TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 547 di Giovedì 14 gennaio 2016

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   VITO, BRUNETTA, CALABRIA e VELLA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 16 gennaio 2016 scade la proroga del permesso per motivi di salute, concesso a Massimiliano Latorre per rientrare in Italia al fine di curarsi da un ictus che lo ha colpito;
   è inaccettabile ed improponibile anche solo ipotizzare che Massimiliano Latorre possa tornare in India –:
   quali decisioni abbia preso il Governo al fine di evitare che Massimiliano Latorre rientri in India e per il rientro in Italia di Salvatore Girone. (3-01919)
(13 gennaio 2016)

   CARUSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono impegnati nell'ambito dell'operazione «Strade Sicure», in supporto alle forze di polizia, circa 5500 militari, uomini e donne della difesa che quotidianamente, con grande dedizione e spirito di sacrificio, svolgono una proficua attività di controllo del territorio;
   inoltre, altri 600 militari danno il loro prezioso contributo nella missione «Mare Sicuro», che, come è noto, da inizio del 2015 svolge, in applicazione della legislazione nazionale e degli accordi internazionali vigenti, attività di presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel Mediterraneo centrale;
   dati recenti forniti dalla questura di Roma rivelano che, con riferimento al primo mese di questo Giubileo straordinario, reati quali rapine, furti, scippi e borseggi sono diminuiti di circa il 30 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno nella capitale;
   un indubbio merito in questo dato positivo è, certamente, anche della presenza nelle strade della città dei militari che supportano le forze dell'ordine;
   detta presenza di militari, non solo a Roma, aumenta la percezione di sicurezza dei cittadini, nonostante il grave momento storico che si sta vivendo per la minaccia terrorista;
   la legge di stabilità per il 2016 tra i suoi elementi cardine ha avuto anche quello di destinare maggiori risorse per la sicurezza –:
   con quali modalità e tempistiche il Governo intenda proseguire sulla strada intrapresa al fine di garantire il massimo grado di sicurezza ai cittadini, rafforzando quella percezione positiva dovuta anche alla presenza dei militari nelle strade delle città italiane. (3-01920)
(13 gennaio 2016)

   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con il piano di dismissioni delle caserme ritenute non più utili ai fini della propria attività istituzionale, il Ministero della difesa intendeva essenzialmente generare cassa, inizialmente allo scopo di finanziare l'acquisizione o l'ammodernamento di materiale d'armamento, attualmente invece allo scopo di alleggerire il debito pubblico, con obiettivi stringenti da conseguire negli esercizi finanziari 2016, 2017 e 2018;
   della politica di dismissioni attuata dalla difesa era parte anche la valorizzazione degli immobili da collocare sul mercato, anche allo scopo di accrescerne l'appetibilità;
   è stata peraltro prevista la possibilità di cedere agli enti locali gli immobili dismessi non richiesti da alcun corpo armato dello Stato e non collocabili in vendita;
   il recente orientamento del Governo di utilizzare le caserme dismesse per ben altri scopi, ed in particolare per offrire alloggio ai clandestini e profughi, sembra confliggere con le finalità alla base della politica delle dismissioni, vanificandone la valorizzazione ed implicando costi aggiuntivi;
   in questo contesto si colloca anche la vicenda concernente la ex caserma Zanusso di Oderzo (Treviso), di cui la prefettura di Treviso ha confermato, con comunicazione al comune di Oderzo datata 24 dicembre 2015, di voler rilevare dall'Agenzia del demanio una porzione allo scopo di allestirvi un centro straordinario di accoglienza destinato ad immigrati irregolari richiedenti tutela internazionale;
   il comune di Oderzo, invece, aveva richiesto sin dal 26 novembre 2013 all'Agenzia del demanio di poter acquisire la struttura, per poterla adibire allo svolgimento di attività di interesse sociale;
