TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 556 di Mercoledì 27 gennaio 2016

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO AL CORRETTO UTILIZZO DEI DISPOSITIVI DI RILEVAZIONE AUTOMATICA DELLA VELOCITÀ E ALLA DESTINAZIONE DEI PROVENTI DERIVANTI DAL RELATIVO SISTEMA SANZIONATORIO

   La Camera,
   premesso che:
    l'uso degli autovelox per accertare il superamento dei limiti di velocità è diventato per molti enti locali, di fatto, uno strumento sicuro per garantirsi entrate supplementari destinate agli scopi più disparati, essendo tali apparecchiature assai di frequente utilizzate in modo subdolo dai comuni, non tanto a scopo preventivo o dissuasivo, quanto al puro scopo di multare il maggior numero di automobilisti ed aumentare in questo modo le entrate derivanti dalle sanzioni in favore dei bilanci degli enti;
    i limiti di velocità su diversi tratti stradali sono spesso discutibili e altalenanti, e la collocazione degli impianti di rilevazione automatica risulta talvolta arbitraria, se non, in qualche caso, persino pericolosa, poiché induce gli automobilisti a bruschi rallentamenti della velocità;
    la Corte costituzionale (sentenza n. 113 del 2015) ha stabilito che gli strumenti tecnici di misurazione elettronica sono di dubbia funzionalità se non sono sottoposti a manutenzione e a verifiche periodiche e che «fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l'affidabilità delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale»;
    a molte cattive prassi si contrappongono alcuni comportamenti di segno opposto, come quello messo in atto dal sindaco di Padova, che ha annullato decine di migliaia di sanzioni, provenienti da autovelox, ritenendo prima necessario procedere a una verifica della regolarità degli impianti;
    molti comuni, poi, per evitare il contraccolpo di impopolarità prodotto da queste condotte sulla popolazione residente, installano gli apparecchi di rilevazione automatica principalmente sui tratti delle strade statali che attraversano il loro territorio di competenza, in modo da poter colpire il maggior numero possibile di automobilisti di passaggio;
    secondo il codice della strada i comuni stessi dovrebbero inviare ogni anno una relazione telematica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministero dell'interno su quanto incassano con queste multe e destinare una quota del 50 per cento di queste entrate, provenienti da sanzioni comminate attraverso l'utilizzo degli autovelox, «alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale, nel rispetto della normativa vigente relativa al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego e al patto di stabilità interno», come recita l'articolo 142 del codice della strada;
    entrambi i suddetti obblighi restano disattesi nella stragrande maggioranza dei casi e tale comportamento, come di recente ha sottolineato l'Aci, distrae una fondamentale quantità di risorse a voci come la manutenzione delle infrastrutture stradali o i controlli di sicurezza;
    attualmente non esistono sanzioni da poter applicare ai comuni che non rispettino queste previsioni normative,

impegna il Governo:

a mettere fine al più presto a questo utilizzo distorto degli strumenti per la sicurezza degli automobilisti, che viene impropriamente finalizzato ad alimentare le entrate nelle casse dei comuni, e che, paradossalmente, proprio attraverso la sottrazione di somme importanti da destinare a scopi come la manutenzione stradale, lede in primo luogo la sicurezza stradale stessa dei cittadini, adottando iniziative normative per fare rispettare da parte dei comuni quanto disposto dal codice della strada sia in merito alla relazione telematica che i comuni stessi devono inviare ogni anno ai Ministeri delle infrastrutture e trasporti e dell'interno, sia in ordine all'obbligo di destinare il 50 per cento di questi proventi delle multe alla sicurezza stradale, attraverso l'introduzione di un sistema di sanzioni, efficace ed immediatamente applicabile ai comuni che non adempiano agli obblighi previsti dalle norme in vigore.
(1-01085)
«Baldelli, Garofalo, Catalano, Attaguile, Fauttilli, Rampelli, Palese, Abrignani, Biasotti, Occhiuto, Alberto Giorgetti, Polverini, Squeri, Nizzi».
(17 dicembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la sicurezza stradale impone la realizzazione di un complessivo ed efficiente sistema normativo che non può limitarsi a disporre misure repressive e deterrenti, ma richiede un intervento anche di tipo formativo, stabile, organizzato, accessibile a tutti, per la creazione di una cultura della sicurezza e della prevenzione stradale e la conseguenziale riduzione della mortalità e del ferimento di persone, attraverso la migliore preparazione del conducente;
    studi, europei e comparati, in materia, indicano tra le strategie maggiormente funzionali per la garanzia di sicurezza il miglioramento dell'educazione stradale e della preparazione degli utenti della strada, contestualmente all'implementazione della qualità del sistema di rilascio delle patenti e di formazione, anche post-patente;
    occorre una normativa pertinente per ogni fattore di rischio che valorizzi l'incidenza del comportamento umano e miri all'istituzione anche di centri per la guida sicura al fine di preparare il conducente a tenere comportamenti corretti alla guida del veicolo in presenza di situazioni di rischio e di emergenza e di diffondere i principali movimenti tecnici di guida per il miglioramento della sicurezza stradale in dette condizioni;
    allo stato attuale manca in Italia una normativa sistematica che regoli i corsi di guida sicura, disciplini in modo compiuto i limiti alla guida per particolari categorie di soggetti, ritenuti a maggior rischio di pericolosità rispetto alla incidentalità, e tuteli categorie di utenti più vulnerabili, quali pedoni, ciclisti e utilizzatori delle due ruote a motore, esposti a rischi più elevati;
    ancora nella prospettiva di migliorare la sicurezza stradale e contrastare il fenomeno dell'incidentalità è anche consentito il ricorso a dispositivi automatici di controllo;
    il codice della strada – decreto legislativo n. 285 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni – dispone, invero, all'articolo 45, che per la determinazione dell'osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova, tra le altre, le risultanze di apparecchiature anche per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, a condizione che siano debitamente omologate e le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità siano preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi;
    al riguardo, anche la circolare del 14 agosto 2009 del Ministero dell'interno dispone direttive per garantire un'azione coordinata di prevenzione e contrasto dell'eccesso di velocità sulle strade;
    da ultimo, la Corte costituzionale, con sentenza n. 113 del 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 45, comma 6, del codice della strada, per mancata previsione per tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento dei limiti di velocità dell'obbligo di verifiche di funzionalità e di taratura;
    manutenzione e verifiche periodiche costituiscono garanzia di affidabilità dei dispositivi automatici e della fede pubblica che si ripone nella relativa attività di accertamento;
    sempre più spesso, tuttavia, la magistratura e la cronaca danno conto di usi distorti di tali dispositivi per l'assenza di manutenzione, verifiche e tarature di legge, per la stessa collocazione degli impianti di rilevazione automatica, considerata irregolare, se non addirittura pericolosa, sfornita della segnaletica prescritta, più idonea a trasformare detti apparecchi in strumenti a garanzia di entrate sicure a favore dei bilanci degli enti utilizzatori sovente da destinare a scopi diversi da quelli imposti;
    dalle recenti dichiarazioni dello stesso presidente dell'Automobile Club d'Italia, Angelo Sticchi Damiani, emerge come spesso gli autovelox e gli altri sistemi di rilevamento della velocità dei veicoli siano «non sempre posizionati per indurre al rispetto dei limiti di velocità, ma anche per fare cassa in un momento per gli enti locali certamente non facile». In particolare, lo stesso Sticchi Damiani sottolinea come i soldi per la sicurezza stradale ci siano «ma troppi Comuni destinano ad altre voci quanto previsto dalla legge a favore degli automobilisti. Per garantire l'osservanza della norma è opportuno prevedere pesanti misure sanzionatorie per le Amministrazioni inadempienti»;
    la finalità costituita dal miglioramento della sicurezza stradale deve, invece, essere l'interesse pubblico primario da perseguire, anche in considerazione della destinazione della somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie imposta a mente dell'articolo 142 del codice della strada che, il comma 12-ter, aggiunto dall'articolo 25, comma 1, lettera d), della legge 29 luglio 2010, n. 120, individua nella realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché nel potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale;
    l'ammontare complessivo dei proventi e gli interventi realizzati a valere su tali risorse, con la specificazione degli oneri sostenuti per ciascun intervento, devono essere oggetto di una specifica relazione che ciascun ente locale, entro il 31 maggio di ogni anno, deve trasmettere in via informatica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno. È altresì previsto che la percentuale dei proventi spettanti sia ridotta del 90 per cento annuo nei confronti dell'ente che non trasmetta detta relazione, ovvero che utilizzi i proventi in modo difforme da quanto previsto. Tali inadempienze rilevano ai fini della responsabilità disciplinare e per danno erariale e devono essere segnalate tempestivamente al procuratore regionale della Corte dei conti;
    i suddetti obblighi restano largamente disattesi senza alcuna sanzione, omettendo ogni dovuta trasparenza ed implicando troppo spesso la distrazione delle risorse destinate alla manutenzione delle infrastrutture stradali e ai controlli di sicurezza;
    sia l'introduzione di una normativa per l'istituzione di centri per la guida sicura, sia la garanzia del regolare funzionamento delle apparecchiature e il loro corretto utilizzo con maggiore effettività delle relative sanzioni punitive in funzione della sicurezza e della manutenzione stradale si iscrivono coerentemente ed efficacemente nell'ambito della strategia europea che si è posta, in un rapporto della commissione, l'obiettivo di dimezzare entro il 2020 il numero di vittime della strada rispetto al 2010 e nel «Libro bianco dei trasporti», si propone di avvicinarsi entro il 2050 all'obiettivo «zero vittime» nel trasporto su strada, implementando la sicurezza in tutti i modi di trasporto,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa necessaria, anche di tipo normativo, volta a destinare la parte di spettanza ministeriale dei proventi delle sanzioni derivanti dall'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità per il miglioramento e l'implementazione della sicurezza stradale e della tutela di categorie di utenti più vulnerabili mediante il finanziamento anche di misure formative di prevenzione – fra cui corsi di formazione per la guida nelle scuole e corsi di guida sicura – per incentivare e sviluppare una cultura consapevole della sicurezza stradale;
   ad assumere ogni iniziativa necessaria per garantire il regolare funzionamento delle apparecchiature impiegate nell'accertamento dei limiti di velocità, attraverso verifiche e tarature di legge, e porre fine ad un uso distorto delle stesse, impedendo il loro utilizzo a meri scopi di cassa degli enti utilizzatori che distraggono le somme rivenienti dalle relative sanzioni dagli imposti scopi di manutenzione e controllo stradale, anche mediante adozione di incisivi interventi normativi per assicurare il rispetto delle prescrizioni del codice della strada in merito alla destinazione dei proventi delle sanzioni;
   ad adottare iniziative normative a garanzia del rispetto del prescritto obbligo di relazione telematica a carico degli enti utilizzatori di apparecchiature impiegate nell'accertamento dei limiti di velocità da inviare ogni anno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno, introducendo l'obbligo di pubblicazione della stessa on-line sul relativo sito istituzionale, nella sezione «Amministrazione trasparente», e un sistema di sanzioni in danno degli enti che non vi provvedano;
    ad adottare iniziative normative al fine di consentire la consultazione – sulla base di criteri temporali, territoriali, con disaggregazione a livello comunale, provinciale e regionale, e per tipologia di infrazione – dei dati relativi all'entità delle sanzioni comminate nell'anno precedente, mediante trasmissione in via telematica al Ministero dell'interno, che provveda alla successiva pubblicazione degli stessi dati in un'apposita sezione del proprio sito istituzionale in un formato di tipo aperto, secondo le indicazioni di cui alla lettera a), comma 3, dell'articolo 68 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni.
(1-01104)
(Nuova formulazione) «De Lorenzis, Liuzzi, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, D'Incà».
(25 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    nella circolazione stradale l'Italia ha il tasso di incidentalità e di mortalità più elevato tra i grandi Paesi europei e sopra la media comunitaria;
    nel 2014 sono stati registrati 177.031 incidenti con 251.147 feriti e ben 3381 morti, in aumento rispetto al 2013; nel 2015 si rileva un ulteriore e drammatico incremento dei sinistri e del numero dei decessi;
    l'eccesso di velocità è la seconda causa di incidente dopo la distrazione, ma è la prima causa negli incidenti più gravi; la combinazione dei due fattori, distrazione ed eccesso di velocità, è la principale causa di morte sulle strade;
    gli incidenti, i morti e i feriti, sono in aumento nelle strade urbane, dove – in particolare per la presenza di pedoni – occorre moderare la velocità e far rispettare i limiti e le altre regole previste dal codice della strada; l'indice di mortalità dei pedoni è quattro volte superiore a quello degli occupanti le autovetture e l'investimento dei pedoni è una delle principali cause di morte sulle strade, in particolare per velocità eccessiva e per l'effetto che la stessa ha sull'impatto;
    le vittime diminuiscono solo sulle autostrade grazie ai sistemi di rilevamento automatico della velocità e al conseguente maggior rispetto dei limiti previsti;
    per la riduzione degli incidenti stradali e del numero dei morti sulla strada è fondamentale un rigoroso ed efficace sistema di controllo e la repressione dei comportamenti scorretti;
    come dimostra l'esperienza del tutor in autostrada, la diffusione e costanza dei controlli esercitano al contempo una funzione di prevenzione e di vigilanza;
    per la sicurezza della circolazione, il codice della strada prescrive che l'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità sia effettuato attraverso l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità ovvero di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni;
    le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, come previsto dal regolamento di esecuzione del codice della strada;
    i sistemi di controllo automatico della velocità o di altre gravi infrazioni sono diventati, al pari di altri, strumenti irrinunciabili per determinare un generalizzato rispetto delle regole e una riduzione degli incidenti, come dimostra l'esperienza di altri grandi Paesi europei;
    l'abuso o l'uso scorretto di strumenti di controllo sistematico delle infrazioni può generare ingiustizie e indebolire l'efficacia dell'azione per cui sono utilizzati, essenzialmente il rispetto delle regole e non le entrate economiche dell'amministrazione che li impiega; pertanto è necessario contrastare gli abusi e correggere l'uso improprio di questi preziosi strumenti;
    a norma dell'articolo 142 del nuovo codice della strada, i proventi delle sanzioni per violazioni dei limiti massimi di velocità, accertate mediante sistemi di rilevamento della velocità o mediante dispositivi di controllo a distanza delle violazioni, sono attribuiti – nelle strade che non siano in concessione – in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni, e all'ente da cui dipende l'organo accertatore; gli enti locali e territoriali devono utilizzare la quota dei proventi ad essi destinati nella regione nella quale sono stati effettuati gli accertamenti;
    in base al comma 12-ter del medesimo articolo 142 del codice, gli stessi enti a cui sono attribuiti i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie devono destinarli alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale impegnato in questo fondamentale compito; l'impiego di tale risorse deve tener conto dell'esigenza di contenere la spesa pubblica e di rispetto del patto di stabilità interno;
    ciascun ente locale ha, per legge, l'obbligo di trasmettere in via informatica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno, entro il 31 maggio di ogni anno, una relazione in cui sono indicati, con riferimento all'anno precedente, l'ammontare complessivo dei proventi di tali sanzioni di propria spettanza, e gli interventi realizzati a valere su tali risorse, specificando gli oneri sostenuti per ciascun intervento, la violazione dell'obbligo di trasmettere tale relazione ovvero del vincolo all'utilizzo dei proventi come previsto implica, per l'ente inadempiente, la riduzione della percentuale dei proventi assegnati in misura pari al 90 per cento per ciascun anno nel quale sia riscontrata una delle predette inadempienze; non solo: tali inadempienze rilevano ai fini della responsabilità disciplinare e per danno erariale e devono essere segnalate tempestivamente al procuratore regionale della Corte dei conti;
    è opportuno che a tali finalità – realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture e degli impianti stradali, potenziamento dei controlli e dell'accertamento delle violazioni – siano dedicate la maggior quantità di risorse possibili, fino a raggiungere l'obiettivo – impiegando per tali finalità anche il 100 per cento dei proventi – di una concreta e strutturale riduzione dell'incidentalità ed in particolare degli indici di lesività e di mortalità, in modo da collocare l'Italia tra i Paesi europei con le strade più sicure;
    i dispositivi per il controllo elettronico della velocità e le norme che regolano l'impiego di tali strumenti creano un rapporto virtuoso tra la ragionevolezza della norma, il trasparente e costante sistema di controllo, la prontezza e la proporzionalità delle sanzioni, l'utilizzo efficace dei proventi delle medesime così da ridurre le infrazioni, i danni, il numero e l'onere delle sanzioni;
    regole scritte male o applicate in modo non corretto, controlli o sanzioni vessatori possono compromettere l'effettività e l'efficacia delle norme e del sistema, con effetti perversi, ma occorre contrastare e porre immediato rimedio a fenomeni distorsivi delle regole e del sistema dei controlli, non sgretolare l'intero sistema,

