TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 607 di Mercoledì 13 aprile 2016

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   RUSSO e OCCHIUTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti hanno già sollevato in più occasioni il tema della tracciabilità dei farmaci e il problema della cancellazione del numero progressivo in chiaro delle confezioni presente sullo strato intermedio del bollino;
   si intende, quindi, nuovamente sottoporre la delicata questione al Ministro interrogato, in quanto dalle risposte ottenute appare evidente come non sia stato compiuto alcun passo in avanti nella direzione di superare le criticità connesse ad una piena tracciabilità dei prodotti farmaceutici;
   tali criticità sono in gran parte inerenti all'attività di stampigliatura; sul punto, l'azione del Governo nei confronti dell'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato non è infatti apparsa incisiva;
   nel merito della questione, la funzione dello strato intermedio dei bollini è quella di assicurare la leggibilità del numero progressivo targa, al fine di garantire l'identificazione della confezione anche quando lo strato superiore viene rimosso per l'erogazione a carico del servizio sanitario;
   è recente la notizia riportata da organi di stampa nazionale riguardante un'ennesima truffa aggravata ai danni della sanità pubblica per il ritrovamento, all'interno di alcune farmacie, di confezioni prive del primo strato del bollino, utilizzato per il rimborso delle confezioni in modo fraudolento;
   tali confezioni sono state sottoposte a sequestro da parte degli organi di polizia competente, per ulteriori accertamenti finalizzati a risalire alla provenienza e destinazione degli stessi;
   tutto ciò premesso, appare evidente che, nell'ipotesi in cui sullo strato intermedio che rimane attaccato a dette confezioni, non risulti leggibile il numero targa, verrebbero impedite sia le azioni di individuazioni delle provenienze sia quelle delle destinazioni, rendendo impossibile rintracciare le ricette oggetto di rimborso;
   nonostante sia chiara la necessità che tale numero identificativo risulti indelebile e che già da tempo l'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato sia a conoscenza del suddetto difetto, cioè numero non indelebile, in questi giorni l'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato sta continuando ad immettere sul mercato bollini difettosi con numeri targa asportabili e non indelebili, prodotti da gennaio 2016 con nuovo layout e doppio codice, nuova versione, stampati con i nuovi impianti di recente acquisizione;
   gli interroganti hanno potuto esaminare campioni di astucci di medicinali con bollino difettoso (numero targa asportato e certamente prodotto da gennaio 2016 in quanto trattasi di bollino nuova versione);
   le confezioni di medicinali senza il numero di targa che l'interrogante ha potuto esaminare sono state prodotte dalle seguenti aziende farmaceutiche:
    a) Teva Italia srl, prodotto Bisoprololo Teva, dispensato dal sistema sanitario nazionale;
    b) Teofarm srl, prodotto Viscken, dispensato dal sistema sanitario nazionale;
    c) Doc Generici srl, prodotto Eletriptan, dispensato dal sistema sanitario nazionale;
    d) Doc Generici srl, prodotto Aripiprazolo, dispensato dal sistema sanitario nazionale;
    e) Msd Italia srl, prodotto Sinemet 100 mg, dispensato dal sistema sanitario nazionale –:
   quali concrete iniziative di competenza siano state intraprese per evitare l'immissione sul mercato di farmaci difettosi e non rintracciabili, e quindi per prevenire gravi danni nei confronti sia del sistema sanitario nazionale che dei singoli pazienti, in considerazione del fatto che tali truffe generano mercati alternativi, sottraendo risorse preziose al servizio sanitario nazionale e rendendo taluni farmaci non reperibili. (3-02174)
(12 aprile 2016)

