primo dovrebbe consegnare esempio di sobrietà, rigore e attaccamento alle istituzioni, costituirebbe elemento sufficiente per rassegnare le dimissioni;
   per quanto appreso dalla stampa, al Ministero della difesa in molti sarebbero stati a conoscenza delle azioni del Capo di stato maggiore della Marina;
   pur restando fermo il principio della presunzione di non colpevolezza ex articolo 27 della Costituzione, resta in ogni evidenza la necessità di fare piena luce sui fatti trapelati a mezzo stampa –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno e doveroso fornire chiarimenti, per quanto di competenza, circa ogni possibile profilo di illiceità nella condotta dei vertici della Marina militare, con particolare riferimento alle azioni dell'ammiraglio De Giorgi, assumendo iniziative in via cautelativa per l'immediata sospensione dal servizio del Capo di stato maggiore della Marina, valutando l'opportunità di invitarlo a successive e piene dimissioni. (3-02199)
(19 aprile 2016)

   MOSCATT, AIELLO, PAOLA BOLDRINI, BOLOGNESI, BONOMO, D'ARIENZO, FERRO, FONTANELLI, FUSILLI, GALPERTI, LORENZO GUERINI, LACQUANITI, MARANTELLI, SALVATORE PICCOLO, PAOLO ROSSI, SCANU, STUMPO, VALERIA VALENTE, VILLECCO CALIPARI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   a margine del vertice Nato di Newport nel settembre 2014, è stata decisa la formazione di una coalizione guidata dagli Stati Uniti e con la presenza di Regno Unito, Francia, Italia e di altri Paesi, per giungere all'obiettivo di contrastare l'Isis in Iraq e Siria senza tuttavia l'utilizzazione di truppe di terra, coinvolgendo altresì i vari attori regionali, in primis la Turchia;
   la coalizione anti-Daesh (composta da 61 Paesi), perseguendo un approccio multidimensionale, articola i propri sforzi secondo 5 principali linee di azione: contributo militare, contrasto al flusso dei foreign fighters, confronto sul terreno della narrativa jihadista, lotta alle fonti di finanziamento e assistenza umanitaria, rinnovo dell'impegno per l'Iraq (secondo quanto stabilito il 3 dicembre 2014, a margine della riunione ministeriale Nato);
   uno small group, composto da 21 Paesi, tra cui l'Italia ha il compito di supervisione politica della strategia collettiva;
   una riunione a livello di Capi di Stato e di Governo («Leaders’ summit on cuntering isil and violent extremism»), si è svolta il 29 settembre 2015 a margine dell'Unga, su invito del Presidente Obama, con l'obiettivo di focalizzare le priorità della comunità internazionale nella lotta al terrorismo ed alla radicalizzazione;
   il 30 settembre 2015 gli Stati della coalizione hanno emesso una dichiarazione congiunta in cui ribadiscono che: in Iraq, la coalizione sostiene il Governo del Primo ministro Haider al-Abadi nel suo processo di riforma, riconciliazione e decentralizzazione indispensabili per sanare divisioni etniche e settarie; sostiene altresì la sua cooperazione con il Governo regionale curdo e i rappresentanti delle aree a prevalenza sunnita, le comunità etniche e religiose;
   l'impegno italiano nella coalizione anti-Daesh appare evidente –:
   in ordine alle iniziative anti-terrorismo della coalizione anti-Daesh, ed in particolare al disegno strategico che sottende le attività militari svolte in territorio iracheno, quale ruolo svolga effettivamente l'Italia sia nell'individuazione dei settori prioritari di intervento, anche in un'ottica di lungo periodo, sia nel contributo alle concrete attività poste in essere. (3-02200)
(19 aprile 2016)

   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   per il funzionamento dei suoi servizi in tempo di pace, di guerra o di grave crisi internazionale la Croce rossa italiana dispone di un corpo militare, ausiliario delle Forze armate, il cui personale è sottoposto a tutti gli effetti al codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66;
   i militari della Croce rossa italiana sono impiegati con funzioni di protezione civile in caso di calamità naturali o disastri, assicurano il soccorso sanitario di massa in caso di conflitti e costituiscono uno strumento di fondamentale importanza per fronteggiare le emergenze legate al fenomeno migratorio e al terrorismo internazionale;
