TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 566 di Mercoledì 10 febbraio 2016

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Governo italiano non ha ancora comunicato alla Commissione europea né il programma nazionale in materia di gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi ai sensi della direttiva 2011/70/Euratom, né la relazione nazionale sull'applicazione di tale direttiva che si era impegnato a definire entro dicembre del 2014;
   la Commissione europea è pronta ad inviare all'Italia una nuova lettera di messa in mora, atto che apre formalmente la procedura di infrazione per non essersi ancora dotata di un programma nazionale di gestione in sicurezza delle scorie dalla loro generazione fino allo smaltimento finale;
   da parecchi mesi trapelano dagli organi di stampa una serie di indiscrezioni sull'individuazione di possibili siti su cui costruire il futuro deposito nazionale, inseriti nella Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), che dovrà essere approvata dai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico e la cui pubblicazione, prevista per il settembre 2015, è slittata a data da destinarsi;
   sulla definizione prevista per legge del deposito unico nazionale si registra un preoccupante silenzio del Governo e delle strutture collegate a partire dalla Sogin che dopo una costosissima campagna pubblicitaria continua a negare l'elenco dei siti. Sono circa 30 mila i metri cubi di scorie stoccati temporaneamente da nord a sud della Penisola, in attesa di un programma di smaltimento definitivo e in attesa della realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi;
   l'Italia è l'unico paese dell'Unione europea, con Portogallo e Grecia, che ancora non si è dotato di un deposito nazionale per le scorie nucleari e radioattive che ogni giorno vengono prodotte da ospedali e fabbriche. Secondo quanto riportato da organi di informazione, i territori potenzialmente idonei a ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari si trovano nel Sud della Puglia, in alcune aree della Basilicata ionica e del Molise, in qualche zona costiera della Campania, del Lazio e della Toscana, mentre sono escluse per ragioni economiche Sardegna e Sicilia e altre tre regioni come Marche, Umbria ed Emilia Romagna a causa del rischio sismico;
   sono trascorsi 12 anni da quando nel novembre 2003 uno «Studio per la localizzazione di un sito per il deposito nazionale centralizzato per i rifiuti radioattivi» realizzato dalla Sogin, individuò come territorio idoneo ad ospitare tale deposito il sito di Scanzano Ionico in Basilicata. Per il sito di Scanzano Ionico ci furono tali proteste che il progetto venne prima abbandonato e poi rinviato a data da destinarsi e la critica maggiore che fu rivolta allora ai decisori pubblici fu quella di aver deciso senza il coinvolgimento della popolazione locale;
   il Governo deve dire con chiarezza e trasparenza quello che intende fare e non può continuare a sfuggire e delegare su una vicenda delicata. La Basilicata e i comuni dell'Alta Murgia pugliese sono contrari a qualsiasi ipotesi di deposito unico nucleare e la designazione di Matera a Capitale della cultura europea 2019 deve puntare alla valorizzazione del suo paesaggio, delle produzioni agroalimentari e del territorio;
   nonostante la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) e i relativi studi sulle aree potenzialmente idonee effettuati dalla Sogin siano ancora coperti da segreto di Stato e la popolazione lucana sia allarmata sulla base solo di indiscrezioni trapelate tramite organi di stampa, molti comuni dei territori interessati si sono dichiarati comuni denuclearizzati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, quanto prima, di rendere pubblica la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) e quali chiarimenti intenda fornire sui tempi di realizzazione del deposito per tranquillizzare le popolazioni lucane e pugliese e gli amministratori locali. (3-01994)
(9 febbraio 2016)

   ZARATTI, FASSINA, ZACCAGNINI, PELLEGRINO, RICCIATTI, FERRARA, SCOTTO, PANNARALE e DURANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia», ha previsto all'articolo 35, comma 1, l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'individuazione a livello nazionale della capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati, degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati, e l'individuazione di ulteriori impianti di incenerimento da realizzare per coprire il fabbisogno residuo del territorio nazionale;