   il 7 maggio 2014 l'Agenzia del demanio aveva espresso parere favorevole sulla richiesta ma, avendo le Forze dell'ordine diritto di prelazione su tutta o su una porzione dell'area, a seguito dell'espressione di interesse ad una porzione dell'area da parte dei vigili del fuoco (carabinieri e forestale, invece, non avevano manifestato interesse), la questione si era arenata secondo gli interroganti per inefficienza dell'amministrazione comunale, come risulta dalla circostanza che in data 18 marzo 2015 l'Agenzia del demanio, con protocollo n. 2015/15833/DR-VE della sua Direzione regionale Veneto, chiedesse proprio al comune di Oderzo un aggiornamento sullo stato della pratica, evidenziando come non fosse pervenuto fino ad allora ancora nessun atto indispensabile per il trasferimento dell'area, il relativo frazionamento e l'esatta individuazione catastale della porzione del compendio che avrebbe dovuto rimanere nella disponibilità dello Stato per la costruenda stazione dei vigili del fuoco;
   a pagare le spese dell'inerzia degli amministratori del comune di Oderzo – a maggioranza Partito Democratico e liste civiche collegate – saranno conseguentemente i cittadini di Oderzo che si ritroveranno invasi da un elevato numero di clandestini invece di avere uno spazio d'utilità sociale;
   indubbiamente nel comune di Oderzo cresce l'allarme destato dalla possibilità che nella ex caserma Zanusso possa essere ospitato un ingente numero di migranti clandestini –:
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di sua competenza, posto che le prefetture sono suoi uffici territoriali, sulla decisione della prefettura di Treviso di acquisire parte della ex caserma Zanusso di Oderzo per realizzarvi un centro straordinario di accoglienza profughi. (3-01921)
(13 gennaio 2016)

   VALLASCAS, DA VILLA, CANCELLERI, CRIPPA, DELLA VALLE e FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sul sito web della società Snam spa è riportato che “la domanda gas in Italia potrà crescere sul decennio 2015-2024 di circa il 2,1 per cento medio annuo, sia a fronte di una previsione di ripresa del quadro macroeconomico e di domanda elettrica, sia a fronte della possibilità di attivare forme ulteriori di sostegno alla domanda quali il biometano e il progressivo incremento dell'uso del gas naturale nei trasporti;
   in particolare, per il biometano, prodotto negli oltre 1000 impianti in Italia, si può prevedere un contributo alla domanda di gas naturale fino a circa 5,1 miliardi di metri cubi al 2024, con una crescita significativa a partire dagli ultimi anni del decennio corrente”;
   il gas assume un ruolo centrale nella transizione verso un sistema energetico meno impattante da un punto di vista delle emissioni di gas ad effetto serra. La Strategia energetica nazionale del 2013 prevedeva, per quanto riguarda i gasdotti, di promuovere l'apertura del Corridoio Sud per l’import di gas dall'area del Caspio e da altri Paesi verso l'Italia, in particolare il progetto TAP (Trans Adriatic Pipeline). Inoltre, prevedeva di facilitare lo sviluppo del progetto South Stream (con potenziale sbocco in Italia), il progetto Galsi dall'Algeria e nuovi progetti di importazione del gas dal bacino del Mediterraneo;
   il progetto South Stream è stato definitivamente accantonato dopo che South Stream Transport, controllata al 100 per cento da Gazprom, ha deciso di cancellare il contratto con la Saipem per la prima linea della sezione offshore del gasdotto Turkish Stream a causa «dell'impossibilità di raggiungere un accordo su molti lavori e questioni commerciali per l'attuazione del progetto», contratto che per la Saipem valeva 2,2 miliardi di dollari;
   dopo alcuni articoli di stampa pubblicati nel dicembre 2015, nei quali si affermava la volontà italiana, condivisa dalla maggior parte dei Paesi dell'Unione europea, di «verificare la corrispondenza del progetto di raddoppio del gasdotto Nord Stream rispetto agli obiettivi dell'Unione» e per cui si ipotizzava un eccesso di concentrazione in una singola rotta del gas, aumentando la dipendenza dell'Unione europea dal gas russo, al contrario di quanto richiesto proprio in sede europea, sembrerebbero essersi avverate invece le indiscrezioni per cui il progetto italiano non sia quello di bloccare il Nord Stream, ma di pretendere una partecipazione economica di peso diverso;