   ciononostante con il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, è stata disposta una riorganizzazione della Croce rossa italiana che ne ha, di fatto, stravolto la natura giuridica e l'intera struttura, con una privatizzazione che sta mettendo a rischio la sua presenza sul territorio nazionale e i servizi sinora resi allo Stato ed ai cittadini;
   con riferimento al corpo militare il decreto legislativo n. 178 del 2012 prevede che esso debba rimanere costituito solo da personale volontario in congedo, attraverso la completa smilitarizzazione del contingente di personale permanentemente in servizio entro il 31 dicembre 2017 –:
   se non ritenga di promuovere le opportune iniziative normative, volte a rivedere l'impianto della riorganizzazione della Croce rossa con particolare riferimento alla sua componente militare, salvaguardando l'operatività e la professionalità rappresentate dalla stessa all'interno dell'ente. (3-02201)
(19 aprile 2016)

   GRIMOLDI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   lunedì 11 aprile 2016, il Ministro interrogato, dopo oltre un'ora di confronto con l'assemblea dei sindaci della Brianza, ha prospettato la soluzione della costituzione di un tavolo per la revisione del progetto «Pedemontana lombarda», negando la disponibilità del Governo ad individuare le risorse finanziarie occorrenti per l'ultimazione dell'infrastruttura;
   l'incontro è stato organizzato per esprimere le preoccupazioni delle amministrazioni locali legate alla mancanza di fondi per far decollare le infrastrutture e per assicurare un livello adeguato di servizi alla cittadinanza;
   da quanto è emerso dall'incontro, opere come la metrotranvia «Milano-Desio-Seregno» o il prolungamento della linea 5 della metropolitana da Milano a Monza o il prolungamento della linea 2 della metropolitana fino a Vimercate sono indispensabili e improcrastinabili per i cittadini, ma in questo momento a mettere addirittura in crisi uno dei territori più produttivi del Paese è la Pedemontana, un'opera concepita proprio per rilanciare la Brianza e dare competitività alle industrie locali e che per mancanza di fondi pubblici e per la diminuzione delle entrate da traffico rispetto alle previsioni rischia di restare incompleta;
   ha tanto colpito una frase del Ministro interrogato, riportata dalle agenzie stampa: «lo Stato non può essere un bancomat», in quanto ha ferito cittadini che, per lo più, hanno sempre finanziato le opere pubbliche con il project financing, magari anche in cofinanziamento ma comunque sopperendo le carenze dello Stato;
   gli interroganti ritengono fuori luogo la frase del Ministro interrogato, soprattutto perché è stata rivolta ad un territorio come quello lombardo che, ogni anno, con le tasse dei cittadini e delle imprese finanzia le casse dello Stato con circa 54 miliardi di euro;
   non risulta che queste risorse tornano sul territorio come servizi per i cittadini;
   al contrario l'Anas, con le risorse statali, per anni ha finanziato e continua a finanziare la realizzazione e la gestione di una serie di opere autostradali sulle altre regioni del territorio nazionale; si pensi al finanziamento infinito della Salerno-Reggio Calabria, autostrada senza pedaggio che ancora non ha concluso i lavori e già richiede risorse cospicue per la manutenzione, o alla gestione del grande raccordo anulare di Roma e della Roma-Fiumicino;
   la Pedemontana lombarda è un'opera prioritaria per la Lombardia e ciò sembrerebbe comprovato anche dallo stesso Governo che ha inserito tale opera tra le 25 infrastrutture strategiche per il Paese –:
   se il Ministro interrogato intenda assicurare, per quanto di competenza, un paritario trattamento dei cittadini in tutto il Paese tramite le infrastrutture necessarie per la difesa e il rilancio delle potenzialità territoriali, industriali e commerciali, garantendo l'individuazione delle risorse finanziarie occorrenti per l'ultimazione dell'infrastruttura autostradale Pedemontana lombarda. (3-02202)
(19 aprile 2016)

