TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 552 di Giovedì 21 gennaio 2016

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL CONTRASTO DELLE INFEZIONI IN AMBIENTE OSPEDALIERO E SANITARIO

   La Camera,
   premesso che:
    le infezioni nosocomiali e la resistenza antimicrobica costituiscono due specifiche problematiche sanitarie richiamate nell'allegato 1 della decisione n. 2000/96/CE del 22 dicembre 1999 della Commissione europea relativa alle malattie trasmissibili da inserire progressivamente nella rete comunitaria in forza della decisione n. 2119/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    la resistenza antimicrobica è la capacità di un microrganismo (batterio, virus o parassita) di resistere ad uno o più antimicrobici (multiresistenza) usati in via terapeutica o profilattica;
    i maggiori fattori causali di tale fenomeno sono l'abuso di antimicrobici (che finisce per esercitare una pressione ecologica sui microrganismi e contribuisce alla comparsa e alla selezione di elementi resistenti), la mutazione genetica degli stessi microrganismi, la loro diffusione/trasmissione crociata uomo-uomo, animale-animale e uomo-animale-ambiente;
    nell'ambito della mortalità per malattie infettive, il fenomeno dei microrganismi multiresistenti rappresenta un rischio sanitario assai rilevante, dal momento che le terapie alternative sono limitate o addirittura inesistenti e che esso presenta un'incidenza primaria nell'ambito delle prestazioni erogate negli ospedali, in particolare nelle situazioni più critiche, ad esempio nei reparti di terapia intensiva o dove si svolge chirurgia invasiva e/o in genere nelle situazioni associate all'assistenza sanitaria (reparti di lungodegenza, ricoveri per anziani, assistenza domiciliare e altro);
    oggi la mortalità per le cosiddette «infezioni ospedaliere» si aggira intorno al 25-30 per cento. L'entità di tale percentuale è talmente allarmante che l'Organizzazione mondiale della sanità ha ripetutamente dedicato negli ultimi anni documenti strategici e linee guida per quei Paesi che vogliono istituire sistemi di monitoraggio della resistenza antimicrobica e intraprendere interventi efficaci;
    come per tutti i microrganismi, anche in riferimento ai «batteri antibiotico resistenti» si parla di totale o quasi totale impotenza del contrasto farmacologico alla loro proliferazione. Questi batteri producono, infatti, degli enzimi che distruggono gli antibiotici appartenenti alla classe dei «carbapenemici» (imipenem e meropenem) usati nelle infezioni più gravi. La loro proliferazione, specie in ambito nosocomiale e sanitario, permane elevata e in alcune realtà europee, come la Grecia e l'Italia, addirittura in costante aumento;
    tra i batteri più insidiosi e mortali che agiscono in ambito nosocomiale, vi è la Klebsiella pneumoniae (KP), un enterobatterio della famiglia delle Enterobacteriaceae, che comunemente convive in modo opportunistico con l'organismo umano a livello di apparato intestinale;
    la Klebsiella pneumoniae può scatenarsi ed avere esiti fatali nell'entrare in contatto con il fisico defedato di persone affette da malattie severe e/o provate da terapie che ne hanno compromesso il sistema immunitario;
    la Klebsiella pneumoniae resistente (CRKP – carbapenem-resistent Klebsiella pneumoniae) rappresenta il paradigma della criticità del fenomeno testé descritto, anche sotto il profilo della sua crescente diffusione e difficoltà di contrasto. Da anni si registrano in tutto il mondo casi letali di Klebsiella pneumoniae e nemmeno le eccellenze ospedaliere sono risultate immuni dai contagi. I reparti più colpiti sono generalmente le rianimazioni, i centri grandi ustionati, le chirurgie ed i centri di trapianti di organi;
    la prima causa scatenante per la diffusione delle infezioni da batteri Gram negativi, produttori di carbapenemasi (CPE), è costituito dal trasferimento dei pazienti tra le diverse strutture sanitarie. Numerosi studi scientifici hanno evidenziato che i fattori di rischio per le infezioni da carbapenemasi sono: la gravità delle condizioni cliniche del paziente, il trasferimento da altre strutture ospedaliere, la permanenza, per un determinato periodo di tempo, in unità di terapia intensiva, un precedente intervento chirurgico, i trapianti di midollo o organi solidi, la presenza di ferite chirurgiche, il cateterismo delle vie biliari, la ventilazione assistita;
    le più recenti evidenze disponibili in letteratura suggeriscono che uno dei più sensibili segmenti di intervento per il contenimento dell'emergenza sanitaria legata alla trasmissione delle infezioni da carbapenemasi e, in particolare, da carbapenem-resistent Klebsiella pneumoniae rimane ancora un ricorso prudente di antimicrobici (vale a dire un uso limitato ai soli casi in cui è realmente necessario nel rispetto delle dosi, degli intervalli e della durata del trattamento);
