TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 574 di Lunedì 22 febbraio 2016

 
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MOZIONI CONCERNENTI POLITICHE A SOSTEGNO DELLA FAMIGLIA

   La Camera,
   premesso che:
    il 27 novembre 2015, l'Istat ha pubblicato i dati sul monitoraggio delle nascite relativi all'anno 2014. Lo studio ha confermato la recente tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
    in particolare, emerge dai dati una forte flessione negativa del tasso di natalità: l'anagrafe ha, infatti, registrato quasi 12.000 nuovi nati in meno rispetto al 2013 e all'incirca 74.000 in meno rispetto al 2008;
    secondo l'ente di ricerca, la media aggiornata di figli per donna è di 1,37 (ancora in diminuzione rispetto a 1,46 del 2010); tale media è di 1,29, se il campione è composto di sole donne italiane. La natalità si è abbassata significativamente anche per le cittadine straniere residenti; si è passati da una media di 2,65 del 2008 a una di 1,97 del 2014;
    tali cifre evidenziano la profonda trasformazione demografica e sociale in atto in Italia – analogamente, peraltro, a quanto accade anche nell'intero continente europeo – caratterizzata dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione e da profondi mutamenti della struttura delle famiglie. Parallelamente, gli attuali tassi di natalità non sono considerati sufficienti a garantire il ricambio generazionale. Difatti, se si prendono in esame le coppie di genitori italiani, le nascite sono quasi 86.000 in meno negli ultimi sei anni. Le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa. Le ultime stime evidenziano un dato allarmante: la popolazione femminile in età feconda in soli tre anni è passata dal 45 al 43,6 per cento, perdendo mezzo punto percentuale all'anno (a questo ritmo la popolazione fertile scenderebbe a zero in 90 anni);
    la soluzione alla cosiddetta «questione demografica» non può nemmeno essere rinvenuta nei flussi migratori. Ciò è vero per l'Italia, come per l'intera Europa, o meglio questa sostituzione di popolazione è possibile e già viene prevista dai più attenti demografi, che però ne sottolineano il carattere e le conseguenze traumatiche, di vera e propria decadenza di una intera esperienza storica di civilizzazione;
    la sostituzione morbida immaginata dalle consolatorie utopie multiculturali non è possibile per i firmatari del presente atto di indirizzo perché se (e fino a quando) i flussi immigratori non superano determinate soglie dimensionali, anche gli immigrati rapidamente invertono la tendenza: in Italia, la popolazione immigrata è passata da livelli di fecondità largamente superiori alla soglia di ricambio generazionale, a livelli che ne permettono appena il ricambio e tendono ad abbassarsi ulteriormente. In assenza di politiche specifiche, infatti, le coppie straniere incontrano le stesse difficoltà che incontrano le coppie italiane ad avere figli e spesso le madri si trovano nella condizione di non poter scegliere la maternità senza rinunciare al lavoro. Inoltre, gli immigrati non possono essere considerati – in termini di capitale sociale – sostitutivi dei quasi 4,6 milioni di italiani residenti all'estero, una grande percentuale dei quali costituita da giovani talenti che si spostano perché altrove ci sono condizioni per ottenere maggiori gratificazioni;
   i rischi sociali ed economici di queste tendenze non sono ancora adeguatamente valutati dall'opinione pubblica e dalle stesse istituzioni politiche che hanno, finora, dedicato a questo tema un'attenzione molto parziale ed iniziative sporadiche;
    tralasciando l'essenziale ruolo di coesione sociale della famiglia, colpisce che tutto il dibattito, ormai pervasivo sulla crescita economica, sottovaluti clamorosamente il tema demografico. Eppure, analisi economiche, ormai consolidate, evidenziano come una popolazione giovane, in crescita nel numero, nella collocazione sociale e nel livello di coscienza di sé, sia un fattore essenziale per la riproduzione di quel capitale sociale qualificato richiesto dall'economia della conoscenza, ma sia anche la base necessaria di un adeguato livello di domanda di beni e servizi e quindi di tenuta e sviluppo del mercato. Al contrario, l'invecchiamento demografico rappresenta un vero e proprio freno ad una crescita duratura, sia dal lato del calo della produttività, che da quello dell'aumento della spesa pubblica incomprimibile: la crescita percentuale di anziani e pensionati, infatti, è destinata a pesare come un macigno sulle principali voci del bilancio pubblico. Si parla a questo proposito di «debito demografico», contratto dal Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza;