   MONCHIERO e RABINO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A33, che collega Asti a Cuneo, in tutto 93 chilometri, attualmente in parte aperta al traffico, in parte in costruzione e in parte ancora solo in progetto, è gestita dall'Autostrada Asti-Cuneo spa, costituita il 1o marzo 2006 (partecipata al 60 per cento dalla società Autostrada Ligure Toscana spa, al 35 per cento dall'Anas spa e al 5 per cento da Itinera spa), in qualità di concessionaria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   dei lotti ancora da completare, i più nevralgici sono quelli 2.5 e 2.6, soprattutto nel tratto che interessa il territorio di Castagnito-Alba e di Cherasco-Alba;
   si è quindi creata una situazione assurda, con la Asti-Cuneo quasi completata ma interrotta nel bel mezzo, fra Alba e Cherasco, ove il traffico viene deviato sulla viabilità ordinaria del tutto inadeguata, con gravi penalizzazioni per i cittadini e per le imprese della zona;
   negli anni scorsi la società concessionaria, avanzando problemi nel reperimento dei fondi, aveva chiesto di rinviare l'esecuzione del lotto 2.5 e la costruzione della galleria sotto il fiume Tanaro e di utilizzare, come soluzione alternativa, temporanea e senza pedaggio, la tangenziale di Alba, consentendo quindi un primo efficace collegamento a scorrimento veloce e a doppia carreggiata senza soluzione di continuità tra Asti e Cuneo;
   gli enti territoriali avevano accettato questa soluzione, pur temendo aggravi ai problemi della circolazione di collegamento con la città di Alba, a condizione che l'utilizzo della tangenziale fosse provvisorio e che, contemporaneamente alla costruzione del lotto 2.6, venissero realizzate dalla società concessionaria alcune opere complementari indispensabili per non gravare in modo insopportabile sulla viabilità locale;
   le conferenze dei servizi, tenutesi ai sensi e per gli effetti del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, presso la direzione generale per lo sviluppo del territorio del Ministero delle infrastrutture e trasporti in data 14 marzo 2012 e 19 aprile 2012, alla presenza dei rappresentanti degli enti locali interessati, della società concessionaria e dell'Anas, si sono concluse con un accordo fra le parti che prevedeva l'adeguamento della tangenziale di Alba per il suo utilizzo transitorio, la costruzione da parte della società concessionaria di alcune opere complementari e l'impegno a realizzare tali opere prima della conclusione dei lavori del lotto 2.6, l'approvazione da parte dell'Anas del progetto definitivo del lotto 2.6 entro il 30 settembre 2012;
   sono trascorsi quattro anni dalla firma della convenzione, sottoscritta nella primavera 2012 dal Ministero e da tutte le parti interessate, e si attende ancora l'avvio dei lavori del lotto 2.6 per il completamento dell'autostrada Asti-Cuneo;
   da allora, la situazione dell'Asti-Cuneo è stata oggetto di due interrogazioni: la prima nel settembre 2014, rivolta al Ministro pro tempore, onorevole Maurizio Lupi, e la seconda il 16 giugno 2015;
   a seguito della prima interrogazione, il Ministro Lupi venne ad Alba, in occasione dell'annuale Fiera internazionale del tartufo, a garantire il suo fattivo interessamento che, in effetti, si tradusse nella proposta da parte del Governo di una specifica norma, approvata dal Parlamento nel contesto del decreto-legge cosiddetto «sblocca Italia». L'adozione della predetta norma non ha, tuttavia, avuto l'effetto sperato e nel giugno del 2015 gli interroganti sollecitavano il Ministro a riprendere in mano la complessa situazione;
   sono seguite varie prese di posizione, anche informali, da parte degli interroganti e di altri parlamentari del cuneese, dei rappresentanti delle istituzioni locali, degli imprenditori della provincia, culminate in una riunione svoltasi al Ministero con tutti i parlamentari cuneesi il 3 febbraio 2016;
   nonostante il personale interessamento del Ministro, da allora nulla è mutato e la situazione di stallo si protrae a tutt'oggi;
   a parere degli interroganti, è necessario un intervento risolutivo: occorre procedere immediatamente o alla revisione delle clausole contrattuali, come richiesto dal concessionario, ovvero, se tali proposte fossero ritenute inaccettabili, all'avvio della procedura di risoluzione del contratto –:
   quali atti siano stati compiuti negli ultimi mesi dal Ministero e/o dalla società concessionaria per giungere al superamento dell'attuale situazione. (3-02203)