impegna il Governo:

   a promuovere l'uso di strumenti telematici di controllo delle infrazioni al codice della strada, con particolare attenzione all'accertamento delle infrazioni più pericolose e ai tratti stradali dove si registra il maggior numero di incidenti, nonché a quelli che presentano rischi più elevati per utenza vulnerabile e per gli insediamenti che si affacciano sulle strade;
   nel caso di utilizzo sistematico o fisso di strumenti telematici di controllo alle infrazioni del codice della strada, a promuovere il contestuale utilizzo di adeguati sistemi di comunicazione e allerta sui pericoli presenti e sulle regole per evitarli;
   ad assumere iniziative:
    a) per effettuare un'attenta verifica sul corretto impiego dei sistemi automatici di controllo sulle strade ed, in particolare, per accertare che tali sistemi siano efficaci ai fini della prevenzione dei sinistri;
    b) per verificare che, con l'applicazione di tali dispositivi – nella proiezione quinquennale di funzionamento a regime, a parità di flussi di traffico e tempi e modi di utilizzo – il numero di sanzioni emesse progressivamente si riduca, in modo da accertare il corretto utilizzo dello strumento;
    c) per prevedere che l'impiego di strumenti telematici di controllo sulle strade sia inserito nell'ambito di piani o di azioni coordinate di intervento di cui siano misurabili gli obiettivi in termini di diminuzione delle infrazioni controllate, miglioramento delle condizioni di sicurezza e drastica riduzione degli incidenti, dei morti e dei feriti;
    d) per introdurre, in attuazione degli obblighi dettati dal codice della strada, una disciplina prescrittiva per l'impiego delle risorse derivanti dalle sanzioni per infrazioni stradali, nella realizzazione di azioni coordinate e misurabili di miglioramento della sicurezza stradale, e, in particolare, di azioni di prevenzione e di controllo;
    e) affinché le risorse destinate agli enti locali per la manutenzione, la sicurezza e i controlli sulle strade siano inquadrate nell'ambito di piani coordinati con obiettivi misurabili di sicurezza stradale;
   ad applicare le regole e le previste sanzioni nei confronti dei comuni e degli enti beneficiari dei proventi per infrazioni stradali che non rispettino l'obbligo – prescritto dal codice della strada – di destinare tali somme alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ovvero non ottemperino all'obbligo di comunicare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'entità e il corretto utilizzo di tali proventi.
(1-01105)
«Tullo, Gandolfi, Minnucci, Meta, Anzaldi, Brandolin, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Marco Di Stefano, Ferro, Pierdomenico Martino, Mauri, Mognato, Mura, Pagani, Amoddio».
(25 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    in questo particolare periodo di crisi economica vi è una certa tendenza, da parte della pubblica amministrazione, a praticare quella che viene definita «finanza creativa», locuzione, di recente coniazione, che sta ad indicare, un insieme di manovre finanziarie utilizzate per fare cassa rapidamente;
    sembra che lo stesso scopo, quello di fare quadrare i bilanci comunali, esangui per i tagli da parte del Governo, sia perseguito da qualche comune italiano, attraverso forme surrettizie di autofinanziamento, come con gli autovelox, tanto è vero che più volte è intervenuta la Corte di cassazione per affermare principi di civiltà giuridica ed esprimere il proprio monito riguardo una pratica non proprio ispirata a ragioni di sicurezza stradale;
    il legislatore è intervenuto, con la legge n. 120 del 2010 che ha introdotto due innovativi principi, sull'obbligatorietà degli enti locali di rendicontare i proventi di tutte le multe ed il loro impiego e sulla divisione a metà tra l'ente proprietario delle strade e l'ente locale accertatore delle sanzioni derivanti dallo eccesso di velocità (articolo 141, commi 12-bis, 12-ter, 12-quater del codice della strada);
    in tale contesto non senza rilievo appaiono le notizie, che sempre più si leggono nei media, circa l'installazione di autovelox irregolari, che hanno indotto l'autorità giudiziaria ad intervenire. Come qualche anno fa in Calabria, più particolarmente in alcuni comuni della provincia di Catanzaro, dove erano stati utilizzati degli autovelox montati in maniera tale da trarre in inganno l'automobilista, in contrasto con lo spirito della normativa in materia, diretta a prevenire incidenti più che a reprimerli;
    così ancora, navigando su internet, si scopre sempre di più di condanne, di aperture di indagini penali in relazione alla installazione nelle strade di irregolari autovelox, ivi posti non proprio per assicurare la sicurezza stradale. Come è successo in Sardegna, dove un funzionario responsabile di un comune del Medio Campidano è stato condannato dal tribunale di Cagliari per abuso di ufficio, per l'affidamento della gara di appalto ad una società privata e per falso nel sistema di contestazione delle infrazioni al codice della strada, relativamente all'installazione di un autovelox che in pochi mesi aveva fatto multare più di sedicimila automobilisti per aver superato i 50 chilometri (si veda L'Unione Sarda di mercoledì 1o aprile 2015). E come anche è successo in Emilia, dove sono indagate cinque persone tra dirigenti e funzionari della polizia municipale del comprensorio Terre d'Acqua, che opera in diversi comuni bolognesi, per falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici e abuso d'ufficio nell'inchiesta Fast and Furious su autovelox irregolari (si veda TgCom24 di Mediaset del 26 settembre 2014);
    il decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, ha apportato un'importante modifica all'articolo 142 del codice della strada, in materia di superamento dei limiti di velocità e rilevamento delle relative violazioni a mezzo di apparecchiature elettroniche: il comma 6-bis prevede che le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, conformemente alle norme stabilite nel regolamento di esecuzione del codice della strada;
    la sentenza della Corte di cassazione sezione penale 13 marzo 2009, n. 11131, richiamando la prima circolare del Ministero dell'interno del 03 agosto 2007, successiva alla pubblicazione del decreto-legge n. 117 del 2007, che, come ricordato, aveva introdotto l'obbligo dell'apposizione del cartello di segnalazione della postazione autovelox (che deve essere ben visibile), ha stabilito, come indicato da detta circolare, che la distanza minima tra la postazione elettronica della velocità e il cartello di preavviso non debba essere inferiore a 400 metri, idonea a segnalare con adeguato anticipo la postazione di controllo in modo da garantirne l'avvistamento tempestivo e permettere così all'automobilista di conformare la propria condotta di guida alla velocità prescritta, in un tratto di strada dove debbono essere assicurate le ragioni di sicurezza poste alla base del decreto prefettizio che autorizza l'uso dell'apparecchiatura senza obbligo di contestazione;
    purtuttavia, nel successivo decreto ministeriale, che avrebbe dovuto fissare la distanza, non vi è traccia di tale precisazione, cui ha sopperito la circolare del 20 agosto 2007 del Ministero dell'interno n. 300/A/1/26352/101/3/319, confermata nella cosiddetta circolare Maroni del 14 agosto 2009, che ha suggerito di fare riferimento all'articolo 79 del regolamento di esecuzione del codice della strada ossia: 80 metri sulle strade con velocità massima di 50 chilometri orari, 150 metri su quelle extraurbane secondarie ed urbane di scorrimento per finire a 250 metri previsti per autostrade e extraurbane principali;
    la Consulta ha stabilito la parziale illegittimità dell'articolo 45, comma 6, del codice della strada, nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura,

impegna il Governo:

   a porre in essere iniziative volte ad assicurare che l'autorità pubblica, nell'ambito delle problematiche rappresentate in premessa, conformi la propria condotta all'esigenza di assicurare il buon andamento e l'imparzialità nell'amministrazione, principi cardine del nostro ordinamento, al fine di tutelare la sicurezza stradale;
   ad assumere iniziative per definire una distanza adeguata tra segnaletica e dispositivi di rilevazione automatica e per garantire, nell'esposizione della suddetta segnaletica, una buona visibilità, facendo sì che le autorità preposte si attengano a tali prescrizioni, al fine di evitare rallentamenti o frenate brusche ed improvvise in prossimità dell’autovelox, dunque favorendo la sicurezza stradale;
   ad assumere ogni iniziativa necessaria affinché tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura;
    ad assumere iniziative per stabilire l'obbligo di destinare i proventi derivanti dalle sanzioni per rilevazione automatica della velocità per il 50 per cento alla sicurezza stradale, per il 20 per cento allo sviluppo della mobilità ciclabile, e per il 20 per cento al trasporto pubblico locale prevedendo una verifica periodica della destinazione dei suddetti proventi;
   ad assumere iniziative per prevedere che ciascun dispositivo di autovelox fisso riporti il limite di velocità in maniera visibile.
(1-01106)
(Nuova formulazione) «Cristian Iannuzzi, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino».
(25 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'uso degli autovelox rappresenta uno strumento essenziale per assicurare l'efficacia della sicurezza stradale, la tutela delle vite umane e il rispetto delle norme di velocità del codice della strada;
    come dimostrato da numerose esperienze comunali, vi è una diretta correlazione tra l'impiego dell'autovelox e la diminuzione degli incidenti stradali. Secondo i dati del comune di Milano, ad esempio, gli incidenti con feriti nelle 7 strade dove nel mese di marzo 2014 sono stati posizionati gli autovelox per il controllo delle velocità. Nei primi 9 mesi del 2014, infatti, sono stati 106, con una media mensile di 11,7. Nel 2013 erano stati 288 con una inedia mensile di 24 (un totale di 216 se, a titolo di raffronto, volessimo considerare solo i primi 9 mesi del 2013);
    con sentenza n. 113 del 2015, la Corte Costituzionale, pur ricordando l'importanza dello strumento come mezzo impiegato per l'accertamento di violazioni del codice della strada, ha richiamato l'attenzione delle autorità competenti e delle società costruttrici degli impianti sull'importanza di effettuare regolari e costanti opere di manutenzione e verifica del corretto funzionamento degli autovelox stessi;
   come sottolineano numerose associazioni di settore, dall'Aci all'Asaps, appare rilevante stabilire un diretto legame tra i ricavi in capo agli enti locali derivanti dal pagamento delle sanzioni amministrative per multe accertate sulla base dell'impiego dell'autovelox e il loro utilizzo per solo per finalità, comunque, legate alla sicurezza stradale, alla manutenzione stradale e all'educazione al codice della strada;
    al Governo, per il tramite dei due ministeri competenti, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell'interno, spetterebbe un ruolo di maggiori impulso e coordinamento anche rispetto all'introduzione di un quadro sanzionatorio per quegli enti locali che non rispettino le previsioni normative che prevedono l'utilizzo di una quota del 50 per cento delle entrate provenienti da sanzioni comminate attraverso l'utilizzo degli autovelox per la realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale;
    il comma 12-bis dell'articolo 142 del codice della strada prevede espressamente che: «I proventi delle sanzioni derivanti dall'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità stabiliti dal presente articolo, attraverso l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità ovvero attraverso l'utilizzazione di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2002, n. 168, e successive modificazioni, sono attribuiti, in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni ai sensi dell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, e all'ente da cui dipende l'organo accertatore, alle condizioni e nei limiti di cui ai commi 12-ter e 12-quater. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano alle strade in concessione. Gli enti di cui al presente comma diversi dallo Stato utilizzano la quota dei proventi ad essi destinati nella regione nella quale sono stati effettuati gli accertamenti»,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata ad accertare la piena osservanza da parte degli enti locali di quanto previsto dall'articolo 142, comma 12-bis, del codice della strada;
   a porre in essere ogni iniziativa, di competenza finalizzata a garantire i più elevati standard costruttivi, l'affidabilità tecnica e l'innovazione tecnologica dei dispositivi di rilevazione automatica della velocità al fine di tutelare la sicurezza e gli interessi dell'utente della strada;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata a migliorare, lungo ogni tipo di strada, la segnaletica relativa alla presenza di dispositivi di rilevazione automatica della velocità.
(1-01116)
«Franco Bordo, Melilla, Pellegrino, Folino, Scotto, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Fratoianni, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Sannicandro, Zaratti».
(26 gennaio 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE ALLA CANDIDATURA DI ROMA CAPITALE COME SEDE DELLE OLIMPIADI 2024, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A FORME DI CONSULTAZIONE DEI CITTADINI

   La Camera,
   premesso che:
    da almeno un quarto di secolo, le Olimpiadi o altre importanti manifestazioni sportive, come ad esempio i Mondiali di calcio, sono risultati un pessimo affare per le città e i Paesi ospitanti sul piano dei bilanci pubblici, dell'assetto urbanistico, della qualità della vita prima, durante e dopo l'evento, sia nel breve che nel medio-lungo periodo;
    secondo i dati di una ricerca di Andrew Zimbalist, pubblicata qualche mese fa da Brookings Institutions, fondazione di prima qualità scientifica, dal titolo decisamente evocativo, quasi un avvertimento in extremis per Roma 2024: «Circus Maximus. The economic gamble behind hosting the olympic game and the world cup», il rischio è che anche le Olimpiadi di Roma 2024 risultino un danno più che un beneficio per la collettività;
    i dati di evidenza empirica sono, infatti, abbondanti e univoci. In estrema sintesi, nel breve periodo avviene quanto segue: i costi iniziali stimati sono sempre, largamente, una frazione delle spese finali effettivamente sostenute dai bilanci pubblici. La tabella riportata nella ricerca di cui sopra, condotta da Andrew Zimbalist segnala che rispetto ai costi iniziali previsti i costi finali stimati sono lievitati enormemente (solo per fare un esempio, Atene, costi previsti 1,6 miliardi di dollari, costi finali 16 miliardi di dollari). Le entrate previste sono, poi, sempre largamente sovrastimate. Innanzitutto, a causa di un'irrealistica ipotesi sul moltiplicatore degli effetti delle spese sostenute e dell'associato fantasioso aumento dell'occupazione: si assume un moltiplicatore nell'intervallo tra 1,7 e 3,5, mentre ex-post i dati indicano un fattore nell'ordine di 1. Vuol dire che a fronte di 100 euro investiti o spesi per consumi finali o intermedi, il ritorno è circa 100 euro o meno, non i 170 o i 350 euro delle previsioni;
    anche l'immancabile previsione di impennata nell'afflusso di turisti è propagandistica. Si considerino per brevità soltanto le ultime 2 Olimpiadi: durante i Giochi Olimpici del 2008, a Pechino erano previsti circa 400.000 turisti, ma ne sono effettivamente giunti 235.000 con una caduta di presenze nella capitale cinese del 30 per cento rispetto all'agosto dell'anno precedente; a Londra 2012, la caduta è stata del 6,1 per cento rispetto al 2011. Le ragioni sono intuitive. Una parte dei flussi ordinari viene scoraggiata dall'affollamento previsto per il «grande evento» e dal connesso aumento dei prezzi e riduzione della qualità dei servizi;
    al risultato di breve periodo viene solitamente contrapposto un benefico «effetto legacy», ossia l'impatto di medio-lungo periodo associato alle infrastrutture realizzate: la città interessata dall'olimpiade o dai mondiali di calcio si ritrova in eredità impianti sportivi, alloggi per atleti e staff, linee di trasporto aggiuntive. Anche qui, i dati della realtà indicano esattamente il contrario: rimangono opere sportive sovradimensionate rispetto alle esigenze della città e costosissime da manutenere; strutture abitative necessitanti elevati costi di adattamento; linee di trasporto incompiute e non prioritarie. Soprattutto, a causa del deficit accumulato nella costruzione e gestione della manifestazione, il saldo di medio-lungo periodo è segnato dagli enormi debiti da pagare in termini di maggiori imposte o tagli di spese o un mix di entrambi;
    inoltre, gli effetti di medio-lungo periodo sono considerati senza contare il «costo-opportunità»: le risorse da impegnare nelle Olimpiadi o nei Mondiali di calcio quali ricadute economiche e sociali, oltre che finanziarie, potrebbero generare investimenti in infrastrutture e interventi prioritari per la città in termini di mobilità sostenibile, di attività sportive e culturali, di housing sociale, di spazi verdi, di rigenerazione delle periferie;
    di fronte ai dati di realtà, diventa evidente la ragione per la quale sempre meno città sono interessate a ospitare le Olimpiadi o i Mondiali di calcio e sempre meno formalizzano la candidatura. Per i Giochi Olimpici del 2024, sono rimaste soltanto in 4. Boston si è tirata indietro per i rischi finanziari eccessivi. Amburgo ha detto «no» dopo un referendum,