    a fronte di questi trend sociali appaiano sempre più scopertamente il ritardo culturale e la disinformazione di coloro che sottovalutano l'importanza dei temi valoriali legati alla famiglia e alla natalità, senza comprendere come proprio l'indebolimento di questi fattori culturali sia la causa più profonda di quella che rischia di diventare una catastrofe sociale;
    la supponenza e l'egemonia su importanti canali di trasmissione comunicativa e mediatica, esercitate da un ristretto ceto pseudointellettuale, che ha sempre bollato i valori della famiglia con il marchio della arretratezza, hanno contribuito a rafforzare le tendenze più regressive della società contemporanea;
   ma, rispetto a questi fenomeni profondi e di lunga durata, non va sottovalutato il ruolo dell'azione di Governo: in Italia, nella fase più recente, non sono mancati provvedimenti che vanno nella giusta direzione, ma fa ancora fatica a concretizzarsi un'iniziativa politica e legislativa ad ampio raggio per il riorientamento dell'intero welfare verso la famiglia e per la progressiva trasformazione dell'organizzazione del lavoro in direzione della conciliazione fra lavoro e famiglia;
    ma ciò che è essenziale, nel breve periodo, è incrementare immediatamente un insieme di misure di sostegno economico alla famiglia e alla natalità. Sebbene, infatti, negli ultimi anni l'azione del Governo si sia già orientata in questa direzione, le iniziative normative adottate sono state sporadiche e i loro effetti non omogenei su tutto il territorio nazionale;
    indagini socioeconomiche accurate dimostrano, infatti, che uno dei freni principali allo sviluppo del nucleo familiare è costituito proprio dalla mancanza di risorse economiche, indispensabili soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    è senz'altro apprezzabile che nella legge di stabilità per il 2016 siano state inserite misure quali il rifinanziamento del «bonus bebè», ovvero di un contributo economico, operativo già dal 2015, che viene riconosciuto ai neogenitori che rispettano determinati requisiti reddituali e che viene erogato fino al terzo compleanno del bambino. Analogo apprezzamento deve riconoscersi alle previsioni del diritto alla «maternità Inps» per le neomamme; alle disposizioni riguardanti il riconoscimento del congedo parentale anche ai neopapà, allo scopo di coinvolgere entrambi i genitori nella cura dei figli, nonché a favorire la conciliazione del lavoro con il nuovo ruolo genitoriale; all'istituzione della carta della famiglia, destinata, su richiesta, alle famiglie con almeno 3 figli minori a carico, grazie alla quale si possono ottenere sconti per l'acquisto di beni e di servizi ovvero riduzioni tariffarie con i soggetti pubblici o privati che intendano aderire all'iniziativa;
    queste misure di sostegno economico non basteranno, da sole, ad aggredire le cause meno palesi di quel trend negativo che si è ricordato, che ha radici profonde e che richiederebbe un ripensamento delle politiche sociali, delle politiche per l'occupazione e, date le sue implicazioni culturali, anche della comunicazione radiotelevisiva e delle politiche educative;
    ma queste misure di sostegno economico, se costantemente sviluppate e arricchite, possono cominciare a incidere sulle decisioni di migliaia di persone e avere l'effetto di far percepire il senso di un salto di qualità nelle politica del Governo;
    un esempio virtuoso – sotto questo profilo – ci viene dalla Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico avverso, dando vita ad un sistema organico nel quale le famiglie con più di un figlio ricevono sostanziosi contributi e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. È previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    le famiglie italiane e i giovani che sono nell'età di dare vita a una nuova famiglia attendono un segnale in questa direzione, che sia, al tempo stesso, una risposta credibile del Governo alle concrete difficoltà che attendono chi intraprende la strada della costruzione di una famiglia e della genitorialità e un chiaro messaggio di favore da parte di uno Stato che si dimostri capace di attuare principi costituzionali fra i più condivisi dagli italiani;
    l'incoraggiamento attivo dello Stato – attraverso idonee misure – a dare vita a quella «società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29 della Costituzione), basata sulla genitorialità, cioè in grado di mantenere, istruire ed educare i figli (articolo 30 della Costituzione) non può essere né contrapposto strumentalmente al riconoscimento di altri diritti, né equiparato a un processo di progressiva estensione di diritti individuali che l'evoluzione sociale richiede;