   il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, passato dalla conferenza Stato-regioni con parere favorevole delle regioni ad esclusione di Lombardia e Campania, prevede la realizzazione di 8 inceneritori, e tutti situati nelle regioni del Centro-Sud: Marche, Umbria, Lazio, Campania, Abruzzo, Sardegna, Sicilia (2 impianti). A questi si aggiunge la previsione per la Puglia di un potenziamento dell'impianto di incenerimento esistente;
   la decisione del Governo di realizzare nuovi inceneritori, ad avviso degli interroganti, scavalca ancora una volta gli enti territoriali e le comunità interessate, e finisce con l'affossare definitivamente gli sforzi che le regioni stanno facendo, e che dovranno fare, per una programmazione virtuosa della gestione dei rifiuti e per la crescita della raccolta differenziata, del riciclaggio e del recupero dei rifiuti stessi;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ribadendo la necessità di nuovi impianti di incenerimento, conferma una politica ambientale che, ad avviso degli interroganti, non trova fondamento in alcuna direttiva europea e, anzi, si pone in netto contrasto con la strategia dell'Unione europea di volta a puntare con decisione sull'economia circolare;
   si ricorda che la normativa comunitaria relativa alla questione dei rifiuti e principalmente la direttiva 2008/98/CE prevede alcuni criteri di priorità nella gestione degli stessi, attraverso la fissazione di una gerarchia che parte dalla prevenzione, seguita da: preparazione per il loro utilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo (ad esempio a fini energetici) e, infine, smaltimento;
   riguardo alla regione Lazio e alla decisione di realizzare un impianto di incenerimento, è di questi giorni la notizia diffusa dall'avvocato Saioni, presidente del consorzio Colari di Manlio Cerroni, sulla possibile riaccensione dell'inceneritore di Malagrotta;
   il territorio di Valle Galeria, devastato per troppi anni sotto l'aspetto ambientale e sanitario dalla presenza della discarica di Malagrotta, la più grande d'Europa chiusa dall'ex sindaco Marino nel 2013, ha urgenza di essere bonificato e riqualificato e non può sopportare un altro impatto ambientale pesantissimo che deriverebbe dall'avvio di un impianto di incenerimento;
   dopo la chiusura della discarica, si è ancora in attesa del piano di bonifica e il monitoraggio ambientale. La Commissione Magva, istituita dall'ex provincia di Roma e finanziata con 3,5 milioni di euro, che avrebbe dovuto verificare lo stato di salute delle matrici ambientali di Valle Galeria, è ferma da anni –:
   se non ritenga indispensabile attivarsi, per quanto di competenza, al fine di escludere la realizzazione di un impianto di incenerimento nel territorio laziale di Valle Galeria e Malagrotta, in quanto area a elevato rischio ambientale e sanitario e in attesa di importanti interventi di bonifica e risanamento ambientale. (3-01995)
(9 febbraio 2016)

   BRAGA, BORGHI, REALACCI, BERGONZI, STELLA BIANCHI, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, COVELLO, DE MENECH, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MASSA, MAZZOLI, MORASSUT, GIOVANNA SANNA, VALIANTE, ZARDINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sempre più spesso si verificano in Italia situazioni anomale connesse all'alternarsi di eventi meteorologici estremi di grande intensità e violenza con periodi di forte siccità. Tali eventi sono senza dubbio legati ai cambiamenti climatici in corso e sollecitano politiche più efficaci e credibili sia sul fronte della mitigazione che sul fronte dell'adattamento agli stessi, conformemente agli impegni presi in sede internazionale e comunitaria dal nostro Paese;
   come emerso anche nelle relazioni scientifiche conclusive alla COP21 di Parigi, non più tardi di due mesi fa, si assiste ad un costante incremento di eventi meteorologici estremi come pioggia, «monostagionalità» e tropicalizzazione con alternate siccità, neve, inondazioni e violente tempeste;
   il riscaldamento globale, inoltre, mette seriamente a rischio la salute pubblica: le ondate di calore come quelle della scorsa estate hanno impatti sulla fascia più anziana della popolazione, che è sempre in aumento. Di fronte a un anno particolarmente caldo, come il 2015 con una temperatura di 1.42 gradi centrigradi in più rispetto alla media, è perciò seriamente critica la situazione che si è verificata in molte parti d'Italia relativamente alla preziosa disponibilità di acqua anche durante i recenti mesi di dicembre e gennaio, sia per uso potabile che per uso agricolo;