impegna il Governo:

   a predisporre, per quanto di competenza e di concerto con le autorità sportive e locali interessate, un piano economico-finanziario dettagliato e completo, che contenga, in particolare: un dettaglio dei costi stimati iniziali e di quelli finali previsti, degli effetti del moltiplicatore, dei possibili benefici sul prodotto interno lordo e dell'impatto occupazionale e, inoltre, a sottoporre, altresì, tale piano al vaglio del Parlamento;
   ad assumere iniziative affinché, tramite il commissario straordinario di Roma Capitale, sia indetto un referendum, regolato dallo statuto comunale, sullo svolgimento delle Olimpiadi del 2024 a Roma, informando adeguatamente circa la possibilità di scegliere tra l'Olimpiade per il 2024 e, a parità di risorse, impegnare analoghi sforzi pubblici su progetti alternativi legati allo sviluppo della capitale d'Italia;
   a portare avanti la proposta di candidatura ufficiale al Comitato olimpico internazionale solo dopo lo svolgimento del referendum.
(1-01090)
«Fassina, Zaratti, Zaccagnini, Scotto, Franco Bordo, Airaudo, Claudio Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro».
(11 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    dietro ogni «grande evento» c’è sempre una disputa fra favorevoli e contrari e, questo, è praticamente inevitabile; tuttavia va ricordato che i Giochi Olimpici, come è stato EXPO, sono una enorme vetrina che il Paese ospitante apre sul mondo;
    il 25 giugno 2015 l'assemblea capitolina ha approvato la mozione n. 39 con l'85 per cento dei voti dei consiglieri rappresentanti dei cittadini con la quale candida la città ad ospitare i Giochi Olimpici e Paralimpici 2024;
    la candidatura della città di Roma è stata approvata all'unanimità dal Consiglio nazionale del CONI nella seduta del 2 luglio 2015;
    la candidatura è poi stata presentata e accolta dal Comitato olimpico internazionale il 16 settembre 2015;
    Roma 2024 può ripetere il successo delle Olimpiadi del Sessanta, le prime dell'era tecnologica, le più innovative, le prime Paralimpiadi. Quei giochi hanno segnato il rilancio nel mondo dell'immagine di Roma e dell'Italia come luogo di cultura millenaria di grande Paese moderno, risorto dalle rovine della guerra. Sul piano sportivo quei giochi sono entrati nella leggenda e hanno portato all'attenzione del mondo atleti che hanno fatto la storia dello sport, come Wilma Rudolph e Cassius Clay;
    al di là degli spettatori che raggiungeranno i luoghi delle gare, ci saranno telespettatori sintonizzati sulle dirette televisive e l'evento di apertura è capace di tenere incollati sugli schermi milioni di persone non necessariamente appassionate di sport, ma curiose di conoscere il Paese ospitante;
    non è necessario ricordare quali sono i messaggi positivi che lo sport e la pratica sportiva veicolano, pur senza fare grande distinzione fra emozioni e benefici che ricadono indistintamente su ogni fascia di popolazione;
    i Giochi Olimpici sono un evento duplice perché comprendono anche l'organizzazione dei Giochi Paralimpici, che permettono ad atleti con disabilità fisiche di gareggiare nelle diverse discipline. La prima edizione riconosciuta come tale si disputò nel 1960 proprio in Italia;
    i Giochi Olimpici e Paralimpici sono un evento globale, capace di far convivere, all'insegna dei valori dello sport e del vivere civile, la quasi totalità dei Paesi del mondo, catalizzando l'attenzione in ogni angolo del pianeta e mescolando in un'enorme manifestazione «di pace» identità, religioni, usi e costumi differenti. Basti ricordare come ai Giochi Olimpici e Paralimpici di Londra 2012 abbiano partecipato 204 delegazioni in rappresentanza dei 5 continenti;
    l'EXPO ha potuto contare sulla partecipazione di 146 Paesi mantenendo il forte spirito di condivisione;
    lo slogan di EXPO «Nutrire il pianeta, energia per la vita» ha promosso l'importanza della nutrizione e ha ribadito la necessità di un'educazione alimentare per i suoi risvolti positivi sulla salute;
    i Giochi Olimpici e Paralimpici si integrano perfettamente in questo percorso formativo. La locuzione latina mens sana in corpore sano ne è una sintesi molto efficace;
    la «buona scuola» promuove la «cultura in corpore sano», introduce l'educazione motoria a partire dalla scuola primaria e permette di valutare nei percorsi scolastici dei ragazzi delle scuole superiori, anche le attività extrascolastiche, tra le quali è annoverata la pratica sportiva;
    il CONI è uno dei partner più assidui del Governo; lo coadiuva in alcune scelte, fra le quali quella dei tutor (per l'attività motoria fin dalle scuole elementari), nell'individuazione di priorità per progetti destinati a ragazzi e che vedono coinvolte associazioni sportive di ogni disciplina, oltre che nella promozione, nel supporto e nel sostegno della pratica sportiva e della diffusione dei valori dello sport;
    l'organizzazione dei Giochi Olimpici e Paralimpici Roma 2024 potrebbe facilmente rappresentare il culmine di tutto il percorso fatto finora ed è coerente con le linee guida politiche del Governo;
    il previsto Giubileo 2025 prevede già di far convergere degli investimenti sulla capitale e richiederà finanziamenti aggiuntivi per garantire accessibilità, trasporti, salute, sicurezza e servizi;
    le strutture sulle quali convergeranno i finanziamenti, come per EXPO, potrebbero essere destinate a percorsi formativi, affidate in gestione al CONI o a società ad hoc per la pratica agonistica o riutilizzate per organizzare eventi sportivi, meeting, gare master e altro. Inoltre, l'esperienza di altre realtà, come ad esempio Londra, che dopo aver ospitato i Giochi Olimpici e Paralimpici, ha trasferito gli impianti, preventivamente costruiti come «mobili», in altre zone della nazione dove necessitavano, può rappresentare un percorso da valutare ed eventualmente seguire, al fine di migliorare l'impiantistica sportiva e non solo di diverse realtà del nostro Paese;
    come per l'EXPO ci sarà la possibilità per tantissimi giovani «volontari» italiani e stranieri di candidarsi per un lavoro e vivere il «sogno» di condividere con centinaia di campioni l'emozione di una kermesse che abbatte barriere, supera differenze, unisce a tavola, insegna a comunicare con gesti e occhi prima che con le parole;
    è legge lo jus soli sportivo che favorirà il tesseramento degli atleti stranieri minorenni regolarmente residenti nel territorio italiano con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani e resterà valido fino al completamento delle procedure per l'acquisizione della cittadinanza;
    lo jus soli fa dello sport un eccellente strumento di integrazione e questo è da considerarsi un valore perché «nello sport nessuno è straniero»;
    lo studio commissionato al gruppo coordinato dal professor Beniamino Quintieri (preside della facoltà di economia – università Tor Vergata) per stabilire qual è il valore aggiunto in termini di sostenibilità e legacy della candidatura olimpica di Roma, rileva che i Giochi garantirebbero un miliardo di euro in più di entrate in termini di benefici socioeconomici reali per la città di Roma e per l'Italia e si stima che offrirà 180 mila posti di lavoro per i giovani;
    il comitato promotore ha già annunciato che sarà una candidatura che risponderà alle richieste del Comitato olimpico internazionale che con l'Agenda 2020 vuole favorire Giochi sostenibili e costi bassi;
    i risultati di uno studio commissionato dalla regione Lombardia (Università LIUC) stimano che l'impatto economico di EXPO è stato pari a 12,5 miliardi nel 2015 (5,3 miliardi nella ricettività e ristorazione; 4,1 miliardi nel commercio, intrattenimento e tempo libero; 3,2 miliardi nei trasporti); gli effetti positivi si percepiranno anche nel 2016 anche se in misura del 35/40 per cento; la produzione aggiuntiva generata è stata dello 0,4 per cento del prodotto interno lordo nazionale e le ricadute positive si sono registrate anche nell'area di Malpensa; in termini occupazionali EXPO ha prodotto 87 mila unità di lavoro (il 30 per cento delle quali verrà conservato anche per il futuro); il settore turistico ha segnato un più 9,2 per cento a fronte del dato nazionale del 2,2 per cento;
    come per EXPO una parte dei finanziamenti potrebbero venire dagli sponsor;
    l'organizzazione dei Giochi Olimpici e Paralimpici Roma 2024 permetterebbe allo sport italiano di usufruire di fondi aggiuntivi atti a supportare iniziative, progetti e linee di intervento per lo sviluppo dell'attività sportiva di base e d’élite, garantendo così all'Italia una prospettiva di qualità dei talenti sportivi ma anche un aumento della pratica sportiva nel Paese, così come già avvenuto nei Paesi ospitanti un'edizione dei Giochi Olimpici e Paralimpici;
    gli investimenti sullo sport e la promozione dei corretti stili di vita, a partire dall'alimentazione e dalla salute, come da studi ed analisi, comportano un abbattimento sensibile della spesa sanitaria nazionale,

impegna il Governo:

   a sostenere, in tutte le sedi opportune e con ogni iniziativa necessaria, la candidatura di Roma 2024 restando coerente con le scelte fin qui fatte;
   a coinvolgere l'intero Paese nel «sogno olimpico», attraverso azioni di comunicazione che abbiano al centro lo sport, i suoi valori e la capacità dello stesso di rappresentare uno dei motori propulsori dell'orgoglio nazionale;
   a utilizzare il tempo che manca al 2024 per pianificare in collaborazione con il CONI gli interventi necessari per censire le strutture esistenti, renderle competitive e fruibili successivamente alle associazioni che operano sul territorio e alle scuole che non hanno ancora palestre adeguate e sono carenti per la sicurezza;
   ad investire su Roma 2024 per promuovere i valori positivi dello sport come ha fatto con EXPO per l'alimentazione;
   a utilizzare al meglio le opportunità dei Giochi Olimpici e Paralimpici per restituire alla città di Roma la visibilità e il prestigio che merita, in un percorso ideale che dalla storia la proietti con interventi strutturali, ambientali e tecnologici nella modernità.
(1-01100)
«Vezzali, Monchiero, Molea, Antimo Cesaro, Capua, D'Agostino, Galgano, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Pinna, Rabino, Sottanelli, Librandi, Oliaro, Vargiu».
(21 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la candidatura olimpica di Roma, già formalizzata per l'edizione del 2024, è una grande opportunità per l'Italia intera e per la sua capitale per consolidare l'immagine e la realtà di una grande nazione che continua a proporsi con forza e autorevolezza sulla scena internazionale. Un evento che, messo in relazione con il Giubileo del 2025, potrà essere occasione per contribuire alla sintesi ideale e spirituale di un messaggio mondiale che partendo dall'Italia e si rivolga a tutte le donne e a tutti gli uomini del pianeta;
    Roma ospitò le Olimpiadi nel 1960. Nella memoria di molti italiani e di tutto il mondo sono ancora vive immagini indimenticabili: l'arrivo vittorioso e a piedi nudi di Abebe Bikila sotto l'Arco di Costantino, il volo dei colombi dalla pista al passaggio vittorioso di Livio Berruti nella finale dei 200 metri, le gare di lotta sotto la Basilica di Massenzio e degli altri atleti che accesero quel grande evento. Immagini che hanno lasciato per decenni un segno positivo di pace e di valore universale sia di Roma che delle Olimpiadi che si sono diffuse in tutto in mondo. Quella edizione olimpica è stata a lungo considerata la migliore, la più evocativa e la più in sintonia con lo spirito olimpico. La città fu al centro del mondo e le sue bellezze storiche, archeologiche e naturali, furono uno spettacolo nello spettacolo. Le sue infrastrutture moderne furono la testimonianza di una città e di una nazione in crescita e restarono patrimonio della capitale;
    anche per questo, la candidatura all'edizione 2024 può e deve puntare ad unire Roma allo spirito nazionale; una candidatura non cittadina, non solo romana ma italiana, nella quale possa riconoscersi – diversamente da altre circostanze – tutto il Paese. L'evento olimpico può essere quindi anche un'occasione per volgere ancor più in positivo e consolidare il complesso e spesso contraddittorio rapporto tra Roma e lo Stato nazionale. Tra la capitale e la coscienza nazionale;
    grazie anche alle nuove indicazioni del Comitato olimpico internazionale, infatti, la candidatura olimpica di Roma per il 2024 può e deve assumere un respiro nazionale e meno cittadino. Riportare le Olimpiadi a Roma è – oggi più che mai – portare le Olimpiadi in Italia;
    il successo dell'Expo di Milano d'altronde racconta che l'Italia, come tutte le grandi nazioni, ha bisogno di grandi momenti internazionali che propongano il Paese, le sue città, le sue bellezze e le sue eccellenze. Sempre l'Expo di Milano ha mostrato che il Paese, anche in condizioni difficili, sa reagire e dimostrare i suoi valori e le sue qualità. Le Olimpiadi di Roma, nel 2024 sarebbero, quindi, un'ulteriore occasione per modernizzare, rigenerare la Capitale e dare ulteriore impulso all'immagine dell'intera nazione in tutto il mondo;
    le Olimpiadi possono fornire l'opportunità per rafforzare la posizione della capitale come grande città mondiale della ricerca, della formazione e dell'innovazione, completando i campus universitari pubblici e realizzando infrastrutture di mobilità e una ricettività olimpica da riconvertire poi in ricettività per studenti e docenti dopo i Giochi. Gli stessi impianti sportivi e le infrastrutture indispensabili per ospitare il grande evento, diventeranno un patrimonio della città e del Paese e potranno essere parte di un grande distretto universitario internazionale;
    l'evento olimpico può risultare utile alla crescita e allo sviluppo solo se coerente con piani e programmi condivisi e contributo di opere e interventi fruibili in futuro, in tale prospettiva, appare auspicabile una programmazione degli interventi che possa rappresentare anche l'opportunità per il recupero, la valorizzazione ed il coinvolgimento delle periferie;
    l'Agenda Olimpica 2020 ha rivoluzionato i criteri di selezione della città olimpica, ponendo al centro della valutazione l'effetto catalizzatore del grande evento rispetto ai piani di sviluppo a lungo termine del Paese che sarà individuato quale sede dei Giochi nel settembre 2017;
    il documento riporta una serie di raccomandazioni finalizzate a garantire una maggior snellezza organizzativa dei Giochi Olimpici, mitigando le richieste che in passato avevano costituito fattori di difficoltà operativa e gestionale e fonte di eccessivi investimenti da parte delle città ospitanti;
    in quest'ottica, le strutture fondamentali per l'organizzazione di un'Olimpiade vanno progettate e costruite in sinergia con gli stakeholder, gettando le basi di una solida eredità della manifestazione, nonché evidenziando le potenziali ricadute occupazionali, nell'immediato e nel lungo periodo, che potranno generarsi in occasione della progettazione, della realizzazione e della gestione della manifestazione olimpica;
    le scelte strategiche che caratterizzano la candidatura di Roma, quali la costituzione di un comitato in house, la decisione di utilizzare per il 70 per cento strutture già esistenti, l'individuazione di un piano dei trasporti dei Giochi completamente incentrato su infrastrutture già pianificate, seguono fedelmente le indicazioni dell'Agenda 2020 in termini di legacy, contenimento della spesa, attenzione all'ambiente e alle esigenze della città;
    per rafforzare la credibilità della candidatura italiana, anche nei confronti dell'opinione pubblica nazionale, appare indispensabile assicurare la massima conoscenza e partecipazione relativamente ai contenuti di un rigoroso e dettagliato piano finanziario,

impegna il Governo:

   a proseguire il lavoro avviato, sostenendo attivamente il lavoro del Comitato olimpico e del Comitato promotore nelle sedi istituzionali e in ambito internazionale;
   a promuovere, in collaborazione con il Comitato olimpico e con il Comitato promotore, eventi di promozione su tutto il territorio nazionale volti a far percepire le possibili olimpiadi di Roma 2024 come una grande opportunità di crescita e sviluppo per l'intero paese e non solo per la capitale;
   ad individuare, in collaborazione con l'amministrazione comunale, le più opportune localizzazioni coerenti con le linee di sviluppo, di crescita e di riqualificazione stabilite dalla comunità cittadina e dai competenti enti locali, investendo su opere pubbliche funzionali allo svolgimento delle gare ma che dopo l'evento possano essere riconvertite diventando fruibili e funzionali allo sviluppo urbano e del movimento sportivo e avendo cura che tale patrimonio contribuisca alla crescita della pratica sportiva diffusa e popolare, oltre che quella professionistica e di più alto livello;
   ad operare per la predisposizione di un programma di opere e interventi in coerenza con gli indirizzi dell'Agenda Olimpica 2020;
   a promuovere, in preparazione dell'evento, momenti di studio e approfondimento sulla storia e sulle finalità dei Giochi Olimpici nelle scuole di tutto il territorio nazionale;
   a sottoporre, d'intesa con il comune di Roma Capitale, il programma degli interventi olimpici ad un'ampia campagna di informazione, di consultazione e di partecipazione dei cittadini dei territori interessati, per dare al programma stesso un carattere aperto e trasparente.
(1-01102)
«Morassut, Giachetti, Orfini, Melilli, Argentin, Boccadutri, Bonaccorsi, Carella, Coscia, Ferro, Pierdomenico Martino, Mazzoli, Meta, Miccoli, Minnucci, Piazzoni, Tidei, Stella Bianchi, Coccia, Brandolin, Miotto, Marroni».
(22 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    i Giochi olimpici costituiscono la manifestazione sportiva di maggiore rilevanza a livello internazionale; la loro importanza si fonda non soltanto sul numero di discipline e di atleti coinvolti ma anche sul forte valore simbolico di cui sono portatori, sul significato delle loro origini storiche, sulla capacità di coinvolgere soggetti, valori e interessi di natura estremamente diversa tra loro;
    la molteplicità degli interessi e dei sentimenti che chiamano in causa, rendono la loro organizzazione e il loro svolgimento un processo di natura estremamente complessa e articolata; per un Paese ospitare i Giochi olimpici significa mettere in moto un sistema e una organizzazione che coinvolge numerosi attori – politici, sociali, economici, mediatici – che dovranno agire sia a livello locale che a livello nazionale ed internazionale, e in tempi che precedono di molto il momento dell'evento;
    dopo il blocco da parte dell'allora Governo Monti della candidatura di Roma come sede per i Giochi Olimpici del 2020, motivata dall'Esecutivo con il particolare momento di crisi che confliggeva con l'impegno economico che avrebbe gravato eccessivamente sui contribuenti, il 14 dicembre 2014 Roma si è ufficialmente candidata ad ospitare le Olimpiadi del 2024;
    la situazione finanziaria e il dissesto delle casse del comune di Roma hanno portato al commissariamento della città e la candidatura per il 2024 rappresenta per i cittadini una forte fonte di preoccupazione in merito alla quantificazione e all'utilizzo delle risorse che si renderà necessario investire al fine di adeguare le infrastrutture sportive e ricettive, quelle relative alla mobilità e rendere così il tessuto urbano in grado di ospitare un evento di tale portata;
    non sfugge che ospitare le Olimpiadi richiederebbe, infatti, interventi importanti sia dal punto di vista strutturale che finanziario sul territorio urbano e nazionale e che, in questo senso, appare fondamentale che i costi di realizzazione, di gestione e manutenzione delle strutture necessarie dovranno essere attentamente valutati sotto il profilo della fattibilità e sostenibilità economico-finanziaria, anche per evitare l'eventuale abbandono o degrado degli stessi al termine dei Giochi Olimpici;
    non sono da sottovalutare i possibili rischi che un simile impegno potrebbe comportare in termini di sprechi di risorse economiche e di interventi errati sul territorio; in questo senso assume importanza fondamentale porre la dovuta attenzione affinché un'occasione di sviluppo non si trasformi in uno spreco di denaro pubblico e affinché non si assista alla lievitazione delle spese rispetto al budget iniziale;
    ospitare le Olimpiadi potrebbe rappresentare per Roma Capitale un'occasione importante per lo sviluppo della città, dal punto di vista del livello occupazione, dello sviluppo degli impianti sportivi ma anche per l'incremento dei flussi turistici che questo evento potrebbe richiamare;
    l'organizzazione di un evento di tale portata rappresenta una sfida e un'opportunità che non si può non cogliere e che potrà portare lustro alla città a livello internazionale;
    nel momento storico in cui ci si trova appare evidente che, oltre ai costi delle infrastrutture direttamente collegate allo svolgimento delle attività sportive e dei servizi destinati ad atleti e spettatori, un considerevole peso avranno i costi destinati agli interventi per la sicurezza,

impegna il Governo:

   ad adottare le iniziative di competenza per ampliare il progetto nel senso che sia coinvolta l'intera area della Città metropolitana di Roma e non soltanto quella di Roma Capitale;
   a predisporre un piano degli interventi necessari, e dei relativi investimenti, che consideri in via prioritaria i progetti volti al completamento delle opere incompiute e all'adattamento delle strutture preesistenti, nel quadro di una politica di sviluppo economico e di crescita culturale e in un'ottica proiettata nel medio e lungo periodo che abbia come destinatari principali i cittadini;
   a vigilare sul corretto utilizzo delle risorse, che deve ispirarsi a criteri di sostenibilità ambientale e di rispetto del territorio con attenta valutazione dei fattori di rischio idrogeologico, che tenga conto dell'impianto urbanistico sul quale si inseriscono gli interventi;
   ad avviare un tavolo di concertazione con la regione Lazio volto a rivedere la programmazione unitaria dei fondi strutturali e d'investimento europei 2014-2020, la cui dotazione ammonta ad oltre 3 miliardi di euro, per finanziare gli interventi necessari all'organizzazione dei Giochi Olimpici;
   a vigilare affinché lo svolgimento dei Giochi risulti un'occasione vantaggiosa per tutto il Paese con sostanziali e concrete ricadute sul sistema sportivo, economico e culturale italiano;
   ad adottare le indicazioni contenute nell'Agenda Olimpica 2020 – adottata dal Comitato olimpico internazionale al fine di salvaguardare l'unicità dei Giochi Olimpici e di rafforzare lo sport nella società – che invita tra l'altro a valutare l'impatto economico dell'evento nel senso di evitare l'ipertrofia delle spese cui si è assistito per l'organizzazione delle passate Olimpiadi.
(1-01103) «Polverini, Occhiuto, Palmieri».
(22 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    si ritiene non solo necessario ma fondamentale garantire un confronto partecipativo con i cittadini che hanno un ruolo fondamentale e dovrebbero poter esprimere la propria volontà prima di assumere la decisione finale relativa all'ipotesi di ospitare i XXXIII Giochi Olimpici a Roma nel 2024;
    Roma, che ha già ospitato i Giochi nel 1960, nel recente passato era stata proposta per la candidatura dei Giochi 2020, ma la proposta era ritirata in seguito alle preoccupazioni conseguenti ai costi che un evento sportivo di tale portata comportava. L'allora Presidente del Consiglio dei ministri, solo tre anni fa, così si esprimeva in ordine all'opportunità di far svolgere a Roma le olimpiadi: «Non pensiamo sarebbe coerente impegnare l'Italia in quest'avventura che potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti». Nonostante ciò, l'attuale Governo si è candidato a ospitare i XXXIII Giochi Olimpici del 2024;
    Roma quindi è in corsa per accogliere il grande evento sportivo per eccellenza e si trova a gareggiare con città quali Parigi e Budapest, poiché la città di Amburgo, nel mese di novembre 2015 – anch'essa inizialmente candidata – si è ritirata dalla corsa per l'assegnazione dei Giochi a seguito di un referendum cui sono stati chiamati i cittadini della città tedesca, cittadini che poi, grazie al voto referendario hanno respinto la candidatura;
    in Perù, nel 2017, il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) sceglierà la città che ospiterà i Giochi Olimpici mentre all'estero cresce scetticismo sulle concrete possibilità dell'Italia di ottenere l'assegnazione dei XXXIII Giochi Olimpici a causa dei dubbi legati alle possibili perdite economiche che le Olimpiadi causano a chi le organizza;
    il presidente del Coni Giovanni Malagò ha dichiarato che soltanto la candidatura costerà all'Italia 10 milioni di euro. Le città che negli anni passati hanno ospitato i Giochi Olimpici hanno creato perdite economiche che sono ricadute sui cittadini;
    numerose analisi mostrano però come non siano soltanto i costi dell'organizzazione vera e propria a rendere l'investimento nei Giochi Olimpici poco vantaggiosi, ma anche i costi che le città candidate devono sostenere ex ante per concorrere. Nelle olimpiadi, infatti, i costi aumentano in media del 179 per cento rispetto ai budget iniziali, mentre i costi supplementari che si riscontrano in altri progetti importanti variano dal 20 per cento al 45 per cento;
    la Grecia, ad esempio, vive l'attuale crisi economica e finanziaria anche a causa dei Giochi del 2004 che sono costati circa 8,5 miliardi di euro. A Pechino sono costati 43 miliardi e a Sochi – per le Olimpiadi invernali – sono costati circa 51 miliardi di euro. Tali costi sostenuti dalle sopra citate città sono altissimi rispetto a quanto hanno prodotto a livello di business. Londra, nel 2012, è riuscita ad andare quasi in pareggio, pur con investimenti vicini ai 12 miliardi di euro;
    indubbiamente ospitare le Olimpiadi è un sogno ricorrente di tante città, sia per il messaggio che lo sport può trasmettere, sia per il rinnovamento delle strutture e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tutti processi positivi però valutabili e quantificabili nel medio-lungo periodo, che però spesso non giustificano sufficientemente l'investimento stanziato;
    occorre ricordare che la città di Roma recentemente è stata profondamente coinvolta nell'inchiesta «Mafia Capitale» dimostrando come la mafia si sia inserita in un gran numero di apparati romani. Da non sottovalutare poi la possibile distrazione di denaro pubblico da altri investimenti produttivi per finanziare la costruzione di complessi sportivi troppo costosi perché siano mantenuti nel tempo;
    ciò ha portato la Capitale a non essere più rappresentata da un sindaco ma da un commissario straordinario nominato dal Governo. Governo che inoltre ad oggi non ha un Ministro dello sport e nemmeno un rappresentante con delega allo sport;
    a Roma poi l'organizzazione dei grandi eventi sportivi si è sempre dimostrata un dissesto, dai Mondiali di calcio del 1990 agli ultimi Mondiali di nuoto del 2009 denominati «le piscine della vergogna» con i conseguenti costi ricaduti sulla collettività;
    in generale, è molto difficile isolare gli effetti di un singolo investimento sull'intera economia di un Paese e, a maggior ragione, questo vale per un mega investimento come quello della candidatura della realizzazione delle Olimpiadi a Roma, città che peraltro vive grossi disagi anche sotto l'aspetto della mobilità e dei trasporti pubblici con la quasi totale mancanza di accesso ai mezzi pubblici per i portatori di handicap;
    come dichiara Michiel de Nooij, dell'università di Amsterdam, infatti, nel momento in cui una città valuta l'opportunità di presentare la propria candidatura, deve includere nelle analisi costi-benefici anche i costi di preparazione e il costo di un eventuale insuccesso;
    un altro aspetto delicato da considerare è la trasparenza e la tempistica della realizzazione delle opere necessarie per i Giochi. Il modello previsionale del Governo e del Comitato Roma 2024 dà per scontato che tali opere saranno portate a termine nelle modalità e nei tempi previsti senza alcun aggravio in termini di costi rispetto a quanto già preventivato, ma la valutazione di compatibilità economica presuppone l'osservanza di condizioni di efficienza amministrativa in un clima di trasparente cooperazione istituzionale da parte di tutti i soggetti coinvolti nell'organizzazione dei Giochi;
    la candidatura di Roma dovrebbe valorizzare un importante parco di strutture già esistenti da integrare con nuovi investimenti, dunque il Governo deve assumersi l'impegno di garanzia della trasparenza e soprattutto candidarsi con l'ottica che i miglioramenti infrastrutturali agli impianti sportivi in essere e la realizzazione di nuovi devono comportare solo effetti positivi sia in fase di realizzazione sia in futuro,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per redigere e rendere pubblico e accessibile un dossier con l'indicazione di un piano dei costi certi, comparati ai presunti benefici, da parte del Comitato Olimpico Roma 2024 per una valutazione attenta dei costi e dei benefici legati all'operazione nel suo complesso;
   a garantire l'assoluta trasparenza e legalità di ogni atto finalizzato alla candidatura e ad effettuare studi sulla compatibilità economica, alla luce delle scarse risorse disponibili sia nel bilancio pubblico che in quello municipale, per ottenere la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024;
   ad assumere iniziative per nominare una commissione nazionale anticorruzione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture;
   ad informare il Paese e in particolare i cittadini romani sullo stato di avanzamento degli studi di fattibilità anche mediante la pubblicazione degli stessi in un apposito sito web;
   ad assumere iniziative per istituire nel comitato organizzatore una commissione di vigilanza affinché le pari opportunità e le persone disabili vengano coinvolte in ogni processo a partire dal Comitato Olimpico Roma 2024 fino agli eventuali XXXIII Giochi Olimpici;
   ad assumere, per quanto di competenza, iniziative per dare ai cittadini romani la possibilità di decidere sulla candidatura Olimpica 2024 mediante un voto referendario che consenta loro una partecipazione diretta, quindi effettiva e democratica;
   a garantire in caso di ospitalità dei Giochi – a seguito della consultazione referendaria – rispetto per le differenze di religione e per le diete secondo i dettami religiosi e etici.
(1-01107)
«Brignone, Bechis, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Artini, Baldassarre, Matarrelli, Segoni, Turco».
(25 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la situazione economica e sociale del nostro Paese impone scelte rigorose in ordine alle priorità da riconoscere agli investimenti pubblici. Scegliere di investire nelle Olimpiadi equivale a sottrarre risorse ad altri settori vitali per la crescita del Paese. La scelta di indebitare lo Stato per i prossimi decenni per la realizzazione di un evento non può che definirsi scellerata. È doveroso, infatti, scegliere investimenti che abbiano un impatto nel lungo periodo. Risorse tanto ingenti potrebbero proficuamente sviluppare il turismo sostenibile, supportare la creazione di nuove piccole e medie imprese, sostenere gli enti locali con la certezza di un impatto sociale certamente superiore a quello atteso nel post-olimpiade;
    i dati relativi alle passate olimpiadi dimostrano quanto cospicuo sia l'impegno economico da affrontare. Sidney 2000 è costata circa 5 miliardi di dollari, Atene 2004 9 miliardi a cui deve aggiungersi 1 miliardo investito per la sicurezza, Pechino 2008 43 miliardi, Londra 2012 circa 12 miliardi, le Olimpiadi invernali di Sochi 2014 sono costate circa 51 miliardi e per Rio 2016 la stima è di circa 14 miliardi;
    gli stessi dati dimostrano, inoltre, che la valutazione preventiva dei costi si è sempre rivelata inattendibile: dal 1960 ad oggi, tutte le edizioni delle Olimpiadi estive sono incorse in uno sforamento del budget, senza eccezione alcuna, con un aumento medio del 179 per cento. Emblematico è il caso di Montréal del 1976 ove lo sforamento è stato del 796 per cento e si è terminato il pagamento dei debiti dopo 36 anni;
    deve, inoltre, considerarsi che il coinvolgimento dei capitali privati si è sensibilmente ridotto per effetto della decisione del presidente del Comitato olimpico internazionale Samaranch che, nel 1988, stabilì che i costi delle Olimpiadi venissero coperti, con garanzie, dallo Stato ospitante;
    incontrovertibile non può ritenersi neanche l'affermazione secondo la quale l'Olimpiade comporti quale immediato beneficio la crescita del turismo. Se si considerano le esperienze più recenti, infatti, i dati dimostrano il contrario: nel 2008 a Pechino si è registrato un calo di afflusso dei turisti del 30 per cento rispetto all'agosto dell'anno precedente; a Londra 2012, il decremento è stato del 6,1 per cento rispetto al 2011;
    le pregresse esperienze italiane confermano le tendenze riportate: le Olimpiadi di Torino, ad esempio, costarono circa 3,5 miliardi di euro; il Governo stanziò 1,4 miliardi di euro, comune e regione aggiunsero altri 600 milioni di euro, il resto arrivò da diritti televisivi, sponsor e marketing. Dopo i Giochi le nuove strutture vennero affidate alla «Fondazione 20 marzo 2006», ente pubblico su cui la Guardia di finanza svolse importanti indagini sulla dubbia gestione liquidatoria segnata da costi sproporzionati rispetto alla ridotta attività svolta; l'ultimo intervento legislativo in materia è stato il comma 259 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) che ha prorogato il termine ultimo per lo svolgimento delle attività del commissario liquidatore dell'Agenzia per lo svolgimento dei Giochi Olimpici Torino 2006;
    il recente decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, ha inserito tra le finalità del cosiddetto «Fondo Sport e Periferie» le attività e gli interventi volti alla presentazione e alla promozione della candidatura di Roma per le Olimpiadi 2024 (con una dotazione pari a 20 milioni di euro già per il 2015, 50 milioni di euro nel 2016 e 30 milioni di euro nel 2017);
    in un tale contesto non possono neanche tacersi i timori derivanti dall'affidamento della gestione di un simile evento ad un'amministrazione cittadina che ha perso e continua a perdere credibilità a seguito delle numerose e ormai tristemente celebri inchieste giudiziarie. A ciò si aggiunga la drammatica esperienza della gestione di altri grandi eventi: uno su tutti Expo, tramutatosi in una nuova tangentopoli tale da renderne gli strascichi giudiziari il risultato più rilevante nel lungo periodo;
    le considerazioni svolte sono, inoltre, state la base della scelta, in altri Paesi, di consultare la popolazione in merito all'opportunità di proporre la candidatura delle proprie città. Davos, Cracovia, Oslo, Monaco e Amburgo hanno rinunciato alle Olimpiadi a seguito del voto contrario ai referendum consultivi, mentre Boston non ha presentato la propria candidatura per i risultati della valutazione costi-benefici effettuata;
    risulterebbe, alla luce di quanto esposto, più opportuno utilizzare le richiamate risorse, già stanziate per la candidatura di Roma alle Olimpiadi, in investimenti infrastrutturali, partendo dalla manutenzione ordinaria degli impianti esistenti, tali da garantire impianti adeguati dedicati alla pratica sportiva;
    un sano investimento a lungo termine nel settore sportivo rappresenta un significativo valore aggiunto nonché un volano di crescita per favorire l'incremento della sostenibilità e degli impianti sportivi italiani,