   DELL'ORCO, CASTELLI, VALLASCAS, CANCELLERI, CRIPPA, DA VILLA, DELLA VALLE, FANTINATI, COZZOLINO e DEL GROSSO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle indagini condotte dalla procura della Repubblica di Potenza che hanno portato alle dimissioni del Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, in relazione a gravi fatti emersi in ordine allo smaltimento dei rifiuti nell'impianto di centro olio Val d'Agri di Viggiano e alla gestione del progetto Tempa Rossa di Corleto Perticara, sembrerebbe emergere un quadro fosco in merito alle nomine di alcuni Ministri e Sottosegretari di Governo che sarebbero stati indicati da comitati di affari per seguire i loro interessi all'interno delle istituzioni;
   in particolare, Claudio De Vincenti, ex Viceministro allo sviluppo economico e dal 10 aprile 2016 Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, seppur non indagato, risulterebbe coinvolto nelle intercettazioni dell'ex Ministro Guidi. Secondo la ricostruzione della procura di Potenza e della squadra mobile riportata dal quotidiano Il Fatto quotidiano, Gianluca Gemelli, compagno dell'ex Ministro Guidi e tra i principali indagati, era in grado di «manovrare» il Ministro dello sviluppo economico, non soltanto attraverso la Guidi, ma anche attraverso il suo Sottosegretario De Vincenti;
   secondo quanto riportato dalla stampa l'indagine riporterebbe delle intercettazioni che non solo rivelerebbero le pressioni del Gemelli sul Ministro Guidi ma anche il radicamento delle lobby all'interno del Ministero stesso. Secondo la procura, infatti, Gemelli, nel gestire i propri affari, curava al contempo gli interessi di un intero, determinato «gruppo» di soggetti stabilmente dediti e decisi a «manovrare» decisioni e che Guidi definisce «combriccola», «clan», «quartierino»;
   nelle intercettazioni con il suo compagno l'ex Ministro Guidi spiegherebbe esplicitamente anche il ruolo di De Vincenti al Ministro dello sviluppo economico: ribadiva infatti che De Vincenti «è diciamo amico di quel tuo clan lì»; e ancora: «Sai chi lo ha messo lì Padoan: Innocenti, l'hai capito chi glielo ha messo Padoan? Sempre quel quartierino lì. Oltre al fatto che si conoscono perché andavano a scalare insieme da vent'anni, lui De Vincenti e Padoan (...) ma glielo ha messo sempre quel quartierino lì (...) Quelle pedine, cioè De Vincenti da me, non è un caso, non è per farmi un favore, perché De Vincenti è bravo, capito? Come non hanno messo lì Piercarlo per fare un favore a Matteo, perché Piercarlo è bravo»;
   tali intercettazioni sembrerebbero spiegare anche il ruolo giocato dal Viceministro in occasione dell'esame parlamentare inerente all'emendamento di «sblocco» del progetto «Tempa Rossa» durante l'esame del decreto-legge «sblocca Italia», quando l'allora Viceministro dello sviluppo economico De Vincenti si presentò in Commissione ambiente per sostenere in tutti i modi quell'emendamento;
   va inoltre ricordato che De Vincenti risulterebbe coinvolto, sempre non indagato, anche in un'altra inchiesta simile a Tempa Rossa, ossia quella di Tirreno Power, la centrale a carbone ex gruppo Cir (De Benedetti). L'impianto di Vado Ligure è finito nel mirino della procura di Savona con accuse terribili, tra cui spiccano il disastro ambientale colposo, il disastro sanitario colposo e l'omicidio colposo plurimo. De Vincenti, pur non accusato di nulla, secondo quanto riportato dalla stampa, sarebbe indicato come l'uomo che – secondo i carabinieri del nucleo operativo ecologico dell'Arma – stava dando una mano ai vertici della Tirreno Power «per aggirare le prescrizioni ambientali» e predisporre «un'ispezione del Consiglio superiore della magistratura per bloccare il titolare delle indagini»;
   alla luce delle suddette vicende sembra non solo inammissibile che circoli il nome di De Vincenti come possibile Ministro dello sviluppo economico, ma non risulta neppure chiaro quali siano le ragioni di opportunità che hanno portato alla nomina di De Vincenti a Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, in attesa che la magistratura faccia piena luce sui fatti in premessa e a garanzia delle istituzioni, non si intenda portare in Consiglio dei Ministri la questione della revoca dall'incarico di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri per il dottor De Vincenti.
