TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 570 di Martedì 16 febbraio 2016

 
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INTERPELLANZE E INTERROGAZIONI

A) Interpellanza e interrogazioni

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la società Antonio Merloni era un'azienda situata nell'area di Fabriano, tra le Marche e l'Umbria, dove produceva elettrodomestici per conto terzi;
   il 27 dicembre 2011, dopo tre anni di amministrazione straordinaria, accompagnata da scioperi, occupazioni e proteste dei dipendenti, è stata venduta dai commissari nominati dal Ministero dello sviluppo economico alla società J.P. (Qs Group Spa), di proprietà dell'imprenditore Giovanni Porcarelli;
   la vendita è avvenuta per una cifra pari a 12 milioni di euro (appena un quinto del valore reale, stimato in 54 milioni) salvaguardando, almeno in parte, livelli occupazionali ed unità produttiva con il riassorbimento di 700 lavoratori nella newco;
   tra i creditori della Antonio Merloni, alcune banche hanno deciso di ricorrere alla autorità giudiziaria per chiedere l'annullamento della cessione del complesso industriale in quanto avvenuta in pregiudizio degli interessi dei creditori;
   il tribunale di Ancona il 20 settembre 2013 accoglieva il ricorso delle banche istanti, annullando la cessione e censurando l'operato dei commissari nominati dal Ministero dello sviluppo economico per aver agito travalicando i limiti del potere discrezionale della pubblica amministrazione;
   in particolare, il tribunale civile di Ancona contestava nel provvedimento «l'inderogabilità del criterio in base al quale, nella determinazione del valore dell'azienda ai fini della alienazione, secondo la disciplina stabilita dall'articolo 63 del decreto legislativo n. 270/1999, la redditività negativa poteva essere calcolata solo con riferimento al biennio successivo alla stima», mentre i commissari nominati dal Ministero dello sviluppo economico avevano determinato il valore su quattro anni;
   il tribunale sottolineava, inoltre, come il piano industriale di quattro anni, presentato dalla J.P. per acquisire i tre stabilimenti della Antonio Merloni di Fabriano e Gaifana, nonché i marchi Ardo e Seppelfricke, doveva essere sostenuto a rischio ed onere dell'acquirente J.P. e non a scapito dei creditori, che vedevano in quel modo azzerata la garanzia patrimoniale del debitore;
   la corte d'appello di Ancona, in data 4 aprile 2014, confermava la decisione del tribunale, ribadendo il principio che l'amministrazione straordinaria non impone ai commissari di vendere comunque e sempre ad un qualsiasi prezzo i beni che compongono l'attivo;
   di fatto, però, l'azione dei commissari è seguita alla oggettiva difficoltà di alienare un complesso industriale di 5 mila addetti, che produceva un numero di 5 mila lavatrici al giorno per conto terzi, gravato da 700 milioni di debiti;
   i bandi di interesse internazionale lanciati dai commissari erano andati deserti, così come infruttuose le ipotesi di individuare acquirenti cinesi o iraniani;
   esulando dal merito della vicenda giudiziaria che non compete all'interpellante, le decisioni del tribunale e della corte d'appello hanno creato una situazione di grande incertezza per il prosieguo dell'attività industriale del complesso aziendale ex Antonio Merloni, mettendo a rischio il livello occupazionale in una area geografica – un tempo nota come «distretto del bianco» – già duramente colpita da una lunga e persistente crisi industriale;
   il 5 giugno 2014, si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico un incontro tra i commissari nominati dal Ministero e rappresentanti delle banche creditrici per cercare una soluzione, tuttavia senza esito risolutivo;
   ad oggi il Governo, come altre istituzioni competenti, non si è espresso ufficialmente sulla vicenda riepilogata in premessa –:
   se il Ministro interpellato intenda intervenire in modo diretto, attraverso l'apertura di un tavolo ministeriale o con altri strumenti previsti dall'ordinamento, per individuare una soluzione politica e tecnico-giuridica alla questione di cui in premessa;
   se non ritenga opportuno coinvolgere anche le rappresentanze sindacali dei lavoratori;
   se abbia avviato un'indagine interna al fine di individuare eventuali responsabilità nell'attività di cessione operata dai commissari nominati dal Ministero dello sviluppo economico.
(2-00569) «Ricciatti, Piras».
(9 giugno 2014)

   GIULIETTI, LODOLINI e SERENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Merloni è un'azienda chiusa rientrante nell'ambito della legge Marzano-Prodi, che disciplina il percorso con cui grandi gruppi nazionali debbono essere assistiti anche nella fase di chiusura delle attività, percorso gestito dal commissariamento, che si è chiuso con un atto del Consiglio dei ministri ad esito del quale gli ultimi asset produttivi, quelli più importanti, quelli che riguardano l'Umbria e le Marche, a cui afferivano circa mille lavoratori umbri e millequattrocento, millecinquecento delle Marche ancora in carico, sono stati trasferiti in virtù di quell'atto a un investitore, la Jp industries, che ha avanzato l'unica proposta in questa direzione a fronte di un corrispettivo per legge che non è solo di prezzo ma è, soprattutto e prioritariamente, di impegno a sviluppare un progetto imprenditoriale che riassorba una parte almeno significativa del bacino occupazionale che la vicenda aveva determinato in negativo. La legge prevede che sulla proposta finale si esprima il comitato dei creditori, che deve dare parere favorevole. Si ritiene che le banche avessero un'esposizione di 450 milioni di euro con Antonio Merloni;
   il Consiglio dei ministri ha determinato la chiusura, provvedimento con il parere favorevole delle banche, e l'assemblea dei creditori ha dato parere favorevole;
   un giorno dopo le banche hanno impugnato quel provvedimento del Consiglio dei ministri presso il giudice amministrativo;
   se viene annullato quel trasferimento, decade l'iniziativa Jp industries, che prevede l'obbligo, garantito con strumenti fideiussori come previsto dalla legge, di riassunzione di 700 lavoratori e decade in prospettiva anche la concessione degli stessi ammortizzatori sociali;
   dalle notizie che stanno arrivando sembra che l'azienda e i commissari impugnino immediatamente il provvedimento e che quindi esistano i presupposti giuridici perché la sentenza di primo grado non sia immediatamente esecutiva e che quindi nell'immediato non si producano gli effetti che si paventavano poc'anzi, se venisse confermata quella sentenza;
   gli interessi legittimi e i diritti connessi alla chiusura della vicenda Antonio Merloni e alla ripartenza di quel territorio, nonché la tutela dovuta per legge con gli ammortizzatori sociali per migliaia di lavoratori coinvolti, non possono subire nocumento alcuno dalle vicende giudiziarie; si crede che abbiano ragione i lavoratori quando dicono che in questo Paese gli interessi di quelle stesse banche, che non hanno adeguatamente vigilato il credito quando c'era la vicenda Antonio Merloni, non possano essere più importanti degli interessi di chi là dentro lavora, produce e fa impresa e di un territorio intero che da quello dipende anche la sua vita, il suo futuro, la sua prospettiva. C’è un ordine di priorità in questo Paese: prima di tutto viene il lavoro –:
   se intenda attivare un tavolo istituzionale tra la regione Umbria, regione Marche e rappresentanze dei lavoratori per individuare misure urgenti per scongiurare gli effetti della sentenza e per condividere un percorso di rilancio di un settore strategico quale quello dell'elettrodomestico, assicurando il rispetto dell'accordo di programma e la garanzia della continuità degli ammortizzatori sociali.
(3-00345)
(25 settembre 2013)

   TERZONI, CECCONI e CIPRINI. — Al Ministro dello sviluppo economico e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 28 aprile 2014 la corte di appello di Ancona ha emesso la sentenza con la quale ha dichiarato nullo l'atto di vendita dei due stabilimenti fabrianesi di Santa Maria e Marangone e di quello umbro di Gaifana della ex Ardo alla newco dell'imprenditore Giuseppe Porcarelli;
   la corte ha dato ragione alle sette banche creditrici secondo cui il prezzo di cessione stabilito dai commissari ministeriali, 13 milioni di euro, sarebbe stato troppo basso rispetto a una valutazione minima equa quattro volte superiore, attorno ai 54 milioni di euro;
   la situazione di incertezza che si protrae ormai da ben oltre due mesi sta facendo collassare gli ordini mettendo a rischio il posto di lavoro dei 700 dipendenti riassorbiti dalla JP Industries;
   contemporaneamente sono a rischio anche i 1450 addetti della Antonio Merloni non rientrati nel piano industriale della JP per i quali a ottobre 2014 scadranno i termini della cassa integrazione in deroga con conseguente messa in mobilità;
   nel novero dei lavoratori che rischiano di essere coinvolti da questa vicenda rientrano anche i quasi dodicimila addetti della filiera fatta da piccole imprese;
   tutto questo accade in un'area in cui si registrano dati relativi alla disoccupazione superiori a quelli della media nazionale e dove la Unioncamere prevede entro la fine del 2014 la cancellazione di 6.670 posti di lavoro solo per la regione Marche;
   per far fronte a questa situazione non è stato sufficiente l'attivazione dell'accordo di programma delle aree di crisi dell'ex Merloni che avrebbe dovuto favorire la nascita di nuove attività produttive ma che a causa del carico burocratico previsto e dei vincoli imposti dalla legge n. 181 del 1989 non è riuscito a far trasformare in investimenti i 70 milioni di euro messi a disposizione –:
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente attivare un tavolo di confronto ufficiale al quale far sedere anche i rappresentanti politici e i portavoce dei territori coinvolti;
   quali interventi i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, intendano attivare per scongiurare la chiusura della JP Industries.
(3-00954)
(16 luglio 2014)

B) Interrogazione

   DE GIROLAMO. — Al Ministro dello sviluppo economico e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse – anno LV n. 3 – del 31 marzo 2011 del Ministero dello sviluppo economico – Dipartimento per l'energia – Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche – Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, è stata pubblicata l'istanza di permesso di ricerca di idrocarburi in terra presentata in data 28 febbraio 2011 dalla società Delta Energy LTD, con sede presso studio legale Turco – Roma, Viale G. Rossini, 9 (cap 00198);
   tale istanza di permesso, denominata «Pietra Spaccata», interessa la regione Campania, in particolar modo la provincia di Benevento ed i seguenti comuni: Baselice, Campolattaro, Casalduni, Castelpagano, Castelvetere in Val Fortore, Circello, Colle Sannita, Foiano di Val Fortore, Fragneto l'Abate, Fragneto Monforte, Molinara, Morcone, Pago Veiano, Pesco Sannita, Pontelandolfo, Reino, San Giorgio La Molara, San Marco dei Cavoti, per un totale di superficie pari a 333,30 chilometri quadrati;
   in data 2 aprile 2012 è stata inoltre presentata un'ulteriore istanza per il rilascio del permesso di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi denominato convenzionalmente «Case Capozzi», pubblicato sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse – anno LVI – n. 5 del 31 maggio 2012, con conseguente interessamento di altri comuni della provincia di Benevento ed anche della provincia di Avellino;
   contro i progetti di esplorazione e trivellazione dei progetti «Pietra Spaccata» (che ha già ottenuto l'autorizzazione della commissione regionale via, ovvero di valutazione di impatto ambientale) e «Case Capozzi», gli amministratori degli enti locali interessati, nonché i vertici delle comunità montane allo stesso modo coinvolte, hanno predisposto un protocollo di intenti nonché ratificato alla società Delta Energy LTD, in data 3 aprile 2013, il già preannunciato ricorso al Capo dello Stato il quale, sentito il parere vincolante del Consiglio di Stato, procederà ad adottare una decisione in merito;
   il protocollo dei sindaci, con la presentazione dei danni per il territorio del Sannio derivante da un'ipotetica opera di trivellazione, ha surrogato le deficienze e le superficiali mancanze degli enti preposti sottolineando che, in forza del principio dell'alternatività del processo amministrativo – codificato dall'articolo 8, comma secondo, del decreto del Presidente della Repubblica n. 1199 del 1971 – il ricorso straordinario al Capo dello Stato può essere proposto unicamente quando l'atto non sia stato già impugnato con ricorso giurisdizionale;
   il protocollo di intenti, redatto da uno studio legale, da sempre sensibile alle problematiche relative alla tutela dell'ambiente, ha ora intenzione di attivarsi anche in via amministrativa, al fine di presentare ricorso al difensore civico della regione Campania;
   il rischio che l'attività di trivellazione e di ricerca di idrocarburi possa ingenerare fenomeni sismici nel territorio del Sannio e dell'Irpinia è confermato dai risultati ottenuti dalla ricerca della Commissione Ichese, pubblicata dall'amministrazione regionale dell'Emilia-Romagna: tale ricerca ha evidenziato un nesso di causalità tra le attività di trivellazioni ed i fenomeni sismici che hanno interessato la regione Emilia-Romagna nel 2012, confermando che tale rischio può essere esteso a tutta la fascia appenninica, compresa quindi la zona del Sannio interessata dai progetti di ricerca di idrocarburi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti illustrati in premessa;
   se non si ritenga di dover adottare urgenti provvedimenti allo scopo di valutare l'opportunità di effettuare operazioni di trivellazione in una zona, quale quella del Sannio, fragile dal punto di vista geo-morfologico, nonché soggetta da sempre ad attività di natura tellurica;
   se non si ritenga di dover valutare con attenzione i risultati delle ricerche della Commissione Ichese che ha stabilito come vi siano dei nessi di causalità tra le operazioni di trivellazione e di ricerca di idrocarburi e le attività sismiche, specie in territori già soggetti a fenomeni di natura tellurica;
   se non si ritenga di convocare un tavolo tecnico con gli amministratori degli enti locali interessati, al fine di analizzare più attentamente le criticità del progetto di trivellazione, con l'acquisizione di maggiori informazioni sulla natura delicata e fragile del territorio del Sannio.
(3-01005)
(26 agosto 2014)

C) Interpellanza

   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la legge 16 novembre 1950, n.1093 disciplina la «Concessione di diplomi ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte», divisi in tre classi, con facoltà di fregiarsi, rispettivamente, di medaglia d'oro, d'argento, ovvero di bronzo, per ricompensare le persone o gli enti «che con opere di riconosciuto valore, con segnalati servigi o con cospicue elargizioni, abbiano acquistato titoli di particolare benemerenza nel campo dell'educazione, della scuola e nella diffusione ed elevazione della cultura» (legge n. 1093 del 1950, articolo 1);
   l'articolo 5 della norma richiamata stabilisce che: «Il conferimento dei diplomi sarà fatto per decreto presidenziale, su proposta del Ministro per la pubblica istruzione»;
   il successivo articolo 6 della legge in parola prevede che «Il Ministro per la pubblica istruzione farà le proposte, di cui all'articolo precedente, su parere di una commissione da lui nominata e presieduta, e costituita:
    a) dai direttori generali del Ministero della pubblica istruzione;
    b) da un membro di ciascuna delle tre sezioni del Consiglio superiore della pubblica istruzione; da un membro del Consiglio superiore delle antichità e belle arti e da uno del Consiglio superiore delle accademie e biblioteche, tutti designati dai rispettivi Consigli;
    c) da un rappresentante rispettivamente dell'Accademia dei Lincei, dell'Accademia di San Luca e dell'Accademia di Santa Cecilia;
    d) da due membri scelti dal Ministro per la pubblica istruzione tra coloro che sono già insigniti del diploma di benemerenza di cui all'articolo 1;

   la Commissione darà parere anche sulle segnalazioni che fossero fatte per iniziativa di membri della Commissione stessa;
   in caso di assenza o di impedimento del Ministro, la Commissione sarà presieduta dal Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. I membri della Commissione durano in carica due anni e possono essere confermati»;
   con il riassetto dei dicasteri, dall'onorificenza originaria ne sono state fatte derivare due nuove, intitolate, rispettivamente, ai «benemeriti della cultura e dell'arte», destinata a «funzionari dei ministeri, rettori, direttori di istituti di istruzione superiore e artistica, provveditori agli studi, direttori di biblioteche pubbliche; personale universitario e degli istituti di istruzione superiore e artistica; personale direttivo e docente degli istituti di istruzione media ed elementare, personale degli uffici scolastici provinciali e ispettivi; musicisti, letterati, attori e artisti», per «premiare quanti hanno illustrato la Nazione nei campi della cultura, dell'arte, dello spettacolo», concessa mediante «decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali»; e ai «benemeriti della scienza e della cultura», rivolta a «Rettori, Direttori di istituti universitari e di ricerca, studiosi di chiara fama», per «premiare i titoli di particolare benemerenza nel campo accademico e della ricerca», concessa mediante «decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica»; ambedue le nuove onorificenze conservano il medesimo riferimento normativo di quella (tutt'oggi concessa) dalla quale sono state ricavate per derivazione e, cioè, la già richiamata legge n. 1093 del 1958;
   la novella testé richiamata comporta che il parere di cui all'articolo 6 della legge n. 1093 del 1957 venga reso sempre da una commissione che, tuttavia, viene nominata, rispettivamente, per la categoria dei «benemeriti della cultura e dell'arte» dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo; mentre per quella dei «benemeriti della scienza e della cultura» dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   dalla data di cessazione dalla carica degli ultimi componenti che ne hanno fatto parte, avvenuta circa otto anni orsono, la Commissione relativa all'onorificenza destinata ai «benemeriti della scienza e della cultura» non viene più rinnovata da parte del Ministro competente che, dalla riunificazione del dicastero della pubblica istruzione con quello dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, è il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   ciò impedisce il conferimento dell'onorificenza ai «benemeriti della scienza e della cultura» che, di fatto, non viene più concessa dal lontano 2007;
   in conseguenza, una serie di istanze inevase si è accumulata presso la sede del predetto dicastero;
   la mancata nomina della Commissione de qua rappresenta a giudizio dell'interpellante un'omissione, tanto più grave, in quanto immotivata;
   premiare quegli scienziati le cui ricerche sono alla base del progresso dell'umanità, di ogni percorso di innovazione, rappresentando per il nostro Paese una risorsa strategica, oltre ad una fonte di lustro sul piano internazionale, è un dovere fondamentale, anche avuto riguardo al disposto dell'articolo 9, comma 1, della Costituzione –:
   per quali motivi non si sia provveduto, da circa otto anni, alla nomina della Commissione che deve rendere il parere di cui all'articolo 6 della legge n. 1093 del 1958, ai fini della concessione dell'onorificenza destinata ai «benemeriti della scienza e della cultura»;
   in che tempi, avuto riguardo ai limiti massimi stabiliti dalla legge, intenda provvedere alla predetta nomina;
   quali iniziative straordinarie abbia intenzione di adottare per evadere le pratiche accumulatesi, anche in considerazione:
    a) dell'età avanzata di alcuni dei candidati proposti, che impone, quantomeno per motivi etici, di dare soddisfazione in vita agli aventi diritto, senza dover far ricorso necessariamente a concessioni «alla memoria»;
    b) delle prescrizioni contenute all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1952, n. 4553 («Approvazione del regolamento per l'esecuzione della legge 16 novembre 1950, n. 1093, per il conferimento dei diplomi ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte»), in ossequio al quale «le proposte, istruite e corredate del parere della direzione generale rispettivamente competente, dovranno essere trasmesse al presidente della Commissione costituita in base all'articolo 6 della legge 16 novembre 1950, n. 1093, non oltre il giorno 15 febbraio di ciascun anno», atteso che l'articolo 7 della legge n. 1093 del 1958 dispone che «la concessione dei diplomi avviene una volta all'anno, alla data del 2 giugno».
(2-00852) «Petrenga».
(18 febbraio 2015)

D) Interrogazione

   ZAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a Padova, dall'inizio dell'anno scolastico, è scattata la protesta dei collaboratori scolastici in molte scuole cittadine: il personale ata si rifiuta infatti di svolgere mansioni non previste dal proprio contratto nazionale, come scaldare le vivande ai bambini, pulire i tavoli dopo il pranzo o distribuire loro le merendine, sostenendo che sia compito del comune o comunque della cooperativa Dusmann che ha in appalto la distribuzione dei pasti a scuola;
   il problema riguarda le mansioni miste, che non spettano per contratto al personale ata, e per le quali il comune di Padova mette a disposizione un contributo di appena 16 euro mensili a collaboratore scolastico, ritenuto insostenibile anche dalle organizzazioni sindacali;
   al momento la protesta coinvolge nove istituti comprensivi su quattordici: le primarie che fanno parte degli istituti comprensivi statali numeri 1, 2, 3, 5, 6, 8, 9, 10 ed 11; la vertenza sindacale è particolarmente marcata alle scuole elementari Zanibon, in quella di via Santi Fabiano e Sebastiano (la scuola Arcobaleno di Brusegana), ma disagi – secondo fonti sindacali – si sono registrati anche alla scuola Carraresi, alla primaria Mantegna di via Zanchi nel quartiere Arcella; in queste ultime scuole i bidelli si sono limitati a inoltrare il fax alla cooperativa Dusmann per elencare gli alunni assenti e a depositare le merendine su un tavolo. Sono gli alunni a doversi prendere da mangiare senza che la merenda sia distribuita;
   i bambini, secondo quanto riporta la stampa locale (si veda Il Mattino di Padova del 30 settembre e del 1o ottobre 2015), sarebbero costretti dal 16 settembre 2015 a rimanere spesso a digiuno fino all'ora di pranzo, a meno che non si procurino da soli la merenda, e per giorni sono stati costretti a mangiare pasta fredda;
   il personale non docente accusa il comune di Padova, che ha il compito di occuparsi delle mense scolastiche, di non aver mandato alcun operatore per svolgere questo servizio come promesso prima dell'inizio dell'anno scolastico;
   la situazione rischia di sfuggire di mano e richiede una risoluzione nel breve periodo, affinché non siano i bambini a farne le spese, ma neppure i diritti dei lavoratori, già sotto organico –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere per assicurare che negli istituti comprensivi statali del comune di Padova siano garantite con regolarità ed efficienza le mansioni miste che prevedono la distribuzione di merendine e pasti caldi ai bambini;
   se non intenda il Ministro interrogato avviare un tavolo di confronto e discussione con le parti interessate al fine di individuare rapidamente una soluzione definitiva al problema.
(3-01739)
(1o ottobre 2015)

E) Interrogazione

   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno le prove di selezione per l'accesso al corso di laurea in medicina e chirurgia suscitano un elevato livello di aspettative tra gli studenti dell'ultimo anno di corso della scuola media superiore e le loro famiglie. Sono quasi 80.000 gli studenti che sperano di iscriversi al corso di laurea in medicina e si preparano a sostenere una prova che selezionerà solo il 10 per cento di loro e che negli ultimi anni ha cambiato spesso la sua impostazione sia per la confezione finale della graduatoria, che per la data e per i contenuti dei quiz;
   l'efficacia, ai fini dell'orientamento e della selezione, di una prova di valutazione pre-universitaria è legata al grado di predittività, alla sua capacità cioè di «misurare» le conoscenze di base e le attitudini richieste allo studente per affrontare con successo un determinato percorso di studi;
   interessanti ricerche in tal senso sono state fatte negli ultimi anni dalla Conferenza dei presidenti di corso di laurea in medicina e chirurgia, che confermano il maggior valore predittivo di alcune serie di quiz, quelli di logica ad esempio, rispetto ad altre serie a carattere prevalentemente nozionistico;
   nel rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2013 dell'Anvur si afferma che i corsi ad accesso programmato, come quelli di medicina, dove opera un processo di selezione in ingresso, presentano gli indicatori migliori in tutto il percorso degli studi. Gli studenti di area medica hanno infatti bassi tassi di abbandono, un'elevata quota di laureati regolari, con una buona media e un minor numero di iscritti fuori corso;
   l'indagine denominata «Affidabilità e capacità predittiva del test Cisia», condotta dal Consorzio interuniversitario sistemi integrati per l'accesso alle scuole di ingegneria ed architettura sugli studenti immatricolati nel 2005 al Politecnico di Torino e di Pisa, ha evidenziato la presenza di una forte correlazione tra il punteggio ottenuto nel test di ammissione da una parte e il numero e la votazione degli esami superati e il tempo di conseguimento della laurea dall'altra;
   negli ultimi anni, il sistema di selezione all'ingresso dei corsi universitari è stato caratterizzato da un quadro di incertezza circa date, modalità di svolgimento e contenuti delle prove, ma soprattutto è stato oggetto di alcune sentenze dei tribunali amministrativi regionali che hanno accolto i ricorsi collettivi presentati da migliaia di studenti di tutta Italia per violazioni in potenza dell'anonimato nelle fasi di correzione delle prove o per altri vizi nelle procedure concorsuali;
   considerando gli alti tassi di abbandono che si registrano in Italia negli studi universitari e l'elevato numero di studenti inattivi o fuoricorso, è opinione condivisa che le attività e le opportunità di orientamento alla scelta degli studi universitari debbano essere potenziate e favorite, anche per ridurre il numero dei potenziali aspiranti agli studi di medicina;
   la stabilità del sistema e la trasparenza e tempestività delle comunicazioni sul test d'accesso hanno in sé un valore orientativo molto importante. Le scelte di uno studente che deve iscriversi all'università possono infatti essere tanto più consapevoli e meditate quanto più lo scenario che lo aspetta risulti consolidato e noto con largo anticipo temporale –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di rendere note con chiarezza e con largo anticipo agli studenti potenzialmente interessati le informazioni sui prossimi test nazionali 2016-2017, quali data delle prove, programmi d'esame e criteri di valutazione adottati, anche per mettere in sicurezza i concorsi dal fenomeno dei ricorsi collettivi.
(3-01844)
(11 novembre 2015)

F) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   dal 1946 a oggi il maltempo in Sardegna ha ucciso 67 persone, 26 di queste solamente fra il 1999 e il 2013;
   fatta eccezione per l'alluvione di Sestu e Elmas che nel 1946 fece 30 vittime, l'80 per cento del totale è concentrata fra il 14 ottobre 1986 e il 18 novembre 2013, quindi in un periodo nel quale si era già prodotto, per la mano dell'uomo, quella violenta cementificazione e dissesto idrogeologico che oggi rende il territorio sardo fragilissimo;
   il 1o ottobre 2015 ancora una volta è stata la città di Olbia a subire le peggiori conseguenze dell'ondata di maltempo che si è scaricata sull'isola, rovesciando una massa impressionante d'acqua da sud a nord, che nelle aree centrosettentrionali della provincia di Nuoro e in Gallura, oscilla fra i 100 e i 250 millimetri;
   ciò che si continua a definire «eccezione» è divenuta la norma di un mutamento climatico ormai strutturale che – al cambio di stagione – espone il territorio a violenti temporali, tempeste, tifoni, «bombe d'acqua» che si riversano su troppi casi, in tutto il Paese, nei quali si è costruito senza tenere nella minima considerazione le caratteristiche del territorio, il corso dei fiumi e le sue foci, si è disboscato senza criterio e costruito senza sosta;
   il territorio italiano e quello sardo sono divenuti un luogo insicuro e ormai alla prima pioggia sempre più persone vivono nella paura;
   gli impegni presi a seguito dell'alluvione del 18 novembre 2013 da parte del Governo in materia di messa in sicurezza del territorio non sono stati mantenuti;
   poche decine di milioni di euro sono serviti al più a una parziale ricostruzione che – come dimostra il caso del ponte di Olbia sul rio Filigheddu (lo stesso di due anni fa e che ha funzionato da «tappo» favorendo perciò la nuova esondazione) – non ha risolto uno dei nodi strutturali (dighe incomplete, quartieri costruiti abusivamente sui letti dei fiumi e sanati con procedure dubbie, opere di mitigazione del rischio mai eseguite e altro);
   il Ministro interrogato, in visita la scorsa settimana ad Olbia, ha dichiarato di aver «stimato il fabbisogno immediato per quanto riguarda Olbia con progetti già in fase di esecuzione, che quindi possono partire, per un totale di 81 milioni che abbiamo inserito nell'accordo di programma che tra pochi giorni firmerò con la regione Sardegna. Di questi, 16 milioni sono disponibili subito per gli interventi nelle zone che in queste ore risultano più colpite», omettendo però che lo stanziamento in questione era già stato previsto in seguito alla alluvione del 2013 –:
   quali iniziative strutturali e quali, invece, necessarie per affrontare l'emergenza, immediate e reali, abbia intenzione di assumere il Governo.
(2-01112) «Piras, Scotto, Duranti, Ricciatti, Quaranta, Giancarlo Giordano, Melilla, Pannarale, Zaccagnini».
(13 ottobre 2015)

G) Interrogazioni

   TERZONI, MANNINO, DE ROSA, DAGA, ZOLEZZI, BUSTO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Natura 2000 è il nome che il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha assegnato ad un sistema coordinato e coerente di aree destinate alla conservazione della biodiversità, presente nel territorio dell'Unione stessa ed in particolare alla tutela di una serie di habitat e di specie animali e vegetali indicati negli allegati I e II della cosiddetta «direttiva habitat» (direttiva 92/43/CEE relativa alla «Conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e della fauna selvatiche»);
   quest'ultima, insieme alla direttiva 73/409/CEE, concernente la «Conservazione degli uccelli selvatici», nota come «direttiva uccelli», rappresenta dunque lo strumento normativo più importante per la conservazione della natura e la tutela della biodiversità nei Paesi dell'Unione europea;
   obiettivo della «direttiva habitat», è la creazione della rete Natura 2000, costituita da zone di protezione speciale (ZPS, previste dalla «direttiva uccelli») e dai siti di importanza comunitari (SIC, previsti dalla «direttiva habitat»), entrambi proposti dagli Stati membri;
   mentre le ZPS fanno parte della rete Natura 2000, dal momento della loro designazione, i Psic (proposti SIC), dopo essere stati individuati dagli Stati membri, devono essere approvati dalla Commissione europea. Per tutte queste aree, dunque, la «direttiva habitat» ha previsto uno specifico sistema di tutela e conservazione, fissando i principi e gli obiettivi generali, e lasciando poi gran parte degli strumenti per realizzarli alla discrezionalità dello Stato membro, che dovrà dunque provvedere a darne attuazione nelle relative norme di recepimento;
   non esistono quindi, a priori, nel regolamento comunitario, obblighi o divieti specifici. Viene però sottolineata la natura anticipatoria di tali misure, vale a dire evitare preventivamente il degrado degli habitat e qualsiasi perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate (principio di prevenzione);
   la «direttiva habitat» è stata recepita in Italia con il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, recante Regolamento di attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche «, testo aggiornato e modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120; mentre la «direttiva uccelli» con la legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»;
   così come è stato previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, in Italia, la lista dei SIC è stata redatta dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, nell'ambito del progetto BioItaly, coordinato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   tale lista è stata poi sottoposta, da parte dello stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, all'approvazione della Commissione europea. Attualmente, il processo di approvazione dei SIC proposti dall'Italia è concluso: i SIC della regione biogeografica continentale sono stati approvati con decisione della Commissione europea il 7 dicembre 2004, quelli dell'area alpina, con decisione della Commissione del 22 dicembre 2003, e, infine, quelli dell'area mediterranea, con decisione del 19 luglio 2006 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 settembre 2006);
   a questo punto i SIC avrebbero dovuto, entro un termine di sei anni dalla definizione della lista dei siti da parte della Commissione, essere designati dagli Stati membri quali Zone speciali di conservazione (ZSC – articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997);
   dovevano essere le regioni e le province autonome ad assicurare per i proposti SIC, le opportune misure per evitare il degrado degli habitat e ad adottare per le ZSC, entro sei mesi dalla loro designazione, le opportune misure di conservazione necessarie;
   tali misure implicano piani di gestione appropriati, piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative e contrattuali conformi ad esigenze ecologiche dei tipi di habitat previsti;
   in Italia esistono ben 2.299 siti riconosciuti, ai sensi della «direttiva habitat», come siti d'interesse comunitario (SIC), di cui però solo 27 sono stati attualmente designati come zone speciali di conservazione (ZSC);
   il primo e unico decreto di designazione delle zone speciali di conservazione (ZSC) italiane, con il quale sono state istituite le prime 27 zone speciali di conservazione nella regione biogeografica alpina della regione Valle d'Aosta, è stato emanato il 7 febbraio 2013;
   attualmente, nonostante il limite temporale di sei anni normativamente prescritto dalla «direttiva habitat», in nessuna regione italiana appartenente all'area biogeografica continentale sono state approvate e riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le ZSC;
   ciononostante, alla data odierna, risulta che l'Italia abbia provveduto alla designazione delle sole zone speciali di conservazione della regione biogeografica alpina e limitatamente alla sola regione Valle d'Aosta;
   come riportato dal sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la designazione delle zone speciali di conservazione rappresenta un passaggio fondamentale per la piena attuazione della rete Natura 2000, poiché garantisce l'entrata a pieno regime di misure di conservazione del sito specifiche e offre una maggiore sicurezza per la gestione della rete e per il suo ruolo strategico finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità in Europa entro il 2020;
   proprio per la mancata designazione delle zone speciali di conservazione (ZSC) sulla base degli elenchi provvisori dei siti di importanza comunitaria (SIC) della «direttiva habitat», è stata avviata da parte dell'Unione europea la procedura di infrazione e di messa in mora nei confronti del Governo italiano –:
   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per giungere nel più breve tempo possibile alla designazione nel territorio italiano dei siti di importanza comunitaria (SIC) come zone speciali di conservazione (ZSC);
   se non ritenga di dover assumere iniziative volte a prevedere anche dei sistemi sanzionatori nei confronti di quelle regioni che non hanno ancora adempiuto a quanto previsto dalla direttiva 92/43/CEE e dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, provocando in tal modo la messa in mora del Governo italiano da parte dell'Unione europea.
(3-01819)
(4 novembre 2015)

   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con le interrogazioni numeri 5-00811 e 5-00812, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato chiesto, tra le altre cose, se – in che modo e con quali tempi – ritenesse possibile pervenire al riconoscimento dei siti di importanza comunitaria «Cala Rossa e Capo Rama» e «Isola Correnti, pantani di Pineta Pilieri, chiusa dell'Alga e Parrino» quali zone speciali di conservazione, in considerazione dell'obbligo stabilito dall'articolo 4 della direttiva 92/43/CEE, e disciplinato con l'articolo 3 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357;
   nella risposta alle interrogazioni citate nel punto precedente, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore ha affermato che la mancata designazione delle zone speciali di conservazione era motivata dal fatto che la trasmissione, da parte della Commissione, di successivi aggiornamenti dei formulari relativi ai siti di importanza comunitaria, ha reso «necessario, per ogni singolo invio, attendere l'approvazione della Commissione, che solitamente emana la relativa decisione ad un anno di distanza dal ricevimento delle proposte di modifica degli Stati membri», aggiungendo che «in tali condizioni, non essendo ancora consolidate le informazioni relative ai singoli siti (per quanto attiene ad habitat, specie ed eventuale ampliamento dei confini), risultava non opportuno procedere alla designazione delle ZSC»;
   nella stessa risposta, il Ministro ha, dunque, escluso che l'Italia potesse essere considerata inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dall'articolo 4 nella direttiva 92/43/CEE, scrivendo che: «Solo recentemente la Commissione europea ha manifestato la sua intenzione di non prevedere più aggiornamenti annuali, rendendo quindi effettiva la cadenza stabilita dalla direttiva habitat (6 anni) per la trasmissione delle informazioni sui siti e, in generale, sull'attuazione della Direttiva stessa. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha provveduto, conseguentemente, ad avviare il processo di designazione partendo dalle situazioni regionali maggiormente consolidate»;
   rispondendo alle stesse interrogazioni, il Ministro interrogato ha affermato altresì che: «(...) alla luce di quanto sopra, si può prevedere di predisporre a breve un primo decreto di designazione delle ZSC della regione Sicilia con riferimento ai siti per i quali è intervenuta l'approvazione definitiva dei piani di gestione, sempre che gli stessi contengano i requisiti minimi richiesti dalla Commissione europea»;
   con riferimento alla mancata designazione come zone speciali di conservazione dei siti di importanza comunitaria ubicati nel territorio siciliano – posta con le interrogazioni citate sopra, nonché con quella a risposta scritta n. 4-01855, depositata il 18 settembre 2013, e con quella n. 5-01783 ancora priva di risposta – i deputati interroganti, unitamente ai deputati dell'Assemblea regionale siciliana iscritti al gruppo MoVimento 5 Stelle e a ben 307 cittadini siciliani, hanno presentato una denuncia alla Commissione europea riguardante l'inadempimento, da parte delle autorità nazionali italiane, dell'articolo 4, comma 4, della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992;
   nella denuncia presentata alla Commissione europea il 26 marzo 2014, tra le altre cose, è stato evidenziato che la locuzione «il più rapidamente possibile e entro un termine massimo di sei anni», di cui all'articolo 4, comma 4, della direttiva, riferita all'obbligo, per lo Stato membro, di designare i siti di importanza comunitaria come zone speciali di conservazione, non è conciliabile con l'impostazione scelta dalle autorità italiane che – stando al tenore logico e letterale della risposta del Ministro alle interrogazioni nn. 5-00811 e 5-00812 richiamata in precedenza – hanno ritenuto di poter attendere i successivi aggiornamenti dell'elenco dei siti di importanza comunitaria, adottato nel luglio 2006, per stabilire il termine entro il quale procedere alla designazione delle zone speciali di conservazione;
   la direzione generale ambiente della Commissione europea, in data 16 aprile 2014, ha risposto alla denuncia, di cui ai punti precedenti, informando i denuncianti del fatto che la stessa Commissione ha già avviato d'ufficio (EU Pilot 4999/13/ENVI) un'indagine volta a verificare il rispetto da parte di tutti gli stati membri dell'articolo 4 paragrafo 4 della direttiva habitat, e in merito alla decorrenza del termine stabilito dalla direttiva, ha aggiunto quanto segue: «contrariamente a quanto sostenuto dal Governo italiano nella risposta alle Sue interrogazioni parlamentari 5-00811 e 5-00812, eventuali aggiornamenti dei formulari relativi ai siti non determinano uno slittamento del termine di sei anni: per i siti che, come quelli siciliani, sono stati inseriti nella rete Natura 2000 con decisione della Commissione adottata nel 2006, il termine entro cui designarli come ZSC è scaduto nel 2012»;
   nella risposta alle interrogazioni numeri 5-00811 e 5-00812, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha omesso di riferire ai deputati interroganti che rispetto alla mancata designazione delle zone speciali di conservazione – oggetto di uno dei quesiti posti in entrambe le interrogazioni – la Commissione europea aveva avviato un'attività di indagine (EU Pilot 4999/13/ENVI), che, in relazione alla predetta indagine, la stessa Commissione aveva chiesto informazioni alle autorità nazionali e infine che il Ministero, al fine di fornire gli elementi di risposta richiesti, aveva avviato un'interlocuzione con le regioni;
   la mancata designazione delle zone speciali di conservazione, oggetto dell'attività d'indagine della Commissione europea, richiamata sopra può portare all'apertura di una procedura di infrazione comunitaria nei confronti del nostro Paese –:
   quali informazioni siano state acquisite, ad oggi, dalla Regione siciliana al fine di poter corrispondere alle richieste formulate dalla Commissione europea in seno alla citata attività d'indagine (EU Pilot 4999/13/ENVI);
   se i riscontri forniti alla Commissione europea nell'ambito della citata attività d'indagine (EU Pilot 4999/13/ENVI) contengano una descrizione della situazione concernente la designazione delle zone speciali di conservazione, relativa a ciascuna regione italiana, ovvero se alcune regioni non abbiano, ancora, fornito tutte le informazioni richieste;
   quali azioni intenda intraprendere perché vengano tempestivamente adottate tutte le misure necessarie a scongiurare il fatto che i siti di importanza comunitaria inseriti nella rete Natura 2000, da più di sei anni – come quelli siciliani – continuino ad essere in una condizione, giuridica e/o di fatto, che ne impedisce la designazione come zone speciali di conservazione, in palese violazione delle disposizioni contenute nell'articolo 4 della direttiva 92/43/CEE e con il rischio concreto che venga aperta un'ulteriore procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia;
   se l'attività di verifica rispetto ai piani di gestione dei siti di importanza comunitaria siciliani, per i quali è intervenuta l'approvazione definitiva – alla quale si faceva riferimento nella risposta alle interrogazioni nn. 5-00811 e 5-00812 – sia stata ultimata, ed entro quale termine si procederà alla predisposizione di un primo decreto di designazione delle zone speciali di conservazione ubicate nel territorio della Regione siciliana.
(3-02007)
(15 febbraio 2016)
(ex 5-02758 dell'8 maggio 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI MOBILITÀ URBANA, EXTRAURBANA E FERROVIARIA