impegna il Governo:

   ad attivarsi nelle sedi opportune, anche attraverso il commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale, al fine di proporre il ritiro della candidatura di Roma Capitale per le Olimpiadi del 2024;
   allo scopo di favorire la diffusione e la promozione dell'attività sportiva di base, a sviluppare programmi pluriennali di investimento per la manutenzione e per la costruzione, laddove insufficiente, dell'impiantistica sportiva italiana;
   ad adottare un piano pluriennale per lo sviluppo del turismo sostenibile teso a incentivare e valorizzare la mobilità dolce, a valorizzare il patrimonio storico, artistico e culturale e le aree naturali protette nazionali, quali poli di eccellenza sul territorio e moltiplicatori di sviluppo locale nonché a sostenere ed incentivare i sistemi di gestione ambientale e gli strumenti di certificazione ambientale nel settore della ricettività turistica.
(1-01108)
«Simone Valente, Lombardi, Vacca, Di Battista, Baroni, Daga, Vignaroli, Marzana, Brescia, Di Benedetti, D'Uva, Luigi Gallo».
(25 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    sono ancora vive nel ricordo di molti italiani le immagini delle Olimpiadi di Roma del 1960, che contribuirono, per il loro fascino e per le modalità innovative con cui furono organizzate, al rilancio definitivo dell'immagine dell'Italia nel mondo, dopo funesti eventi del secondo conflitto mondiale. Quell'evento, per l'accurata organizzazione, la copertura mediatica e la bellezza delle immagini, ha costituito l'archetipo delle Olimpiadi moderne;
    l'assemblea capitolina il 25 giugno 2015 ha approvato a larghissima maggioranza la mozione n. 39, con la quale si è candidata la città ad ospitare i Giochi Olimpici e Paraolimpici del 2024. La candidatura della città di Roma è stata approvata all'unanimità dal Consiglio nazionale del Coni nella seduta del 2 luglio 2015 e accolta dal Comitato olimpico internazionale il 16 settembre 2015. Nel mese di novembre 2015 è stato costituito il Comitato Roma 2024;
    il Governo, in particolare il Presidente del Consiglio dei ministri, ha appoggiato con vigore, impegno ed adeguate risorse finanziarie l'ipotesi di candidatura della città di Roma per le Olimpiadi del 2024, con la piena collaborazione del Coni. Il 21 gennaio 2016, presso la sede del Comitato olimpico internazionale a Losanna, il progetto di massima già presentato dal Comitato Roma 2024 ha ottenuto unanimi apprezzamenti «per l'ottimo equilibrio tra tradizione, storia e innovazione»; il progetto definitivo dovrà essere presentato entro il 17 febbraio 2016 e la scelta del Comitato olimpico internazionale è prevista per il 13 settembre 2016;
    un'indagine Ipsos, finalizzata a rivelare il gradimento della popolazione in merito alla possibilità di ospitare nel Paese eventi di portata internazionale, con un focus specifico relativo alla candidatura della Capitale, ha evidenziato come i tre quarti degli italiani sono favorevoli a ospitare grandi eventi, mentre il 77 per cento (il 66 per cento romani e il 76 per cento dei residenti della provincia) ha espresso analogo, favorevole apprezzamento per la candidatura di Roma ai Giochi Olimpici del 2024;
    diversi studi hanno evidenziato gli effetti positivi dello svolgimento in Italia delle Olimpiadi 2024;
    secondo un recente studio della facoltà di economia dell'università Tor Vergata, i Giochi garantirebbero un miliardo di euro in più di entrate, nei soli giorni dell'evento, in termini di benefici socioeconomici reali per la città di Roma e per l'Italia, con un incremento occupazionale di 180 mila unità;
    l'analisi dell'impatto di un evento di portata similare, l'Expo 2015, effettuato dal Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo (LIUC), evidenzia che l'impatto economico di Expo è stato pari a 12,5 miliardi di euro nel 2015 (5,3 miliardi nella ricettività e ristorazione; 4,1 miliardi nel commercio, intrattenimento e tempo libero; 3,2 miliardi nei trasporti). Il prodotto interno lordo nazionale è cresciuto dello 0,4 per cento. Sono stati creati 87.000 posti di lavoro, il 30 per cento dei quali verrà conservato anche per il futuro; il settore turistico ha segnato un più 9,2 per cento a fronte del dato nazionale del 2,2 per cento. I giochi di Londra del 2014 peraltro hanno registrato 2 milioni di soggiorni e un flusso economico, per il solo turismo, di 1,5 miliardi di euro;
    i Giochi sono l'occasione di una rigenerazione urbana e di rilancio della città di Roma: secondo il Comitato Roma 2024, il 70 per cento degli impianti è già presente e va solo riammodernato; l'evento consentirà di procedere ad un ripensamento dell'intera viabilità romana, tra il centro e Tor Vergata, prevista sede del villaggio olimpico, che in futuro sarà utilizzato come campus universitario. Sarà possibile riqualificare le periferie, ammodernare i centri sportivi e ricollocare le scuole;
    occorre sottolineare che, tra gli elementi innovativi della bozza di progetto per l'evento del 2024, deve considerarsi l'ampio decentramento delle manifestazioni olimpiche che si terranno in 20 diverse città italiane;
    peraltro, sono stati evidenziati rischi che le Olimpiadi di Roma 2024 risultino un danno più che un beneficio per la collettività: secondo taluni studi, i costi iniziali sarebbero in genere sottostimati e costituiscono una frazione delle spese finali effettivamente sostenute dai bilanci pubblici. Gli effetti sull'occupazione, sul prodotto interno lordo della nazione ospitante e sul turismo sarebbero invece sovrastimati. Infine, le opere sportive e le infrastrutture di trasporto nella gran parte degli eventi esaminati risulterebbero sovradimensionate rispetto alle esigenze delle città e costose da manutenere. Si osserva a tal proposito che, facendo tesoro delle esperienze negative in questo senso, il comitato promotore ha già annunciato che la candidatura risponderà alle richieste del Comitato olimpico internazionale contenute nell'Agenda 2020 di favorire «Giochi sostenibili e a costi bassi»;
    ulteriori perplessità sono state sollevate in relazione alle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nei cantieri preparatori dell'evento olimpico; si osserva a tal proposito che, nel dicembre 2015, è stato costituito un comitato di garanti, composto da autorevoli esponenti del mondo giuridico, per definire la strategia di sviluppo della candidatura olimpica e per attivare procedure e proposte normative che garantiscano trasparenza e legalità nella preparazione dell'evento,

impegna il Governo:

   a sostenere, in tutte le sedi opportune e con ogni iniziativa necessaria, la candidatura di Roma per le Olimpiadi dell'anno 2024;
   a predisporre e a sottoporre al vaglio del Parlamento, anche mediante periodiche comunicazioni di aggiornamento, un piano economico-finanziario dettagliato e completo, redatto con il concorso delle autorità sportive e locali interessate, tenendo conto della richiesta del Comitato olimpico internazionale (Agenda 2020) di favorire Giochi sostenibili, con costi bassi e infrastrutture riutilizzabili, tale piano dovrà contenere in particolare: il dettaglio dei costi stimati, gli impatti sui diversi comparti economici, la valutazione puntuale dei benefici in termini di prodotto interno lordo, di occupazione, di turismo e di infrastrutturazione permanente;
   a prevedere apposite campagne informative nazionali ed internazionali, volte a diffondere lo «spirito olimpico» nella popolazione e ad a sostenere, a livello internazionale, la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024, utilizzando tale opportunità per restituire alla città di Roma la visibilità e il prestigio che merita;
   a prevedere, nel caso in cui la candidatura di Roma sia accolta, che gli interventi infrastrutturali, ambientali e tecnologici siano orientati verso il riutilizzo e l'ammodernamento delle strutture già esistenti e, con riferimento alle nuove opere, verso progetti che consentano l'efficiente riutilizzo successivo da parte delle collettività coinvolte;
   ad assicurare l'assoluta trasparenza e correttezza e legalità nella preparazione dell'evento, prevedendo l'adeguato coinvolgimento dei componenti del comitato di garanti e tenendo in opportuno conto le proposte da questo avanzate.
(1-01109)
«Buttiglione, Dorina Bianchi, Paolo Binetti, Gianfranco Sammarco».
(25 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il 16 settembre 2015 è stata ufficializzata da parte del Comitato olimpico internazionale l'accettazione della candidatura della città di Roma ad ospitare le Olimpiadi che si svolgeranno nel 2024;
    oltre a Roma, sono ora ufficialmente candidate anche le città di Budapest, Los Angeles e Parigi, dopo che Amburgo, nel mese di novembre 2015, si è ritirata, in attesa che, nel settembre 2017, sarà effettuata l'assegnazione definitiva dei Giochi;
    Roma ha ospitato i Giochi olimpici nel 1960 e, da allora, ha presentato la propria candidatura sia per la competizione del 2004, in cui si è classificata seconda, sia nella selezione per i Giochi del 2020, candidatura successivamente ritirata dal Governo Monti;
    i Giochi Olimpici rappresentano il più importante momento di agonismo sportivo a livello mondiale, comprendono decine di discipline, coinvolgono centinaia di atleti e costituiscono un momento di grande lustro e visibilità per la nazione che li ospita;
    non si tratta, infatti, solo di un grande evento sportivo, ma anche di un'occasione unica per proporre al mondo le ricchezze artistiche e culturali del Paese, nonché un momento in grado di rilanciare a livello globale l'immagine dell'Italia;
    lo sport è uno strumento di inclusione e crescita sociale, incarna alcuni dei valori fondamentali della convivenza civile e una sana competizione sportiva educa all'impegno, alla determinazione e al confronto leale tra avversari;
    laddove l'Italia dovesse risultare vincitrice della competizione sulla sede dei Giochi del 2024 le gare si svolgerebbero in diverse sedi del territorio nazionale ma con un'importante prevalenza nei siti della capitale;
    appare a tal fine indispensabile la riqualificazione dell'intero patrimonio impiantistico sportivo di Roma, che comprende, tra gli altri, lo Stadio Flaminio, il Palazzetto dello Sport di Viale Tiziano, lo stadio delle Aquile e l'area dell'Acqua Acetosa, il Complesso del Foro Italico, con annessa l'area monumentale e i mosaici;
    nell'ambito di un simile piano di recupero e valorizzazione dovrebbe, inoltre, essere trattata la spinosa vicenda dell'area di Tor Vergata, vicenda che non può essere separata dalla discussione in merito all'ubicazione di grandi complessi sportivi che sta alimentando il dibattito in questi anni, compresa quella riguardante l'ipotesi della realizzazione di uno o più stadi di calcio da parte di società private che impone una riflessione sui destini dello stadio Olimpico;
    all'atto della formalizzazione delle candidature il presidente del Comitato olimpico internazionale ha espresso la volontà che «le città candidate mostrino come i Giochi si possano adattare alle loro strategie a lungo termine»;
    gli interventi realizzati a qualunque titolo per ospitare gli allenamenti degli atleti e le relative gare nell'ambito dei Giochi Olimpici dovranno in ogni caso privilegiare un'ottica di manutenzione della città e di miglioramento degli impianti sportivi esistenti, al fine di limitare al massimo l'impatto economico e ambientale dei Giochi e garantirne l'utilizzabilità sportiva una volta finiti gli stessi, anche per sostenere l'attività di base e gli impianti in periferia;
    la progettazione e la realizzazione degli interventi dovranno essere oggetto di approfondite verifiche dell'impatto ambientale, anche al fine di una riduzione degli sprechi e dell'inquinamento;
    l'aggiudicazione delle Olimpiadi 2024 costituisce una sfida strategica, capace di garantire un'importante opportunità di rilancio per la capitale, macchiata negli ultimi mesi da scandali e inefficienze;
    il presidente del Comitato olimpico internazionale ha dichiarato che il Comitato olimpico internazionale darà «un contributo di 1,7 miliardi di dollari in cash e servizi per il successo di questi Giochi»;
    in base alle regole dettate dal Comitato olimpico internazionale per le candidature, le città che si presentano dovranno «dimostrare di rispettare i principi della Carta Olimpica e quelli riportati nel contratto siglato, che impegna le concorrenti a battersi contro la discriminazione sessuale e per favorire il rispetto della libertà dei media e del diritto del lavoro in termini di salute, sicurezza, protezione dell'ambiente e ad adottare leggi contro la corruzione»,

impegna il Governo:

   a sostenere e a promuovere in ogni sede e con il massimo impegno la candidatura di Roma ai XXXIII Giochi Olimpici e ai XVII Giochi Paralimpici del 2024, nell'ambito di una politica di sviluppo economico e crescita anche culturale dell'Italia;
   a non disattendere il risultato di un'eventuale consultazione dei cittadini, sotto forma di referendum, indetta dall'amministrazione capitolina;
   ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché all'amministrazione capitolina sia garantita l'autonomia necessaria a operare secondo criteri di sostenibilità economico-finanziaria, ambientale, di riqualificazione urbana e recupero dell'esistente, di accessibilità dei luoghi e delle strutture a tutti i cittadini, normodotati e diversamente abili, di trasparenza e rigore amministrativo;
   in questo ambito, ad assumere iniziative volte ad assicurare l'abbattimento delle barriere architettoniche ancora presenti nelle strutture sportive e nelle altre strutture pubbliche destinate ad accogliere lo svolgimento di attività motoria;
   ad assumere iniziative per favorire la collaborazione di tutti gli enti coinvolti dalla realizzazione dei Giochi con l'Autorità nazionale anticorruzione, affinché possano essere espletati, con la massima efficienza, i controlli necessari su tutte le procedure di gara;
   a vigilare sul corretto utilizzo delle risorse finanziarie e affinché la candidatura stessa, e la successiva fase organizzativa, siano condotte nel pieno rispetto delle normative vigenti e delle procedure ordinarie;
   a garantire che la presenza delle Olimpiadi e, quindi, di una competizione sportiva tra i più grandi atleti del mondo, corrisponda a un beneficio per tutti i cittadini italiani coinvolti nei territori ospitanti gli eventi con un programma di manutenzione o realizzazione di palestre scolastiche a norma per tutti gli edifici scolastici pubblici, anche attraverso forme di sussidiarietà volte a intercettare capitali privati;
   in questo quadro, ad assumere iniziative per provvedere alla prevista introduzione obbligatoria dell'educazione motoria nella scuola primaria e per favorire in ogni modo – anche in collaborazione con le federazioni e gli enti di promozione sportiva – la diffusione della pratica sportiva, anche nella terza età, promuovendo principi di vita sani tali da migliorare la qualità e le aspettative di vita per ogni persona.
(1-01110)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».
(25 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    è comunemente ritenuto che i grandi eventi sportivi fanno bene all'economia del Paese ospitante in quanto elemento in grado di intensificare il turismo per via di un aumento degli arrivi, delle presenze di stranieri e, dunque, del giro d'affari ad essi connesso;
    campionati del mondo ed olimpiadi rappresentano una ribalta per i Paesi/le città che li organizzano, una vetrina mediatica con un duplice effetto: maggiori incassi è vero, ma anche e soprattutto maggiori risorse pubbliche impegnate per la necessità di ampliare e adeguare le infrastrutture, di riqualificare le aree urbane e rigenerare le periferie, di costruire e/o ammodernare gli impianti sportivi;
    un'analisi relativa alle Olimpiadi invernali di Torino del 2006, pubblicata sul sito di Altroconsumo, riguardo quanto è stato speso, chi è stato a spendere, quanto è stato guadagnato e chi ha guadagnato, conclude che «non è affatto certo che le Olimpiadi si rivelino sempre, perlomeno sotto il profilo economico, un successo. Le risorse investite per organizzare l'evento, prevalentemente di origine pubblica, potrebbero essere destinate a impieghi alternativi caratterizzati da una più elevata redditività. A beneficiare degli investimenti necessari, inoltre, è spesso una ristretta comunità locale, mentre i costi gravano sulla collettività nazionale»;
    è indubbio che le entrate sono sempre sovrastimate, per il presupposto di un'impennata nell'afflusso di turisti e per l'altrettanta ipotesi di una crescita dell'occupazione, ma purtroppo gli eventi passati smentiscono questo ottimismo. Basti considerare le ultime 2 olimpiadi: durante i Giochi Olimpici del 2008, a Pechino erano previsti circa 400.000 turisti, ma ne sono effettivamente giunti 235.000 con una diminuzione di presenze nella capitale cinese del 30 per cento rispetto all'agosto dell'anno precedente; a Londra 2012, il calo è stato del 6,1 per cento rispetto al 2011;
    tali risultati rappresentano le ragioni per cui sempre meno città sono oggigiorno interessate ad ospitare le olimpiadi o altri grandi eventi sportivi e, di conseguenza, sempre meno formalizzano la candidatura. Per i giochi olimpici dei 2024, sono rimaste soltanto in 4. Boston si è tirata indietro per i rischi finanziari eccessivi e la città di Amburgo, nel mese di novembre 2015 – anche essa inizialmente candidata – si è ritirata dalla corsa per l'assegnazione dei giochi a seguito di un referendum cui sono stati chiamati i cittadini della città tedesca, cittadini che poi, grazie al voto referendario hanno respinto la candidatura;
    Roma quindi è in corsa per accogliere il grande evento sportivo per eccellenza e si trova a gareggiare con città quali Parigi, Budapest e Los Angeles;
    si ritiene, pertanto, non solo necessario ma fondamentale garantire un confronto partecipativo con i cittadini che hanno un ruolo fondamentale e dovrebbero poter esprimere la propria volontà prima di assumere la decisione finale relativa all'ipotesi di ospitare i XXXIII Olimpici a Roma nel 2024;
    il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha dichiarato che soltanto la candidatura costerà all'Italia 10 milioni i euro. Le città che negli anni passati hanno ospitato i Giochi Olimpici hanno creato perdite economiche che sono ricadute sui cittadini;
    indubbiamente ospitare le Olimpiadi è un sogno ricorrente di tante città, sia per il messaggio positivo che lo sport trasmette, sia per il rinnovamento delle strutture e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tutti processi positivi valutabili e quantificabili nel medio-lungo periodo, e che spesso non giustificano sufficientemente l'investimento stanziato;
    nel momento in cui una città valuta l'opportunità di presentare la propria candidatura, deve includere nelle analisi costi-benefici anche i costi di preparazione;
    un altro aspetto delicato da considerare è la trasparenza e la tempistica della realizzazione delle opere necessarie per i Giochi: Il modello previsionale del Governo e del Comitato Roma 2024 dà per scontato che tali opere saranno portate a termine nella modalità e nei tempi previsti senza alcun aggravio in termini di costi rispetto a quanto già preventivato, ma la valutazione di compatibilità economica presuppone l'osservanza di condizioni di efficienza amministrativa in un clima di trasparente cooperazione istituzionale da parte di tutti i soggetti coinvolti nell'organizzazione dei Giochi;
    la candidatura di Roma dovrebbe valorizzare un importante parco di strutture già esistenti da integrare con nuovi investimenti, dunque il Governo assumersi l'impegno di garanzia della trasparenza e soprattutto candidarsi con l'ottica che i miglioramenti infrastrutturali agli impianti sportivi in essere e la realizzazione di nuovi devono comportare solo effetti positivi sia in fase di realizzazione sia in futuro, cosa che purtroppo guardando agli ultimi grandi eventi sportivi come i mondiali di calcio del ’90 e quelli del nuoto del 2009 – non è stata del tutto garantita e molte strutture di nuova realizzazione sono state dismesse e abbandonate subito dopo il loro impiego con inevitabili costi e disservizi per la comunità cittadina;
    oggi la Capitale non è più rappresentata da un sindaco, ma da un commissario nominato dal Governo, Governo che inoltre ad oggi non ha un Ministro dello sport e nemmeno un rappresentante con delega allo sport;
    la situazione finanziaria e il dissesto delle casse del comune di Roma hanno portato al commissariamento della città e la candidatura per il 2024 rappresenta per i cittadini una forte fonte di preoccupazione in merito alla quantificazione e all'utilizzo delle risorse che si renderà necessario investire al fine di adeguare le infrastrutture sportive e ricettive, quelle relative alla mobilità e rendere così il tessuto urbano in grado di ospitare un evento di tale portata;
    il disavanzo strutturale della città di Roma, infatti, ha portato negli ultimi 3 anni ad un aumento esponenziale della pressione fiscale sui propri cittadini (nel comune di Roma l'addizionale Irpef è la più alta d'Italia), i quali si ritrovano a pagare esose tasse che servono non già a finanziare i servizi erogati, bensì a ripianare i debiti accumulati;
    proprio perché, come già evidenziato, ospitare le Olimpiadi richiederebbe interventi importanti sia dal punto di vista strutturale che finanziario sul territorio urbano e nazionale; risulta, pertanto, fondamentale che i costi di realizzazione, di gestione e manutenzione delle strutture necessarie dovranno essere attentamente valutati sotto il profilo della fattibilità e sostenibilità economico-finanziaria, anche per evitare l'eventuale abbandono o degrado degli stessi al termine dei Giochi Olimpici;
    non sono da sottovalutare i possibili rischi che un simile impegno potrebbe comportare in termini di sprechi di risorse economiche e di interventi errati sul territorio; in questo senso assume importanza fondamentale porre la dovuta attenzione affinché un'occasione di sviluppo non si trasformi in uno spreco di denaro pubblico e affinché non si assista alla lievitazione delle spese rispetto al budget iniziale,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative di competenza affinché l'eventuale svolgimento delle Olimpiadi nel 2024 a Roma sia oggetto di referendum consultivo comunale, per dare ai cittadini romani la possibilità di decidere sulla candidatura Olimpica 2024 mediante un voto referendario che consenta loro una partecipazione diretta, quindi effettiva e democratica;
   ad assumere iniziative per redigere e rendere pubblico ed accessibile un dossier con l'indicazione di un piano dei costi certi, comparati ai presunti benefici, da parte del Comitato Olimpico Roma 2024 per una valutazione attenta dei costi e dei benefici legati all'operazione nel suo complesso;
   a garantire l'assoluta trasparenza e legalità di ogni atto finalizzato alla candidatura e ad effettuare studi sulla compatibilità economica, alla luce delle scarse risorse disponibili sia nel bilancio pubblico che in quello municipale, per ottenere la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024;
   ad assumere iniziative per nominare una Commissione nazionale anticorruzione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture;
   a porre in essere una campagna informativa per il Paese e per i cittadini romani sullo stato di avanzamento degli studi di fattibilità, anche mediante la pubblicazione degli stessi in un apposito sito web;
   a presentare al Parlamento, un elenco dettagliato delle esigenze infrastrutturali connesse all'evento sportivo, con le relative stime dei costi, e un altrettanto dettagliato elenco degli interventi, in termini di maggiori e migliori servizi ai cittadini, che potrebbero attuarsi impegnando le medesime risorse.
(1-01121)
«Saltamartini, Attaguile, Fedriga, Allasia, Borghesi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Rondini».
(26 gennaio 2016)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   GALGANO, MOLEA, VEZZALI, MONCHIERO, CAPUA, CATALANO, CATANIA, DAMBRUOSO, D'AGOSTINO, MATARRESE, OLIARO, PALLADINO, PINNA, SOTTANELLI, VARGIU e BOMBASSEI. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
   l'Italia è caratterizzata dalla presenza di uno dei più ricchi patrimoni artistici dell'umanità. Con 3.609 musei, quasi 5 mila siti culturali tra monumenti, musei, aree archeologiche, 46.025 beni architettonici vincolati; 34 mila luoghi di spettacolo; 49 siti Unesco (pari al 5 per cento di quelli iscritti nelle liste del patrimonio mondiale e all'11 per cento di quelli europei), oltre a centinaia di festival e iniziative culturali che animano i territori, il nostro Paese si posiziona in testa alla graduatoria di quelli a vocazione culturale. Per fare un paragone a livello europeo, basti pensare che la Francia ha un terzo dei musei italiani (1.218) e la Spagna poco meno della metà (1.530);
   nonostante l'Italia sia in testa alle classifiche mondiali per consistenza del patrimonio artistico-culturale, i finanziamenti stanziati per la cultura sono sempre meno e confrontando i dati con il resto dei Paesi europei, si evince che l'Italia è fanalino di coda: il budget del Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo è praticamente pari a quello della Danimarca (circa 1.400 milioni di euro) ed è circa un terzo di quello della Francia, che, anche a seguito degli attentati terroristici che hanno colpito Parigi, ha confermato i 4 miliardi di euro per il suo dicastero della cultura previsti ogni anno in bilancio. In Italia, quindi, la spesa in cultura per abitante è di soli 25,4 euro l'anno ovvero la metà di quella della Grecia che ne impegna 50;
   il patrimonio italiano, per di più, è distribuito in un gran numero di siti e nel caso dei musei, alcuni fanno capo ad enti statali che, per legge, devono provvedere in forma autonoma alla propria protezione anticrimine, ma un grandissimo numero è gestito da istituzioni locali, come amministrazioni regionali, provinciali o comunali o fondazioni private, che disponendo di risorse limitate, si trovano a dover provvedere in maniera autonoma alla sicurezza dei siti;
   va tenuto conto che i problemi di sicurezza di un museo sono numerosi e, secondo gli esperti, sono perfino superiori a quelli di una banca. Mentre infatti in una banca i valori sono accuratamente tenuti lontani dalla portata del pubblico, in un museo gli oggetti più preziosi sono quelli che più frequentemente sono visitati e si trovano quindi a maggior rischio, proprio perché il frequente contatto con i visitatori potrebbe portare a danneggiamenti, anche accidentali, vandalismi o altro, pur senza arrivare al furto vero e proprio;
   occorre inoltre ricordare che le opere d'arte esposte in un museo rappresentano di solito una piccola percentuale del patrimonio dei reperti, che sono invece custoditi in appositi e speciali depositi e che necessitano di protezioni in particolare durante le fasi di apertura/chiusura e durante le fasi di accesso di studiosi o addetti alla manutenzione o al restauro;
   proprio la ricchezza del patrimonio artistico-culturale espone il nostro Paese a consistenti rischi in termini di furti, rapine e danneggiamenti. Stando ai dati resi noti dall'Associazione italiana di vigilanza e servizi fiduciari (Assiv), dopo il «colpo» al museo di Castelvecchio avvenuto il 19 novembre 2015, ogni anno in Italia vengono denunciati oltre 1,5 milioni di furti. Secondo i dati Istat elaborati dall'Osservatorio Assiv sulla sicurezza sussidiaria e complementare, i furti di opere d'arte e materiale archeologico denunciati nella più recente rilevazione annuale del 2013 sono stati 592. I furti nei siti dotati di vigilanza e sistemi di sicurezza, come musei e sedi di enti pubblici e privati, sono pari al 16 per cento del totale;
   le regioni più colpite sono Lazio e Lombardia, rispettivamente con 81 e 77 casi denunciati, seguite da Campania (55), Toscana (54) e Emilia Romagna (47). Nessuna regione è però immune dai furti di opere d'arte. Fra le province al primo posto c’è Roma con 64 casi denunciati, poi Napoli (34), Milano (26) Torino (24) e Bologna (17);
   i musei, quindi, devono essere protetti da intrusioni e furti, atti vandalici, deterioramento, danni, incendi e altri rischi, e contemporaneamente devono garantire la sicurezza dei visitatori e del personale. Necessità che richiedono ingenti costi per il personale di vigilanza e sorveglianza tanto che, frequentemente, i siti sono costretti a ridurre la quantità di opere in esposizione perché non riescono a garantire sufficienti misure di sicurezza;
   la stessa Commissione sicurezza ed emergenza nei musei (Icom Italia), nel ribadire che il patrimonio culturale si trova oggi esposto a rischi che superano i livelli di sicurezza che una singola struttura è in grado di assicurare, ha lanciato un appello a tutte le amministrazioni responsabili per dotare gli istituti e i luoghi di cultura dei mezzi necessari per disporre tutte le misure, attive e passive necessarie;
   Icom Italia ha, inoltre, chiesto in particolare al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di promuovere il più stretto coordinamento possibile con il Ministero dell'interno, con le prefetture e tutti gli altri Ministeri interessati per assicurare ai musei e al patrimonio culturale un'attività di prevenzione e controllo per offrire a tutti gli istituti e i luoghi della cultura, indipendentemente da chi ne detiene la proprietà, i necessari indirizzi in materia di sicurezza rispetto alle nuove minacce che incombono, oltre che sulle popolazioni, anche sul patrimonio culturale;
   proprio per garantire maggiore tutela tenendo conto dei fondi limitati a disposizione, sia in Italia che all'estero sono stati messi a punto sistemi innovativi come sensori intelligenti, sistemi «self-aware» e ambienti reattivi che consentono di aumentare i livelli di sicurezza, comfort e personalizzazione dei servizi ed al contempo di ridurre i costi sia di impianto che di gestione;
   il problema della sicurezza nei musei è, in conclusione, una questione di interesse generale del nostro Paese, considerando non solo l'immenso valore storico e culturale delle opere, ma il fatto che attraggono ogni anno milioni di turisti e che il circuito museale garantisce anche centinaia di migliaia di posti di lavoro –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di verificare la turnazione degli addetti alla vigilanza nei musei statali per garantire sicurezza ventiquattro ore su ventiquattro ed evitare che si verifichi la presenza di un solo responsabile cui è demandato il controllo di interi siti nelle ore notturne, come accaduto nel museo civico di Castelvecchio, e monitorare i sistemi e i modelli organizzativi di controllo aumentando, ove necessario, le risorse stanziate per tali scopi. (3-01957)
(26 gennaio 2016)

