TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 586 di Mercoledì 9 marzo 2016

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con i suoi 157 chilometri di tracciato e un'utenza pari a circa 4.000 passeggeri giornalieri, la ex Ferrovia centrale umbra è una linea a scartamento ordinario in concessione, il cui tracciato si snoda quasi totalmente nel territorio della regione Umbria, lungo la valle del Tevere;
   il 26 gennaio 2015 è stato sottoscritto a Perugia l'accordo quadro tra regione Umbria e Rete ferroviaria italiana per la gestione della ex Ferrovia centrale umbra da parte di Rete ferroviaria italiana al fine di incrementare la capacità di traffico sulle linee ferroviarie umbre, con una produzione che a regime secondo le stime dovrebbe salire dagli attuali 3,7 milioni di treni per chilometro all'anno a circa 3,9 milioni;
   l'accordo di durata decennale, firmato dall'assessore regionale alle infrastrutture e ai trasporti della regione Umbria, Giuseppe Chianella, e dall'amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana, Maurizio Gentile, prevede il potenziamento dei collegamenti con Roma e con le Marche, la connessione fra l'infrastruttura gestita da Rete ferroviaria italiana e il network dell'operatore ferroviario regionale, nonché l'integrazione delle diverse modalità di trasporto dell'Umbria con un sistema integrato di servizi (coincidenze e orario cadenzato);
   in particolare l'accordo firmato prevede: incrementi della capacità di traffico della linea Terontola-Perugia-Terni, via Assisi-Foligno-Spoleto, con servizi dedicati per le stazioni maggiormente utilizzate da circa il 50 per cento dei residenti in Umbria; incremento e ottimizzazione del servizio biorario per la relazione Foligno-Firenze; potenziamento della linea Roma-Ancona (tratto Orte-Fossato di Vico) con aumento dei collegamenti dei treni per i pendolari con Roma. Nel documento si accenna anche ad una programmazione integrata con la regione Marche di treni regionali veloci sull'asse ferroviario Ancona-Foligno-Roma;
   l'accordo quadro è lo strumento tecnico che consentirà alla regione Umbria di prenotare capacità di traffico per la rete ferroviaria regionale e di programmare nel medio/lungo periodo l'uso dell'infrastruttura ferroviaria in funzione del piano regionale dei trasporti. Per Rete ferroviaria italiana l'accordo quadro relativo alla capacità ferroviaria è il principale strumento per determinare le reali esigenze di mobilità del territorio e per programmare, ove sia necessario, piani di upgrade infrastrutturale per ottimizzare al meglio lo sviluppo dei servizi regionali;
   per quanto riguarda gli sviluppi futuri, l'accordo non solo tiene conto della capacità di traffico basata sull'infrastruttura esistente, ma anche di possibili investimenti nazionali programmati di concerto da Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana o richiesti dalla regione stessa per il miglioramento della qualità dei servizi, quali ad esempio l'eliminazione delle barriere architettoniche o parcheggi vicino alle stazioni;
   per quanto concerne la fattibilità del trasferimento della rete ex Ferrovia centrale umbra a Rete ferroviaria italiana, l'amministratore delegato Maurizio Gentile ha spiegato che occorrerà un periodo transitorio di circa tre anni per adeguare la vecchia e malandata linea ferroviaria agli standard nazionali previsti dall'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, mentre è ancora prematura l'analisi dei costi necessari per questa operazione;
   il 9 febbraio 2016 la regione Umbria ha anche rinnovato con Busitalia (gruppo Ferrovie dello Stato Italiane) il contratto di servizio per il trasporto pubblico ferroviario di interesse regionale e locale lungo la rete ex Ferrovia centrale umbra fino al 2019 per circa 1,2 milioni di treni/chilometri e un valore economico di circa 7 milioni di euro all'anno;
   il nuovo accordo segue di poco tempo il rinnovo per i servizi regionali con Trenitalia e l'accordo quadro con Rete ferroviaria italiana per il potenziamento dell'infrastruttura e, come affermato dall'assessore regionale ai trasporti Giuseppe Chianella, «permette di chiudere il cerchio per la gestione del trasporto pubblico su ferro in Umbria, garantendo di migliorare la qualità del servizio ferroviario, con l'impegno a lavorare insieme per gli obiettivi del piano regionale dei trasporti» «C’è un forte impegno della regione per la valorizzazione complessiva della Ferrovia centrale umbra - ha sottolineato l'assessore - con la positiva novità dell'apertura del rapporto con Rete ferroviaria italiana»;
   nel contratto si prevede che la regione Umbria affida a Busitalia l'organizzazione e la gestione dei servizi di trasporto ferroviario di persone di interesse regionale e locale per i collegamenti fra Perugia, Terni, Sansepolcro, Perugia Sant'Anna. Il contratto ha un valore economico annuo di 7.016.000 euro (con aggiornamento al tasso di inflazione programmata), corrisposti, a titolo di corrispettivo, dalla Regione in base all'attuale organizzazione dei servizi per complessivi 1.191.288 treni/chilometri (di cui 106.258 con autobus) e 121.116.075 posti/chilometri offerti. Saranno concordate con la stessa regione modifiche del servizio in caso di lavori programmati di migliorie, rinnovo e potenziamento dell'infrastruttura ferroviaria disposti dal gestore dell'infrastruttura regionale e da Rete ferroviaria italiana. A questo proposito Busitalia, previo accordo con la regione, si impegna a rinnovare, potenziare e/o effettuare interventi di ristrutturazione con un investimento di 1.150.000 euro;
   il contratto di servizio prevede che nel corso del 2016 vengano valutate ed intraprese idonee iniziative per verificare la possibilità di avviare, dal 1o gennaio 2017, la gestione unitaria dell'insieme dei servizi ferroviari di interesse regionale sulla rete nazionale e regionale al fine di agevolare l'integrazione tra tutte le modalità di trasporto pubblico sul territorio della regione Umbria;