    confondere questi piani è rischioso, mentre l'azione di allargare e portare su un livello superiore le politiche per la famiglia, coraggiosamente avviate dal Governo, permette di affrontare con lungimiranza un problema economico e sociale molto reale, nonché di venire incontro a bisogni concreti e largamente diffusi e di riavvicinare milioni di persone alle istituzioni;
    le misure di maggiore impatto dovrebbero affermare il principio che la parte del reddito che serve a mantenere i figli non deve essere tassata, riconoscendo una no tax area che copra il reddito di sussistenza della famiglia (principio affermato in Germania a livello costituzionale); in termini di provvedimenti di più immediata implementazione, si dovrebbe puntare all'elevazione degli attuali massimali per i figli a carico, riconoscendo una più accentuata progressione per le famiglie via via più numerose e riconoscendo una specifica detrazione aggiuntiva per i genitori a carico del contribuente, al fine di incentivare il sostegno dei genitori in difficoltà economiche o non autonomi da parte dei figli;
    avrebbe una notevole efficacia sulla fascia della prima infanzia una deduzione ai fini dell'Irpef per le spese sostenute per la cura e per la tutela della salute della puerpera e del bambino; analogamente, potrebbero essere adottate una serie di misure per la realizzazione dei piani relativi agli asili nido;
    parallelamente, occorrerebbe intervenire – tramite un meccanismo di credito di imposta – in favore delle imprese che assumono donne lavoratrici per evitare che le difficoltà della crisi si scarichino indirettamente proprio sulle donne lavoratrici che affrontano la difficile sfida della conciliazione della vita familiare e di quella lavorativa;
    ma, soprattutto, occorrerebbe dare alle famiglie e ai giovani italiani un forte segnale di fiducia e di speranza nel futuro e, questo, è uno dei modi più diretti ed efficaci per farlo oggi a disposizione del Governo,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica trasversale di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, rispondendo – al tempo stesso – ad una grave emergenza economica e sociale e ad un'esigenza di attuazione della Costituzione;
   a riconoscere, quale priorità inderogabile nelle linee politico-programmatiche dell'azione di Governo, la prosecuzione della politica per l'accesso alla casa in affitto e in proprietà da parte delle giovani famiglie, nonché l'attuazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia, rinforzando – in parallelo – le politiche attive di sostegno alla conciliazione di lavoro e doveri genitoriali;
   ad assumere iniziative per la revisione del regime fiscale della famiglia, che operi da efficace stimolo alla genitorialità e rappresenti un reale sostegno ai nuclei familiari con più figli e a quelli di nuova costituzione.
(1-01124) «Lupi, Buttiglione, Alli, Binetti, Sammarco, Tancredi, Vignali, Bosco, D'Alia, Garofalo, Minardo, Calabrò».
(26 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione italiana dedica alla famiglia una serie di importanti disposizioni comprese negli articoli 29-31 e 37, che evidenziano chiaramente la rilevanza di questa struttura sociale, vera istituzione cardine dell'assetto istituzionale sottolineandone la specifica rilevanza valoriale;
    la famiglia è una realtà originaria e antecedente lo stesso Stato, il quale, come recita l'articolo 31 della Costituzione, «agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose»;
    possono definirsi autentiche politiche familiari conformi ai ricordati articoli della Costituzione dedicati alla famiglia, solo quelle politiche pensate e organizzate sul territorio a partire dall'esperienza delle famiglie, tenendo conto dei loro tempi, ritmi di vita e bisogni specifici, nell'ambito di un progetto organico di interventi specifici a sostegno dell'istituto familiare;
    solo in questo modo, infatti, dette politiche risulterebbero conformi a quella peculiare attenzione, al tempo stesso rispettosa della sua autonomia e garante della sua tutela, riservata dalla Costituzione a questo fondamentale nucleo sociale;
    la situazione attuale del nostro Paese è tuttavia caratterizzata da una troppo timida attenzione alle famiglie e alle criticità che esse oggi si trovano ad attraversare;