(3-02175)
(12 aprile 2016)

   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ha destato molto scalpore la vicenda avvenuta nelle scorse settimane nel liceo ginnasio statale «Virgilio», sito nel cuore del centro di Roma, la cui preside si è rivolta alle forze dell'ordine per contrastare lo spaccio di droga all'interno dell'istituto scolastico;
   quando alcuni militari in borghese sono entrati dentro la scuola all'ora di ricreazione, perquisendo e fermando alcuni ragazzi, ne hanno anche arrestato uno colto in flagranza di reato mentre cedeva una dose di hashish;
   la droga non solo imperversa nelle scuole italiane, già dalle medie, ma il circuito dello spaccio punta sulla scuola per aumentare la sua quota di mercato e i relativi profitti: iniziare un percorso di dipendenza dalle sostanze già da ragazzi è un'assicurazione per ingrassare il business per quando diverranno adulti;
   in larga parte degli istituti italiani, infatti, nei bagni, nei corridoi, nei cortili, quando non direttamente in aula, la droga dilaga e gli studenti sono presi d'assedio e infiltrati da bande di spacciatori;
   a fronte di numerose espressioni di solidarietà per la preside dell'istituto il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è mantenuto a lungo silente sulla questione –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere al fine di prevenire e contrastare lo spaccio e il consumo di droghe nelle scuole, tutelando gli studenti e il ruolo essenziale della formazione scolastica per i giovani. (3-02176)
(12 aprile 2016)

   PALESE e CHIARELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la commissione nominata dal Ministero della giustizia ha terminato l'esame della riforma che prevede un forte ridimensionamento delle sedi giudiziarie con la conseguente previsione di sopprimere numerose sedi di corte d'appello, tra cui quella di Lecce e la sezione distaccata di Taranto;
   com’è noto, e come sostenuto negli ultimi mesi da tutti i protagonisti della giustizia pugliese e da numerose associazioni di consumatori, la corte d'appello di Lecce, assieme al suo distaccamento di Taranto, ha un bacino di utenza che racchiude in sé oltre 1.795.000 abitanti, distribuiti su un territorio vasto oltre 7.100 chilometri quadrati;
   stando agli ultimi dati resi noti dagli avvocati, l'ufficio, nonostante le difficoltà e le carenze di personale più volte evidenziate, gestisce un carico di lavoro pari a 4.024 procedimenti penali, 5.533 procedimenti civili e addirittura 7.129 procedimenti in materia di lavoro e previdenza, tutti pendenti alla data del 30 giugno 2014;
   la chiusura della corte di appello di Lecce, oltre a rendere molto complicati gli spostamenti di cittadini, avvocati e imputati che convergerebbero tutti verso Bari, andrebbe a sovraccaricare, ed inevitabilmente a rallentare ancor di più, il lavoro della giustizia pugliese;
   basti pensare che i luoghi che attualmente ospitano la corte d'appello di Bari sono già insufficienti a garantire un corretto funzionamento dell'attività giudiziaria, vista la recente chiusura di tutte le sezioni distaccate del tribunale di Bari;
   se è vero che tale riforma si rende necessaria, soprattutto in questo momento storico, per contenere la spesa pubblica, è altrettanto vero che i diritti fondamentali previsti dall'ordinamento, come quello della giustizia, al pari di quello dell'istruzione e della sanità, non dovrebbero essere pregiudicati –:
   se, pur comprendendo la ratio della riforma e l'esigenza di contenere e tagliare la spesa pubblica, il Ministro interrogato non ritenga di dover tener conto delle esigenze di un bacino di utenza di quasi 1 milione ed 800 mila cittadini e del gran numero di procedimenti pendenti e che andrebbero ad aggiungersi a quelli già pendenti a Bari, anche alla luce della configurazione geomorfologica della Puglia che rende particolarmente lunghi e difficili gli spostamenti (la Puglia, da Lesina a Leuca, è lunga 410 chilometri), salvando così la corte d'appello di Lecce o, in subordine, se non ritenga quantomeno di rinviare la soppressione della sede di Lecce e di quella distaccata di Taranto, così da garantire ai cittadini il diritto ad una giustizia veloce in un Paese come l'Italia, che, purtroppo già oggi, è terzultimo in Europa per i tempi dei processi.