   come riportato dai quotidiani nazionali e dalle relazioni mensili delle principali Agenzie regionali per la protezione ambientale, il mese di dicembre 2015 si è chiuso con un calo del 91 per cento delle precipitazioni e spetta a gennaio 2016 il record di siccità. Il primo mese del 2016, infatti, è paragonabile – per pioggia caduta – a un caldo agosto. Evidenti, quindi, gli effetti in città per lo smog, con l'innalzamento dei livelli di polveri sottili, e nelle campagne, dove la natura è interessata da un inverno mai cominciato e che pare piuttosto una primavera inoltrata;
   secondo l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, a causa della mancanza di precipitazioni, già nella prima metà del 2015 sono state 18 le grandi aree urbane ad aver oltrepassato i limiti di legge (soprattutto nell'area padana), e in altre 27 i giorni di sforamento sono stati tra i 10 e i 35;
   a preoccupare sempre di più sono conseguentemente i livelli di laghi e fiumi, pericolosamente al di sotto della media stagionale. Il Po ha una portata d'acqua che di solito viene registrata in estate, almeno due metri al di sotto rispetto a gennaio 2015. È altresì grave anche nei laghi, che a fine gennaio si trovano prossimi ai minimi storici del periodo con il lago Maggiore che è al 17 per cento della sua capacità e il lago di Como che è addirittura sceso al 12 per cento, mentre quello di Garda al 33 per cento; sotto gli occhi di tutti l'insolito panorama delle montagne prive di neve con gravi danni all'industria del turismo invernale. Sui prati montani l'attività vegetativa dei fiori non si è quasi mai interrotta;
   la ravvicinata ciclicità del fenomeno è significativa e preoccupante: 2003-2007-2012-2015 sono anni in cui la Penisola è stata coinvolta da penuria di precipitazioni con danni che si stimano superiori ai 14 miliardi di euro –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza e di concerto con gli altri Dicasteri competenti, intenda mettere in campo per affrontare la citata emergenza siccità, con particolare attenzione ai consumi d'acqua potabile e a quelli agricoli, correlandola alla concomitante emergenza smog delle nostre città. (3-01996)
(9 febbraio 2016)

   DE GIROLAMO, OCCHIUTO e RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2015 la città di Benevento e tutto il territorio del Sannio sono stati colpiti da una grave alluvione in cui sono morte due persone e che ha causato l'esondazione del fiume Calore straripato in città, con pesanti conseguenze che hanno interessato tantissimi comuni delle Valli Vitulanese, Telesina, del Tammaro e del Fortore;
   l'alluvione con la forza devastatrice di acqua e fango ha prodotto una mole enorme di rifiuti;
   i rifiuti creati dall'alluvione hanno generato delle vere e proprie discariche abusive;
   le modalità di smaltimento e trattamento dei rifiuti lasciati dal fango e dalle acque esondate costituisce un peso economico importante per le casse dei comuni;
   è necessaria l'equiparazione dei rifiuti o detriti della calamità naturale a «rifiuti solidi urbani» per attuare le modalità di trattamento e smaltimento degli stessi a quelle ordinarie;
   sarebbe stato necessario dichiarare lo stato d'emergenza nazionale, prevedendo quindi le medesime procedure utilizzate nel caso dell'alluvione che ha colpito i territori di Parma, Piacenza e relative province nel settembre 2015 –:
   quali iniziative intende intraprendere il Ministro interrogato per provvedere a raccolta, trasporto, cernita, selezione, stoccaggio e destinazione finale, garantendo una reale tracciabilità, dei rifiuti generati dall'alluvione, con particolare attenzione a quelli con il carattere della pericolosità, al fine di assicurare una piena tutela della salute e dell'ambiente. (3-01997)
(9 febbraio 2016)

   VIGNALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le edizioni nazionali rispondono alla funzione di valorizzazione del patrimonio di pensiero e di arte comune alla tradizione culturale della nostra nazione;
   a partire dalla fine del 1870 lo Stato Unitario, per iniziativa dell'allora Ministro della pubblica istruzione Francesco De Sanctis, promosse con fondi pubblici la pubblicazione delle opere latine di Giordano Bruno, a cui seguirono le edizioni delle opere di Galileo Galilei e il progetto degli scritti di Machiavelli;
   con la legge 1o dicembre 1997, n. 420 si è inteso ricondurre ad unità l'intervento statale a favore di comitati nazionali per lo svolgimento di edizioni nazionali;
   a tal fine la legge richiamata ha previsto l'istituzione presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo della Consulta dei comitati nazionali e delle edizioni nazionali;
