TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 606 di Martedì 12 aprile 2016

 
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INTERROGAZIONI

A)

   BOSSI, GRIMOLDI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dopo mesi di attesa, di accordi sulla cassa integrazione, di proposte varie sul personale in esubero, finalmente nel luglio 2015 la multinazionale Whirlpool ha reso noto le proprie scelte strategiche presentando al Ministero dello sviluppo economico il piano industriale;
   nello specifico il piano prevede una missione per ogni sito: a Fabriano verrà creato un centro direzionale con circa 600 dipendenti, sede del consumer service, compresi la pianificazione dei ricambi e quality; Npi (new product introduction), divisione piccoli elettrodomestici, sistemi informativi, ricerca e sviluppo e parte del procurement; Melano diventerà l'unico hub europeo-mediterraneo per la produzione di piani cottura della zona Emea, con rientro delle produzioni dall'estero; vi sarà la chiusura del sito di Albacina con cessazione delle attività produttive del sito medesimo presumibilmente entro il primo semestre del 2016; Comunanza produrrà lavatrici con carica frontale e sarà produttore esclusivo in Emea di lavasciuga, con l'utilizzo dei contratti di solidarietà; il magazzino di None sarà ceduto in continuità alla società piemontese Mole, ma il personale in alternativa potrà comunque optare per il trasferimento ad altra sede del gruppo o accedere ai percorsi di uscita incentivata specificamente previsti; Napoli produrrà le lavatrici di alta gamma, anche con un modello aggiuntivo rivolto ai mercati extra-europei, e si utilizzeranno i contratti di solidarietà; Siena sarà il polo di produzione dei congelatori orizzontali, con rientro di prodotti anche dall'estero e possibilità di crescita ulteriore verso i mercati extra-europei ed anche per questo sito si utilizzeranno i contratti di solidarietà; a Caserta sarà costituito il polo europeo di ricambi e accessori, in cui troveranno inizialmente occupazione 320 persone, mentre il restante organico potrà accedere al trasferimento volontario incentivato per Varese con possibilità di colloqui anche per i familiari conviventi, ovvero accedere ai percorsi di uscita incentivata specificamente previsti per la Campania; Cassinetta di Biandronno perderà il service parts centre, ma si consoliderà come polo Emea per l'incasso, con produzione di forni, frigoriferi e microonde;
   proprio le scelte sul sito di Caserta destano non poche preoccupazioni tra gli interinali – circa 380 – in forza al sito di Cassinetta di Briandronno;
   si vocifera, infatti, che la proposta di trasferimento volontario incentivato per circa 400 lavoratori della ex Indesit di Caserta preveda un bonus di 32 mila euro, l'assunzione con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, nonché l'assunzione di un familiare da loro indicato tramite agenzia interinale;
   ovvio che tale notizia abbia creato allarme tra i 380 lavoratori somministrati di Cassinetta di Briandronno, preoccupati di ritrovarsi sostituiti dall'oggi al domani dal personale proveniente da Caserta –:
   se trovi conferma quanto riportato in premessa ovvero in quali termini si concretizzi la proposta di trasferimento volontario incentivato da Caserta a Varese per il personale interessato;
   se non ritenga doveroso intervenire, per quanto di competenza, affinché per ogni sito siano garantiti in primis – in termini di occupazione e di contratto di lavoro – i lavoratori già attivi presso i medesimi ed in subordine il personale in esubero che sarà trasferito su base volontaria tra i poli delle diverse regioni.
(3-01909)
(22 dicembre 2015)