   e infatti è notizia di questi giorni di una telefonata tra il Premier italiano Renzi e il Presidente Putin in cui «le parti hanno confermato l'importanza di proseguire il lavoro comune al fine di attuare progetti di energia reciprocamente vantaggiosi», notizia poi riportata dalla stampa italiana e seguita da un rialzo del titolo azionario della stessa Saipem, indicata come possibile beneficiaria di una parte dei lavori da realizzare per il nuovo gasdotto –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e come l'eventuale supporto italiano alla realizzazione del raddoppio del Nord Stream possa essere giudicato coerente con quanto indicato nella Strategia energetica nazionale, che indica l'Italia come il futuro hub del gas verso i Paesi del nord Europa e per cui sono stati decisi ingenti investimenti in infrastrutture a carico dei consumatori italiani. (3-01922)
(13 gennaio 2016)

   PIZZOLANTE e TANCREDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016, commi 240 e 241, ha modificato alcune norme del decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia» in tema di risorse energetiche nazionali e del decreto-legge cosiddetto «Sviluppo» n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012, che prevede norme relative alla ricerca di estrazione di idrocarburi;
   il Ministro interrogato ha concesso dei permessi di ricerca offshore nell'Adriatico che non prevedono alcun tipo di perforazione (che, comunque, non potrebbe essere autorizzata se non sulla base di una valutazione di impatto ambientale), ma esclusivamente attività di prospezione geofisica;
   tali perforazioni, peraltro, riguardano una zona di mare ben oltre le 12 miglia dalla costa: limite, quest'ultimo, previsto dalla legge di stabilità e, sulla base delle affermazioni del Ministro interrogato, non esistono contraddizioni tra le autorizzazioni e le disposizioni contenute nella legge di stabilità;
   in materia l'Italia ha una normativa che è, in assoluto, tra le più restrittive d'Europa e l'impatto ambientale del settore risulta, inoltre, tra i più bassi dell'industria italiana;
   costituisce una prerogativa da tempo affermata la capacità italiana di «fare impresa» rispettando l'ambiente;
   nel quadro, fortemente sostenuto, di una ricerca evoluta e dell'utilizzo intelligente dei mezzi e delle risorse, il nostro Paese deve possedere una precisa cognizione del valore e della consistenza del settore degli idrocarburi nel suo territorio: un obiettivo che è possibile conseguire specialmente oggi e con maggiori garanzie, attraverso le nuove tecniche estrattive che risultano decisamente meno invasive delle precedenti;
   il comparto delle fonti energetiche e della ricerca nel settore costituiscono un'indiscutibile priorità nell'ambito delle dinamiche di sviluppo dell'Italia, incidendo esse in maniera essenziale sul suo tessuto socio-economico;
   il nostro Paese che, si ripete, sa fare impresa rispettando l'ambiente, potrebbe giovarsi di un grande ritorno dall'espansione di una tale attività: in termini non solo strettamente economici ma anche sociali, perché è evidente come tale percorso sosterrebbe e favorirebbe ampiamente una forte crescita ed una sicura ripresa dell'occupazione, proponendo una vasta gamma di offerte ai lavoratori italiani;
   la ricerca di fonti energetiche, infatti, potrebbe rilevarsi strategica per la ripresa economica e per la crescita dell'occupazione. L'aumento della produzione nazionale di idrocarburi favorirebbe, peraltro, un'evoluzione positiva rispetto ai conti pubblici ed alla vita dei consumatori;
   in tale contesto assume un significato primario la corretta conoscenza da parte del Governo del valore e della consistenza dell'intero comparto (da valutare, accertare, monitorare costantemente nell'ambito di una ricerca approfondita e rispettosa della normativa vigente) –:
   quali siano le linee e gli indirizzi che il Governo intenda seguire per pervenire ad uno sfruttamento delle risorse energetiche del nostro Paese, attraverso un'azione che ne sostenga fortemente lo sviluppo socio-economico, nel sicuro rispetto della normativa vigente. (3-01923)
(13 gennaio 2016)