(3-02177)
(12 aprile 2016)

   PIZZOLANTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi delle ultime settimane hanno riportato al centro dell'attenzione della dialettica politica lo scottante tema delle intercettazioni telefoniche e, elemento ancora più importante, il loro legittimo utilizzo nel corso di un'indagine;
   la spesa in intercettazioni nel nostro Paese è di 200 milioni di euro l'anno: soldi ben spesi quando risultino necessarie a smascherare quanti effettivamente commettano un reato, rappresentando così uno strumento indispensabile per lo svolgimento delle indagini che non va assolutamente ostacolato per principio;
   il problema politico e democratico consiste nel fatto che spesso i testi delle intercettazioni vengono utilizzati come strumento, attraverso la piazza mediatica, per una sorta di sentenza anticipata. Battute e parole fuori contesto, utilizzate molte volte per devastare l'immagine e la reputazione delle persone (molto prima di eventuali sentenze), rivelando e a volte distorcendo aspetti della vita privata che nulla hanno a che vedere con eventuali violazioni di leggi e la commissione dei reati, con l'obiettivo, appunto, di ottenere una sorta di sentenza anticipata sulla base delle tesi dell'accusa amplificate e alcune volte distorte dalla stampa;
   il processo non si può fare in piazza, senza mai conoscere l'identità di chi diffonde i contenuti delle intercettazioni;
   le intercettazioni vanno utilizzate con razionalità, con prudenza, escludendo da qualsiasi filone di indagine quelle che non presentano alcuna attinenza con l'eventuale ipotesi di reato –:
   se il Governo intenda favorire, per quanto di competenza, l'approvazione di una specifica disciplina, al fine di impedire che un utilizzo distorto delle intercettazioni dia vita ad insostenibili gogne mediatiche e all'emanazione di sentenze anticipate, senza mai venire a conoscenza dei responsabili della diffusione delle intercettazioni medesime. (3-02178)
(12 aprile 2016)

   SALTAMARTINI, MOLTENI, SIMONETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, PICCHI, GIANLUCA PINI e RONDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alcune testate di informazione on-line (www.ilmessaggero.it – di Veronica Cursi) hanno messo in evidenza come Doina Matei, «la ragazza romena che il 26 aprile 2007, al culmine di una lite, uccise Vanessa Russo 23 anni, infilandole un ombrello in un occhio spunta su Facebook. Condannata a 16 anni di carcere, è in regime di semilibertà: di giorno lavora in una cooperativa, la sera torna a dormire nel carcere di Venezia. E si è rifatta una vita. Ovviamente anche su Facebook. Il 6 gennaio di quest'anno ha aperto un profilo con un altro nome – il suo soprannome – ma le foto e i contatti (tra cui spunta anche il cappellano del penitenziario di Perugia dove la Matei attese la Cassazione) sono inequivocabili: quella ragazza che sorride in bikini al mare sopra uno scoglio, che si fa le foto in giro per Venezia, ritratta al laghetto con un bimbo in braccio è lei (...) Ma c’è chi polemizza per quelle foto sorridenti esibite come se nulla fosse ritenendole un'offesa per la famiglia di Vanessa Russo a cui rimane solo il ricordo della loro figlia e un loculo a Prima Porta»;
   l'episodio creò non poco sdegno nell'opinione pubblica: una studentessa universitaria di 23 anni, con un futuro davanti, brutalmente assassinata da una rumena di 21 anni che viveva di espedienti e piccoli furti sui mezzi pubblici e che tentò di fuggire con la sua complice minorenne, il tutto in pieno centro di Roma, nella metropolitana della stazione Termini;
   sono trascorsi solo 9 anni da quel pomeriggio del 26 aprile 2007 e, inevitabilmente, le foto della Matei oggi sorridente ed allegra innescano in molti un'ondata di indignazione, facendo dubitare su quale sia la giustizia e la tutela per le famiglie delle vittime;
   appare evidente agli interroganti che la creazione di un profilo social parrebbe in contrasto con il regime di semilibertà della detenuta Doina Matei, poiché tale profilo Facebook le consentirebbe di poter essere in contatto con un numero «infinito» di persone, mentre il regime di semilibertà prevede delle restrizioni sia nei luoghi che nelle frequentazioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali interventi e iniziative urgenti, in particolare di natura normativa, intenda adottare, in particolare per garantire, pur nel rispetto delle competenze della magistratura di sorveglianza, che il regime di semilibertà non diventi, nei fatti, una sorta di liberazione anticipata poiché le restrizioni ivi previste attraverso la creazione di un profilo social parrebbero, come già rappresentato in premessa, in contrasto con il regime di semilibertà che prevede delle restrizioni anche nelle frequentazioni.