   RICCIATTI, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FERRARA, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Indesit Company è un'azienda multinazionale leader nel settore degli elettrodomestici che nella parte più lunga e importante della sua storia ha avuto il cuore produttivo e decisionale nelle Marche ed è appartenuta alla famiglia Merloni;
   l'azienda marchigiana ha vissuto, come altre realtà economiche nazionali, la crisi economica che l'aveva portata a perdere nel 2009 il 17 per cento dei ricavi, situazione che era tuttavia migliorata negli anni successivi grazie all'andamento positivo di alcuni mercati esteri;
   nel 2013 l'amministratore delegato Marco Milani subentrava alla presidenza ad Andrea Merloni. Per la prima volta nella storia della Indesit un manager esterno alla famiglia Merloni guidava l'azienda;
   in data 4 giugno 2014 Indesit aveva annunciato l'esubero di 1400 lavoratori in Italia, per poter rendere più competitiva l'azienda;
   a seguito di trattative tra le organizzazioni sindacali, l'azienda e le istituzioni – Ministero dello sviluppo economico e regione Marche tra le più attive – il 3 dicembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato l'accordo relativo alla vertenza tra l'azienda, il Ministero dello sviluppo economico, le regioni Campania e Marche, Confindustria Ancona e Caserta, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, ad eccezione della Fiom, che vi ha aderito successivamente ad un referendum dei lavoratori dell'azienda;
   tale accordo prevede un investimento della azienda pari ad 83 milioni di euro e la ridefinizione delle missioni produttive per ogni sito del gruppo, l'impegno dell'azienda sino a tutto il 2018 di non ricorrere all'utilizzo di procedure unilaterali di mobilità, l'uso dei contratti di solidarietà, un limite alla cassa integrazione a zero ore di 4 mesi per ogni lavoratore, nei cinque anni di durata del piano, nonché la realizzazione di un centro di ricerca sui prodotti elettrodomestici, all'interno dello stabilimento Indesit di Melano nelle Marche, finanziato da diverse Istituzioni, tra le quali lo stesso Ministero dello sviluppo economico, le regioni Marche e Campania ed il Consiglio nazionale delle ricerche;
   in data 11 luglio 2014 la stampa ha reso noto che la famiglia Merloni, attraverso la società Fineldo, ha ceduto alla società americana Whirlpool la partecipazione del 60,4 per cento del capitale (ossia il 66,8 per cento dei diritti di voto) della fabbrica di elettrodomestici. Il prezzo di acquisto era stato fissato a 11 dollari per ogni azione di Indesit, per un prezzo totale previsto pari a 758 milioni di dollari;
   nonostante le diverse sollecitazioni, ad oggi non è ancora chiaro se Whirlpool riconoscerà il piano industriale siglato dalla Indesit, salvaguardando così i livelli occupazionali e gli impianti produttivi nel territorio marchigiano e campano, così come stabilito tra le parti e le istituzioni nell'accordo del 3 dicembre 2013;
   le preoccupazioni, soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali e dai lavoratori, risiedono nell'evidenza che Whirlpool produce prodotti della stessa tipologia merceologica della Indesit e possiede già diversi stabilimenti in Italia –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle intenzioni dell'acquirente Whirlpool circa il riconoscimento del piano industriale siglato da Indesit il 3 dicembre 2013;
   quali strumenti di loro competenza intendano attuare i Ministri interrogati per salvaguardare livelli occupazionali e impianti produttivi nei territori interessati.
(3-02172)
(11 aprile 2016)
(ex 4-05967 del 10 settembre 2014)

B)