   la consulta dei comitati nazionali e delle edizioni nazionali, di ultima nomina (17 marzo 2015), ha ripartito le risorse disponibili per l'anno finanziario 2015 e per il triennio 2015-2018;
   le risorse economiche ripartite sono di troppo modesto valore considerata l'importante funzione che le edizioni nazionali rivestono nel nostro paese, rispondendo esse «alla fondamentale esigenza scientifica di garantire la tutela, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio letterario e di pensiero costituito dei nostri autori...», così come riportato dallo stesso sito Internet del il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, direzione generale biblioteche e istituti culturali;
   peraltro, a fronte di tale esiguo o nullo finanziamento, permangono a carico dei proponenti, obblighi di legge eccessivamente onerosi –:
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere iniziative volte a incrementare il finanziamento per le edizioni nazionali, anche alla luce delle maggiori risorse derivanti dalla legge di stabilità, legge 28 dicembre 2015, n. 208, ed in particolare dal comma 335 dell'articolo 1. (3-01998)
(9 febbraio 2016)

   DI BATTISTA, VACCA, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA e D'UVA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Maxxi, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, nasce con la legge istitutiva 12 luglio 1999 n. 237, articolo 1, come «Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee» del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sotto la direzione della Direzione generale per l'arte e l'architettura contemporanee;
   nel 2009 viene trasformata in una Fondazione di diritto privato; la fondazione si dota di uno statuto e svolge i compiti attraverso la realizzazione, la gestione e la promozione dei musei Maxxi Arte e Maxxi Architettura;
   il 13 aprile 2012 la fondazione viene commissariata per un deficit di 11 milioni di euro nella previsione di conto economico 2012/2014, deficit causato dalla mancata erogazione del finanziamento dello stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che rispetto al 2010 era stato decurtato del 43 per cento;
   dopo soli 5 mesi di lavoro e un contributo aggiuntivo di 1 milione di euro da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il commissario presenta una relazione in cui i conti del Maxxi risultano risanati: ricavi per 8.561.962,00 euro a fronte di 5.517.274,00 euro previsti da Baldi e costi per 8.560.551,42 euro contro 8.310.000 euro con un guadagno di 1.410,58 euro complessivi;
   terminato il commissariamento, il 12 ottobre 2012 il Ministro pro tempore Ornaghi nomina presidente della fondazione Maxxi Giovanna Melandri e rifinanziare il Maxxi con 6 milioni di euro;
   la nomina, nonostante polemiche bipartisan, viene confermata. Tra gli altri critici meritano di essere citati: l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, si dichiarò contrario alla nomina di Melandri dichiarando «Della serie facciamoci del male, io non l'avrei fatto. C’è una vita fuori dalla politica – ha aggiunto – c’è un mondo, la bellezza delle relazioni, mettersi in gioco nel privato, come è possibile che ci sia ancora una via d'uscita come il Maxxi quando esci dal Parlamento?». «Il Ministro Ornaghi e la Melandri – sottolineò Renzi – hanno sbagliato, dopodiché ognuno farà quello che gli pare. Non credo si sia fatto un favore al Maxxi».E l'allora responsabile cultura del PD, Matteo Orfini, dichiarò «Il MAXXI non ha bisogno né di un commissario né di un nuovo direttore, semmai di un ministero che si impegni a sostenerne seriamente il lavoro»;
   la Melandri accettò, dichiarando «accolgo questa proposta in puro spirito di servizio» e aggiunse «credo che il compenso che percepirò saranno 90 euro, e qualcosa di più all'anno»;
   dal novembre 2012, dopo l'insediamento di Giovanna Melandri, il consiglio d'amministrazione nomina segretario generale del Maxxi, Francesco Spano, già collaboratore parlamentare della stessa Melandri;
   nel 2013 la fondazione, entrando a far parte degli enti di ricerca, riesce ad aggirare il divieto di retribuzione del presidente. Il consiglio d'amministrazione della Fondazione, di cui Melandri è presidente, approva quindi il 6 novembre 2013, una delibera che concede al presidente uno stipendio fisso di 91.500 euro lordi e un premio di produzione variabile;
   nella stessa delibera del consiglio d'amministrazione, presieduto da Melandri (che si astenne), si è previsto un ulteriore ammontare quale componente variabile (premio) da determinarsi in «misura fissa»;