    il network di sorveglianza europea sul consumo degli antimicrobici (European Surveillance of antimicrobial consumption – Esac), operativo nell'ambito del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di Stoccolma (Ecdc), ha recentemente messo in luce proprio quest'ultimo fattore e la preoccupante esistenza di un ampio range tra i Paesi dell'Unione europea e dell'area economica europea per uso di antimicrobici. In rapporto alla popolazione, Grecia e Cipro registrano, per la cura dei pazienti ambulatoriali, un uso per abitante/anno 3 volte maggiore rispetto ai Paesi Bassi. Questa circostanza non è casuale, laddove la Grecia risulta essere il primo Paese dell'Unione europea nella graduatoria negativa della resistenza antimicrobica alla Klebsiella pneumoniae;
    ai fini del controllo e del contenimento della trasmissione crociata dei microrganismi resistenti agli antimicrobici, Esac ha inoltre evidenziato l'inderogabile necessità di implementare tutte le precauzioni igieniche ed i protocolli di sicurezza in uso negli ospedali e nelle strutture sanitarie;
    il 5 giugno 2012 il Ministero della salute ha presentato le «Indicazioni contenenti le misure di prevenzione e controllo delle infezioni da CPE» e, in particolare, da Klebsiella pneumoniae resistente. Da tali indicazioni è emersa la necessità di implementare le precauzioni igieniche e, in particolare, rafforzare:
     a) l'utilizzo scrupoloso delle precauzioni da contatto da parte del personale sanitario, attraverso una maggiore igiene delle mani prima e dopo il contatto con il paziente colonizzato o infetto da carbapenemasi, l'uso di guanti e sovra-camicie, l'intensificazione dell'igiene ambientale;
     b) l'isolamento dei pazienti colonizzati/infetti in stanza singola con bagno dedicato o loro raggruppamento in aree dedicate dell'ospedale («cohorting»);
     c) l'assistenza dei pazienti colonizzati/infetti da carbapenemasi da parte di personale sanitario dedicato;
     d) l'educazione/formazione del personale sanitario sulle misure di sorveglianza e controllo contro le infezioni da carbapenemasi;
    il 18 novembre di ogni anno il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di Stoccolma organizza la «Giornata europea degli antibiotici», che si inserisce in una più ampia iniziativa europea per la prevenzione ed il controllo delle malattie infettive;
    i dati più recenti diffusi dal Centro europeo di Stoccolma confermano che nell'area dell'Unione europea il numero di pazienti infetti da batteri resistenti sia in continuo aumento e che la resistenza agli antibiotici rappresenti un problema emergente di sanità pubblica. Le cifre riportate dal focus sull'Italia dovrebbero indurre le istituzioni sanitarie ad innalzare la soglia di attenzione e di sorveglianza per quanto attiene, in particolare, alla diffusione della Klebsiella pneumoniae, la cui trasmissione permane elevata ed è addirittura in aumento;
    nel triennio 2010-2013, la resistenza antimicrobica della Klebsiella pneumoniae è cresciuta infatti in 5 Stati su 9 (Grecia, Italia, Repubblica ceca, Francia e Spagna). Nel nostro Paese, il trend segue un andamento assai preoccupante: 1,3 per cento nel 2009, 16 per cento nel 2010, 26,7 per cento nel 2011 e del 13 per cento nel 2013. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di Stoccolma riporta che l'Italia stessa si è dichiarata in una situazione di endemicità per tale resistenza antimicrobica;
    il 22 gennaio 2013 il Ministro Balduzzi rispondeva ad un atto di sindacato ispettivo in relazione al caso di tre pazienti deceduti in un brevissimo arco temporale (dal 30 gennaio all'8 febbraio 2012), all'ospedale San Bassiano, a Bassano del Grappa, per un'infezione originata dal batterio Klebsiella pneumoniae e riconosceva che: «(...) le infezioni da batteri Gram negativi produttori di carbapenemasi, soprattutto delle specie Klebsiella pneumoniae e Escherichia coli, rappresentano sicuramente una problematica emergente per la sanità pubblica in particolare negli ultimi dieci anni»;
    il 26 febbraio 2013 il Ministero della salute ha pubblicato la circolare n. 4968 in materia di «Sorveglianza e controllo delle infezioni da batteri produttori di carbapenemasi (CPE)», contenente le linee di indirizzo da seguire in materia di:
     a) sorveglianza passiva, attraverso la rilevazione di batteriemie da ceppi di carbapenemasi;