   DANIELE FARINA, SCOTTO, FRATOIANNI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge delega sulle pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio (legge 28 aprile 2014, n. 67), all'articolo 2, comma 3, lettera b), prevede l'abrogazione - con trasformazione della fattispecie in illecito amministrativo - del reato previsto dall'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con conservazione del rilievo penale in riferimento alle sole condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia;
   in riferimento a tale aspetto la delega non è stata esercitata, essendo inutilmente trascorso il tempo di 18 mesi dall'entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 (tempistica prevista dal comma 4 dell'articolo 2 della legge), senza che il Governo vi abbia provveduto;
   quanto accaduto non può che risultare grave, tanto più in riferimento ad una norma, quale è l'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, nell'ambito di misure in tema di immigrazione che hanno inquadrato e affrontato il fenomeno migratorio come un mero tema elettoralistico e propagandistico, senza alcun approccio o soluzione all'altezza delle sfide della globalizzazione;
   in particolare, il cosiddetto «reato di clandestinità» (articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 186) è stato introdotto con la legge 15 luglio 2009, n. 94, concernente «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica», entrata in vigore l'8 agosto 2009, che comporta, a carico dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio, qualora siano richiesti di un qualsiasi atto, l'obbligo di denunciare la persona definita come «clandestina», ovvero il migrante colpevole di non possedere o di avere perduto (suo malgrado e, in ogni caso, anche temporaneamente) il permesso di soggiorno;
   il reato di clandestinità si pone ad avviso degli interroganti in aperto contrasto con la Costituzione, punendo di fatto la persona non in conseguenza di un suo comportamento contrario alle norme, bensì per il mero trovarsi in una condizione personale di difetto di permesso di soggiorno, e dunque in palese violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Trattasi di una disposizione che ha posto il nostro Paese, secondo gli interroganti, in una condizione di illegalità rispetto alla normativa europea, disattendendo le norme costituzionali in tema di diritti inalienabili delle persone, nonché le convenzioni internazionali a tutela dello straniero;
   sulla scia di quanto stabilito dall'Unione europea, e in linea con i principi di uno Stato di diritto, sin da subito è risultato evidente il contrasto dell'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione con il dettato costituzionale sui diritti inalienabili delle persone, nonché con le convenzioni internazionali a tutela dello straniero; norma che nel tempo ha portato all'incarcerazione di più di 3.000 persone;
   il reato di immigrazione clandestina, peraltro, si evidenzia anche come controproducente, in quanto - come anche riferito dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti - è «un ostacolo alle indagini» e «non ha avuto finora una funzione dissuasiva»; lo stesso Roberti ha anche dichiarato che con la depenalizzazione del reato «sarà più facile individuare e colpire i trafficanti di esseri umani»;
   particolarmente grave appare, poi, l'atteggiamento del Governo, e in particolare del Ministro dell'interno che, come da ultimo dichiarato, ritiene che l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina trasmetterebbe all'opinione pubblica un «messaggio negativo» per «la percezione di sicurezza in un momento particolarissimo per l'Italia e l'Europa»; dunque, «motivi di opportunità fin troppo evidenti» porterebbero ad escludere l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina –:
   quali siano le intenzioni del Governo quanto all'abrogazione del «reato di clandestinità», ingiusto e controproducente, previsto dell'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, già oggetto di esplicita delega al Governo, non esercitata, quanto alla sua espunzione dal nostro ordinamento penale. (3-01924)
(13 gennaio 2016)

   VARGIU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 novembre 2014 è stato completato il trasferimento presso la nuova casa circondariale di Uta dei detenuti precedentemente reclusi nel carcere di Buoncammino in Cagliari;