   per facilitare la gestione del contratto, è costituito il comitato tecnico di gestione del contratto, composto da due rappresentanti di Busitalia e due rappresentanti della regione Umbria. La regione si impegna ad attivare un gruppo di lavoro, al quale partecipa anche Busitalia, per definire un progetto preliminare di integrazione tariffaria, su base regionale, che coinvolga le aziende e le istituzioni individuate dalla Regione stessa;
   sul tema del potenziamento della ex Ferrovia centrale umbra era intervenuto il 3 febbraio 2016 il Ministro interrogato, durante un incontro istituzionale a Terni con i vertici della regione, annunciando in quell'occasione che «il Governo ha messo a disposizione adeguate risorse per ciò che riguarda la rete ferroviaria e soprattutto per la valorizzazione delle reti secondarie perché vogliamo potenziare il trasporto pubblico ferroviario locale». In questa direzione è particolarmente importante l'accordo definito con Rete ferroviaria italiana per la concessione della rete infrastrutturale della Ferrovia centrale umbra. Questo servirà a mettere in sicurezza questa fondamentale ferrovia regionale, potenziarla e consentirle di svolgere una funzione centrale per il trasporto locale nonché collegarsi con il sistema ferroviario nazionale. Si tratta di un accordo che apre una strada significativa che altri in Italia dovrebbero seguire;
   il giorno prima della visita del Ministro interrogato, l'assessore regionale Chianella, rispondendo in consiglio ad un'interrogazione, aveva ammesso che «la regione ritiene strategica l'infrastruttura Ferrovia centrale umbra, che però necessita di una manutenzione importante», annunciando la cessione a Rete ferroviaria italiana per gli interventi di ripristino a cominciare dalla tratta Umbertide-Città di Castello e anticipando che «in un secondo tempo, invece, stiamo studiando l'ipotesi di un trasferimento al patrimonio dello Stato della stessa infrastruttura per progetti di più ampio respiro»;
   ad esprimere forti preoccupazioni in merito alla gestione della linea regionale sono i sindaci dell'Alta Valle del Tevere. Il 19 febbraio 2016 si è svolto, infatti, ad Umbertide il consiglio comunale aperto sulle prospettive di sviluppo della ferrovia ex Ferrovia centrale umbra, al quale hanno partecipato i sindaci dei comuni alto tiberini, i quali hanno commentato: «Crediamo che la ex Ferrovia centrale umbra rappresenti, e possa continuare a rappresentare, un soggetto di importanza fondamentale del sistema della mobilità regionale sia per servizi tra le principali città dell'Umbria sia nell'ambito del sistema complessivo dei servizi di trasporto pubblico locale in una prospettiva di maggiore integrazione ed efficienza. Il tutto nell'ottica di migliorare l'offerta di servizi regionali a beneficio dei numerosi frequentatori, pendolari, turisti, che giornalmente utilizzano i servizi di trasporto pubblico. Riteniamo che anche per la nostra regione sia arrivato il momento di dotarsi di un moderno ed efficiente sistema di mobilità pubblica al fine di garantire un sempre più efficiente sistema di trasporto pubblico locale»;
   i primi cittadini di Umbertide Marco Locchi, di Città di Castello Luciano Bacchetta, di San Giustino Paolo Fratini e di Sansepolcro Daniela Frullani hanno sottolineato il ruolo fondamentale della ex Ferrovia centrale umbra come dorsale strategica della regione e ribadito la necessità di ripristinare quanto prima la circolazione sulla tratta Umbertide-Città di Castello, interrotta oramai da mesi per motivi di sicurezza;
   sullo stato della ex Ferrovia centrale umbra è intervenuto anche il comitato pendolari umbri evidenziando come «a settembre il neo assessore regionale ai trasporti Giuseppe Chianella ha annunciato la chiusura della tratta da Umbertide a Città di Castello per consentire lavori di manutenzione e di messa in sicurezza. I lavori (di cui ancora non si sa la data di inizio), avranno durata di circa un anno e un costo complessivo di 6 milioni di euro. Bus sostitutivi hanno preso il posto dei treni, provocando non pochi disagi alle utenze, visto il taglio drastico delle corse». «La notizia dal 6 settembre non è che l'ultimo atto riguardante un disservizio che negli ultimi dieci anni è costantemente in crescita – scrivono ancora i pendolari umbri – dovuto in gran parte a strategie fallimentari che hanno comportato sperpero di denaro pubblico.». Con la chiusura del tratto Umbertide-Città di Castello «agli utenti della ferrovia, che già hanno dovuto sopportare anni di disservizio (treni sporchi, scarsa sicurezza all'interno dei convogli, tariffe aumentate in maniera astronomica nel giro di pochissimo tempo) – ricorda il comitato pendolari – ora viene tolto un servizio essenziale che potrebbe definitivamente isolare l'intera Umbria del nord e che, attualmente, comporta un'odissea per coloro che si spostano da nord a sud, e viceversa, quotidianamente con i bus: partenza da Sansepolcro in treno, capolinea a Città di Castello, in pullman fino a Umbertide per poi risalire su un altro convoglio. Tutto questo pagando». «Come comitato pendolari da moltissimo tempo chiediamo la messa in sicurezza della tratta, ma le nostre denunce sono sempre rimaste inascoltate. La ferrovia va potenziata e rimessa a posto. Per questo le istituzioni locali devono impegnarsi a rintracciare i fondi necessari per ciò. È vero, il Governo centrale ha effettuato numerosi tagli, ma in passato potevano essere impiegate delle importanti risorse finanziarie che sono state buttate via, come ad esempio con l'acquisto dei quattro treni «Minuetto» (di cui ne viaggia solo uno e gli altri stanno a marcire alla stazione di Umbertide) o per il raddoppio da Perugia-Sant'Anna a Ponte San Giovanni, i lavori del quale sono iniziati dieci anni fa e non vedono una fine. Come affermato precedentemente, non viene garantito più un servizio adeguato. Gli orari non vengono stabiliti secondo esigenze del pendolare ma a piacimento dell'azienda. All'interno dei treni vi è una vera e propria anarchia; con viaggiatori che non pagano il biglietto e molta sporcizia» –:
   quali siano i tempi previsti per l'apertura dei cantieri per la messa in sicurezza della tratta Città di Castello-Umbertide, chiusa da mesi con forti disagi per i pendolari umbri, e dunque per la conseguente riapertura della stessa, nonché a quanto ammontino gli investimenti che Rete ferroviaria italiana intende destinare nel prossimo triennio per la riqualificazione della ex Ferrovia centrale umbra adeguandola agli standard delle linee ferroviarie nazionali. (3-02087)
(8 marzo 2016)

   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile del 2015 Alitalia e Coni hanno concluso un accordo strategico biennale che prevede la scelta del predetto vettore quale compagnia aerea di riferimento per i viaggi degli iscritti alle federazioni sportive italiane, in cambio di agevolazioni tariffarie e servizi dedicati in favore di questi ultimi;
   in conseguenza di questo accordo, Alitalia, dal dicembre 2015 (e fino al giugno 2016), ha attivato una tariffa speciale, detta sport light, riservata agli iscritti delle federazioni sportive italiane;
   tale tariffa prevede che il gruppo di viaggiatori sia costituito da almeno cinque persone che viaggino insieme con il medesimo itinerario di andata e ritorno, da svolgere nell'arco temporale tra il giorno precedente e quello successivo la gara;
   le condizioni tariffarie previste dal ricordato accordo tra Alitalia e Coni risultano particolarmente favorevoli per le gare in trasferta delle società sportive, che possono raggiungere Milano o Roma con voli di andata e ritorno da un altro aeroporto italiano, affrontando una spesa contenuta pari a circa 79 euro per un volo andata e ritorno;
   in maniera sconcertante per l'interrogante, però, questa agevolazione non è concessa alle società sportive residenti in Sardegna;
   si tratta di un colpo durissimo ed ingiustificabile nei confronti di tutte quelle società sportive sarde che già soffrono del problema dell'insularità e delle distanze da coprire ogni volta che il calendario dei campionati nazionali imponga loro di andare in trasferta;
   limitandosi solo al calcio dilettantistico, vengono di fatto discriminate rispetto a tutte le omologhe società delle altre regioni italiane, ben 19 squadre di calcio sarde;
   si tratta, come detto, di un colpo durissimo ed inaccettabile, che si aggiunge a tutte le difficoltà che lo sport sardo affronta quotidianamente. Si può dire che questa decisione di Alitalia, dettata per l'interrogante da mere (e miopi) logiche di mercato, contribuisce grandemente al collasso dell'intero sistema sportivo della Sardegna;
   Alitalia, in un comunicato del 7 dicembre 2015, ha giustificato la sua decisione, affermando che il contratto di servizio in essere tra Alitalia e regione Sardegna per garantire la continuità territoriale dell'isola già prevede una tariffa (onerata) agevolata per i passeggeri dei voli Cagliari-Roma Fiumicino e Cagliari-Milano Linate e ritorno;
   si tratta di una risposta che, per l'interrogante, evidenzia un imbarazzo per una decisione inqualificabile. Infatti, la tariffa agevolata prevista dal contratto di servizio e ricordata da Alitalia mira a compensare i disagi connessi alla condizione di insularità, consentendo ai cittadini sardi di essere trattati come tutti gli altri cittadini italiani, scongiurando il rischio dell'isolamento geografico;
   l'esclusione degli sportivi sardi dalle agevolazioni previste dall'accordo tra Alitalia e Coni, invece, mette di nuovo in condizione di svantaggio dei cittadini rispetto agli altri, vanificando di fatto proprio quella continuità territoriale di cui si parla in modo inappropriato;
   non è inutile ricordare, poi, che le tariffe agevolate previste dalla continuità territoriale sono in media più elevate di quelle che risulterebbero dall'applicazione della tariffa detta «sport light»;
   si nota, inoltre, che l'obiettivo di valorizzazione dello sport perseguito dal Coni con l'accordo con Alitalia citato, non può ammettere, per l'interrogante, distinzioni e riguarda tutto lo sport italiano;
   il presidente del Coni Malagò, infatti, al momento della presentazione dell'accordo con Alitalia ha affermato che la partnership era volta a diffondere un «forte messaggio di unità ed identità nazionale»;
   il mancato inserimento della Sardegna va, invece, ed esplicitamente, secondo l'interrogante proprio in controtendenza con quanto affermato dal presidente del Coni;
   in Sardegna, inoltre, è particolarmente avvertita l'esigenza di promuovere il valore sociale, formativo ed educativo dello sport come strumento di aggregazione e di integrazione sociale, oltre che di valorizzazione dei giovani atleti isolani;
   il fatto che Alitalia sia il vettore assegnatario dell'esercizio dei voli Cagliari-Roma Fiumicino e Cagliari-Milano Linate in regime di continuità territoriale non costituisce per l'interrogante un impedimento all'estensione di ulteriori agevolazioni tariffarie ai passeggeri dei suddetti voli;
   infatti, il decreto ministeriale n. 61 del 21 febbraio 2013 – con il quale il Governo, conformemente alla proposta formulata dalla regione Sardegna, ha imposto gli oneri di servizio pubblico sui servizi aerei di linea sulle rotte tra i principali scali aeroportuali isolani e quelli di Roma-Fiumicino e Milano-Linate – indica, nell'allegato tecnico, le tariffe agevolate massime, soggette ad adeguamento esclusivamente sulla base del tasso di inflazione e delle variazioni del costo del carburante, con l'unico vincolo per il vettore di non applicare ulteriori maggiorazioni o surcharge non previste dalla legge, sicché «gli aumenti tariffari di qualsiasi entità ed a qualsiasi titolo imposti, determinati ed applicati al di fuori delle procedure sopra indicate, sono illegittimi» –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare il perpetuarsi di una situazione di inaccettabile discriminazione sul piano dei trasporti nei confronti degli sportivi sardi, penalizzati rispetto a quelli del resto d'Italia dall'esclusione decisa da Alitalia.