   il bonus in questo caso è al netto delle tasse ed è in funzione dell'incremento «rispetto al precedente esercizio della sommatoria delle voci di proventi quali: I) biglietteria; II) Contributi di gestione; III) sponsorizzazioni; IV) altri ricavi e proventi»;
   se l'incremento va dal 5 al 15 per cento, il premio è di 12 mila euro (netti), se raggiunge la forchetta 15-20 arriva a 18mila euro; se si pone tra il 25 e il 30 per cento il presidente prende un premio di 24 mila euro netti. Solo se l'incremento delle quattro voci avesse superato 30 per cento, il premio sarebbe stato «quanto deliberato dal Cda»;
   poiché la delibera portava la data del 6 novembre 2013, l'eventuale premio sarebbe dovuto scattare dall'anno 2014, il bonus, al contrario, è stato erogato, prendendo in considerazione gli incrementi dal 2012 al 2013, ed inspiegabilmente è stato quantificato in 24 mila euro, somma prevista per un incremento dal 25 al 30 per cento nonostante dai bilanci emerga un incremento del 14 per cento;
   dalla lettura del bilancio emerge, inoltre, che nello stesso periodo considerato, a fronte di una diminuzione degli incassi della biglietteria vi è un considerevole incremento dei fondi pubblici (di 4 milioni e 286 mila euro dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e 500.000 euro dalla regione Lazio);
   in merito, a Il Fatto Quotidiano la Melandri replicò: «Il premio approvato dal Cda è collegato unicamente agli incrementi di risorse private che siamo stati capaci di raccogliere, quali sponsorizzazioni, cena di fund raising, il programma di individual and corporate friends»;
   da notizie di stampa risulta, inoltre, che la citata delibera che incluse la fondazione tra gli enti di ricerca è stata, dapprima, annullata sulla base di un parere negativo del ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, provvedimento poi ritirato in autotutela sulla base di un ulteriore parere espresso dal capo dell'ufficio legislativo del Ministro, sostenuto da un parere favorevole sullo status di ente di ricerca di Emanuele Fidora, direttore generale della ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga opportuno sostituire Giovanna Melandri alla presidenza della Fondazione Maxxi. (3-01999)
(9 febbraio 2016)

   GIGLI e SBERNA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 229 del 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13 comma 3, lettera b), che vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche e comma 4, che prevede reclusione fino a sei mesi e multe fino a 150 mila euro per chi viola le norme;
   nella citata sentenza giudici della Suprema Corte hanno dichiarato, invece, non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, che contempla i limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni, nella parte in cui vieta la crioconservazione e la soppressione di embrioni e prevede la reclusione fino a sei mesi e multe fin a 150 mila euro per chi commette reato;
   per i giudici della Consulta, infatti, «la malformazione degli embrioni non ne giustifica, e solo per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani creati in numero superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto» e si prospetta quindi «l'esigenza di tutelare la dignità dell'embrione, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione». «L'embrione, infatti – scrivono i Giudici della Corte costituzionale – quale che ne sia il più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico»;
   in precedenza con la sentenza n.162 del 9 aprile 2014, depositata il 10 giugno, la Corte costituzionale aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 4, comma 3, della legge n. 40/2004, nella parte in cui stabilisce il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili, abbattendo anche quello che per molti era l'ultimo pilastro della normativa italiana sulla fecondazione assistita, ovvero il divieto di utilizzare gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente il trattamento (ovvero il divieto alla feconda eterologa);
   non vi è dubbio che si stia assistendo ad uno «smantellamento» dei capisaldi della legge n. 40 del 2004 attraverso le pronunce dei giudici di qualsiasi grado;
   riguardo alla fecondazione eterologa, la onerosità e la pericolosità delle procedure di prelievo stanno creando difficoltà nel reperimento di gameti femminili attraverso vere donazioni, tali da aver indotto alcune regioni, tra cui Toscana e Friuli Venezia Giulia ad acquistare gameti all'estero;