   GIGLI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   in tempi di «lavoro mobile» cambiare attività è assai frequente. Peraltro in questi ultimi decenni si è cercato di trasmettere alle giovani generazioni il messaggio che fosse opportuno abbandonare l'idea della ricerca del cosiddetto «posto fisso». In molti casi quindi chi cambia lavoro è attratto da prospettive di retribuzione o di reddito più alte; in altri, invece, il passaggio non è frutto di una scelta volontaria bensì di circostanze estranee al nostro volere. Molto spesso però, nel passare da un lavoro pubblico a quello privato o viceversa, o da lavoro autonomo a lavoro dipendente, non si ha la completa consapevolezza, a norme vigenti, di quelle che saranno le complicazioni e gli oneri da sopportare per valorizzare i contributi previdenziali versati durante l'attività lavorativa in diverse gestioni previdenziali;
   l'introduzione della ricongiunzione onerosa dei contributi pensionistici disposta ai sensi dell'articolo 12, commi da 12-septies a 12-undecies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha di fatto impedito a molte persone di poter accedere alla pensione, stante l'eccessiva onerosità per accedere alla suddetta opzione in quanto la norma prevede un meccanismo di calcolo identico a quello utilizzato per il riscatto del periodo di laurea, cioè come se l'interessato, non avesse versato alcuna contribuzione nel periodo per il quale richiede la ricongiunzione dei contributi;
   a seguito del citato decreto-legge n. 78 del 2010, la ricongiunzione è stata resa oggi onerosa per tutti, con dubbio profilo di incostituzionalità, anche a causa della retroattività del provvedimento. Con l'articolo 12, comma 12-septies, del citato decreto-legge n.78 del 2010, è stato, con effetto immediato e senza alcuna norma transitoria, soppresso il diritto, precedentemente riconosciuto dall'articolo 1 della legge 7 febbraio 1979, n. 29, di ricongiungere gratuitamente le posizioni assicurativo-previdenziali accese presso forme obbligatorie di previdenza sostitutive, esclusive o esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, gestita dall'INPS presso quest'ultima gestione ai fini del conseguimento di un'unica pensione. La facoltà di ricongiunzione gratuita era prevista dal citato articolo 1 come esercitabile in qualsiasi momento e l'effetto era quello di costituire presso l'assicurazione generale obbligatoria una corrispondente posizione assicurativa ai fini del futuro trattamento pensionistico. L'assicurazione generale obbligatoria riceveva dalla gestione previdenziale di provenienza l'ammontare dei contributi di loro pertinenza, maggiorati dell'interesse, ma nulla veniva posto a carico del lavoratore. L'articolo 12, comma 12-septies del decreto-legge n. 78 del 2010 ha, in via retroattiva, soppresso la facoltà di ricongiunzione gratuita;
   il successivo avvento della «riforma previdenziale Fornero» (ex articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) che ha elevato i requisiti anagrafici e contributivi, ha reso ancora più problematico l'accesso alla pensione per tutti quei lavoratori che hanno versato contributi in diverse gestioni previdenziali;
   anche a coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1o gennaio 1996 e che pertanto avranno una pensione calcolata esclusivamente con il metodo contributivo, l'Inps non consente di poter ricongiungere gratuitamente i contributi versati in diverse gestioni previdenziali, nonostante sia noto che con il sistema del calcolo contributivo, la pensione è calcolata sulla base dei contributi effettivamente versati;
   è altresì noto che ad oggi non è possibile ricongiungere i contributi versati nel fondo pensione lavoratori dipendenti e ciò rappresenta un'ulteriore penalizzazione per tutti quei lavoratori che hanno contributi versati nella suddetta gestione;
   è paradossale che mentre per l'abrogazione e la modifica delle norme precedenti la Ragioneria generale dello Stato non ha quantificato eventuali risparmi, né risorse in entrata, alla richiesta di superare l'iniqua norma sulle ricongiunzioni onerose introdotta con l'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, essa abbia prodotto quantificazioni di oneri, peraltro sempre diverse tra loro, in quello che appare all'interrogante un balletto di cifre necessariamente poco attendibile;
   è ormai valutazione comune e condivisa da tutto il Parlamento e dallo stesso Ministro interrogato che la norma introdotta con il citato decreto-legge n. 78 del 2010 sia iniqua e vada superata. Anche il Governo in carica all'epoca della sua approvazione ha ammesso, per bocca dell'allora Sottosegretario Bellotti, che «gli effetti concreti che la riforma ha prodotto sul tessuto sociale hanno in parte travalicato le iniziali intenzioni del legislatore»;
   l'intento perseguito dal legislatore, infatti, era quello di prevenire e scongiurare comportamenti elusivi in funzione della possibilità di avvalersi di regimi previdenziali più favorevoli rispetto all'ordinario, ma non certamente quello di impedire il trasferimento della posizione assicurativa nei confronti di quei lavoratori che si trovano costretti per raggiungere i requisiti minimi per la pensione a ricongiungere presso altri fondi la propria contribuzione;
   con l'entrata quindi in vigore del citato articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, di contro, si è accertato che in taluni casi, ovverosia quando il lavoratore è obbligato a ricongiungere la propria posizione previdenziale in altro fondo pensionistico per aver cessato il lavoro senza diritto a pensione nel fondo di appartenenza, tale ricongiunzione è divenuta oltremodo onerosa per il soggetto interessato, risultando i costi essere nell'ordine di diverse decine di migliaia di euro;
   negli anni il Parlamento ha cercato di sanare la questione sopra esposta, ottenendo il parziale risultato di introdurre la facoltà di chiedere il cumulo dei contributi, ma solo per l'accesso alla pensione di vecchiaia e con il vincolo di non aver maturato il diritto autonomo a pensione ovvero di non aver maturato 20 anni in una delle gestioni previdenziali cui si è stati iscritti;
   sono tuttora esclusi dalla possibilità di ricongiunzione previdenziale migliaia di lavoratori e lavoratrici che potrebbero andare in pensione anticipata o di vecchiaia ma che hanno almeno 20 anni in una gestione;
   è evidente che nella maggior parte dei casi, a 66 o 67 anni si hanno almeno 20 anni in una gestione, considerando anche il fatto che è sempre più normale cambiare lavoro con relativo cambiamento di iscrizione previdenziale;
   a seguito di un intervento correttivo per 899 milioni di euro sono state sanate le posizioni di coloro che erano iscritti a fondi previdenziali diversi dall'INPS, e successivamente iscritti all'INPS dopo l'agosto 2010, ma sono rimaste irrisolte quelle di coloro che invece hanno praticato il percorso inverso, partendo dall'INPS per arrivare poi all'INPDAP;
   il Governo aveva istituito un tavolo lavoro presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del quale ha fatto menzione l'allora Sottosegretario Bellotti nell'esprimere il parere favorevole del Governo alla mozione n. 1-00690 – approvata alla Camera con il 27 luglio 2011;
   non si hanno più notizie circa l'operatività di suddetto tavolo di lavoro, se abbia concluso il suo mandato, quali siano i risultati e le conclusioni consegnate al Ministro dal tavolo di lavoro –:
   quali tempestive iniziative, anche di carattere normativo e in relazione all'attività del citato tavolo di lavoro, intenda promuovere il Ministro interrogato per sanare la situazione palesemente iniqua sopra descritta, la quale non favorisce la propensione alla mobilità fra un impiego e l'altro ed è fonte di ostacoli all'introduzione della necessaria e ormai non più procrastinabile «staffetta generazionale» volta a favorire l'ingresso nel mondo del lavoro delle giovani generazioni. (3-01958)
(26 gennaio 2016)

   PISICCHIO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   nonostante l'abbassamento record del prezzo del petrolio, sceso intorno ai trenta dollari a barile e con previsioni di ulteriore diminuzione, il prezzo della benzina in Italia è aumentato, rispetto al 2008, del 30 per cento;
   gli italiani pagano la benzina il 14,4 per cento in più dei francesi, il 18,9 per cento in più rispetto agli sloveni fino ad arrivare al 30,7 per cento in più degli austriaci (fonte CGIA, La Stampa 24 dicembre 2015);
   il costo dell'energia incide fortemente sul bilancio delle nostre imprese, arrivando anche al 30 per cento per alcuni comparti di Confindustria, e quindi sulla loro competitività, sia sul mercato interno sia su quello globale;
   il prezzo del carburante incide sul bilancio delle famiglie e dei cittadini italiani ed ha una forte influenza anche sui consumi, quindi sull'economia dell'intero sistema-Paese;
   a incidere sul prezzo del carburante è, secondo la CGIA, la componente fiscale;
   le accise che attualmente gravano sul carburante risalgono a periodi storici superati da tempo, come si evince chiaramente da questo elenco:
    a) euro 0,000981: finanziamento della guerra d'Etiopia del 1935-1936;
    b) euro 0,00723: finanziamento della crisi di Suez del 1956;
    c) euro 0,00516: ricostruzione post disastro del Vajont del 1963;
    d) euro 0,00516: ricostruzione post alluvione di Firenze del 1966;
    e) euro 0,00516: ricostruzione post terremoto del Belice del 1968;
    f) euro 0,0511: ricostruzione post terremoto del Friuli del 1976;
    g) euro 0,0387: ricostruzione post terremoto dell'Irpinia del 1980;
    h) euro 0,106: finanziamento della guerra in Libano del 1983;
    i) euro 0,0114: finanziamento della missione in Bosnia del 1996;
    l) euro 0,02: rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004;
    m) euro 0,005: acquisto di autobus ecologici nel 2005;
    n) euro 0,0051: terremoto dell'Aquila del 2009;
    o) euro 0,0073: finanziamento della manutenzione e la conservazione dei beni culturali, di enti ed istituzioni culturali nel 2011;
    p) euro 0,04: arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011;
    q) euro 0,0089: alluvione in Liguria e Toscana nel novembre 2011;
    r) euro 0,082 (euro 0,113 sul diesel): decreto «Salva Italia» nel dicembre 2011;
    s) euro 0,02: finanziamento post terremoti dell'Emilia del 2012;
   da anni associazioni dei consumatori, comitati, forze politiche e singoli cittadini, anche attraverso petizioni online, l'ultima delle quali sulla piattaforma change.org, hanno posto all'attenzione dei diversi governi la questione –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per rendere possibile una diminuzione dei costi del carburante attraverso l'eliminazione delle accise più antiquate, prive di una ragione reale e per questo del tutto inique sul piano sociale ed economico. (3-01959)
(26 gennaio 2016)

   PELILLO, MARTELLA, BONIFAZI, CAPOZZOLO, CARELLA, CAUSI, COLANINNO, CURRÒ, DE MARIA, MARCO DI MAIO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GINATO, GITTI, GUTGELD, LODOLINI, MORETTO, PETRINI, RAGOSTA, RIBAUDO, SANGA, ZOGGIA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   l'incertezza che continua a caratterizzare lo scenario economico internazionale, significativamente accentuata dalla persistenza di alcuni fattori di instabilità relativi al deprezzamento del petrolio, al rallentamento delle economie emergenti e alle crisi geopolitiche, sta determinando continue tensioni sui mercati finanziari, incluso quello italiano;
   sebbene nel corso degli ultimi giorni siano stati principalmente i titoli bancari ad essere oggetto di pesanti perdite, in Italia il sistema bancario e la stabilità finanziaria rimangono solidi, grazie anche alle misure già adottate dal Governo, fra cui la riforma delle banche popolari, l'intervento relativo alla gestione della risoluzione degli istituti in crisi e quello in materia di procedure di recupero dei crediti inesigibili e di deducibilità delle svalutazioni e delle perdite su crediti, e quelle di prossima definizione, che dovrebbero comprendere il progetto di riforma delle banche di credito cooperativo;
   è tuttavia necessario alleggerire ulteriormente l'elevato livello di partite deteriorate ereditato dalla lunga recessione, che appesantisce i bilanci bancari e riduce l'erogazione di prestiti al settore privato: a tal fine, prosegue la trattativa fra le autorità italiane ed europee per concordare una soluzione efficace e al contempo compatibile con le regole in materia di aiuti di Stato in grado di accrescere la fiducia nella solidità del sistema bancario, contrastando le tensioni dovute anche a movimenti speculativi –:
   quale sia lo stato dell'interlocuzione in corso con gli organi europei, anche sulla base dei dettagli tecnici emersi dall'ultimo incontro con la Commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager, sulle modalità di attuazione e sui tempi di approvazione delle annunciate iniziative finalizzate al rafforzamento del sistema bancario, in particolare volte alla realizzazione di un meccanismo di gestione dei crediti bancari deteriorati. (3-01960)
(26 gennaio 2016)

   LUIGI GALLO, VACCA, MARZANA, BRESCIA, SIMONE VALENTE, D'UVA e DI BENEDETTO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   con interpellanza urgente n. 2-00357 presentata in data 10 gennaio 2014, il primo firmatario della presente interrogazione avvertiva il Ministro dell'economia e delle finanze circa le perplessità sulla gestione della società Consip s.p.a., in qualità di centrale di committenza, e sui danni a carico della collettività e del Ministero stesso emerse dall'inchiesta giornalistica del programma televisivo Report trasmessa il 2 dicembre 2013;
   dall'interpellanza di cui sopra, inter alia, emergono: il cosiddetto «sistema Romeo» e la presunta «sinergia» esistente tra la cooperativa Fiorita e la Manutencoop società cooperativa, che aderisce al Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa e che l'anno precedente si era aggiudicata 3 dei 13 lotti (il massimo consentito) appaltati nel 2012 da Consip riguardanti la fornitura di servizi di pulizia per le scuole di tutto il territorio nazionale, alimentando già da allora il lecito sospetto di trovarsi dinanzi ad uno scenario complesso e torbido di attività e accordi anticoncorrenziali oltreché sulla capacità del Ministero di vigilare sull'operato della Consip, società in house;
   come appena ricordato, dunque, in data 11 luglio 2012, Consip, per conto del Ministero dell'economia e delle finanze, ha indetto una gara comunitaria a procedura aperta per la convenzione relativa all'affidamento dei servizi di pulizia e di altri servizi per il mantenimento del decoro e della funzionalità delle scuole pubbliche italiane di ogni ordine e grado, nonché dei centri di formazione della pubblica amministrazione suddiviso in 13 lotti geografici del valore totale di circa 1,63 miliardi di euro, più un eventuale importo aggiuntivo di 163 milioni di euro come plafond, per un periodo di due anni, rinnovabili per un altro anno;
   relativamente a tale gara, con delibera n. 21125 dell'8 ottobre 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, rilevando talune anomalie che lasciavano ipotizzare una violazione della normativa a tutela della concorrenza, ha disposto l'avvio di un procedimento nei confronti delle seguenti società: Consorzio Nazionale Servizi, Manutencoop, Kuadra ed Exitone; il procedimento è stato in seguito esteso anche nei confronti di Roma Multiservizi s.p.a.;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella sua adunanza del 22 dicembre 2015, ha deliberato che «le società CNS – Consorzio nazionale Servizi società cooperativa, Manutencoop Facility Management S.p.A., Kuadra S.p.A. e Roma Multiservizi S.p.A. hanno posto in essere un'intesa restrittiva della concorrenza contraria all'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) consistente in una pratica concordata avente la finalità di condizionare gli esiti della gara Consip, attraverso l'eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla lex specialis»;
   attraverso questa intesa, le quattro imprese, due delle quali sono i maggiori operatori del mercato, hanno de facto annullato il reciproco confronto concorrenziale nello svolgimento della gara Consip con lo scopo di spartirsi i lotti più appetibili e aggiudicarsene il numero massimo consentito (tre su tredici);
   dal verbale dell'adunanza, si evince che «la collusione si sarebbe realizzata attraverso un utilizzo distorto dello strumento consortile. Pur concorrendo formalmente in maniera autonoma, infatti, il Consorzio Nazionale Servizi e la consorziata Manutencoop Facility Management avrebbero concordato, d'intesa con le altre parti del procedimento (Kuadra in associazione temporanea d'impresa con il Consorzio Nazionale Servizi e Roma Multiservizi, partecipata in misura rilevante da Manutencoop), la rispettiva strategia per perseguire obiettivi condivisi e alterare così gli esiti della gara, anche avvalendosi di affidamenti in subappalto per la tutela delle rispettive posizioni di mercato»;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha così sanzionato il Consorzio Nazionale Servizi per euro 56.190.090, Manutencoop per euro 48.510.000, Roma Multiservizi per euro 3.377.910 e Kuadra per euro 5.763.882;
   il comma 22 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, impone obbligatoriamente agli enti pubblici di aderire alle convenzioni stipulate ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, che si traduce nell'obbligo di utilizzare Consip per ciò che concerne l'approvvigionamento di beni e servizi;
   se da un lato, infatti, l'avvento di Consip avrebbe permesso il risparmio di discrete somme di danaro pubblico come illustrato dalle slide pubblicate dall’account Twitter del Ministero dell'economia e delle finanze il 20 gennaio 2016, dall'altra sembra lasciare campo libero a imprese e imprenditori vicini ai partiti politici, come nel caso di Alfredo Romeo, principale finanziatore di numerose campagne elettorali di politici del centro-destra e del centro-sinistra, in grado di organizzarsi con lo scopo di creare veri e propri «cartelli di imprese» al fine di condizionare l'ampia fetta di mercato concernente la pubblica amministrazione;
   ciò grazie all'avvento combinato di Consip, in qualità di unica centrale di committenza per la pubblica amministrazione, e al conseguente taglio alla spesa pubblica che ha portato lo stanziamento di fondi finalizzati alla pulizia nelle scuole dai 390 milioni di euro del 2013 ai 280 milioni di euro per il 2014, imponendo, con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, alle istituzioni scolastiche ed educative statali, a decorrere dall'anno scolastico 2013/2014, un limite alla spesa per l'acquisto di servizi «esternalizzati» abbinato all'obbligo di avvalersi delle convenzioni quadro della Consip s.p.a.;
   riducendo la spesa e mantenendo le esternalizzazioni gestite da Consip sono stati, inoltre, posti in grave difficoltà tutti i lavoratori coinvolti, portando come conseguenza prevedibile, inter alia, l'immancabile riduzione delle ore di lavoro e il conseguente crollo della retribuzione, con molte scuole di fatto sporche e inagibili;
   successivamente il Governo, dimostrando nei fatti il fallimento della scelta di esternalizzare il servizio sia dal punto di vista occupazionale che di vantaggio economico, ha promosso il piano «Scuole belle», elaborato a seguito dell'accordo sottoscritto il 28 marzo 2014 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L'accordo prevedeva, al fine di far fronte alla problematica occupazionale conseguente alle riduzioni degli affidamenti derivanti dalle espletate gare Consip e riguardante i lavoratori ex lavoratori socialmente utili e quelli appartenenti alle ditte dei cosiddetti «appalti storici», che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – nell'ambito del più ampio programma per l'edilizia scolastica facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri – avrebbe utilizzato risorse complessive pari a 450 milioni di euro, a decorrere dal 1o luglio 2014 e fino al 30 marzo 2016, da impiegare per lo svolgimento, da parte del personale adibito alla pulizia nelle scuole, di ulteriori attività consistenti in interventi di ripristino del decoro e della funzionalità degli immobili adibiti ad edifici scolastici –:
   quali iniziative di competenza, alla luce dei fatti esposti in premessa e della tendenza ad una progressiva centralizzazione del sistema di acquisti di beni e servizi, intenda adottare al fine di garantire una maggiore vigilanza da parte di Consip ed evitare situazioni come quelle sopra descritte. (3-01961)
(26 gennaio 2016)