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione italiana, così come le altre Costituzioni degli Stati di democrazia liberale, garantisce la libertà di circolazione (si veda l'articolo 16 della Costituzione, secondo cui: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvi gli obblighi di legge»);
    l'Unione europea è nata intorno ad alcuni grandi principi ed obiettivi, fra i quali va evidenziato, nell'ottica della costruzione di un mercato concorrenziale delle merci e delle prestazioni lavorative, il principio della libera circolazione di merci e persone nel territorio degli Stati membri; nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ora incorporata nel Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, la libertà di circolazione è garantita all'articolo II-105 (che recita: «Ogni cittadino dell'Unione europea ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La libertà di circolazione e soggiorno può essere accordata, conformemente al Trattato che istituisce la Comunità europea, ai cittadini dei Paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro»);
    il nostro Paese, nel corso di questi ultimi anni, ha garantito, sia pure con difficoltà, l'esercizio del diritto alla mobilità dei cittadini. Tuttavia, l'attuale assenza di certezza di risorse finanziarie adeguate per il settore dei trasporti e della circolazione rischia di pregiudicare in modo inevitabile l'esercizio di tale diritto, colpendo particolarmente le fasce meno abbienti della popolazione e i pendolari che sono da sempre costretti a subire le conseguenze di tale situazione; questi ultimi anni, in particolare, come emerge dalla stampa nazionale e locale, sono stati davvero terribili per i circa tre milioni di pendolari che ogni giorno si muovono nel nostro Paese;
    in questi ultimi giorni Legambiente ha lanciato la Campagna Pendolaria, presentando una anticipazione, con analisi della situazione di maggiore disagio sulle linee ferroviarie italiane, del rapporto annuale che ha come focus l'emergenza Sud;
    le ragioni della drammatica situazione in cui vivono i pendolari nel nostro Paese sono chiare. I treni innanzitutto risultano essere sono troppo vecchi. In Italia attualmente sono circa 3.300 i treni in servizio nelle regioni con convogli di età media pari a 18,6 anni, con differenze però rilevanti da regione a regione. In secondo luogo i treni risultano essere troppo pochi. Dal 2010 a oggi, complessivamente, si possono stimare tagli pari al 6,5 per cento del servizio ferroviario regionale proprio quando nel momento di crisi è aumentata la domanda di mobilità alternativa più economica rispetto all'auto, anche se con differenze tra le diverse regioni;
    tra il 2010 e il 2015 il taglio ai servizi ferroviari è stato pari al 26 per cento in Calabria, 19 per cento in Basilicata, 15 per cento Campania, 12 per cento in Sicilia;
    inoltre, il maggior aumento del costo dei biglietti è stato in Piemonte con +47 per cento mentre è stato del 41 per cento in Liguria e del 25 per cento in Abruzzo e Umbria, a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento;
    appare completamente assente una regia nazionale rispetto a un tema che non può essere delegato alle regioni senza controlli, senza contare che le risorse da parte dello Stato per il trasporto pubblico su ferro e su gomma sono diminuite del 25 per cento con la conseguenza che le regioni, a cui sono state trasferite nel 2001 le competenze sui treni pendolari, hanno effettuato in larga parte dei casi tagli al servizio e aumento delle tariffe;
    il trasporto pendolare dovrebbe rappresentare una priorità delle politiche di Governo, sia perché risponde a una esigenza reale e diffusa dei cittadini, sia perché, se fosse efficiente, spingerebbe sempre più persone ad abbandonare l'uso dell'auto con vantaggi ambientali, climatici e di vivibilità delle nostre città;
    ad oggi, tuttavia, un cambio di rotta delle politiche di mobilità ancora non si vede. Al contrario degli altri Paesi europei, in Italia negli ultimi 20 anni neanche un euro è stato investito dallo Stato per l'acquisto di nuovi treni. Alcune regioni hanno fatto investimenti attraverso i contratti di servizio, altre più virtuose, individuando risorse nel proprio bilancio o orientando in questa direzione i fondi europei. In assenza di una regia nazionale ci si trova sempre di più di fronte a un servizio di serie A, per i treni ad alta velocità, di serie B nelle regioni che hanno individuato risorse per evitare i tagli, e di serie C nelle altre regioni;
    il trasporto ferroviario italiano conta treni troppo vecchi, lenti e lontani dagli standard europei di frequenza delle corse. Negli ultimi dieci anni sono stati realizzati alcuni interventi per la sostituzione del materiale rotabile, ma ciò non basta assolutamente. Perché occorre aumentare il servizio con nuovi treni, a partire dalle linee più frequentate e smettere immediatamente di attuare politiche fondate sui tagli agli investimenti per il trasporto pubblico locale e ferroviario;
    secondo Legambiente tra le 10 peggiori linee d'Italia per i pendolari nel 2015 c’è innanzitutto la linea Roma-Lido di Ostia. Il servizio ferroviario di questa linea suburbana gestita da Atac risulta totalmente inadeguato per i circa 100.000 pendolari quotidiani. Il 2015 è stato un anno terribile, con un servizio che sembra peggiorare di giorno in giorno a causa di ripetuti guasti e problemi tecnici: corse che saltano senza che venga fornita un'adeguata informazione, frequenze oltre i 40 minuti, convogli vecchi e sovraffollati spesso privi di aria condizionata, stazioni non presidiate. Ad aggravare il tutto, è il fatto che i pendolari di questa linea arrivati al Capolinea a Roma, spesso continuano il viaggio sulla linea B della metropolitana. Dove trovano un servizio indegno per una città europea, con attese che si attestano, in media, sui 15 minuti con picchi di 20-25, quando, a causa di guasti ai convogli o al sistema elettrico, il servizio non si ferma totalmente;
    segue la linea Alifana e Circumvesuviana. La situazione in Campania della ferrovia Alifana è stata nel 2015 al centro delle cronache per le lamentele da parte dei pendolari che si muovono verso Napoli dal casertano a causa di molteplici ritardi, soppressione di corse, ma soprattutto per la precarietà dei mezzi su cui viaggiano, privi di aria condizionata, con sediolini e carrozze antiquate e scarso servizio di pulizia. Su questa linea viaggiano ancora convogli diesel in attesa che finalmente si completi l'elettrificazione. Ma a Napoli rimane gravissima la situazione che continua a vivere la Circumvesuviana, una delle ferrovie più colpite dai tagli degli ultimi anni, con treni fatiscenti, vagoni stracolmi (ogni giorno 120 mila persone sulla linea) perché insufficienti per una tratta che collega Napoli con i quartieri e i comuni ad Est. Numerosi gli episodi di disagi e disservizi, con treni soppressi o fermi anche un'ora alle fermate a causa di guasti e rotture dei mezzi;
    al terzo posto si colloca la linea Chiasso-Rho. Si tratta di una linea, la S11, prolungata da Milano a Rho in occasione dell'Expo, che vede quotidianamente l'utilizzo da parte di quasi 50.000 pendolari che lamentano frequenti ritardi e tempi di percorrenza paragonabili a quelli del secolo scorso (per fare 60 chilometri si impiega oltre un ora e mezza). Solo nel mese di settembre sono stati oltre 100 i ritardi collezionati, una media superiore ai 4 ritardi al giorno, anche nei weekend;
    segue la linea Verona-Rovigo. Lungo i 95 chilometri che collegano Verona a Rovigo i disagi sono all'ordine del giorno. Su questa linea insiste il pendolarismo importante di studenti e lavoratori, ma è anche molto frequentato da turisti. Qui viaggiano mezzi lenti (55 km/h di media) e vecchi, su una linea a binario unico e dove manca ancora il completamento dell'elettrificazione nelle tratte Isola della Scala-Cerea e Legnago-Rovigo e i pendolari devono anche fare un biglietto diverso per il proseguimento da Rovigo a Chioggia;
    al quinto posto si colloca la linea Reggio Calabria-Taranto. Una linea fondamentale di collegamento tra le regioni del Sud che vede continui tagli e l'uso di treni sempre più vecchi, malgrado il ruolo fondamentale che potrebbe avere nel collegare gli oltre 40 centri urbani e turistici lungo il percorso. Da Reggio c’è un solo treno diretto al giorno, che ci mette 7 ore e 12 minuti a una velocità di 66 km/ora su una linea sostanzialmente vuota. Nel corso degli ultimi due anni la Regione Calabria ha tagliato circa 20 milioni di euro al contratto di Servizio con Trenitalia, già impoverito di molto negli anni precedenti. A partire dalla metà del 2014 è stata decretata la soppressione di ben 26 treni regionali, poi in seguito alle trattative, 10 corse sono state ripristinate, ma con notevoli riduzioni sulla linea Jonica e la Rosarno-Lamezia Terme Centrale via Tropea. I pendolari segnalano problemi anche nella scelta delle fermate;
    segue la linea Messina-Catania-Siracusa. Lungo i 177 chilometri della linea che collega Messina a Siracusa, i treni viaggiano a una velocità media di 69 chilometri orari passando per Catania, i disservizi più frequenti riguardano gli imprevisti tecnici, quasi sempre dovuti alla condizione dell'infrastruttura. Manca sempre una adeguata informazione ai viaggiatori in caso di interruzioni, guasti agli scambi, furti di rame. Su questa linea insiste la tratta Giampilieri-Fiumefreddo, il cui raddoppio per 42 chilometri e previsto dal contratto di programma di RFI già dal 2000. Un'opera dal valore di 2,27 miliardi di euro che vede ad oggi un finanziamento di soli 49 milioni;
    al settimo posto si colloca la linea Taranto-Potenza-Salerno. Su questa linea di oltre 200 chilometri di fondamentale importanza per i collegamenti interni tra Puglia, Basilicata e Campania, ma anche per i pendolari dei diversi centri lungo la linea, la situazione è ferma a 50 anni fa. I convogli non raggiungono i 50 km/h di velocità media e impiegano 1 ora e 47 minuti per collegare i 120 chilometri, tra Potenza a Salerno, e 2 ore tra Potenza e Taranto (150 chilometri). La beffa è che i ritardi sono all'ordine del giorno (quando i treni non subiscono soppressioni improvvise), nonostante la linea sia sostanzialmente vuota, visto che ci sono solamente 6 treni per direzione di marcia al giorno;
    segue la linea Novara-Varallo. Addio ai treni lungo la linea Novara-Varallo dal settembre 2014. C’è quindi chi sta peggio di altri, perché oggi l'unica speranza dei pendolari dell'area è che con l'inserimento della linea nel capitolato di gara d'appalto nel lotto del quadrante nord-orientale del Piemonte si veda una riapertura ed un rilancio del servizio. Ma è solo una possibilità e in ogni caso se ne riparlerà dopo il 2017;
    si segnala ancora la linea Orte-Foligno-Fabriano. Su questa linea i pendolari aspettano da tanti anni che si dia seguito alle promesse di un potenziamento. Si sta infatti parlando di un collegamento nazionale, tra Roma, l'Umbria e le Marche su cui sarebbero previsti investimenti in perenne ritardo e di cui beneficerebbe anche il servizio pendolare. Per ora la linea di 140 chilometri continua ad avere molti tratti a binario unico, una media di velocità di 70 km/h, e i pendolari lamentano continui disagi a causa di guasti dei treni e criticità durante l'inverno per la pioggia, il gelo ed in alcuni casi persino a causa delle foglie che creano problemi di aderenza delle ruote del locomotore sulla rotaia. L'infrastruttura in alcuni tratti è a binario unico, mentre i lavori di raddoppio sono in ritardo ormai da anni;
    infine, c’è la linea Genova-Acqui Terme. Numerosi disagi si riscontrano sulla linea che collega Genova con il Ponente e che passa per numerosi centri fino ad Acqui Terme, a causa di 46 chilometri a binario unico e di tagli ai treni, per una media di 45 km/h. Qui il maltempo può causare interruzioni della linea e frane. All'ordine del giorno, vi sono ritardi, scarsità di treni, soppressioni improvvise e attese interminabili;
    la regione con la più alta età dei treni e l'Abruzzo, con 28,3 anni, e l'84,7 per cento dei treni circolanti ha più di 20 anni. Anche in Basilicata, si trovano dati estremamente negativi, con un'età media dei treni di quasi 24 anni. In Puglia la situazione più critica è quella delle linee di Ferrovie del SudEst, ma in generale è necessario un rinnovo del parco rotabile vista l'età media di 23 anni. In Sicilia, l'età media dei treni è di circa 23 anni, con la conseguenza che sulla tratta Siracusa-Gela lo stato dei treni è mediocre tanto che gli attuali tempi di percorrenza sono addirittura superiori a quelli di 20 anni fa, anche a causa di un'infrastruttura decisamente carente. In Lombardia l'età media dei treni è di circa 22 anni che scende però a 7,5 considerando i revamping. Nonostante ciò, vista la grande quantità di pendolari, l'usura dei convogli incide sulla qualità del servizio sulle linee, a partire dalla Milano-Lecco-Tirano. In Calabria i pochi treni in circolazione hanno oltre 21 anni di età. In Umbria non va meglio con treni di circa 20 anni, mentre è di 19,5 anni l'età media dei treni in Sardegna,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa di competenza, garantendo il pieno coinvolgimento delle regioni, per promuovere finalmente scelte coraggiose e mirate in termini di mobilità urbana ed extraurbana, a partire dallo stanziamento di maggiori risorse per arrivare a 5.000.000 di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, portando il trasporto ferroviario agli stessi standard qualitativi europei;
   ad attivarsi al fine di garantire il diritto alla mobilità con collegamenti ferroviari efficienti al Nord come al Sud tra i principali capoluoghi, integrati con il sistema di porti e aeroporti, ponendo in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad impedire il perdurante taglio dei collegamenti ferroviari e avviando un'azione di monitoraggio sulla rete pubblica affidata in concessione a Rete ferroviaria italiana finalizzata ad un ripensamento degli investimenti indispensabili ad aumentare la velocità dei collegamenti che parta innanzitutto dalla necessità di valorizzare la presenza di treni pendolari rispetto a quelli a mercato nella definizione delle tracce;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza per favorire la competitività del trasporto promuovendo l'aumento dell'offerta di collegamenti sulle principali linee pendolari, la riorganizzazione degli orari attraverso procedure di confronto con gli utenti e il controllo del rispetto del contratto di servizio rispetto alla puntualità;
   ad attivarsi al fine di avviare un programma decennale di investimenti che preveda almeno 300 milioni di euro di risorse statali l'anno per l'acquisto di treni regionali;
   a definire le politiche relative alla mobilità mettendo al centro gli utenti della mobilità, valutando altresì l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare il finanziamento di alcune norme introdotte durante il Governo Prodi nell'ambito della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) e non più rifinanziate dai successivi Governi che prevedono la possibilità di portare in detrazione le spese sostenute per l'acquisto dell'abbonamento annuale ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, al fine di incentivare un maggior utilizzo del trasporto pubblico locale con conseguente riduzione progressiva del trasporto privato, a tutto vantaggio di una mobilità alternativa più sostenibile per gli inevitabili ed evidenti effetti positivi in termini di riduzione delle emissioni dei gas inquinanti, soprattutto nelle aree urbane più grandi e maggiormente caotiche;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per rifinanziare il fondo per la mobilità sostenibile, già istituito con la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) al fine di sostenere le politiche di incentivazione della mobilità sostenibile soprattutto nelle grandi aree urbane, attraverso il potenziamento e l'aumento dell'efficienza dei mezzi pubblici e l'incentivazione dell'intermodalità;
   ad assumere iniziative per revocare le risorse impegnate per opere «faraoniche» non più necessarie al fine di destinare le medesime risorse ad altri interventi, dalla manutenzione e messa in sicurezza della rete ferroviaria italiana, alla manutenzione delle principali infrastrutture di trasporto esistenti, al miglioramento dell'offerta di trasporto pubblico locale;
   a promuovere un concreto efficientamento del trasporto pubblico locale incentivandolo con necessari e adeguati finanziamenti del fondo nazionale trasporti;
   ad intervenire con urgenza, per quanto di competenza, al fine di risolvere in via definitiva le criticità individuate in premessa con riferimento alle 10 linee ferroviarie peggiori del nostro Paese.
(1-01091) «Franco Bordo, Fassina, Scotto, Folino, Pellegrino, Zaratti, Sannicandro, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale».
(12 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il diritto alla mobilità, come sancito dall'articolo 16 della Carta costituzionale e dall'articolo ii-105 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, appare oggi non adeguatamente tutelato attraverso il sistema di trasporti esistente nel nostra Paese, con evidenti lacune e criticità per quanto riguarda il trasporto pubblico locale e regionale;
    il progressivo ampliamento delle aree urbane, determinato soprattutto dal processo di urbanizzazione, ha rafforzato il pendolarismo, incrementando ulteriormente la domanda di mobilità che secondo i dati più recenti, dopo la battuta di arresto registrata nell'arco della prima e più cruenta fase di crisi economico-finanziaria (2008-2012) è aumentata in maniera importante nell'ultimo triennio;
    nonostante l'accresciuta domanda di mobilità, proprio nelle aree urbane e metropolitane, dove si concentra più del 60 per cento della popolazione italiana, dove si svolge oltre il 70 per cento delle attività produttive e dove circola il 70 per cento dei veicoli, si registra una preoccupante riduzione dell'offerta di trasporto pubblico con particolare riferimento ai comuni capoluogo di provincia;
    a fronte di questa contrazione nell'offerta di trasporto pubblico, i dati Istat rilevano l'effetto crescita di spostamenti con mezzi privati, in particolar modo autovetture che si affermano quale modalità privilegiata nei collegamenti di breve e medio raggio con le aree metropolitane;
    da molto tempo il nostro Paese si contraddistingue per l'alto tasso di motorizzazione, secondo in Europa solamente al Lussemburgo. Il numero di automobili nell'arco dell'ultimo decennio, si è sempre mantenuto particolarmente elevato grazie all'incredibile rapporto di 60 unità ogni 100 abitanti;
    nel 2011 il parco veicolare italiano ha superato i 37 milioni di automobili e i 6,5 milioni di motocicli ed è in corso un processo di invecchiamento del parco mezzi privato, con conseguenze negative in termini di emissioni inquinanti e pericolo di incidentalità;
    tra le prime dieci città più congestionate d'Italia appaiono Milano e Roma, caratterizzandosi per velocità medie di spostamento inferiori ai 10 chilometri, e dove in media si perdono nel traffico rispettivamente circa 72,6 e 47,6 ore/anno. La congestione ha inoltre un costo elevato, stimato dalla Commissione europea in un intervallo compreso fra il 2 per cento e il 3 per cento del prodotto interno lordo;
    i tempi di percorrenza nelle aree a maggiore densità produttiva e abitativa sono aumentati in media, del 20-35 per cento, nell'ultimo decennio: nelle aree urbane la velocità media di spostamento nelle ore di punta è pari a 7-8 chilometri orari, con valori che, secondo uno studio di Confcommercio, sono in linea con quelli dei mezzi in circolazione nel 1700;
    la densità veicolare incide negativamente sull'ambiente, con ricadute sui livelli di inquinamento atmosferico e acustico e sull'occupazione del suolo, rappresentando un fenomeno ben lungi dal poter essere affrontato con interventi estemporanei e una tantum da parte delle amministrazioni comunali, come è capitato di vedere nel corso delle settimane tra fine dicembre 2015 e inizio gennaio 2016;
    è evidente che mancano strumenti dissuasivi della mobilità privata quali un'offerta efficiente di trasporto pubblico locale in grado di garantire un adeguato livello di accessibilità delle aree urbane e periurbane con servizi affidabili e di qualità e incentivi alla mobilità alternativa;
    si stima che nel nostro Paese la rete complessiva di trasporto pubblico locale aggiunga circa i 128 chilometri di lunghezza ogni 100 chilometri di superficie e l'offerta di trasporto pubblico locale in Italia sia fortemente sbilanciata a favore del trasporto su gomma. Nel 2011, a fronte di una densità di rete di autolinee di 118: chilometri ogni 100 chilometri di superficie, le reti di trasporto su ferro presentano valori nettamente inferiori: 6,4 chilometri per la rete ferroviaria regionale, 1,6 chilometri per la rete tranviaria e 0,6 chilometri per la rete metropolitana;
    la densità di rete urbana appare territorialmente molto differenziata: si passa da città con oltre 200 chilometri di rete di trasporto locale ogni 100 chilometri di superficie comunale, a centri abitati che non raggiungono nemmeno 100 chilometri di rete ogni 100 chilometri il Centro-nord risulta maggiormente fornito di reti di trasporto pubblico urbano rispetto al Sud;
    nonostante il trasporto su ferro costituisca una valida risposta ai problemi di mobilità e congestione che caratterizzano i contesti urbani e soprattutto agli impegni di riduzione delle emissioni di anidride carbonica imposti dall'Unione europea per il 2030, attualmente numerosi comuni capoluogo non presentano di fatto alcuna rete di trasporto pubblico locale su ferro;
    emergono, inoltre, dati negativi sulla qualità dei mezzi in circolazione, data l'anzianità del parco mezzi, che è pari a 11,6 anni tra servizio urbano ed extraurbano per quanto riguarda il parco mezzi su gomma rispetto a una media europea di 7 anni;
    per il trasporto su ferro nel 2012 si è registrata un'anzianità media del materiale rotabile superiore ai 20 anni per i mezzi di trazione e ai 30 anni per il materiale rimorchiato, con punte di oltre 60 anni per le locomotive diesel e di 80 anni per locomotive elettriche, materiale rimorchiato e carri merci;
    nel corso dell'esame del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, cosiddetto Milleproroghe 2016, è stato approvato un emendamento presentato dai datori che differisce di un anno l'entrata in vigore delle disposizioni dell'articolo 1, comma 866, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Stabilità 2016) relative alla istituzione e al finanziamento di un nuovo Fondo per il rinnovo dei parchi mezzi di trasporto pubblico locale ivi comprese le finalità del fondo – previste dalla legge approvata appena un mese prima – quali l'accessibilità per persone di ridotta mobilità, nonché la riqualificazione elettrica e la possibilità di noleggio dei mezzi, segnando così un ulteriore ritardo sulla strada per l'adeguamento e il miglioramento dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale;
    le criticità caratterizzanti il trasporto pubblico locale e regionale sono state recentemente ricordate dallo stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che in merito al rinnovo del parco mezzi ha sostenuto un presunto rilancio dell'azione di Governo in netta contrapposizione rispetto alle dinamiche politico-istituzionali richiamate;
    nel corso dell'esame del citato schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri riguardante la dismissione delle partecipazioni statali in Ferrovie dello Stato italiane spa, i vertici del gruppo Ferrovie dello Stato italiane auditi hanno chiaramente confermato l'estrema gravità in cui versano particolarmente due comparti: quello del trasporto pubblico locale e quello del trasporto merci, ancorché rappresentativi entrambi di comparti estremamente importanti e strategici per l'impatto che hanno sulle comunità territoriali quanto in ambito produttivo e commerciale. Le criticità sarebbero talmente profonde da rendere i settori scarsamente appetibili per gli azionisti privati riducendo in tal senso la potenzialità del sistema di trasporti rappresentato dal gruppo Ferrovie dello Stato italiane Spa;
    la scarsa integrazione fra il trasporto ferroviario regionale e il trasporto metropolitano, inoltre, disincentiva il ricorso al trasporto pubblico locale e non indirizza i cittadini ad un uso sempre più limitato del mezzo privato. Ciò si aggiunge, peraltro, alla persistente debolezza di piattaforme e sistemi intermodali che permetterebbero al cittadino-utente di combinare l'uso del proprio mezzo alla rete di trasporto pubblico locale contribuendo quanto meno ad una riduzione della congestione e dell'inquinamento;
    anche il ricorso alla mobilità cosiddetta dolce è marginale, solo il 3 per cento degli spostamenti nelle città italiane con più di 300.000 abitanti avviene in bicicletta, a fronte del 13 per cento di Berlino e del 31 per cento di Copenhagen. Una marginalità che non è giustificabile solo con le condizioni orografiche e geomorfologiche delle realtà urbane e extraurbane ma che deriva sostanzialmente dalla sopracitata ridotta offerta di reti intermodali di trasporto pubblico;
    secondo i dati Istat relativi all'anno 2013, 38 capoluoghi di provincia hanno incrementato la propria dotazione di piste ciclabili, mentre 67 l'hanno lasciata invariata o lievemente ridotta, con evidenti disagi in termini di praticabilità, accessibilità e sicurezza per i cittadini-utenti;
    nella congestione dei nostri spazi urbani e suburbani è indispensabile che tutte le forme di trasporto siano orientate allo sviluppo sostenibile. Risulta pertanto fondamentale incentivare forme innovative di mobilità con riferimento all'approccio della cosiddetta sharing economy, come ad esempio la condivisione di un'automobile privata da parte di più utenti che si muovono per lavoro, studio o altre attività lungo lo stesso percorso e nei medesimi orari (meglio noto come car pooling). Al tempo stesso appare improcrastinabile, anche coerentemente con gli orientamenti dell'Unione europea, definire un quadro normativa organico che tuteli i diritti dei cittadini-utenti così come quelli degli operatori e in generale la libera concorrenza del settore dei servizi di trasporto delle persone non di linea;
    il 17 dicembre 2015 la IX Commissione ha approvato la risoluzione n. 7-00613 Dell'Orco e altri finalizzata ad incrementare le risorse per il trasporto pubblico locale di almeno 50 milioni di euro, dal gettito proveniente dal gioco d'azzardo, al fine di garantire l'accesso ai mezzi pubblici alle fasce più deboli della società e ai disoccupati;
    l'attuale politica dei trasporti a livello nazionale è orientata a promuovere e sostenere finanziariamente lo sviluppo della cosiddetta alta velocità, ovvero delle tratte e delle reti infrastrutturali e di trasporto che svolgono servizi a mercato con alto rendimento e crescente appetibilità per gli investitori privati. Un sistema dal quale nessun Paese può discostarsi ma che non può rappresentare l'unico, esclusivo elemento di attrazione delle attività finanziarie, politiche e infrastrutturali messe in atto da un Governo. Una condizione critica che secondo alcuni dati vedrebbe peraltro la stragrande maggioranza dei cittadini-utenti utilizzare maggiormente il trasporto regionale e interregionale, ovvero di corto-medio raggio invece che quello ad alta velocità e lungo raggio, nonostante quest'ultima riceva la maggior parte di investimenti per le ovvie ragioni di cui sopra;
    le grandi opere sostanzialmente realizzate con le finalità appena menzionate rappresentano secondo la stessa Corte dei Conti un elemento di scarsa capacità di spesa, spesso causa di un innalzamento del debito a fronte di risultati incerti e iter opachi. I magistrati contabili altresì hanno individuato per le grandi opere circa il 40 per cento di costi indiretti ovvero «costi di corruzione» sul totale dei costi di appalto. In tal senso appare utile richiamare la relazione dell'Unione sulla lotta alla corruzione in cui si riporta che per la realizzazione delle tratte ad alta velocità in Francia, Spagna e Giappone il costo medio per chilometri è all'incirca di 10 milioni di euro, mentre in Italia lo stesso costo è stato di oltre 47 milioni di euro per la Roma-Napoli, di quasi 80 milioni di euro per la Novara-Milano e ben oltre 95 milioni di euro per la Bologna-Firenze,

impegna il Governo:

   a dare tempestiva applicazione, con il previsto concorso delle regioni e degli enti locali, alla risoluzione n. 7-00613 Dell'Orco e altri tesa ad aumentare di almeno 50 milioni di euro le risorse per il trasporto pubblico locale, elevandole dal gettito proveniente dal gioco d'azzardo, al fine di garantire l'accesso ai mezzi pubblici alle fasce più deboli della società e ai disoccupati;
   ad assumere iniziative per prevedere, nelle more del differimento dell'entrata in vigore della disposizione di cui all'articolo 1, comma 866, della legge n. 208 del 2015 citata in premessa, quanto meno il perseguimento delle finalità previste dal predetto Fondo, quali l'adeguamento dei mezzi per migliorare l'accessibilità delle persone con ridotta mobilità e la riqualificazione elettrica come prima misura sistemica per affrontare le gravi e persistenti problematiche ambientali derivanti dall'impiego di mezzi di trasporto a combustione;
   ad assumere iniziative per sviluppare un sistema di trasporto pubblico integrato, da un punto di vista sia modale che tariffario, al fine di offrire ai cittadini-utenti alternative, efficaci e efficienti, all'autotrasporto privato, capace di rispondere alle esigenze di mobilità sostenibile delle persone;
   ad assumere iniziative per prevedere lo stanziamento di risorse finalizzate ad adeguare i servizi di trasporto di corto-medio raggio rispetto a quelli di lungo raggio, intervenendo:
    a) sulla programmazione delle linee ferroviarie locali aumentandone le corse;
    b) sulla puntualità garantendola anche attraverso un'attenta analisi preventiva dei dati a disposizione al fine di evitare che la programmazione pur apparendo adeguata in termini teorici non lo risulti successivamente in termini pratici;
    c) sul sistema manutentorio con controlli e verifiche ciclici che permettano a fronte dell'elevata età media del materiale rotabile di offrire comunque un servizio efficiente e sicuro ai cittadini-utenti;
   ad assumere iniziative di competenza finalizzate a incentivare, anche con sistemi premiali nei confronti delle amministrazioni locali e regionali, delle realtà societarie e/o aziendali e degli individui:
    a) la pianificazione e realizzazione di corsie preferenziali per il trasporto pubblico al fine di migliorare le performance del servizio e al tempo stesso ridurre le congestioni a livello urbano e suburbano;
    b) l'installazione di paline elettroniche e sistemi di immediata comunicazione complementari lungo le linee di trasporto pubblico locale al fine di garantire la massima e tempestiva informazione riguardo ai servizi;
    c) la pianificazione e l'allestimento di piattaforme intermodali e di punti di snodo che permettano lo scambio di mezzi privati-pubblici e pubblici-pubblici con massima attenzione alla qualità del servizio e sostenibilità in termini ambientali e sociali;
    d) la scelta nell'impiego di modalità e di mezzi di trasporto urbano e suburbano a basso impatto ambientale, prevedendo in particolare:
     1) per quanto concerne la mobilità dolce nelle aree con caratteristiche orografiche e geomorfologiche disagevoli, incentivi all'acquisto di biciclette a pedalata assistita;
     2) per quanto concerne il ricorso sistematico ai mezzi pubblici, la detraibilità dell'acquisto degli abbonamenti;
     3) per quanto concerne il car pooling, la regolamentazione del ricorso al medesimo così da rafforzare e adeguare al contesto attuale la normativa sulla mobilità sostenibile di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 27 marzo 1998, impegnando e promuovendo (con la combinazione di strumenti sanzionatori nel caso di inadempimento e di incentivazione, come ad esempio benefici fiscali) società ed enti pubblici con più di 250 addetti ad attivare sul proprio sito internet e sulle eventuali piattaforme di social network appositi spazi informativi sul car pooling al fine di permettere agli addetti di organizzarsi per condividere il tragitto casa-lavoro;
    e) la ideazione e l'adozione di un piano globale della mobilità ciclabile urbana e suburbana che non si sviluppi solo con la realizzazione di nuove piste ciclabili o nell'adeguamento di quelle esistenti ma che preveda velostazioni, ciclo parking dislocati nei vari quartieri, spazi adeguati sui mezzi di trasporto pubblico locale per le bici;
   a strutturare in termini normativi e tecnici una rete intermodale del trasporto merci sviluppando al più basso impatto, in termini ambientali e sociali, i collegamenti tra porti, aeroporti, stazioni ferroviarie e città al fine di efficientare le reti infrastrutturali esistenti.
(1-01152) «Carinelli, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Dell'Orco, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, D'Incà».
(12 febbraio 2016)