   il reperimento di gameti in banche estere è oneroso per le finanze pubblica (circa 4.000 euro a gamete, per un intervento che spesso deve essere ripetuto) e pone seri dubbi sullo sfruttamento di condizioni di povertà delle donne che si sottopongono al prelievo di ovuli, aggirando la legislazione italiana che vieta il commercio di qualunque materiale biologico, compresi sangue, tessuti e organi;
   le sollecitazioni indirizzate al Legislatore dalla Corte costituzionale al fine di introdurre apposite disposizioni in materia, non hanno prodotto gli interventi richiesti ed auspicati;
   l'emanazione il 1o luglio 2015 da parte del Ministero della salute del decreto di aggiornamento delle «Linee guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita», pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 161 del 14 luglio 2015, non ha contribuito a chiarire la materia;
   le nuove opportunità oggi offerte alle coppie di accedere ad ulteriori applicazioni di fecondazione assistita, proprio a seguito dei numerosi interventi giurisprudenziali qui richiamati, dovrebbe, per coerenza ed armonia di sistema, condurre a rimuovere taluni persistenti impedimenti ancora contenuti nella legge n. 40;
   è il caso dell'indeterminatezza della condizione degli embrioni soprannumerari;
   in conseguenza della sentenza n. 151 del 2009 Corte costituzionale che ha aperto alla produzione degli embrioni soprannumerari e al loro congelamento, in Italia sono circa 60 mila soprannumerari gli embrioni crioconservati e il loro numero è in continuo aumento;
   per tremila embrioni non impiantati e congelati è stato dichiarato lo stato di «abbandono» nei vari centri di procreazione medicalmente assistita;
   l'inevitabile spreco degli embrioni soprannumerari, derivanti da un impianto parziale di quelli in precedenza prodotti per avviare una fecondazione omologa o anche eterologa, cui si aggiungono quelli in precedenza selezionati per essere affetti da gravi patologie genetiche, pone l'ulteriore questione, su cui parimenti la legge n. 40 tace, relativa ad un loro successivo impiego per fini adottivi, a beneficio di altre coppie (sterili/infertili o anche fertili) diverse da quelle che li abbiano generati;
   l'opportunità di favorire l'adozione per la nascita degli embrioni eccedentari, che richiederebbe un appropriato intervento normativo, è stata pure sollecitata dal Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) potendo, sia pure parzialmente, «risolvere il problema bioetico degli embrioni residuali» e offrire anche una valida alternativa alla stessa fecondazione eterologa, ancora vietata al tempo (eravamo nel 2005) della manifestazione di questo parere;
   nella prospettiva di una inevitabile dissoluzione degli embrioni soprannumerari, a seguito del loro abbandono da parte delle coppie legittimate, la possibilità offerta agli stessi di poter continuare ad esistere all'esito di una loro adozione (nonostante la non corrispondenza genetica con la donna che sarebbe disposta ad accoglierli nel proprio grembo) finisce per rendere del tutto irragionevole il persistente silenzio serbato dalla legge n. 40 al riguardo;
   la disponibilità di embrioni a seguito di una esplicita dichiarazione di abbandono da parte della coppia legittimata ad impiegarli, ovvero del superamento di un determinato limite temporale, potrebbe realizzare le condizioni per una loro «donazione per l'adozione», finalizzata ad un loro «impianto» ovvero «accoglienza» per consentirne la maturazione fino alla nascita da parte di altre coppie interessate;
   nel rispetto ovviamente di tutte le opportune garanzie, dirette ad assicurare la regolarità della procedura di donazione, che potrebbe prevedere ad esempio il previo intervento del Tribunale dei minorenni, l'auspicio di evitare lo spreco e il successivo abbandono degli embrioni crioconservati potrebbe pure giustificare la possibilità di estendere l'impianto alle donne single, a somiglianza della pratica di adozione monogenitoriale oggi consentita dall'articolo 44 della legge sull'adozione n. 184 del 1983, sia pure, in quest'ultimo caso, in presenza di particolari condizioni;
   la possibilità di accesso a embrioni resi disponibili per l'adozione, permetterebbe tra l'altro di risolvere il problema della disponibilità di gameti e di evitare il commercio di essi e lo sfruttamento del corpo di donne povere che lo rende possibile, sia pure residenti all'estero –:
   quali siano gli intendimenti del Governo in relazione alla sorte degli embrioni sopranumerari, con particolare riguardo all'assunzione di iniziative concernenti la loro adottabilità e l'applicazione della vigente disciplina recata dalla citata legge 4 maggio 1983, n. 184 in tale materia. (3-02000)