   la struttura carceraria cagliaritana è stata edificata nel colle di Buoncammino, tra il 1887 e il 1897, con una superficie coperta di oltre 15000 metri quadri, in una sede considerata periferica e sicura nella città di allora, in adiacenza ai quartieri militari;
   tale sede periferica, nel successivo sviluppo urbanistico della città di Cagliari, ha acquisito una nuova centralità, oggi incompatibile con la destinazione carceraria, al punto di rappresentare uno dei motivi che ha indotto l'innesco del percorso di attuale dismissione;
   in particolare, l'attuale carcere di Buoncammino occupa una posizione strategica in relazione alle strutture universitarie contigue alla piazza d'Armi e del complesso scientifico e dell'ospedale militare ed è pienamente inserita nel contesto dei percorsi turistico-archeologici dell'Anfiteatro romano, dell'Orto dei Cappuccini, della villa di Tigellio, dell'orto botanico e dei giardini pubblici;
   il carcere è, inoltre, contiguo agli insediamenti militari dello stesso Colle di Buoncammino, alcuni dei quali sono (o potrebbero essere) in dismissione;
   il carcere occupa una delle posizioni maggiormente panoramiche della città di Cagliari, con affaccio su entrambi i versanti del Golfo, è prossimo allo storico quartiere di Castello ed è contornato dalla passeggiata del Buon Cammino e dal colle di San Lorenzo, con la suggestiva chiesetta Vittorina;
   è dunque del tutto naturale affermare che il carcere di Buoncammino rappresenta un asset strategico del futuro sviluppo turistico ed economico della città di Cagliari, rappresentando un elemento indispensabile della narrazione identitaria che deve costituire l'investimento fondamentale per il futuro della città;
   all'atto del trasferimento della popolazione carceraria, si è registrato il grande interesse della città nei confronti della struttura che, in varie occasioni, è stata visitata da migliaia di cagliaritani che hanno certificato quanto lo stabile sia considerato un elemento imprescindibile della storia recente e dell'anima profonda della città;
   successivamente all'abbandono dell'originaria destinazione di uso carceraria, è iniziato a Cagliari un intenso dibattito sulla destinazione futura della struttura, in coerenza con le esigenze della memoria, ma anche dello sviluppo economico futuro della città;
   mentre tale dibattito è in corso, i giornali locali hanno pubblicato notizie sull'utilizzo del bene da parte dell'Agenzia del demanio che ne detiene l'uso, tali da precludere qualsiasi disponibilità per finalità di interesse generale;
   in particolare, il quotidiano locale l'Unione Sarda, in data 29 novembre 2015, riferisce che la stessa Agenzia del demanio avrebbe trasferito nella sede del vecchio carcere gli uffici del DAP (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria), dell'UEPE (Ufficio locale per l'esecuzione penale esterna), gli archivi della corte d'appello e della prefettura e la sede della commissione per l'immigrazione;
   l'ordine del giorno n. 52 del consiglio comunale di Cagliari, approvato in data 4 novembre 2014, paventerebbe invece il possibile riuso del carcere di Buoncammino come sede di detenzione dei minori attualmente ospitati presso l'Istituto di pena minorile di Quartucciu;
   tali trasferimenti, che verrebbero definiti «temporanei» dalla stessa Agenzia del demanio, avrebbero comportato la disdetta dei contratti di affitto degli stabili che ospitavano le strutture statali trasferite;
   la disdetta dei contratti d'affitto comporterebbe significativi risparmi (nell'ordine di qualche centinaia di migliaia di euro all'anno) per la stessa Agenzia del demanio, andando a configurare situazioni che, sia sotto il profilo economico, che sotto quello logistico, rischiano di essere difficilmente reversibili;
   sembra dunque sostanzialmente definito un percorso statale di riutilizzo del bene, che avrebbe escluso da qualsiasi concertazione delle scelte sia la regione autonoma della Sardegna, che il comune di Cagliari, e che non avrebbe più alcuna caratteristica di «temporaneità»;
   mentre la precedente attività carceraria appare sicuramente ascrivibile alle competenze statali che giustificavano la detenzione del bene, non altrettanto si può dire per l'eventuale occupazione della struttura da parte di uffici decentrati dello Stato, che possono sicuramente essere allogati in strutture urbanistiche di pregio assolutamente differente;