   La Camera
   premesso che:
    un efficiente trasporto pubblico locale, è un obiettivo fondamentale per garantire il diritto alla mobilità di tutti i cittadini che deve essere perseguito unitamente ad una politica per la mobilità sostenibile, che garantisca sicurezza e efficienza degli spostamenti – in termini di impiego di tempo e costi economici e sociali – e riduzione dell'impatto ambientale;
    l'incremento del numero di persone che ogni giorno si spostano nelle città e tra le città con i treni e il servizio di trasporto collettivo ha considerevoli vantaggi: di vivibilità e sicurezza nelle città, con la riqualificazione di tutta la mobilità, integrando il trasporto pubblico locale con percorsi ciclabili e pedonali; ambientali e per la salute dei cittadini, grazie alla drastica riduzione degli inquinanti; per le famiglie, con la creazione di alternative più economiche e sostenibili al trasporto su gomma, e una netta riduzione della spesa per i trasporti; occupazionali, grazie allo sviluppo della gestione, costruzione e manutenzione del parco rotabile; nel rapporto sulla mobilità urbana del 2013, la Cassa depositi e prestiti segnala che con la riorganizzazione del settore si potrebbe creare un valore aggiunto pari a 17,5 miliardi e 465mila nuovi posti di lavoro;
    lo sviluppo e il miglioramento della qualità del servizio di trasporto pubblico, rende meno conveniente l'utilizzo del mezzo privato, e contribuisce in misura rilevante a ridurre l'inquinamento e la congestione delle città, aumentando l'attrattività e la competitività dei territori, come dimostra l'esperienza delle grandi città in Europa: nell'area urbana di Parigi, quasi il 65 per cento della popolazione sceglie il trasporto pubblico locale, e di questi ben il 66 per cento utilizza mezzi che viaggiano su ferro; contestualmente, il tasso di motorizzazione è inferiore a quello di qualsiasi città italiana, con 455 auto ogni 1.000 abitanti; Berlino – con 322 auto ogni 1.000 abitanti – vanta il tasso di motorizzazione più basso d'Europa, con il 10 per cento circa degli spostamenti quotidiani in bicicletta;
    l'enorme crescita della mobilità urbana, l'incremento degli spostamenti per lavoro e per studio dalle «periferie» ai centri urbani, rendono indispensabile una riorganizzazione generale del trasporto e la trasformazione della mobilità, per renderla efficiente e sostenibile dal punto di vista ambientale;
    il nostro Paese registra un grave ritardo nelle infrastrutture suburbane, metropolitane e tram, sia in termini assoluti che nel confronto con le principali città europee; nonostante situazioni fortemente differenziate sul territorio nazionale, sia per tipologia di treni utilizzati, sia nella gestione delle linee, il servizio è inefficiente nelle città metropolitane e nei principali centri urbani, e del tutto inadeguato rispetto ai principali parametri qualitativi, quali, ad esempio, la puntualità, la frequenza, la comodità e la pulizia dei veicoli, l'organizzazione dell'intermodalità e l'accessibilità delle stazioni; nelle principali città – e, in particolare nella capitale – manca un sistema urbano capillare ed efficiente che integri metro, tram, treni ed autobus;
    nel rapporto Pendolaria della Legambiente, che ogni anno presenta la situazione e gli scenari del trasporto ferroviario pendolare in Italia, si evidenzia una netta divaricazione tra il Nord e il Sud del Paese: nelle regioni del sud, che hanno oltre il doppio degli abitanti, ogni giorno circolano meno treni regionali che nella sola Lombardia; all'eccellente crescita dell'offerta di collegamenti nelle tratte servite dalle «Frecce» e anche da altri treni ad alta velocità, fa da contraltare il forte calo dei servizi Intercity e in genere dei collegamenti «vitali» per i pendolari; dal bilancio consolidato di Trenitalia emerge che per i convogli a lunga percorrenza finanziati con contributo pubblico, essenzialmente Intercity, l'offerta in termini di treni/chilometri in cinque anni – dal 2010 al 2015 – si è ridotta del 19,7 per cento con un calo più che proporzionale dei passeggeri (- 40 per cento) mentre le «frecce» in soli tre anni registrano un ottimo +20,6 per cento;
    secondo le stime di Legambiente, sono circa 2milioni e 842mila i cittadini che usufruiscono del servizio ferroviario regionale; se si considerano i 2,6 milioni di passeggeri che utilizzano nelle grandi aree urbane le metropolitane, presenti in 7 città italiane (Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova, Brescia e Catania) si arriva a un totale di oltre 5,4 milioni di viaggiatori al giorno sul sistema ferroviario regionale e metropolitano, con un incremento di 300.000 persone al giorno rispetto al 2014; a fronte di un sensibile incremento di utenti nelle città – in particolare in quelle che hanno attivato nuove linee metropolitane – si registra un grave calo di domanda di trasporto pubblico da parte degli «scoraggiati», molti dei quali si rassegnano al mezzo privato per i tagli al servizio e per il degrado dell'offerta;
    mentre crescono i pendolari in alcune regioni come Alto Adige (+7,9 per cento), Lombardia (+4,9 per cento) e Puglia (+2,8 per cento) in altre – come la Sardegna, con un calo del 9,4 per cento, in Umbria del 3,3 per cento, in Campania (-130mila al giorno rispetto al 2009) e Piemonte (35.000 al giorno in meno rispetto al 2011) – si registra un forte crollo della domanda, generato dal deterioramento dell'offerta in termini di frequenza delle corse e qualità del servizio;
    i concessionari hanno giustificato i tagli al servizio con la domanda debole e stagnante, soprattutto al Sud; il successo di collegamenti nuovi ed efficienti dimostra il contrario: ad esempio, nel collegamento diretto Palermo-Catania quando i treni sono passati da 2 a 14 al giorno e il tempo di percorrenza si è ridotto a 2 ore e 47 minuti per quelli più veloci (rispetto alle quasi 6 ore dei precedenti convogli) i passeggeri sono passati da meno di 2.000 a circa 4.200 al giorno;
    ai tagli al servizio ferroviario regionale e alla riduzione del numero di treni si accompagna – in quasi tutte le regioni italiane – un aumento delle tariffe; mentre i servizi ferroviari sono stati ridotti tra il 2010 e il 2015 del 18,9 per cento in Basilicata, del 26,4 per cento in Calabria, del 15,1 per cento in Campania, del 13,8 per cento in Liguria, il costo dei biglietti è aumentato in misura sensibile (+47 per cento in Piemonte, + 41 per cento in Liguria, + 25 per cento in Abruzzo e Umbria) senza apprezzabili miglioramenti del servizio (ad esempio, 14 le linee chiuse in tutto il Piemonte);
    nel giugno del 2013 è stata avviata dalla Commissione trasporti della Camera dei deputati un'indagine conoscitiva sul trasporto pubblico locale;
    dalla ricognizione delle diverse realtà regionali e locali, sono emerse molte inefficienze e gravi criticità da superare in tempi brevi, rimuovendo le relative cause;
    l'audizione dell'associazione dei rappresentanti dei pendolari, ha sottolineato l'assoluta inefficienza del servizio offerto agli utenti: in particolare in alcune regioni, come il Lazio, dove il pendolarismo è molto diffuso (48,2 per cento, rispetto a una media nazionale del 47 per cento, con 2,5 milioni di spostamenti giornalieri della popolazione residente e 160.000 persone che entrano ed escono quotidianamente dalla capitale in treno);
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha stimato in 11 miliardi di euro nel 2011 il costo associato alla congestione urbana; nel rapporto sulla mobilità urbana la Cassa depositi e prestiti segnala che il maggiore utilizzo dell'auto per gli spostamenti all'interno delle città italiane di medie grandi dimensioni (con più di 250.000 abitanti), connesso all'inadeguatezza della rete di trasporto pubblico locale e alla bassa qualità del servizio offerto, rappresenta per le famiglie italiane un extra-costo di circa 6 miliardi di euro all'anno; lo stesso studio rileva altresì alcune importanti dinamiche associate alla crisi economica in atto: a fronte di una generale contrazione della domanda di mobilità dovuta alla crisi, la quota relativa al trasporto pubblico locale risulta in crescita; la recessione ha dunque, da un lato ridotto l'esigenza di spostamenti, dall'altro ha portato a preferire all'auto il meno costoso mezzo pubblico;
    il settore del trasporto pubblico locale è di considerevoli dimensioni: con 116.500 addetti e oltre due miliardi di chilometri percorsi, trasporta oltre 5,4 miliardi di passeggeri all'anno (15 milioni di passeggeri al giorno) con un fatturato complessivo, in ragione d'anno, di 10 miliardi di euro; i mezzi di trasporto a disposizione delle aziende sono oltre 50.000 unità, di cui circa il 93 per cento autobus e il restante 8 per cento mezzi operanti su modalità ferroviaria, lacuale, lagunare e impianti a fune;
    una delle cause di inefficienza rilevate, è la vetustà del parco veicoli italiano, con un'età media di 18,6 anni con problemi non solo di degrado ma di affidabilità, e conseguenti ritardi ed elevati costi di manutenzione; grave ed urgente la questione del rinnovo del parco veicoli, anche in relazione all'esigenza pressante di garantire un trasporto pubblico sostenibile dal punto di vista ambientale: il 25,6 per cento dei veicoli circolanti è omologato come Euro 0; il 78,5 per cento è inferiore a Euro 4; altrettanto rilevante è il degrado delle linee; in Regioni come la Sicilia l'89 per cento dei 1.430 chilometri della rete ferroviaria è a binario unico e quasi la metà della stessa rete non è elettrificata;
    una delle cause principali del degrado del servizio per i pendolari – rileva Legambiente – è il drastico taglio dei trasferimenti alle regioni; in particolare con la manovra del 2010 del Governo Berlusconi – che è intervenuta con una riduzione, a regime, del 50,7 per cento delle risorse per il servizio – si è aperta una situazione di precarietà e incertezza nella gestione di contratti di servizio che ancora produce conseguenze rilevanti;
    l'indagine conoscitiva ha stimato che, per garantire un pieno ristoro dei tagli intervenuti negli ultimi anni, il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, previsto dall'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 e interamente ridisciplinato dalla legge di stabilità per il 2013 (articolo 1, comma 301, della legge n. 228 del 2012) dovrebbe essere incrementato dagli attuali 4.929 milioni di euro a 6.330 milioni di euro;
    gli interventi di carattere coercitivo adottati nelle principali città italiane per ridurre l'inquinamento – chiusura del centro storico, blocco del traffico, targhe alterne – sono insufficienti se non accompagnati da efficaci politiche per una mobilità sostenibile;
    tra i principali problemi che ostacolano l'avvio e lo sviluppo di adeguate politiche dei trasporti vi sono quelli relativi alla regolazione del trasporto pubblico locale, sia sotto il profilo organizzativo, sia dal punto di vista finanziario;
    nel corso dell'indagine conoscitiva è emerso che i frequenti interventi normativi – talvolta contraddittori – hanno inciso marginalmente sul sistema organizzativo e di fatto hanno prodotto una situazione di stallo operativo in attesa di regole successive di chiarimento sulle precedenti – alcuni soggetti auditi hanno sottolineato la necessità di una disciplina certa, organica e stabile per il trasporto pubblico locale, con regole standard per gli operatori del settore su tutto il territorio nazionale;
    l'Autorità di regolazione dei trasporti ha un ruolo fondamentale; spetta infatti all'Autorità, a norma dell'articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 201, individuare i criteri per la fissazione delle tariffe, stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto locali con oneri di servizio pubblico, definire gli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto;
    nel libro bianco del 2011 della Commissione europea sullo spazio unico dei trasporti, a cui hanno fatto seguito i regolamenti (UE) n. 1315 e 1316 del 2013, in materia di rete transeuropea dei trasporti, acquistano rilievo le grandi aree urbane come «nodi» (punti di interconnessione) fondamentali della rete transeuropea dei trasporti;
    i servizi di trasporto pubblico locale sono servizi di interesse economico generale, che non possono essere gestiti secondo una logica meramente commerciale; fondamentali, nel nostro ordinamento, la distinzione tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione operativa dei servizi e l'introduzione del contratto di servizio quale strumento di regolazione del rapporto tra Ente locale e gestori del servizio di trasporto locale; i contratti di servizio pubblico, pur riconoscendo diritti di esclusiva e compensazioni di servizio pubblico compatibili con la disciplina dell'Unione europea in materia di concorrenza e con il divieto di aiuti di Stato, devono prevedere obblighi specifici a carico del concessionario, che non possono essere violati o elusi, in particolare nelle periferie urbane e nei centri urbani con maggior disagio sociale e a più elevata perifericità;
    contestualmente – considerata la durata pluriennale dei contratti di servizio – è fondamentale assicurare risorse pubbliche certe e stabili nel tempo anche per consentire alle imprese operanti nel settore di programmare per il tempo necessario l'attività di gestione e gli investimenti;
    per contribuire, con risorse a carico del bilancio dello Stato, all'incremento del parco mezzi per il trasporto pubblico locale e regionale, e in particolare per garantire accessibilità delle persone a mobilità ridotta, la legge di stabilità 2016 ha disposto l'istituzione, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un fondo finalizzato all'acquisto diretto o attraverso società specializzate di mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale; le risorse del Fondo possono essere destinate anche alla riqualificazione elettrica o al noleggio di mezzi per il trasporto pubblico locale e per garantire l'accessibilità alle persone a mobilità ridotta;
    il fondo ha una dotazione di 125 milioni di euro per il 2016 e di 50 milioni di euro all'anno per ciascuno degli anni 2017 e 2018; ad esso sono assegnati 210 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, 130 milioni di euro per l'anno 2021 e 90 milioni di euro per l'anno 2022,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per garantire risorse adeguate certe e stabili nel tempo nel Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale;
   a definire e sottoscrivere un nuovo contratto per il servizio universale – in particolare per gli Intercity – ai fini della riqualificazione e del potenziamento del servizio regionale e migliorando l'offerta e l'integrazione con gli altri modi di trasporto;
   per garantire livelli adeguati e uniformi di servizio su tutto il territorio nazionale, a definire, con opportuna iniziativa, i requisiti essenziali – in termini di obblighi di servizio pubblico – dei contratti di servizio di trasporto pubblico locale tra l'amministrazione concedente e gli operatori del settore e funzioni specifiche di controllo e regolazione;
   ad assumere iniziative di competenza per migliorare il servizio nelle regioni meridionali, puntando a collegamenti integrati con porti e aeroporti e trasporto locale, con l'obiettivo minimo di garantire collegamenti frequenti tra centri abitati di importanza regionale;
   ad adottare tutte le iniziative di competenza necessarie a sviluppare nelle aree urbane e nelle regioni a maggior densità insediativa un servizio efficiente, una mobilità pubblica incentrata su ferrovie suburbane e metropolitane, integrata con il servizio di trasporto pubblico urbano e con una rete di percorsi ciclabili, sviluppando sistemi di trasporto pubblico multimodale, con progressivo riequilibrio modale dalla gomma al ferro e alla mobilità sostenibile;
   ad adottare tutte le iniziative di competenza per il potenziamento delle linee metropolitane e in generale dei mezzi pubblici;
   a garantire un rapido ed integrale utilizzo delle fonti di finanziamento europee (fondi strutturali e fondo di coesione) per lo sviluppo di un trasporto urbano integrato e sostenibile;
   ad incentivare i sistemi di trasporto intelligenti (ITS), così come definiti dalla direttiva 2010/40/UE, recepita in Italia dall'articolo 8 del decreto-legge n. 179 del 2012 e con il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 1o febbraio 2013, al fine di sviluppare e diffondere su tutto il territorio nazionale, nella circolazione, nel trasporto merci, nelle infrastrutture, nei veicoli, nella gestione del traffico e della mobilità e ad uso degli utenti, le più aggiornate tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in particolare a tutela della sicurezza delle persone e del trasporto delle merci;
   a incentivare e sostenere, in tutto il territorio nazionale: la costituzione di piattaforme telematiche integrate almeno su base regionale, in modo da fornire agli utenti dati relativi alla localizzazione dei veicoli, all'ora di arrivo, ai posti disponibili; l'introduzione di sistemi integrati di bigliettazione elettronica in modo da realizzare la massima integrazione dei servizi; l'introduzione della priorità semaforica per il trasporto pubblico, nonché di sistemi di videosorveglianza e di allarme a bordo dei mezzi, alle fermate e nelle stazioni, anche per garantire la massima informazione all'utenza a bordo dei mezzi, nelle fermate, nelle stazioni e sui dispositivi mobili; la realizzazione di sistemi di enforcement per scoraggiare l'utilizzo delle corsie riservate al trasporto pubblico locale da parte di veicoli non autorizzati;
   a valutare l'opportunità di iniziative normative nel settore, anche mediante un testo unico legislativo, per precisare e rendere più efficaci le disposizioni in materia di trasporto pubblico locale, favorendo l'attuazione delle iniziative e delle azioni in esse previsti;
   ad assumere iniziative per garantire un'adeguata dotazione del fondo istituito dalla legge di stabilità 2013, in misura sufficiente a coprire, oltre agli oneri derivanti dai contratti di servizio in essere, le spese per il rinnovo del materiale rotabile ferro/gomma, per la manutenzione straordinaria delle infrastrutture, per l'innovazione tecnologica e per il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro;
   a sostenere – con opportuni finanziamenti – la mobilità ecologica alternativa e un piano di investimenti che preveda la sostituzione di 34.000 autobus in dieci anni, in modo da favorire l'impiego di mezzi non inquinanti o con tecnologia dual fuel compatibili con gli obiettivi previsti dagli accordi internazionali sui cambiamenti climatici, e contenere i costi di manutenzione, facendo sì che i nuovi veicoli garantiscano effettiva accessibilità ai disabili e ai ciclisti con dispositivi a piano ribassato e con spazi appositi;
   a favorire – anche con il sistema del biglietto unico – l'integrazione tra il servizio di trasporto pubblico tramviario, la rete dei percorsi ciclabili e il servizio di bike-sharing allo scopo di rendere attrattiva la combinazione «tram+bici» per tutti gli utenti, in particolare pendolari;
   ad effettuare sistematici e regolari controlli sulla qualità del servizio nelle diverse aree del Paese, verificando, anche con il contributo dei comitati dei pendolari, il rispetto del contratto di servizio in termini di frequenza, di orari, di puntualità e di impegni, garantendo pieno riconoscimento del diritto di accesso al trasporto pubblico in tutta Italia; a verificare, costantemente, l'adeguato utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico, misurato come rapporto tra passeggeri e posti/chilometri («load factor»), per evitare mezzi sovraffollati o, al contrario, inutilizzati con un'offerta inadeguata rispetto alla domanda;
   a promuovere, in particolare sulle risorse pubbliche destinate ad investimenti a fondo perduto, verifiche ex ante ed ex post sull'impiego dei fondi e sull'efficacia della spesa, definendo in modo chiaro il rapporto tra l'ente pubblico titolare del servizio e la società che lo gestisce e rafforzando il ruolo di regolazione e controllo dell'ente pubblico;
   a promuovere specifiche azioni per favorire l'utilizzo combinato del mezzo privato e del mezzo pubblico sostenendo le iniziative che offrono servizi alternativi al mezzo individuale, quali il car sharing, il car pooling, il bike sharing, sia dal lato della domanda, attraverso azioni di stimolo nei confronti di potenziali utenti, sia dal lato dell'offerta, attraverso il miglioramento dell'organizzazione dei servizi e l'apertura alla concorrenza;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare la detrazione relativa alle spese per l'abbonamento del trasporto pubblico locale e ferroviario, incentivando l'utilizzo dei modi di trasporto a più elevata sostenibilità ambientale.
(1-01153) «Tullo, Gandolfi, Mognato, Anzaldi, Brandolin, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Manlio Di Stefano, Ferro, Pierdomenico Martino, Mauri, Meta, Minnucci, Mura, Pagani, Simoni».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il tema della mobilità rappresenta un punto fondamentale per lo sviluppo economico e produttivo di un Paese, per l'organizzazione delle funzioni, l'attrattività e, non ultima, la qualità della vita dei cittadini. Le declinazioni della mobilità dal lato della domanda e dell'offerta sono complicate dall'eterogenea articolazione del territorio nazionale e dalla necessità di contemperare differenti aspettative e bisogni con aspetti legati ad esempio alla sostenibilità come il contenimento dell'inquinamento atmosferico e del congestionamento stradale e la riduzione dell'incidentalità;
    pochi mesi fa è stato presentato il 12o rapporto ISFORT sulla mobilità urbana che evidenzia come nel 2014 il volume degli spostamenti nei giorni feriali è salito del +11,5 per cento rispetto al 2013, e, contestualmente, anche il tasso di mobilità è in sensibile crescita, nonostante l'estenuante gradualità di miglioramento dell'indicatore-chiave di misura dell'efficienza e del mercato delle aziende del trasporto pubblico, ovvero il rapporto ricavi da traffico/costi operativi, indicatore che nonostante il miglior controllo dei costi esogeni, gli incrementi tariffari (in verità in tendenziale stabilizzazione) e la riorganizzazione dei servizi, nel 2014 è cresciuto appena dello 0,1 per cento (dal 30,7 per cento al 30,8 per cento), ampliando peraltro i già elevati differenziali tra i territori (il valore del Nord-est, pari al 37,8 per cento è quasi doppio rispetto al valore del Sud e Isole, pari al 19,2 per cento);
    ma il dato che resta più preoccupante è quello relativo all'anzianità del materiale rotabile: l'azzeramento dei finanziamenti pubblici che perdura ormai da diversi anni ha ridotto in modo drastico gli investimenti per il rinnovo di questo asset fondamentale delle aziende. La conseguenza è che l'età media del parco mezzi è salita nel 2014 a 12,2 anni, allargando il gap rispetto alla media europea (circa 7 anni). È un valore in costante crescita dal 2005 (9,1 anni l'età media di allora), con la sola eccezione del 2013. Le nuove immatricolazioni di autobus sono diminuite del 46 per cento tra il 2010 e il 2014 e il profilo ecologico delle flotte, benché in miglioramento, evidenzia un peso ancora troppo alto dei veicoli con emissioni fino ad Euro 2 (33 per cento) o pari ad Euro 3 (27 per cento);
    se è vero che la materia del trasporto pubblico locale dal 2001 è di competenza regionale, è anche vero che è uno dei principali servizi pubblici tutelato anche a livello costituzionale, e il legislatore nazionale non può esimersi dal considerare le diverse problematiche in un'ottica generale come merita la complessità del problema, anche per esempio, in merito a scelte societarie di rilevante importanza che interessano direttamente i cittadini, come la privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane;
    le privatizzazioni hanno sempre diviso l'opinione pubblica per le numerose incognite e gli interessi che ne possono scaturire, che non sempre rispondono a criteri di maggiore efficienza e competitività, e che rischiano di non apportare reali benefici per gli utenti mettendo a rischio l'universalità di un servizio che, seppur gestito da privati, svolge un ruolo di fondamentale importanza per il pubblico;
    il Gruppo ferrovie dello Stato italiane è una delle aziende italiane più appetibili dal punto di vista economico, con fatturato di 8,4 miliardi di euro, con circa 70.000 dipendenti e un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria, di cui circa 1.000 ad alta velocità. Eppure, a fronte di questi numeri, l'azienda risulta comunque al dodicesimo posto nella classifica delle ferrovie europee per percorrenza media chilometrica per abitante: i settori più problematici, anche perché meno redditizi, sono quelli relativi al trasporto su intercity e regionali, e quindi quelli a servizio dei cittadini e dei tanti pendolari che utilizzano il treno come mezzo di trasporto privilegiato per raggiungere le postazioni di lavoro e di studio;
    nonostante l'azienda abbia usufruito di cospicui contributi pubblici, la stessa non ha mai realmente investito nel migliorare la qualità dei servizi di trasporto ferroviario e le prestazioni gestionali, accumulando negli anni un gap rispetto alle concorrenti, il quale rappresenta oggi un ostacolo allo sviluppo competitivo del settore del trasporto, sia merci che passeggeri;
    se la linea ad alta velocità sul territorio italiano è paragonabile, per qualità a quella presente in altri Paesi europei, i servizi di trasporto merci e passeggeri sono drammaticamente sotto la media: eppure il servizio del trasporto pubblico locale rappresenta un servizio fondamentale sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo sociale perché attraverso di esso deve essere garantita la possibilità di effettuare gli spostamenti necessari per lo svolgimento delle attività principali della vita economica e sociale, assicurando comunque un livello adeguato di prestazioni su tutto il territorio;
    i pendolari che utilizzano quotidianamente il treno come mezzo di trasporto subiscono con troppa frequenza e da troppo tempo disagi a causa della soppressione dei treni, dei ritardi, delle pessime condizioni igieniche, del congelamento degli scambi nei mesi invernali e dei guasti agli impianti di riscaldamento delle carrozze vecchie e usurate;
    in alcune delle tratte più trafficate d'Italia è inaccettabile che i passeggeri debbano viaggiare regolarmente in vagoni sovraffollati e privi di servizi per i diversamente abili, ai quali, di fatto, non è garantito il diritto alla mobilità;
    alcuni vagoni si presentano in condizioni igieniche indecenti a causa dell'utilizzo, durante le soste notturne, come dormitorio da vagabondi e senzatetto;
    sono molti i problemi legati alla tratta Milano-Genova con centinaia di pendolari che fanno riferimento alle stazioni di Pavia, Voghera e Tortona che hanno visto la soppressione di molti treni intercity con il conseguente sovraffollamento del treni residui e, che assistono a troppi atti vandalici commessi nelle stazioni ferroviarie del territorio che ormai versano in condizioni di degrado e di abbandono (il bar interno alla stazione di Vigevano ha subito 16 rapine);
    i pendolari che utilizzano quotidianamente il treno come mezzo di trasporto sulla tratta Roma-Viterbo subiscono con troppa frequenza e da troppo tempo disagi e sono costretti a compiere un pericoloso attraversamento dei binari per uscire dalla stazione e ai disagi ferroviari si accompagnano inevitabili disagi stradali sulle vie consolari completamente bloccate, visto che molti lavoratori si vedono costretti a preferire la vettura privata ad un servizio pubblico assente o mal funzionante;
    gli utenti del trasporto ferroviario pendolare che si servono regolarmente della tratta Milano-Chiasso lamentano che, a fronte dei rincari dei titoli di viaggio, non c’è stato un incremento e un miglioramento del servizio e della qualità, anche sotto il profilo della manutenzione e della sicurezza delle stazioni ferroviarie. Alcune di esse versano in condizioni di degrado e abbandono, con misure di sicurezza insufficienti e inappropriate, che le rendono facili prede di delinquenti: i tabelloni informativi funzionano raramente, le obliteratrici sono spesso guaste, la manutenzione di scale e panche è nulla e le condizioni igieniche delle stazioni sono pessime, perché oramai utilizzate come rifugio notturno dei senzatetto;
    se non vengono messi in atto incentivi all'utilizzo del treno da parte dei pendolari, attraverso un miglioramento del servizio, un aumento delle corse, una manutenzione adeguata delle stazioni ferroviarie, una garanzia di adeguati livelli di sicurezza, un'area di parcheggio gratuito nei pressi delle stazioni, gli utenti saranno presumibilmente sempre più orientati ad utilizzare i mezzi privati per gli spostamenti, con gravi ripercussioni sul traffico e sull'inquinamento,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, nell'ambito del processo di privatizzazione che interessa la rete ferroviaria italiana, affinché una quota parte dei ricavi dell'operazione possa essere destinata al miglioramento ed all'incentivazione del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità e a prezzi sostenibili per i cittadini;
   fatte salve le competenze delle regioni, nelle more dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, a promuovere un'intesa, in sede di Conferenza unificata, avente ad oggetto il settore strategico del trasporto pubblico locale, al fine di garantirne lo sviluppo, individuando le modalità generali finalizzate:
    a) al contrasto dell'evasione tariffaria;
    b) al rinnovo o ammodernamento del parco veicoli e materiale rotabile;
    c) all'innalzamento dei livelli di sicurezza dei passeggeri e degli addetti ai lavori, intesi anche come efficienza e sicurezza di bordo e di terra;
    d) al miglioramento delle condizioni di viaggio degli utenti, attraverso l'incremento dei livelli minimi di comfort delle strutture a terra e a bordo;
    e) all'individuazione di piani di efficientamento e razionalizzazione delle reti in un'ottica di contenimento della spesa attraverso l'individuazione dei costi standard a livello nazionale;
    f) al miglioramento dei sistemi di informazione all'utenza;
    g) al potenziamento del servizio pubblico di trasporto finalizzato al decongestionamento del traffico anche in relazione alla riduzione dell'impatto ambientale;
    h) al potenziamento delle aree di scambio finalizzate all'intermodalità.
(1-01158) «Caparini, Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il trasporto pubblico locale costituisce per il Paese un servizio fondamentale sotto il profilo sociale ed economico. Attraverso esso viene assicurata ai cittadini la mobilità indispensabile per affrontare le attività che una società avanzata richiede e, sostituendo il ricorso al mezzo privato, può offrire un contributo essenziale al raggiungimento di finalità che attengono alla salute, alla qualità della vita, all'economia (in particolare, nell'ambito urbano);
    nel nostro Paese sono, ad esempio, 2 milioni e 903 mila le persone che ogni mattina utilizzano il treno per recarsi nei luoghi di lavoro o di studio;
    i dati e gli studi effettuati a livello internazionale hanno ormai ampiamente chiarito come un miglioramento ed una crescita del trasporto pubblico, parallelamente ad una diminuzione dell'uso del trasporto privato, costituiscano una delle soluzioni più rapide ed efficaci per fornire una risposta concreta ai problemi di inquinamento e di congestione delle città e per dare impulso alla competitività economica dei territori;
    soprattutto, la velocità, la sicurezza e il comfort del trasporto «da» e «per» l'interno delle aree urbane rappresentano uno dei fattori più forti di attrazione e quindi uno degli elementi-chiave della competitività di un Paese;
    in Italia il settore presenta – insieme a buone pratiche, fortunatamente sempre più diffuse – anche sacche di elevata criticità;
    il finanziamento statale del settore risulta, in effetti, particolarmente significativo quando assicura la continuità di un servizio essenziale e coopera con gli sforzi virtuosi degli amministratori locali in direzione della efficienza;
    del resto, è innegabile il carattere di servizio essenziale (che non sempre è possibile assicurare in termini di puro mercato), così come è innegabile che la durata pluriennale delle aggiudicazioni e dei contratti di servizio richiedano una certezza di risorse che consenta alle imprese operanti nel settore di programmare per un arco di tempo significativo la propria attività e i propri investimenti;
    quello del risanamento è quindi un percorso difficile, che richiede un apparato di dati, informazioni (anche di dettaglio) e di metriche sofisticate di cui il Governo e l'amministrazione non sempre dispongono;
    servono inoltre meccanismi di premialità e penalizzazione più efficaci degli attuali;
    senza queste premesse le stesse norme sull'apertura alla concorrenza — che pure sono condivisibili — rischiano di non incidere in profondità;
    infine, insieme al finanziamento ordinario andrebbe potenziato e modernizzato il finanziamento per la spesa in conto capitale del settore che dovrebbe essere indirizzato a due obiettivi prioritari: il primo è rappresentato dall'acquisto di mezzi, il secondo dovrebbe essere costituito da interventi mirati al potenziamento ed allo sviluppo delle infrastrutture, in particolare quelle su ferro;
    su queste basi potrà progressivamente realizzarsi e consolidarsi un processo virtuoso di industrializzazione del settore e di miglioramento del servizio;
    premessa di questo processo virtuoso è un'efficace lotta all'evasione tariffaria che — saldandosi alla demagogica rivendicazione della gratuità del servizio — rappresenta uno dei principali ostacoli culturali e «di costume» ad una modernizzazione del settore; al contrario, la prospettiva nella quale andare è quella dell'adeguamento tariffario per ridurre progressivamente la forbice fra costi e ricavi e per promuovere nei cittadini la consapevolezza del valore economico del servizio e dei beni necessari alla sua erogazione, dei costi che esso comporta per la collettività e della necessità di un diffuso controllo sociale sulla qualità della spesa;
    peraltro è necessario sottolineare che un Trasporto Pubblico Locale moderno e informato a logiche di mercato potrebbe rappresentare uno strumento per la crescita: infatti, l'industrializzazione del settore consentirebbe di attivare ogni anno risorse per circa 11 miliardi di euro con un impatto, diretto e indotto, di circa 17,5 miliardi di euro in termini di valore aggiunto, un incremento occupazionale complessivo di oltre 450 mila unità (pari a 1 punto percentuale in più del Prodotto Interno Lordo all'anno e di 2 punti percentuali di incremento occupazionale);
    per quanto riguarda la standardizzazione dei costi e l'ottimizzazione della pianificazione dei servizi, si ricorda che già sono intervenute alcune significative innovazioni normative, a partire dalla Legge di stabilità per il 2013, che ha individuato alcuni essenziali obiettivi: l'incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; la migliore corrispondenza tra l'offerta e la domanda; la definizione di livelli occupazionali appropriati; la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica;
    l'impianto normativo però, è ancora incompiuto e necessiterebbe di due componenti essenziali: costi standard e riordino normativo;
    per quanto attiene ai costi standard, da anni si parla della necessità di superare il criterio della spesa storica per pervenire a quello dei fabbisogni e dei costi standard. Infatti, una ripartizione dei finanziamenti sulla base dei fabbisogni e dei costi standard permetterebbe di premiare gli enti che riescono ad erogare il servizio a costi minori;
    per quanto attiene al riordino: si è assistito negli anni ad un sovrapporsi fra norme di settore e norme trasversali sui servizi pubblici locali (da un lato) e sulle società a partecipazione pubblica (dall'altro). Questa oggettiva complessità è stata aggravata dagli effetti della sentenza n. 199 del 20 luglio 2012, con la quale la Corte costituzionale dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, che recava disposizioni per l'adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'Unione europea (che, a sua volta, era stata introdotta al fine di colmare il vuoto normativo determinatosi a seguito del referendum popolare con il quale era stata sancita l'abrogazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008);
    un riordino di questa normativa (che andrebbe oggi armonizzato anche con i decreti attuativi della legge n. 124 del 2015 («riforma Madia») dovrebbe riunificare all'interno di un quadro unitario di finalità tutte le problematiche che affliggono il Trasporto Pubblico Locale: un sistema tariffario ancora troppo rigido, il processo di liberalizzazione ed apertura del mercato, gli investimenti infrastrutturali e il materiale rotabile, in quanto anche per quello che riguarda gli investimenti per il materiale rotabile (bus/treni) il sistema di finanziamento attualmente in essere non garantisce un adeguato e regolare rinnovo delle flotte (età media alta/materiale disomogeneo), la mobilità urbana, l'infomobilità e le nuove tecnologie, dal momento che le infrastrutture del Trasporto Pubblico Locale sono una dorsale naturale che potrebbe fungere (anche in Italia) da volano per lo sviluppo nel settore dei servizi di infomobilità, servizi al cittadino e al turista, in connessione con l’e-payment;
    al riordino normativo dovrebbe poi affiancarsi una strategia-Paese: il trasporto pubblico locale è, infatti, un elemento decisivo per la modernizzazione e la qualità della vita nelle aree urbane e quindi per la competitività del sistema-Paese; in questo senso costituisce un grave ritardo il fatto che il Paese non disponga ancora di una strategia e di alcune leve di governo efficaci su questa materia e che ad esse non siano vincolati anche i governi locali i quali invece operano (o non operano) in una pressoché totale autonomia, considerando il Governo quale mero erogatore di risorse finanziarie. Il riferimento è, in primo luogo, alle linee guida per la mobilità urbana e agli strumenti programmatici di valenza nazionale sulla mobilità;
    per quanto riguarda le risorse da far affluire sul settore occorrerebbe uscire al più presto dalla logica e dal metodo della frammentazione (sussidi diretti o indiretti al servizio, investimenti infrastrutturali, finanziamenti per l'acquisto del materiale rotabile) che produce anche difficoltà a ricostruire un'informazione chiara e pone il Parlamento di volta in volta dinanzi a provvedimenti sulla cui efficacia concreta bisognerebbe riflettere (da ultimo anche nella Legge di stabilità per il 2016 e nel «decreto milleproroghe»);
    sarebbe opportuno, in realtà, varare un progetto-Paese mirato al trasporto pubblico locale quale elemento strategico per la competitività delle aree urbane; in questo quadro occorre prevedere anche gli strumenti necessari ad utilizzare efficacemente i fondi strutturali dell'Unione europea. Com’è noto, il nuovo indirizzo comunitario sulle politiche di trasporto punta fortemente al rilancio delle città ed alla necessità di investire in modo prioritario sui contesti urbani,