(19 aprile 2016)

   DE LORENZIS, DELL'ORCO, CASTELLI, FRUSONE, LIUZZI, BIANCHI, CARINELLI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi due anni si è registrata, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, una serie di nomine commissariali presso le diverse autorità portuali del Paese. Tra queste, a titolo esemplificativo, vi sono quelle del commissario straordinario di Olbia e Golfo Aranci, Pietro Preziosi, al suo secondo mandato semestrale; di Livorno, Giuliano Gallanti, al suo secondo mandato semestrale; di Piombino, Luciano Guerrieri, al suo settimo mandato commissariale dopo due mandati da presidente della medesima autorità portuale; in situazioni analoghe si trovano le autorità portuali di Augusta, Catania, Cagliari, Bari, Brindisi, Taranto, Trieste, Napoli e Genova;
   in particolare per quanto riguarda l'autorità portuale di Augusta, il commissario straordinario, Alberto Cozzo, al suo terzo mandato semestrale, nominato inizialmente con decreto ministeriale del 13 novembre 2014, confermato successivamente con decreto ministeriale del 14 maggio 2015 e 15 novembre 2015, la cui scadenza è prevista per maggio 2016, è oggi al centro delle vicende giudiziarie riguardanti l'inchiesta sugli «appetiti» riguardanti lo stesso porto siciliano;
   secondo le ricostruzioni la nomina del Cozzo sarebbe giunta a seguito di pressioni indebite da parte di un gruppo, più volte definito «clan» nell'ambito delle intercettazioni, e dagli stessi inquirenti bollata come «associazione a delinquere» di cui avrebbero fatto parte i lobbisti Nicola Colicchi e Gianluca Gemelli, quest'ultimo avrebbe sfruttato il proprio legame con l'allora Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi per perseguire interessi delle sue aziende e di quelle di riferimento (in particolare per l'emendamento inserito in legge di stabilità per il 2015 a favore di attività estrattive tra la Basilicata e la Puglia), il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, nonché il dirigente del Partito Democratico, Paolo Quinto, e il Capo di stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, che risulta indagato per una presunta connessione tra il programma navale (di cui alla legge di stabilità per il 2014 e all'atto del Governo n. 128) e lo scandalo petroli che ha portato alle dimissioni del richiamato Ministro dello sviluppo economico;
   risulterebbe che Gemelli chiese aiuto all'ammiraglio De Giorgi per evitare problemi sulle concessioni nel porto di Augusta nell'attrezzare il pontile necessario all'attracco delle petroliere, nell'installazione dei tubi necessari al trasbordo, nell'autorizzare la serie di serbatoi destinati a conservare il greggio;
   in tal senso il commissario Alberto Cozzo, considerato favorevole ai piani del gruppo sopra citato per la concessione del pontile del porto di Augusta, si sarebbe guadagnato la riconferma per la quale lo stesso Lo Bello sarebbe intervenuto nei confronti del Ministro interrogato. Al tempo stesso l'ammiraglio Roberto Camerini, considerato scomodo dallo stesso Gemelli, veniva trasferito a La Spezia al comando Marina nord, evidentemente dando seguito a quanto emerso dalle intercettazioni: «l'ipotesi di portarlo a Taranto non va bene, perché avrebbe presa su Augusta. Deve andare da Roma in su (...) Uno perché così si neutralizza, due perché ci sono tempi più stretti»;
   la nomina del commissario straordinario dell'autorità portuale e le conferme successive al medesimo incarico non sono oggi disciplinate da alcuna norma di legge, posto che, ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 1-bis, della legge n. 184 del 1994, il presidente dell'autorità portuale è nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la regione interessata, e all'articolo 7, comma 3, è previsto che lo stesso Ministro possa revocare il mandato del presidente e sciogliere il comitato portuale con proprio decreto qualora «il piano operativo triennale non sia approvato» e «il conto consuntivo evidenzi un disavanzo». Al successivo comma 4 si dispone che con il medesimo decreto di revoca e scioglimento il Ministro nomini un commissario per un periodo massimo di sei mesi;