    risulta dal rapporto Istat che l'Italia occupa la penultima posizione tra i Paesi europei per le risorse dedicate alle famiglie, per le quali lo stanziamento, che si mantiene sostanzialmente stabile dal 2008, ammonta al 4,8 per cento della spesa, sotto forma di benefici finalizzati al sostegno del reddito a tutela della maternità e della paternità, di assegni familiari e di altri trasferimenti erogati a supporto di alcune tipologie familiari, asili nido, strutture residenziali per le famiglie con minori e assistenza domiciliare per famiglie numerose;
    si osserva, inoltre, che: il rapporto tra prestazioni fornite dall'INPS per quel che riguarda gli assegni familiari e l'ammontare del prodotto interno lordo italiano, dopo essere cresciuto dal 15,03 per cento del 1975 al 3 per cento del 1994, è precipitato nel 2012 allo 0,3 per cento;
    l'Italia è il Paese dell'Unione europea con gli assegni familiari più bassi, mentre la somma dei contributi incassati dalla Cassa unica assegni familiari è superiore del 40 per cento in media rispetto a quella effettivamente erogata;
    la situazione della famiglia è oggi aggravata dalla compressione del welfare e dalla mancanza di lavoro, mentre le criticità da affrontare sono molteplici e relative al reddito della famiglia, al costo dei figli, ai limiti di un sistema fiscale non adeguatamente commisurato alle esigenze delle famiglie con figli, alla difficoltà di conciliazione tra vita lavorativa e vita affettiva e familiare, al costo e alla reperibilità delle abitazioni, ai carichi delle responsabilità che gravano sulla famiglia – in particolare sulla donna – che deve occuparsi «autonomamente» e senza ausili della cura e dell'assistenza dei propri componenti più deboli;
    inoltre, il sistema fiscale italiano tiene conto solo dell'equità verticale, ma non di quella orizzontale, come dimostra il fatto che, in qualunque provvedimento in materia fiscale o sanitaria, si valuta quasi sempre il reddito familiare tout court, senza tenere in debito conto il numero dei componenti del nucleo stesso;
    nel nostro Paese le reti di aiuto informale hanno svolto e svolgono un ruolo molto importante nel sostenere le persone nei momenti della vita caratterizzati da maggiore vulnerabilità: i giovani che non hanno un lavoro, le madri lavoratrici con figli piccoli, gli anziani non autosufficienti, le persone disabili;
    però, per un malinteso senso della sussidiarietà le famiglie si sono trovate – in modo particolare negli ultimi anni segnati da una profonda crisi economica – a rappresentare un vero e proprio ammortizzatore sociale;
    la forte prevalenza dei cosiddetti aiuti informali, quale quello della famiglia sopra ricordato, sarà messa sempre più a dura prova a causa delle trasformazioni demografiche e sociali caratterizzate dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione, dalla modificazione delle reti relazionali e dai mutamenti della struttura delle famiglie;
    i dati relativi al tasso di occupazione femminile, alle nascite, alle dimissioni delle madri nel primo anno di vita del figlio, alla copertura di servizi per l'infanzia e alle spese investite dallo Stato per il sistema sociale suggeriscono che non bastano soluzioni volontaristiche;
    diritti fondamentali quali quello al lavoro e alla famiglia, alla maternità e alla paternità non possono essere affidati alla sensibilità o alla volontà di amministrazioni locali, aziende, associazioni;
    già nel breve periodo, infatti, le dinamiche demografiche condizionano un sistema economico: non c’è bisogno di aspettare decenni per verificare gli effetti dell'assenza di figli sull'economia nazionale;
    gli studi di Amlan Roy, responsabile delle ricerche demografiche per il Crédit Suisse, dimostrano che l'invecchiamento demografico rallenta il prodotto interno lordo, gonfia il debito pubblico, fa calare gli investimenti e indebolisce l'efficacia delle politiche monetarie delle banche centrali;
    questo quadro si sta già evidenziando ora nel nostro Paese rivelando così che la questione va affrontata rapidamente per evitare che il Paese muoia di vecchiaia e di povertà;
    si tratta di uno scenario drammatico prospettato dagli studi demografici e che mette in luce un malessere profondo, una crisi dove la rinuncia endemica alla maternità di moltissime coppie giovani, che ripiegano, spesso tardivamente, sul figlio unico, si somma a una nuova dinamica dei flussi migratori;
    da una parte ci sono i mancati arrivi degli immigrati, che arricchivano il nostro tasso di fecondità. Dall'altro la fuga degli italiani stessi. Si calcola che ogni anno oltre 130 mila abitanti si cancellino dalle anagrafi italiane per fissare la propria residenza altrove;