     b) sorveglianza attiva dei contatti dei pazienti infetti o colonizzati, di tutti i pazienti identificati in precedenza come infetti o colonizzati che accedono una seconda volta in ospedale, di tutti i pazienti provenienti da Paesi endemici (Grecia, Cipro, Pakistan, Colombia, India e altri), di pazienti che vengono ricoverati o trasferiti in reparti a rischio quali terapia intensiva, oncologia, ematologia, neuro-riabilitazione, unità spinale, chirurgia dei trapianti;
     c) misure di controllo attraverso l'adozione di precauzioni da contatto (che ricalcano le indicazioni del Ministero della salute del 5 giugno 2012);
    sono trascorsi ormai due anni dalla circolare sopra ricordata e dal tentativo delle istituzioni sanitarie italiane di instaurare un sistema di sorveglianza delle infezioni ospedaliere resistenti. Le preannunciate azioni di contrasto, avviate dal Governo, appaiono meri, seppur meritori, propositi mai divenuti concretamente operativi, a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo, nelle corsie degli ospedali italiani e comunque del tutto inadeguati alla serietà della situazione in atto, soprattutto sul versante della deterrenza del consumo di antibiotici e del contenimento delle infezioni nosocomiali;
    è sempre più urgente un efficace ed adeguato piano di interventi volti al controllo e al contenimento delle infezioni ospedaliere, dell'allarmante fenomeno dell'antibiotico-resistenza e dell'epidemiologia delle resistenze batteriche in relazione a tutte le infezioni da carbapenemasi e della Klebsiella pneumoniae in particolare;
    il rischio che negli ospedali italiani si possa profilare presto un’«emergenza sanitaria» è oggi molto alto e ad aggravare tale previsione è la consapevolezza che sono pochissime le sostanze attualmente in fase di ricerca e sviluppo che potrebbero avere efficacia contro il batterio-killer della Klebsiella pneumoniae e che comunque tali farmaci non potrebbero essere in commercio prima dei prossimi 5-10 anni,

impegna il Governo:

   a potenziare il sistema nazionale di raccolta di informazioni omogenee sulle infezioni ospedaliere resistenti, rendendo obbligatoria la notifica dei ceppi resistenti, al fine di poter disporre di un accurato monitoraggio della loro incidenza nel nostro Paese, propedeutico all'adozione delle indispensabili misure di intervento;
   a dare piena attuazione al disposto della circolare n. 4968 del 2013 del Ministero della salute, anche adeguandone il contenuto alle nuove emergenze sanitarie e istituendo il sistema di sorveglianza nazionale, obbligatorio e comprensivo per i ceppi resistenti come richiesto dal Consiglio europeo (raccomandazione del Consiglio 2002/77/CE e successive raccomandazioni);
   ad assumere iniziative per prevedere un percorso guidato di coinvolgimento delle regioni che garantisca la piena attuazione delle esigenze di sorveglianza sulla resistenza antibiotica, secondo le indicazioni del Ministero della salute;
   a promuovere l'attivazione dei programmi di formazione professionale specifica, in particolare rivolti agli operatori nosocomiali, che consentano di certificare il livello di qualità di tutte le specifiche procedure ospedaliere e di segnalare eventuali errori e «quasi errori» che consentano di perfezionare i percorsi di risk management;
   ad adottare iniziative urgenti ed efficaci, volte ad elevare e standardizzare la qualità di tutti i protocolli di sicurezza in uso negli ospedali italiani, in linea con i dossier sanitari europei e con le linee guida internazionali dell'Organizzazione mondiale della sanità;
   ad adottare iniziative efficaci che mirino alla riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero e comunitario, limitandone l'uso esclusivamente alle situazioni nelle quali ce ne sia reale necessità come, tra l'altro, raccomandato dal Consiglio dell'Unione europea (raccomandazione 2002/77/CE);
   ad assumere iniziative per redigere, finanziare adeguatamente ed adottare, in collaborazione con gli esperti del settore, un vero «piano nazionale di prevenzione e controllo», con l'obiettivo di contrastare l'allarmante fenomeno della trasmissione di casi di infezione o colonizzazione da batteri antibiotico resistenti e, in particolare, Gram negativi, produttori di carbapenemasi in ambiente ospedaliero e sanitario;
   ad implementare un sistema di sorveglianza dell'antibioticoresistenza integrato fra gli aspetti di sanità umana e sanità animale, che comprenda i dati generati nel settore veterinario (sia per gli animali da reddito, che per gli animali d'affezione), attraverso la rete degli istituti zooprofilattici, che miri all'ottenimento del consumo prudente degli antibiotici in ambito agroalimentare e veterinario.