(3-02088)
(8 marzo 2016)

   PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   il 20 settembre 2015 sono stati immessi in servizio sulla linea adriatica delle Ferrovie dello Stato i nuovi treni Frecciarossa 1000 che collegano Milano a Bari in 6 ore e mezza;
   fin da quando si è diffusa la notizia dell'entrata in vigore del nuovo orario invernale delle Ferrovie dello Stato italiane, e quindi ben prima del 20 settembre 2015, il Salento ha chiesto a gran voce che i Frecciarossa non si fermassero a Bari ma arrivassero prima a Lecce;
   tra le argomentazioni della legittima protesta vi era, peraltro, quella che precedentemente dalla tratta Milano-Lecce erano già stati eliminati alcuni Eurostar, con la conseguenza che il Salento era praticamente isolato sul versante adriatico;
   già ai primi di settembre 2015, a Bari, in occasione dell'inaugurazione della Fiera del Levante, il Governo, per bocca del Sottosegretario De Vincenti, assunse l'impegno di ristorare il Salento e di far arrivare il Frecciarossa fino a Lecce;
   ne seguì circa un mese di polemiche alimentate dalle dichiarazioni dell'allora amministratore delegato di Ferrovie dello Stato italiane, che dichiarò «antieconomico» per l'azienda il prolungamento della tratta Milano-Bari fino a Lecce;
   successivamente, e sull'onda di una campagna di stampa e di opinione pubblica che invocava il Frecciarossa fino a Lecce, Governo, regione ed enti locali parteciparono a numerosi tavoli per trovare una soluzione;
   ad ottobre 2015, dopo mesi di proteste, polemiche, dibattiti, mobilitazione di tutto il Salento e di tutta la Puglia, al netto delle appartenenze politiche, il Ministro interrogato, i vertici di Trenitalia, il presidente della regione assunsero l'impegno con popolazione ed istituzioni locali, che entro l'estate 2016 il Frecciarossa Milano-Bari, sarebbe arrivato a Lecce, anche perché si convenne che le previsioni di antieconomicità ipotizzate da Trenitalia fossero del tutto ipotetiche in assenza di offerta sul treno;
   ad ottobre 2015, quindi, fu lo stesso Ministro interrogato, insieme con i vertici di Trenitalia, a garantire che il Frecciarossa sarebbe arrivato fino a Lecce e che il Governo si sarebbe fatto carico di ripianare eventuali perdite di Trenitalia;
   nel frattempo sono cambiati i vertici di Trenitalia e a fine marzo 2016 entrerà in vigore come sempre il nuovo orario ferroviario, ma non si parla più del Frecciarossa fino a Lecce –:
   se il Governo possa confermare che l'impegno assunto con il Salento e la Puglia ad ottobre 2015 dallo stesso Ministro interrogato sarà mantenuto e se possa confermare che nel nuovo orario di Trenitalia che entrerà in vigore a fine marzo 2016 è previsto il prolungamento fino a Lecce del Frecciarossa Milano-Bari.
(3-02089)
(8 marzo 2016)

   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi sono oltre mille le stalle da latte chiuse, il 60 per cento delle quali in montagna, con una media di una stalla su cinque, con effetti drammatici sull'economia, sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale nonché sull'occupazione. Queste chiusure causano un aumento delle importazioni dall'estero di latte, infatti, per ogni milione di quintali di latte importato in più scompaiono 17 mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura;
   il latte agli allevatori viene pagato al di sotto dei costi di produzione, con una riduzione dei compensi fino al 30 per cento rispetto allo scorso anno e valori inferiori a quelli di venti anni fa. Nel 2015 il valore finale distribuito all'agricoltura all'interno della filiera è sceso dal 17 al 14 per cento. La differenza tra i prezzi pagati dal consumatore italiano e il prezzo riconosciuto agli allevatori è infatti la più alta d'Europa;
   la multinazionale del latte francese Lactalis è il principale gruppo lattiero europeo e in Italia è proprietario di marchi come Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani e Cademartori. Controlla un terzo del nostro mercato e incassa dai consumatori italiani 1,4 miliardi di euro;
   il mercato del latte si trova, quindi, a sottostare a questo operatore straniero che impone a giudizio degli interroganti unilateralmente agli allevatori le proprie condizioni. Nell'ultimo anno con la decisione unilaterale di ridurre del 20 per cento i compensi riconosciuti agli allevatori, il prezzo a loro corrisposto è sceso a 34 centesimi al litro, ben al di sotto dei costi di produzione, stimati in un valore medio compreso tra i 38 e i 41 centesimi;
   esiste, a giudizio degli interroganti, un evidente squilibrio contrattuale tra le parti che determina un abuso, praticato dai trasformatori, dovuto alla loro maggiore forza economica sul mercato con un'imposizione di condizioni ingiustificate e gravi;
   il 28 gennaio 2016 si è svolta la prima riunione del comitato consultivo previsto dall'accordo di filiera per il sostegno al comparto lattiero-caseario siglato presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il 26 novembre 2015. All'incontro hanno partecipato i rappresentanti delle organizzazioni agricole, dell'industria, delle cooperative e della grande distribuzione. Durante l'incontro è stato definito il sistema base di indicizzazione del prezzo del latte, attraverso un meccanismo oggettivo che tiene conto dei costi di produzione e dell'andamento dei prezzi del latte e dei formaggi sul mercato interno ed estero;
   certamente questo accordo è un importante passo avanti per la stabilità e sostenibilità del settore lattiero-caseario anche se le questioni legate al futuro prezzo del latte restano ancora aperte. È necessario, a parere degli interroganti, arrivare nel più breve tempo possibile alla determinazione di un prezzo giusto da pagare agli allevatori;
   sembra che recentemente la Lactalis stia dando disdetta del contratto di somministrazione a diversi produttori di latte italiani tramite una lettera nella quale viene comunicato che alla scadenza del contratto questo non sarà rinnovato automaticamente nei termini attuali per un ulteriore periodo, facendo in questo modo cessare definitivamente i contratti alla fine del mese di marzo. Nella lettera si legge, inoltre, che la società resta a disposizione per valutare l'ipotesi di un nuovo contratto previa rinegoziazione delle condizioni;
   non si può rimanere inermi davanti a una politica dei prezzi praticata da parte di una sola multinazionale, che opera, quindi, in regime di semi-monopolio, traccia le linee del settore e decide sul futuro di migliaia di allevatori;