impegna il Governo:

   a superare l'attuale frammentarietà e stratificazione normativa attraverso iniziative volte all'adozione di un Testo unico legislativo sul trasporto pubblico locale che riconosca l'importanza strategica del settore ai fini della crescita e della competitività del Paese e promuova — in questo contesto — la riunificazione e l'aggiornamento degli strumenti di programmazione e di indirizzo nazionali in materia di mobilità urbana e di infomobilità;
   a promuovere strumenti e modalità che facilitino lo sviluppo della competitività tra le imprese, e/o la loro integrazione, quali ad esempio il superamento del solo criterio dell’in house providing, e promuovano ed incentivino un contestuale maggior ricorso a procedure di gara ad evidenza pubblica;
   a favorire e incentivare gli enti competenti a dotarsi di strumenti e competenze di pianificazione che permettano di orientare l'offerta di trasporto verso la domanda ed i bisogni dei cittadini là dove questi si generano;
   a portare a compimento il processo di condizionamento dell'erogazione di contributi statali all'effettivo efficientamento delle gestioni misurato secondo parametri oggettivi;
   ad abbandonare — nelle scelte di finanziamento pubblico, compreso il rifinanziamento di fondi già esistenti — una logica assistenziale e interamente basata sulla enfatizzazione dei «diritti», prevedendo interventi e controlli che assicurino, specie nelle realtà più arretrate, il buon fine delle misure e delle risorse impegnate;
   ad assumere iniziative per definire misure più stringenti per la lotta all'evasione tariffaria, anche attraverso una maggiore efficacia dei controlli, e a promuovere l'adeguamento delle tariffe – accompagnato da politiche di sconti e di abbonamenti – al fine di immettere la parte più consistente del settore nelle dinamiche di mercato;
   a promuovere l'introduzione di nuove tecnologie, in particolare nei settori del pagamento e dei nuovi servizi, anche al fine di incrementare e proteggere l'area dei ricavi degli enti territoriali e delle imprese di trasporto;
   a definire, per quanto di competenza, un insieme prioritario di interventi infrastrutturali per potenziare e rendere più efficiente il servizio del trasporto pubblico locale nelle aree decisive per la competitività del «sistema Paese», prevedendo adeguate forme di finanziamento anche attraverso l'eventuale possibilità di impiego dei fondi dell'Unione europea;
   a definire e ad assicurare una pluriennale politica industriale e stanziamenti – non occasionali, ma secondo una prospettiva di medio termine – nonché nuove modalità più controllabili che realizzino economie di scala, per l'acquisto di nuovi veicoli e/o per la loro revisione generale, che possano modernizzare il parco con rilevanti effetti positivi in termini ambientali, mediante riduzione delle emissioni inquinanti, e in termini economici, tramite il forte contenimento dei costi di manutenzione, e che producano effetti positivi sulle filiere produttive nazionali;
   a promuovere ed incentivare l'utilizzo di metodologie, mezzi e tecnologie innovative, ecocompatibili e/o a minore impatto ambientale.
(1-01159) «Garofalo, Causin, Bosco».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che
    il settore dei trasporti è centrale nella crescita economica e sociale di un Paese. La relazione tra trasporti e sviluppo è innegabilmente bidirezionale: da un lato, un'adeguata offerta di servizi di trasporto è di fondamentale rilevanza per lo sviluppo dei mercati e del tessuto produttivo ed industriale; dall'altro lato, la performance dell'economia influisce sulla domanda di trasporto e di mobilità di imprese e cittadini, sia in termini di quantità, sia per quanto riguarda le scelte modali;
    un sistema di trasporto efficiente consente di creare nuovi mercati e di potenziare quelli esistenti; costituisce, pertanto, una leva essenziale per favorire e sostenere una crescita economica forte, creatrice d'occupazione e di ricchezza, un sistema poco efficiente, o inefficiente, al contrario, riduce le possibilità di raggiungere nuovi mercati, allontana l'orizzonte degli scambi, comprime la capacità produttiva, limita le potenzialità di crescita economica e sociale;
    il «Secondo rapporto annuale al Parlamento dell'Autorità di regolazione dei trasporti (ART)», presentato nel luglio 2015, sottolinea come il sistema dei trasporti in Italia stenti ad uscire dal periodo di sofferenza indotto dalla crisi, riconducendo tale difficoltà ad alcune criticità di cui soffre il settore nazionale, tra le quali la limitata interconnessione tra le infrastrutture di trasporto, la loro scarsa capacità di fare rete in modo integrato e sistemico e la presenza di barriere all'entrata per l'offerta di servizi di trasporto;
    il settore dei trasporti italiano (aereo, marittimo, terrestre e tramite condotte e vie d'acqua) ha prodotto nel 2013 un valore aggiunto di 34.654 milioni di euro, in contrazione rispetto al 2012 dell'1,7 per cento, con un peso del 2 per cento del prodotto interno lordo. A determinare questa diminuzione è principalmente il settore delle merci, che mostra un peggioramento rispetto al 2012 e raggiunge nel 2013 minimi storici dal 2005. Segnali positivi si ricevono invece dal comparto passeggeri, che nel 2013 presenta, dopo la forte contrazione del 2012, una significativa ripresa in controtendenza rispetto all'andamento del prodotto interno lordo e dell'analogo indicatore relativo al trasporto merci;
    i dati italiani sono simili a quelli europei con l'eccezione che nel mercato italiano il trasporto passeggeri mostra un peso superiore rispetto a quello delle merci;
    a questo riguardo, nel citato rapporto dell'ART si evidenza che in relazione alle modalità di trasporto, in Italia ci si sposta prevalentemente con veicoli privati su strada (78,9 per cento del traffico rilevato), mentre le percentuali delle altre modalità di trasporto rimangono pressoché costanti, a parte l'incremento del 6,4 per cento dei trasporti collettivi urbani, riconducibile in larga parte alla situazione di crisi economica, anche se la domanda di tale modalità rimane sempre a livelli molto bassi (il 2,2 per cento dell'intero traffico interno di passeggeri in Italia);
    relativamente ai trasporti collettivi extraurbani, la strada (90,9 miliardi di passeggeri-chilometro per il 2013, pari al 10,8 per cento) prevale ancora sulle ferrovie (5,6 per cento), il cui ruolo assume comunque ancora oggi una notevole importanza nell'ambito di tale tipologia di trasporto;
    il rapporto della popolazione italiana con il trasporto ferroviario non può essere definito idilliaco. In relazione alla popolazione, infatti, l'Italia si colloca in ultima posizione su scala europea: mediamente un italiano percorre in treno in media in un anno il 20 per cento in meno di chilometri di un cittadino tedesco, poco più del 50 per cento di uno francese ed il 33 per cento dei chilometri percorsi da uno elvetico. Per quanto riguarda le merci, il sistema di trasporto nazionale è decisamente sbilanciato sul trasporto su gomma, mentre la quota di traffico effettuato tramite ferrovia si attesta intorno al 6 per cento;
    la rete ferroviaria italiana presenta un'estensione di 17.000 chilometri, di cui 67 chilometri di rete estera. Le linee fondamentali costituiscono il 38 per cento della rete (6449 chilometri), quelle complementari il 56 per cento (9331 chilometri) e quelle di nodo il 6 per cento. Inoltre le linee a doppio binario rappresentano il 45 per cento della rete totale, mentre il restante 55 per cento è costituito dalle linee a semplice binario. Il 71 per cento delle linee risulta essere elettrificato, di cui il 62 per cento è rappresentato da linee a doppio binario e il 38 per cento da linee a semplice binario. Pertanto, le linee a trazione diesel e, di conseguenza, non elettrificate coprono il restante 29 per cento della rete. Per quanto riguarda, invece, la lunghezza dei binari, pari a 24,299 chilometri, è costituita da 22,949 chilometri di linea convenzionale, mentre la restante parte, 1.350 chilometri dalla linea Alta Velocità (AV);
    le reti regionali non si distribuiscono uniformemente lungo il territorio nazionale, essendo particolarmente estese nell'Italia Meridionale, mentre è l'Italia Centrale a detenere la minor estensione regionali;
    rispetto al complesso della rete nazionale e locale, tuttavia, il Mezzogiorno risulta penalizzato da un'infrastruttura meno efficiente, dal momento che il 64 per cento della sua rete è a binario singolo e non elettrificata;
    l'Italia, insieme alla Francia, è stata un precursore del settore AV in Europa: nel 1977 fu il primo Paese europeo ad inaugurare una linea ad alta velocità (la Direttissima Roma-Firenze) e, di fatto, fino al 1990, i due Paesi sono rimasti gli unici ad essersi dotati di infrastrutture AV. Una spinta innovativa che, purtroppo, ha avuto una battuta d'arresto: con una rete di soli 923 chilometri il nostro Paese possiede la quarta infrastruttura alta velocità europea. Lo scarso livello di investimenti effettuato in Italia nel decennio tra il 1990 e il 2000 ha fatto perdere al nostro paese la posizione di testa che possedeva nel decennio precedente; di fatto in Italia si è ricominciato a sviluppare la rete alta velocità solo a partire dal 2005, con ritmi crescenti fino al 2009, senza però riuscire a colmare il ritardo infrastrutturale accumulato negli ultimi 20 anni;
    gli indicatori non restituiscono un quadro positivo neppure per quanto riguarda il trasporto di merci: il numero di tonnellate trasportate su rotaia per le relative percorrenze ha subito, infatti, dal 2007 al 2011 un crollo del 21,7 per cento, passando da 25,285 (dato record, nella storia delle ferrovie italiane) a 19,787 miliardi di tonnellate chilometro. Il comparto sconta sicuramente il difficile andamento dell'economia nazionale, dal momento che serve un bacino essenzialmente locale, ma le sue difficoltà sono legate anche al giudizio negativo degli operatori del settore logistico internazionale. Come evidenziato da un'indagine della Banca d'Italia del 2011, infatti, il sistema ferroviario italiano è considerato inadeguato sia per dotazione infrastrutturale, sia per offerta di servizi in termini di tempi e costi, rappresentando uno svantaggio competitivo fondamentale rispetto ad altre modalità o reti di trasporto;
    a partire dagli anni ’90, anche in adempimento alla normativa europea che richiedeva la separazione tra il gestore dell'infrastruttura e il principale operatore ferroviario, il settore in Italia è stato avviato verso una maggiore liberalizzazione al fine di favorire una crescente concorrenza e più alto grado di qualità dei servizi offerti all'utente, realizzata anche attraverso la trasformazione in società per azioni dell'azienda monopolistica;
    sotto la spinta delle indicazioni comunitarie, di vincoli di bilancio pubblico sempre più stringenti e delle innovazioni tecnologiche, anche in Italia, come nel resto d'Europa, sono state messe in discussione le tradizionali politiche di gestione dei cosiddetti servizi pubblici, incluso il settore del trasporto;
    nel settore del trasporto ferroviario, in particolare, al fine di disegnare nuovi mercati concorrenziali – dove, anche a vantaggio dell'utenza, una molteplicità di soggetti si confronta nell'offerta di quei servizi tradizionalmente gestiti da imprese pubbliche in regime di monopolio legale – si è venuto delineando uno scenario normativo nazionale in materia che, tuttavia, non sempre si è dimostrato efficace ed organico, poiché – in assenza di un quadro di riferimento programmatico e di lungo termine – è risultato caratterizzato principalmente da provvedimenti di recepimento di direttive europee e di interventi di natura urgente e straordinaria;
    un quadro regolamentare poco chiaro del quale fa le «spese» in maniera più pesante, il trasporto pubblico locale ferroviario, il quale in Italia è caratterizzato da situazioni evidenti di sottocompensazione e di incertezza delle risorse ad esso destinate;
    il trasporto pubblico locale ferroviario, proprio per la sua connotazione storica e per la sua capillare diffusione sul territorio è una delle componenti più importanti del sistema ferroviario nazionale e coinvolge ogni giorno circa 10 milioni di passeggeri;
    l'Italia è fra i Paesi europei in cui il trasporto pubblico locale ferroviario è meno remunerativo in quanto i ricavi da traffico e i corrispettivi per passeggero-chilometro sono particolarmente bassi. I ricavi da traffico sono infatti rispettivamente inferiori del 50 per cento rispetto alla Francia, e alla Germania, mentre i ricavi da contribuzione pubblica sono inferiori in un range tra il 20 per cento e il 30 per cento. Tale situazione, protratta nel tempo, ha influenzato la quantità e la qualità del servizio offerto e le performance economiche e reddituali delle imprese ferroviarie;
    dal 2000 le regioni hanno la piena responsabilità per quanto riguarda le politiche in materia di servizio ferroviario locale, subentrando allo Stato nel ruolo di interlocutore con i diversi concessionari che operano il servizio regionale, e dal 2001 hanno avuto trasferite le risorse, già destinate al finanziamento del servizio ferroviario locale;
    l'obiettivo di tale decisione era ovviamente quello di attribuire al soggetto istituzionale più vicino al cittadino il recepimento delle esigenze degli utenti e l'individuazione delle modalità più idonee per la loro soddisfazione, anche attraverso lo stimolo di una maggiore concorrenza fra i diversi operatori che – attraverso lo strumento del contratto di servizio – gestiscono il servizio ferroviario locale;
    il quadro normativo vigente non ha permesso che tale obiettivo fosse pienamente raggiunto, motivo per cui ad oggi nella disciplina per l'assegnamento del servizio ferroviario regionale, rimane sostanzialmente di fatto attenuato l'obbligo di affidamento con procedure concorsuali (con prevalenza di affidamenti in house piuttosto che di gare pubbliche, come segnalato da uno studio di Cassa depositi e prestiti);
    una vicenda normativa autonoma, anch'essa particolarmente complessa, è rappresentata dai profili concernenti il finanziamento del trasporto pubblico locale, dunque anche quello ferroviario, regolamentato attraverso gli anni con disposizioni non sempre chiare – se non addirittura contraddittorie – nei loro obiettivi;
    dalla definizione di un quadro stabile e certo delle risorse disponibili per un periodo adeguato alla programmazione dei servizi e degli investimenti, dipenderà il successo del processo di liberalizzazione del settore;
    al tema del finanziamento del settore del trasporto ferroviario locale sono strettamente connessi quello degli investimenti in infrastrutture, quello dei ricavi da traffico e, non ultimo, quello della sicurezza;
    è indubbio, infatti, che l'elevata anzianità media, che per le locomotive è pari a 26 anni, con punte massime di anzianità che superano i 60, e per gli elettrotreni è pari a 23 anni con punte sino a 39 anni, abbia una ripercussione sui costi di manutenzione del materiale e contribuisca a disincentivare l'utilizzo del treno da parte del viaggiatore anche rispetto ad offerte differenti che sono presenti sul mercato;
    il tema del rinnovo del parco veicoli si pone anche dal punto di vista della sua sostenibilità ecologica, ed in questo quadro sarebbe dunque auspicabile, l'introduzione di misure di medio-lungo termine finalizzate ad un ribaltamento della convenienza attuale dell'utilizzo del trasporto su gomma a favore di quello su ferro;
    alla riduzione dei trasferimenti statali al settore ha fatto seguito una generale tendenza sia delle regioni sia degli enti locali a rivedere al rialzo i titoli di viaggio, aumento in seguito al quale tuttavia non si è registrato un innalzamento della qualità del servizio di trasporto ferroviario urbano e regionale;
    i rapporti annuali delle associazioni dei pendolari rilevano un continuo declino della qualità percepita (comfort, pulizia dei veicoli e sicurezza delle stazioni) e di quella erogata (puntualità e frequenza del servizio);
    il rapporto Pendolaria, redatto annualmente da Legambiente, restituisce una fotografia impietosa quanto veritiera delle condizioni barbare e non dignitose in cui giornalmente sono costretti a viaggiare i 3 milioni di cittadini che per ragioni di studio o di lavoro devono spostarsi con il treno;
    nel rapporto citato, relativo all'anno 2015, viene stilata – altresì – una graduatoria delle linee ferroviarie peggiori o infernali: quest'anno l'ambito riconoscimento è stato assegnato alla linea Roma-Lido, mentre nel 2014 – e per il terzo anno consecutivo – il «premio Caronte» (drammatico e sarcastico richiamo al traghettatore di anime in pena) era stato vinto dalla linea Roma-Nettuno;
    non ci sono, tuttavia, pendolari più fortunati di altri, anzi è vero il contrario: ci sono pendolari più sfortunati di altri, in tutte le regioni, da nord a sud di un Paese che da questo punto di vista non sembra fare discriminazioni fra i suoi cittadini. Oltre a quelli che viaggiano sulla già citata linea Roma-Lido, ci sono i pendolari delle linee: l'Alifana e Circumvesuviana in Campania, la Chiasso-Rho, la Verona-Rovigo, la Reggio Calabria-Taranto, la Messina-Catania-Siracusa, Taranto-Potenza-Salerno, la Novara-Varallo, la Orte-Foligno-Fabriano e la Genova-Acqui Terme;
    il nuovo indirizzo comunitario sulle politiche di trasporto mette nuovamente in luce le opportunità legate al rilancio delle città e alla necessità di investire in modo prioritario sui contesti urbani piuttosto che sui corridoi;
    nella nuova visione europea dei trasporti, infatti, sarà centrale intercettare le priorità di azioni delle istituzioni dell'Unione europea, che, stando agli atti normativi e di programmazione da esse adottati, riguardano proprio le città, aree strategiche per il rilancio dell'economia europea, ma anche ambiti all'interno delle quali si manifestano i più rilevanti fenomeni di congestione, inquinamento ed incidentalità stradale;
    come è evidente, dunque, le azioni specificamente rivolte al rilancio del trasporto pubblico locale, quello ferroviario in particolare, sono strettamente connesse all'ambito più ampio di una politica per la mobilità sostenibile, finalizzata al perseguimento di tre obiettivi essenziali: la sicurezza, l'efficienza degli spostamenti (in termini non soltanto di costi monetari, ma anche di costi-opportunità, a partire dall'impiego di tempo) e la riduzione dell'impatto ambientale;
    una politica per la mobilità, con particolare riferimento alla mobilità urbana, può trarre consistenti benefici dalle innovazioni nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. La normativa dell'Unione europea ha già da qualche tempo rivolto una specifica attenzione ai sistemi di trasporto intelligenti, vale a dire alle modalità di applicazione delle innovazioni tecnologiche al piano della mobilità;
    una politica di rilancio del trasporto pubblico locale dovrebbe in primo luogo contenere al proprio interno azioni mirate al coordinamento tra le diverse modalità con cui il trasporto pubblico è effettuato; ciò vale, in particolare, per i servizi su ferro e su gomma, per i quali si rende spesso evidente l'esigenza di un'integrazione della programmazione dei servizi che coinvolga, oltre ai gestori, anche regioni ed enti locali, in ragione delle rispettive competenze sulle due modalità di trasporto. In secondo luogo, la politica per il trasporto locale dovrebbe associarsi a specifiche azioni per favorire l'utilizzo «misto» del mezzo privato e del mezzo pubblico;
    in quest'ottica dovrebbero essere considerate anche le iniziative per incentivare servizi alternativi al mezzo individuale, quali il car sharing, car pooling, bike sharing: lo sviluppo di tali servizi dovrebbe essere agevolato sia dal lato della domanda, attraverso azioni di stimolo nei confronti di potenziali utenti, sia dal lato dell'offerta, attraverso il miglioramento dell'organizzazione dei servizi e l'apertura alla concorrenza (in luogo dell'esclusiva a vantaggio dell'azienda titolare del servizio di trasporto pubblico);
    sull'assetto normativo del settore del trasporto pubblico locale, infine, si auspica un impatto positivo dell'avvio dell'attività dell'Autorità di regolazione dei trasporti. Tra i compiti dell'Autorità, come definiti dall'articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 (come modificato dal decreto-legge n. 1 del 2012, rientrano infatti quelli di: definire i criteri per la fissazione delle tariffe, stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto locali connotati da oneri di servizio pubblico, definire gli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di predisporre, per quanto di competenza, tempestive iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate ad assicurare un finanziamento pubblico adeguato e stabile al settore, esplorando anche la possibilità di attingere ai fondi strutturali europei, al fine di realizzare una visione integrata tra trasporto pubblico e territorio urbano;
   a valutare l'opportunità di predisporre iniziative, anche di carattere normativo, relative alle modalità di affidamento del servizio, perseguendo l'obiettivo primario di determinare un aumento dell'efficienza gestionale delle aziende affidatarie e del livello di qualità dei servizi da esse resi, stimolando, altresì, processi di aggregazione tra tali aziende che ne facilitino la crescita dimensionale;
   a valutare l'opportunità di realizzare iniziative specifiche per favorire, anche con provvedimenti di carattere economico-finanziario, il trasporto pubblico locale ferroviario nell'ambito più ampio di una politica per la mobilità sostenibile finalizzata al perseguimento di tre obiettivi essenziali: la sicurezza, l'efficienza degli spostamenti (in termini non soltanto di costi monetari, ma anche di costi-opportunità, a partire dall'impiego di tempo) e la riduzione dell'impatto ambientale;
   a favorire, per quanto di sua competenza, il rilancio di una politica per il trasporto pubblico locale che preveda anche azioni mirate a promuovere: il coordinamento delle diverse modalità con cui il trasporto pubblico è effettuato, l'utilizzo «misto» del mezzo privato e del mezzo pubblico, incentivandone sia la domanda che l'offerta, e, con particolare riguardo alla sicurezza, infine, l'impiego di sistemi di trasporto intelligenti, vale a dire le modalità di applicazione delle innovazioni tecnologiche al piano della mobilità, svolgendo, per quanto di competenza, un'opportuna attività di coordinamento dei diversi piani regionali;
   a predisporre, nell'ambito delle proprie competenze, tempestive ed idonee iniziative per superare in maniera definitiva le criticità accennate in premessa con riferimento alla situazione del trasporto pubblico locale ferroviario delle dieci linee peggiori del Paese.
(1-01161) «Fauttilli, Baradello, Caruso, Fitzgerald Nissoli, Gigli, Sberna, Dellai».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il Governo si è impegnato, in varie, sedi, a presentare al Parlamento una relazione sull'impatto economico, industriale, occupazionale e sociale, prima di procedere alla privatizzazione delle ferrovie dello Stato italiane;
    «occorrono con urgenza risorse per investimenti da utilizzare nel trasporto pubblico locale», come affermato dal Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padovan, in Commissione Trasporti il 12 gennaio 2016;
    «ci sono molti settori che hanno problemi di performance, come trasporto pubblico regionale e merci»; proprio per il trasporto regionale che, coinvolge ogni giorno milioni di pendolari si chiede «un forte investimento sul parco rotabile», come sostenuto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio, nell'audizione alla Commissione lavori pubblici del Senato il 13 gennaio 2016;
    la situazione in cui vivono i pendolari nel nostro Paese è drammatica: i treni sono vetusti, insufficienti e le tratte ferroviarie sono sguarnite da continui tagli sui servizi;
    i mezzi adibiti al trasporto pubblico sono inadeguati e spesso non conformi neppure alle norme di inquinamento ambientale: il quadro è ulteriormente appesantito dal continuo aumento delle tariffe che gli ergi locali applicano per far fronte alla cronica mancanza di risorse e tentare di arginare una dissestata finanza locale;
    i vantaggi ambientali, climatici e di vivibilità delle città dovrebbero spingere il Governo a investire sul trasporto su rotaia, anche per andare incontro alle esigenze del cittadini e, in particolar modo, del pendolari;
    il 28 novembre 2015 si è concluso l'accordo per il rinnovo del contratto nazionale del trasporto pubblico locale, scaduto da 7 anni. Tale accordo, che arriva al termine della più lunga e complessa vertenza del settore e che interessa oltre 116 mila autoferrotranvieri, prevede, nella sua parte retributiva, une «una tantum» di 600 euro per il periodo gennaio 2012-ottobre 2015, pagabile in due tranche (a gennaio ad aprile 2016);
    la legge di stabilità 2016 ha previsto, all'articolo 1, comma 866, che per il concorso dello Stato al raggiungimento degli standard europei del parco mezzi destinato al trasporto pubblico locale e regionale, e in particolare per accessibilità per persone a mobilità ridotta, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito un Fondo finalizzato all'acquisto diretto, ovvero per il tramite di società specializzate, nonché alla riqualificazione elettrica o al noleggio 491 mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, e a tale Fondo confluiscono, previa intesa con le regioni, le risorse disponibili di cui all'articolo 1, comma 83, della legge 27 dicembre 203, n. 147, e successivi rifinanziamenti nonché 210 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, 130 milioni di euro 2021 e 90 milioni di euro per l'anno 2022;
    il Governo si è espresso a favore di rinvio dell'entrata in vigore di tale norma al 1o gennaio 2017, sprecando in tal modo un anno prezioso al fine del raggiungimento degli obiettivi sulla modernizzazione, e sul potenziamento del trasporto pubblico locale;
    l'articolo 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014, (cosiddetta legge Delrio), ha stabilito che Stato o regioni, in funzione della materia, devono sopprimere agenzie o enti (consorzi, società In house) alle quali siano state attribuite funzioni di organizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica in ambito provinciale o sub-provinciale, riattribuendo, contestualmente, tali funzioni alle province, così come si attribuisce alle province la funzione fondamentale di pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale;
    per quanto concerne la disciplina settoriale in materia di Tpl, il decreto legislativo n. 422 del 1997, (cosiddetto «decreto Burlando») ripartisce le competenze in materia di Tpl tra i diversi livelli istituzionali; alle regioni trasporto su ferro, servizi aerei, marittimi, fluviali e lacuali regionali; alle province il trasporto su gomma a guida veicolata ed in sede propria (esclusi ferroviari e navigazione interna); ai comuni qualsiasi servizio svolto interamente all'interno di un solo comune;
    è evidente come questa frammentarietà di funzioni e la cronica carenza di risorse mal si conciliano con la necessità di procedere ad una modernizzazione e pianificazione del settore;
    l'efficienza e la migliore corrispondenza tra domanda e offerta saranno possibili dopo un attento monitoraggio e il ricorso a gare pubbliche in un contrasto normativo certo,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa volta alla tempestiva attuazione della norma che prevede l'istituzione del Fondo finalizzato all'acquisto diretto, ovvero per il tramite di società specializzate, nonché alla riqualificazione elettrica o al noleggio dei mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, previsto dalla legge di stabilità 2016;
   a porre al centro della sua agenda l'incentivazione dei trasporto pubblico locale tramite i necessari e adeguati finanziamenti, assumendo iniziative per prevedere anche un adeguato incremento del trasferimenti della Stato agli enti locali, al fine di assicurare la copertura finanziaria per il rinnovo del contratto nazionale del trasporto pubblico locale di cui in premessa;
   ad assumere iniziative per fornire quanto prima una cornice normativa certa e unitaria, all'interno della quale gli enti locali possano promuovere la mobilità urbana ed extraurbana, ricorrendo a procedure di gara pubbliche e trasparenti;
   a presentare, in tempi brevi, al Parlamento la relazione sull'impatto economico, industriale, occupazionale e sociale, di cui in premessa, prima di procedere alla privatizzazione delle Ferrovie dello Stato italiane.
(1-01164) «Biasotti, Polverini, Occhiuto».
(15 febbraio 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI GESTIONE DELLE CRISI BANCARIE E DI TUTELA DEI RISPARMIATORI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'APPLICAZIONE DELLO STRUMENTO DEL COSIDDETTO BAIL-IN