(1-01055)
«Capua, Lenzi, Nizzi, Calabrò, Gigli, Locatelli, Sbrollini, Piazzoni, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piccione, Giuditta Pini, D'Agostino, Monchiero, Vargiu, Quintarelli, Matarrese, Galgano, Catania, Oliaro, Bombassei, Rabino, Palladino, Prataviera, Caon, Marcolin, Matteo Bragantini, Fitzgerald Nissoli, Longo, Palmieri, Picchi, Dorina Bianchi, Binetti, Amoddio».
(6 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    le infezioni ospedaliere costituiscono una grande sfida ai sistemi di salute pubblica, perché sono un insieme piuttosto eterogeneo di condizioni diverse sotto il profilo microbiologico, fisiologico ed epidemiologico che hanno un elevato impatto sui costi sanitari e sono indicatori della qualità del servizio offerto ai pazienti ricoverati;
    si definiscono così le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell'ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione. Sono l'effetto della progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, che se da una parte garantiscono la sopravvivenza a pazienti ad alto rischio di infezioni, dall'altra consentono l'ingresso dei microrganismi anche in sedi corporee normalmente sterili. Un altro elemento cruciale da considerare è l'emergenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici, visto il largo uso di questi farmaci a scopo profilattico o terapeutico;
    negli ultimi anni l'assistenza sanitaria ha subito profondi cambiamenti. Mentre prima gli ospedali erano il luogo in cui si svolgeva la maggior parte degli interventi assistenziali, a partire dagli anni ’90 sono aumentati sia i pazienti ricoverati in ospedale in gravi condizioni (quindi a elevato rischio di infezioni ospedaliere), sia i luoghi di cura extra-ospedalieri (residenze sanitarie assistite per anziani, assistenza domiciliare, assistenza ambulatoriale). Da qui la necessità di ampliare il concetto di infezioni ospedaliere a quello di infezioni correlate all'assistenza sanitaria e sociosanitaria;
    le infezioni sono causate da microrganismi opportunistici presenti nell'ambiente, che solitamente non danno luogo a infezioni. Le infezioni ospedaliere possono insorgere su pazienti immunocompromessi durante il ricovero e la degenza o, in qualche caso, anche dopo la dimissione del paziente e possono avere diverso grado di gravità, fino ad essere letali. Le infezioni ospedaliere possono interessare anche gli operatori sanitari che lavorano a contatto con i pazienti, e quindi misure adeguate devono essere prese non solo per trattare le persone ricoverate, ma anche per prevenire la diffusione delle infezioni ospedaliere tra il personale che fornisce assistenza e cura;
    nonostante l'elevato impatto, sia sociale che economico, dovuto alle infezioni ospedaliere, i sistemi di sorveglianza e di controllo e le azioni per ridurne gli effetti sono invece ancora piuttosto disomogenei da Paese a Paese e a livello nazionale, anche se negli ultimi anni sono stati messi a punto e implementati numerosi programmi. Gli studi effettuati indicano che è possibile prevenire il 30 per cento delle infezioni ospedaliere insorte, con conseguente abbassamento dei costi e miglioramento del servizio sanitario. Incidendo significativamente sui costi sanitari e prolungando le degenze ospedaliere dei pazienti, le infezioni ospedaliere finiscono con l'influenzare notevolmente la capacità dei presidi ospedalieri di garantire il ricovero ad altri pazienti;
    oggi la situazione delle infezioni nosocomiali è davvero preoccupante in tutti gli ospedali italiani, specialmente a causa della diffusione di Klebsiella pneumoniae produttore di carbapenemasi KPC (un enzima che inattiva gran parte degli antibiotici). La Klebsiella, normalmente ospitata nell'intestino umano, colpisce per lo più i pazienti ricoverati nelle terapie intensive e esposti a ventilatori, i portatori di cateteri intravascolari o ammalati trattati a lungo con antibiotici. Le infezioni cui dà seguito sono polmoniti (di solito associate a ventilazione meccanica e tracheotomia), infezioni delle vie urinarie (da catetere) e sepsi correlate al catetere venoso centrale. Le opzioni terapeutiche sono molto limitate: tigeciclina, gentamicina, colistina e fosfomicina sono gli unici antibiotici che l'antibiogramma indica come attivi, ma alcuni di essi comportano effetti collaterali, altri sono difficili da reperire. Inoltre, poiché non possiedono una rapida e spiccata attività battericida ed hanno un profilo cinetico-dinamico modesto, vengono utilizzati in associazione e ad alto dosaggio;