(3-02179)
(12 aprile 2016)

   MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella gestione dei musei e dei siti archeologici è frequente il ricorso, da parte dell'amministrazione, alla cosiddetta pratica dei servizi «conto terzi»; con tale espressione si intende lo svolgimento da parte di personale delle sovrintendenze di lavoro straordinario che viene posto a carico del soggetto affidatario delle mostre e delle altre manifestazioni culturali o di altri eventi autorizzati nei siti culturali, che richiedono appunto lo svolgimento di prestazioni lavorative al di fuori dei normali orari;
   lo svolgimento di tali prestazioni, precedentemente disciplinato dall'accordo sindacale del 27 aprile 2004, è attualmente regolato dall'accordo concluso in data 3 marzo 2010 tra il Ministero per i beni e le attività culturali e le organizzazioni sindacali (di seguito per brevità definito «accordo sindacale»);
   l'articolo 2 dell’«accordo sindacale» stabilisce che le prestazioni «in conto terzi» si considerano analoghe alle prestazioni extraistituzionali, sono subordinate all'autorizzazione del capo d'istituto e hanno carattere occasionale e temporaneo, senza nessun impegno dei terzi oltre a quanto previsto nel contratto allegato alla concessione di uso e subordinatamente al prioritario assolvimento delle altre attività di competenza, senza pregiudizio per le attività istituzionali. Esse non comportano nessun onere aggiuntivo per l'amministrazione;
   la regolamentazione di dettaglio delle prestazioni in conto terzi è contenuta nel disciplinare allegato all’«accordo sindacale» (di seguito definito per brevità il «disciplinare»); il «disciplinare» prevede, tra le altre cose, che la prestazione sia regolata con contratto allegato a ciascuna concessione di uso del bene culturale, che la partecipazione dei lavoratori sia volontaria, che il compenso orario sia determinato a livello di contrattazione locale in una fascia tra i 15 e i 50 euro lordi, che gli istituti coinvolti comunichino semestralmente il consuntivo delle prestazioni con elencazione dei nominativi dei dipendenti e dei relativi compensi introitati, rendendo pubblichi gli elenchi presso le proprie sedi;
   fin dal 2004, la Corte dei conti, nella «Indagine sulla gestione sui servizi d'assistenza culturale e d'ospitalità per il pubblico negli istituti e luoghi di cultura», ha sollevato perplessità con riguardo alle prestazioni in conto terzi, rilevando la «assoluta genericità e indeterminatezza delle singole convenzioni», così come dell'accordo sindacale allora in vigore, e osservando come il contratto integrativo tra Ministero e organizzazioni sindacali allora in vigore non contenesse alcun riferimento, tra le materie oggetto di contrattazione, alla disciplina delle prestazioni in conto terzi;
   esistono dei forti dubbi sul fatto che il ricorso sistematico al meccanismo del conto terzi, attraverso un'equiparazione generalizzata delle prestazioni in conto terzi agli incarichi extraistituzionali, sia conforme ai principi fondamentali sottostanti al lavoro pubblico;
   da più parti è stato infatti rilevato che il ricorso alle prestazioni in conto terzi, anziché avvenire su base «occasionale e temporanea», come previsto dall'accordo, sia diventato sistematico e spesso a favore del medesimo personale, tanto da diventare una fonte di vera e propria remunerazione integrativa dei dipendenti pubblici che ne beneficiano, che in alcuni casi arriva ad essere addirittura una sorta di secondo stipendio;
   sebbene trovi le sue ragioni nella costante riduzione sotto i passati Governi delle risorse stanziate per il personale dei beni culturali, è assai discutibile l'efficienza generale di questo sistema dal punto di vista economico, anche con riguardo agli impatti occupazionali; ci si domanda infatti se sia corretto utilizzare per queste prestazioni aggiuntive il personale esistente, o se invece non sarebbe più giusto stipulare nuovi contratti con giovani senza lavoro, finalizzati specificamente alle mostre e alle manifestazioni non rientranti negli orari di lavoro ordinario, in modo da dare loro uno sbocco professionale;