   ZAMPA, QUARTAPELLE PROCOPIO, D'INCECCO, CARRA, GNECCHI, IORI, CARLONI, MOGNATO, RUBINATO, BRUNO BOSSIO, VENITTELLI, MARCHI, VALIANTE, GANDOLFI, GIUSEPPE GUERINI, MATTIELLO, TENTORI e LATTUCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la notte del 3 ottobre 2015, raid aerei americani hanno colpito in modo continuativo il centro traumatologico Kunduz trauma centre, in Afghanistan, gestito dall'organizzazione internazionale medico-umanitaria, Medici senza frontiere. Nel raid sono morte 30 persone, di cui 13 membri dello staff di Medici senza frontiere, 10 pazienti e 7 persone che non è stato possibile identificare;
   a quanto si apprende dall'organizzazione Medici senza frontiere, il Governo americano ha ammesso l'errore ed espresso le proprie scuse con una telefonata del Presidente Obama alla presidente dell'organizzazione, dottoressa Joanne Liu;
   Medici senza frontiere lavora a Kunduz dal mese di agosto 2011, quando è stato aperto il centro traumatologico. Il Kunduz trauma centre era l'unica struttura del suo genere nel nord-est dell'Afghanistan. Il centro traumatologico forniva assistenza chirurgica gratuita di alto livello alle vittime di traumi generici, come gli incidenti stradali, e ai pazienti che si presentavano con lesioni da conflitto, per esempio esplosioni di bombe o colpi di arma da fuoco. L'ospedale aveva 92 posti letto, che erano aumentati eccezionalmente a 140 alla fine del mese di settembre 2015 per far fronte al numero senza precedenti di ricoveri. Il Kunduz trauma centre era dotato di un reparto di emergenza, tre sale operatorie e un'unità di terapia intensiva, nonché di reparti di radiologia, farmacia, fisioterapia e laboratori;
   il centro traumatologico impiegava un totale di 460 dipendenti. Dall'apertura del Kunduz trauma centre nel 2011, erano stati effettuati oltre 15.000 interventi chirurgici ed erano stati trattati più di 68.000 pazienti in emergenza;
   il 5 novembre 2015 Medici senza frontiere ha pubblicato un rapporto interno che esamina gli attacchi del 3 ottobre 2015 da parte delle forze statunitensi sull'ospedale di Medici senza frontiere nell'Afghanistan settentrionale. L'analisi cronologica dei fatti che si sono susseguiti, durante e immediatamente dopo gli attacchi aerei, attesterebbero che non vi sarebbe stata alcuna ragione per cui l'ospedale dovesse essere colpito. Non c'erano combattenti armati o combattimenti nell'area dell'ospedale;
   l'analisi redatta da Medici senza frontiere mostrerebbe i fatti all'interno dell'ospedale nei giorni precedenti e durante l'attacco. Il rapporto comprende i dettagli della disposizione delle coordinate gps e il registro delle telefonate da parte di Medici senza frontiere alle autorità militari nel tentativo di fermare gli attacchi aerei;
   sulla base del diritto internazionale umanitario, Medici senza frontiere aveva raggiunto l'accordo di rispettare la neutralità dell'ospedale con tutte le parti in conflitto;
   la dottoressa Joanne Liu, presidente internazionale di Medici senza frontiere, ha dichiarato: «Noi abbiamo rispettato gli accordi. Il centro traumatologico di Medici senza frontiere a Kunduz era un ospedale pienamente funzionante e al momento degli attacchi aerei erano in corso degli interventi chirurgici. Il divieto di ingresso alle armi nelle strutture di Medici senza frontiere è stato rispettato e il personale ospedaliero aveva il pieno controllo della struttura prima e durante attacchi aerei»;
   il direttore generale di Medici senza frontiere, dottor Christopher Stokes, ha dichiarato: «Stanno circolando alcuni resoconti pubblici che affermano che l'attacco al nostro ospedale potrebbe essere giustificato dal fatto che stavamo curando dei talebani. Ai sensi del diritto internazionale, i combattenti feriti sono pazienti, non devono subire attacchi e vanno curati senza discriminazioni. Il personale medico non dovrebbe mai essere punito o attaccato perché fornisce cure ai combattenti feriti». La dottoressa Liu ha, altresì, dichiarato: «L'attacco ha annientato la nostra capacità di soccorrere i pazienti nel momento in cui ne hanno più bisogno. Un ospedale funzionale che cura pazienti non può così facilmente perdere il suo status di protezione ed essere attaccato»;
   secondo quanto reso noto da Medici senza frontiere tra i 105 pazienti al momento dei bombardamenti, vi erano, infatti, combattenti feriti di entrambe le parti in conflitto a Kunduz, così come donne e bambini;
   le conclusioni del documento di Medici senza frontiere rilevano che:
    a) «prima dell'attacco, l'accordo di rispettare la neutralità della struttura medica in base alle sezioni applicabili del diritto umanitario internazionale era pienamente in atto e concordato con tutte le parti in conflitto;
    b) al momento dei bombardamenti, il Kunduz trauma centre era completamente funzionante come ospedale, con 105 pazienti ricoverati e interventi chirurgici in corso;
    c) al momento dei bombardamenti, le direttive di Medici senza frontiere in ospedale erano attuate e rispettate, compresa la politica del “no alle armi”, e Medici senza frontiere era in pieno controllo dell'ospedale;
    d) al momento dei bombardamenti, non c'erano combattenti armati all'interno del complesso ospedaliero e non c'erano combattimenti in corso provenienti dal Kunduz trauma centre o nelle immediate vicinanze;
    e) le coordinate gps fornite a tutti i gruppi armati erano corrette e le équipe di Medici senza frontiere a Kabul e New York avevano preso i contatti necessari per avvisare le parti in conflitto degli attacchi aerei;
   sulla base di queste conclusioni, è urgentemente necessario un riconoscimento ampiamente concordato e inequivocabile delle regole pratiche in base alle quali gli ospedali operano nelle zone di conflitto. Ciò significa:
    a) un ospedale funzionante che cura pazienti, come quello di Kunduz, non può semplicemente perdere la protezione ed essere attaccato;
    b) i combattenti feriti devono essere trattati senza discriminazione e non possono essere attaccati, il personale medico non può essere punito o attaccato perché fornisce cure ai combattenti feriti»;
   considerata la sequenza di attacchi alle strutture sanitarie che si stanno verificando con sempre maggiore intensità nei conflitti attuali (dal Sud Sudan allo Yemen, dalla Siria all'Afghanistan), l'organizzazione Medici senza frontiere ha richiesto al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ulteriori iniziative di natura diplomatica per riaffermare i princìpi del diritto internazionale umanitario e il rispetto delle Convenzioni di Ginevra e, dal giorno dei raid americani, si è mobilitato a livello internazionale e in particolare affinché fosse attivata la Commissione umanitaria internazionale per l'accertamento dei fatti (International humanitarian fact-finding Commission) prevista e mai attivata dal primo protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1977;
   la Commissione ha dato la propria disponibilità ad un'indagine imparziale e indipendente sui fatti, tuttavia per iniziare la sua attività necessita del consenso dei due Stati parti in causa, nello specifico Stati Uniti e Afghanistan. La richiesta da parte della Commissione è stata resa ufficiale per mezzo di due lettere identiche fatte arrivare ai rispettivi Governi il 7 ottobre 2015;
   è di fondamentale importanza che si faccia luce sull'evento e che la Commissione possa espletare il suo mandato fino ad oggi silente –:
   se il Governo non ritenga opportuno intraprendere iniziative affinché il Governo statunitense autorizzi la International humanitarian fact-finding Commission ad avviare l'indagine sugli avvenimenti del 5 novembre 2015 che hanno coinvolto il centro traumatologico di Kunduz in Afghanistan, onde far luce pienamente sugli eventi e riaffermare i princìpi del diritto internazionale umanitario ed il rispetto delle Convenzioni di Ginevra. (3-01864)
(24 novembre 2015)