   all'Autorità garante della concorrenza e del mercato gli allevatori hanno chiesto di far luce sugli abusi di dipendenza economica a danno dei produttori e questa sembra aver assicurato un suo rapido interessamento. Comportamenti scorretti nel pagamento del latte si sono verificati anche in Spagna prima e in Francia poi, dove sono state condannate le principali industrie lattiero-casearie, molte delle quali operano anche sul territorio italiano, tra le quali la stessa Lactalis;
   in Francia, infatti, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha multato per un importo di 193 milioni di euro 11 industrie lattiero-casearie, tra le quali, appunto, Lactalis, Laita, Senagral e Andros's Novandie per pratiche anticoncorrenziali dopo che era intervenuto anche l'Antitrust iberico che aveva annunciato multe per un totale di 88 milioni di euro a gruppi come Danone (23,2 milioni), Corporation Alimentaria (21,8 milioni), Gruppo Lactalis Iberica (11,6 milioni);
   a parere degli interroganti esiste un evidente squilibrio contrattuale tra le parti che determina un abuso, ad opera dei trasformatori, della loro posizione economica sul mercato, dalla quale gli allevatori dipendono. È necessario, quindi, un intervento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato a livello nazionale poiché i prezzi praticati dagli intermediari della filiera del latte fresco sono iniqui e gli allevatori manifestano ormai evidenti segni di difficoltà perché non riescono a coprire neanche i costi di produzione;
   il Ministro interrogato aveva dichiarato a novembre 2015: «Abbiamo trasmesso in queste ore all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, per le sue valutazioni di competenza, le numerose segnalazioni ricevute in merito al rispetto delle norme sui contratti di vendita del latte e sull'applicazione dell'articolo 62 che abbiamo rafforzato con la nostra legge 9» –:
   se risultino gli esiti di tali segnalazioni e quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere rispetto alla problematica esposta in premessa, che ad avviso degli interroganti configura un abuso di posizione dominante da parte della multinazionale francese Lactalis che, dopo aver comprato i maggiori marchi nazionali, divenendo quindi il primo gruppo sul mercato italiano e mondiale nei prodotti lattiero caseari, sta creando una situazione di squilibrio contrattuale dei produttori lattiero-caseari e sta dettando la politica dei prezzi del latte, disdicendo inoltre i contratti per non rinnovarli a scadenza e per poter rinegoziare nuove condizioni. (3-02090)
(8 marzo 2016)

   OLIVERIO, SANI, FIORIO, LUCIANO AGOSTINI, CAPOZZOLO, CARRA, COVA, CUOMO, DAL MORO, FALCONE, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 l'agricoltura ha centrato un nuovo ambizioso obiettivo con un aumento del prodotto interno lordo del comparto pari a +3,8 per cento, l’export agroalimentare ha toccato la soglia record di 36,8 miliardi di euro (+7,5 per cento), l'occupazione giovanile è aumentata del 16 per cento con oltre 20 mila nuovi posti di lavoro, contro il +4 per cento del settore nel suo complesso e il +1 per cento dell'occupazione in Italia;
   attualmente le imprese gestite da agricoltori al di sotto dei 40 anni sono il 5 per cento del totale contro una media europea dell'8 per cento, per il settore agricolo è fondamentale attivare attraverso politiche mirate un ricambio generazionale in grado di rafforzare ulteriormente il comparto;
   nel 2015 si è verificato anche un vero e proprio boom per il lavoro indipendente femminile; sono, infatti, aumentate del 76 per cento le ragazze italiane sotto i 34 anni che hanno scelto di lavorare in agricoltura come imprenditrici agricole, coadiuvanti familiari o socie di cooperative agricole;
   l'aumento delle presenze di giovani e, in tale contesto, l'aumento delle giovani donne in agricoltura stanno producendo una forte diversificazione delle attività e una vera e propria rivoluzione nel lavoro agricolo;
   sta crescendo la propensione all'innovazione, nuove app e nuove tecnologie sono applicate al lavoro nei campi e ai prodotti, l'innovazione aziendale va dalla trasformazione dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche all'agricoltura sociale, alla sistemazione di parchi, giardini, strade, all'agribenessere, alla cura del paesaggio, fino alla produzione di energie rinnovabili;
   secondo uno studio Coldiretti/Ixè, il 50 per cento dei giovani recentemente entrati nel settore agricolo possiedono una laurea, il 57 per cento ha introdotto innovazioni nella propria azienda e il 74 per cento è orgoglioso del lavoro scelto;
   le aziende agricole dei giovani possiedono una superficie superiore di oltre il 54 per cento alla media, un fatturato più elevato del 75 per cento della media e il 50 per cento di occupati per azienda in più;
   il piano giovani del Governo, finanziato con 160 milioni di euro, è fondamentale per stimolare il ricambio generazionale in agricoltura rafforzando ulteriormente la tendenza già in atto, con particolare riguardo agli obiettivi quali innovazione e competitività nei mercati internazionali, in un settore che riveste un ruolo strategico per il Paese –:
   quali misure del piano giovani siano già operative in particolare per quei giovani che progettano di entrare nel mondo agricolo. (3-02091)
(8 marzo 2016)

   PETRENGA, RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in base ai dati pubblicati dall'Istat relativi alle produzioni agroalimentari nel 2015, nel 2015 l'agricoltura ha fatto segnare il più alto aumento di valore aggiunto, con un aumento delle esportazioni di quasi il 4 per cento e un fatturato di quasi 37 miliardi di euro;
   questi dati confermano ancora una volta il valore delle produzioni italiane e la necessità imprescindibile che queste siano adeguatamente tutelate nei mercati internazionali;
   in tale quadro, purtroppo, rimane invece critica la situazione nazionale per quanto attiene alla produzione del latte;
   l'aumento della produzione commercializzata di latte vaccino in Italia, iniziato nel novembre 2009, e proseguito sia pur con diversa intensità fino al giugno 2012, da luglio 2012 ha cominciato a evidenziare un significativo calo;
   a ciò si aggiunge la diminuzione del numero di allevamenti, che nello scorso decennio ha fatto registrare la chiusura di quasi 25.000 stalle, vale a dire due su cinque di quelle in attività all'inizio;
   alla cessazione del meccanismo delle quote latte ha fatto seguito un aumento della produzione e una riduzione dei prezzi in ambito europeo, che danneggia gravemente gli allevatori italiani e rischia di causare un peggioramento qualitativo dei prodotti del settore;
   la produzione lattiero-casearia italiana è una produzione d'eccellenza che subisce l'attacco di imitazioni e contraffazioni in tutto il mondo e in quanto tale va sostenuta e tutelata –:
   quali iniziative intenda assumere per sostenere la produzione nazionale del latte e dell'intero settore lattiero-caseario.