    per controllare e ridurre le infezioni ospedaliere, è necessario che le strutture agiscano su più fronti: l'attuazione di misure di prevenzione di controllo delle infezioni ospedaliere attraverso azioni sulle strutture ospedaliere, sui sistemi di ventilazione e sui flussi di acqua, sull'igiene del personale e dell'ambiente; l'individuazione di personale dedicato alla sorveglianza; un protocollo di sorveglianza attiva delle infezioni che si manifestano e un appropriato flusso informativo che permetta l'identificazione e la quantificazione delle infezioni stesse nei diversi presidi; la formazione del personale dedicato al trattamento dei pazienti, soprattutto nelle aree critiche di terapia intensiva e chirurgica, e di quello dedicato alla raccolta e analisi dei dati;
    uno dei problemi relativi alle infezioni ospedaliere è la loro identificazione, classificazione e quantificazione. Per cercare di risolvere questo aspetto, sono state messe a punto definizioni di caso dai centri per la prevenzione e il controllo delle malattie americani, ma anche da programmi europei come Helics e Earss. Negli Stati Uniti e nel Nord Europa esiste un sistema di controllo e sorveglianza, mentre nel nostro Paese questo sistema non è ancora operativo. Gli studi italiani hanno però rilevato che le caratteristiche epidemiologiche delle infezioni ospedaliere individuate sono simili a quelle descritte dal sistema americano, il National nosocomial infections surveillance system (Nnis), che costituisce quindi un valido punto di riferimento,

impegna il Governo:

   ad attivarsi affinché gli ospedali moderni e di terzo livello siano dotati di servizi di microbiologia permanente che permettano di accorciare i tempi di isolamento ed identificazione dei microrganismi e quelli dei test di suscettibilità agli antibiotici;
   ad adoperarsi, attraverso la comunicazione a tutti i livelli, affinché l'appropriatezza terapeutica significhi usare gli antibiotici giusti e necessari, nelle giuste dosi e per il tempo adeguato, limitandone al massimo l'uso empirico, posto che combattere la spirale dell'empirismo (la sequenza febbre=infezione=antibiotico) è lo strumento più importante per limitare l'abuso di antibiotici e controllare l'emergenza delle resistenze batteriche;
   a promuovere la creazione di staff specialistici multidisciplinari (intensivisti, ematologi, infettivologi, microbiologi, farmacologi) che mettano a punto protocolli diagnostico-terapeutici mirati ai singoli gruppi di pazienti a rischio per contenere la resistenza antimicrobica, ridurre l'utilizzo dei farmaci, ridurre gli eventi avversi legati all'uso improprio degli antimicrobici e ridurre i costi.
(1-01092)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(15 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    le infezioni ospedaliere e la resistenza antimicrobica continuano a rappresentare la più frequente complicanza ospedaliera e il loro trend sembra essere in continuo aumento;
    in media, il 5 per cento dei pazienti contrae un'infezione durante il periodo di soggiorno in corsia e la maggior parte delle persone infette nei giorni di ricovero viene colpita da polmonite;
    le infezioni nosocomiali e la resistenza antimicrobica rappresentano due particolari questioni sanitarie richiamate anche nell'allegato 1 della decisione n. 2000/96/CE del 22 dicembre 1999 della Commissione europea relativa alle malattie trasmissibili da inserire progressivamente nella rete comunitaria, giusto la decisione n. 2119/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    è sempre crescente la resistenza antimicrobica e le capacità di batteri, virus e parassiti di resistere ad uno o più antimicrobici usati in via terapeutica o profilattica;
    tra le maggiori cause di tale evenienza sono l'abuso di antimicrobici, le mutazioni degli stessi microrganismi e la loro facile diffusione;
    il fenomeno di microrganismi multiresistenti rappresenta un rischio sanitario tra i più elevati ed incide in modo significativo nell'ambito della mortalità per malattie infettive, atteso che le terapie alternative sono quasi inesistenti;
    il rischio sanitario da microrganismi multiresistenti ha un'incidenza primaria nell'ambito delle prestazioni erogate negli ospedali soprattutto nei reparti di rianimazione, terapia intensiva, chirurgia invasiva e nei reparti di assistenza sanitaria associata (lungodegenza);
    risulta allarmante, attualmente, la mortalità per «infezioni ospedaliere» monitorata intorno al 25-30 per cento e tra i batteri più pericolosi che agiscono in ambito nasocomiale vi è la Klebsiella pneumoniale e una serie di altri microrganismi Gram negativi che provocano la morte di persone con fisico defedato, affette da malattie severe, immunodepresse;
    tra le cause scatenanti per la diffusione delle infezioni da batteri Gram negativi sono da annoverare: il trasferimento dei pazienti tra le diverse strutture sanitarie; la gravità delle condizioni cliniche del paziente; la permanenza per un determinato periodo di tempo in rianimazione e/o terapia intensiva; un precedente intervento chirurgico; i trapianti di midollo o di organi; la presenza di ferite chirurgiche; il cataterismo delle vie biliari e la ventilazione assistita;