   anche sotto il profilo economico, occorre valutare se sia più conveniente per l'amministrazione rimborsare ai concessionari le prestazioni in conto terzi, piuttosto che concludere direttamente specifici contratti con nuovo personale come descritto al paragrafo precedente;
   ai fini della verifica e del monitoraggio di quanto precede, va rilevato che l'adempimento agli obblighi di pubblicità relativi al conto terzi da parte degli istituti coinvolti, previsto ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del «disciplinare», risulta essere stato negli anni del tutto insufficiente, tanto che, con circolare n. 184 del 10 giugno 2014, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha richiamato i direttori degli istituti e degli uffici centrali e territoriali ad adempiere agli obblighi di comunicazione semestrale e ad asseverare i relativi dati, ricordando anche la responsabilità del personale amministrativo –:
   quale sia l'effettiva dimensione del fenomeno del ricorso al «conto terzi» da parte delle amministrazioni statali dei beni culturali, in termini di esborso complessivo a carico dell'amministrazione a favore dei concessionari, di numero di ore lavorate, di costo medio orario, di numero di dipendenti delle sovrintendenze che hanno fornito prestazioni in conto terzi e di distribuzione geografica delle prestazioni in termini quantitativi. (3-02180)
(12 aprile 2016)

   SANTERINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   gli archivi di Stato sono il principale deposito della memoria di una nazione;
   nei 101 Archivi di Stato italiani si conservano 1.600 chilometri di fascicoli con gli atti pubblici che raccontano il Paese, un patrimonio storico, sociale e culturale che rischia, in un futuro assai prossimo, di andare perduto in quanto i funzionari che li custodiscono sono per la maggior parte prossimi alla pensione;
   attualmente i funzionari e dirigenti archivisti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sono 621. Di questi il 66,3 per cento ha più di sessant'anni e il 28,3 per cento più di cinquanta. Che in totale fanno il 94,6 per cento. Quando fra qualche anno andranno in pensione i sessantenni, resteranno in servizio poco più di 200 archivisti. La stragrande maggioranza dei quali guadagneranno il riposo di lì a poco, lasciando a gestire uno dei patrimoni archivistici più preziosi al mondo i 29 funzionari che oggi hanno meno di cinquant'anni e i 4 che hanno meno di quarant'anni;
   l'ultimo concorso per il profilo professionale di archivista è stato bandito dall'allora Ministero per i beni e le attività culturali nel 2009, anno che appare lontanissimo anche perché si realizza una riorganizzazione del dicastero che introduce significative innovazioni mirate a esaltare l'azione di tutela, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale nazionale e al contempo restituisce centralità alla salvaguardia del paesaggio nel contesto più generale delle belle arti;
   nel 2013 il dicastero ha assunto l'attuale denominazione Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ampliando dunque le sue competenze e le sue funzioni;
   gli Archivi di Stato sono parte del Ministero fin dalla sua istituzione nel 1974, proprio a testimoniare l'importanza della funzione loro affidata, nel quadro della gestione del patrimonio culturale e della sua tutela, anche se si è assistito nel tempo alla mortificazione dei loro compiti;
   si deve sottolineare, inoltre, che i luoghi dove giace la memoria nazionale – una memoria che, si può dire, quotidianamente aggiorna se stessa con nuovi pezzi – non godono della sufficiente manutenzione: l'Archivio centrale dello Stato di Roma, ad esempio, custodisce carte su 120 chilometri di scaffalature, i depositi sono gonfi all'inverosimile e nei soffitti di quelli sotterranei sono incassati cubetti di vetrocemento che a stento reggono l'acqua, acqua che s'infiltra nelle pareti dove sono addossati scaffali alti sette metri. Altri 40 chilometri di documenti sono «emigrati» in un deposito a Pomezia;