(3-02092)
(8 marzo 2016)

   BIANCOFIORE e BRUNETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese era presente all'ultimo Consiglio europeo dei Ministri dell'interno, nella persona del Ministro interrogato e lo sarà nuovamente giovedì 10 marzo 2016, per discutere dell'attuale situazione in materia di migrazione e per esaminare possibili azioni future;
   nell'ultimo Consiglio europeo l'Austria ed altri Paesi hanno chiesto, senza suscitare particolari rimostranze da parte del Governo italiano, la sospensione del Trattato di libera circolazione di Schengen, facendo riferimento alla «clausola di particolare emergenza», nel caso specifico a giudizio degli interroganti non applicabile prevista dal medesimo Trattato, contravvenendo alla decisione adottata a maggioranza qualificata dall'Unione europea sulla ripartizione delle quote dei migranti;
   recentemente il Presidente del Consiglio dei ministri, dottor Matteo Renzi, ha incontrato a Roma il Cancelliere austriaco, Werner Faymann, che, durante l'incontro bilaterale a Palazzo Chigi, gli ha prospettato l'intenzione di chiudere le frontiere con l'Italia al Brennero, a Dobbiaco e a Tarvisio al fine di respingere i migranti in arrivo dal nostro Paese, senza peraltro suscitare alcuna reazione negativa del Presidente del Consiglio dei ministri;
   il 18 e il 19 febbraio 2016 si è tenuto il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo, nel quale il cosiddetto gruppo di Viesegrad, che si era riunito il 16 febbraio 2016 a Praga con la partecipazione anche di Bulgaria e Macedonia, ha chiesto la sospensione del Trattato di Schengen;
   il Presidente del Consiglio dei ministri, dottor Matteo Renzi, ha sempre contestato, evidentemente a parere degli interroganti solo a parole e a fini di politica interna, la «politica dei muri» che sta mettendo fine al grande sogno dell'Europa, ormai uncinato dal prolificare di fili spinati;
   il filo spinato e le vere e proprie barriere annunciate dal Ministro dell'interno austriaco, Johanna Mikl Leitner, alla frontiera del Brennero creeranno un collo di bottiglia in Alto Adige, dove confluiranno e stanzieranno migliaia di disperati provenienti dal Sud del mondo;
   nonostante gli accordi del 1992, l'Austria rivendica ancora la cosiddetta Schutzfunktion, intollerabile funzione di tutela su una porzione dello Stato italiano, con ciò a giudizio degli interroganti violando la sovranità nazionale, per la qual cosa il Governo dovrebbe richiamare l'ambasciatore austriaco;
   il Presidente del Consiglio dei ministri, dopo forti pressioni dell'opinione pubblica, dei partiti e della comunità del Trentino-Alto Adige/Suedtirol ha denunciato con un «no» mediatico, la presa di posizione dell'Austria, che però non ha accettato le imposizioni europee, minando di fatto l'accordo di libera circolazione che è a fondamento dell'Europa;
   persino il presidente della provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, si è detto estremamente deluso dall'Austria;
   la chiusura della frontiera al valico del Brennero causerà devastazioni sul piano turistico, della sicurezza dei cittadini e della convivenza sociale;
   dopo le dichiarazioni del prefetto di Treviso di essere pronta a confiscare le case sfitte agli italiani per metterle a disposizione dei migranti, anche in Alto Adige si è diffuso il terrore tra i proprietari di case, creando grave allarme sociale;
   il dramma dell'immigrazione si sta già ravvisando per alcuni operatori economici locali e nazionali, come un grande affare sul modello di altre incresciose situazioni che hanno suscitato l'indignazione degli italiani;
   sono evidenti i rischi che la comunità altoatesina corre a causa dell'arrivo in massa di profughi extracomunitari e quanto sarà difficile per un territorio così piccolo, affetto da storici conflitti etnici, sopportare situazioni di grande tensione e riuscire a mantenere il livello di sicurezza;
   sul territorio altoatesino, per ammissione della stessa Austria, ci saranno anche problemi di viabilità, perché verrà introdotto il limite di velocità dei 30 chilometri all'ora, cosa che cagionerà caos al Brennero e sull'A22, autostrada a sole due corsie, causando danni ambientali ed economici, soprattutto agli autotrasportatori, con ricadute drammatiche sulla libertà di circolazione;
   la provincia autonoma di Bolzano si sta facendo carico di trovare le risorse e di montare le tendopoli in varie zone lungo il confine del Brennero, mentre, dall'altra parte del confine, l'Austria sta schierando centinaia di poliziotti frontalieri per respingere i migranti provenienti dall'Italia;
   persino le Nazioni Unite, attraverso l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, hanno messo sotto osservazione il Brennero e l'Alto Adige per il rischio «dramma umanitario» –:
   se il Governo sia determinato a difendere concretamente l'Italia, gli italiani e la sicurezza nei suoi confini, intervenendo duramente in Europa e chiedendo sanzioni, come l'esclusione dalla ripartizione dei fondi europei e la sospensione della libera circolazione delle merci, per quei Paesi aderenti che chiudano unilateralmente le frontiere. (3-02093)
(8 marzo 2016)

   PESCO, ALBERTI, FICO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal supplemento del bollettino statistico n. 69 di Banca d'Italia del 16 dicembre 2015, si apprende che nel periodo dal 1995 al 2013 la valutazione patrimoniale delle abitazioni possedute dalle famiglie italiane è passata dai 2.200,6 ai 4.952,1 miliardi di euro, con un aumento percentuale assoluto del 125 per cento. A fronte di questi dati, i mutui ipotecari sono passati dai 51 miliardi di euro del 1995 ai 378,4 miliardi del 2013, con un aumento percentuale assoluto pari al 641,96 per cento;