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, in attuazione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Le disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III, del medesimo decreto legislativo sono dedicate all'istituto del bail-in ovverosia alla procedura di compensazione tra le perdite della banca ed azioni e altri strumenti finanziari posseduti da investitori e risparmiatori della stessa banca. La disciplina sul bail-in – ai sensi dell'articolo 106, comma 2, del medesimo decreto legislativo – è entrata in vigore «solo» a decorrere dal 1o gennaio 2016;
    in sede di audizione presso la Commissione finanze della Camera dei deputati del 9 dicembre 2015 il capo del dipartimento vigilanza della Banca d'Italia, dottor Carmelo Barbagallo, ha postulato la necessità di rinviare l'applicazione del bail-in al 2018 al fine di: «(...) consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro di gestione delle crisi e, dunque, collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio»;
    il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella legge di stabilità 2016, ha disposto la risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara spa, di Banca delle Marche spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti spa, già oggetto di commissariamento da parte della Banca d'Italia. La procedura di risoluzione, che ha determinato la riduzione del valore di azioni ed «obbligazioni subordinate», è stata avviata nel 2015 sulla base delle disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che ai sensi del richiamato articolo 106 del medesimo decreto legislativo sono entrate in vigore solo a decorrere dal 1o gennaio 2016, per tal motivo – a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo – sembrerebbe che la procedura di risoluzione delle menzionate banche sia stata adottata in carenza di legittimazione normativa e, se così fosse, tutti gli atti adottati dal Governo, dal Ministero dell'economia e delle finanze e da Banca d'Italia sarebbero viziati;
    l'Associazione bancaria italiana di concerto a 12 associazioni di consumatori (Acu, Adiconsum, Adoc, Assoutenti, Casa del Consumatore, Centro Tutela Consumatori Utenti, Cittadinanzattiva, Codacons, Confconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Unc), alla Fondazione per l'educazione finanziaria e al risparmio e alla Federazione delle banche, delle Assicurazioni e della finanza, ha redatto una guida per i risparmiatori al fine di renderli edotti delle nuove regole sulla stabilità finanziaria e sulla risoluzione delle crisi delle banche e delle imprese d'investimento;
    da fonti stampa si apprende come la riduzione del valore delle azioni ed obbligazioni subordinate avvenuta sulla base delle nuove regole europee abbia creato nella collettività un reale timore di perdita del proprio risparmio nell'ipotesi di eventuali difficoltà finanziarie dell'istituto di credito di propria fiducia. L'attenzione dei risparmiatori è elevata soprattutto verso le decine di banche ancora oggetto di commissariamento. Non si esclude, quindi, che la paura collettiva possa implicare una distorsione della stabilità economico-finanziaria del sistema bancario e finanziario italiano;
    la Commissione europea ha assunto, in data 23 dicembre 2015, la propria decisione sull'intervento di sostegno effettuato, nel 2014, dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (FITD) in favore della Banca Tercas, in relazione all'acquisizione della stessa da parte della Banca popolare di Bari. La Commissione sostiene che tale intervento costituisca un aiuto di Stato non compatibile con la disciplina europea. La Commissione europea, modificando il proprio orientamento, ha parificato l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi a una misura di supporto pubblico perché, nonostante il Fondo interbancario di tutela dei depositi sia costituito da risorse private, i suoi interventi sono imputabili allo Stato italiano in ragione dell'approvazione ex post da parte della Banca d'Italia delle decisioni che li dispongono e dell'obbligatorietà dell'adesione al Fondo. Per evitare che l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi sia qualificato come aiuto di Stato è necessaria la previsione di misure di contenimento della distorsione della concorrenza, tra cui in particolar modo, la condivisione degli oneri da parte dei detentori di obbligazioni subordinate (cosiddetto burden-sharing). Così come dichiarato dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 23 dicembre 2015 il Fondo interbancario di tutela dei depositi, su suggerimento ed impulso del medesimo Ministero, ha provveduto ad istituire un meccanismo complementare volontario con una gestione separata e finanziato con risorse diverse dalle contribuzioni obbligatorie. Inoltre, dal comunicato stampa del Ministero si apprende: «Il meccanismo volontario, per definizione non assoggettabile ai vincoli previsti per gli aiuti di Stato, provvederà a replicare il precedente intervento, restituendo alla Banca Tercas l'intero ammontare delle risorse che questa dovrà retrocedere al Fondo interbancario di tutela dei depositi in esecuzione della decisione della Commissione. L'intervento del meccanismo garantirà la piena continuità finanziaria e operativa di Banca Tercas, neutralizzando le conseguenze negative della decisione della Commissione europea». Si desume – quindi – che un intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi con finanziamenti volontari risulta pienamente compatibile con la disciplina europea in materia di aiuti di stato;
    nel mese di dicembre 2015 si è assistito a due tipologie di risoluzione di crisi bancarie, a prima relativa a Banca Tercas conclusasi con esito favorevole nei confronti dei risparmiatori che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate e la seconda relativa a Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A conclusasi con la riduzione totale del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate detenute da investitori e risparmiatori. Il diverso modus operandi assunto dal Governo, dal Ministro dell'economia e delle finanze, dalla Banca d'Italia e le relative conseguenze giuridiche sono agli antipodi e, in considerazione del fatto che nella seconda ipotesi i risparmiatori hanno perso i propri risparmi, si palesa secondo i firmatari del presente atto di indirizzo una chiara ed irragionevole disparità di trattamento sindacabile ai sensi del principio di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione. Inoltre, si aggiunge che la disciplina sul bail-in risulta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, essere costituzionalmente illegittima in quanto in contrasto con le disposizioni di cui all'articolo 47 della Costituzione («La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito»),

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rinviare l'applicazione del bail-in al 2018 al fine, così come asserito dal capo del dipartimento vigilanza della Banca d'Italia, di consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro di gestione delle crisi e, dunque, collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio ed al fine di evitare ogni possibile distorsione della stabilità economico-finanziaria del sistema bancario e finanziario italiano;
   alla luce delle anomalie descritte in premessa, ad effettuare un riesame dei presupposti formali e sostanziali – in particolar modo in relazione alle disposizioni di cui al Titolo IV, Capo IV, Sezione III del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 – sulla base dei quali il Ministro dell'economia e delle finanze ha approvato il ricorso alla procedura di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio-Società Cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A., e, nell'ipotesi in cui fosse riscontrata la carenza di tali presupposti, ad assumere ogni iniziativa consequenziale, anche prevedendo un integrale risarcimento del danno per la riduzione del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate degli investitori e dei risparmiatori delle medesime banche;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, in conformità alle disposizioni di cui agli articoli 3 e 47 della Costituzione, volta a predisporre l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi con finanziamenti volontari delle banche per la risoluzione della crisi di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio-Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A e finalizzata a restituire il risparmio investito in azioni ed obbligazioni subordinate oggetto di riduzione ai legittimi proprietari;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, al fine di predisporre la nomina di un rappresentante dei consumatori – eletto dalle associazioni di categoria e retribuito dal sistema bancario – negli organi di amministrazione e controllo delle banche in modo da consentire ai medesimi consumatori di prendere cognizione della corretta gestione della banca;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, al fine di introdurre la facoltà per i rappresentanti dei consumatori eletti negli organi di amministrazione e controllo delle banche di esprimere parere vincolante su ogni operazione o gruppo di operazioni che possano compromettere la sana e prudente gestione della banca ed arrecare ogni genere di effetto pregiudizievole per il risparmio e gli investimenti dei clienti della medesima banca.
(1-01139) «Villarosa, Cariello, Pesco, Alberti, Ruocco, Sibilia, Pisano, Caso, Castelli, D'Incà, Brugnerotto, Sorial, Massimiliano Bernini, Agostinelli, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Businarolo, Busto, Cancelleri, Carinelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Petraroli, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Zolezzi».
(5 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    nell'estate del 2015, in occasione del recepimento della normativa europea sul bail-in, i parlamentari attualmente appartenenti alla componente del gruppo Misto «Conservatori e Riformisti» indicarono il rischio di frettolosità e superficialità con cui si affrontava il problema. Lo stesso Parlamento e le stesse forze politiche che avevano dedicato mesi interi a discutere di temi assai meno rilevanti per cittadini e risparmiatori decisero invece di adottare in modo veloce e pressoché acritico la nuova normativa europea, ignorando ogni preoccupazione e osservazione;
    in una logica liberale, non si trattava certo di riproporre o perpetuare la logica dei salvataggi di Stato, a spese dei contribuenti, con il bail out. Ma si spiegava, da parte dei medesimi parlamentari, che doveva esserci un'adeguata preparazione al passaggio alla nuova fase;
    si chiese che la Banca d'Italia venisse a informare tempestivamente sulle situazioni anche potenzialmente più critiche: e invece, in ogni sede, si ripetevano rassicurazioni sull'assoluta solidità delle banche italiane;
    si chiese che partisse una immediata e capillare campagna di informazione a favore dei cittadini (anche attraverso la Rai concessionaria del servizio pubblico) sui rischi esistenti e sull'opportunità di diversificare gli investimenti;
    su tutto, i suddetti parlamentari ottennero risposta negativa;
    più recentemente, in occasione della nota crisi che ha coinvolto quattro istituti bancari italiani, i parlamentari della componente del gruppo Misto «Conservatori e Riformisti» proposero di ricorrere al fondo interbancario di tutela dei depositi: denaro privato, non pubblico, per un'iniezione di capitale per le banche sofferenti. E invece l'Esecutivo ha accettato di subire quello che fu presentato come un veto europeo;
    in realtà, la lettera al Governo italiano proveniente dalla Commissione europea, successivamente resa nota, pur nella sua ambiguità, lasciava, uno spazio per una trattativa con le autorità europee. Sia per ricorrere al fondo interbancario di tutela dei depositi, sia – su un altro piano – per ricorrere a dei warrant a favore degli obbligazionisti, secondo il modello utilizzato nel 1982 dopo la crisi del Banco Ambrosiano;
    tuttora non si comprende perché il Governo italiano si sia fermato, rinunciando a una serrata trattativa con le autorità europee,

impegna il Governo:

   come principio generale, a non assumere iniziative che gravino sui cittadini-contribuenti, in quanto non c’è ragione per cui la mala gestione di alcuni amministratori (verso i quali occorre assumere ogni iniziativa anche legale e giudiziaria) debba pesare sulle spalle di tutti i contribuenti, sulla fiscalità generale e/o sulla spesa pubblica;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per acquisire tempestivamente dettagliati elementi sulle altre situazioni anche solo potenzialmente a rischio;
   a disporre, in primo luogo attraverso il servizio pubblico radiotelevisivo, capillari e tempestive campagne a favore dei cittadini-contribuenti, spiegando le situazioni critiche e le caratteristiche della nuova normativa, sottolineando il principio generale della opportunità della diversificazione degli investimenti;
   a operare per favorire l'introduzione, in aggiunta ai prospetti informativi più complessi, di documenti informativi sintetici e di immediata comprensibilità per risparmiatori e investitori, anche caratterizzati da denominazioni/classificazioni/sigle che possano favorire l'informazione, la consapevolezza dei cittadini sui rischi e le opportunità legate a ogni investimento;
   in caso di nuove situazioni critiche, a riproporre la soluzione del fondo interbancario di tutela dei depositi, e – su un altro piano – ad assumere iniziative per assegnare warrant ai soggetti danneggiati, secondo il modello «Banco Ambrosiano»;
   come extrema ratio, anche per favorire la campagna di informazione e un'adeguata preparazione al nuovo regime, ad adottare iniziative per una moratoria di 18 mesi della regolamentazione del bail-in, disponendo una diversa data (il 1o luglio 2017) per l'entrata in vigore della nuova normativa.
(1-01099) «Palese, Altieri, Marti, Capezzone, Ciracì, Distaso, Chiarelli, Fucci, Latronico, Bianconi, Corsaro».
(21 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il 22 novembre 2015, con la emanazione del decreto-legge n. 183 del 2015 (cosiddetto decreto «Salva banche»), quasi integralmente assorbito, successivamente, dai commi da 842 a 861 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), il Governo, prendendo atto che la Banca delle Marche, la Banca popolare dell'Etruria, la Cassa di risparmio di Ferrara e la Cassa di risparmio di Chieti non avrebbero potuto essere salvate dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, ha consentito, senza soluzione di continuità, l'operatività delle stesse anche grazie alla previsione di un Fondo di solidarietà a favore dei risparmiatori;
    a determinare l'iniziativa del Governo è stata la contrarietà della Commissaria Margrethe Vestager, a capo della sezione concorrenza della Commissione europea, secondo la quale, l'eventuale ricorso al suddetto Fondo interbancario di tutela dei depositi per risolvere l'insolvenza dei quattro istituti di credito, si sarebbe configurato come un aiuto di Stato, essendo lo stesso alimentato da versamenti obbligatori da parte del sistema bancario italiano. Ma alla stessa stregua e seguendo tale discutibile logica si dovrebbero considerare parimenti come appartenenti al settore pubblico anche le società di assicurazioni che ricevono premi obbligatori come polizze auto ed altro. D'altra parte tale interpretazione da parte degli organismi europei era nota da tempo, infatti con una comunicazione sugli aiuti di Stato al settore bancario dell'agosto del 2013 la Commissione europea individua fra le misure che possono costituire aiuti di Stato, anche quegli interventi diversi dal rimborso dei depositanti effettuati da un sistema di garanzia dei depositi per ristrutturare una banca «nella misura in cui sono soggetti al controllo dello Stato e la decisione relativa all'utilizzo dei fondi è imputabile allo Stato», a cui fa seguito, il 4 novembre 2014 il varo, sia pure incompleto, dell'Unione bancaria europea;
    sorge, pertanto, il fondato sospetto che l'argomentazione opposta al Governo italiano in questa occasione dalla Commissione europea celasse un'altra realtà, e cioè quella di voler stabilire immediatamente il principio del burden sharing, cioè quello della ripartizione del sacrificio tra gli azionisti e (almeno) tra alcuni obbligazionisti;
    il Governo Letta accetta, all'epoca della loro emanazione, le nuove regole sul bail-in ma senza ricorrere, in sede europea, al suo diritto di veto per impedire che la relativa normativa fosse retroattiva e che all'Italia fossero consentiti interventi di bail-out ex-post, meccanismi di cui avevano largamente usufruito in precedenza gli altri Paesi dell'Unione europea, come largamente dimostrato da alcuni dati di Eurostat che dimostrano che, alla fine del 2013, gli aiuti ai sistemi finanziari nazionali avevano accresciuto il debito pubblico di quasi 250 miliardi di euro in Germania (+ del 8 per cento del prodotto interno tedesco), di quasi 60 miliardi di euro in Spagna, di quasi 50 miliardi di euro in Irlanda e nei Paesi Bassi, di poco più di 40 miliardi di euro in Grecia, sui 19 miliardi di euro in Belgio e Austria e quasi 18 miliardi di euro in Portogallo. In Italia il sostegno pubblico è stato di circa 4 miliardi, tutti, peraltro, ormai restituiti. Vale in questa sede anche ricordare che Banca centrale europea e Commissione Europea permisero che le banche francesi e tedesche, detentrici di molti titoli greci, recuperassero i loro investimenti, per dichiarare solo successivamente un parziale default a carico dei creditori privati;
    la particolare situazione italiana è stata determinata anche dalla volontà dell'Associazione bancaria italiana (Abi) di impedire quegli interventi pubblici che in altri Paesi hanno consentito la ricapitalizzazione degli istituti di credito attraverso le nazionalizzazioni temporanee degli stessi. Diversamente, nel nostro Paese la ricapitalizzazione delle banche è sostanzialmente avvenuta a spese dei risparmiatori e dei piccoli azionisti;
    nel frattempo, secondo gli ultimi dati, la somma delle sofferenze bancarie ha raggiunto i 216 miliardi di euro, con un aumento rispetto al dicembre 2008 di oltre il 400 per cento: un arco temporale nel quale ha imperversato la più grave crisi economico-finanziaria della nostra storia moderna, peggiore persino di quella degli anni Trenta, gestita, sia a livello europeo che italiano, ricorrendo a politiche di austerità che ne hanno prolungato e moltiplicato gli effetti;
    i promotori del bail-in hanno sostenuto che esso avrebbe principalmente raggiunto due scopi:
     a) se azionisti e obbligazionisti rispondono direttamente delle perdite della banca staranno più attenti a dove e come investono;
     b) in questo modo le perdite dovute al fallimento di una banca non saranno più distribuite tra tutti i contribuenti con i salvataggi di Stato (bail-out);
    in realtà, le cose non sembrano procedere in questo modo, poiché buona parte dei creditori delle banche non hanno la capacità di distinguere il rischio dello strumento offerto loro; i detentori di depositi superiori a 100.000 euro possono essere anche piccole imprese ed inoltre gli azionisti più forti ed i clienti privilegiati hanno accesso ad informazioni che consentono loro di sottrarsi per tempo al bail-in. Inoltre, di fronte ad una massa ingente di risparmiatori che perde i propri risparmi il governo non può restare indifferente. In definitiva, si tratta di un modo per far pagare la ristrutturazione dei debiti ad azionisti e obbligazionisti, piuttosto che ai contribuenti degli altri paesi (in primis ai tedeschi);
    era previsto dall'Unione bancaria europea che insieme con il bail-in fosse predisposta anche un'assicurazione dei risparmi comune (cioè finanziata con risorse condivise) che garantisse, in caso di insolvenza di un istituto di credito, il rimborso dei depositi fino a 100.000 euro, una misura di condivisione dei rischi bancari che la Bundesbank ora chiede che venga rinviata di una decina di anni. Il problema infatti non è tanto quello dei prestiti «incagliati» delle banche (circa 200 miliardi in Italia), ma quello dei titoli pubblici del proprio paese in mano alle banche (in Italia 400 miliardi). Se la banca dovesse saltare, perché il debito pubblico di un Paese è diventato insostenibile, salvare la banca implicherebbe il sostegno al debito pubblico, e questo andrebbe contro i Trattati. Allora si dovrebbe agire tramite il MES (il Meccanismo europeo di stabilità – in pratica il commissariamento della politica fiscale di un paese), ed ecco allora la proposta di una ristrutturazione automatica del debito;
    per l'entrata in vigore della garanzia europea dei depositi, la Commissione prevede un lungo periodo di transizione che terminerà nel 2024 con la creazione di un fondo unico, fondo che sarà alimentato progressivamente appena diventerà operativo. Fino ad allora i sistemi nazionali continueranno a operare. Si prevedono tre fasi:
     a) ri-assicurazione fino al 2020: i fondi nazionali di garanzia dei depositi potranno accedere al sistema di garanzia, ma solo una volta esaurite le proprie risorse, e soltanto se sono in regola con il livello di contribuzione stabilito;
     b) co-assicurazione fino al 2024: il fondo comune interviene, con il 20 per cento, non appena è necessario rimborsare i correntisti;
     c) piena operatività del fondo comune, dopo tre anni di «co-assicurazione» e quando saranno pienamente operativi il fondo comune salva-banche;
    ad osteggiare il varo dell'assicurazione europea sui depositi è la Germania, i governanti tedeschi temono infatti che essa comporterebbe una mutualizzazione dei rischi;
    ciò che sta accadendo in questi giorni a Deutsche Bank, quindi non solo alle banche italiane, è emblematico di quanto l'unione bancaria in Europa sia oggi monca e pericolosa. Infatti da inizio anno il titolo azionario del primo istituto tedesco ha perso più del 30 per cento , questo perché da allora è in vigore la norma europea che, in caso di aiuto di Stato, colpisce duramente chi possiede azioni ed obbligazioni bancarie. Pertanto, l'unione bancaria così com’è non può funzionare, ed i mercati lo stanno «spiegando» inequivocabilmente ai Governi. Anche le norme che obbligano a colpire gli investitori ed i risparmiatori si stanno rivelando tragici acceleratori di crisi nella realtà di oggi e la stessa assenza di una garanzia europea sui depositi non fa che rendere l'intero edificio ancora più fragile, anche perché colpire i correntisti di un solo istituto rischia di alimentare i timori e il contagio in tutte le altre banche dello stesso Paese;
    premesso tutto ciò, i decreti legislativi, che recepiscono per l'Italia il bail-in, ed attuativi della direttiva 2014/59/UE (decreto legislativo n. 180 e n. 181), sono stati emanati dopo il parere positivo dell'attuale maggioranza di governo, il 16 novembre 2015, ovverosia prima dell'entrata in vigore del cosiddetto decreto salva-banche n. 183 del 2015 quasi integralmente assorbito, come si è detto dalla legge di stabilità 2016. L'attuale Governo, dunque, sarebbe potuto intervenire con un mese e mezzo di anticipo, considerato che l'entrata in vigore del bail-in è prevista a decorrere dal 1o gennaio 2016;
    nella vicenda dei quattro istituti di credito il Governo si è ritrovato, pertanto, costretto ad imboccare un'altra strada da una parte chiedendo a tre grandi gruppi bancari come Banca Intesa, Unicredit ed Ubi, di mettere per prime sul tavolo le risorse per un pronto intervento (circa 3,6 miliardi di euro), anche per conto degli altri istituti, e dall'altra svuotando gli stessi quattro istituti oramai in default (che da soli valgono l'1 per cento del mercato nazionale in termini di depositi) di tutti i crediti problematici e conferendoli ad una cosiddetta bad bank che si occuperà di recuperare il recuperabile;
    il Fondo di risoluzione (finanziato dalle banche e senza risorse pubbliche) ha messo a disposizione:
     a) 1,7 miliardi per la copertura delle perdite delle banche originarie (da 8,5 miliardi nominali);
     b) 1,8 miliardi per la ricapitalizzazione delle nuove banche;
     c) circa 140 miliardi per la costituzione ed il funzionamento della società che si occuperà della gestione e del recupero crediti;
    le parti sane finiscono in 4 nuove banche da subito operative per garantire la continuità aziendale e porle in vendita. Il costo dell'operazione è sostenuto, tra gli altri, dagli azionisti e dagli obbligazionisti subordinati;
    la Banca d'Italia ha avviato in data 21 novembre 2015 le procedure di risoluzione, ai sensi del decreto legislativo n. 180 del 2015 (di recepimento della direttiva BRRD 2014/59), nei confronti della quattro banche citate, tutte in amministrazione straordinaria;
    i detentori di obbligazioni subordinate delle quattro banche erano circa 10.500, per un valore totale di 789 milioni di euro; quasi la metà di questo valore era nei portafogli di investitori istituzionali o professionali. Pertanto le perdite dei risparmiatori (intesi come persone fisiche) si dovrebbe aggirare intorno a circa 390-400 milioni di euro;
    nell'anno 2011 la Consob ha eliminato l'obbligo, fino allora in capo agli istituti di credito, di inserire nei prospetti di vendita gli scenari probabilistici relativi alle singole emissioni di obbligazioni subordinate emesse degli stessi. Qualora tale obbligo fosse stato vigente, rispetto all'operazione di emissione di Banca Etruria relativa al periodo 2013-2023 sarebbe stato possibile per il risparmiatore conoscere che acquistando il titolo avrebbe avuto il 63 per cento di probabilità di perdere il 46 per cento del capitale investito;
    secondo i dati disponibili alla fine del mese di ottobre 2015, l'ammontare complessivo delle obbligazioni subordinate emesse dalle banche italiane era di 67 miliardi di euro (...). Negli ultimi quindici anni in Italia si sono registrate 100 crisi bancarie, tutte passate pressoché inosservate perché senza grosse ripercussioni sui risparmiatori;
    di fronte alle legittime proteste dei risparmiatori, il Governo è dovuto correre ai ripari istituendo il Fondo di solidarietà (non previsto nel decreto cosiddetto «Salva banche») per i possessori di obbligazioni subordinate delle quattro banche fallite, di cui all'articolo 1, commi 855-861 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), Fondo alimentato, sulla base delle esigenze finanziarie connesse alla corresponsione delle prestazioni, sino ad un massimo di 100 milioni di euro, dal Fondo interbancario di tutela dei depositi;
    è previsto che l'accesso alle prestazioni è riservato agli investitori che siano persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti, con un tetto massimo di rimborso, per ogni singolo risparmiatore che non dovrebbe superare i 100.000 euro. Inoltre, per completare il quadro normativo al riguardo – secondo quanto previsto dalla legge di stabilità 2016 – il Governo dovrà emanare un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la costituzione della Camera arbitrale presso l'Anac e uno o più decreti ministeriali per definire i criteri di accesso ai rimborsi, in particolare, il decreto ministeriale, da emanare entro il 1o aprile 2016, dovrà definire:
     a) le modalità di gestione del Fondo di solidarietà;
     b) le modalità e le condizioni di accesso al Fondo di solidarietà, ivi inclusi le modalità e i termini per la presentazione delle istanze di erogazione delle prestazioni;
     c) i criteri di quantificazione delle prestazioni, determinate in importi corrispondenti alla perdita subita, fino a un ammontare massimo;
     d) le procedure da esperire, che possono essere in tutto o in parte anche di
natura arbitrale;
     e) le ulteriori disposizioni di attuazione delle norme in esame;
    successivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentite le competenti Commissioni parlamentari, sono nominati gli arbitri, scelti tra persone di comprovata imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità, ovvero possono essere disciplinati i criteri e le modalità di nomina dei medesimi e sono disciplinate le modalità di funzionamento del collegio arbitrale, nonché quelle per il supporto organizzativo alle procedure arbitrali, che può essere prestato anche avvalendosi di organismi o camere arbitrali già esistenti,