    dati recenti – rapporto Istat 2015 – evidenziano che in Italia il tasso di fecondità è pari a 1,37 contrariamente a quanto accade nel Nord Europa, dove oscilla tra 2 e 1,8 figli per donna. In Italia aumenta la disoccupazione femminile e diminuiscono le nascite, in particolare nel Mezzogiorno nonostante il desiderio del 60 per cento delle italiane di avere almeno due figli senza rinunciare a lavorare;
    gli anni di crisi economica che il Paese ha attraversato – e attraversa – hanno evidenziato come la famiglia rappresenti ancora il pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione di reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale. Eppure ancora se ne sottovaluta l'importanza e non se ne considera sufficientemente il valore;
    è necessario, allora, mettere in campo nuovi strumenti a sostegno delle responsabilità della famiglia e soprattutto misure che ne definiscano in modo coerente il carattere di soggetto attivo, titolare di diritti e di doveri, garantendo il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare. Deve, inoltre, essere sostenuto il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscendone la fondamentale rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità. È anche necessario sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovendo e valorizzando la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;
    è necessario, inoltre, individuare misure che possano favorire la crescita della natalità nel nostro Paese. Molti studi mettono in luce, infatti, che uno dei principali fattori deterrenti per la costituzione di una nuova famiglia e per la genitorialità è la mancanza di risorse economiche;
    sempre secondo l'Istat, infatti, la nascita di un primo figlio fa aumentare di poco, rispetto alle coppie senza figli, il rischio di finire in povertà, mentre la nascita del secondo figlio fa quasi raddoppiare il citato rischio, che si triplica all'eventuale nascita di un terzo figlio. Inoltre, gli stessi dati rilevano che avere figli raddoppia il rischio di contrarre debiti per mutuo, affitti, bollette o altro rispetto alle coppie senza figli;
    occorre allora riconsiderare il sistema di welfare perché sia maggiormente orientato al sostegno della famiglia, perché investire nelle politiche familiari significa investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
    non sono sufficienti interventi puntuali neanche quando hanno natura di sostegno economico, anche se sono sicuramente segnali positivi l'istituzione della Carta famiglia, l'attribuzione del «bonus bebè», le previsioni per favorire la conciliazione lavoro-famiglia. Ma non è sufficiente. Si potrebbe e si dovrebbe dare vita ad un sistema organico che valorizzi il ruolo di soggetto attivo della famiglia mettendola nelle condizioni di poter scegliere di essere generativa e di armonizzare i diversi compiti e funzioni che è chiamata a svolgere,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a rispondere alla crisi demografica in atto, anche attraverso l'individuazione di misure concrete di sostegno alla genitorialità e alla formazione di nuove famiglie;
   a riconoscere come priorità la valorizzazione dell'istituto familiare, anche promuovendo una revisione del sistema fiscale che tenga maggiormente conto della famiglia come soggetto e che riordini le obbligazioni tributarie a carico dei membri della famiglia;
   ad assumere iniziative per prevedere l'introduzione di forme di detassazione dei costi destinati obbligatoriamente per legge all'acquisto di beni e servizi a favore dei membri della famiglia, applicando anche dei coefficienti familiari per la determinazione del carico fiscale complessivo;
   a promuovere una politica alloggiativa che sostenga le giovani famiglie favorendone l'accesso alla casa in affitto o in proprietà;
   a valutare l'opportunità di intraprendere iniziative di tipo normativo in materia previdenziale, volte a superare la discriminazione tra le donne che hanno messo al mondo e allevato figli e donne che non lo hanno fatto, anche attraverso la previsione dell'attribuzione di contributi figurativi per ogni figlio anche adottato, in linea con quanto disposto al riguardo in diversi ordinamenti europei;
   a istituire un tavolo di consultazione con la società civile e, in particolare, con le associazioni familiari per l'individuazione di misure idonee a sostenere la famiglia;
   a dare vita a nuove e strutturate politiche per la famiglia, considerando anche l'impatto sulle stesse famiglie delle leggi in via di approvazione;
   ad assumere le iniziative di competenza per prevedere che il 15 maggio 2016 sia celebrata anche in Italia la Giornata internazionale della famiglia stabilita dalle Nazioni Unite già del 1995.
(1-01146) «Sberna, Gigli, Dellai, Capelli, Fauttilli».
(9 febbraio 2016)