   secondo i dati Istat, nel 2014 ben 240 mila famiglie si sono trovate in arretrato con il pagamento del mutuo. E almeno altre 321 mila, per evitare di saltare la rata, hanno rinunciato al pagamento di altri oneri;
   gli studi condotti da Adusbef e Federconsumatori attestano che solo nell'anno 2014 ci sono stati 52.606 pignoramenti di immobili in 35 tribunali italiani (il Ministero della giustizia non ha dati ufficiali), con un aumento di quasi il 12 per cento rispetto al 2013. Prosegue dunque il trend che si è avuto negli anni della crisi che ha visto triplicare il numero dei pignoramenti: dal 2006 al 2014 ben 110 mila famiglie si sono viste sottrarre la casa ( +162 per cento);
   in un tal contesto, è chiaro che occorrono interventi di sostegno ai consumatori al fine di favorire il rientro dall'esposizione debitoria nei confronti delle banche, scongiurando il rischio di espropriazione forzate dell'immobile (che semmai costituisce nella maggioranza dei casi l'unica abitazione di proprietà), o che mirino quantomeno a limitare il danno patrimoniale che conseguirebbe dalle vendite forzate, sempre più indirizzate ad ottimizzare il recupero del debito attraverso la svalutazione dell'immobile (venduto a prezzi ben al di sotto al valore di mercato);
   in tale ottica, sarebbe auspicabile l'introduzione di specifiche procedure concordate di composizione della crisi debitoria ovvero di potenziamento di quelle già esistenti: si pensi alla normativa di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3. che ha introdotto la possibilità per il consumatore di proporre un accordo con i creditori (avallato dall'omologazione del tribunale) per la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri. Viceversa, nel caso di comprovata impossibilità di recupero del debito, sarebbero opportune misure che tutelino il debitore sottoposto a procedure esecutive, introducendo ad esempio limiti di valore alla possibilità di esproprio (rapportati semmai al valore del debito residuo), nonché limiti alla vendita quando essa avviene ad un prezzo ben al di sotto del valore effettivo dell'immobile, generando pertanto un danno patrimoniale al debitore non più recuperabile (oltre alla privazione dell'abitazione familiare);
   all'esatto contrario, sono da contrastare e limitare tutte quelle pratiche, frutto della prassi contrattuale del settore creditizio, volte a favorire la vendita dell'immobile o il trasferimento immediato della proprietà del bene in favore degli istituti di credito (si pensi al cosiddetto patto marciano). Tali procedure, oltre ad essere in evidente contrasto con il divieto del patto commissorio di cui all'articolo 2744 codice civile, comprimono le garanzie e le tutele per il debitore. Anche se frutto della volontà contrattuale delle parti, l'inserimento di tali clausole nel contratto è quasi sempre posto dalla banca posta come condizione per l'erogazione del credito, sfruttando pertanto la posizione debole del consumatore. La vendita o il trasferimento sulla base del valore di mercato dell'immobile nemmeno rappresenta una concreta tutela per il debitore, considerato che la stima è spesso eseguita da un perito nominato dall'istituto di credito e che le oscillazioni del mercato potrebbero addirittura portare ad un deprezzamento del bene (sicché il debitore, oltre a vedersi privato della proprietà del bene, resterebbe ancora esposto verso la banca per il pagamento del debito residuo);
   ma ciò che più preoccupa è la privazione della tutela giudiziaria che non consentirebbe al debitore di far valere eventuali illegittimità del contratto e, conseguentemente, della pretesa creditoria. Non va dimenticato, infatti, che proprio le tutele giudiziarie hanno condotto negli ultimi anni a storiche pronunce in favore dei consumatori in materia di accesso al credito. Si pensi all'ammortamento del finanziamento secondo il metodo «alla francese»: tale espediente è stato giudicato illecito da numerose sentenze dei tribunali di merito, secondo i quali il calcolo dell'interesse nel piano di ammortamento deve essere trasparente ed eseguito secondo le regole matematiche dell'interesse semplice. Si pensi ancora alle note pronunce in materia di anatocismo bancario e quelle in materia di violazione degli obblighi informativi;
   appare chiaro quindi che privare il consumatore della tutela giudiziaria, in favore di procedure volte ad accelerare il recupero del credito, significherebbe limitare la possibilità di far valere numerosi casi di illegittimità e abusi contrattuali e, soprattutto, di ottenere una tutela fondamentale per il proprietario sottoposto ad esecuzione, ovvero la sospensione della procedura esecutiva. Sul punto, si rammenta la storica pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea (C-34/13 del 10 settembre 2014) che ha sancito il principio di diritto secondo il quale «il giudice può bloccare provvisoriamente la banca o la finanziaria che mette all'asta la casa se nel contratto sono presenti delle clausole abusive», ovvero tutte quelle clausole vietate dalle direttive dell'Unione europea e che la banca o la finanziaria hanno fatto comunque firmare al cliente –:
   se confermi i dati esposti in premessa in merito all'esposizione debitoria in relazione a contratti di mutuo e di finanziamento, evidenziando nel dettaglio quale sia l'attuale situazione e quali misure intenda assumere per favorire la soddisfazione del credito senza compromettere, al contempo, la disponibilità e la proprietà dell'immobile in capo al debitore.