(9 febbraio 2016)

   MONCHIERO e RABINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 7 gennaio 2016 sono iniziate le operazioni che hanno portato allo sgombero completo dei detenuti e del personale del carcere «Giuseppe Montalto» di Alba, per consentire la bonifica dell'impianto idrico, delle condotte e dell'impianto di condizionamento dei locali, in seguito all'accertamento – dalla fine del 2015 – di tre casi di legionella: un trasferimento deciso e organizzato dal Provveditorato regionale, che riguarda 122 reclusi (22 dei quali collaboratori di giustizia e 112 agenti di polizia penitenziaria);
   si tratta del primo caso in Italia per cui si è reso necessario lo sgombero di tutta una struttura per prevenire il pericolo di contrarre una malattia infettiva;
   i primi 15 detenuti sono stati trasportati nella casa di reclusione di Fossano; gli altri sono stati trasferiti nelle strutture di Saluzzo, Alessandria San Michele, Vercelli e Cuneo; per quanto riguarda i collaboratori di giustizia, invece, il piano è ancora in via di definizione, dal momento che questi fanno parte di un circuito detentivo gestito direttamente dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria;
   la legionella è un batterio che si sviluppa nei condizionatori d'aria e soprattutto nell'acqua a determinate temperature, più facilmente in condutture obsolete, che presentano svariate criticità;
   non è la prima volta che si registrano casi del genere nell'istituto albese, una costruzione recentissima e tuttavia profondamente segnata dal tempo e da un utilizzo che supera la capacità prevista in progetto (circa 100 ospiti): già in passato a contrarre il batterio erano stati un altro detenuto e un agente. I sindacati della polizia penitenziaria hanno più volte sollecitato l'amministrazione penitenziaria a provvedere alle verifiche della struttura, senza mai ottenere risposte concrete e, conseguentemente, misure efficaci;
   appare singolare che in una costruzione realizzata 30 anni fa non sia possibile effettuare lo shock termico nelle tubature dell'acqua per eliminare le colonie di legionella, tanto più che la struttura carceraria è stata recentemente oggetto di un importante intervento di ristrutturazione, al fine di dare adeguata accoglienza ai detenuti collaboratori di giustizia;
   la situazione non è più sostenibile e richiede una soluzione radicale: la tutela della salute rappresenta infatti uno dei diritti fondamentali (per le persone recluse, per gli agenti di polizia penitenziaria, ma anche per tutti coloro che a vario titolo, educatori e volontari, interagiscono con la struttura), cui le istituzioni devono porre la massima attenzione;
   sono davvero preoccupanti le condizioni igienico – sanitarie in cui versano in generale le carceri italiane: secondo una recente indagine, almeno una patologia infettiva è presente nel 60-80 per cento dei detenuti presenti nei nostri penitenziari (questo significa che almeno due persone su tre sono malate);
   ciò fa comprendere in quali «polveriere» lavorino le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, spesso senza alcuna tutela sanitaria;
   l'evacuazione del carcere di Alba ha fatto sorgere il dubbio tra gli operatori addetti e le comunità locali che l'amministrazione intenda abbandonare definitivamente la struttura: soluzione assurda per una costruzione così recente –:
   come intenda garantire la tempestività e la definitività dei provvedimenti per la bonifica e messa in sicurezza dei locali suddetti, al fine di consegnare quanto prima alla collettività un carcere risanato. (3-02001)
(9 febbraio 2016)

   TAGLIALATELA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI e TOTARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 610, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità per il 2016, prevede che i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori onorari il cui mandato scada il 31 dicembre 2015, nonché i giudici di pace il cui mandato scada il 31 maggio 2016, possano proseguire nell'esercizio delle loro funzioni fino alla riforma organica della magistratura onoraria e non oltre il 31 maggio 2016;
   la norma, in particolare, riguarda quei magistrati appartenenti alle citate categorie per i quali non siano consentite ulteriori conferme in base alla legislazione vigente;