    le ricerche ed i risultati più recenti pubblicati dal Centro europeo di Stoccolma confermano che, in Europa, il numero dei pazienti infetti da batteri resistenti sono in continuo aumento e che la resistenza agli antibiotici rappresenta una grave emergenza di sanità pubblica;
    nel nostro Paese si registra un trend di vistoso aumento delle infezioni ospedaliere, con oltre 50.000 persone all'anno che vengono colpite da infezioni ospedaliere;
    il Ministero della salute ha pubblicato la circolare n. 4968, il 26 febbraio 2013, riguardante la «Sorveglianza e controllo delle infezioni da batteri produttivi di carbapenemasi (cpe)» e sono ormai trascorsi quasi tre anni dal tentativo di instaurare un sistema di sorveglianza delle infezioni ospedaliere resistenti e quanto messo in campo finora non è stato sufficiente ad ottenere risultati significativi; pertanto, si rende necessario ed urgente un più adeguato intervento per il controllo ed il contenimento delle infezioni ospedaliere e del sempre crescente fenomeno dell'antibiotico-resistenza, con conseguente serio rischio che negli ospedali italiani si possa profilare presto uno stato di emergenza sanitaria,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità dell'adozione di ulteriori iniziative volte ad elevare la qualità dei protocolli di sicurezza in uso negli ospedali italiani seguendo le linee guida internazionali dell'Organizzazione mondiale della sanità;
   ad assumere iniziative attraverso campagne istituzionali di informazione e di educazione sanitaria per la riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero, utilizzandoli solo nelle situazioni in cui ci sia reale necessità;
   a valutare l'opportunità di predisporre un nuovo piano nazionale di prevenzione e controllo, con l'obiettivo di contrastare le infezioni ospedaliere ed il fenomeno dell'antibiotico-resistenza;
   a coinvolgere le regioni attraverso la sottoscrizione di accordi che garantiscano l'attuazione dei protocolli di sorveglianza sulla resistenza antibiotica, secondo le indicazioni del Ministero della salute.
(1-01094)
«Palese, Fucci, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Latronico, Marti».
(18 gennaio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    tra i diversi rischi associati all'assistenza sanitaria e socio-sanitaria, quello infettivo, ossia la possibilità per pazienti e operatori di contrarre un'infezione nel corso di un episodio assistenziale o in ambito lavorativo, occupa un posto particolare in ragione delle dimensioni del rischio, della complessità dei determinanti e del trend epidemiologico in aumento;
    le infezioni nosocomiali rappresentano, infatti, un importante problema di salute pubblica, oltre ad essere indicatori della qualità del servizio sanitario offerto ai pazienti ricoverati in strutture nosocomiali e ad avere un consistente, e spesso sottovalutato, impatto sui costi sanitari;
    dette infezioni sono un insieme piuttosto eterogeneo di condizioni diverse sotto il profilo microbiologico, fisiologico ed epidemiologico, spesso causate da microrganismi presenti nell'ambiente, microrganismi che di solito non danno luogo a infezioni, ma possono provocarle in pazienti con deficit del sistema immunitario durante il ricovero e la degenza o, in qualche caso anche dopo la dimissione, e possono avere diverso grado di gravità, fino ad essere letali. Seppur in numero minore, dette infezioni possono interessare anche gli operatori sanitari che lavorano a contatto con i pazienti e forniscono loro assistenza e cura;
    buona parte delle infezioni correlate all'assistenza è prevenibile. Tra queste rientrano le pratiche sanitarie ed assistenziali in caso: di non rispetto degli standard di precauzione riguardo l'igiene, la pulizia e disinfezione dell'ambiente, la sterilizzazione delle attrezzature e dei presidi; di utilizzo non appropriato degli antibiotici; di inadeguatezza della struttura ospedaliera e carenze impiantistiche, come nel caso di infezioni trasmesse attraverso l'acqua o l'aria, quali, ad esempio, le infezioni da legionella;
    la suddetta malattia del legionario, più comunemente definita legionellosi, è un'infezione polmonare causata dal batterio Legionella pneumophila;
    nel 1983, con decreto ministeriale (decreto ministeriale 7 febbraio 1983) il Ministero della sanità ha incluso la legionellosi tra le malattie infettive e diffusive soggette ad obbligo di denuncia. Data la necessità di promuovere la raccolta di informazioni più accurate, l'Istituto superiore di sanità ha avviato un programma nazionale di sorveglianza e l'istituzione del registro nazionale della legionellosi;