   in particolare, tale «ripensamento» della destinazione del bene sembra avvenire in spregio all'articolo 14, del titolo terzo dello statuto regionale sardo (avente una valenza costituzionale) che prevede l'acquisizione al patrimonio regionale di tutti i beni dismessi, di cui non sia più dimostrabile la valenza strategica per lo Stato;
   tale eventuale destinazione dell'ex carcere di Buoncammino ad uso di uffici statali offenderebbe l'intera città di Cagliari, sottraendole un'opportunità di sviluppo, in uno specifico contesto urbano che appare invece strategico per l'economia e l'identità del capoluogo della Sardegna;
   il danno di immagine per lo Stato, derivante dal riutilizzo dell'ex carcere in modo non coerente rispetto alle aspettative della cittadinanza, sarebbe imponente e tale da rendere assolutamente negativo il saldo con i modesti risparmi economici eventualmente ottenuti;
   il comune di Cagliari e la regione autonoma della Sardegna avrebbero recentemente interloquito con il Ministero della giustizia per esporre le ragioni giuridiche e di opportunità che rendono indispensabile la riacquisizione al patrimonio regionale dell'ex carcere di Buoncammino in Cagliari, prospettando alcuni progetti di riutilizzo dello stesso –:
   se, in quali tempi e con quali eventuali condizioni, il Ministero di giustizia intenda ottemperare alla richiesta della regione autonoma della Sardegna di trasferimento al patrimonio regionale dell'ex casa circondariale di Buoncammino in Cagliari. (3-01925)
(13 gennaio 2016)

   VERINI, FERRANTI, AMODDIO, BAZOLI, BERRETTA, CAMPANA, ERMINI, GIULIANI, GRECO, GIUSEPPE GUERINI, IORI, LEVA, MAGORNO, MARZANO, MATTIELLO, MORANI, GIUDITTA PINI, ROSSOMANDO, ROSTAN, TARTAGLIONE, VAZIO, ZAN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   poche settimane prima dell'avvio della XVII legislatura, l'8 gennaio 2013, il tema del sovraffollamento delle carceri italiane era stato affrontato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, con la cosiddetta sentenza Torreggiani, con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva condannato l'Italia e le aveva intimato di risolvere, entro il 24 maggio 2014, il problema del malfunzionamento cronico del sistema penitenziario poiché la situazione relativa al sovraffollamento era drammatica, così come era stato sottolineato con forza anche dall'allora Presidente della Repubblica Napolitano nel messaggio rivolto alle Camere, nel quale chiedeva misure che potessero essere adottate per rendere meno pesante la condizione carceraria e, al contempo, più certa la pena: si andava dalla richiesta di una «incisiva depenalizzazione» alla necessità della costruzione di nuove carceri, dal ricorso più vasto agli arresti domiciliari, alla limitazione della custodia cautelare e alla possibilità di far scontare la pena dei detenuti stranieri nei loro paesi di origine;
   per quanto riguardava, poi, i rimedi al «carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario» in Italia, la Corte europea dei diritti dell'uomo richiamava la raccomandazione del Consiglio d'Europa «a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, allo scopo, tra l'altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria»;
   l'articolo 27 della Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato: si tratta, infatti, di un principio che, pur se spesso invocato, non ha ancora trovato la sua piena applicazione: oltre alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, lo ricorda continuamente soprattutto l'esperienza quotidiana di chi, con molte difficoltà, ogni giorno opera negli istituti penitenziari;
   in risposta a questo Governo e Parlamento hanno dato il via ad un percorso di interventi in materia carceraria: la legge sulle pene detentive non carcerarie e sulla sospensione del procedimento con messa alla prova per reati di non particolare allarme sociale, ispirata alla cosiddetta «probation processuale», ha, ad esempio, introdotto importanti norme in grado di incidere sulla situazione emergenziale delle carceri e di diminuire il carico dei procedimenti penali, evitando il processo, che viene sospeso per sottoporre l'imputato ad un progetto che lo metta alla prova: se l'esito è positivo, il reato si estingue, favorendo una graduale crescita delle misure alternative al carcere e influenzando positivamente il sistema di esecuzione della pena;