C)

   LIUZZI, SPESSOTTO, PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 3 marzo 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato la «Strategia per la crescita digitale 2014-2020», con l'obiettivo di colmare il cosiddetto digital divide nel nostro Paese, con particolare riferimento al settore infrastrutturale e ai servizi. Il documento si propone i seguenti obiettivi strategici:
    a) determinare il progressivo switch-off dell'analogico a favore del digitale per la fruizione dei servizi pubblici, progettando e coordinando la digitalizzazione della pubblica amministrazione;
    b) al fine di garantire la crescita economica e sociale, prevedere uno sviluppo di competenze digitali nelle imprese e di diffusione della cultura digitale fra i cittadini, potenziando rispettivamente la domanda e l'offerta di servizi digitali;
    c) coordinare in maniera unitaria la programmazione e gli investimenti pubblici in innovazione digitale e information, communication and technology;
   nel documento è stata prevista una tempistica ben precisa su ogni obiettivo (come, ad esempio, sulla predisposizione dell'accesso wifi graduale in tutti gli uffici pubblici, incluse le scuole, il progetto «Digital security per la PA» e la razionalizzazione del patrimonio ict, il consolidamento data center e cloud computing; l'avviamento del progetto Spid-Servizio pubblico d'identità digitale), la gestione digitale dell'anagrafe della popolazione; il pagamento elettronico; l'aggiornamento dei dati su ipa e adl-fatturazione elettronica; la realizzazione dell’open data; la digitalizzazione delle procedure burocratiche sanitarie e altri interventi in materia di scuola digitale e giustizia digitale; smart city e community). Nel documento è stato previsto un monitoraggio (condotto prevalentemente da Agid) sulla misurazione dei progressi dell'Italia verso il raggiungimento degli obiettivi di crescita digitale;
   secondo i dati dalla Commissione europea nel cosiddetto «digital scoreboard» l'Italia si attesta al 25o posto su 28 Paesi europei per livello di penetrazione del digitale (la classifica europea considera diversi fattori rilevanti, tra i quali i dati di estensione della banda larga e ultralarga rispetto alla quale il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa) –:
   quale sia lo stato di attuazione della «Strategia per la crescita digitale 2014-2020». (3-01843)
(11 novembre 2015)