    l'infezione da legionella viene trasmessa da flussi di aerosol e di acqua contaminata, come nel caso di ambienti condizionati o con l'uso di umidificatori. Il batterio, infatti, si riproduce soprattutto in ambienti umidi e tiepidi o riscaldati, come i sistemi di tubature, i condensatori, le colonne di raffreddamento dell'acqua, sui quali forma un film batterico. Sedimenti organici, ruggini, depositi di materiali sulle superfici dei sistemi di stoccaggio e distribuzione delle acque ne facilitano l'insediamento;
    come sottolineato dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute, la legionellosi pone un serio problema di salute pubblica, perché costituisce un elemento di rischio in tutte le situazioni in cui le persone sono riunite in uno stesso ambiente, come avviene in ospedali, case di cura, residenze per anziani e altri luoghi pubblici nei quali è in funzione un sistema di condizionamento, di umidificazione o di trattamento dell'aria o di ricircolarizzazione delle acque;
    in quest'ultimo anno si sono verificati diversi casi di legionellosi. Per citarne solo alcuni: sei casi nel comune di Bresso (Milano), tre casi nel quartiere Niguarda di Milano, due ricoveri all'ospedale Mandic di Merate in provincia di Lecco;
    la normativa italiana è sostanzialmente costituita dalle «Linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi», approvate dalla Conferenza Stato-regioni, e pubblicate sulla Gazzetta ufficiale del 5 maggio 2000;
    questo strumento legislativo ha disciplinato la bonifica delle reti idriche contaminate dal batterio, ma con sistemi ormai datati come lo shock termico e l'iperclorazione. Non sono stati, inoltre, recepiti i risultati di alcune sperimentazioni condotte negli scorsi anni dall'Istituto superiore di sanità in alcuni ospedali pubblici, come a Trento;
    i metodi individuati a suo tempo dal Ministero presentano diversi limiti e inoltre è totalmente assente la prevenzione nei mezzi di trasporto;
    esistono attualmente nuovi metodi di bonifica e profilassi che utilizzano il biossido di cloro, il perossido di idrogeno e argento ed altro, che non sono contemplati nelle linee guida del 2000;
    più in generale, si evidenzia come riguardo alle infezioni in ambiente ospedaliero e sanitario, decisivo è il ruolo fondamentale che devono avere l'attivazione di strumenti e politiche preventive. La prevenzione delle infezioni correlate all'assistenza deve essere, quindi, posto come obiettivo non solo da chi ha responsabilità di gestione dell'azienda, ma anche da parte di ciascun operatore;
    nonostante l'elevato impatto, sia sociale e sanitario che economico, dovuto alle infezioni nosocomiali, i sistemi di sorveglianza e di controllo e le azioni per ridurne gli effetti sono, invece, ancora insufficienti e fortemente disomogenei da struttura a struttura e a livello nazionale;
    in Italia, ogni anno, circa il 6 per cento dei pazienti ricoverati contrae nelle strutture sanitarie un'infezione. Circa 450-600 mila infezioni (soprattutto delle vie urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi), che nell'1 per cento dei casi si stima siano la causa diretta del decesso del paziente;
    il 30 per cento delle infezioni ospedaliere sono prevedibili e gestibili. Ciò comporta che, attraverso l'attuazione dei più aggiornati protocolli di prevenzione, mirati investimenti, un controllo e una corretta gestione delle infezioni ospedaliere, ogni anno si potrebbero evitare tra le 130.000 e le 200.000 infezioni con il relativo 1 per cento di decessi;
    numerose sono le fonti di microrganismi che possono dare luogo alle infezioni ospedaliere: le strutture stesse, i sistemi di ventilazione e aerazione, i flussi di acqua, l'igiene del personale e dell'ambiente, le pratiche chirurgiche e gli ausili invasivi (ad esempio, cateteri e valvole), l'uso non sempre corretto di antibiotici che possono comportare resistenze;
    sotto quest'ultimo aspetto si segnala l'aumento, non solo nel nostro Paese ma in tutta l'area dell'Unione europea, del fenomeno dell'antibiotico-resistenza. Crescono, infatti, i pazienti infetti da batteri resistenti e questo aumento delle infezioni sostenute da microrganismi resistenti agli antibiotici è anche conseguente alla pressione antibiotica a cui le persone sono sottoposte;
    a contribuire alle infezioni contratte in ambito nosocomiale, vi è senza dubbio: 1) la crescente carenza di risorse finanziarie da investire in prevenzione e nel controllo efficace delle infezioni; 2) una perdurante politica di tagli al personale e di blocco del turn over, che ha inciso profondamente e negativamente sulle risorse umane, in particolare sulle figure professionali, adeguatamente formate, addette al controllo e che non sono disponibili in tutti gli ospedali del nostro Paese; 3) una bassa integrazione tra i programmi di gestione del rischio infettivo e quelli più generali di gestione del rischio clinico. Nei presidi di aziende sanitarie nelle quali esistono gruppi o progetti per la gestione del rischio clinico, meno del 50 per cento dei casi detti gruppi o progetti operano in maniera integrata con i programmi di controllo delle infezioni ospedaliere, o infezioni correlate all'assistenza;