   molte altre sono state le misure volte a ridurre il numero dei reclusi in carcere, attraverso interventi tanto di diritto penale (delega al Governo per l'introduzione di pene detentive non carcerarie e per depenalizzare), quanto di diritto processuale penale: molto importante anche l'articolo 2 del decreto legge n. 78 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 2013, e l'articolo 3 del decreto legge n. 146 del 2013, convertito, con modificazioni, della legge n. 10 del 2014, che hanno, da un lato, ridimensionato le preclusioni all'accesso alle misure alternative nei confronti dei condannati recidivi e, dall'altro, dilatato i presupposti per l'applicazione dell'affidamento in prova al servizio sociale, anche grazie ai quali si sono fatti notevoli passi in avanti verso il sostanziale abbattimento del fenomeno del sovraffollamento e un riallineamento con gli standard europei;
   sempre più rilevante è risultato, inoltre, l'apporto degli enti territoriali al percorso dell'esecuzione penale esterna e si va delineando come sempre più sistematico l'intervento del terzo settore che da sempre costituisce una grande risorsa del nostro Paese;
   per tale via si sta gradualmente realizzando il coinvolgimento della società nell'opera del recupero del condannato. La valorizzazione dei comportamenti attivi diretti a riparare il danno causato dalla commissione del reato, prima nei confronti della vittima e poi nei confronti della società, costituisce la chiave di volta per rendere accettabile agli occhi della pubblica opinione una pena scontata fuori dal carcere: il ricorso, reso più semplice e più efficace, alle pene alternative si sta rivelando positivo ed efficace in termini di rieducazione, legalità e sicurezza, a dimostrazione che le sterili politiche securitarie a parole, lungi dal dimostrarsi garanzia di legalità, sono superate dal punto di vista della modernità del diritto;
   la strada però è ancora lunga e richiede impegno, investimento di risorse e determinazione in tema di formazione, lavoro, socializzazione, mediazione culturale, recupero e riabilitazione e reinserimento dei detenuti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga utile e opportuno fornire dati il più possibile aggiornati in merito all'effettivo grado di applicazione sull'ammissione al lavoro esterno, nonché in merito all'impatto dell'applicazione delle nuove norme in materia di messa alla prova e, più in complessivamente, sull'andamento dell'esecuzione penale esterna, e infine, nel quadro più generale delle politiche carcerarie, quali ulteriori iniziative intenda adottare al fine di assicurare un decisivo impulso alla formazione del personale, al lavoro esterno e alla socializzazione e al reinserimento dei detenuti, in linea con quanto emerso anche dai lavori degli Stati generali dell'Esecuzione Penale. (3-01926)
(13 gennaio 2016)

   BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   essendo passato già un mese dal cosiddetto «decreto salva banche», ancora non risulta che sia stato disposto alcun provvedimento cautelare e conservativo del patrimonio degli amministratori, dei revisori e di chi avrebbe dovuto vigilare e sorvegliare sulla situazione finanziaria delle banche;
   è di tutta evidenza, ad avviso degli interroganti, che le banche responsabili dell'amministrazione e i soggetti di cui sopra possono facilmente spogliarsi di tutti i loro beni anche cedendoli a persone complici o a prestanome improvvisati;
   ad oggi non risulta attivata alcuna procedura di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa nei confronti delle banche in dissesto né sono stati nominati i relativi organi che si occupano della situazione fallimentare delle stesse banche salvo, l'avvio della procedura di risoluzione delle quattro banche oggetto del sopradetto decreto;
   dovranno essere accertate le responsabilità civili degli amministratori, dei revisori e di chi doveva vigilare e sorvegliare le banche sottoposte al provvedimento del 23 novembre 2015 per evitare anche il decorso della prescrizione delle relative responsabilità;