   la citata legge, che disciplina le autorità portuali, non prevede pertanto alcun caso di commissariamento o deroga nella nomina dei vertici dell'autorità portuale diversi da quelli richiamati. Altresì, come ribadito anche dalla giurisprudenza costituzionale, è possibile ai sensi del decreto-legge n. 293 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 444 del 1994, al fine di assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'organizzazione amministrativa, prorogare per non più di quarantacinque giorni gli organi amministrativi non ricostituiti entro la scadenza del termine di durata;
   ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 14 del 1978, recante norme per il controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici, ivi comprese le autorità portuali, le nomine, le proposte o designazioni effettuate dal Consiglio dei ministri o dai Ministri devono essere comunicate entro quindici giorni alle Camere. Tali comunicazioni, a quanto risulta agli interroganti, non sono ancora pervenute, in contrasto con l'obbligo previsto a norma di legge. Si richiama peraltro il secondo periodo dell'articolo 9 in cui si specifica che «tali comunicazioni devono contenere l'esposizione dei motivi che giustificano le nomine, le proposte o designazioni, le procedure seguite ed una biografia delle persone nominale o designate»;
   ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera f), della legge n. 124 del 2015 (cosiddetta legge delega Madia); il Governo ha approvato in via preliminare lo schema di decreto legislativo di riorganizzazione delle autorità portuali, con l'espresso obiettivo di inaugurare «un nuovo modello di governance» orientato a concentrare ulteriormente il potere decisionale in un numero ristretto di soggetti e di consessi, direttamente sottostanti al Governo nazionale, nell'ottica di «velocizzare le procedure»;
   in tal modo, a parere degli interroganti, si rischia di offrire un pericoloso combinato disposto di concentrazione dei poteri e speditezza decisionale che, come nel caso della nomina del commissario straordinario di Augusta, potrebbe contribuire o quanto meno facilitare il perseguimento di interessi particolari, come quelli della richiamata «cricca dei porti e delle navi», che avrebbe dimostrato un'evidente capacità infiltrativa e interferenziale di alcuni soggetti nei confronti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nonché in quello della difesa e più in generale nel Governo;
   l'inchiesta della procura di Potenza sta portando alla luce diverse prove a dimostrazione dell'esistenza, oltre che di sodalizi di dubbia natura, di un cordone di comando esterno alle istituzioni democraticamente scelte dai cittadini peraltro non sempre riconducibili prima facie a situazioni illecite –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per affrontare quelle che appaiono agli interroganti evidenti interferenze di interessi rilevate e quelle di cui è soggetto a rischio l'intero sistema di governance portuale e infrastrutturale in genere, posto che la riforma delle autorità portuali, di cui allo schema di decreto legislativo citato in premessa, così come pensata non può rappresentare un valido strumento. (3-02204)
(19 aprile 2016)

   GIGLI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   numerosi medici ex condotti hanno chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri con vari atti, in ultimo nel mese di aprile 2014, di procedere all'ottemperanza delle sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio – I sezione bis – n. 649 del 1994 e del Consiglio di Stato – IV sezione – n. 2537 del 2004;
   con tali pronunce è stato disposto l'annullamento dell'articolo 133 del decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384, recante «Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto del servizio sanitario nazionale, di cui all'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68», nella parte in cui era stato previsto il congelamento del trattamento economico della categoria e l'esclusione dal percepimento delle indennità previste per il restante personale medico e questo in violazione del principio della perequazione retributiva, di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979;