    aspetto centrale nel contrasto alle infezioni correlate all'assistenza è quello della sorveglianza. E questo si ottiene anche attraverso la possibilità di poter disporre di un sistema di segnalazione veloce di eventi che richiedono interventi tempestivi, e quindi attraverso la costruzione di sistemi informativi innovativi, come avvenuto in alcune regioni, che rappresentino la base di dati empirici per poter indirizzare gli interventi;
    sotto questo aspetto si ricorda che in Europa numerose Paesi hanno attivato sistemi di sorveglianza continuativi nei reparti più a rischio, quali i reparti chirurgici e le unità di terapia intensiva;
    la legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016) ha previsto che le strutture pubbliche e private che erogano prestazioni sanitarie debbano attivare una funzione di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario (risk management) per la messa in sicurezza dei percorsi sanitari, l'individuazione/soluzione delle criticità più frequenti e la prevenzione del rischio sanitario. Uno strumento sicuramente importante, ma che ha inevitabilmente bisogno di risorse finanziarie adeguate per poter essere reso davvero efficace e operativo in tutte le suddette strutture sanitarie, a cominciare dalla stessa formazione degli operatori sanitari sulle tematiche relative alle misure di prevenzione delle infezioni in ambito ospedaliero e alla loro sorveglianza attiva,

impegna il Governo:

   ad avviare le opportune iniziative volte a prevedere, tra i criteri per l'autorizzazione e l'accreditamento delle strutture sanitarie, l'inclusione di requisiti specifici relativi al controllo delle infezioni correlate all'assistenza;
   in relazione alle misure sul rischio clinico introdotte nella legge di stabilità per il 2016, ad assumere iniziative per prevedere, di concerto con le regioni:
    a) che le strutture pubbliche e private che erogano prestazioni sanitarie complesse debbano periodicamente presentare alla regione una relazione consuntiva sugli eventi avversi verificatisi all'interno della struttura, con particolare riferimento alle infezioni in ambito ospedaliero, e sulle conseguenti iniziative messe in atto dalla struttura;
    b) che tutte le suddette strutture sanitarie, nell'ambito del previsto servizio di monitoraggio, prevenzione, gestione del rischio sanitario (risk management), siano tenute a istituire proprie «unità di gestione del rischio clinico»;
   a prevedere che i programmi di controllo delle infezioni ospedaliere debbano essere sempre integrati e far parte delle più ampie attività di gestione del rischio sanitario;
   a implementare i sistemi di sorveglianza attivi e continuativi delle infezioni nosocomiali, anche attraverso un appropriato flusso informativo che permetta l'identificazione e la quantificazione delle infezioni stesse nei diversi presidi, soprattutto nei reparti e settori più a rischio delle strutture sanitarie, quali i reparti chirurgici e le unità di terapia intensiva, prevedendo che i rispettivi report siano pubblicati e resi disponibili anche sui siti web delle medesime strutture;
   ad assumere iniziative per attivare programmi di formazione degli operatori sanitari sulle tematiche relative alle misure di prevenzione delle infezioni in ambito ospedaliero e alla loro sorveglianza attiva;
   ad assumere iniziative per garantire maggiori risorse e il superamento del blocco sostanziale delle assunzioni, al fine di consentire un investimento finanziario e in risorse umane per una reale ed efficace attività in prevenzione e di controllo delle infezioni in ambito ospedaliero;
   a prevedere adeguate iniziative volte a sensibilizzare e formare sia il personale medico sull'utilizzo e sulla somministrazione degli antibiotici e sui rischi legati a un loro uso eccessivo, sia i cittadini sulle controindicazioni collegate ad un utilizzo eccessivo e «fai da te» dei medesimi medicinali;
   a provvedere quanto prima, con il coinvolgimento dell'Istituto superiore di sanità, alla revisione ed aggiornamento delle linee guida nazionali approvate nel 2000 sulla legionellosi, anche alla luce dei nuovi metodi di bonifica e profilassi, al fine di consentire una più efficace attività di prevenzione, prevedendo anche le condizioni dettagliate di impiego dei nuovi metodi di sanificazione.
(1-01096)
«Gregori, Nicchi, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».
(19 gennaio 2016)