   in merito, l'articolo 42-quinquies, primo comma, dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, dispone che l'incarico di giudice onorario di tribunale abbia la durata di tre anni e che il suo titolare possa essere confermato una sola volta, mentre la legge 21 novembre 1991, n. 374, in materia di giudici di pace prevede che il magistrato onorario che esercita le funzioni di giudice di pace duri in carica quattro anni e possa essere confermato per due ulteriori mandati, ciascuno di quattro anni, «salva comunque la cessazione dall'esercizio delle funzioni al compimento del settantacinquesimo anno di età»;
   in sede di applicazione del citato comma 610 si è riscontrato un problema relativo alla esatta individuazione della platea dei soggetti destinatari della proroga, posto che i recenti interventi legislativi sull'età pensionabile dei magistrati sono stati oggetto di differenti interpretazioni da parte del Consiglio di Stato e del Consiglio superiore della magistratura;
   di conseguenza non è chiaro se la proroga possa essere applicata anche a coloro i quali abbiano già superato il settantaduesimo anno di età o meno, in ossequio alla norma contenuta nel decreto-legge n. 83 del 2015 che, tuttavia, non ha modificato la disposizione originaria in ordine alla cessazione del mandato al compimento del settantacinquesimo anno;
   è evidente che una interpretazione restrittiva dell'applicabilità della proroga ridurrà ulteriormente il numero dei giudici di pace in servizio, fissato dalla legge n. 374 del 1991 in 5100 unità e che, invece, allo stato si compone di appena 1700 soggetti, aggravando e rallentando ulteriormente il lavoro degli uffici;
   appare indispensabile sanare tale incertezza interpretativa al fine di consentire l'effettività della proroga disposta dall'articolo 1, comma 610, della legge di stabilità per l'anno 2016 –:
   se non ritenga di promuovere l'adozione di una norma di interpretazione autentica, al fine di chiarire l'effettiva platea di destinatari della norma di cui in premessa. (3-02002)
(9 febbraio 2016)

   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con nota inviata via pec il 14 gennaio 2016, il sindaco di Brugnera comunicava alla prefettura di Pordenone che il sig. Aboubacar Intagada non era stato ammesso a prestare il giuramento per la cittadinanza italiana, ai sensi dell'articolo 10 della legge n. 91/1992, in quanto, pur essendo in Italia da oltre vent'anni, l'interessato non conosce la lingua italiana e, dunque, non era in grado di comprendere e di pronunciare la relativa formula di rito;
   con lettera del 2 febbraio scorso, il prefetto di Pordenone invitava il sindaco a procedere celermente agli adempimenti di legge con l'acquisizione del giuramento del signor Aboubacar Intagada, precisando che «nel sistema delineato dal legislatore non è dato rinvenire norme che attribuiscano funzioni di accertamento al di fuori della fase istruttoria di competenza del Ministero (...)»;
   in altri termini secondo il prefetto, poiché a norma di legge il decreto di concessione della cittadinanza «viene emesso a conclusione di un procedimento in relazione al quale è attribuito al Ministero dell'interno il potere/dovere di valutare l'idoneità del richiedente ad entrare a far parte del novero dei cittadini italiani e la sussistenza di un interesse pubblico ad ammettervelo» non può un sindaco, pur soggetto che esercita funzioni statali nella qualità di ufficiale di governo, sollevare obiezioni di sorta, neanche evidenziare che l'interessato non è in grado di prestare giuramento di fedeltà alla repubblica e di osservanza alla Costituzione in lingua italiana;
   a norma di legge il giuramento deve essere prestato entro sei mesi dalla notifica del decreto, pertanto a parere degli interroganti è assurdo ed inconcepibile concedere la cittadinanza a chi, non solo abbia rifiutato di imparare la nostra lingua pur risiedendo da oltre dieci anni sul nostro territorio, ma addirittura non abbia imparato una frase di rito in un lasso di tempo di sei mesi;
   la vicenda, peraltro, non è neanche un caso isolato, perché già in precedenza altri sindaci – di diversi schieramenti politici – si son ritrovati in simili situazioni –:
   se non ritenga che il sindaco, quale ufficiale di Governo, possa opporsi al decreto di cittadinanza ovvero richiedere la sospensione dell’iter di concessione e/o il rinvio qualora accerti che l'interessato non conosca la lingua italiana, la frase di rito per prestare giuramento e tantomeno il significato intrinseco della medesima frase e, in caso di risposta negativa, se non convenga sull'opportunità di esonerare i sindaci da tale funzione atteso che il sindaco è considerato un mero esecutore di atti altrui, delegando all'uopo un commissario ad acta. (3-02003)
(9 febbraio 2016)