   in seguito alle suddette decisioni, si sarebbe dovuta effettuare un'immediata azione di ripristino con l'introduzione di una normativa economica in favore della categoria, mediante la quale dovevano essere riconosciuti, per i dovuti periodi, un incremento del 50 per cento della retribuzione base, che ammontava a lire 8.640.000 annue lorde, ed inoltre il diritto al percepimento della retribuzione individuale di anzianità (cosiddetta ria) e di altre indennità spettanti;
   nonostante questo, le sentenze non sono state ottemperate per il periodo contrattuale previsto, per cui le retribuzioni della categoria non sono mai state rideterminate in misura adeguata, con notevole pregiudizio economico per gli interessati, il cui credito complessivo in essere è oltremodo rilevante e, maggiorato di interessi e rivalutazioni dal 1988 ad oggi, costituirà un gravoso onere di pagamento da parte dello Stato;
   si ritiene che, alla luce di quanto esposto, dovrebbe essere interesse dell'amministrazione pubblica definire, entro breve, ogni relativa pendenza, provando magari a percorrere una via transattiva che riduca gli importi a carico dello Stato, stabiliti nelle sentenze citate;
   è da sottolineare, inoltre, che nel corso dell’iter della legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208), in 5o Commissione permanente (programmazione economica e bilancio) del Senato della Repubblica, è stato accolto dal Governo – nella persona del Viceministro Morando – un ordine del giorno su tale tema;
   tale ordine del giorno impegnava il Governo «ad assumere iniziative in ordine al pagamento delle somme dalle sentenze definitive stabilite in favore degli aventi diritto, a valutare la definizione di ogni pendenza anche attraverso una soluzione transattiva di quanto sopra esposto, consentendo in tal modo un notevole risparmio di spesa per la pubblica amministrazione, che diversamente sarà giudiziariamente costretta a soggiacere ad oneri ulteriori molto pesanti in termini di interessi, rivalutazione monetaria e risarcimento dei danni sofferti dagli appartenenti alla categoria, nonché ad assumere iniziative volte alla rideterminazione con effetto retroattivo dell'intera disciplina contrattuale che ha disciplinato a far tempo dalla entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1990 l'inquadramento economico del personale medico ex condotto, in ottemperanza delle sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I bis, n. 640 del 1994 e del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 2537 del 2004 ed in conformità al principio della perequazione retributiva in esse sancito, con ogni conseguenziale determinazione ed adempimento anche in ordine al pagamento delle maggiori somme derivanti dall'esecuzione delle predette sentenze definitive a favore degli aventi diritto»;
   in seguito all'approvazione del citato ordine del giorno, avvenuta nel mese di novembre 2015, non risultano ancora adottati atti di ottemperanza del Governo agli impegni assunti durante i lavori della 5a Commissione del Senato della Repubblica;
   tale situazione necessita di una soluzione chiara, concreta e definitiva –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere, in riferimento a quanto esposto in premessa, e, conseguentemente, quali iniziative di competenza intenda intraprendere per porre rimedio alla questione dei medici ex condotti, anche al fine di evitare aggravi di spesa al bilancio dello Stato, derivanti da ulteriori rivalutazioni giudiziarie. (3-02205)
(19 aprile 2016)

   TANCREDI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   Area popolare ritiene essenziale, indispensabile (nel momento stesso in cui il Governo si impegna al rilancio del Paese, nonostante le grandi difficoltà interne ed internazionali in cui si dibatte) che il nostro Paese affronti, con decisione ed in termini prioritari, il tema della famiglia e delle più immediate questioni ad essa collegate;
   questa esigenza è avvertita anche da altri Paesi europei che, in tal senso, hanno già varato misure concrete e significative. Si cita, ad esempio, la Francia che ha già sperimentato importanti politiche fiscali volte al sostegno della famiglia, considerando quest'ultima come fattore di sviluppo e di crescita, pervenendo a risultati molto positivi;