   OCCHIUTO e BRUNETTA. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   nel «Rapporto sulla sostenibilità delle finanze pubbliche» diffuso nei giorni scorsi, la Commissione europea si è soffermata in particolare sull'alto debito pubblico dell'Italia, mettendo in mora il Governo;
   secondo il rapporto, per l'Italia «i rischi sembrano essere alti nel medio termine», a causa di un elevato livello di debito «alla fine delle proiezioni» nel 2026 e di una «alta sensibilità a possibili shock alla crescita nominale e ai tassi d'interesse»;
   non solo il livello del debito è troppo alto, «già al 133 per cento nel 2015», ma continuerà a crescere fino al 2020. E non finisce qui: «per far scendere – come dovrebbe fare l'Italia per rispettare i parametri europei – il debito al 110 per cento nel 2026, in condizioni economiche normali, ci vuole un avanzo strutturale costante e invariato al 2,5 per cento fino al 2026»;
   questa frase contiene in sé già due criticità: innanzitutto, la congiuntura economica italiana, europea e internazionale, come rilevato da tutti gli istituti di previsione, volge al peggio nei prossimi anni, quindi l'ipotesi «in condizioni economiche normali» contemplata dalla Commissione europea si sa già essere irrealizzabile;
   ma, se anche così fosse, va rilevato comunque che l'avanzo primario degli ultimi quattro trimestri in Italia è stato pari all'1,5 per cento del prodotto interno lordo. Ben lontano, quindi, dal 2,5 per cento che chiede l'Europa. D'altronde, la Commissione europea, sempre nel rapporto pubblicato nei giorni scorsi, pone proprio questo tema: quello del 2,5 per cento fino al 2026 «potrebbe essere un avanzo primario relativamente alto da mantenere per 10 anni»;
   è scontata, quindi, alla luce di tutto questo, la conclusione della Commissione europea: l'Italia non rispetta la regola di riduzione progressiva del debito pubblico; anzi, quest'ultimo è destinato ad aumentare negli anni, ben oltre i livelli già da record raggiunti. E, se il debito non diminuisce, nessuna flessibilità verrà concessa e diventa praticamente assicurato l'avvio di una procedura di infrazione;
   il Ministro interrogato ha assicurato che il debito sarà in discesa nel 2016 e che riuscirà a «fornire tutte le informazioni a sostegno della tesi inoppugnabile che il debito italiano è sostenibile» –:
   quali siano i dati e le informazioni in possesso del Governo tali da assicurare un calo del debito nell'anno corrente, come affermato dal Ministro interrogato, alla luce delle osservazioni contenute nel rapporto diffuso dalla Commissione europea. (3-01962)
(26 gennaio 2016)

   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   tra lunedì e mercoledì della scorsa settimana sembra si sia consumato un assalto speculativo alle banche italiane a causa di una lettera inviata dalla Banca centrale europea contenente la richiesta di un rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito italiani che ha causato un pesante crollo in borsa dei titoli;
   secondo la ricostruzione dei fatti da parte di fonti accreditate di stampa, già la domenica precedente si era già diffusa la notizia di un'indagine conoscitiva da parte della Banca centrale europea su alcune banche italiane, in particolare sulle loro sofferenze che ammonterebbero a 201 miliardi;
   l'indiscrezione ha subito causato il crollo immediato della borsa già all'apertura di lunedì, con perdite tra il 5 e l'8 per cento (soltanto Mps, la più colpita, è arrivata a cedere il 16 per cento); subito Banca d'Italia e il Ministero dell'economia e delle finanze hanno chiesto spiegazione alla Banca centrale europea, ma non è arriva nessuna chiarificazione, mentre il crollo prosegue e sei istituti italiani (Mps, Carige, Banco Popolare, Bpm, Bper e Unicredit) confermano alla Consob di aver ricevuto questionari dal Single Supervisiory Mechanism sulla gestione dei crediti non performing;
   la suddetta informazione, però, non fa volgere al meglio la critica situazione delle borse che, anzi, il giorno seguente, martedì 19, non hanno visto alcun segno di miglioramento e nessun segno di certezza, fino a quando le agenzie non hanno battuto le parole di un portavoce della Banca centrale europea, di cui tra l'altro non si conosce il nome, che avrebbe dichiarato che si sarebbe trattato soltanto di «pratiche standard che hanno riguardato diversi istituti dell'eurozona»;
   l'indiscrezione, così come le rassicurazioni della Consob, che ha fermato la vendita allo scoperto di Mps e Banco popolare, di Banca d'Italia, dell'Abi e del Ministro interrogato, che dichiara «nessuna preoccupazione», non saranno però sufficienti e la borsa continuerà ad andare a picco (con Mps a -14 per cento e Carige -11 per cento e un -4,8 per cento a Milano di mercoledì 20), fino all'intervento del Presidente della Banca centrale europea;
   quest'ultimo, infatti, ha spiegato come ci sia stata «un'errata interpretazione» della lettera della Banca centrale europea, anzi «una percezione significativamente confusa» sulla comunicazione, poiché, effettivamente, la stessa lettera: «è stata fatta non solo alle banche italiane ma a un certo numero di banche dell'eurozona»; ha poi continuato: «La Banca centrale europea vuole solo sapere come gestiscono i non performing loans così da arrivare a individuare una best practice, cioè una richiesta sul processo di gestione dei crediti deteriorati. Non è una iniziativa che pressa le banche ad agire urgentemente con gli npl, che sappiamo richiedono anni di tempo»; conclude, poi, dicendo come ci sia stata «molta confusione»;
   dal canto suo, nella stessa giornata di mercoledì, il Ministro interrogato ha chiaramente espresso il suo dissenso circa la «gestione della comunicazione poco accorta» e, indirizzandosi al Single Supervisiory Mechanism, ha continuato asserendo che «bisogna essere molto cauti a mandare fuori informazioni a dare segnali»;
   in ogni modo, però, il risultato è stata la forte penalizzazione delle banche italiane rispetto a quelle degli altri Paesi dell'eurozona che, allo stesso modo, hanno ricevuto il questionario;
   simile trattamento di sfavore nei confronti dell'Italia è stato tenuto anche per quanto riguarda la questione delle banche poste in risoluzione in cui, per esempio, nel caso della banca portoghese Banif, la Commissione europea, nel suo annuncio, non ha specificato i valori di conferimento dei crediti in sofferenza; al contrario, nel caso delle quattro banche italiane poste in risoluzione, non soltanto la Commissione, ma anche Governo e Banca d'Italia, hanno dichiarato che il valore medio degli npl conferiti alla bad bank fosse di 18 centesimi, su una media di 40 centesimi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno chiarire il significato dell'affermazione rivolta al Single Supervisiory Mechanism circa la «gestione poco accorta» e cosa abbia causato l'errata interpretazione della lettera della Banca centrale europea, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Banca centrale europea medesima, e se non ci sia stata, piuttosto, una sorta di «trattativa» tra Governo e Commissione europea sulla situazione degli istituti di credito italiani. (3-01963)
(26 gennaio 2016)

   PICCONE. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   un elemento che ostacola la crescita del nostro Paese è l'evasione fiscale. Secondo un recente studio di Confindustria l'evasione fiscale in Italia ammonta a 122 miliardi di euro, ovvero al 7,5 per cento del prodotto interno lordo;
   lo stesso studio mette in evidenza come dimezzando l'evasione fiscale si potrebbero creare oltre 300 mila posti di lavoro;
   il fenomeno dell'evasione fiscale ha assunto in Italia, quindi, dimensioni molto ampie. Il Governo dovrebbe intervenire con politiche fiscali idonee a concretizzare azioni efficaci per contrastare tale fenomeno che agisce con gravi effetti negativi sulla crescita economico-sociale del nostro Paese;
   è comunque da sottolineare come il Governo abbia agito con determinazione nel contrasto all'evasione fiscale: il 2015, infatti, rappresenterà l'anno record per la lotta all'evasione fiscale con un gettito che supererà i 14,2 miliardi di euro del 2014 –:
   quali iniziative intenda adottare per contrastare in modo ancora più efficace l'evasione fiscale, semplificando nello stesso tempo il sistema fiscale del nostro Paese. (3-01964)
(26 gennaio 2016)

   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   ogni anno gli immigrati che vivono nel territorio nazionale trasferiscono somme di denaro dall'Italia ai propri Paesi di origine;
   le rimesse degli immigrati sono regolate in denaro contante tramite istituti di pagamento o altri intermediari autorizzati senza transitare su conti di pagamento intestati all'ordinante o al beneficiario;
   secondo i dati pubblicati dalla Banca d'Italia e aggiornati al 30 settembre 2015, le somme maggiori sono destinate alla Romania, con oltre sette miliardi di euro di trasferimenti all'anno, alla Cina e al Bangladesh che ogni anno ricevono oltre cinque miliardi ciascuna, seguite dal Senegal e dalle Filippine con quasi tre miliardi ciascuna;
   nel corso di un'audizione innanzi alle competenti Commissioni parlamentari, il vice direttore generale della Banca d'Italia ha chiesto un regime di controlli più severi per quanto attiene ai money transfer, che, come emerso da numerose inchieste, non di rado vengono utilizzati per trasferire ingenti somme di denaro riciclato;
   le disposizioni che regolano l'attività di questo tipo di strutture hanno evidenziato negli anni numerose lacune, che permettono a parte degli immigrati di aggirare le regole sui trasferimento di denaro, soprattutto sotto il profilo dei costi dovuti per le singole operazioni;
   l'innalzamento del livello di guardia per quanto concerne i rischi connessi al terrorismo internazionale impongono un'attenzione ancora maggiore ai trasferimenti di denaro da e per l'estero –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire maggiore controllo sui trasferimenti di denaro contante dall'Italia verso l'estero. (3-01965)
(26 gennaio 2016)

   SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 7 del 2016 la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali le norme del decreto-legge «Sblocca Italia» varate per far ripartire cantieri e opere pubbliche ma che non prevedono il coinvolgimento delle regioni (nel caso specifico della Puglia): si parla di progetti e piani di ammodernamento per la rete ferroviaria e contratti di programma tra Enac e i gestori degli aeroporti. Si pone la questione della divisione di competenze (e quindi di potere decisionale) tra Stato e regioni. La citata sentenza numero 7, depositata di recente, con la quale la Corte costituzionale ha accolto un'istanza presentata nel gennaio del 2015, quando Governatore era ancora il leader di Sel Nichi Vendola, dà ragione alla Puglia. Le norme impugnate sono contenute nell'articolo 1 dello «Sblocca Italia» e riguardano, tra le altre cose, provvedimenti per far ripartire i cantieri sulla tratta ferroviaria Napoli-Bari e misure urgenti per gli aeroporti di interesse nazionale. Su questi aspetti, secondo la Corte costituzionale, la regione Puglia non è stata coinvolta abbastanza. La reazione dell'attuale presidente della regione Michele Emiliano, è stata tempestiva parlando di «un'altra notizia bomba» dopo il recente via libera al referendum sulle trivelle. Soddisfazione ha espresso anche il leader di Sel Nichi Vendola che ha detto: «Sono orgoglioso di aver messo la mia firma su quel ricorso contro una legge sbagliata e autoritaria». Secondo Vendola la sentenza rappresenta «un duro colpo alle pretese del Governo Renzi di mettere la museruola alle comunità locali»;
   il ricorso venne presentato un anno fa. La regione sollevava la questione di legittimità costituzionale ritenendo che fossero stati violati gli articoli 117 e 118 della Costituzione sul riparto delle competenze tra Stato e regioni. Sono stati così impugnati una serie di commi dell'articolo 1 del decreto-legge del 2014. Tre i principali nodi. Il decreto-legge «Sblocca Italia» stabiliva che l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato fosse nominato commissario per la realizzazione delle Napoli-Bari e che al commissario sarebbe spettato il potere di approvare le opere. Al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, poi, era affidato il compito di redigere il piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria per individuare le linee su cui intervenire con opere di interesse pubblico nazionale o europeo. Sono state impugnate, infine, le misure che fissavano termini per accelerare i tempi concessi ai Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze per esprimersi sugli investimenti previsti dai contratti di programma tra l'Enac e i gestori degli scali aeroportuali di interesse nazionale;
   «Secondo la Regione – si legge nel testo della Corte costituzionale – sulla base della giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza 303 del 2003, nell'ambito di tali materie sarebbe preclusa allo Stato l'allocazione a livello centrale delle funzioni amministrative, se non mediante una chiamata in sussidiarietà e nel rispetto delle garanzie partecipative previste a tal fine a favore delle Regioni interessate». Nel ricorso è stato sottolineato che nei commi 2 e 4 dell'articolo 1 tali garanzie non sarebbero osservate, «perché la Regione può intervenire nella fase di approvazione e di esecuzione dei progetti – recita il testo – solo in sede di conferenza di servizi». L'ente aveva precisato «di non contestare la chiamata in sussidiarietà in sé dello Stato, ma la mancata previsione dell'intesa». Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio e ha chiesto che il ricorso fosse rigettato. La difesa ha sottolineato il carattere nazionale e strategico di tutti gli interventi oggetto delle norme impugnate che «permetterebbe di escludere la necessità di un coinvolgimento regionale»;
   la Corte costituzionale ha ritenuto fondate tutte e tre le questioni poste, ritenendo che le misure del decreto-legge «Sblocca-Italia» impugnate vadano ora sanate. La Corte costituzionale ha così disposto che si arrivi all'approvazione dei progetti d'intesa con la regione interessata, procedendo al varo del piano per ammodernare le infrastrutture insieme alla Conferenza Stato-regioni, e che l'ente debba esprimersi anche in merito ai contratti di programma tra Enac e gestori degli aeroporti. In particolare la Corte costituzionale ha sposato il ricorso presentato dalla Puglia, nella parte in cui sostiene che la conferenza di servizi che il commissario convoca entro 15 giorni dall'approvazione dei progetti non sarebbe bastata per far valere la propria voce. Questo perché «il motivato dissenso della Regione attiva le procedure concertative previste dalla legge 241 del 7 agosto 1990 solo per profili inerenti alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico, ovvero alla tutela della salute e della pubblica incolumità». Quindi il dissenso regionale avrebbe avuto rilevanza solo in casi specifici. Secondo la Corte costituzionale «per conseguire la codeterminazione dell'atto, la Regione deve essere posta su un piano paritario con lo Stato, con riguardo all'intero fascio di interessi regionali su cui impatta la funzione amministrativa». La Corte costituzionale non boccia affatto nell'approvazione dei progetti «la chiamata in sussidiarietà della funzione amministrativa, che non è in sé oggetto di censura», ma ritiene che «debba accompagnarsi a garanzie partecipative a favore del sistema regionale, in ragione delle competenze che ad esso spettano»;
   la Corte costituzionale recentissimamente ha anche dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 29, comma 1, del decreto-legge «Sblocca Italia» nella parte in cui non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica sia adottato in sede di Conferenza Stato-regioni (sentenza n. 261 del 2015) –:
   quali elementi il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda fornire al Parlamento su quanto esposto in premessa, con particolare riferimento ai recenti e reiterati casi di sentenze della Corte costituzionale che hanno giudicato incostituzionali più norme contenute nel decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia», sottolineando quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare in via preventiva l'introduzione di disposizioni contenute in decreti-legge che finiscono per rivelarsi in palese contrasto con i principi costituzionali. (3-01966)
(26 gennaio 2016)