(3-02094)
(8 marzo 2016)

   MELILLA, RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia esistono decine di fabbriche e di imprese dei più svariati settori che si trovano in affanno e che sono costrette a navigare a vista in una situazione di crisi generale che sovente stona con i toni rosei propri dell'attuale narrazione governativa sulla ripresa economica del Paese;
   per tutte queste realtà aziendali in difficoltà, il Ministero dello sviluppo economico tiene aperti da tempo dei tavoli di crisi, in cui il Governo si pone come parte terza nei vertici tra i sindacati e i rappresentanti aziendali, che si tengono periodicamente a Roma per studiare soluzioni a ogni singola vertenza. A coordinare i lavori, è una task force che lo stesso Ministero ha creato da anni al proprio interno sotto la guida di Giampiero Castano, con un passato da sindacalista della Fiom-Cgil e da direttore del personale in importanti aziende nazionali come Olivetti;
   nonostante la presenza di questa struttura ben organizzata, il Ministero dello sviluppo economico sembra essere abbastanza reticente nel comunicare all'esterno la propria attività;
   come evidenziato dalla stampa nazionale, interpellato da Business People, l'ufficio stampa del Ministero dello sviluppo economico ha, infatti, dichiarato gentilmente la propria indisponibilità a rilasciare dichiarazioni su queste vicende. Nulla da dire in più, rispetto al materiale informativo che da tempo è consultabile sul sito web del Ministero dello sviluppo economico, dove in effetti c’è una vera e propria mappa delle crisi aziendali di tutta Italia, accompagnata dai verbali degli incontri che si tengono periodicamente a Roma;
   a questi documenti, si aggiunge poi l'ultima relazione che il Ministero dello sviluppo economico ha pubblicato on line sulla propria attività di gestione delle crisi, svolta nel corso del primo semestre 2015;
   tirando le somme, le statistiche aggiornate alla fine di settembre attestano la presenza di ben 154 tavoli ancora aperti presso il Ministero dello sviluppo con più di 110.000 lavoratori coinvolti. Le persone che si trovano alle dipendenze di un'azienda in difficoltà sono dunque ancora tantissime e testimoniano come la congiuntura negativa, che da troppi anni attanaglia il nostro Paese, continui quasi quotidianamente a colpire molte famiglie;
   l'ultimo caso recentemente segnalato all'attenzione degli interroganti riguarda la Brioni di Penne (Pescara) che ha annunciato 400 esuberi, su un totale di 1250 dipendenti distribuiti in 3 stabilimenti dell'area vestina;
   una crisi purtroppo annunciata e su cui il gruppo Sinistra italiana aveva presentato atti di sindacato ispettivo per chiedere la convocazione di un tavolo nazionale con i vertici aziendali, i sindacati e la regione per scongiurare il rischio di una grave emergenza occupazionale cui il Governo non ha mai dato, sino ad oggi, alcuna risposta, con la conseguenza di lasciare i sindacati dei lavoratori, il comune di Penne e la regione Abruzzo completamente soli nel confronto con la proprietà della multinazionale francese, che ha raccolto una delle realtà più importanti dell'alta moda sartoriale italiana, vestendo anche molti personaggi illustri del mondo delle istituzioni e del cinema negli anni passati;
   investimenti sbagliati, scelte industriali fallimentari, improvvisazioni manageriali e crisi dell’export dovuta anche politici internazionali hanno determinato una grave crisi produttiva della azienda Brioni che ora dovrebbe essere pagata dalle lavoratrici e dai lavoratori con ben 400 esuberi: un colpo insostenibile per l'economia pescarese ed abruzzese attraversata da profonde crisi industriali;
   quella esposta rappresenta una delle tante crisi industriali che attanaglia il nostro Paese e su cui il Parlamento dovrebbe essere maggiormente coinvolto sia attraverso la costante informazione sull'andamento dei tavoli di crisi, sia mediante, in accordo con il Governo, l'apertura di vere e proprie sessioni sulle crisi finalizzate alla proposizione in sede parlamentare delle misure più utili su cui puntare per superare determinate criticità –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere alla luce di quanto descritto in premessa e se non si ritenga ormai improcrastinabile la convocazione di un tavolo nazionale con i vertici aziendali, i sindacati e la regione Abruzzo per assicurare la salvaguardia occupazionale e il rilancio industriale e produttivo di una grande azienda come la Brioni di Penne (Pescara). (3-02095)
(8 marzo 2016)

   LUPI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   Itedi (società che controlla La Stampa e Il Secolo XIX) ed il gruppo editoriale l'Espresso (che ha la proprietà de la Repubblica, del settimanale l'Espresso e di un gruppo di giornali locali) hanno firmato un memorandum d'intesa tendente alla fusione delle proprie attività;
   tale operazione darà vita al primo gruppo dell'editoria italiana, con circa 5,8 milioni di lettori, 2,5 milioni di utenti unici sul web, 750 milioni di euro di ricavi;
   le parti si sono impegnate a firmare il definitivo accordo entro giugno 2016;
   l'operazione prevede anche l'uscita della Fca dal capitale di Rcs;
   il polo nato dalla fusione delle attività editoriali sopra menzionate, sarà controllato con una quota del 43 per cento dalla Cir, mentre Fca, proprietaria del 70 per cento di Itedi, avrà il 16 per cento e alla famiglia Perrone spetterà il 5 per cento della nuova azienda;
   la suddetta fusione comporterà la riunione in un solo gruppo di 3 quotidiani nazionali, 17 quotidiani locali, 2 concessionarie pubblicitarie (Manzoni e Plublikopass), il 30 per cento di Persidera (multiplex digitali) e radio nazionali;
   la nascita di questo gruppo editoriale dovrà ricevere nei prossimi mesi il via libera dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni –:
   se il Governo intenda monitorare l'evoluzione di tale processo di fusione al fine di garantire il pluralismo dell'informazione, evitando, per quanto di competenza, la creazione di concentrazioni editoriali anche alla luce della normativa vigente. (3-02096)
(8 marzo 2016)