   il personale, come già accennato, continua, a dispetto di questa poco esaltante situazione, a svolgere i propri compiti: ricevere visite e smaltire richieste per corrispondenza, studiare e scoprire piccoli e grandi tesori seppelliti nelle carte;
   gli archivisti lavorano sia nei 101 Archivi di Stato sia in 13 soprintendenze che vigilano sui documenti degli ottomila comuni italiani e di altri enti pubblici, delle parrocchie, dei tribunali, delle aziende, dei partiti e anche dei privati. E il loro impegno è indispensabile, solo per fare qualche esempio, dopo un'alluvione o un terremoto, per coloro che vogliono recuperare una planimetria. Come è necessario per ricostruire i precedenti di una causa penale o una storia familiare;
   nonostante ormai si vada verso la digitalizzazione dei documenti, i problemi per il settore permangono: da anni si varano norme perché la pubblica amministrazione produca documentazione informatica e abbia obbligatoriamente nei propri ranghi un archivista. Inutilmente. E restano nel vago i criteri di classificazione del materiale, una questione di cui chi possiede una casella di posta elettronica capisce l'importanza. Saper archiviare è fondamentale per riconoscere. E, salendo di scala dall’e-mail a repertori con milioni di documenti, sono gli archivisti i più capaci a classificare;
   sui depositi delle amministrazioni pubbliche si è soffermata la Corte dei conti, la quale ha voluto accertare se ministeri e altri enti pubblici si attengano ai dettami della spending review, razionalizzando i propri depositi, buttando materiale inutile e risparmiando sugli affitti. Degli oltre 300 magazzini soltanto una ventina, ha accertato la Corte dei conti, sono stati dismessi. Ne restano 287 e, di questi, 84 sono in mano a privati che ogni anno lucrano canoni per 5 milioni. I giudici contabili hanno capito che il materiale accumulato non viene smaltito perché, per legge oltre che per ovvie ragioni culturali, dev'essere una commissione a stabilire che cosa buttare. E, dato che alle commissioni prendono parte gli archivisti e gli archivisti sono sempre meno, le commissioni non si riuniscono –:
   quali tempestive iniziative intenda prendere al fine di preservare il ruolo degli Archivi di Stato, custodi della memoria collettiva del Paese, anche attraverso l'assunzione di un numero adeguato di archivisti che possano imparare il mestiere prima che tutti i colleghi più anziani ed esperti vadano in pensione. (3-02181)
(12 aprile 2016)

   BENAMATI, ARLOTTI, BARGERO, BASSO, BECATTINI, CAMANI, CANI, DONATI, GINEFRA, IACONO, IMPEGNO, MONTRONI, PELUFFO, SCUVERA, SENALDI, TARANTO, TENTORI, VICO, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si sono appena conclusi gli stati generali del turismo nel Museo delle ferrovie di Pietrarsa e la presenza di molte istituzioni regionali e territoriali e delle più alte rappresentanze delle associazioni di categoria dimostrano l'importanza che il settore riveste per l'economia italiana;
   dopo una stagione difficile, anche grazie alle politiche del Governo sia in termini di governance che di risorse finanziarie, il turismo in Italia sembra aver ripreso un sentiero di crescita, con un aumento del 3,2 per cento del numero dei turisti stranieri e del 4,7 per cento della spesa totale nel 2015 rispetto al 2014: si tratta del giusto contesto per elaborare una strategia che individui le reali necessità del Paese a fronte di un nuovo panorama nel quale il turismo globale è in forte crescita;
   per sostenere ulteriormente un settore che incide in forma diretta e indiretta per circa il 10,4 per cento del prodotto interno lordo e che presenta ancora margini di crescita rilevanti anche in termini di competitività rispetto ai Paesi concorrenti, è urgente approvare, dopo molte misure singole, un piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia che non si limiti a confidare sullo straordinario patrimonio culturale e paesaggistico italiano, ma affronti i molti nodi ancora irrisolti nel settore e sviluppi un modello di turismo orientato verso l'eccellenza, valorizzando l'intero patrimonio culturale e paesaggistico dell'Italia, con un approccio innovativo coerente e complessivo capace di sfruttare i potenziali attrattivi dei territori e sostenerne l'adattamento competitivo –:
   quali siano gli orientamenti, gli strumenti, gli ambiti di intervento e le tempistiche del piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia. (3-02182)
(12 aprile 2016)

   FAVA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dall'avviso di post informazione, privo di data, pubblicato in data imprecisata sul sito dell'ente autorità portuale di Augusta (http://www.portoaugusta.com) si apprende che con delibera presidenziale n. 41/13 del 30 agosto, la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara ex articolo 57 del decreto legislativo n. 163 del 2006, esperita ai sensi dell'articolo 122, comma 7, del decreto legislativo n. 163 del 2006, per l'affidamento dei lavori di pavimentazione delle aree comuni e realizzazione della segnaletica stradale del porto commerciale di Augusta, è stata aggiudicata in via definitiva alla società «Impresa di costruzioni ing. Filippo Colombrita srl», per l'importo di euro 737.330,10, oltre euro 24.174,25 per oneri di sicurezza;
   in difformità dalle disposizioni introdotte dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, e in particolare dalle norme che prescrivono la pubblicazione sul sito istituzionale dei bilanci di previsione e di conti consuntivi in forma sintetica, aggregata e semplificata, il sito dell'autorità portuale di Augusta non riporta in misura adeguata tali informazioni;
   in difformità dal decreto legislativo 14 marzo 2013 n. 33 («decreto trasparenza»), non sono pubblicati sul sito della autorità portuale di Augusta l'elenco dei compensi connessi alla carica, compresi i rimborsi spese e le indennità di missione, le informazioni relative ad altre cariche, con i compensi percepiti;
   essendo scaduto nell'ottobre 2013 il mandato del presidente, dal dicembre 2013 e fino ad oggi l'ente è retto da un commissario nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (dal dicembre 2013 al novembre 2014 dal dottor Enrico Maria Pujia e dal novembre 2014 ad oggi dall'avvocato Alberto Cozzo);
   tutti gli enti titolati a fornire al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la terna di nominativi per la nomina del nuovo presidente dell'autorità portuale di Augusta lo hanno fatto senza ritardi a tempo debito, benché senza preventivamente richiedere con avviso pubblico la presentazione dei curricula degli aspiranti;
   è del tutto evidente che la legge n. 84 del 1994 consente il ricorso al commissariamento dell'ente per il tempo strettamente occorrente a pervenire – ove necessario, ma non è questo il caso per Augusta – all'intesa con il presidente della regione, sulla persona da nominare e pertanto non si comprende per quale motivo il commissariamento si stia ormai prolungando da 18 mesi;
   inoltre, come confermato in pronunce dei tribunali amministrativi, le funzioni del commissario che sostituisce il presidente dell'autorità portuale dovrebbero limitarsi allo svolgimento dell'ordinaria amministrazione –:
   per quali ragioni non si sia provveduto, a seguito dell'atto di sindacato ispettivo del primo firmatario della presente interrogazione (interrogazione a risposta scritta n. 4/08916), ad avviare un'ispezione sulla gestione dell'autorità portuale di Augusta e, nel contempo, a valutare se sussistano i presupposti per dichiarare nulli tutti gli atti assunti che eventualmente non rientrano nell'ordinaria amministrazione e/o eventualmente viziati da eccesso di potere o adottati in difformità da quanto previsto dalla legge n. 84 del 1994, spiegando quali siano le ragioni di urgenza che, nonostante il rilevante importo economico, giustificherebbero l'affidamento dei lavori con procedura negoziata senza preventiva pubblicazione di bando.
(3-02183)
(12 aprile 2016)