   in attesa di accertare le responsabilità sarebbe stato possibile emettere provvedimenti cautelari e conservativi del patrimonio dei soggetti responsabili su cui rivalersi qualora venisse accertato successivamente il ruolo rivestito nel dissesto finanziario delle banche stesse;
   ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 180 del 2015, durante la procedura di risoluzione a cui sono state sottoposte le sopradette quattro banche, «l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità e di quella dei creditori sociali contro i membri degli organi amministrativi e di controllo e il direttore generale, dell'azione contro il soggetto incaricato della revisione legale dei conti e dell'azione del creditore sociale contro la società che esercita l'attività di direzione e coordinamento, spetta ai commissari speciali sentito il comitato di sorveglianza previa autorizzazione della Banca d'Italia. In mancanza di loro nomina l'azione di responsabilità spetta a un soggetto designato dalla Banca d'Italia»;
   il presidente Roberto Nicastro, nominato il 22 novembre 2015 dalla Banca d'Italia presidente del consiglio di amministrazione di Nuova Banca Marche, Nuova Carife, Nuova Banca Etruria e Nuova Cari Chieti, non ha iniziato alcuna procedura nei confronti dei patrimoni degli amministratori responsabili, neanche il congelamento dei loro beni, ma si è limitato a redigere una «lettera aperta» sui quotidiani locali in cui evoca un «rinforzato spirito di fiducia» e una «relazione forte, intensa e duratura» con i risparmiatori di Banca Marche, Carife, Banca Etruria e Cari Chieti –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative normative per prevedere l'adozione di misure cautelari conservative del patrimonio di tutti coloro che hanno amministrato le quattro banche, oggetto del decreto finalizzato a salvarle, oltre a quello dei revisori e di coloro che dovevano vigilare sulla situazione finanziaria delle stesse banche negli ultimi 10 anni. (3-01927)
(13 gennaio 2016)

   TAGLIALATELA e RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 24 dicembre 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, in occasione della loro visita a Pompei per inaugurare l'apertura di sei edifici recentemente restaurati, hanno annunciato la prossima realizzazione di un hub ferroviario che collegherà direttamente gli scavi di Pompei alla linea ferroviaria dell'alta velocità;
   se fosse confermato il progetto attuale, la nuova stazione ferroviaria sorgerà lontana dal centro cittadino sull'incrocio della linea ferroviaria Napoli - Salerno e quella della circumvesuviana Napoli - Sorrento, sarà collegata direttamente agli scavi archeologici da un percorso pedonale e sarà affiancata da un parcheggio di interscambio modale di circa duecento posti auto;
   il nuovo mega hub dovrebbe costare circa trentacinque milioni di euro tra fondi europei, statali e regionali, e dovrebbe essere realizzato in due anni e mezzo, per poter poi permettere di raggiungere il sito archeologico a circa tre milioni di turisti all'anno;
   laddove fosse confermato il progetto nella sua attuale stesura, la raggiungibilità degli scavi direttamente dalla rete ferroviaria dell'alta velocità, tuttavia, escluderà dal circuito turistico Pompei e i centri minori dell'area vesuviana, determinando un ingente danno alle economie locali e, nel lungo periodo, costringendo alla chiusura tutte quelle attività commerciali che traggono beneficio dalla presenza turistica diretta agli scavi;
   nell'elaborazione del progetto non vi è stata alcuna concertazione con gli organi di governo e territoriali, come denunciato dallo stesso sindaco di Pompei, e né sembra essere stata coinvolta l'amministrazione della città metropolitana di Napoli;
   il sindaco di Pompei ha proposto una diversa ubicazione dell’hub che prevede la riqualificazione delle già esistenti stazioni sia delle Ferrovie dello Stato che della circumvesuviana, anche al fine di evitare le citate ricadute negative sull'economia locale –:
   se non ritenga di prendere in considerazione il progetto alternativo proposto, e comunque se il Governo abbia effettuato una ricognizione delle conseguenze di carattere economico ed occupazionale sull'economia locale. (3-01928)
(13 gennaio 2016)