impegna il Governo:

   a sottoporre al parere delle Commissioni parlamentari competenti, prima della sua emanazione, il decreto ministeriale di cui all'articolo 1, comma 857, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), analogamente a quanto previsto dal successivo comma 859 riguardo al sopracitato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   ad assumere le opportune iniziative, anche normative, al fine di potere utilizzare le plusvalenze derivanti dalla cessione delle sofferenze delle banche fallite, per restituire ai sottoscrittori il risparmio investito in obbligazioni subordinate emesse dalle quattro banche oggetto di riduzione;
a richiedere in sede europea, stanti gli effetti di destabilizzazione che comporta, la revisione delle norme del cosiddetto bail-in;
   ad assumere iniziative per una moratoria dell'applicazione del bail-in finché non entrerà in vigore la garanzia europea sui depositi, e comunque fino al 2018, al fine di prevedere una fase di transizione nell'applicazione delle nuove regole;
   ad assumere iniziative per consentire comunque la sostituzione delle obbligazioni sottoscritte prima dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni di risoluzione delle crisi bancarie;
   a predisporre le opportune iniziative, anche normative, per consentire ai piccoli azionisti dei quattro istituti di credito di poter ottenere la sostituzione delle loro azioni con azioni delle nuove banche;
   ad assumere iniziative per ripristinare l'obbligo, soppresso dalla Consob nel 2011, di inserimento nei prospetti di vendita degli scenari probabilistici relativi alle singole emissioni di obbligazioni subordinate;
   ad assumere le opportune iniziative anche normative al fine di evitare la diffusa pratica commerciale scorretta di erogare mutui o finanziamenti solo a patto che il cliente acquisti azioni, obbligazioni o polizze dello stesso istituto di credito o di aziende da esso controllate, e per stabilire maggiori sanzioni e revocatorie in capo agli amministratori degli istituti di credito per gravi violazioni nelle pratiche commerciali;
   ad assumere le opportune iniziative normative, anche di concerto con le parti sociali, per garantire adeguata formazione agli operatori del credito ed eliminare la pratica delle pressioni commerciali;
   ad assumere opportune iniziative che impediscano la cessione delle quattro new bank di cui in premessa a favore di un unico soggetto, che vengano privilegiati partner bancari anziché fondi di investimento, e che prevedano una clausola sociale finalizzata alla piena tutela occupazionale;
   ad assumere le opportune iniziative, anche normative, al fine:
    a) vietare la vendita retail delle obbligazioni subordinate, prevedendo che esse vengano inserite in modo chiaro nella lista dei prodotti complessi;
    b) prevedere che le obbligazioni bancarie siano collocate esclusivamente presso gli investitori istituzionali, e che abbiano entrare nei portafogli degli investitori al dettaglio solo attraverso il mercato secondario o, indirettamente, tramite l'acquisto di quote di fondi;
   ad assumere le opportune iniziative anche normative al fine di consentire al risparmiatore di potersi rivolgere alla Consob per la verifica dell'aderenza del proprio profilo di rischio al prodotto acquistato;
   ad assumere iniziative per prevedere sanzioni penali e civili più stringenti in capo ai revisori dei conti dei singoli istituti qualora le indicazioni della Banca d'Italia venissero disattese;
    ad assumere le opportune iniziative anche normative affinché la Cassa depositi e prestiti acquisti parte delle sofferenze bancarie garantite da ipoteche immobiliari utilizzando gli stessi immobili per il varo di un piano casa a favore delle famiglie in difficoltà;
   ad adottare iniziative per prevedere la costituzione di un'autorità indipendente volta unicamente alla tutela del risparmio in applicazione dell'articolo 47 della nostra Costituzione;
   a predisporre le opportune iniziative, anche normative, finalizzate a facilitare le azioni di risarcimento del danno di cui i risparmiatori danneggiati dovessero, eventualmente, essere titolari a causa della violazione delle regole di comportamento a tutela dei risparmiatori e delle norme sulla valutazione del loro profilo di rischio.
(1-01154) «Paglia, Fassina, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini, Martelli».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il principio dei salvataggi bancari esclusivamente mediante «bail-in» è stato introdotto a livello comunitario, a decorrere dal 1o agosto 2013, dalla direttiva 2014/59/UE e le relative norme nazionali di attuazione sono state dettate dal decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, con decorrenza 1o gennaio 2016;
    la direttiva in questione prevede, nell'ambito della sezione 5, sottosezione 1, una serie di meccanismi attinenti al «Sistema europeo dei meccanismi di finanziamento», quali in particolare:
     a) meccanismi di finanziamento nazionali istituiti a norma dell'articolo 100;
     b) prestiti fra meccanismi nazionali di finanziamento, di cui all'articolo 106;
     c) messa in comune dei meccanismi di finanziamento nazionali in caso di risoluzione di gruppo, di cui all'articolo 107;
    i predetti meccanismi risultano non ancora pienamente operativi;
    in linea generale si ritiene politicamente condivisibile e assolutamente opportuno il principio del bail-in, in base al quale le perdite delle banche non possano essere ripianate con interventi a carico della fiscalità generale, e quindi di tutti i contribuenti, ma soltanto con interventi a carico del sistema bancario, previa partecipazione alle perdite degli investitori che hanno consapevolmente sottoscritto titoli di capitale e di debito emessi dalle banche medesime;
    il recepimento del predetto principio, assunto in sede europea da parte di ciascun Stato sovrano, presuppone però una vera attuazione dell'unione bancaria e in particolare richiede che venga attuato il «Sistema europeo dei meccanismi di finanziamento» che, con ogni evidenza, costituisce, in un'ottica di stabilità del sistema bancario dei singoli Paesi europei, il necessario e imprescindibile complemento del principio del bail-in;
    tale stretto collegamento tra l'introduzione delle regole e l'introduzione degli strumenti di tutela del sistema previsti per attuare una vera integrazione bancaria è tanto più necessario in un momento di strutturale debolezza del sistema bancario internazionale, in cui i rischi di contagio sono particolarmente elevati;
    il recente accordo tra Italia e Unione europea per l'attuazione della garanzia statale sui crediti bancari in sofferenza, e il successivo decreto legge emanato dal Governo sullo stesso argomento, costituiscono un passo importante per il consolidamento del settore bancario in Italia, ma nell'attuale contesto internazionale e di mercato sono necessari ulteriori interventi per evitare il rischio di crisi bancarie;
    in conseguenza della mancata attuazione dell'unione bancaria, è opportuno promuovere, nell'interpretazione dell'ambito di applicazione delle norme sul bail-in, un adeguato tasso di flessibilità da parte delle istituzioni europee;
    così come si ritiene giusta ed opportuna la piena responsabilizzazione degli investitori, purché ovviamente consapevoli, si ritiene del pari opportuno mantenere distinta e pienamente tutelata la posizione dei puri risparmiatori, ossia dei correntisti;
    la stessa direttiva sul bail-in prevede l'introduzione di clausole contrattuali e informative nei contratti e prospetti relativi ai titoli più a rischio che non potevano naturalmente essere presenti al momento dell'emissione dei titoli azionari e subordinati oggi in circolazione sul mercato italiano;
    l'applicazione immediata a tutti i titoli emessi alla data di entrata in vigore del bail-in non sembra quindi essere del tutto in linea con lo spirito e i principi di tutela dettati dalla direttiva;
    si ritiene che, nel rispetto del segreto d'ufficio di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 180 del 2015, attinente alle «attività di risoluzione», ma nell'altrettanto legittima e dovuta informazione al «pubblico» circa eventuali anomalie riscontrate (oltre che, ovviamente, ai necessari interventi per risolverle), ai fini di una preventiva e costante informazione al «pubblico» sulla stato di salute delle banche, gli organi di controllo (Banca d'Italia e Consob), debbano informare, periodicamente, gli utenti bancari sulle risultanze dei controlli in modo semplice, trasparente e comprensibile;
    si ritiene utile inserire, nell'ambito dei sistemi di garanzia dei depositi la non applicazione del limite di 100.000 euro, nei nove mesi successivi all'accredito o al momento in cui divengono disponibili, i depositi di persone fisiche aventi ad oggetto importi derivanti, anche, dal cosiddetto conto titoli, di cui all'articolo 1838 del codice civile (deposito di titoli in amministrazione);
    il recente accordo tra Italia e Unione europea per l'attuazione della garanzia statale sui crediti bancari in sofferenza, e il successivo decreto-legge emanato dal Governo sullo stesso argomento, costituiscono un passo importante per il consolidamento del settore bancario in Italia, ma nell'attuale contesto internazionale e di mercato sono necessari ulteriori interventi per evitare il rischio di crisi bancarie e assicurare all'Italia un trattamento equo e non discriminatorio rispetto all'applicazione della normativa di settore e di quella sugli aiuti di Stato,

impegna il Governo

   a confermare in sede europea l'orientamento favorevole dell'Italia in linea di principio al meccanismo del bail-in, rispetto alle opposte logiche di intervento nei salvataggi bancari mediante risorse pubbliche;
   a sottoporre alle istituzioni europee proposte volte ad introdurre tutte le possibili forme di flessibilità e di modulazione, circa l'applicazione del bail-in, tenuto anche conto dell'attuale tensione nel sistema bancario internazionale;
   a promuovere in sede europea ogni iniziativa volta ad assicurare che le disposizioni in materia di bail-in si applichino, esclusivamente, alle nuove passività ammissibili al bail-in che si realizzeranno dopo l'entrata in vigore del decreto di cui in premessa e non su quelle già in essere, per tutelare il principio di adeguata informazione dei sottoscrittori dei titoli oggetto di bail-in;
   a riprendere le trattative con la Commissione europea sui meccanismi di sostegno al sistema bancario, per l'autorizzazione di ulteriori misure di aiuto che consentano una dismissione ordinata e razionale dei crediti deteriorati da parte del sistema bancario;
   ad assumere iniziative normative affinché il limite di 100.000 euro non si applica in ogni caso, nei nove mesi successivi all'accredito o al momento in cui divengono disponibili, anche, ai depositi di persone fisiche aventi ad oggetto importi derivanti dal cosiddetto «conto titoli», di cui all'articolo 1838 del codice civile (deposito di titoli in amministrazione);
   ad attivarsi per ottenere il rapido perfezionamento del processo di integrazione bancaria europea, senza però accettare che il suo perfezionamento possa comportare modifiche nei criteri di valutazione dei rating bancari, in funzione dei titoli di debito sovrano detenuti in portafoglio dalle banche medesime, pregiudizievoli per le banche italiane e per la sostenibilità del debito pubblico;
   ad attivarsi perché, nelle more del perfezionamento dell'unione bancaria, il divieto di intervento mediante risorse pubbliche non si possa considerare esteso anche agli interventi posti in essere attraverso risorse disponibili nei fondi alimentati dal sistema bancario;
   ad assumere le iniziative di competenza affinché gli organi di controllo (Banca d'Italia e Consob) si adoperino per una periodica informativa ai «consumatori» circa la situazione degli istituti di credito operanti in Italia, istituendo, ad esempio, nel relativo sito internet un'apposita sezione dedicata ai «consumatori».
(1-01155) «Sottanelli, Monchiero».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, denominata BRRD (bank recovery and resolution directive) ha introdotto regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento, regolamentando il bail-in (una modalità di salvataggio del sistema finanziario dall'interno, ovvero con risorse proprie), contrapposto al bail-out (ovvero il salvataggio dall'esterno tramite intervento pubblico); in tale ambito si procede alla svalutazione di azioni e crediti e alla loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà;
    la direttiva assegna alla Banca d'Italia, quale «autorità di risoluzione», gli strumenti per intervenire prima che la crisi si manifesti, mediante alternative di natura privata come la ricapitalizzazione; nel caso in cui tali misure non evitino il dissesto e quando la liquidazione non salvaguarderebbe la stabilità sistemica e l'interesse pubblico, alla Banca d'Italia è assegnato il potere di gestire la crisi e regolare la fase di «risoluzione»;
    sono soggette al bail-in tutte le passività ad eccezione dei depositi di importo fino a centomila euro (protetti dal sistema di garanzia dei depositi), le passività garantite come covered bonds le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela (cassette di sicurezza o i i titoli detenuti in un conto apposito), le passività interbancarie (tranne quelle derivanti da rapporti infragruppo) e i debiti privilegiati dalla normativa fallimentare (verso dipendenti, i debiti fiscali e quelli commerciali);
    il nuovo modello di intervento è stato introdotto con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180; ai sensi dell'articolo 106, comma 2, del medesimo decreto legislativo la norma è entrata in vigore a decorrere dal 1o gennaio 2016;
    in relazione ad alcune perplessità applicative espresse in sede parlamentare, il Governo ha recentemente chiarito che godono di protezione nelle procedure concorsuali (costituendo un patrimonio distinto e separato da quello della banca in forza del principio di separazione patrimoniale ex articolo 22.1 del decreto legislativo 58 del 1998 (Tuf)), i titoli in custodia o in amministrazione (conto titoli) di cui all'articolo 1838 del codice civile avente ad oggetto la custodia e l'amministrazione, da parte della banca, degli strumenti finanziari e dei titoli (azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote di fondi di investimento);
    ha altresì chiarito che gli interventi normativi in materia di bail-in devono essere coerenti con le prescrizioni della BRRD (bank recovery and resolution directive) che prevedono un elenco chiuso e non estensibile di esclusioni dal bail-in stesso; in tale quadro, oltre la soglia dei centomila euro il credito del depositante, che sia persona fisica, microimpresa, piccola o media impresa, beneficia comunque della tutela accordata dalla cosiddetta «depositor preference», essendo soddisfatto con preferenza rispetto agli altri creditori chirografari (nuovo articolo 91, comma 1-bis, Tub);
    è stata sollevata da più parti – Banca d'Italia, Abi, associazioni di consumatori – la necessità di rinviare l'applicazione del bail-in al fine di adeguare le obbligazioni bancarie in circolazione al nuovo scenario;
    in sede di audizione presso la Commissione finanze della Camera dei deputati del 9 dicembre 2015 il capo del dipartimento vigilanza della Banca d'Italia, dottor Carmelo Barbagallo, ha chiesto una proroga al 2018 al fine di: «(...) consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro di gestione delle crisi e, dunque, collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio»;
    il 30 gennaio 2016 il Governatore della Banca d'Italia ha dichiarato la necessità di revisionare la disciplina sul bail-in evitandone un'applicazione retroattiva e soprattutto prorogandone al 2018 l'entrata in vigore;
    il Ministro dell'economia e delle finanze ha dichiarato che la disciplina sul bail-in ha generato più instabilità del previsto con gravi pregiudizi per il sistema bancario e finanziario italiano e per tal motivo «(...) occorre una fase transitoria che dovrebbe essere accompagnata da accorgimenti che mettano a disposizione strumenti per affrontare singoli problemi che possono colpire singoli istituti bancari (...)»;
    recentemente il presidente dell'Abi ha invitato Parlamento, Governo, Banca d'Italia e rappresentanti italiani presso le istituzioni comunitarie a «promuovere una iniziativa forte e coordinata (...) perché la normativa sul bail-in venga sospesa (...) in quanto incompleta e priva delle necessarie disposizioni transitorie (...)»; sotto il profilo della gestione delle obbligazioni preesistenti la nuova normativa presenterebbe profili di incostituzionalità, in quanto retroattiva: solo una volta che siano scadute le obbligazioni preesistenti, le nuove potranno prevedere la partecipazione a un eventuale salvataggio;
    nonostante il sistema bancario italiano sia stato da sempre più solido ed efficiente rispetto al contesto europeo e internazionale l'entrata in vigore del bail-in ha amplificato i pregiudizi per la sua stabilità; il fallimento degli istituti di credito italiani (posto a carico dei risparmiatori del medesimo istituto), rischia di determinare l'acquisizione degli stessi da parte delle banche degli Stati membri dell'Unione europea; tuttavia, diversi membri dell'Unione europea hanno derogato alla normativa in materia di aiuti di Stato per salvare il proprio sistema bancario (la sola Germania ha finanziato le proprie banche con 238 miliardi di euro); tale situazione rischia di generare un paradosso nel quale, in regime di bail-in, la correttezza dei comportamenti dello Stato italiano comporterebbe la perdita del requisito di italianità degli istituti oggetto di acquisizione e un ulteriore pregiudizio per l'indipendenza economica nazionale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rinviare l'applicazione del bail-in al fine di adeguare il modello obbligazionario degli istituti di credito al nuovo quadro di gestione delle crisi ed ai nuovi scenari economici comunitari, con lo scopo di evitare ogni possibile distorsione della stabilità economico-finanziaria del sistema bancario e finanziario italiano;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, in conformità alle disposizioni di cui all'articolo 47 della Costituzione (tutela del risparmio), volta a predisporre l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi con finanziamenti volontari delle banche, durante il periodo transitorio.
(1-01156) «Tancredi, Buttiglione, Bosco».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il recepimento della direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) nel nostro ordinamento è stata affidata al decreto legislativo n. 180 del 16 novembre 2015 e al decreto legislativo n. 181 del 16 novembre 2015;
    il primo introduce nel Testo unico bancario e nel Testo unico in materia di intermediazione finanziaria le disposizioni relative ai piani di risanamento, alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, alle misure di intervento precoce per gli istituti bancari e le Società di intermediazione mobiliare e modifica le norme sull'amministrazione straordinaria delle banche e la disciplina della liquidazione coatta amministrativa;
    il secondo reca invece la disciplina in materia di predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione; gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale;
    la delega legislativa per questi due decreti è stata approvata dalle Camere con la legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114) in cui all'articolo 8, lettera b), tra i princìpi e i criteri direttivi si prevedeva che le norme sul bail-in si applicassero a partire dal 2016;
    in sede di esame degli schemi dei già citati decreti legislativi il parere della VI Commissione del Senato, pur se favorevole, poneva un'osservazione, poi accolta dal Governo, concernente il rinvio al 1o gennaio 2019 dell'applicazione della clausola che consente che le obbligazioni bancarie non garantite siano aggredite in via prioritaria rispetto ai depositi non garantiti diversi da quelli di persone fisiche e piccole e medie imprese;
    al contrario le disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III, riguardanti cioè la disciplina del bail-in, sono entrate in vigore a partire dal 1o gennaio 2016;
    già il 9 dicembre 2015, Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza della Banca d'Italia, in sede di audizione presso la VI Commissione della Camera dei deputati, ha affermato che il «bail-in» avrebbe potuto aumentare i rischi sistemici minando la fiducia alla base dell'attività bancaria, perché si tratta in realtà, come lo stesso ha definito in audizione, di «un mero trasferimento dei costi della crisi dalla più vasta platea dei contribuenti a una categoria di soggetti non meno meritevoli di tutela – piccoli risparmiatori, pensionati – che in via diretta o indiretta hanno investito in passività delle banche»;
    Barbagallo ha poi rivelato come anche la Banca d'Italia avesse chiesto, in sede di trattativa europea sulla direttiva BRRD, che fossero introdotte due condizioni, poi non accolte, riguardanti: «un approccio alternativo al «bail-in», in base al quale si sarebbero potute imporre perdite ai creditori solo in presenza di apposite clausole contrattuali di subordinazione» e il rinvio dell'applicazione del «bail-in» al 2018, «così da consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro»; quindi con maggiore consapevolezza dei nuovi rischi assunti;
    simili considerazioni erano quindi già in possesso del Governo che, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in maniera frettolosa ed avventata, ha comunque deciso di procedere con l'emanazione del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, poi confluito attraverso un emendamento governativo nella legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016, ai commi 842 e seguenti), con cui sono state applicate in Italia le nuove regole europee per il salvataggio bancario appena recepite con il suddetto decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
    Banca Etruria è stata divisa in due, separando, nel bilancio, la parte «buona», a cui sono state conferite le attività in bonis, da quella cattiva (compresi tutti gli asset cattivi), ossia le attività in sofferenza, che sono stati accumulati in un'unica bad bank;
    la costituzione delle nuove quattro banche, denominate rispettivamente Nuova Cariferrara, Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche e Nuova Carichieti, è stata posta a carico del sistema bancario italiano grazie alla liquidità garantita al Fondo di risoluzione da Intesa-San Paolo, Unicredit e Ubi-Banca, a cui si aggiungono gli altri istituti italiani, chiamati a contribuire con una rata annua di 600 milioni di euro, ma l'onere ricade anche sugli azionisti e titolari delle obbligazioni subordinate delle quattro banche. Oltre 100 mila persone hanno perso i risparmi di una vita e a loro difesa si sono schierate le principali associazioni a tutela dei consumatori che accusano il Governo di aver messo in campo «un bail in anticipato per salvare i quattro istituti». Non solo non si è accettato di rinviare l'applicazione del «bail in» affinché i risparmiatori disponessero di un tempo utile ad essere raggiunti da un'informazione completa, ma è stato addirittura anticipato con quello che ai firmatari del presente atto appare un blitz notturno, derubando risparmiatori che, in tutta evidenza, non hanno ricevuto al tempo della sottoscrizione dei prodotti finanziari, né successivamente, adeguate informazioni;
    per ristorare i risparmiatori che hanno perso i propri capitali investiti nelle obbligazioni subordinate, il Governo ha previsto, nelle stesse disposizioni della legge di stabilità 2016, un fondo di solidarietà con una disponibilità di 100 milioni di euro, finanziati dal fondo interbancario di tutela dei depositi;
    le risorse stanziate, però, secondo le stime rappresentate in Parlamento, non sarebbero sufficienti a compensare tutte le perdite subite dai risparmiatori che, inoltre, potranno usufruire del ristoro da parte del Fondo soltanto dopo una procedura di arbitrato prevista dalla medesima legge di stabilità, il cui costo dovrà essere coperto dallo stesso Fondo;
    tale procedura, inoltre, non è ancora stata avviata, poiché è necessario attendere il decreto che il Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia, sta predisponendo al fine di individuare le modalità di accesso al Fondo e i criteri di quantificazione delle prestazioni, «determinate in importi corrispondenti alla perdita subita, fino ad un ammontare massimo»;
    il Capo del Governo, in sede di conferenza stampa per l'annuncio del decreto di riforma delle banche di credito cooperativo, ha affermato che «per i rimborsi alle persone che verranno riconosciute come truffate dall'arbitrato, non c’è bisogno di un decreto legge, si tratta di aspettare il dpcm e il decreto ministeriale che sono sostanzialmente pronti e saranno presentati nei prossimi giorni», ma il decreto rimborsi, che avrebbe dovuto essere pronto già alla fine di gennaio 2016, continua a tardare;
    in un simile contesto, il ristoro dei risparmiatori non soltanto potrebbe non essere completo, sia a causa della dotazione limitata (e attualmente non sufficiente) del Fondo che a causa della previsione ministeriale del suddetto «ammontare massimo», ma potrebbe anche non arrivare, in quanto subordinato, come previsto nel testo legislativo, «all'accertamento della responsabilità per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza» previsti dai testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (decreto legislativo n. 58 del 1998), di non facile dimostrazione, poiché in molti casi l'investimento è stato accordato sulla base di un rapporto di fiducia personale che si svolgeva sostanzialmente in colloqui orali non documentabili;
    a ciò si aggiungono le non chiare previsioni in merito al diritto al risarcimento del danno che, seppur fatto salvo, è surrogato dal Fondo, ancora una volta, «nel limite dell'ammontare della prestazione corrisposta»;
    ci sono elementi più che sufficienti per ipotizzare la violazione dell'articolo 47 della Costituzione nella parte che prevede la tutela del risparmio in tutte le sue forme e la disciplina e il controllo dell'esercizio del credito;
    ancora, il 30 gennaio 2016, al congresso ASSIOM FOREX di Torino, il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha avanzato la proposta di una revisione della direttiva BRRD, in ragione di una clausola della direttiva stessa, che prevede questa possibilità entro giugno 2018, al fine di adeguare la normativa europea agli standard internazionali;
    le ragioni della richiesta di revisione sembrerebbero avere altre motivazioni. Lo stesso Governatore infatti sostiene che: «Nell'introdurre questo delicato cambiamento a livello europeo non si è prestata sufficiente attenzione alla fase di transizione», poiché, come è effettivamente accaduto, l'applicazione immediata del meccanismo di «bail-in» «avrebbe potuto comportare – oltre ad un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia – rischi per la stabilità finanziaria, connessi anche col trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritte anni addietro, in tempi in cui la possibilità di perdita del capitale investito erano molto remote»;
    al contrario, un periodo transitorio avrebbe consentito, sia per le banche sia per i risparmiatori, di prendere confidenza con questo strumento estraneo al nostro ordinamento e alla nostra cultura del risparmio, con la conseguente possibilità, per le prime, di emettere strumenti adatti ed «espressamente assoggettabili» alle nuove procedure di risoluzione delle crisi e, per i secondi, di valutare con gli adeguati strumenti cognitivi e informativi i propri investimenti;
    come ha ricordato Visco, nel nostro Paese la quota di risparmio delle famiglie investita in obbligazioni è notevolmente più elevata che negli altri Paesi della zona euro, grazie, soprattutto, al più vantaggioso trattamento fiscale che tra il 1996 e il 2001 è stato riservato agli interessi maturati sulle obbligazioni rispetto a quelli sui depositi a medio termine;
    da organi di stampa si apprende però che l'Unione europea avrebbe già risposto negativamente alla richiesta del Governatore Visco, affidando ad un rappresentante della Commissione l'onere di dichiarare che non ci sarebbe alcuna volontà di modificare la BRRD, poiché, come ha ricordato lo stesso funzionario, la direttiva è stata adottata nel 2014 «con il consenso di una stragrande maggioranza al Parlamento europeo e con l'accordo unanime degli stati membri»;
    se, da un lato, la fiducia dei risparmiatori nel sistema bancario è già crollata in séguito alle vicende che hanno interessato le quattro note banche poste in risoluzione, dall'altro, proprio la nuova normativa del «bail-in», valutata congiuntamente alle attuali sofferenze degli istituti bancari italiani, che ammonterebbero a circa 201 miliardi di euro potrebbe essere la causa della forte instabilità dei mercati finanziari di queste ultime settimane;
    la versione ufficiale ha rintracciato la causa di simili oscillazioni in una lettera inviata dalla Bce contenente la richiesta di un rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito italiani per poi specificare che si trattava in realtà di una richiesta dei Ssm sulla gestione degli NPL inviata anche ad altri istituti dell'eurozona;
    sull'argomento, prima dell'inizio della riunione dell'Eurogruppo della scorsa settimana, il ministro Padoan ha commentato: «È chiaro che ci sono in questi giorni movimenti sistemici non solo in Europa ma anche in Asia e negli Stati Uniti che colpiscono in particolare il settore bancario a causa delle prospettive di crescita globale che cominciano a essere meno incoraggianti di qualche mese fa», assicurando che: «non c’è un fattore specifico italiano per le tensioni sui mercati», ma intanto lo spread è tornato a salire e si aggira tra i 140 e i 160 punti di differenziale Btp-Bund nella scorsa settimana;
    lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze ha affermato che: «È chiaro che il «bail in» è un nuovo regime e bisognerà introdurlo con delicatezza e con necessaria gradualità» e che non c’è alcuna ragione di credere che la volatilità dei titoli bancari sia legato all'introduzione del «bail-in». È però evidente come siano soprattutto le banche italiane a registrare, nelle ultime settimane, le peggiori perfomance borsistiche,