   particolarmente importante risulta favorire, attraverso misure di agevolazione fiscale, l'incremento del tasso di natalità: elemento che, oltre a costituire fattore di reale incremento dello sviluppo e del benessere sociale, rappresenta anche un significativo vantaggio per la stessa economia sia nel medio che nel lungo periodo. Attraverso tale incremento si produrranno, infatti, effetti benefici per il nostro Paese con un maggior numero di occupati, di consumatori e di contribuenti;
   sarebbe, quindi, opportuno introdurre nell'ordinamento fiscale il cosiddetto «fattore famiglia» che potrebbe (confermando il sistema delle detrazioni esistenti ed elevandone gli attuali massimali per chi ha figli a carico, ovvero favorendo una più accentuata progressione per le famiglie più numerose) consentire un forte sostegno per le famiglie italiane, con benefici effetti sullo sviluppo socio-economico di grande valore per l'intero Paese;
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha recentemente dichiarato l'importanza e la volontà di intervenire con misure fiscali a sostegno delle famiglie;
   tra le possibili misure, peraltro indicate dal gruppo di Area popolare, si evidenziano l'introduzione di un fattore famiglia nell'ambito del calcolo dell'isee, le detrazioni fiscali per l'infanzia e il puerperio, l'aumento delle detrazioni per carichi di famiglia, il credito d'imposta alle imprese per maternità e paternità, le agevolazioni fiscali sugli immobili concessi in locazione a giovani coppie –:
   in tale contesto, quali misure fiscali il Governo intenda porre in essere al fine di favorire la famiglia e la natalità. (3-02206)
(19 aprile 2016)

   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER, SCHULLIAN, OTTOBRE e MARGUERETTAZ. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   le norme in materia di voluntary disclosure, di cui alla legge 15 dicembre 2014, n. 186, prevedono una procedura di collaborazione volontaria del contribuente con l'amministrazione fiscale per l'emersione e il rientro in Italia di capitali detenuti all'estero;
   la Corte costituzionale, interpellata dalla regione Valle d'Aosta, con la sentenza n. 66 del 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 7, della legge sopra citata, nella parte in cui la riserva di gettito allo Stato, derivante dalle procedure di collaborazione fiscale volontaria, si applica anche alla regione Valle D'Aosta;
   la Corte costituzionale ha chiarito come, nel caso in esame, non sia applicabile l'articolo 8, comma 1, della legge n. 690 del 1981 della regione Valle d'Aosta, il quale prevede che costituisca riserva all'erario il provento derivante alla regione da maggiorazioni di aliquote e da altre modificazioni dei tributi ad essa devoluti, ove sia destinato per legge, ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, per la copertura di nuove o maggiori spese che sono da effettuare a carico del bilancio statale;
   in sostanza la Corte costituzionale ha, quindi, confermato come la procedura di collaborazione volontaria, non determinando alcuna maggiorazione di aliquota, né una generale modifica dei tributi, trattandosi a legislazione fiscale sostanzialmente immutata, del gettito tributario originariamente dovuto ed illecitamente sottratto, non comporti l'applicazione della disciplina relativa alle riserve all'erario;
   anche l'articolo 75-bis, comma 3-bis, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, come recentemente modificato in seguito all'accordo del 15 ottobre 2014, recepito con l'articolo 1, commi da 406 a 413, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che ha ridefinito i rapporti finanziari tra lo Stato, la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e Bolzano, prevede che costituisca riserva all'erario il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi se destinato alla copertura, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province;
   conseguentemente, anche per il gettito tributario delle province autonome di Trento e di Bolzano, riscosso in base alla procedura di collaborazione volontaria, dovrebbe trovare applicazione il regime delle devoluzioni di tributi erariali previsto dallo statuto di autonomia come da ultimo modificato –:
   se il Governo intenda assumere iniziative volte a devolvere anche alle province autonome di Trento e di Bolzano le quote di maggior gettito derivanti dalla procedura di collaborazione volontaria riscosse nel territorio del Trentino-Alto Adige a titolo di imposte sui redditi e delle relative addizionali, di imposte sostitutive di quelle sui redditi, di imposta regionale sulle attività produttive (irap), di imposta sul valore aggiunto (iva), di ritenute a titolo d'acconto o d'imposta e di ogni altro tributo spettante alle province autonome nel rispetto dello statuto di autonomia e delle relative norme di attuazione. (3-02207)
(19 aprile 2016)

   GIAMMANCO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo Cir-Compagnie industriali riunite (holding della famiglia De Benedetti) e F2i (fondo partecipato da Cassa depositi e prestiti e dalle principali banche italiane) hanno raggiunto un accordo con Ardian per l'acquisto per 292 milioni di euro del 46,7 per cento di Kos, società in cui Cir detiene già il 51,3 per cento del capitale e tra i principali operatori nazionali del settore socio-sanitario; Kos opera nel settore della sanità con ospedali, residenze per anziani, centri di riabilitazione, cliniche psichiatriche e comunità terapeutiche;
   in dettaglio, al perfezionamento dell'operazione, F2i health management, società controllata dal secondo Fondo F2i, acquisterà da Ardian una quota di Kos per 240 milioni di euro, mentre Cir rileverà la parte restante per 52 milioni di euro. Contestualmente, Cir rileverà le quote residue del management e di altri azionisti minoritari per 33 milioni euro. Cir, pertanto, passerà dall'attuale 51,3 al 62,7 per cento del capitale di Kos per un investimento complessivo di 85 milioni di euro e F2i deterrà il 37,3 per cento;
   a vendere dunque è Ardian, società di investimenti indipendente, entrata nell'azionariato di Kos nel 2010; il suo ingresso doveva preludere alla quotazione delle case per anziani in Borsa: le cose però sono andate diversamente e Ardian, che nel 2010 aveva investito 150 milioni di euro, sarebbe uscita dall'operazione solo ad un prezzo prefissato estremamente elevato;
   l'operazione tra Cir e F2i ha, a parere dell'interrogante, diversi profili di ambiguità; innanzitutto, nel portafoglio di F2i compaiono perlopiù società aeroportuali, energia, fibra ottica: pertanto, non risulta molto chiaro cosa possa indurre un fondo che si occupa di infrastrutture e di grandi dorsali a servizio del Paese ad investire circa 300 milioni in residenze per anziani, quando per il suo primo azionista, Cassa depositi e prestiti, è una società a controllo pubblico (che tra l'altro gestisce una parte consistente del risparmio nazionale), sarebbe quantomeno più opportuno investire – ad esempio – in banda larga, di cui il nostro Paese ha certamente bisogno. E, soprattutto, non risulta evidente il motivo per cui si decide di investire circa 300 milioni sul 37 per cento di una società che fa 17 milioni di utile netto;
   a seguito delle vicissitudini che hanno caratterizzato l'universo Cir – si pensi in particolare alla crisi di Sorgenia, che fino a qualche tempo fa rappresentava, assieme al gruppo Espresso e alla componentistica auto di Sogefi, il grosso del fatturato – le cliniche Kos, con i loro 7.300 posti letto, 5 mila dipendenti e 430 milioni di fatturato garantiti per il 70 per cento dal servizio sanitario nazionale, potrebbero restare il core business della famiglia De Benedetti, la quale però non disponeva dei circa 380 milioni necessari per pagare l'uscita di Ardian e mantenere il controllo dell'azienda; alla luce di ciò, l'intervento di F2i secondo l'interrogante può considerarsi più che «provvidenziale» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda chiarire i motivi per cui un fondo d'investimento a capitale pubblico, nato per sviluppare settori d'avanguardia come energia, aeroporti e linee telefoniche, investa circa 300 milioni per l'acquisto di quote partecipative di un gruppo che gestisce in gran parte residenze per anziani e case di cura. (3-02208)
(19 aprile 2016)