impegna il Governo:

   ad assumere, in sede europea, tutte le iniziative necessarie al fine di addivenire ad una revisione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dei 15 maggio 2014, in modo da escludere i depositi di qualsiasi entità e gli obbligazionisti: «junior» e «senior» da qualsiasi procedura di fallimento o risoluzione di istituti di credito o bancari;
   ad assumere iniziative per rivedere il recepimento della disciplina dello strumento del «bail-in» e a valutare validi strumenti alternativi in grado di garantire la stabilità patrimoniale delle banche senza causare effetti di destabilizzazione tali da contagiare l'intero sistema bancario italiano;
   ad assumere iniziative per rivedere, altresì, le disposizioni contenute nella legge n. 208 del 2015 relative alle dotazioni e al funzionamento del Fondo di solidarietà istituito per l'erogazione di prestazioni in favore degli investitori che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalle quattro banche poste in risoluzione, come specificato in premessa, al fine di:
    a) garantire e provvedere, nel più breve tempo possibile, al completo ristoro di tutti gli investitori non istituzionali che hanno subito una riduzione o un azzeramento del valore delle obbligazioni subordinate delle quattro banche poste in risoluzione;
    b) aumentare le dotazioni finanziarie del Fondo di solidarietà in misura tale da garantire il completo ristoro di tutti gli obbligazionisti subordinati non istituzionali di cui alla precedente lettera;
    c) prevedere, in luogo dell'arbitrato, un diverso procedimento per l'erogazione delle prestazioni che sia finalizzato esclusivamente all'individuazione degli obbligazionisti subordinati non istituzionali di cui alla lettera a) e delle modalità e dei termini per la presentazione delle istanze di erogazione delle prestazioni.
(1-01157) «Busin, Fedriga, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'esplosione della crisi a partire dal 2007 ha evidenziato una condizione di precarietà del sistema finanziario europeo derivante dallo stretto intreccio tra gli effetti prodotti dalla crisi in termini di aumento delle sofferenze per la crescita delle insolvenze e le difficoltà emerse nella gestione del debito pubblico di alcuni Paesi membri i cui titoli erano detenuti, per importi assai consistenti, dalle banche europee;
    la vulnerabilità delle banche ha indotto l'Unione europea a porre in atto una serie di interventi volti anzitutto a definire una disciplina più rigorosa per quanto concerne i requisiti patrimoniali richiesti alle banche, in modo da garantire la solvibilità; in tale contesto, anche le banche italiane hanno aumentato significativamente le loro dotazioni di capitale, per altro senza avvalersi, a differenza di quanto è avvenuto altrove, di risorse provenienti dal bilancio pubblico (8,2 per cento del prodotto interno lordo in Germania, 5 per cento in Spagna, 22 per cento in Irlanda): è possibile calcolare che se in Italia fossero stati effettuati interventi in rapporto al prodotto interno lordo pari a quelli della Germania, l'onere a carico delle finanze pubbliche sarebbe ammontato a 130 miliardi di euro;
    l'Unione bancaria, finalizzata ad accompagnare all'Unione economica e monetaria una disciplina comune anche in materia creditizia, completa il quadro delle misure adottate a livello europeo ed è costituita da tre pilastri, di cui i primi due già realizzati: un sistema unico di vigilanza, un meccanismo unico di risoluzione delle crisi e, da ultimo, un sistema europeo di garanzia di depositi;
    la vigilanza unica, in capo alla BCE, ha consentito l'armonizzazione dei criteri precedentemente rimessi in capo alle singole autorità nazionali, mentre la necessità di evitare massicci salvataggi a carico dei bilanci pubblici ha trovato una risposta nel 2013 con la «Comunicazione» della Commissione europea che ha disposto l'applicazione immediata di un nuovo regime di burden sharing che imponeva, in caso di crisi di una banca, perdite su azioni e obbligazioni subordinate come precondizione per un intervento pubblico e, nel 2014, la Bank Recovery and Resolution Direttive (BRRD), che ha esteso quello stesso regime, dal 1o gennaio 2016, anche alle obbligazioni ordinarie e ai depositi superiori a 100.000 euro (cosiddetto bail in), meccanismo cui si accompagna la previsione dell'istituzione di un fondo unico finanziato con contributi a carico delle banche;
    nell'ambito del regime di burden sharing e secondo le procedure di risoluzione definite dalla BRRD, il Governo italiano e la Banca d'Italia hanno proceduto nel novembre 2015 ad attuare gli interventi di risoluzione delle crisi di Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti, così salvaguardando totalmente i depositi, l'occupazione delle banche e i crediti verso un numero molto elevato di imprese;
    se il bail in consente di evitare la creazione di un circolo vizioso tra banche e settore pubblico, garantire un corretto funzionamento dei meccanismi concorrenziali e non far ricadere i costi delle crisi sui cittadini, esso può tuttavia minare la fiducia degli investitori, che costituisce l'essenza dell'attività bancaria, così alimentando i rischi di instabilità sistematica provocati dalla crisi di singole banche;
    la revisione della direttiva 2014/59/UE, già contemplata dalla medesima direttiva, fornisce un'occasione utile per migliorare il sistema;
    la realizzazione del terzo pilastro, relativo al sistema unico di assicurazione dei depositi presso tutte le banche dei paesi coinvolti, sta scontando alcune difficoltà legate alla perplessità di fronte alla prospettiva di mutualizzazione del rischio da parte di alcuni Stati membri, i quali temono che i propri sistemi bancari siano chiamati a finanziare interventi a favore di depositanti di altri paesi per l'insolvenza di banche straniere;
    la volatilità che ha colpito i mercati globali nelle ultime settimane e, in particolare, il settore bancario europeo, è la dimostrazione della necessità di rafforzare il sistema a due livelli: un livello nazionale, come il Governo ha fatto e sta continuando a fare da ultimo con la recente approvazione del decreto-legge in materia bancaria, e uno europeo, attraverso il completamento dell'architettura dell'Unione bancaria,

impegna il Governo:

   a promuovere, nelle sedi europee, un approfondimento delle problematiche connesse all'attuazione della direttiva 2014/59/UE, al fine di proporre, entro il 1o giugno 2018, le modifiche che si rendano opportune, in base a quanto previsto dall'articolo 129 della direttiva medesima;
   a favorire la corretta applicazione delle regole finalizzate a impedire il collocamento degli strumenti più rischiosi presso clienti al dettaglio non in grado di comprenderne l'effettivo rischio, e al contempo di meccanismi finalizzati ad assicurare una piena e consapevole informazione dei risparmiatori;
   a sostenere nelle sedi negoziali europee la più rapida introduzione del terzo pilastro dell'Unione bancaria, relativo alla tutela dei depositi, nel rispetto di un principio di equilibrio tra la condivisione del rischio e la sua riduzione.
(1-01160) «Pelillo, Petrini, Currò, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Causi, Colaninno, De Maria, Marco Di Maio, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    i decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 2015 hanno recepito la direttiva 2014/59/UE (del 15 maggio 2014) che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Detta direttiva (direttiva BRRD – Bank Recovery and Resolution Directive) affronta il tema delle crisi delle banche approntando strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto non solo a seguito del loro manifestarsi, ma anche in via preventiva o ai primi segnali di difficoltà. Essa introduce una molteplicità di strumenti, aventi carattere preventivo, carattere di intervento immediato, così come strumenti di «risoluzione» della crisi;
    già nel 2013 la «comunicazione» della Commissione europea aveva disposto l'applicazione immediata di un nuovo regime di burden sharing che imponeva, in caso di crisi di una banca, perdite su azioni e obbligazioni subordinate come precondizione per un intervento pubblico;
    nel 2014 la BRRD, approvata dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ha esteso quello stesso regime, già a partire dal 2016, anche alle obbligazioni ordinarie e ai depositi superiori a 100.000 euro (il bail-in);
    in particolare, il decreto legislativo n. 180 del 2015, ha recepito la direttiva BRRD nelle parti relative alla predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale. Le Autorità preposte all'adozione delle misure di risoluzione delle banche potranno attivare una serie di misure, tra cui il temporaneo trasferimento delle attività e delle passività a un'entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato, il trasferimento delle attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli ed il cosiddetto bail-in, ossia la procedura che consente di svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali;
    il termine per l'applicazione delle disposizioni relative alle nuove procedure sul bail-in previste dalla direttiva, era fissato al 1o gennaio 2016; la medesima direttiva contiene, all'articolo 129, una clausola di revisione da attivare entro giugno 2018 (non è escluso attivarla prima);
    il 21 novembre 2015, la Banca d'Italia ha avviato quattro procedure di risoluzione – ai sensi del decreto legislativo n. 180 del 2015 – nei confronti della Banca delle Marche, della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, della Cassa di Risparmio di Ferrara e della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, tutte in amministrazione straordinaria. Con le norme del cosiddetto «decreto Salva-banche» (ovvero il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183), poi confluite all'interno della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), sono stati costituiti ex lege gli enti-ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione dei suddetti istituti bancari, con l'obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalle medesime banche e, quando le condizioni di mercato saranno adeguate, di cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate, in conformità con le disposizioni del citato decreto legislativo n. 180 del 2015. Il provvedimento ha previsto, inoltre, che il finanziamento delle procedure di risoluzione fosse assicurato dal Fondo di risoluzione nazionale, istituito ai sensi dell'articolo 70 del decreto legislativo n. 180 del 2015 dalla Banca d'Italia, alimentato dallo stesso sistema bancario mediante contribuzioni ordinarie e straordinarie;
    le operazioni disposte dal decreto-legge n. 183 del 2015 hanno generato perdite per azionisti e obbligazionisti subordinati, prefigurando secondo i firmatari del presente atto di indirizzo una chiara violazione del disposto di cui all'articolo 47 della Costituzione, che tutela il risparmio in tutte le sue forme; le nuove procedure non hanno infatti previsto adeguate tutele del capitale investito in obbligazioni subordinate;
    in altre parole, il quadro normativo nazionale, nel dare applicazione alle disposizioni europee in materia di «salvataggi bancari», anche anticipandone di fatto l'entrata in vigore, si è rivelato confuso e particolarmente oneroso per i risparmiatori;
    è poi fondamentale evidenziare come, nell'introdurre i delicati cambiamenti a livello europeo sopra ricordati, non si è prestata sufficiente attenzione alla fase di transizione;
    come affermato in più occasioni anche dal Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, è evidente come si sarebbe dovuto sostenere con forza che un'applicazione immediata e, soprattutto, retroattiva dei meccanismi di burden sharing fino al 2015 e, successivamente, del bail-in, avrebbe potuto comportare – oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia – rischi per la stabilità finanziaria, connessi anche col trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritte anni addietro, in tempi in cui le possibilità di perdita del capitale investito erano molto remote;
    sarebbe stato quindi preferibile un passaggio graduale e meno traumatico, tale da permettere ai risparmiatori di acquisire piena consapevolezza del nuovo regime e di orientare le loro scelte di investimento in base al mutato scenario;
    un approccio mirato, con l'applicazione del bail-in solo a strumenti provvisti di un'espressa clausola contrattuale, e un adeguato periodo transitorio avrebbero consentito alle banche di emettere nuove passività espressamente assoggettabili a tali condizioni;
    la BRRD contiene una clausola che ne prevede la revisione, da avviare entro giugno 2018. Come sostenuto anche dal Governatore Visco, è auspicabile che questa occasione sia ora sfruttata, facendo tesoro dell'esperienza, per meglio allineare la disciplina europea con gli standard internazionali;
    i dati del nostro Paese sono evidenti: in Italia la quota del risparmio delle famiglie investita in obbligazioni emesse dalle banche è notevolmente più elevata che nella media dall'area dell'euro;
    da quando le borse hanno riaperto nel 2016, si è assistito ad un crollo continuo: piazza Affari ha perso circa il 25 per cento della sua capitalizzazione e il collasso ha riguardato in particolare i titoli del settore bancario. I filoni da seguire per dare una spiegazione al fenomeno sono due, intrecciati tra loro: il tema dei crediti deteriorati («Non Performing Loans» – NPL) nei bilanci delle banche e il dibattito sulla «Bad bank»: la proposta franco-tedesca di porre, per le banche dei Paesi dell'eurozona, un tetto all'ammontare di titoli del proprio debito sovrano che possono avere in portafoglio («proposta Schäuble»);
    il tema dei Non Performing Loans è esploso a seguito dell'improvviso decreto del Governo del 22 novembre 2015 con cui sono state «salvate» le quattro banche già menzionate, quando i valori di riferimento utilizzati per la svalutazione dei crediti deteriorati di queste ultime sono stati inopportunamente estesi a tutto il resto del sistema bancario, ed è scoppiata la psicosi per cui bisogna liberarsene subito e a qualsiasi prezzo. Mentre, come sanno bene gli addetti ai lavori, la buona gestione dei Non Performing Loans spesso aiuta i bilanci delle banche;
    ma il decreto «Salva banche» ha prodotto anche un altro effetto nefasto, che ha influito sul crollo delle borse: il «panico finanziario», noto pure come «corsa agli sportelli». I risparmiatori non si fidano più delle banche italiane, finite nell'occhio del ciclone e in alcuni casi anche al centro di indagini della magistratura, per cui ritirano i loro depositi;
    una soluzione di livello europeo a questo problema è tra i pilastri dell'unione bancaria che si vorrebbe introdurre: è la garanzia comune sui depositi, una sorta di «prestatore di ultima istanza» per cui i depositi bancari sono garantiti dalla piena fede e dal credito dell'Unione europea, prendendo a prestito la definizione utilizzata per definire tale strumento negli Stati Uniti;
    ma sulla garanzia europea comune sui depositi pesa il veto del Governo tedesco, che per sbloccarli chiede che le banche dei Paesi del sud Europa, Italia in primis, si liberino dei troppi titoli del proprio debito sovrano in portafoglio. Solo quando le banche italiane e greche diventeranno, così, meno rischiose, il Governo tedesco è disposto a partecipare a un fondo comune che garantisca il debito di tutti i Paesi dell'area dell'euro (Germania inclusa). «Liberarsi dei troppi titoli del proprio debito sovrano in portafoglio» significa vendita in blocco di buoni del tesoro, quindi aumento dell'offerta degli stessi, con conseguente riduzione del prezzo, aumento dei rendimenti, quindi necessità di ricapitalizzazione per le banche, crollo in borsa e per il Paese aumento dello spread: esattamente la stessa sequenza che nell'estate-autunno del 2011 portò alla crisi che tutti conoscono durante la quale tante imprese italiane sono state acquistate a «prezzi di saldo» dai «predatori» dalla tripla A, e alla caduta dell'ultimo Governo democraticamente eletto;
    sulle modalità di creazione e funzionamento della bad bank italiana si è aperto un confronto con la Commissione europea, molto serio, sul quale però il Governo ha già ceduto senza se e senza ma, evidentemente troppo timoroso di un'eventuale «bocciatura» della legge di stabilità tutta in deficit;
    ne deriva che per finanziare provvedimenti finalizzati ad acquisire consenso, l'Esecutivo ha distrutto e svenduto il sistema bancario italiano, di cui l'andamento in borsa dal 1o gennaio 2016 è la dimostrazione, indebolendo l'intera economia italiana;
    sarebbe invece necessario superare qualsiasi atteggiamento di debolezza, e cercare alleanze tra i partner europei per far cadere il veto tedesco sulla garanzia europea comune sui depositi bancari. In un colpo solo si risolverebbe il problema delle banche e si riuscirebbe a evitare la vendita in blocco di titoli di Stato italiani, con le conseguenze drammatiche che abbiamo già avuto modo di conoscere sull'economia e la democrazia italiana;
    il Governo deve mettere in atto una importante riflessione in merito alla frettolosa applicazione in Italia del bail-in, alla necessaria non retroattività delle norme derivanti dalla direttiva dell'Unione europea, e, in particolare, valutare con attenzione anche i profili di incostituzionalità di queste ultime rispetto all'articolo 47 della nostra Carta, che tutela il risparmio in tutte le sue forme,

impegna il Governo

   ad assumere in sede europea ogni iniziativa volta a:
    a) modificare la direttiva sul bail-in, e identificare con precisione le passività bancarie chiamate a sopportare le perdite, escludendo quelle emerse prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, per evitare la retroattività di queste ultime, e a predisporre strumenti eccezionali di intervento nel caso in cui si ha percezione che il sacrificio di azionisti e creditori derivante dall'applicazione del bail-in metta a repentaglio la stabilità dell'intero sistema;
    b) rivedere la disciplina europea sugli aiuti di Stato, superando l'attuale restrittiva interpretazione della Commissione europea del concetto di «aiuti», in particolare distinguendo tra interventi pubblici a favore di banche non in crisi, per le quali l'intervento dello Stato sarebbe ingiustificato e distorsivo del principio di libera concorrenza, e interventi pubblici conseguenti a «fallimenti del mercato» per cui lo Stato interviene solo in casi di reale emergenza, quando la stabilità del sistema viene seriamente minata;
    c) disporre una garanzia europea comune sui depositi bancari, in quanto è necessaria, in una unione monetaria, quale è l'Eurozona, la condivisione dei rischi, e tutto quanto ne consegue, termini di sacrifici richiesti ai governi e ai cittadini, non può che procedere di pari passo con la condivisione delle garanzie che quei rischi stessi servono a coprire, anche per far fronte a episodi di «panico finanziario»;
    d) sollecitare l'avvio di specifiche attività, come ad esempio campagne di informazione, volte a spiegare ai consumatori i contenuti e gli effetti della nuova normativa sul bail-in;
    e) richiedere un intervento della Commissione europea per vigilare sulla corretta e uniforme applicazione della direttiva sul bail-in nei vari Stati membri, e garantire certezza giuridica e condizioni di parità tra banche, che spesso operano in diversi Paesi dell'Unione europea;
   ad adottare le opportune iniziative che assicurino la tutela dei risparmiatori, prevedendo innanzitutto misure volte al pieno ristoro degli obbligazionisti subordinati che hanno perso i propri risparmi a seguito dell'applicazione delle nuove norme sul bail-in, nonché la possibilità di ricorso allo strumento della class action collettiva, la cui previsione è funzionale al completamento degli strumenti utilizzabili dai risparmiatori e, in particolare, dalle associazioni di tutela del consumatori, così da consentire un'azione giudiziale di controllo anche della funzione di vigilanza svolta dalla Banca d'Italia;
   a prevedere opportune iniziative volte a garantire un'informazione piena e consapevole dei consumatori in merito agli investimenti effettuati in prodotti finanziari, prevedendo in particolare «prospetti informativi» chiari, leggibili e scritti in maniera semplice e comprensibile, anche utilizzando colori differenti per rendere più efficace ed immediata la comprensione del livello di rischio dei prodotti in vendita;
   a valutare la possibilità di introdurre nuovi strumenti, quali i warrant, fondati sulla ricostituzione dei diritti derivanti dall'esercizio della proprietà azionaria piuttosto che su quelli concentrati sulla tutela del diritto di proprietà collegato ai risparmi investiti, da concedere agli ex obbligazionisti, per renderli soci delle banche risanate, e compartecipi delle loro eventuali fusioni e aggregazioni, considerato che scommettere sulla ripresa potrebbe essere una soluzione più efficace, in particolare rispetto al modestissimo recupero affidato a contese regolatorie, adatta a voltare pagina in direzione della fiducia, senza il ricorso ad altri fondi né pubblici, né privati, e, in più, per far restare solidamente agganciati gli investitori al rilancio delle banche in cui avevano creduto;
   a promuovere l'introduzione di misure volte al pieno riconoscimento della responsabilità degli amministratori delle banche in risoluzione, con le disposizioni di natura cautelare e conservativa che questo comporta, contribuendo altresì al risarcimento del danno subito dai portatori degli strumenti finanziari subordinati emessi dalle banche in risoluzione, valutando altresì la possibilità di contemplare la definitiva preclusione dell'accesso da parte dei medesimi amministratori ad incarichi di natura apicale presso banche ed intermediari finanziari.
(1-01162) «Brunetta, Gelmini, Occhiuto, Giacomoni, Sandra Savino, Laffranco, Angelucci, Crimi».
(15 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea per far fronte alla crisi ha intrapreso un'ambiziosa riforma del sistema di regolamentazione finanziaria;
    nel giugno del 2012 i Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea hanno deciso di creare un'unione bancaria completando l'unione economica e monetaria e centralizzando l'applicazione di norme europee per l'area euro;
    l'Unione bancaria, che si poggia su tre pilastri: la vigilanza centralizzata, il meccanismo di risoluzione delle crisi creditizie (bail-in) e la tutela centralizzata dei depositi, è a tutt'oggi incompleta;
    nel 2013 sono entrate in vigore le nuove regole sugli aiuti di Stato alle banche;
    il Governo, con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, in base alla delega conferita con legge 9 luglio 2015, n. 114, ha recepito la direttiva 2014/59/UE, che istituisce il quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento con il meccanismo del bail-in che consente di risolvere le crisi delle banche con il contributo dei soci, degli azionisti e, infine, dei risparmiatori correntisti con conti superiori ai 100 mila euro;
    il decreto legislativo n. 180 ha stabilito, in coerenza con la normativa europea, che l'entrata in vigore del bail-in dovesse essere sin dal 1o gennaio 2016;
    il Governo nel mese di novembre 2015 ha gestito con strumenti urgenti la crisi della Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., di Banca delle Marche s.p.a., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio — Società Cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti s.p.a. (decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella Legge di stabilità 2016) facendo ricorso alla procedura di risoluzione prevista dal decreto legislativo n. 180 del 2015 anticipando quindi l'applicazione del bail-in;
    tale scelta, intervenuta in un contesto normativo incompleto rispetto all'obiettivo dell'Unione bancaria e con una disomogenea applicazione della normativa sul bail-in da parte degli Stati membri, ha modificato i rischi conosciuti da risparmiatori e investitori;
    le nuove linee guida del 2013 sugli aiuti di Stato e la direttiva europea sulla risoluzione delle banche hanno infatti cambiato le caratteristiche del rischio dei titoli bancari rispetto a quelle conosciute al momento dell'investimento da risparmiatori e investitori;
    il Governo inoltre ha dovuto in ogni caso fare ricorso all'utilizzo di danaro pubblico. Conseguentemente non solo la mala gestione di alcuni amministratori e le carenze sui controlli sono inevitabilmente ricadute sui cittadini contribuenti, ma l'applicazione delle nuove regole ha duramente colpito risparmiatori e investitori provocando una forte sfiducia nel sistema bancario;
    l'inadeguata gestione della fase transitoria e la mancanza, a livello europeo, di un sistema di garanzie del credito in grado di ridare fiducia ai mercati rischiano di creare danni irreversibili al sistema;
    la situazione a parere dei firmatari del presente atto ha provocato una lesione di diritti dei risparmiatori a livello costituzionale con la violazione degli articoli 3 e 47 della Costituzione,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi nelle sedi istituzionali dell'Unione europea per il rafforzamento dell'Unione stessa attraverso l'introduzione di una garanzia europea sui crediti delle banche;
   a promuovere in sede europea iniziative per un impegno che consenta di mettere al sicuro le banche, permettendo alle banche centrali dei singoli Paesi di intervenire con fondi di solidarietà messi a disposizione dal sistema bancario;
   conseguentemente, ad assumere, nel rispetto della normativa europea, iniziative per rinviare l'applicazione del bail-in, in attesa dell'introduzione di una garanzia europea sui crediti delle banche;
   ad assumere ogni iniziativa consequenziale a tutela dei risparmiatori nel caso in cui fosse riscontrata la carenza di presupposti informativi o disparità di trattamento tra risparmiatori.
(1-01163) «Tabacci, Fauttilli, Capelli, Caruso, Fitzgerald Nissoli, Gigli, Piepoli, Santerini, Sberna, Dellai».
(15 febbraio 2016)